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A COME ARCHITETTURA, Vittoriano Viganò

INTRODUZIONE
In Viganò coincidono etica progettuale e ricerca estetica, le sue opere non sono legate allo
storicismo (es. come nel caso della Torre Velasca – gruppo BBPR -> architettura gotica), tuttavia
sono però presenti dei richiami all’architettura storica (ampliamento del politecnico di Milano ->
l’impianto tipologico è un chiaro richiamo all’impianto tipologico del Duomo di Milano, unità
spaziale della campata e guglie strutturali).

Viganò si occupa della progettazione in tutte le scale (dal design al disegno urbano), non è
interessato alla grandezza del progetto ma alle problematiche progettuali che questo comporta:
- oggetti di design (lampade)
- ricomposizioni volumetriche degli spazi (volumi dell’appartamento personale di V. Viganò)
- elaborazione plastica degli edifici (facciate Istituto Marchiondi)
- disegni paesaggistici (interventi a Rimini e pisicina di Salsomaggiore Terme)
- sistemazioni urbane (intervento piazza Arco della pace – Parco Sempione)

Le sue opere non sono riconducibili ad un unico canone dell’architettura moderna (es.
brutalismo) e quindi non sono propriamente anticlassiche, ma non possono nemeno essere
ricondotte ad opere classicheggianti (comprensibile che non sia leggibile un evidente richiamo
alla classicità visto il periodo in cui opera, opera nel periodo del dopo guerra -> movimento
moderno, rottura col classicismo, ma tuttavia come abbiamo vsto prima ci saranno dei richiami
all’architettura storica, soprattutto nei suoi ultimi lavori.)

Nelle opere di Viganò ritroviamo un sintetismo dell’architettura (derivato dal procedimento di


scomposizione). L’architettura diventa sempre più diagrammatica con la presenza di volumi
semplici e vuoti scavati, questo perchè Viganò immagina l’architettura come un percorso in cui
incontriamo accidenti, blocchi, etc.. -> no percorso rettilineo e semplice. I suoi edifici diventano
quindi la rappresentazione di questo percorso difficoltoso, ed è per questo motivo che questi
inizialmente sembrano confusionari, non percependo immediatamente un ordine interno,
comprensibile poi solamente entrando nell’edificio e percorrendolo.

Centrale all’interno dei suoi lavori è anche l’importanza che egli da al contesto (es. Mollificio
Bresciano realizzato in parte ribassato nel terreno, per non avere un impatto troppo grande
sull’area del lago di Garda in cui si inseriva, che era la stessa area in cui anni prima Viganò aveva
realizzato Casa La scala in cui ragionava sul rapporto paesaggio-interno).
Questo interesse per il contesto era però rivolto solo a non rovinarlo attraverso la costruzione di
un edificio, Viganò non era infatti interessato a realizzare delle opere che si mimetizzassero con
la natura, anzi, se ne distanziavano notevolemente attraverso linee spigolose e angoli (es.
piscina di salsomaggiore, intervento di Rimini).

1. L’architettura di V. V. è DECOSTRUTTIVISTA, attraverso l’utilizzo di volumi semplici proiettati


all’esterno e sporgenze ( Istituto Marchiondi – bagni del convitto e passerelle sospese).
Per quando riguarda gli interni egli non ricerca la comodità ma la definizione e la creazione di
nuovi spazi attraverso i volumi (appartamento personale di V. V.)

2. Ma è anche BRUTALISTA. Nel dopo guerra siamo nel boom della ricostruzione, si vuole godere
della verita -> sincerità strutturale, esposizione degli impianti, esposizione dei materiali
costruttivi (calcestruzzo). Si crea un’idea di bellezza rude ma sincera, non si cita più la storicità
perchè si vuole dimenticare il passato (guerra) per una nuova rinascita.
-> Banham e Zevi (storici dell’arte più importanti in quel periodo) rimangono colpiti
dall’essenzialità (grezze, ruvide) delle strutture in cemento armato progettate da Viganò (per
l’istituto Marchiondi, 1957 – la sua prima vera grande opera pubblica-) e lo definiranno quindi
Architetto brutalista, applicando anche per la prima volta in Italia il termine brutalista ad un
edificio.
Viganò era ostile alle regole e ai tipi. Questa ostilità verso la tipologia esiste perchè il tipo era il
metodo storico di fare architettura, copiando cioè un certo impianto o schema tipologico già
consolidato nel corso della storia (es. scuole -> edifici a corte interna – come nel caso delle aule
storiche del 1930 del polimi -).
Viganò si appropria invece della plasticità della scultura e la traspone in architettura, realizzando
facciate plastiche (Istituto Marchiondi) in cui convive la presenza-assenza della materia,
attraverso pieni/vuoti e volumi aggettanti.

3. Ed è infine anche PURISTA, la sua architettura è scarna e calcolata, per evitare di dare spazio
all’eccesso. Queste architetture così semplici grezze (cemento armato) sono poi sempre
nobilitate dall’utilizo dei colori (nero e rosso applicati su uno sfondo bianco moltissimo, poi
anche blu, giallo e marrone). Questi venivano sempre applicati sui soffitti o sulle pavimentazioni,
mai sulle pareti.

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