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29/03/2022

Giancarlo de Carlo
Giancarlo de Carlo appartiene a quella generazione di architetti che in giovane età parteciparono
alla Seconda guerra mondiale.

 1919 nasce a Genova


 1939-1943 Politecnico di Milano: laurea in ingegneria nel 1943.
 1944 a Milano, entrò nella resistenza, a capo delle Brigate Matteotti (con Giuseppe Pagano).
 1949 laurea in architettura allo Iuav, i reduci di guerra avevano un percorso facilitato per
completare gli studi
 1950 apre un proprio studio a Milano.
 1955-1983 insegna urbanistica allo Iuav → formò una scuola di architetti e urbanisti italiani
soprattutto formatasi allo IUAV
 1964 Piano Regolatore Generale di Urbino. Dal 1965 lavorò al campus Università di Urbino.
 Dal 1970 insieme a Domenico De Masi, Fausto Colombo e Valeria Fossati Bellani e agli
operai e le loro famiglie costruisce il villaggio operaio Matteotti a Terni.
 1976 fonda l'ILAUD (International Laboratory of Architecture & Urban Design) → laboratorio
di alta formazione di urbanisti che viene elaborato in particolare a Venezia
 2005 muore

Facoltà di Magistero, Urbino, 1968-1976


Città carica del proprio aspetto storico rinascimentale con il
palazzo di Federico da Montefeltro, con la presenza di
architettura contemporanea molto ridotta.
Isolato del tessuto storico di Urbino in cui l’intervento
dell’architetto è quasi invisibile all’esterno, mantenendo il
perimetro dell’isolato ma eliminando degli elementi interni.
Delinea una cortina in laterizio di muri che mimetizza la presenza di un
nuovo edificio.
De Carlo in pianta inserisce un cortile circolare e una sala a gradoni che
si sviluppa lungo il pendio e si affaccia sulla strada con una finestra
visibile solo da lontano.
→razionalizzazione nella planimetria

Collegi universitari, Urbino, 1960-1987


Cittadella universitaria subito fuori Urbino, il profilo
del villaggio segue il colle dove vengono collocati gli
alloggi ma anche i luoghi comuni (chiesa, ufficio
postale, supermercato, teatro all’aperto, ecc.).
Cittadina nuova che segue i modelli dei villaggi degli
Appennini. Questo significa per De Carlo mettere in
discussione i principi del Movimento Moderno:

 adattarsi al contesto, la città di Urbino o


l’orografia del terreno
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 attenzione al comfort negli alloggi agli studenti → legame a Wright e Aalto
 idea di una progettazione che raccolga le future esigenze degli abitanti delle proprie
architetture, non pensando ad abitanti ideali, per la società reale.
[padiglione svizzero di Le Corbusier a Parigi, ricerca sulle dimensioni, funzioni e percorsi, rapporto
cellula individuale e edificio complessivo ma non comfort]

Nuovo villaggio Matteotti, 1970-1975, Terni


Progettazione di un quartiere destinato agli operai delle industrie di
Terni voluto dall’amministrazione comunale che accetta la prassi di
GdC di voler organizzare, nella fase pre-progettuali, delle riunioni
periodiche con i futuri abitanti → progettazione partecipata
Le esigenze non sono scientificamente individuate dall’architetto, ma
individuate sic post, dopo che i futuri abitanti hanno esposto le loro
esigenze.
Le esigenze degli abitati sono quelle di vivere in un quartiere senza
casermoni, dove i rapporti tra le singole famiglie è chiuso nei singoli
appartamenti. Occorrono spazi di socialità, per riprodurre la vita di
paese.
Non vi è preponderanza dei veicoli e traffico rispetto al costruito ma
il contrario.
“Il Movimento Moderno ha perso l’attendibilità intesa come legittimità
storica, come capacità di rivolgersi al proprio pubblico e di essere in
relazione con le vicende della realtà”
Il risultato della lunga fase pre-progettuale e progettuale è un quartiere realizzato in questo modo:
Lotto rettangolare suddiviso da una strada interna in due lotti stretti e lunghi, in ogni lotto ci sono
delle serie di appartamenti affacciati verso la strada e verso un percorso pedonale interno.
Ogni appartamento non è disposto in un condominio alto, ma possiede una propria autonomia
volumetria con facciate sfalsate, in modo da riprodurre la caoticità dei villaggi storici. Vi è
un’attenzione agli spazi scoperti con moltiplicazione di balconi e strade interne sopraelevate che
attraverso camminamenti e percorsi pensili servono ad accedere ai singoli appartamenti che si
articolano su più piani. → paesi storici degli Appennini
Moltiplicazione del verde sia a terra che in quota con giardini e piccole serre. → ripersonalizzare
l’architettura
Personalizzare un’architettura che era stata persa con il movimento moderno, dove le cellule
abitative erano state incasellate in edifici giganteschi, ripreso anche nel piano Fanfani.
Incasellamento delle cellule tutte uguali → ogni unità abitativa funzionalmente o formalmente
autonoma
Linguaggio che riprende l’architettura del movimento moderno: uso massiccio del cls facciavista

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Quartiere di Mazzorbo, Venezia, 1979-1985
Quartiere popolare commissionato dal comune di Venezia per
dare alloggio a delle famiglie in quanto danneggiate dall’Acqua
Granda del 1966, evento che ha innescato lo spopolamento di
Venezia.
Progetto si basa su principi macroscopici e architetturali. A
livello urbanistico prevede un quartiere formato da due calli con
una piazza centrale che fa da snodo, su questi si affacciano gli
appartamenti disposti in serie. Riprendendo così le stesse
caratteristiche tipologiche delle case storiche di Burano.
A livello architettonico costruisce una serie di abachi ina base
alla grandezza della famiglia, alle funzioni.
Abaco → schema di organizzazione di diverse varianti
tipologiche
I prospetti sono responsabili della qualità urbana, il comfort a
livello urbano è anche dato dalla bellezza dei prospetti. Ottenendo così l’effetto simile all’isola di
Burano, dove a ogni famiglia è associato un appartamento autonomo con la propria volumetria,
prospetto e colore.
→ Individualismo simile a Wright, opponendosi dalla standardizzazione da parte del Movimento
moderno
Forme del linguaggio del movimento moderno ma che contemporaneamente parla anche un
linguaggio tradizionale del luogo, non solo con il colore ma anche con l’autonomia dei singoli
appartamenti gli uni rispetto agli altri.
Giancarlo de Carlo evidenzia come i critici del movimento moderno non lo rifiutassero in blocco ma
ciò utilizzavano ciò che era utile: progettazione per tipologie, attenzione alle tecnologie, calcolo
raffinato delle quantità (funzionalismo). Tutto ciò non viene abbandonato ma arricchito con elementi
provenienti dal contesto.

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Carlo Scarpa

 1906 nasce a Venezia, infanzia a Vicenza


 1919-1926, studia all'Accademia di Belle Arti; inizia a collaborare con i maestri vetrai di
Murano. Uno dei più importi artisti del vetro del Novecento
 1931 docente allo Iuav, di arredamento
 1935-1937, 1955-1957 restauro di alcuni ambienti di Ca' Foscari, apre uno studio di restauro
 anni '50 incontro con F.L. Wright e l’architettura giapponese
 1956 Premio Nazionale Olivetti per l'architettura
 1978 laurea honoris causa in architettura allo Iuav, poco prima di morire in cantiere

Allargamento della Gipsoteca Canoviana, Possagno, 1955-57


La soprintendenza alle gallerie e alle opere d’arte di Venezia e del Veneto
(soprintendente Vittorio Moschini) commissiona a Scarpa un ampliamento.

 Basilica di Francesco Lazzari, architetto neoclassico (costruzione


1834-1836, sistemazione gessi fino al 1844), unico ambiente voltato
a botte con un’abside terminale
 Ampliamento con piccoli ambienti, aventi dimensioni più esigue rispetto alla Basilica, collegati
e incastrati tra loro
Appendice alla basilica pensanti come due volumi contigui
articolati secondo una progressiva digradazione con un profilo
trapezoidale: un alto ambiente pianta quadrata (che
inizialmente doveva ospitare il Teseo) e una galleria a gradoni;
questa si restringeva entro la forma del lotto trapezoidale,
mentre, verso la basilica Lazzari, c’è un corridoio di separazione
a cielo aperto.
Il corridoio a cielo aperto è un diaframma cuscinetto tra il
vecchio e il nuovo. Non vi è contatto, si accostano uno all’altro.
Quando due oggetti iniziano a diventare in risonanza tra loro è
uno degli aspetti più studiati da Carlo Scarpa.
→ questo è il restauro, intervento sull’esistente, sulla storia, sulla quarta dimensione, il tempo, che
isola gli oggetti
Per questa ragione Scarpa non ritiene che sia sufficiente, nel realizzare una nuova opera,
addizionarla all’esistente ma entrarvi in dialogo. La storia non è solo memoria, collezione di spazi
memoriali, è un flusso di vita, di eventi che è come il mare che deposita sulla sabbia relitti. (Montale)
L’architetto si trova nel punto di contatto tra il mare (storia) e la sabbia (presente).
Il museo è il luogo dove la dinamica tra passato-presente-futuro esplode. Per Scarpa non è un mero
contenitore ma un luogo dove gli oggetti storici, attraverso lo sguardo dell’osservatore, riprendono
vita.
La luce intrecciandosi con il tempo plasma l’architettura. La luce è l’elemento più variabile
temporalmente. La luce solare è l’elemento più sfuggente per l’architetto.
L’acqua corrente e la luce sono gli elementi che visualizzano, spazializzano e sonorizzano il
trascorrere del tempo. Se l’architetto scolpendo lo spazio scolpisce anche il tempo, ovvero allestisce
una certa dimensione temporale dell’architettura, allora luce, acqua e tempo sono strettamente
collegati tra loro.

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Luce, acqua mutano il tempo → Venezia, città del tempo, dove il tempo viene visualizzato
Per ogni opera d’arte Scarpa progetta un diverso modo di allestimento: poggiata a terra, su una
piastra, teche di vetro di diverse dimensioni e orientazioni a seconda di come l’osservatore doveva
contemplare l’opera.
La luce è fondamentale, inventandosi così nuove forme di finestre anche tridimensionali (Wright),
come scatole di luce negli spigoli.
La scatola a sorpresa all’’esterno è visibile la realizzazione a cls facciavista che viene accostato ad
altri tipi di materiale come acciaio e vetro.
Le casseforme non devono per forza essere in legno, ma anche in acciaio, vetro per avere una
superficie molto liscia.
Carlo Scarpa utilizza tutte le potenzialità messe a disposizione del Movimento Moderno ma realizza
qualcosa di per sé qualcosa di irripetibile, non come Le Corbusier che potrebbe realizzare
innumerevoli Unité d’Habitation.

Museo di Castelvecchio, Verona, 1956-64, 1975

 1354-1356 costruito da Cangrande II della Scala


 Una volta caduta la repubblica di Venezia
Castelvecchio venne trasformato in caserma da
Napoleone.
 1801-1806 restauro lati N e E, con rimaneggiamento
di tutti gli ambienti e la costruzione di una nuova scala
dove il primo cortile incontra la grande torre che dà
accesso al ponte di Castelvecchio.
 1924 reso Museo Civico, contenente le opere di proprietà del comune, provenienti da chiese
veronesi e fuori che erano state espogliate durante il periodo napoleonico. Restauro di
Ferdinando Forlati, con un intervento di tipo strutturale per riallestire gli ambienti interni da
caserma a museo.
 1955 Licisco Magagnato incarica Carlo Scarpa di un generale riallestimento
 1955 restauro della Reggia (corpo più piccolo)
 1959-1964 restauro galleria, nel cortile più grande
 1975 aggiunta biblioteca, che si trova nella sezione più a destra del
corpo più grande

Il Castello presentava due cortili: uno più piccolo che rappresentava la


reggia degli Scaligeri, l’altro come sede amministrativa e sede della
guarnigione di guardia. In mezzo un passaggio fortificato che dall’interno
della città portava al ponte.

Carlo Scarpa si occupa di riallestire degli spazi limitando


al massimo la costruzione di nuovi spazi.
Per prima cosa modifica il sistema di accesso al museo.
In origine il museo presentava un loggiato a tre fornici, al
centro della galleria. [nella pianta in alto]

Scarpa chiude questo accesso con una vetrata, spostando l’ingresso all’estremità
a destra del cortile, nello spigolo dove si trova la biblioteca. L’ingresso riutilizza un

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fornice (un arco) sistemando, sporgente da questo arco, un setto in cls armato facciavista a L, in
modo da differenziare i percorsi di ingresso e uscita.
Dopo l’ingresso nel cortile Scarpa allestisce una serie di dispositivi spaziali in modo da indirizzare il
visitatore all’accesso più discreto al museo. Per indirizzare il visitatore isola la parte centrale del
cortile con delle basse aiuole in modo che tutta la parte inferiore del cortile diventa un’area
inaccessibile. → stesso principio adottato nel padiglione della Germania a Barcellona
Il prato stesso pur non essendo inaccessibile rimane visibile e diventa esso stesso spazio di
allestimento, come un lapidario, ossia alcune delle iscrizioni che facevano parte dell’esposizione
vengono disposte in una struttura in acciaio.

Nel cortile Scarpa definisce un altro fornice chiuso da una scatola realizzata in
pietra di Verona, come un mosaico con sfumature rosa. All’interno di questo
involucro sono conservate alcune monete che fanno parte dell’allestimento del
museo.

Entrando nel museo si accede nella parte inferiore della galleria costituita da
una successione di stanze legate da una sequenza di portali archi-voltati,
percependo così tutta la lunghezza di questo spazio. → unitarietà del
percorso museale di tipo prospettico

All’unitarietà prospettica corrisponde l’unicità delle singole stanze. Scarpa


riveste le stanze con pannelli sia le superfici orizzontali e verticali. Il
pavimento è formato da un’unica lastra che percorre tutte le stanze, formata
da pannelli intonacati con dei listoni di pietra di pietra d’Istria che definisco un
ritmo nelle stanze. La lastra non riempie tutta la superficie della stanza ma si ferma da 10-12 cm
dalle pareti. → cuscinetto d’aria, di non-architettura
Riflette così sul concetto di tempo, che responsabilità si ha quando si tocca qualcosa di
preesistente? → visualizzazione nel cuscinetto di non-architettura

Vi è una trave in acciaio che corre longitudinalmente lungo tutte le stanze, reggente un solaio in cls,
con delle travi in cls rese evidenti rispetto al tamponamento in quanto facciavista.
Avendo così reso evidente il nuovo Scarpa allestisce con le opere d’arte, le quali disegnano lo spazio
con una particolare sistemazione e allestimento per ciascuna.

Al piano terreno della galleria sono disposte le sculture, tridimensionali, di cui vengono studiati i punti
di vista dei visitatori, il loro movimento e la posizione fissa delle opere. Alcune di queste statue di
piccole dimensioni vengono disposte su mensole in acciaio poggianti sulle pareti intonacate di rosso
pompeiano che mette in rilievo il bianco dell’opera.

Nella parte superiore della galleria i quadri acquisiscono una loro tridimensionalità essendo esposti
su cavalletti.

Compiuto il percorso al piano inferiore si esce nel punto di


contatto tra la galleria e uno dei muri del corridoio murato che
lega la città al ponte. Scarpa demolì la scala costruita in epoca
napoleonica perché del tutto incongrua con il percorso
allestitivo, nel luogo viene posta la statua equestre di
Cangrande della Scala, creando un vuoto fra il corpo di
fabbrica delle gallerie e il muro. In questa frattura viene messo
in evidenza che vi è stato un intervento, cioè vi è passata la
storia non per continuità ma per distacco, per ferita. Qui viene
posto il fulcro di tutto l’allestimento e del rapporto
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interno/esterno, ovvero la statua che diventa bussola concettuale, le opere d’arte sono strappate al
contesto originale vengono riallestite e perciò risignificate.
→ Senso della storia e della memoria composta da frammenti.

Superata la ferita della storia si entra nella reggia, dove vi è la


pinacoteca al piano superiore e nuovamente attraverso la
passerella si entra nella parte superiore della galleria. Questa parte
è composta da una sequenza di stanze dove sono appesi quadri
di grandi dimensioni, finché il percorso termina nella scala dove il
percorso è partito. → percorso circolare

Il museo, pertanto, si caratterizza per la riorganizzazione di uno spazio preesistente, nella


costruzione dell’interazione fra spazio interno ed esterno con la mediazione della statua di
Cangrande della Scala. Vi è anche l’interazione di spazi preesistenti, una pelle interna d’architettura
fatta di pannelli appoggiati e la rete degli oggetti esposti.

Fondazione Querini-Stampalia, Venezia, 1961-1964

Palazzo cinquecentesco che l’ultimo conte donò al comune di


Venezia. L’edificio è l’esito dell’unione di due palazzi con due
ingressi ad acqua. Con parte centrale caratterizzata da logge e
le parti laterali con finestre più piccole.
• 1868: costituzione Fondazione Querini Stampalia, che
doveva gestire la biblioteca e la collezione d’arte della
famiglia
• 1950: Manlio Dazzi incarica di un primo intervento di
restauro
• 1961: Giuseppe Mazzariol chiama Scarpa per un
secondo intervento di restauro
• 1964: conclusione lavori di restauro
• 1973: progetto foresteria non realizzato

Carlo Scarpa per prima cosa realizza il logo nell’ingresso del


museo.
1. Realizza un nuovo ponte per legare, ma anche
individualizzare, i due ingressi. Trasforma una delle
finestre al piano terreno come nuovo accesso via terra.
Utilizza per la prima volta dei materiali mai visti a Venezia: ottone, legno e pietra d’Istria,
ispirandosi all’architettura cantieristica delle navi.

2. L’atrio è una stanza rivestita da pannelli diversi a seconda della


posizione. Pannelli in legno e intonaco appoggiati alle pareti,
distanziati tra loro e dai limiti di pavimento e soffitto per evidenziare
la natura del rivestimento.
Pavimento in mosaico, soffitto con controsoffitto con pannelli in
legno. Nessuna superficie raggiunge lo spigolo, rendendo visibile
l’antico.
Nuovo-antico evidenziato da una canaletta in pietra d’Istria che
limita il mosaico dalle pareti, utile quando l’acqua dell’alta marea entra e vi scorre all’interno.
→ cuscinetto d’acqua

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Non è più l’aria, come a Castelvecchio, ma l’acqua a misurare l’irriducibile distanza tra
passato e presente.
Acqua ha un suo tempo, suono e un suo colore, riflesso di luce.
Tempo segna l’irriducibilità e l’inutilità dell’opera dell’architetto. Se tutto passa
nel tempo l’architettura è destinata a degradarsi. L’architettura visualizza il
passaggio del tempo.
Scarpa non avevo previsto che vi fosse un restauro per le proprie opere.
Pertanto è giusto vi sia un restauro?

3. Ambiente centrale volto direttamente al canale. Pannellature che rivestono


l’ambiente. Il pavimento è costituito da delle piattaforme in cls che slittano une
rispetto alle altre, rivestite in pietra bianco (d’Istria e di Brescia). Queste
piattaforme sono dei gradoni, che degradano verso il canale, la cui visibilità e
forma è fluida perché condizionata dal livello dell’acqua.
4. Ambiente di collegamento con la biblioteca che però presenta una cesura con
un cordolo che impedisce il passaggio.
«Il rapporto tra le antiche strutture e le nuove, magistralmente realizzato sulla base di un
chiaro e preciso scambio dialettico, ha favorito l'esaltazione dei valori architettonici originari
del grande palazzo queriniano e ad un tempo ha precisato ed evidenziato le funzioni cui
l’edificio, non più casa patrizia ma pubblica sede di istituzioni culturali, è stato delegato dai
nostri tempi». G. Mazzariol
La stessa funzione ha subito il passaggio del tempo.
5. L’ambiente collegante l’atrio al giardino è illuminato non da finestre da una
parte dal canale e dall’altra dal giardino. Fonti di luce sono naturali e solo
agli estremi. La luce a Venezia ha una qualità materica che ha una sua
densità dovuta alla diversa umidità, ha una sua intensità e una sua
cromia. Questo ambiente è una scatola di luce, rivestita di pietra d’Istria,
travertino, cls liscio. Nelle intercapedini tra le lastre di travertino vi sono
delle strisce di vetro per riflettere la luce, mentre in assenza di luce sono
neon.
Il vetro può essere contemporaneamente trasparente, riflettente e generatore di luce.

6. Il cortile è una corte con alberi, dove lungo il perimetro Scarpa realizza un
percorso della memoria in trachite, pietra utilizzata per il selciato delle calli
veneziane, sistemando una collezione di episodi. Questi episodi sono sculture,
vere da pozzo1, specchi d’acqua i quali sono impreziositi da cornici fatte di
mosaico o pietra colorata. Tutti gli specchi d’acqua sono collegati tra loro da
una canaletta dove l’acqua scorre continuamente.
La qualità temporale dell’acqua è pertanto diverso rispetto all’interno, qui ha
uno scopo sonoro, per percepire lo scorrere del tempo. → tema antico,
nell’architettura paleocristiana veniva impiegata l’acqua come simbolo dello scorrere del
tempo e del passaggio da terreno a ultraterreno.

1
Vera da pozzo è un termine tipicamente veneziano; con esso si definisce la costruzione lapidea sovrapposta alla canna del pozzo ed a
protezione della sua apertura.
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Tomba Brion, San Vito d’Altivole, 1969, 1970-78

 1945: i coniugi Giuseppe Brion e Onorina Tomasin fondano


a Milano la Brionvega, azienda che produsse
apparecchiature elettroniche di uso domestico, ideate da
alcuni tra i più dotati designer dell’epoca.
 1968: morte di Giuseppe Brion, e relativa commissione di
Onorina Tomasin a Carlo Scarpa.
Il lotto su cui intervenire è adiacente al cimitero preesistente con
conformazione ad L di 2400 mq, per realizzare una necropoli dove
vi è la dimensione architettonica, urbana ma anche di design per via
dei numerosi dettagli costruttivi.
L’ingresso è assiale dal percorso principale del cimitero, il perimetro è costituito da muri in cls
facciavista.
Scarpa delinea un percorso iniziatico scandito da tappe, ovvero un percorso nel passaggio nella
vita, il ricordo dei morti e i morti per poi tornare alla vita. →simil Divina Commedia
Come la Divina Commedia il passaggio tra una fase e l’altra è scandito da diaframmi, da punti di
passaggio sia fisici ma anche tra quadri prospettici. La vista è dinamica, attraverso il meccanismo
del pittoresco, come un meccanismo progettuale estetico di cui si comprende lo spazio
attraversandolo. → definizione di soglie, linea a terra che divide in due lo spazio
All’ingresso vi è un tunnel in cls che assomiglia a un dromos di una tomba micenea
1. Cerchi incrociati, simboli di origine giapponese, che simboleggia l’unione in eterno dei due
coniugi Brion. Soglia che permette il primo sguardo all’interno, ovvero il prato, il muro
perimetrale e il cielo. → linea orizzontale, elementi assoluti
La visione dell’esterno del cimitero è limitata al cielo.
2. Corridoio trasversale, a sinistra vi è una lastra disconnessa dalle altre che così riproduce un
suono sordo, in questo modo il visitatore viene portato verso destra, raggiungendo così lo
stagno della meditazione.
3. Spazio della meditazione di derivazione giapponese, portatrice
della filosofia zen. L’acqua è la protagonista, superficie orizzontale
per eccellenza, è spazio non percorribile [Mies]. Al centro vi è un
padiglione in acciaio e legno, leggero ma un’apparenza di enorme
pesantezza.
Mondo dei paradossi dato che una struttura relativamente pesante
è retta da sostegni leggeri, passerelle che arazionalmente
permettono di camminare sull’acqua.
4. Fune in acciaio che suggerisce il limite ad un luogo delicato
5. Nel punto di snodo tra i due rami della L vi è il sepolcro dei due coniugi, posti sotto un arco
ribassato e ad una quota più bassa. → discesa nel mondo dell’Ade
I due sepolcri sono inclinati come se protendessero ad avvicinarsi e abbracciarsi in eterno
L’intradosso dell’arco in cls facciavista è rivestito con un mosaico riflettente → simbolo luce
eterna, paradiso
Questo sistema funerario è uno dei primi tipi di sepolcri del cristianesimo, chiamato sepolcro
ad arco solio, che attraverso tutta la storia dell’arte.
6. Le tombe della famiglia che sono organizzate in una specie di colombaia, modello nelle
catacombe, che rappresenta un sarcofago a grande scala

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7. Cappella è il luogo dove viene celebrato, attraverso il funerale, il passaggio liturgico tra la
vita e la morte.
Edificio che ha delle pareti ma che non sembra averne, elementi fissi traforati che ricordano
i templi giapponesi.
L’asse tra l’ingresso e l’altare non è lineare ma si trova lungo la diagonale, in modo da
allungare lo spazio.
La cappella sorge dall’acqua e viene collegata con delle canalette all’ambiente della
meditazione. Il rumore dell’acqua raffigura lo scorrere del tempo.
8. La foresta di cipressi è l’ultimo episodio, luogo dove vengono sepolti i parroci di San Vito di
Altivole. È il luogo del ricordo, con il cipresso che dalla cultura etrusca in poi è l’albero del
ricordo, ultimo passaggio prima di uscire nel mondo profano.
Scarpa pone la sua tomba, da lui disegnata, con una semplice lastra di marmo posta non all’interno
del recinto sacro ma immediatamente fuori.
L’architettura è quella disciplina che riesce a comunicare attraverso i simboli pur essendo aniconica.
Attraverso quest’opera Scarpa vuole avanzare anche il tema del restauro, l’utilizzo del cls facciavista
prevedeva che progressivamente venisse consumato dal tempo che agisce attraverso la pioggia, il
gelo, il vento ecc. questo passaggio del tempo è significante dell’architettura.

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