Giancarlo de Carlo
Giancarlo de Carlo appartiene a quella generazione di architetti che in giovane età parteciparono
alla Seconda guerra mondiale.
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Quartiere di Mazzorbo, Venezia, 1979-1985
Quartiere popolare commissionato dal comune di Venezia per
dare alloggio a delle famiglie in quanto danneggiate dall’Acqua
Granda del 1966, evento che ha innescato lo spopolamento di
Venezia.
Progetto si basa su principi macroscopici e architetturali. A
livello urbanistico prevede un quartiere formato da due calli con
una piazza centrale che fa da snodo, su questi si affacciano gli
appartamenti disposti in serie. Riprendendo così le stesse
caratteristiche tipologiche delle case storiche di Burano.
A livello architettonico costruisce una serie di abachi ina base
alla grandezza della famiglia, alle funzioni.
Abaco → schema di organizzazione di diverse varianti
tipologiche
I prospetti sono responsabili della qualità urbana, il comfort a
livello urbano è anche dato dalla bellezza dei prospetti. Ottenendo così l’effetto simile all’isola di
Burano, dove a ogni famiglia è associato un appartamento autonomo con la propria volumetria,
prospetto e colore.
→ Individualismo simile a Wright, opponendosi dalla standardizzazione da parte del Movimento
moderno
Forme del linguaggio del movimento moderno ma che contemporaneamente parla anche un
linguaggio tradizionale del luogo, non solo con il colore ma anche con l’autonomia dei singoli
appartamenti gli uni rispetto agli altri.
Giancarlo de Carlo evidenzia come i critici del movimento moderno non lo rifiutassero in blocco ma
ciò utilizzavano ciò che era utile: progettazione per tipologie, attenzione alle tecnologie, calcolo
raffinato delle quantità (funzionalismo). Tutto ciò non viene abbandonato ma arricchito con elementi
provenienti dal contesto.
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Carlo Scarpa
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Luce, acqua mutano il tempo → Venezia, città del tempo, dove il tempo viene visualizzato
Per ogni opera d’arte Scarpa progetta un diverso modo di allestimento: poggiata a terra, su una
piastra, teche di vetro di diverse dimensioni e orientazioni a seconda di come l’osservatore doveva
contemplare l’opera.
La luce è fondamentale, inventandosi così nuove forme di finestre anche tridimensionali (Wright),
come scatole di luce negli spigoli.
La scatola a sorpresa all’’esterno è visibile la realizzazione a cls facciavista che viene accostato ad
altri tipi di materiale come acciaio e vetro.
Le casseforme non devono per forza essere in legno, ma anche in acciaio, vetro per avere una
superficie molto liscia.
Carlo Scarpa utilizza tutte le potenzialità messe a disposizione del Movimento Moderno ma realizza
qualcosa di per sé qualcosa di irripetibile, non come Le Corbusier che potrebbe realizzare
innumerevoli Unité d’Habitation.
Scarpa chiude questo accesso con una vetrata, spostando l’ingresso all’estremità
a destra del cortile, nello spigolo dove si trova la biblioteca. L’ingresso riutilizza un
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fornice (un arco) sistemando, sporgente da questo arco, un setto in cls armato facciavista a L, in
modo da differenziare i percorsi di ingresso e uscita.
Dopo l’ingresso nel cortile Scarpa allestisce una serie di dispositivi spaziali in modo da indirizzare il
visitatore all’accesso più discreto al museo. Per indirizzare il visitatore isola la parte centrale del
cortile con delle basse aiuole in modo che tutta la parte inferiore del cortile diventa un’area
inaccessibile. → stesso principio adottato nel padiglione della Germania a Barcellona
Il prato stesso pur non essendo inaccessibile rimane visibile e diventa esso stesso spazio di
allestimento, come un lapidario, ossia alcune delle iscrizioni che facevano parte dell’esposizione
vengono disposte in una struttura in acciaio.
Nel cortile Scarpa definisce un altro fornice chiuso da una scatola realizzata in
pietra di Verona, come un mosaico con sfumature rosa. All’interno di questo
involucro sono conservate alcune monete che fanno parte dell’allestimento del
museo.
Entrando nel museo si accede nella parte inferiore della galleria costituita da
una successione di stanze legate da una sequenza di portali archi-voltati,
percependo così tutta la lunghezza di questo spazio. → unitarietà del
percorso museale di tipo prospettico
Vi è una trave in acciaio che corre longitudinalmente lungo tutte le stanze, reggente un solaio in cls,
con delle travi in cls rese evidenti rispetto al tamponamento in quanto facciavista.
Avendo così reso evidente il nuovo Scarpa allestisce con le opere d’arte, le quali disegnano lo spazio
con una particolare sistemazione e allestimento per ciascuna.
Al piano terreno della galleria sono disposte le sculture, tridimensionali, di cui vengono studiati i punti
di vista dei visitatori, il loro movimento e la posizione fissa delle opere. Alcune di queste statue di
piccole dimensioni vengono disposte su mensole in acciaio poggianti sulle pareti intonacate di rosso
pompeiano che mette in rilievo il bianco dell’opera.
Nella parte superiore della galleria i quadri acquisiscono una loro tridimensionalità essendo esposti
su cavalletti.
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Non è più l’aria, come a Castelvecchio, ma l’acqua a misurare l’irriducibile distanza tra
passato e presente.
Acqua ha un suo tempo, suono e un suo colore, riflesso di luce.
Tempo segna l’irriducibilità e l’inutilità dell’opera dell’architetto. Se tutto passa
nel tempo l’architettura è destinata a degradarsi. L’architettura visualizza il
passaggio del tempo.
Scarpa non avevo previsto che vi fosse un restauro per le proprie opere.
Pertanto è giusto vi sia un restauro?
6. Il cortile è una corte con alberi, dove lungo il perimetro Scarpa realizza un
percorso della memoria in trachite, pietra utilizzata per il selciato delle calli
veneziane, sistemando una collezione di episodi. Questi episodi sono sculture,
vere da pozzo1, specchi d’acqua i quali sono impreziositi da cornici fatte di
mosaico o pietra colorata. Tutti gli specchi d’acqua sono collegati tra loro da
una canaletta dove l’acqua scorre continuamente.
La qualità temporale dell’acqua è pertanto diverso rispetto all’interno, qui ha
uno scopo sonoro, per percepire lo scorrere del tempo. → tema antico,
nell’architettura paleocristiana veniva impiegata l’acqua come simbolo dello scorrere del
tempo e del passaggio da terreno a ultraterreno.
1
Vera da pozzo è un termine tipicamente veneziano; con esso si definisce la costruzione lapidea sovrapposta alla canna del pozzo ed a
protezione della sua apertura.
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Tomba Brion, San Vito d’Altivole, 1969, 1970-78
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7. Cappella è il luogo dove viene celebrato, attraverso il funerale, il passaggio liturgico tra la
vita e la morte.
Edificio che ha delle pareti ma che non sembra averne, elementi fissi traforati che ricordano
i templi giapponesi.
L’asse tra l’ingresso e l’altare non è lineare ma si trova lungo la diagonale, in modo da
allungare lo spazio.
La cappella sorge dall’acqua e viene collegata con delle canalette all’ambiente della
meditazione. Il rumore dell’acqua raffigura lo scorrere del tempo.
8. La foresta di cipressi è l’ultimo episodio, luogo dove vengono sepolti i parroci di San Vito di
Altivole. È il luogo del ricordo, con il cipresso che dalla cultura etrusca in poi è l’albero del
ricordo, ultimo passaggio prima di uscire nel mondo profano.
Scarpa pone la sua tomba, da lui disegnata, con una semplice lastra di marmo posta non all’interno
del recinto sacro ma immediatamente fuori.
L’architettura è quella disciplina che riesce a comunicare attraverso i simboli pur essendo aniconica.
Attraverso quest’opera Scarpa vuole avanzare anche il tema del restauro, l’utilizzo del cls facciavista
prevedeva che progressivamente venisse consumato dal tempo che agisce attraverso la pioggia, il
gelo, il vento ecc. questo passaggio del tempo è significante dell’architettura.
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