Il contesto storico in cui si sviluppa l’opera di Giancarlo De Carlo, è quello della fine della
seconda guerra mondiale. In un’Europa messa in ginocchio dai bombardamenti, incombeva il
desiderio e la volontà di ricostruzione, la quale non è solo fisica, ma anche morale e culturale.
Era come se bisognasse ricostruire l’identità stessa dell’Europa.
Il dibattito riguardo la responsabilità degli architetti nei confronti della società, è stato
inglobato sotto l’uso del termine “architettura della partecipazione”.
Lo stesso architetto ne da una definizione esemplare, affermando che: “La forma
tridimensionale dell’architettura non è l’esterno di un pieno, ma l’involucro concavo e
convesso di uno spazio; e a sua volta lo spazio non è un vuoto ma il luogo volumetrico di un
insieme di varie possibili attività. Perciò l’invenzione, nel caso dell’architettura, si riferisce a un
sistema spaziale organizzato che si esperisce attraverso l’uso e si percepisce attraverso la
forma. Qualunque rapporto si voglia stabilire con l’invenzione di uno spazio architettonico
non si può fare a meno di tener conto che non c’è solo la sua forma, ma anche il suo modo di
essere organizzato per l’uso; che forma e organizzazione sono legate da una relazione di
reciproca necessità; che l’uso implica la presenza degli utenti e quindi la considerazione dei
valori che gli utenti riflettono sull’organizzazione e sulla forma quando le collocano nel
campo della propria realtà. Possiamo dire nel campo della loro realtà esistenziale? e anche –
dal momento che la loro esistenza è legata ad altre esistenze coinvolte in una stessa
condizione materiale – nel campo della loro realtà politica?”1
I protagonisti di questa ricerca sono quindi in primis l’architettura, e poi la società, che
raggruppa gli utenti che la abitano.
Welfare State
1Cit. De Carlo Giancarlo, «La idea plastica come reto a la tecnologia”, in Parametro n.43, 1976, p.38
2Cit. Mark Swenarton,Tom Avermaete, Dirk van den Heuvel (eds.), Architecture and the welfare state,
Routledge, London 2015, p.7
ricostruzione vennero delineati e dove si assistette ad un dibattito, talvolta acceso, tra tutti i
principali soggetti coinvolti.
Tutto ciò a causa del radicale cambiamento che avvenne in quegli anni in tutta l’Europa. La
nascita dello stato sociale è dovuta a vari fattori, per esempio lo sviluppo del capitalismo
industriale, la rapida urbanizzazione, la crescita economica e l’aumento della popolazione.
La società “Terni” era all’epoca proprietaria delle acciaierie dell’omonima città del centro Italia
e possedeva tra gli altri un’area distante dal centro della città, dove nel 1939 era stato
costruito un vecchio villaggio completamente privo di servizi. La costruzione di questo
villaggio fatiscente sostituiva un aumento salariale, che era dovuto ad un aumento del costo
del lavoro, con l’offerta appunto di trecento abitazioni a riscatto. La tipologia di queste
abitazioni era a “blocchi quadrifamiliari con ampi orti e giardini, (che) vuol testimoniare la
adesione della società all’ideologia autarchica.” 3
Al finire della guerra il villaggio è terminato (1946), ma l’azienda non cura la sua
manutenzione, non attrezzandolo per dipiù di servizi di vario genere. Tutto ciò comporta il
deterioramento delle strutture, che causa il malcontento degli abitanti, che nel 1955 si
organizzano in comitati di quartiere e rivendicano alla società Terni e all’amministrazione la
ristrutturazione del suddetto.
Grazie anche all’intervento dei sindacati, si convince la Terni a pensare alla ristrutturazione
del quartiere. Il nuovo piano regolatore prevedeva in quell’area un indice di densificazione
triplo a quello esistente. Grazie a ciò, e al fatto che l’azienda volesse vendere poi parte del
parco ai suoi operai, oltre che all’assegnazione di fondi pubblici, si arrivò all’iniziativa che
prevedeva la sostituzione del vecchio quartiere con 800 nuovi alloggi.
3 Cit. Giancarlo De Carlo, Sergio di Bracco, Domenico De Masi, Il nuovo villaggio Matteotti
a Terni: un'esperienza di partecipazione, in “Casabella”, 421, 1977, p. 13
4 Cit. Giancarlo De Carlo, Sergio di Bracco, Domenico De Masi, Il nuovo villaggio Matteotti
5 Cit. Giancarlo de Carlo, Alla ricerca di un diverso modo di progettare, in Casabella, n. 421, Gennaio
1977, p.18
6 Cit. A partire da Giancarlo De Carlo, a cura di Federico Bilo’, Gangemi editore, p.88
7 Giancarlo De Carlo, Lettera ad Avventura Urb ana, Ott. 2001, riportato in M. Scalvi, op. cit.
Dove poi i percorsi pedonali incontrano i blocchi abitativi, si assiste alla presenza di
attrezzature, che diventano qua il prolungamento dell’abitazione stessa. Sono essi quindi
l’asilo nido, i negozi, la biblioteca, le sale comuni.
Il fatto che il quartiere Matteotti di De Carlo abbia oggi questo impianto, ha fatto credere
molti all’idea che il villaggio Matteotti si fosse evoluto nel modo in cui lo vediamo oggi,
soprattutto grazie al processo che lo ha portato alla sua genesi, ovvero frutto di discussioni
lunghe e a più riprese con l’utenza.
In quest’ottica appare interessante come alcuni critici abbiano visto, nel lavoro di De Carlo,
un tentativo di architettura della partecipazione “fallita”.
Tra i critici della filosofia architettonica della partecipazione di De Carlo, si annovera
soprattutto Hermann Schlimme.8
Schlimme infatti scrive un saggio dal titolo emblematico: “Il nuovo villaggio Matteotti a Terni
di Giancarlo De Carlo. Partecipazione fallita e capolavoro di architettura.”9, dove espone le
sue tesi, secondo le quali il lavoro di De Carlo aveva sì cercato l’architettura della
partecipazione, ma aveva soprattutto usato questo termine in modo propagandistico.
Schlimme infatti afferma che “Il “Nuovo Villaggio Matteotti” è sempre stato presentato nelle
riviste come un esempio chiave di architettura della partecipazione, e così compare nei libri di
storia dell’architettura. Passeggiando per il villaggio o guardando le sue foto, questa genesi
pare anche molto plausibile: la ricchezza formale quasi casuale e la diversità morfologica del
villaggio sembrano il risultato di decisioni individuali da parte degli abitanti. Il quartiere
mostra l’immagine di un’architettura basata su scelte “democratiche”.
Le fonti finora mai considerate fanno vedere però che l’architettura del villaggio era stata ben
definita da De Carlo già prima di interpellare i futuri abitanti. Senza nulla togliere all’ovvia
qualità architettonica del quartiere, dobbiamo smettere di usare lo slogan “partecipazione”
nel contesto del “Nuovo Villaggio Matteotti” e ridurlo a quello che era: “partecipazione” era
un mero motore di lancio per il quartiere, usato solo in un momento successivo alle
8 Hermann Schlimme è nato a Göttingen nel 1969. Ha studiato architettura (con storia dell’architettura,
tutela dei monumenti e restauro al centro dei suoi interessi) e storia dell’Arte alla Technische
Universität Braunschweig (Germania), alla University of Alberta in Edmonton (Canada) e all’Università
degli Studi di Firenze. Membro dei comitati scientifici dei “International Congresses on Construction
History” a Cambridge (2006) e a Cottbus (2009). Premio Edoardo Benvenuto 2006. Dal 2006 insegna
alla Technische Universität Wien. Corresponding Member for Italy per la Construction History Society
dal 2007. Principali interessi di ricerca: architettura del primo moderno in Italia, storia del sapere in
architettura, storia della costruzione, storia dell’architettura del ‘900.
9 Hermann Schlimme, “Il nuovo Villaggio Matteotti” a Terni di Giancarlo De Carlo. Partecipazione fallita
Schlimme sostiene che De Carlo era favorevole al dibattito e al colloquio con la futura utenza
del quartiere, tuttavia il progetto era già definito ai suoi esordi, cioè nel 1969. Questo viene
dimostrato dai numerosi file di archivio che sono presenti tra Milano, dove sorgeva lo studio
di De Carlo, e quelli presenti nelle acciaierie.
Il critico afferma poi che De Carlo, per il progetto del villaggio, si sia basato sulle affermazioni
di Jonas Lehrman, il quale aveva scritto un articolo dal titolo Housing: Low level, High
density,11 dove si parla di aggregazione complessa di appartamenti, caratterizzati da pochi
piani. Questo come alternativa a quello che avveniva in quegli anni nelle zone suburbane
americane ed europee, ovvero case singole che divorano spazio ed edifici a torre.
Secondo Lehrman manca appunto la vera scala dell’individuo, ovvero manca
quell’individualità che vorrebbe l’utenza.
A questo proposito, De Carlo illustra in una lista di sei punti, le caratteristiche che il suo
villaggio dovrebbe avere.
“Definizione di massima di alcuni obiettivi che si vorrebbero raggiungere nella progettazione.
1. Movimenti pedonali separati dai movimenti automobilistici con rare intersezioni nei punti
dove sono strettamente necessarie. Facilità di circolazione automobilistica con servizio porta
a porta e con adeguate attrezzature di garage e parcheggio.
Percorsi pedonali in scala commisurata alle esigenze psicologiche individuali: spazi di
percezione immediata, variabilità e suggestione dei percorsi, presenze naturali, finezza di
dettaglio.
2. attribuzione ad ogni alloggio di zone rilevanti di verde privato, sottratte il più possibile al
controllo collettivo. Composizione del verde privato tale da poterlo percepire nel complesso
come un verde massivo (privatizzazione a livello di alloggio che produce complessivamente
un vantaggio collettivo).
3. formazione di zone verdi collettive ad uso della comunità e dei servizi di quartiere.
4. a livello di quartiere, formazione di servizi pubblici non solo destinati a risolvere le
immediate esigenze degli abitanti, ma tali da attrarre interessi anche dalle zone circostanti.
5. tipologia edilizia né frammentaria né a blocco. Soluzioni tipologiche tali da offrire una
chiara organizzazione dell'ambiente senza tuttavia limitare la privatezza di ogni nucleo
sociale, anche minimo.
10 Cit. Hermann Schlimme, “Il nuovo Villaggio Matteotti” a Terni di Giancarlo De Carlo. Partecipazione
fallita e capolavoro di Architettura, paper al Convegno Patrimoni e trasformazioni urbane, II Congresso
AISU, Roma, Università Roma Tre, 24–26 June 2004, p.1
11 Architectural Design, n.2, 1966, pp. 80-85
6. tipologia degli alloggi variata a seconda delle prevalenti composizioni familiari,
organizzazioni interne flessibili, tali da consentire il più alto livello possibile di variabilità d'uso
degli spazi.”12
L’intento di De Carlo è sin dagli esordi chiaro, ed il fatto che lui definisca in punti fin
dall’inizio l’idea di progetto, comporta una minima influenza architettonica da parte
dell’utenza.
Il punto 1 condensa quello che Schlemme chiama “visual interest”, il punto 2 invece ci fa
capire come le terrazze e i giardini fossero già nella mente dell’architetto.
Dal punto 5 si evince l’interesse di De Carlo riguardo il tema del Low-level, High density.
La stesura dei punti di De Carlo è antecedente al periodo dei dibattiti con la popolazione e
l’utenza.
Hermann Schlimme afferma poi, che nei colloqui con la futura utenza “ L’architetto da parte
sua promuoveva palesemente le sue idee progettuali e offriva più volte l’astensione dal
progetto se gli operai non fossero stati d’accordo con le sue scelte: gli operai infatti non
avevano nei fatti possibilità di scelta”.13
Segue poi che “Nel corso degli incontri si manifestò qualche rara richiesta di carattere
architettonico, come quella di separare negli alloggi le zone giorno e notte, che venne
tradotta nel progetto di appartamenti split-level”14.
Hermann Schlimme non smentisce il fatto che De Carlo avesse tratto spunto dal dialogo con
gli abitanti. Infatti egli afferma che Giancarlo de Carlo “ ad esempio proponeva l’assegnazione
anticipata degli appartamenti, con gli edifici ancora in costruzione; in tal modo gli assegnatari
potevano scegliere alcune varianti all’interno dei loro appartamenti. Scelte, comunque, di
piccolissima portata a conti fatti e peraltro relative agli interni, che non contribuiscono a
determinare il carattere del quartiere.”15
Questo carattere è quindi definito dalle scelte architettoniche dell’architetto stesso e non
dalla partecipazione al progetto stesso. È evidente come l’architetto abbia curato nei minimi
dettagli gli esterni complesso abitativo. Le scale aperte, i ballatori, il verde che caratterizza
tutto il villaggio, sono palesemente il frutto di una cura attenta del progettista. I vari
12 Cit. Hermann Schlimme, “Il nuovo Villaggio Matteotti” a Terni di Giancarlo De Carlo. Partecipazione
fallita e capolavoro di Architettura, paper al Convegno Patrimoni e trasformazioni urbane, II Congresso
AISU, Roma, Università Roma Tre, 24–26 June 2004, p.2
13 Cit. Hermann Schlimme, “Il nuovo Villaggio Matteotti” a Terni di Giancarlo De Carlo. Partecipazione
15 Cit. Hermann Schlimme, “Il nuovo Villaggio Matteotti” a Terni di Giancarlo De Carlo. Partecipazione
Tutto ciò contribuisce alla ricchezza morfologica dell’intero complesso, sia all’interno che
all’esterno, che ne fanno uno dei progetti chiave dell’architettura italiana degli anni 1960-
1970, dove è assolutamente palese la qualità architettonica, che è riuscita a tener presente o
a prevedere i bisogni dei suoi futuri occupanti.
Lo stesso Schlimme afferma che “lo spazio interno è stato quasi sempre modificato dagli
abitanti, De Carlo ha difeso quello esterno da qualunque cambiamento, imponendo un
adeguato contratto condominiale. L’estetica “casuale”, del quartiere faticosamente creata da
De Carlo, è divenuta quindi un’immagine non modificabile.
Ma dopo trent’anni, soprattutto elementi come la ricchezza morfologica deliberatamente
creata, gli spazi semipubblici ben curati o la protezione dell’esterno degli edifici da
alterazioni, sembrano essere le componenti vincenti del quartiere, che producono la
soddisfazione degli abitanti di oggi.”16
16 Cit. Hermann Schlimme, “Il nuovo Villaggio Matteotti” a Terni di Giancarlo De Carlo. Partecipazione
fallita e capolavoro di Architettura, paper al Convegno Patrimoni e trasformazioni urbane, II Congresso
AISU, Roma, Università Roma Tre, 24–26 June 2004, p.6