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URBANISTICA
Prof. Alessandro Balducci
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INDICE:
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A cura di Emma Mariotti
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1.0 prima tesi, Le città e la diversità:
La Città è un concetto, una definizione che sembra
conferire una certa conformità, ed è l’unico
fenomeno che non varia nome a seconda delle
dimensioni. Essa è un insieme di case e fabbriche che
è tendenzialmente circondato dalla campagna.
• Culturale
• Tecnologico- produttiva
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• Culturale tecnologica
• Tecnologico organizzativa (internet)
È da considerare che questo libro sia stato scritto prima dell’epoca di maggiore
diffusione del WEB.
Peter Hall fa notare come tutte queste città nei loro momenti d’innovazione
fossero capitali ed avessero un eccesso di ricchezza, e quindi erano poli attrattivi.
Queste erano città distanti in fase di sviluppo, Los Angeles era una cittadina di
villaggi, queste riuscirono però ad unire arte e tecnologia.
Tutto questo ci dice che nella storia del progresso e della città sono avvenute due
cose importanti:
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• -le città che sono oggi la punta più avanzata non sono capitali, città di
secondo rango come Manchester o addirittura periferiche come
Memphis ma costellazioni di città che grazie a Internet e alla mobilità
tengono insieme città grandi e piccole zone di campagna e zone molto
costruite infatti oggi noi siamo tutti collegati
Le città più piccole e più antiche si sono unite tra di loro ed hanno formato delle
aree grandi quanto le regioni dette mega-city e mega-city regions: sono città con
milioni di abitanti che hanno messo in connessione molte città.
Milano è un esempio di mega city regions che addirittura comprende città di tre
regioni. La conurbazione non è continua ma è senz’altro connessa.
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1.5 Sesta tesi, la crescita poco controllata crea problemi:
ovvero:
È chiaro che sia necessario capire come agire, il che avviene studiando la realtà.
Bisogna quindi intervenire ma come?
Prendersi cura dello spazio pubblico e delle persone, di tutti anche dei ceti meno
abbienti.
L'urbanistica è la scienza che si occupa dei fenomeni urbani in tutti i loro aspetti,
avendo come proprio fine la pianificazione del loro sviluppo storico sia attraverso
l'interpretazione, il riordino il risanamento l'adattamento funzionale e degli
aggregati urbani già esistenti e la disciplina della loro crescita, sia attraverso
l'eventuale progettazione di nuovi aggregati, sia infine attraverso la riforma e
l'organizzazione ex novo dei sistemi di raccordo degli aggregati tra loro e con
l'ambiente naturale. 2
l'urbanistica si occupa di tutto ciò: delle trasformazioni del territorio dei modi nei
quali avvengono e sono avvenute, dei soggetti che le promuovono, delle loro
interazioni, delle tecniche che utilizzano, dei risultati che si attendono, degli esiti che
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Giovanni Astengo voce dell’Encliclopedia 1966
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ne conseguono, dei problemi che di volta in volta sollevano inducendo a nuove
trasformazioni […] per urbanistica intendo quindi non tanto un insieme di opere,
di progetti, di teorie o di norme unificate da un tema, da un linguaggio e da
un'organizzazione discorsiva, tanto meno intendo un settore di insegnamento,
bensì le tracce di un vasto insieme di pratiche: quelle del continuo e consapevole
modificare lo stato del territorio e della città. 3
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Bernardo Secchi, Prima Lezione di Urbanistica, 2000
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2.0 La pianificazione in Italia prima
della legge n.1150 del 1942:
In Italia prima della legge n. 1150 del 1942 non vi era
nessuna legge che stabiliva le procedure
urbanistiche. Ogni volta si approvavano
singolarmente i casi. Il piano prevedeva un disegno
di massima delle espansioni.
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2.1 La legge n.1150 del 1942:
Nel 1930 viene fondato l’INU-Istituto nazionale
d’Urbanistica, con l’intento di studiare i problemi
dello sviluppo sociale, culturale ed economico delle
città. La prima fase di lavoro dell’INU si concluse nel
1942 con l’approvazione della LUN, che
rappresentava una prima bozza di legge urbanistica
italiana.
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Il PRG è attuato a mezzo di piani particolareggiati di
esecuzione in cui vengono indicati le reti stradali e i
principali dati altimetrici di ciascuna zona. Ed è
obbligatorio per tutti i comuni indicati dal ministero
dei lavori pubblici.
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2.2 Il dopoguerra, i piani di ricostruzione e gli
scandali edilizi
Nel 1942 la legge urbanistica fu approvata in piena guerra mondiale. La guerra
finisce nella primavera del 45 e inizia la fase della ricostruzione del paese. I danni
sono enormi, sebbene meno gravi di altri paesi europei come la Germania e la
Polonia.
Si rivela particolarmente grave il problema abitativo che già prima della guerra
era molto grave: il censimento del 1931 aveva rilevato una popolazione di 41,6
milioni di abitanti e 31,7 milioni di stanze; nell’ipotesi, allora ancora accettabile di
uno standard di un abitante per stanza c’era un deficit di quasi 10 milioni di
stanze!!!
Nel 1951 fu votata la Legge n.1402 che prevedeva, per i Comuni compresi in
appositi elenchi, l'obbligo di adottare entro tre mesi un PIANO DI
RICOSTRUZIONE.
Negli anni 60, le città crescono e si realizzano nuovi quartieri residenziali per
assorbire le ondate migratorie ma la speculazione in tutto il paese, soprattutto
nel mezzogiorno, riesce ad alimentare una rete sempre più fitta di collusioni.
Il che portò realizzare edifici anche in zone non proprie, esempio è il caso di
Napoli, del quale è anche stato realizzato un film 4
Da un'inchiesta del ministro dei LL. PP. negli anni 60 emergono dati
impressionanti: solo in un quarto dei Comuni italiani (2000 circa) sono state
autorizzate lottizzazioni per circa 115.000 ettari, per oltre 18.000.000di vani,
sufficiente a colmare il fabbisogno nazionale fino al 1980.
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Le mani sulla città, 1963, regia di Francesco Rosi.
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Queste situazioni gravi spingono a correre ai ripari e, nell'estate del 1967 si
approva la Legge 765, della "Legge ponte", in quanto avrebbe dovuto costituire
un tramite tra la vecchia Legge del 1942 e la futura riforma urbanistica sempre
più necessaria per limitare la lottizzazione sfrenata. L'innovazione fondamentale
riguarda i cosiddette "standard urbanistici", cioè̀ la quantità minima di spazio
che ogni Piano Regolatore deve inderogabilmente riservare all'uso pubblico e la
distanza minima da osservarsi nell'edificazione ai lati delle strade. Questi valori
verranno fissati con due successivi decreti, rispettivamente il D.M. 1444 del 2
aprile 1968 e il D.M. 1404 del 1968.
Tutta questa situazione che fa i conto con una densificazione pesante e poco
controllata dei centri metropolitani e la difficile gestione dei territori spinge per
l’attuazione delle regioni a statuto ordinario. Cioè la creazione di un livello
intermedio di pianificazione tra lo Stato Centrale e i Comuni capace di coordinare
la gestione del territorio.
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2.3 L’attuazione delle regioni a
statuto ordinario nel 1972:
Tutta questa situazione che fa i conti con una
densificazione pesante e poco controllata dei centri
metropolitani e la difficile gestione dei territori
spinge per l’attuazione delle regioni a statuto
ordinario. Cioè la creazione di un livello intermedio
di pianificazione tra lo Stato Centrale e i Comuni
capace di coordinare la gestione del territorio.
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Con l’attuazione delle regioni, queste si occupano:
Il meccanismo non è ancora del tutto a regime che subito lo si scardina con
l’approvazione di leggi che permettono delle deroghe, cancellano la
programmazione regionale e consentono la localizzazione degli interventi
indipendentemente dalle previsioni del piani urbanistici.
Gli anni 80 sono anni difficili in cui si torna indietro su vari fronti, gli anni del condono
edilizio ma è un decennio di presa di consapevolezza dei danni all’ambiente e al
territorio.
In Italia nella seconda metà degli anni 80, nonostante gli sfaceli dovuti alla
deregolamentazione, vengono trattati provvedimenti che hanno diretta attinenza
con la salvaguardia dell’ambiente e la tutela del paesaggio.
Nel 1985 viene pubblicata la Legge n.431 (legge Galasso), che impone alle Regioni
di sottoporre a specifica normativa d'uso e valorizzazione ambientale il proprio
territorio attraverso la redazione di Piani Paesaggistici (o Paesistici) da approvarsi
entro il 31 dicembre 1986.
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Si tratta di una legge che segna una svolta consistente nell’evoluzione normativa
della tutela del paesaggio: si tratta di una tutela del paesaggio che non riguarda più
soltanto beni di esclusiva rilevanza estetica (bellezze naturali) o culturale (singolarità
geologiche, beni rari o di valore tradizionale o di interesse scientifico) come indicato
dalla legge del 1939, bensì elementi caratterizzanti la struttura morfologica del
territorio nazionale (come zone in quota, vicine a laghi o corsi d’acqua).
Non più tutela di beni individuati come singoli o come complessi ma tutela
dell’ambiente come patrimonio collettivo, come segno e testimonianza della nostra
cultura. Eco con il Rapporto Brundtland.
Con questo nuovo modo di procedere si prende consapevolezza del territorio e delle
sue ferite e inizia a maturare un nuovo modo di osservare e raccontare la città, ad
esempio «la città diffusa» (F. Indovina), «la dispersione urbana» (M. C. Gibelli
A cavallo tra la fine degli anni 90 e inizio degli anni 2000, si tracciano nuovi
approcci alla questione urbana come l’approccio territorialista definito da
Alberto Magnaghi: rintracciare nuovi valori della comunità per immaginare uno
sviluppo sostenibile.
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2.5 Le nuove leggi regionali dopo la legge n.142 del 1990:
In questo nuovo contesto e dopo l’entrata in vigore delle nuove norme
sull’ordinamento degli enti locali (legge n.142 del 1990) nelle regioni si è aperta
una nuova fase ricca di innovazioni sostanziali:
Definiscono le principali linee di assetto del territorio, le ipotesi sui grandi assi
della mobilità, criteri generali per le destinazioni d’uso, la localizzazione dei
grandi impianti di interesse generale, l'imposizione di vincoli all’uso del territorio,
i criteri per il dimensionamento dei piani di ordine inferiore.
Essi indicano:
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C. Piani urbanistici particolareggiati o attuativi
Il governo del territorio si attua mediante una pluralità di piani, fra loro coordinati
e differenziati, i quali, nel loro insieme, costituiscono la pianificazione del
territorio stesso:
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del 2005). L'ultimo aggiornamento del PTR è stato approvato con d.c.r.
n. 766 del 26 novembre 2019 (pubblicata sul Bollettino Ufficiale di
Regione Lombardia, serie Ordinaria, n. 50 del 14 dicembre 2019), in
allegato al Documento di Economia e Finanza regionale 2019.
• Il PTR costituisce il quadro di riferimento per l’assetto armonico della
disciplina territoriale della Lombardia, e, più specificamente, per
un’equilibrata impostazione dei Piani di Governo del Territorio (PGT)
comunali e dei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale (PTCP). Gli
strumenti di pianificazione, devono, infatti, concorrere, in maniera
sinergica, a dare attuazione alle previsioni di sviluppo regionale,
definendo alle diverse scale la disciplina di governo del territorio.
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• la individuazione degli ambiti destinati all’attività agricola di interesse
strategico;
• l’indicazione per le aree soggette a tutela o classificate a rischio
idrogeologico e sismico, delle opere prioritarie di sistemazione e
consolidamento.
• Documento di Piano,
• Piano dei Servizi,
• Piano delle Regole.
Il Piano dei Servizi serve a fornire indicazioni per lo sviluppo dei beni materiali
ed immateriali di interesse pubblico, nonché́ il riferimento contributivo fiscale per
il loro utilizzo (regime tributario comunale e tassazioni). Si considerano, quindi,
tutti i servizi presenti nel comune ed il regime di tassazione, le opere di
urbanizzazione primaria e secondaria.
Il Piano delle Regole serve per regolamentare l’uso dei suoli e dei beni immobili
presente su di esso, in base alle normative di valenza superiore ed alla funzione
destinata ad ogni suolo. All’interno del Piano delle Regole sono distinti i “tessuti
urbani” e la documentazione normativa di riferimento (NTA – norme tecniche di
attuazione).
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2.7 Le città metropolitane e il Piano
Strategico Metropolitano:
La riforma degli enti locali introdotta con la legge 56
del 2014 (cd. ‘legge Delrio') ha ridefinito
l'ordinamento delle province ed istituito le città
metropolitane.
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competitiva e attrattiva del territorio
metropolitano; Orizzonti temporali lunghi;
• 24 progetti operativi: a differenza dei progetti
strategici, hanno obiettivi meno ambiziosi e
lega1 all’ordinarietà dell’azione; Orizzonte
temporale più circoscritto.
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3.0 Jane Jacobs:
Jane Jacobs fu una giornalista che nacque in una piccola cittadina in Pensilvania nel
1916. A 19 anni si spostò a New York con sua sorella Betty. Qui Frequentò alcuni corsi
alla Columbia ma non concluse gli studi iniziando a lavorare come giornalista.
Nel 1944 si sposò con l’arch. Robert Jacobs e andarono ad abitare al Greenwich
Village.
Nel 1961 pubblica il suo libro “Vita e morte delle grandi città”. In questi anni siamo in
pieno trionfo delle tesi del movimento moderno, e delle politiche sul rinnovo urbano
negli Stati Uniti, della espansione di autostrade che penetrano nelle città.
L’opera di Jane è destinata a diventare una pietra miliare della letteratura urbanistica.
Tuttavia, nei primi anni fu oscurato dall’ideologia moderna razionalista.
Il libro è dedicato alla città di New York dove è arrivata a cercare fortuna e l’ha trovata
trovando il marito Bob e i suoi tre figli Jimmy, Ned e Mary.
Dopo aver pubblicato il suo libro Jane ingaggia la sua battaglia con Robert Moses
contro la costruzione della autostrada che avrebbe sventrato il quartiere e la vince.
Già nella prima parte vengono sviluppate una serie di tesi assolutamente originali
per l’epoca Il tema centrale è che la natura specifica delle città è data dalla vita nella
strada.
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La natura dei marciapiedi: la sicurezza
Il primo capitolo è dedicato alla sicurezza, un problema molto sentito nella città
americana di quegli anni.
“la prima cosa da capire è che l’ordine pubblico e le strade sui marciapiedi della città
non è mantenuto principalmente della polizia per quanto questo possa essere
necessaria: esso è mantenuto soprattutto da una complessa e quasi inconscia rete di
controlli spontanei e di norme accettate e fatte osservare dagli abitanti stessi”
Jane Jacobs fa un confronto tra New York e Los Angeles ed altre città a bassa densità
per mettere in evidenza che “diminuendo la densità della popolazione urbana non si
garantisce la sicurezza della criminalità e della paura che essa suscita”
Una strada frequentata è anche una strada sicura perché ci sono gli occhi dei suoi
abitanti che garantiscono la sicurezza. Se la densità è elevata succedono più cose,
dice Jane Jacobs.
Sono perciò importanti i bar e i piccoli esercizi commerciali che attirano persone
Quanto più vasta e ricca è la gamma di interessi che le strade urbane riescono a
soddisfare, tanto più sicura sarà la strada.
“sotto l’apparente disordine delle vecchie città esiste -dovunque la città adempie con
successo la sua funzione - un meraviglioso ordine che può mantenere sicure le strade
e al tempo stesso rendere libera la città. È un ordine complesso la cui essenza risiede
nella fitta mescolanza di usi dei marciapiedi e nella conseguente sorveglianza diretta
continua”
Nel secondo capitolo della prima parte si affronta il tema delle relazioni sociali
ovvero i contatti umani.
La tesi è che i contatti umani più efficaci sono quelli che avvengono nelle strade
urbane e nella città densa spontaneamente rispetto alle iniziative forzate che
debbono essere costruite nel suburbio o nei nuovi insediamenti residenziali nel
verde, dove solo artificialmente si riescono ad organizzare iniziative.
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Nel suburbio la privacy non esiste e in parte, di conseguenza, è più difficile realizzare
contatti spontanei ed efficaci.
La tesi di Jane Jacobs su questo punto riflette il suo ruolo di madre di tre ragazzi, in
un contesto, quello degli anni ’50 quando le automobili non avevano ancora
completamente invaso la strada.
Il suo punto è che se i ragazzi stanno in strada, vengono controllati in molti modi dai
negozianti, dai vicini e dai passanti, molto più e meglio rispetto a situazioni dove
sono lontani dalla vista ed esposti all’incontro con gang e teppisti.
“Il difetto di questo sistema è che nessun ragazzo di età superiore a sei anni che abbia
un minimo di vivacità di intraprendenza vuole restare in un ambiente così noioso;
molti desiderano evadere già prima; questi ambienti ben protetti e impregnati di
“socievolezza” sono utili per la formazione del bambino e in effetti vengono
adoperati a tal fine solo per 3-4 anni della sua vita e precisamente per quegli anni
che sotto molti aspetti presentano minori difficoltà.”
Jane Con ironia arriva a dire che nonostante il fatto che gli urbanisti siano
prevalentemente maschi essi si immaginano una società matriarcale di massaie
insignificanti addette alla cura e al controllo dei figli nei parchi giochi. O di guardiani
che debbono essere stipendiati per fare quello che la strada potrebbe fare
spontaneamente.
Ci vorranno molti anni per arrivare a questa lucidità: non tutti gli spazi verdi sono un
bene. Alcuni sono abbandonati, richiedono controllo, spesso sono deserti e
diventano pericolosi. Esistono precise condizioni per le quali uno spazio verde possa
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funzionare: esso deve essere ben visibile ed essere in qualche modo controllato
spontaneamente dalla strada.
L’idea del quartiere urbano che si comporta come un paese è infondata, la grande
città è fluida, non prevede chiusure, quartieri autosufficienti. L’idea che un vicinato
urbano possa offrire ai suoi abitanti una vita di paese o di villaggio è deleteria.
La città nel suo insieme è la «comunità madre», ci riconosciamo nella città possiamo
essere attivi, per la sua trasformazione, avere accesso alla politica urbana.
La diversità è un carattere connaturato alla grande città Per poter capire le città
occorre prendere in considerazione combinazioni e mescolanze di usi e funzioni La
varietà commerciale spesso è un indicatore di altri tipi di varietà: occasioni culturali,
varietà di aspetti e di abitanti e di utenti.
Gli usi primari sono gli uffici, e fabbriche, le abitazioni, certi centri di spettacolo, di
istruzione e di svago, musei, gallerie, biblioteche. Preso a sé nessun uso primario è
capace di costruire diversità, se poi è affiancato da un altro uso primario che provoca
l’uso dello spazio nelle stesse ore, non si è concluso nulla. Se invece si combina con
un altro uso che porta la gente in orari diversi si crea un ambiente propizio ad una
diversità secondaria: commercio, servizi, ristoranti, bar, ecc.
I CBD sono in genere zone morte. Un centro urbano completo è importante invece
per molti diversi motivi L’opportunità di tenere distinte le abitazioni dai luoghi di
lavoro ci è stata inculcata, e produce quartieri morti.
Le zone urbane degradate lo sono non per ciò che ci si trova, ma per ciò che manca
Se sono solo edifici nuovi i costi sono elevati e questo livella e limita chi non può
sostenere alti costi di esercizio Le città hanno bisogno di una mescolanza di edifici
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vecchi e nuovi per poter alimentare la diversità primaria e secondaria; in particolare
hanno bisogno di edifici vecchi per poter generare nuove manifestazioni di diversità
primaria.
La necessità di concentrazione
Una densità elevata è una precondizione della diversità, ma deve essere unita alla
diversità primaria e secondaria La densità può essere calcolata in abitazioni per
ettaro, o in abitanti per kmq, ricordate Milano circa 7.000, Parigi 21.000, Londra 5700,
Manhattan 27.000.
L’ordine visuale è dato più dalla varietà, dalla presenza di punti di riferimento, dalla
vita che si svolge in città che non dà caratteri formali e di uniformità. I quartieri
costruiti sull’ideologia del movimento moderno sono già da recuperare integrandoli
nel tessuto, facendogli arrivare strade vitali al loro interno. Ci vorrebbero invece
strutture decentrate per organizzare la partecipazione dei cittadini al miglioramento
della propria città.
In conclusione
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Jane Jacobs è stata una attivista urbana che prima di molti urbanisti ha capito come
si costruisce la qualità urbana. Ci è riuscita perché è stata capace di guardare alla
everyday life, alla vita quotidiana, a cosa produce comfort e piacere nella vita della
grande città ed al contrario cosa produce grigiore e anomia Con questo ha demolito
non solo una idea muscolare del progresso (Moses) ma anche tutto lo schematismo
dell’urbanistica autoritaria di allora Le dobbiamo molto, soprattutto la capacità
scendendo al livello della vita di ogni giorno di elaborare un pensiero complesso che
si contrappone alle semplificazioni brutali delle visioni i solo dall’alto.
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4.0 La regione urbana di Milano:
Osservando la tendenza demografica di Milano
[1951-2011] e provincia capiamo che vi è un
processo di spostamento della popolazione verso le
provincie. Comunque, la popolazione di Milano dal
2001 fino al 2019 è in crescita.
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Hall, Pain 2006
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Londra Bruxelles e Milano. La blue banana è l’asse
più importante di sviluppo. È stato poi definito anche
un pentagono, di cui Milano è un vertice, che
comprende solo il 18% della superficie di tutta
l’Europa, ma contiene al suo interno il 41% degli
abitanti e si produce il 49% del prodotto interno
lordo europeo.
4.2 I piani:
Il primo è il piano regolatore del 1980, che mostrava
il desiderio di mantenere il carattere industriale
[Viola] della città, questo per opporsi alla
speculazione. Esistevano anche delle ampie aree,
[Gialle] le grandi funzioni urbane, e delle aree [rosa
scuro] che si pensava di dedicare all’edilizia popolare
economica, che inusualmente circondavano anche il
centro storico. Erano presenti anche le aree verdi e le
aree agricole.
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1 - Una città connessa, Metropolitana e Globale:
Strategia 1:
Strategia 2
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Strategia 3
Strategia 4
Strategia 5
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circle line ferroviaria. Tema importante è anche
quello della riapertura dei navigli, che ha sia valore
estetico che idraulico, permettendo il collegamento
della Martesana con la Darsena si possono irrigare i
campi ed evitare penurie idriche.
Strategia 6
Strategia 7
Strategia 8
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5- Una città che si rigenera
Strategia 9
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5.0 Giovanni Astengo:
Astengo è considerato uno dei padri dell’urbanistica
italiana per i molti ruoli avuti come progettista, come
docente, come consulente di Ministeri, come colui
che ha concepito il Corso di laurea di Venezia in
Urbanistica, come direttore della rivista Urbanistica,
come Presidente onorario dell’Istituto Nazionale di
Urbanistica, INU Come urbanista militante.
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Una grande cura e dedizione, per il ruolo importante che la rivista ha nella
costruzione della disciplina, nella codifica dei linguaggi, nella presentazione di
casi esemplari in Italia e nel mondo e di spinta per promuovere la disciplina in sé.
Dal 1949 viene chiamato da Samonà ad insegnare a Venezia dove resterà per 36
anni dopo aver conseguito nel 1950 la libera docenza.
Nel 1955 gli viene conferito l’incarico per il Piano di Assisi, per lui diventa una
prova da tutti i punti di vista, della metodologia, dell’impegno personale, della
sperimentazione. Prende casa, istituisce un Ufficio di Piano e in 2 anni realizza
PRG e 2 piani particolareggiati per il Centro Storico e per l’espansione.
L’incarico per Gubbio arriva nel 1965 dopo la crisi di Assisi, anche questa vicenda
si risolve in una dura battaglia con accuse di irregolarità nei confronti di A. che lo
indignano ed addolorano.
Tra il 1961 e il 1964 fa parte di una Commissione nazionale istituita presso l’INU
per la riforma urbanistica.
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Una serie di esperienze in una fase più matura, a volte in collaborazione con altri
(Campos Venuti per Pavia).
Convinto, anche sulla base delle sue sconfitte, della necessità di costruire
competenze specifiche per la figura dell’urbanista con un percorso separato da
quello dell’Architettura. È una battaglia culturale dura che vince
temporaneamente e che sembra avere successo, sicuramente in anticipo sul
livello di maturazione della Amministrazione Italiana.
Un altro tassello del suo impegno civile è il suo impegno in politica attiva. Nel
1975 si presenta alle elezioni regionali e diventa Assessore alla Pianificazione e
gestione urbanistica della Regione Piemonte.
Una iniziativa che apre anche alla produzione di altri rapporti come quello sullo
stato dell’urbanizzazione in Italia e sulle politiche urbane e territoriali per gli anni
‘80, preparato come contributo all’OCSE a partire da una sua denuncia sulla
mancanza di DATI.
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L’impegno politico nasce dalla convinzione della necessità non solo di formare
meglio gli urbanisti ma anche di modificare profondamente la qualità e la cultura
della Amministrazione sui problemi territoriali.
Ancora in piena attività muore in treno tornando dalla Toscana il 19 luglio del
1990.
Lo ha fatto in un clima culturale nel quale il coraggio non era fiaccato dalle molte
delusioni che si accumuleranno nel periodo successivo.
Giovanni Astengo aveva avuto una formazione elitaria, studiò nel liceo gesuita di
Torino. Un élite che immaginava in piena guerra di pubblicare un libro che
potesse riportare l’attenzione sulla città e sulle questioni urbane. Questo era il
tema del suo primo libro, mai pubblicato, Lavoro e Abitazione nella città di
domani: programma urbanistico.
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Da Preganziol
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Quest’attenzione per l’urbanistica si è poi tradotta
nella proposta del piano territoriale per la regione
Piemonte al Concorso. Il progetto era stato
autofinanziato dal Gruppo ABRR e si è poi tradotto
nel piano regolatore di Torino ed ha influenzato le
idee di città lineare industriale per la pianura padana.
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G. Astengo, Assisi, un’esperienza
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Il piano aveva grande attenzione per il rapporto
nuovo- antico, e per i piccoli spazi aperti.
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Per il piano di Santa Maria degli Angeli, che non
aveva nuclei di antica formazione di particolare
rilievo decide di dare spazio anche a progetti di
edilizia popolare, per permettere l’ampliamento
della città.
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6.0 Giuseppe Campos Venuti:
Egli è una figura importante nel panorama degli urbanisti italiani, Animatore della
posizione riformista Molto legato alla militanza nel Partito Comunista.
Campos Venuti nasce a Roma il 3 agosto 1926 da una famiglia borghese, suo padre
agente di cambio sua madre nel settore alberghiero. Partecipa giovanissimo alla
resistenza quando, a soli 17 anni, collabora con i Servizi Strategici della 5° Armata
Americana (OSS).
Il suo nome di battaglia è "Bubi", soprannome mantenuto per tutta la vita. Finita la
guerra si iscrive alla Facoltà di Architettura dell’Università di Roma dove si laurea nel
1954. Sia all’Università che nell’associazionismo civico e professionale è molto attivo.
I primi lavori professionali sono nel campo dell’architettura, poi nel 1958 riceve il
primo incarico di urbanistica: il PRG di Ariccia, che non fu mai realizzato.
L’interesse per la scala urbana è evidente anche negli scritti sulle vicende urbanistiche
di Roma su Paese Sera dal 1956 al 1958. Inizia poi l'insegnamento universitario e
sceglie l’urbanistica come sua professione.
Dopo l’esperienza della Resistenza nel Partito d’Azione aderisce al Partito Comunista
Italiano. Il PCI lo candida consigliere comunale nel 1960 a Bologna dove diventa
assessore all’urbanistica nella giunta eletta il 23 dicembre 1960, con sindaco
Giuseppe Dozza.
Nel corso di tutti gli anni ‘60 ha una intensa attività professionale.
Già nel primo testo importante Campos getta le basi del suo impegno civile
Introduce la discussione sulla rendita urbana differenziale ed assoluta.
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Sono gli anni della discussione sulla riforma urbanistica nazionale di cui è uno dei
protagonisti.
Trasferisce nel dibattito urbanistico una serie di temi che fino ad allora erano
appannaggio di economisti dandogli un pieno significato politico. L’urbanistica non
è solo la migliore soluzione della forma ma anche convivere con queste spinte
economiche.
In questo testo non soltanto raccoglie l’esperienza fatta come Assessore a Bologna,
ma anche getta le basi del suo approccio:
Molti Piani di edilizia Economica e Popolare PEEP e PRG di Rimini (dopo De Carlo?)
Cervia, Reggio Emilia, Modena,
Dal 1968 inizia ad insegnare al Politecnico di Milano come professore incaricato dove
forma un gruppo di giovani legati all’INU ed al PCI impegnati in una attività di ricerca
che applica i principi proposti da Campos ES: «Una Alternativa Urbanistica per
Milano»
Negli anni ‘70 l’attività professionale si sposta fuori regione in Toscana, Marche,
Lombardia, Veneto, Liguria. Firma i piani di Portoferraio, Ancona, Pavia (dove lavora
con Astengo), S. Benedetto del Tronto, Vittorio Veneto, La Spezia, Vigevano, Padova,
Faenza. Molti PEEP sono preliminari poi ad un nuovo Piano Regolatore.
La vicenda del Piano dell’Emilia si conclude bruscamente nel 1982 con la rinuncia
all’incarico per divergenze con la Amministrazione regionale che non condivide la
sua impostazione.
Nello stesso periodo lavora anche al Piano di Madrid, una esperienza molto positiva,
il Piano di Roma, ed il Piano per la Piana di Firenze con Giovanni Astengo che si
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trasforma anch’esso in una battaglia per la applicazione dei principi pubblicistici
contro le pretese della Fondiaria e della Fiat proprietari di estese aree in quella zona.
Nel 1983 pubblica il libro «la terza generazione dell’urbanistica» nel quale riprende
gli esempi dei piani di Madrid, Roma, Bologna e Firenze. Nel 1984 è visiting professor
a Berkeley e nel 186-87 è consulente all’ONU per l’America Latina. Diventa così
l’urbanista italiano più noto anche a livello internazionale.
Nei piani che segue nella seconda metà degli anni ‘80 cresce l’attenzione per le
dimensioni ecologiche ed ambientali, Campos scopre la stretta interconnessione tra
urbanistica ed ecologia che arricchisce la sua prospettiva riformista.
Dal 1990, alla morte di Giovanni Astengo viene nominato Presidente onorario
dell’Istituto Nazionale di Urbanistica Dal 2000 al 2001 è Presidente del Consiglio
Superiore dei Lavori Pubblici Nell’ultima fase della sua carriera ottiene
riconoscimenti nazionali (Cavaliere di Gran Croce) e una laurea honoris causa
dall’Università di Valladolid. Muore il 29 settembre 2019 all’età di 93 anni
Nel 1987 scrive «Mi bruciano ancora le sprezzanti accuse di Quaroni all’uso della
rendita come categoria analitica, l’indiscriminato ostracismo di De Carlo all’impiego
dello zoning, le distruttive intemerate di Samonà contro gli standard: quasi che la
proposta urbanistica riformista facesse di questi strumenti il fine, la strategia e non
piuttosto li usasse come mezzi di comprensione, di pianificazione e di attuazione»
Giuseppe si innamorò dell’urbanistica al di fuori degli studi, egli era molto legato
all’istituto nazionale dell’urbanistica INU, Campos ne è stato anche presidente. Il
centro storico è sempre stato qualcosa di molto caro a Campos, che era noto in
spagna e più in generale all’estero per la tutela e il recupero di centri storici e dei
sistemi ambientali. Egli promosse anche progetti di edilizia popolare non isolati bensì
47
vicini ai centri delle città. Al contrario cercava di decentrare i grandi centri direzionali,
come fece per bologna. Il suo metodo per la difesa di città storica e sistemi
ambientali è stato molto apprezzato e studiato.
Campos è stato un grande docente questo era uno dei suoi metodi di fare
urbanistica. Ma anche assessore e consulente, non ha tuttavia mai avuto un proprio
studio. L’urbanistica di Campos è un’urbanistica chiara semplice, facile da rispettare
e controllare, egli voleva migliorare concretamente la qualità della vita, sempre a
partire dagli ultimi.
Sono diversi gli aspetti/temi attraverso i quali si è espresso il suo contributo originale.
48
e) Un approccio morfologico ma non
formalistico
Il passaggio dall’espansione alla trasformazione
urbana mette in discussione il tradizionale
zoning funzionale: riprendendo la lettura della
qualità della città esistente nel rapporto tra
tipologia edilizia e morfologia urbana, la città
esistente è articolata in “tessuti urbani”.
Un’analoga attenzione morfologica è dedicata
alle aree di trasformazione, con alcune
indicazioni progettuali “disegnate” in forma
schematica e prestazionale, attente al contesto
urbano in cui si trovano.
f) Le diverse dimensioni del piano
La svolta del 1995 (Congresso INU Bologna) con
una proposta di riforma urbanistica ha, di fatto,
impresso un cambiamento decisivo alla forma
del piano, anche dal punto di vista giuridico (La
riforma urbanistica, i principi e le regole). Alcune
Regioni adottano la soluzione INU del piano
tripartito (Strutturale, Operativo, Regolamento
Edilizio e Urbanistico) prima della riforma del
Titolo V della Costituzione (2001), con tutti i
limiti dovuti alla radicata permanenza della
cultura della pianificazione regolativa di
tradizione.
49
Poi nell’89 con il progetto preliminare di riordino
urbanistico delinea le prime proposte ecologico –
ambientali riprendendo e contestualizzando buone
pratiche europee (tedesche e olandesi).
50
interconnesse, la rigenerazione ambientale dei tessuti
urbani, la costruzione di una rete di mobilità pubblica.
51
insediativa, di matrice attuativa. Per tessuto urbano è
intesa un’organizzazione territoriale urbanistica –
edilizia articolata sulla base delle analisi e
dell’interpretazione della città consolidata, che
presenta caratteri di omogeneità dal punto di vista
della trasformazione storica, del rapporto tra spazi
pubblici e spazi privati, tra tipo edilizio e spazi aperti
pertinenziali.
52
7.0 Giancarlo de Carlo:
Una delle figure più interessanti della cultura
architettonica italiana. Assai diverso da Astengo (di cui
è poco più giovane) e Campos (molto legato al Partito
Comunista). De Carlo è anarchico, è un architetto
urbanista che non voleva né vedeva separazione tra
architettura e urbanistica, che aveva una grande
capacità di percezione della dimensione spaziale da
trattare sia con l’Architettura che con l’urbanistica ed
una grande sensibilità per la dimensione sociale (alla
Jacobs) Lo osserveremo nella sua attività di urbanista
ma cercheremo, di darne un profilo più ampio.
53
ripensamento su uno dei suoi primi progetti a Sesto
San Giovanni.
54
E dal 1967 dirige per la casa editrice Il Saggiatore la
collana Struttura e forma urbana, dove pubblica
traduzioni della migliore cultura urbanistica ed
architettonica mondiale, da Lynch ad Alexander.
55
Il conflitto per l’assetto di governo della nuova autorità
metropolitana è alle spalle e si comincia a lavorare al
progetto di piano per l’area metropolitana milanese.
56
distanza in termini di qualità spaziale tra centro e
periferia e tra urbano e rurale (Fig. 1 e 2).
57
I principi:
Nel libro “Cities of Tomorrow” di Peter Hall, si dice che John Turner, considerato da
tutti il padre fondatore della Community architecture, era stato stimolato a riflettere
sulla relazione tra architettura e partecipazione da una conferenza tenuta nel 1948
alla Architectural Association – che allora era nota per essere la levatrice in Gran
Bretagna dei sogni di megalomania Lecorbuseriani - da un giovane architetto
anarchico italiano, Giancarlo De Carlo.
59
tutte le sue forze e decisamente controcorrente di metter al centro
dell’architettura gli abitanti.
Siamo nel 68-69 quando l’ideologia della partecipazione sta diffondendosi con le
rivolte studentesche ed operaie. Dove domina un atteggiamento paternalista ed
indulgente. De Carlo osserva subito, pur in una situazione di straordinaria coesione
della comunità che si trova di fronte, che sarà necessario spogliarsi delle reciproche
certezze per ricercare in un cammino comune la definizione del progetto.
Che il progettista sia capace di immergersi così profondamente nella situazione nella
quale lavora da diventare “uno di loro”, che alimenta la conoscenza locale con la
conoscenza esperta ed alimenta la conoscenza esperta con la conoscenza locale.
60
conflitti e posizioni antagoniste. È difficile che il dialogo
si apra subito ad una fluente ed efficace
comunicazione. Ma quando si raggiungono fiducia e
confidenza, allora il processo diventa vigoroso, spinge
all’invenzione, innesca uno scambio di idee che viene
continuamente alimentato dall’interazione dei modi
diversi di percepire le questioni portate nel dibattito dai
vari interlocutori. A questo punto l’ambiente si scalda e
“accade” la partecipazione, che è un evento non solo
intellettuale o mentale, ma anche fisico, alimentato dal
calore umano. Man mano che lo scambio si intensifica
– e si assottiglia, si acuisce e si stratifica – l’interazione
diventa sempre più stimolante e i suoi esiti non sono
più prevedibili, perché dipendono dagli interlocutori,
che sono sempre diversi e perciò rendono unico il
processo-progetto cui partecipano”
61
• revitalizzare il centro storico localizzando al suo
interno localizzando le facoltà universitaria,
all’interno dei conventi abbandonati;
• garantire una residenza agli studenti che non
entrasse in conflitto con la residenza degli
urbinati, quindi localizzando residenze esterne
ma non troppo distanti;
• Creare uno sviluppo urbanistico ella città
limitato, non in contrapposizione con il centro
storico.
62
Queste non si limitavano alle sole aree verdi ma anche
alla riqualifica delle aree residenziali realizzate negli
anni ’80.
63
8.0 Kevin Lynch:
Uno studioso e progettista della città di straordinaria
rilevanza internazionale. Pur applicando il suo metodo
di indagine e le sue teorie alla città americana è stato
capace di parlare al mondo intero.
Le opere principali:
64
8.1 L’immagine della città:
Testo pubblicato nel 1960 che riscuote un successo
straordinario
65
di avere un’analisi. L. realizza anche una mappa della
città descritta dagli abitanti.
66
Dei Percorsi si osserva:
i Margini sono Elementi lineari non considerati percorsi (un fiume, una infrastruttura)
che separano ma possono unire, possono essere impenetrabili o penetrabili, soffici
o duri. Se Ferrovie sopraelevate sono sopraelevati, possono avere anche una
direzionalità.
I Quartieri sono Aree urbane relativamente ampie nelle quali l’osservatore può
penetrare e che posseggono alcune caratteristiche generali:
I Nodi sono fuochi strategici nei quali l’osservatore può entrare, tipiche congiunzioni
di percorsi o concentrazioni di alcune caratteristiche. I Nodi della mobilità, stazioni
della metropolitana, le stazioni ferroviarie,
Riferimenti sono semplici elementi fisici che possono variare in scala, sono Isolati e
riconoscibili e danno orientamento.
Questi elementi sono le materie prime dell’immagine della città. Essi possono essere
composti insieme per fornire una forma che risulti soddisfacente.
La forma deve essere in certa misura non impegnativa, modellabile per i propositi e
le percezioni dei cittadini.
I percorsi sono lo strumento più potente per ordinare l’insieme. Può essere guardato
e progettato tenendo in considerazione molti fattori: linearità, direzione, facciate, luci
commerciali, posso lavorare su Il margine, visibile, singolare sui nodi e l’intensità
d’uso.
Qui seguono Le cose che devo tenere da conto nel costruire una città. Ovvero le
aggettivazioni della forma:
68
5. chiarezza di connessioni elevata visibilità di congiunzioni e suture chiara
relazione ed interconnessione di un edificio al suolo o di una stazione della
sotterranea al suolo soprastante.
6. differenziazione direzionale asimmetrie gradienti e direttrici radiali che
differenziano un’estremità dall'altra ho un lato dall'altro o una dimensione
zione cardinale da un'altra.
7. ambito di visione qualità che accrescono il campo e la penetrazione dello
sguardo effettivamente o simbolicamente essi includono trasparenze vetrate
o edifici su colonne sovrapposizioni, quando la struttura appare al di là di altre
viste e panorami che accrescono la profondità di visione elementi di
articolazione che evidenziano di visivamente uno spazio.
8. consapevolezza di movimento le qualità che rendono sensibile
all’osservatore il suo movimento reale o potenziale attraverso sensazioni
fisiche e cinestetiche, tali sono gli artifizi che maggiorano la chiarezza di
pendii curve e penetrazioni che danno esperienza di parallasse dinamica e
prospettiva che mantengono la sostanza di direzione o di cambiamento
direzionale oh che rendono visibile l'intervallo di distanza. Una città è
percepita attraverso il movimento.
9. serie temporali serie che sono percepite nel tempo comprendono semplici
connessioni, elemento per elemento in cui un elemento è semplicemente
legato a quello precedenti a quello seguente come la occasionale sequenza
di riferimenti particolari come anche serie che sono veramente strutturato nel
tempo e quindi di natura melodica quando i riferimenti crescono
nell’intensità di forma a raggiungere un punto di massimo.
10. nomi e significati caratteristiche non fisiche che possono intensificare la
figurabilità di un elemento i nomi, ad esempio, sono importanti per
cristallizzare l'identità, occasionalmente e si offrono un indizio ubicazionale
(North Station) sistemi di nomenclatura come quello di alfabetizzare una
serie di strade possono anche facilitare la strutturazione di elementi. tutte
queste qualità non operano isolatamente quando una sola qualità e presente
oh.se le qualità sono in conflitto l'effetto complessivo può essere debole e
richiede uno sforzo per l'identificazione la strutturazione.
69
8.4 La Buona forma della città
Questo libro è una sinterizzazione completa.
Nel prologo Lynch sostiene che si tratta di una domanda ingenua per via della
estrema complessità dei fattori che portano alla costruzione della città. Eppure,
tendiamo a riconoscere uno spazio urbano di qualità dobbiamo quindi chiederci da
cosa dipende
Nel primo cap. L fa un’analisi storica dei Valori della forma nella storia urbana,
analizza la comparsa della città nella storia a seguito di una rivoluzione agraria.
L’importanza dei luoghi di culto come ragione dello sviluppo urbano, cui si
aggiungono magazzino, fortezza, laboratorio, mercato, palazzo.
• Vitalità
• Significato
• Coerenza
• Accessibilità
• Controllo
• Efficienza e giustizia.
Per quanto riguarda la forma della città esiste un certo numero di dimensioni
prestazionali che possono venir raggruppate sotto il termine di Vitalità
70
a. Sostentamento; l’adeguamento della messa a regime di acqua, aria,
cibo, energia e rifiuti
b. Sicurezza: l’assenza di veleni, malattie o pericoli ambientali
c. Consonanza il grado di accordo tra ambiente e i requisiti umani di
temperatura interna, ritmo biologico, stimoli sensoriali, e funzioni del
corpo
d. Per altre cose viventi quanto positivamente l’ambiente provvede alla
salute ed alla diversità genetica di specie che sono economicamente
utili all’uomo
• Manipolabilità, quanto uno spazio può essere cambiato nel suo uso e nella
sua forma
71
• Reversibilità, quanto possono essere evitati futuri vicoli ciechi per un
determinato spazio.
Il Controllo è il grado al quale l’uso e l’accesso agli spazi ed alle attività, alla loro
creazione, modificazione, riparazione e gestione sono controllati da coloro i quali
usano, lavorano o risiedono in quegli spazi
Giustizia: modo in cui i costi ed i benefici ambientali vengono distribuiti fra le persone
sulla base di principi di equità, bisogno, valore intrinseco, capacità di pagamento, sforzo
individuale, contributo potenziale o potere.
Una buona città è vitale, è significante, è coerente, accessibile e ben controllata e tutto
questo può essere raggiunto con giustizia ed efficienza interna.
72
9.0 Bernardo Secchi:
È stato l’urbanista che ha forse innovato maggiormente strumenti e metodi della
progettazione urbanistica dopo una prima fase di stabilizzazione e crisi della
professione. Era anche un grande studioso della città, affascinante docente e
conferenziere. Ha insegnato in numerose università ma ha avuto anche il merito di
costruire una scuola, tra cui spicca Boeri.
Nasce nel 1934 a Milano dove muore a 80 anni ancora attivo nel 2014.
Si laurea in Ingegneria al Politecnico con Giovanni Muzio che insegnava nella scuola
di ingegneria architettura e urbanistica «Muzio era un professore straordinario, un
maestro generoso e severo. Il suo riferimento, come per la maggior parte degli
architetti milanesi della sua generazione era la Vienna di fine secolo. Ci impartiva
lezioni su Palladio. Nella sua architettura possiamo riconoscere entrambi: Vienna e
Palladio»
Nel 1960 diventa assistente di Muzio, da cui dice di aver imparato la passione per la
materialità della città.
«De Carlo, uomo di charme e grande oratore non era mai soddisfatto di sé stesso,
sempre inquieto e alla ricerca di qualcosa oltre. Un’inquietudine che è divenuta la
mia»
Quando Muzio va in pensione a metà degli anni ’60 Secchi lascia il Politecnico. E viene
attratto dagli studi di economia in particolare ad Ancona dove attorno a Giorgio Fuà
si era concentrato uno dei migliori gruppi di economisti italiani.
Ottiene la libera docenza in Economia regionale, esame necessario per ottenere poi
la cattedra.
73
«Molto colto, curioso, divoratore di libri, amabilmente loquace e molto generoso,
Samonà era un vulcano in continua eruzione: apriva in continuazione nuovi terreni di
discussione, un nuovo fronte di avanzamento delle nostre ricerche» Con Paolo
Ceccarelli, suo coetaneo, lavora al Piano di Aosta.
Negli anni ‘70 si dedica all’Università: a Venezia prima dove partecipa al progetto di
nuovo corso di studi in Urbanistica di Giovanni Astengo e a Milano dove si trasferisce
dopo aver vinto il concorso da Ordinario in Urbanistica nel 1974 e dove poi nel 1976
diventa Preside fino al 1982 segnando un cambiamento importante nella Scuola di
Architettura.
Una volta a Milano si occupa di politiche territoriali e poi di analisi del discorso.
Nel 1984 pubblica «Il Racconto urbanistico» uno studio sulla struttura narrativa dei
testi e dei progetti di urbanistica, un libro che è stato un grande successo.
Il libro apre una attenzione all’analisi dei testi urbanistici per rilevarne la struttura
narrativa, l’operazione di legittimazione delle scelte effettuata attraverso la logica del
peggioramento e la logica del miglioramento. Una seconda parte è dedicata alla
Politica edilizia.
Nel 1984 pubblica «Il Racconto urbanistico» uno studio sulla struttura narrativa dei
testi e dei progetti di urbanistica, un libro che è stato un grande successo.
Il libro apre una attenzione all’analisi dei testi urbanistici per rilevarne la struttura
narrativa, l’operazione di legittimazione delle scelte effettuata attraverso la logica del
peggioramento e la logica del miglioramento. Una seconda parte è dedicata alla
Politica edilizia.
Nel 1984 torna a Venezia allo IUAV dove lavora insieme a Tafuri e Gregotti.
Cerca di capire gli effetti negativi della città diffusa, tipo di urbanizzazione
ampiamente criticata dall’urbanistica moderna.
74
Un cambio di orientamento dallo studio al progetto
avviene con l’incarico per la redazione del Piano di Jesi
per la realizzazione del quale monta una squadra
formata da molti dei suoi allievi in Università.
Secchi ambiva a:
75
• Il progetto di suolo, lui sosteneva che un
problema del disegno urbano è che si
progettavano architetture e non il suolo
• I progetti-norma, contrapponendosi ai piani
retinati, questi progetti sono preliminari, e
servono a far emergere delle necessità.
76
È in corso l’esperienza di Jesi, si sta affacciando ad una intensa attività professionale,
la rivista costituisce uno spazio ideale per impostare un ruolo anche di rifondazione
disciplinare.
Secchi mira ad un piano differente che stabilisca delle relazioni differenti con il
progetto di architettura. Il progetto di architettura deve essere integrato, non deve
venire dopo. Siena, città medievale, non ha molti edifici medievali, e allora cosa rende
Siena una città medievale? Siena ha uno spazio interno ed uno spazio esterno.
Secchi cerca di creare un legame tra la città moderna e la città antica. Come per Jesi
anche a Siena Secchi realizza un progetto di suolo.
Nel 1990 fonda assieme a Paola Viganò lo studio Secchi Viganò a Milano, si tratta di
una collaborazione che produce un’accelerazione nella sua attività professionale, pur
non abbandonando mai l’insegnamento a Venezia, dove istituisce un Dottorato di
Urbanistica diverso da quello coordinato da Pierluigi Crosta di Politiche Urbane e
Territoriali.
Si può osservare un ciclo prevalentemente italiano nel decennio dei ’90 con i Piani
importanti di Bergamo, Prato, Brescia, Pesaro, fino al Piano Provinciale di Lecce e poi
un ciclo degli anni 2000 prevalentemente al di fuori dell’Italia, tra Belgio e Francia,
con una ultima fase di costruzione di visioni strategiche che si apre con Grand Paris
e prosegue in molte città importanti.
Nel 1989 pubblica «Un progetto per l’Urbanistica» Dove raccoglie tutti i suoi scritti
per Casabella e per Urbanistica e li inquadra nel titolo che vuole comunicare l’idea
che con il suo contributo sta lavorando ad un nuovo progetto per l’urbanistica.
Dopo aver partecipato alla costituzione del corso di laurea in urbanistica di Giovanni
Astengo, Secchi si allontana da quella ipotesi per privilegiare un approdo
all’urbanistica più vicino all’architettura.
La città del ventesimo secolo, Esce nel 2005, ed è un testo nel quale Secchi cerca di
sistematizzare le sue riflessioni sui cambiamenti strutturali che hanno interessato la
città.
È organizzato nella forma di tre racconti: quello della apparente dissoluzione della
città e della necessità di nuove descrizioni; quello della grande generazione della
città fra le due guerre; quello della responsabilità nuova del progetto urbanistico di
fronte alle trasformazioni dell’urbano.
78
10.0 Secchi, La nuova forma di Piano:
«L’analisi dei caratteri visibili della città e del territorio
sempre più impronta di sé una nuova «forma» di piano;
ne definisce i confini, i caratteri ed i connota:: quelli di
un piano prevalentemente limitato alla città esistente e
alla sua modificazione, caratterizzato da una forte
attenzione alla morfologia dell’ambiente costruito,
connotato dalla ricerca attraverso il progetto di
architettura, di una interpretazione della qualità dello
spazio che possa proporsi come adeguata a ciò che
vagamente esprime su questo terreno la società
contemporanea.» 8
8
Una nuova forma di piano, Urbanistica, n.28, febbraio 1986
79
Il sistema idrografico ha avuto una notevole incisione
sia sull’urbs che sulla civitas di prato che fin dall’anno
mille erano state fatte opere di canalizzazione e
bonifica, creando così Gore e Goroni. Questi avevano
funzioni energetiche, e sono la causa della
commistione tra edifici produttivi ed edifici abitativi.
80
10. 3 i piani urbanistici dal dopoguerra
agli anni ‘90
9
PRG, Savioli – 1956, Relazione Generale, paragr. L
81
estremamente difficile stabilire la trama di un Piano
Regolatore.” 10
10
PRG Marconi – 1964, Relazione Generale, pag. 15,28
82
Il piano viene elaborato durante la fase di approvazione
della Legge Urbanistica della Regione Toscana LR n.5
del 1995. Che rivoluziona la struttura della
pianificazione urbana in Italia.
83
• •il ripensamento del proge6o come strumento
per l’urbanistica.
11
Laboratorio Prato PRG, pag. 12
12
Laboratorio Prato PRG, pag. 13
84
“Chi osserva tutto ciò è spinto a studiare meglio
l’immaginario collettivo e ad osservare da molto vicino
le diverse situazioni: è spinto, in altri termini, ad
ascoltare, a rilevare, a svolgere analisi tecnicamente
pertinenti; a rallentare l’interpretazione, a mantenerla
sotto il controllo continuo della descrizione; a
confrontarla con quello che emerge dagli sguardi
differenti, dello scrittore, del fotografo come del
botanico e del geologo, del sociologo e
dell’economista; ad usare il progetto come
provocatore di ulteriori reazioni offerte alla sua
osservazione ed analisi, a non codificare le proprie
mosse, a ripeterle più volte in modi nuovi e diversi, ad
utilizzare, in altri termini, strategie cognitive non
opposte, ma certamente dissimili da quelle cui
l’urbanista si era abituato sino ad anni recenti.” 13
13
Laboratorio Prato PRG pag, 353
85
Dalla combinazione tra le nuove strategie cognitive
adottate e le discussioni nate nei luoghi di elaborazione
del piano, il PRG di Prato prende forma definendo:
• un quadro conoscitivo
• possibili scenari futuri: temi e problemi
• la costruzione di una politica urbana
14
Un progetto per Prato, pag.11
86
Mostrano:
“Il futuro di una città come Prato non può essere ridotto
al pur ricco scenario del suo sviluppo industriale, a
quello altrettanto complesso dei suoi modi di abitare, o
a quello irto di difficoltà della circolazione. In una città
vi sono molte più cose. […] Prato può ospitare
importanti istituzioni congressuali e culturali: spazi
della musica, dello spettacolo, spazi espositivi e
congressuali, spazi dello sport. Il Fabbricone ha
87
ampiamente dimostrato seguendo le tendenze e che
sono comuni a tutti i paesi europei, come le fabbriche
dismesse possono divenire luoghi di grande attenzione
collettiva: luoghi centrali, non marginali.” 15
15
Un progetto per Prato, pag. 127
16
Un progetto per Prato, pag. 135
88
• un sistema della mobilità: rete viabilistica, rete
ciclabile e pedonale…
• un sistema della residenza: aree residenziali
esistenti e in programma
• un sistema della produzione: aree industriali
interne alla città, aree di produzione in
prossimità dei borghi rurali e i macrolotti.
17
Un progetto per Prato, pag. 197
89
Cosa ereditiamo?
I piani urbanistici pratesi successivi hanno fatto i conti con questo piano e con quello
che ha esplicitato. Il Macrolotto 0 è oggi uno dei luoghi maggiormente studiato a
Prato per mettere in pratica strategie di rigenerazione urbana e riuso degli spazi
industriali in spazi collettivi.
Gran Paris è progetto (tutt’ora in corso) che mira a far diventare Parigi una metropoli
mondiale del XXI secolo. Gli obiettivi che vennero posti per il bando: benessere
cittadini, togliere disuguaglianze territoriali e sociali e futuro sostenibile. La
grandezza di Gran Paris deriva anche dalla quantità e dalla diversità dei vari progetti
in cui si articola abbiamo infatti iniziative culturali, di consultazione, infrastrutturali
diventano anche struttura di governance e fanno parte di un progetto più
istituzionale perché va oltre la competenza comunale.
18
Paola Viganò in C.Renzoni, M.C.Tosi (eds), Bernardo Secchi libri e piani, Officina Edizioni 2017, pag.
107
90
10. 6 Ville poreuse
Proposta di Viganò e Secchi. Sono due i motivi per cui importante:
1. Ruolo del tutto speciale e importante nella carriera di Secchi, questo progetto
riassume tutti i concetti principali di Secchi soprattutto dei suoi ultimi anni di
carriera, Ville Poreuse ne rappresenta anche il testamento.
2. Ville Poreuse assume carattere di manifesto. Per la prima volta vengono messi
a sistema i grandi temi e strategia che da anni 2000 hanno caratterizzato il
pensiero di Secchi:
− La nuova questione urbana
− porosità/permeabilità
− scenari come strumenti per la pensabilità del futuro
Paola Viganò fu fondamentale nella carriera di Secchi soprattutto alla fine, ogni
elaborato/strategia veniva discusso ed elaborato insieme a lei.
L’importanza del Gran Paris si vede anche dal processo (foto), è un nuovo metodo
perché si tratta di un processo che si impronta sulla velocità: viene richiesto un lasso
di tempo molto breve per l’elaborazione del progetto (fra selezione dell’equipe e
l’incarico di progetto passano sei mesi). E dal fatto che non era né un progetto né un
piano (le proposte delle varie equipe hanno la sola funzione consultiva. Si tratta
quindi di un vero e proprio nuovo modello caratterizzato da velocità.
91
Nel gran Paris non era previsto un vincitore fra le equipe e le idee. Nel bando era
fondamentale che l’equipe fosse multidisciplinare e da subito le competenze dell’
equipe di Secchi e Viganò anticipano i grandi temi del metodo della Ville Poreuse.
I materiali e la forma di questo piano sono quelli tipici di Secchi. Ogni elemento
nell’esposizione scritto-visiva del progetto assume una forma uguale ad ogni altro
elemento, anche i testi verranno riproposti all’interno del Ville Poreuse.
obiettivi richiesti: lettura trasversale dei problemi da affrontare delle metropoli del
XXI secolo con al centro la questione della transizione ambientale.
-una prima parte teorica argomentativi dove vengono definiti i termini di una nuova
questione urbana con cui le città dovranno confrontarsi
- Seconda parte in cui vengono sviluppati alcuni scenari relativi ai temi dell’acqua,
della biodiversità, energia, mobilità per costruire uno spazio di riflessione per il
futuro di Parigi
92
sospesa da tanti temi emergenti che orientano le basi su cui i nuovi piani urbanistici
del XXI secolo si orienteranno. Egli non fu l’unico che si concentrò in quegli stessi
anni sugli stessi temi (Richard Barret).
Secchi aveva una forte propensione per la terza tipologia di sviluppo della Metropoli,
perché modello di città rarefatta è una città più resiliente, in grado di portare avanti
le sfide del XXI secolo.
Per Parigi Secchi cercherà di scorporare la natura radiale della città per renderla più
simile al modello delle grandi metropoli diffuse (porosità). Per fare ciò egli guarda lo
spazio e il tessuto urbano di Parigi e ne differenzia tre: la Parigi di Haussmann, Le
Paivillon, Les Grand ensambles.
02 STRATEGIA COGNITIVA
La strategia cognitiva che viene adottata per affrontare un piano per una città così
grande si suddivide principalmente in 3 sguardi :
2- a volo d’uccello carte interpretative su cui vengono fatti degli schemi urbanistici e
dei ragionamenti
un passo a passo
vengono definiti due quadri di lettura il primo (100x100km) coincide con ile de france
e ha come centro l’incontro tra la senna e la marna mentre il secondo (50x50) ha
come centro Notre Dame.
sul primo quadro nel territorio viene segnata la parte naturale e morfologica della
città (la senna, la marna e vallivi e Secchi nota una certa relazione fra alcuni punti
della morfologia del territorio (vallivi) e punti di sviluppo urbano di lungo periodo.
93
2 volo d’uccello
ripresa da Victor Hugo, dove l’accompagnatore di Hugo guarda Parigi dall’alto per
cercare di capirne le forme e i collegamenti. Queste letture vengono eseguite alla
ricerca della Porosità per costruire delle immagini che riescano a distruggere l’idea
di una città radiocentrica.
3 lettura immaginari
spesso erano progetti con scale diverse, c’era una ridensificazione di alcune zone,
ma comunque l’impianto sarebbe rimasto radiale
Scenario 1
94
sull’energia, il petrolio, le emissioni di CO2 e un grafico dei consumi energetici
durante gli anni.
Scenario 2
implica anche una trasformazione dell’edilizia che deve adattarsi questi spazi
umidi, vengono costruiti argini, edifici su pilotis.
Scenario 3
ora abbiamo una mobilità costruita sull’auto privata ma con l’aiuto dei
matematici dell’equipe hanno pensato da una rete isotopa rispetto ad una rete
gerarchizzata mettendo in discussione di alcuni fondamenti del pensiero
95
urbanistico politico/istituzionale occidentale. Eliminazione del percorso
radiocentrico ma reticolare, basato su tre velocità alta, media e bassa.
96
11.0 Alberto Magnaghi:
È una figura di urbanista-attivista del tutto originale. Dopo la fase operaista, Che lo
porterà anche in carcere e l’impegno universitario sulle periferie della città-fabbrica,
inizia un lavoro scientifico pionieristico sulle problematiche ambientali, interpretate
non solo in senso ecologico, ma anche propriamente socio-territoriale. Importante
per lui sono gli abitanti di un territorio.
Il punto di partenza è la perdita della coscienza dei luoghi, della loro materialità, dei
legami con la storia e con società locale.
A partire dalle prime lotte per la riqualificazione della Val Bormida definisce la
prospettiva del risanamento ambientale come la chiave della sua visione dell’
urbanistica. Segue l’esperienza del progetto di risanamento dei bacini dei fiumi
Lambro, Seveso e Olona, e da lì il suo metodo diventa sempre più radicale e più
chiaro. È il fondatore e l’animatore della Scuola Territorialista.
Dal 1963 è segretario della sezione universitaria del PCI, da cui esce nel 1968. Negli
stessi anni frequenta Classe Operaia, e fonda il gruppo Città Fabbrica che interviene
sulle condizioni delle periferie operaie. Interesse nella trasformazione della città dal
punto di vista della produzione
Nel 1969 si trasferisce al Politecnico di Milano, prima come borsista, poi assistente di
ruolo in Composizione architettonica, successivamente professore incaricato
stabilizzato e infine professore associato di Urbanistica.
Dal 1969 milita in Potere Operaio, di cui dal 1970 al 1971 è segretario nazionale.
Dopo lo scioglimento del movimento (1973), torna alla vita universitaria, fonda la
rivista Quaderni del Territorio (1976-79), promuove presso il Politecnico di Milano il
Dipartimento di Scienze del Territorio, del quale nel 1979 è eletto direttore. Il 21
dicembre 1979 viene arrestato nell’ambito dell’inchiesta “7 Aprile” e trattenuto in
carcerazione preventiva, senza processo, fino al 21 settembre 1982. Condannato in
primo grado a sette anni di carcere, viene nel frattempo reintegrato nell’attività di
docente universitario (1984), e infine assolto nel processo d’appello (1987).
Dopo l’esperienza del carcere si dedica pienamente agli studi territoriali con un
approccio originale che lo porta a fondare la scuola territorialista.
Nel 2001 fonda e fino al 2011 presiede la "Rete del Nuovo Municipio", associazione
fra Enti locali, associazioni e studiosi che promuove un approccio partecipativo della
democrazia per lo sviluppo locale auto sostenibile. La Rete, che arriva a contare
centinaia di aderenti fra gli Enti locali italiani e allaccia estese relazioni internazionali,
deve sciogliersi nel 2011 di fronte all'involuzione della finanza e della politica locali
seguita alla crisi finanziaria mondiale.
Il punto di partenza è la perdita della coscienza dei luoghi, della loro materialità, dei
legami con la società locale.
Uno dei primi momenti di applicazione delle sue posizioni è la lotta della Val Bormida
che lo vede protagonista delle rivendicazioni ambientali conseguenti all’incidente
della ACNA di Cengio del luglio 1988.
Una nube tossica che inquina tutta la valle; Magnaghi lavora per trasformare la
rivendicazione in un progetto di riqualificazione territoriale.
Dalla nube tossica della Icmesa di Seveso del 1976 alle decine di incidenti rilevanti in
tutto il paese fino al grande incidente dell’ACNA di Cengio in Val Bormida.
99
Si Nota un processo di sistematizzazione di quelle operazioni che avevano preso
luogo per la Val Bormida e per il Seveso Olona
Nel 2000 pubblica un libro in inglese con l’intento di connettersi ad una rete
internazionale che lavora sui temi della sostenibilità. La metropoli deve essere
interpretata come una rete di Villaggi.
Il territorio non è solo una piattaforma, ma è rilevante anche il rapporto che insiste
tra gli abitanti ed il loro territorio.
La Terra, Gaia, ha iniziato a reagire a livello planetario alle offese arrecate alla biosfera
dalla civiltà delle macchine, con incendi ed alluvioni.
L’unica possibilità di salvezza è un ritorno alla cura sapiente, creativa, corale da parte
degli abitanti in cui riaffiora la «coscienza di luogo». La conversione ecologica
dell’economia e della società non dovrebbe avere carattere semplicemente
compensativo. Non basta, dovrebbe invece aprire ad una nuova «civilizzazione
antropica» che sia in grado di rimettere in sinergia città e campagna di ricostruire
nuove forme e metabolismi dell’abitare urbano e di restituire lo statuto di abitanti
capaci di governo territoriale e nei loro mondi di vita.
100
La qualità degli ambienti di vita e di lavoro è al centro di un conflitto fra processi di
etero-direzione dei flussi globali del comando e forme di auto-governo dei sistemi
socio-territoriali locali attraverso percorsi di re-identificazione comunitaria delle
società locali con il proprio patrimonio territoriale.
Patrimonio territoriale
Esso è l'insieme degli elementi, dei beni e dei sistemi ambientali urbani, rurali
infrastrutturali e paesaggistici formatosi mediante processi co-evolutivi di lunga
durata fra insediamento umano e ambiente che contribuiscono con la loro
permanenza storica e nella loro percezione da parte delle popolazioni a formare
l'identità di una regione.
Coscienza di luogo
Paesaggio
Il Paesaggio, si può definire e come l'esito sensibile percepibile con i sensi del processo
di territorializzazione di lunga durata che definisce i caratteri strutturali e statutari del
territorio evidenziando descrivendo e rappresentando in particolare l' identità morfo
tipologica dei luoghi che lo compongono.
De-territorializzazione e ri-territorializzazione
Tutti elementi che possono aprire verso la definizione di una bioregione urbana.
19
Alberto Magnaghi, Il principio territoriale
102
11.3 Il Piano della Valle Vettabbia:
L’esperienza del sopracitato piano è molto vicino alla matrice territorialista.
L’area del parco agricolo situata a sud di Porta Romana è caratterizzata da aree
agricole ed aree verdi dedicate a Parco. L’area molto ambia costituisce un’unità
territoriale definita da un corso d’acqua, la Vettabbia. Qualcosa che fino a pochi anni
fa sarebbe stato impensabile. Nel 1974 in una rappresentazione dell’area è evidente
il desiderio di creare un parco, tuttavia la Vettabbia non solo ha un ruolo marginale,
ma è anche definita la fogna di Milano.
Negli anni 1980 l’idea di realizzare il depuratore Nocedo prende più rilievo, e si
distanzia dall’abbazia di Chiaravalle. Nel 1982 è approvato una variazione al PGT
che avrebbero comportato un espansione a sud della città di edilizia residenziale
popolare. In quest’occasione Ferraresi ha realizzato un’analisi per capire le regole di
sviluppo di quest’area. Importante in quest’analisi è il ruolo dei corsi d’acqua.
Il limite è stato quello di separare così nettamente le aree agricole da quelle Urbane,
si proteggendole dall’erosione, ma andando contro i principi dell’urbanistica
territoriale.
La carta di sintesi era presentata in modo evocativo, non era quindi necessaria una
legenda troppo complessa.
Essa propone il trattamento degli spazi aperti come sistemi ad alta complessità. Ed
evidenzia tre aste fluviali e più in generale il reticolo idrografico, riletto come un
grande sistema interconnesso.
• Pianificazione territoriale;
• Programmazione di settore;
• Programmazione agricola, delle aree protette e delle infrastrutture;
• Progettualità locale.
Vengono quindi realizzati una serie di progetti pilota, tra questi spicca il progetto
pilota del depuratore, che ambiva nel risanare i corpi idrici superficiali, valorizzare il
sistema abbaziale cistercense e riqualificare l’agricoltura di servizio ambientale.
103
realizzati complementarmente ai sistemi più tecnici dei sistemi naturali che avevano
anche carattere paesaggistico.
Nel 2000 viene ultimato il progetto del depuratore che depurava l’acqua per poi
gettarla nel Lambro. Importante è che insieme al progetto del Dep. Nosedo il
ministero dell’ambiente prescriveva la rinaturazione e la riattivazione dei alcune
roggie. L’impianto, completamente sordo all’ambiente circostante. Nel momento in
cui l’acqua usciva depurata dall’impianto si capì che essa poteva divenire un
elemento di potenziale valorizzazione. Il Depuratore di Milano è ammirato in
tutt’Europa in quanto l’acqua è poi utilizzata per irrigare i campi.
Era a questo punto necessario definire un vero e proprio progetto dell’area. È stata
innanzitutto evidenziata la valle della Vettabbia, che non era riconoscibile se non da
un’analisi geologica. La Vettabbia è un corso d’acqua non interamente naturale, nel
periodo romano era probabilmente anche navigabile. Nel periodo rinascimentale
era raffigurata come un drago , una spina dorsale della città.
Il progetto viene intrapreso con uno sguardo più ampio, analizzando il rapporto tra
il territorio l’abbazia e considerando il depuratore come un elemento fondamentale.
Il progetto redatto era un progetto di riqualificazione territoriale, con particolare
attenzione all’acqua e alle piantumazioni. Il tutto cercando di creare continuità al
sistema territoriale della valle.
Alla fine, si è cercato di definire un parco agricolo-urbano con riferimento alla sua
natura di elemento strutturale della città, come parte nuova singolare e viva che
faccia intimamente parte della vita urbana. Sia dal punto di vista Funzionale che
Formale. Sono stati creati numerosi boschi per mediare il passaggio tra area urbana
ed are agricola, con una forte attenzione agli impianti idraulici esistente ed i percorsi
pedonali. Interessante è il bosco umido, che complementarmente al depuratore
depura l’acqua rappresentando un ecosistema di valore elevato.
104
12.0 Luigi Mazza:
È un urbanista e uno studioso che ha dato un
contributo importante e originale alla disciplina
urbanistica. Ha iniziato come professionista e docente
volontario al Politecnico di Torino. Molto giovane ha
diretto un importante centro di ricerca e
documentazione.
105
Poi negli anni successivi alcuni altri incarichi di piani
urbanistici: Lecco, Desio, Torino, il Gargano, Pinerolo, e
una serie di altri centri.
106
12. 1 Il Piano di Alessandria:
Una esperienza che consente di ragionare:
107
cui a lungo si occupa nasce dalle sfide che la pratica gli presenta.
Quando nei primi anni ‘80 ottiene la cattedra di Urbanistica al Politecnico di Torino,
partecipa ad una serie di congressi internazionali prodromici alla costituzione della
Association of the European Schools of Planning di cui diventa uno dei fondatori.
Nel 1984 entra nel comitato editoriale di Town Planning Review e di una serie di altre
riviste nazionali ed internazionali.
Nel 1983 fonda e dirige la «Rivista di urbanis9ca» nel 9tolo è scritto «in associazione
con la Town Planning Review» che vive per un paio di anni alimentando una
riflessione aperta sul Piano.
Il suo interesse per la teoria lo spinge ad organizzare lui stesso, (Polito e Oxford Poly)
nel 1986 il secondo congresso internazionale di «Planning theory in practice» cui
convoglia i migliori studiosi italiani con il meglio della ricerca teorica nel mondo.
Aperto da Giovani Astengo e chiuso da David Harvey.
Entra poi nel gruppo promotore di Planning Theory Newsletter che poi si trasforma
nella rivista Planning Theory.
Nel 1997 raccoglie quattro testi che gli consentono di sviluppare sistematicamente
il tema della relazione fra tecnica e politica.
Il punto di parenza è che lo spazio della tecnica urbanistica sia trascurato a causa
dell’indubitabile ruolo politico di questa attività svolge distribuendo premi e
penalizzazioni.
Nel primo saggio, «Il suolo ineguale», del 1990 espone la questione tecnica del
trattamento dei diversi proprietari che si trovano ad essere in posizione di
valorizzazione o di penalizzazione ad opera del piano.
Un tema che solo Mazza continuerà a sollevare dopo la caduta della proposta Sullo
nelle nuove condizioni politiche nazionali.
LM discute in molti suoi scritti della necessità di operare una distinzione tra
dimensione tecnica e dimensione politica della pianificazione.
Il suo punto diventa sempre più chiaro e sempre più radicale: di fronte allo
spostamento della pianificazione verso la dimensione processuale – il problema del
how- Mazza denuncia la perdita di importanza del contenuto sostanziale della
pianificazione, il what.
dove con interessi soccombenti si intendono quelli che risultano tali a causa delle
modalità di funzionamento del sistema di pianificazione urbanistica e non perché
prodotti da una deliberata ed esplicita azione redistributiva.
Mazza sottolinea il fatto che la natura giuridica delle previsioni di piano costituisce
assieme una caratteristica specifica delle previsioni urbanistiche ed insieme un suo
limite. In passato la ragione del valore giuridico delle previsioni era legata alla
necessità di ordinare lo sviluppo urbano sottoposto a pressioni da parte dei grandi
processi edificatori conseguenti alle grandi migrazioni. Quella situazione aveva
determinato una tendenza al sovradimensionamento dei piani, unico modo per
intervenire sulla questione della creazione di differenze in termini di vantaggi e
svantaggi prodotti dal piano.
109
Quella situazione di sovradimensionamento e stata responsabile di una generale
incapacità di governare la qualità del processo di crescita.
Oggi siamo nella situazione di poter definire obiettivi e strategie generali che
consentano di valutare progetto sulla base della rispondenza a questi piuttosto che
in base al rispetto delle norme giuridiche del piano. Ciò conduce anche alla
corruzione.
M. dedica alla discussione sul documento d’inquadramento un testo scritto nel 2004.
Al termine della sua importante esperienza di consulenza al Comune di Milano, come
vedremo deluso e amareggiato dalle polemiche e dagli scarsi risultati, pubblica una
serie di raccolte di scritti di cui questo è il primo. Raccoglie testi scritti dal 1983 al
1995 Riprende in qualche misura il percorso di «Trasformazioni del Piano» anch’esso
una raccolta.
I tema dello squilibrio come riflesso dei conflitti e delle disuguaglianze entro cui
operare, respingendo l’idea del Piano come l’operazione di re-imposizione
dell’equilibrio.
I tema dei diritti di cittadinanza intesi come l’accesso ai servizi, alla mobilità, agli spazi
verdi, ad elementi di centralità ottenuti attraverso una efficace attività di
pianificazione che attraverso la sua azione redistribuisce diritti è uno dei temi
essenziali della sua riflessione teorica.
110
e consente ai singoli progetti proposti liberamente da
diversi operatori di variare le norme giuridiche del
piano se rispondenti agli obiettivi strategici e se capaci
di produrre benefici pubblici rilevanti per
l'amministrazione.
111
8. in prospettiva , una volta caduto il valore giuridico delle previsioni, sono
eliminate le attese e il sovradimensionamento del piano.
1. che si ampli il mercato urbano, che vuol dire scogliere i valori all’intera città e
non solo ai bastioni.
2. che si realizzi un nuovo modello di organizzazione spaziale,
3. che si realizzi un miglioramento della qualità ambientale e urbana, quindi
deconcentrando le funzioni urbane,
il nuovo modello spaziale comprende l'asse attuale di sviluppo che dal centro
muove verso nord e lo articola in un sistema a T rovesciata appoggiata su un'asta
forte di trasporto pubblico che va da Malpensa a Linate.
È su questo terreno che l’attuazione del Documento incontra i suoi principali nodi
critici.
In una prima fase Mazza fa parte del nucleo di valutazione ma di fronte al riemergere
di una rinuncia ad una valutazione coerente e rigorosa lascia il nucleo e l’attività di
valutazione perde il suo ruolo centrale.
Apre verso la sottrazione del valore giuridico delle singole previsioni d'uso del suolo
per consentire flessibilità, superamento della rigidità ed incapacità di adattamento;
apre verso l'indifferenza funzionale, ovvero la possibilità di individuare le funzioni più
adatte nello specifico momento in cui avverrà il processo di trasformazione, ha come
112
conseguenza una serie di implicazioni tecniche come il trasferimento dei diritti
volumetrici da aree destinate a verde o servizi pubblici verso altre aree, alla banca dei
diritti volumetrici che ne consegue.
Più recentemente due suoi allievi, Luca Gaeta e Umberto Janin riescono a convincere
Mazza a pubblicare un manuale. Il testo è costruito in gran parte a partire dalle sue
dispense e diventa presto un riferimento per molti corsi di urbanistica.
Negli ultimi anni come anticipato si dedica con passione alla ricostruzione del
contributo di alcuni padri fondatori dell’Urbanistica, tra cui Patrick Geddes e
Ildefonso Cerda Con l’obiettivo di consolidare le basi storiche della conoscenza
tecnica.
113
13.0 La planning theory:
Le teorie della pianificazione si sono occupate storicamente di spiegare le ragioni di
successi e fallimenti della pianificazione.
Nello schema sono evidenziati gli obiettivi che possono essere condivisi o meno, e
le tecnologie che possono essere conosciute o meno.
Nel Caso A gli Obiettivi sono condivisi e le tecnologie conosciute, l’attività è quindi
di programmazione, si deve programmare l’intervento.
114
Esempio, realizzazione di reti infrastrutturali - elettriche, idriche, fognarie -; della
dotazione di servizi di base per la popolazione come quelli scolastici;
Esempio, rispondere ai problemi abitativi delle fasce a reddito più basso, rendere
vivibili alcuni quartieri periferici attraverso interventi di tipo urbanistico, creare luoghi
di aggregazione nelle zone periferiche, rivitalizzare aree economicamente depresse,
creare infrastrutture capaci di favorire l'innovazione tecnologica, smaltire i rifiuti
senza pericoli. Tutti obiettivi condivisi, ma la cui risoluzione è dubbiosa.
Per esempio, il disagio grave di alcune periferie urbane, che riguarda aspetti sia di
carattere fisico, che sociale ed economico. Le periferie abusive di alcune grandi città.
Il controllo della crescita urbana. Trattare i problemi indotti dal cambiamento
climatico. Si deve quindi ridefinire il problema e renderlo trattabile.
115
Molti aspetti della inefficacia delle politiche di pianificazione possano essere
ricondotti come sostiene appunto Karen Christensen ad una prematura presunzione
del consenso rispetto agli obiettivi, ovvero ad una prematura presunzione di
conoscenza delle tecnologie di intervento, delle soluzioni.
Solo nella situazione A i problemi che ricadono in quella situazione prevedono distanza
tra chi pianifica e i destinatari degli interventi (reti, servizi di base, etc. ) tutte le altre
situazioni richiedono interazione e partecipazione dei destinatari. Attività essenziale.
Le teorie pertinenti:
116
13.1 Le teorie pertinenti Donald Schön:
Schön è stato un teorico delle teorie di apprendimento sociale.
Nella seconda area (B) caratterizzata da incertezza rispetto alle soluzioni, i contributi
teorici più appropriati per trattarli sono quelli che fanno riferimento alle "teorie
dell'apprendimento sociale" del social learning. Sono teorie che affondano le loro
radici nel pragmatismo americano ed in particolare nelle posizioni di Dewey; che
partono da un giudizio di generale inapplicabilità dei paradigmi della razionalità
tecnica ai problemi della società attuale; che pongono al centro dell'attenzione le
possibilità di generazione di soluzioni innovative in condizioni di incertezza; che
prevedono che le soluzioni ai diversi problemi vengano ricercate attraverso un
processo di apprendimento collettivo che può essere favorito, organizzato e
guidato, ma non rigidamente predeterminato come nelle sequenze prima
richiamate.
Secondo Schön i problemi di efficacia dell'azione del planner (come delle altre
professioni) deriverebbero in gran parte da una epistemologia della pratica
professionale che ha le proprie radici nel positivismo e che è fondata
sull'applicazione di una teoria oggettiva ai "problemi" che si presentano nella
società.
Questa posizione prende le mosse non solo dai molti fallimenti dei tentativi di
applicazione di tecniche e metodologie standardizzate a situazioni complesse, ma
soprattutto dalla convinzione che i "problemi" non sono dati ma vengono definiti di
117
volta in volta attraverso un processo di indagine che tende a convertire situazioni
problematiche complesse e vaghe in un "problema", una volta individuato il quale è
(forse) possibile l'applicazione di soluzioni tecniche.
Questo processo di conversione passa attraverso una attività assai poco strutturata
e interattiva nella quale i diversi elementi della situazione vengono nominati,
schematizzati, sottoposti all'applicazione di metafore e "frames" [cornice] che fanno
sostanzialmente riferimento al bagaglio delle precedenti esperienze del
professionista entro il quale la conoscenza scientifica ha un ruolo parziale
Il ruolo del professionista può essere inteso come quello di un partecipante in una
"larga conversazione sociale" attraverso la quale i problemi cui le politiche debbono
applicarsi vengono definiti; in questo contesto il professionista, se non pretende di
disporre di una conoscenza superiore ma facilita la strutturazione e ristrutturazione
dei problemi, aiuta tale conversazione a diventare riflessiva.
118
In questo senso il professionista deve essere capace di assumere come oggetto di
riflessione le posizioni che gli si contrappongono e saper spingere verso processi di
indagine cooperativa anche nell'ambito di situazioni conflittuali.
L'apporto del professionista non può in ogni caso essere quello che fornisce
soluzione ai problemi ma piuttosto quello di un partecipante in un processo
collettivo che è insieme di definizione dei problemi e di individuazione delle
soluzioni.
119
14.0 Planning Theory 2:
Se vogliamo essere efficaci nella situazione C tecnologie conosciute ma confli5o
sugli obiettivi le posizioni teoriche rilevanti sono quelle che tematizzano il conflitto.
Già in un articolo apparso nel 1963 sul "AIP Journal" (tradotto anche in Italia dieci
anni dopo) proponeva l'adozione di una concezione della pianificazione come
metodo per prendere le decisioni più che come campo di conoscenze sostantive.
Siamo allora in una fase di piena espansione della professione e di fiducia nella sua
capacità di contribuire ad un processo di riforma della società.
È il periodo dei grandi programmi democratici (Kennedy) come «la guerra alla
povertà» o il piano per le città modello
Webber non scrive mai un libro ma in due saggi pubblicati sulla rivista inglese "Town
Planning Review" (1968 e 1969) Webber afferma che i limiti di efficacia della
pianificazione urbana dipendono dal fatto che essa non ha (ancora) adottato né una
idea propria di pianificazione né il metodo della pianificazione.
120
Per "pianificazione in senso proprio" Webber ci propone una particolare modalità di
decisione e azione le cui condizioni dovrebbero essere le seguenti:
L’orientamento al futuro:
121
Ogni proiezione nel futuro è basata su di una serie di assunzioni circa i caratteri della
società:
Queste assunzioni vengono messe radicalmente in crisi, già nel corso degli anni '50
e '60 dal ritmo accelerato del mutamento sociale.
Le ragioni del loro radicamento sarebbero rintracciabili nelle origini storiche della
disciplina sviluppatasi all'inizio del secolo nel contesto della società industriale che
presentava problemi assai più semplici e trattabili di quelli attuali.
I metodi dell'ingegneria urbana sono costruiti sul presupposto che siano sempre
individuabili cause dirette ai problemi della città e di conseguenza soluzioni
progettabili per affrontarle, così non è.
122
Il master plan è l'estensione del progetto della singola opera o dell'edificio all'intera
città.
Ogni scelta di piano è politica e deve fare i con- esplicitamente con il problema di
quali gruppi ne beneficiano e quali ne sono penalizzati. Vicino alle politiche del suolo
di luigi mazza
Permissive planning
La proposta di Webber è per uno spostamento del fuoco dell'attenzione sui problemi
di efficacia dell'azione di pianificazione che deve fondarsi sulla rinuncia ad utilizzare
la conoscenza professionale come sostitutiva dei complessi processi politici che
portano all'individuazione delle preferenze da parte di gruppi sociali sempre più
differenziati. Di nuovo l’idea della collaborazione.
123
In un articolo apparso su "Policy Science" nel 1973 dal 'tolo "Dilemmas in a General
Theory of Planning", Horst Ritiel e Melvin Webber approfondiscono una delle
dimensioni del dibattito sull'inadeguatezza del paradigma dominante nella
pianificazione: quella relativa alla natura intrinsecamente intrattabile dei problemi
sociali che ne costituiscono l'oggetto.
Ciò che distingue i problemi delle scienze naturali o dell'ingegneria dai problemi di
pianificazione è che quest’ultimi sono problemi "maligni" ("wicked problems") mal
definiti e che si affidano al giudizio politico per il loro trattamento; non sono mai
risoti, ma solo attati' ripetutamente nel tempo.
I problemi delle scienze naturali come quelli dell'ingegneria sulla base dei quali è
stato costruito il paradigma dominante sono invece problemi "benigni" o
"addomesticati" caratterizza' dal fatto che la loro definizione è indiscussa e ciò
consente di affidarne la soluzione ad un processo tecnico separato. Il modello della
razionalità tecnica affronta temi tecnici.
Il problema principale è allora per il planner quello di non trattarli come se fossero
"addomesticati", di non tentare prematuramente di addomesticarli, e di rifiutare di
riconoscere l'intrinseca malignità dei problemi sociali.
124
Ciò è dovuto al fatto che non è possibile individuare tutte le rette causali
rilevanti per una comprensione esaustiva delle vere radici del problema,
ed ogni richiesta di informazione aggiuntiva dipende dalla comprensione
del problema e della sua soluzione allo stesso tempo.
L'esempio più tipico è il problema della povertà: a seconda del tipo di
intervento prospettato per affrontarlo, vengono messe in evidenza
differenti cause.
La formulazione di un problema maligno è quindi il problema, in quanto
formulare il problema implica l'individuazione della soluzione.
La gran parte delle tecniche di pianificazione (analisi dei sistemi, ricerca
operativa ecc.) si applicano a problemi già formulati quindi già
"addomesticati".
2. Non esiste una regola per stabilire quando interrompere gli sforzi per
risolvere un problema maligno.
Nel risolvere problemi "benigni" (matematici, chimici ecc.) il tecnico sa
quando l'operazione è conclusa. Esistono criteri riconosciuti per stabilirlo.
Ciò non si dà per un problema maligno; dal momento che non esistono
criteri per stabilire quando il livello di comprensione del problema può
essere considerato adeguato, ovvero per porre un limite all'indagine sui
nessi causali che legano diversi sistemi tra loro, è sempre possibile fare di
meglio. Con un problema maligno si può sempre far di meglio.
Normalmente un planner conclude i suoi sforzi per considerazioni che
sono esterne alla logica del problema: limiti di risorse, di tempo, di
interesse.
3. Le soluzioni di problemi maligni non sono vere o false, ma buone o cattive.
Esistono criteri per stabilire oggettivamente se la soluzione di un
problema matematico è corretta o falsa.
Per un problema maligno no: molto diversi soggetti possono avanzare la
pretesa di valutare le soluzioni e nessuno ha il potere di decidere la
oggettiva correttezza della soluzione.
Ciascun soggetto può dire se la soluzione è buona o cattiva relativamente
ai propri interessi e valori, nessuno se è corretta o meno in assoluto.
4. Non esiste una possibilità di verifica diretta o definitiva per la soluzione
di un problema maligno.
Le conseguenze di ogni soluzione tentata ad un problema maligno si
ripercuotono in diverse aree e per un periodo di tempo indeterminato, ne
deriva che non è possibile dare una valutazione definitiva dei risultati
finché non si sono esaurite tutte le possibili catene di conseguenze; e ciò
125
è reso difficoltoso dal fatto che difficilmente si è grado di individuarne
tutte le aree all'interno delle quali una azione produce conseguenze.
5. Ogni soluzione di problemi maligni è un'operazione unica e irreversibile;
non c'è possibilità di prova ed errore ogni tentativo conta.
Nel campo delle scienze fisiche e naturali il tecnico può tentare diverse
soluzioni per approssimarsi a quella corretta.
Nei problemi di pianificazione ogni soluzione messa in atto genera
conseguenze rilevanti e irreversibili (Non si può costruire una autostrada,
vedere come funziona, e poi rifarla se i risultati non sono soddisfacenti).
Il tentativo di correggere errori dovuti a soluzioni "sbagliate" genera una
serie di problemi maligni che incorrono nello stesso tipo di dilemmi.
6. I problemi maligni non hanno un numero limitato di possibili soluzioni,
né è possibile descrivere in modo completo le operazioni da compiere per
perseguire una determinata soluzione.
Nel trattamento di un problema maligno vengono individuate alcune
soluzioni e ne vengono trascurate molte altre in modo del tutto
contingente senza che sia possibile stabilire la rilevanza di quelle
considerate e conoscere quelle escluse. È materia di arbitrio lo stabilire
quando interrompere la ricerca di soluzioni alterna6ve dal momento che
non esistono regole assolute.
Dal punto di vista delle operazioni da compiere l'unico criterio è quello
del realismo e della disponibilità dei mezzi, non quello della loro
adeguatezza.
126
rete di causazione tanto più intrattabile diventa il problema, ma allo stesso
tempo tanto più si resta a valle tanto più diventa difficile rimuovere le cause
del problema. Questi aspetti dilemmatici fanno sì che non esista un "livello
naturale" del problema.
9. L'esistenza di una discrepanza rappresentata da un problema maligno
può essere spiegata in molti modi. La scelta della spiegazione determina
la natura della soluzione al problema.
Nel campo della pianificazione e dei problemi maligni nessuna immunità di questo
tipo è tollerata. L'obiettivo non è trovare la verità ma migliorare il mondo nel quale
la gente vive. I planner sono pertanto considerati responsabili per le azioni che
producono.
In questo modo Rittel e Webber offrono una prospettiva impegnativa per l’attività di
pianificazione che a partire da una critica radicale del modello della Razionalità
Tecnica invita a trovare vie di uscita non semplificatrici
127
14. 2 Charles Lindblom:
Alla base degli argomenti di Webber possiamo rintracciare un rapporto diretto con
il pensiero pluralista ed in particolare con il lavoro teorico di Charles Lindblom che
criticando il Modello Razionale della assunzione delle decisioni (quadrante A)
sostiene che non regge perché.
• sono attori non solo quelli che hanno un potere formale in un processo
decisionale, ma tutti quelli che ne sono in qualche modo toccati,
• non abbiamo mai una informazione completa, e che tutti gli attori sono in
una situazione di Mutua interdipendenza partigiana.
• Tutti hanno una posizione di parte e debbono interagire con altri e adattarsi
per perseguire i propri obiettivi.
• Tutti gli attori nel perseguire i propri obiettivi sono costretti a interagire con
gli altri e a adattarsi ad altri obiettivi,
• Tutti hanno interessi di parte anche se affermano di agire nell'interesse
pubblico, perché dell'interesse pubblico esistono definizioni a seconda dei
partiti politici o dei ruoli amministrativi,
• Tutti adottano un approccio incrementale: ciascuno rispetto al problema
tiene conto di solo poche alternative che non siano molto dissimili alla
situazione attuale. Ovvero considerare solo poche alternative non molto
diverse tra loro e non molto diverse dalla situazione/politica attuale
producendo un cambiamento incrementale
• Incrementalismo disgiunto.
• Il Mutuo Aggiustamento Partigiano come un gioco in cui ogni gruppo di
interesse agisce come "cane da guardia" per i suoi interessi.
• La partecipazione di molti è necessaria per garan2tie che tu< gli interessi
essenziali ricevano un'attenzione adeguata.
• gruppi negoziano, contrattano e fanno compromessi nell'arena politica per
raggiungere decisioni tra richieste contrastanti.
• Non è necessario condividere i valori e gli obiettivi principali della vostra
controparte per trovare un accordo con lei/lui in una decisione concreta di
pianificazione.
128
Il coordinamento centrale o completo non è possibile perché richiederebbe:
Se noi consideriamo che tutti sono portatori di interessi che debbono essere tenuti
in conto allora possiamo razionalmente ipotizzare l’impatto di ogni decisione. Da qui
il concetto di rischio controllato.
Webber e Lindblom,
Si tratta di posizioni che non solo ci parlano di conflitto non solo come accidente ma
anche come forma normale dello sviluppo delle società.
Webber nella sua critica al modello della Razionalità Tecnica come azione capace di
interpretare l’interesse generale, apre ad una concezione del processo di
pianificazione come processo negoziale come un processo ne quale si confrontano
le diverse posizioni e da qui prende le mosse l’esperienza della Advocacy Planning
(Jane Jacobs) dove l’urbanista è visto come un avvocato che partecipa ad un processo
difendendo gli interessi di un gruppo, ed in particolare dei ruppi svantaggia:
Lindblom con la sua concezione pragmatica dei processi decisionali ci dice che la
partecipazione non è una scelta di valori ma può essere una scelta orientata ad
aumentare la capacità di decisioni pubbliche di essere efficaci, più razionali e quindi
queste teorie ci dicono che alcune scelte hanno radice teoriche più importanti.
129
14.3 Albert Hirschman:
Anche lui economista, sociologo
Uno dei più grandi pensatori del 900, economista, scienziato politico, planner in
forme completamente non convenzionali.
Ce ne occuperemo solo come autore di una posizione che può essere assunta tra
altre come teoria appropriata per la situazione D quella di conflitto sugli obiettivi e
di incertezza sulle tecnologie di intervento. È anche lui un demolitore degli approcci
convenzionali alla pianificazione che lavora con gli stessi concetti con i quali Webber
e Lindblom si sono misurati.
Basa le sue teorie su una osservazione diretta dei processi in par6colare in uno dei
primi libri intitolato «Progetti di sviluppo» nel quale riflette ed elabora teorie
interpretative sui problemi della pianificazione (della Banca Mondiale) in paesi in via
di sviluppo.
«lo sviluppo non dipende tanto dal trovare combinazioni ottimali per risorse e fattori
di produzione dati, quanto dal richiamare e coinvolgere a fini di sviluppo risorse e
capacità che sono nascoste, sparse o male utilizzate»
130
Qui troviamo una relazione diretta con la riflessione di Donald Schon che nel suo
"The reflective practitioner" partendo dall'unicità dei problemi di pianificazione porta
il suo attacco alla Technical Rationality e propone l'idea di frame reflection e
reflective practice.
"un approccio al mondo sociale che sottolinei l'unico piuttosto che il generale,
l'inatteso piuttosto che l'atteso, e il possibile piuttosto che il probabile. Perché
l’intento fondamentale dei miei scritti è stato quello di ampliare i limiti di ciò che è o
di ciò che è percepito come possibile, sia a costo di abbassare la nostra capacità, reale
o immaginaria, di discernere il probabile”
131
affinare le loro opinioni su ciò che può essere fatto in termini di cambiamento sociale
e agire di conseguenza. Lo sviluppo, dal punto di vista del possibilismo, è la ricerca
di processi endogeni, non di spinte esterne".
132
15.0 Approccio partecipativo:
Al di là delle scelte di valore sappiamo che nelle diverse
situazioni problematiche solo la situazione A non
richiede interazione. B,C,D prevedono forme diverse di
partecipazione come condizione per poter affrontare
efficacemente i problema.
133
• USA Empowerment Zones ed Enterprise
Community
• USA Consensus building approach.
7. Potere delegato
6. Partnership
Partecipazione formale
4. Consultazione
3. Informazione
Non partecipazione
2. Terapia
1. Manipolazione
134
NIMBY not in my backyard, negli anni ’70 sono nati
molti movimenti partecipativi per non avere strade, fili
elettrici nei pressi delle proprie abitazione. Questa fase
sottolinea che il consenso è rilevante.
• sfida al professionalismo;
• antidoto alla autoreferenzialità dei sistemi di
produzione dei servizi (anche urbanistici);
• strategia per favorire l’innovazione;
• strategia per favorire il negoziato;
• strategia adeguata a trattare in modo integrato
diverse dimensioni di progetti complessi;
• per un riavvicinamento ai bisogni dei destinatari
delle politiche e dei progetti;
• come processo che alimenta l’auto-
affidamento;
• strategia capace di sviluppare senso di
appartenenza da parte dei partecipanti nei
confronti del progetto.
135
Strumenti per l’integrazione.
4. Il workshop
136
6. questioni, oppure adoperando anche il Brainstorming. Anche con la Costruzione
di scenari.
7. Charrette, ovvero cercare più soluzioni di uno stesso problema per giungere così
alla migliore soluzione. Test Planning.
Quarta fase del planning chi fa che cosa quando e dove, localizzare i miglioramenti
e come s
137
• costruzione di una concezione allargata di partnership che include soggetti
deboli capaci di portare risorse fondamentali.
• costruzione di capitale intellettuale, sociale, politico
• le comunità non vengono informate dei risultati del lavoro nel quale sono
state coinvolte una volta che i processi entrano nella "scatola nera" delle
procedure amministrative;
• i tempi necessari a trasformare progetti o piani costruiti in modo partecipato
in atti amministrativi sono generalmente troppo lunghi per non produrre
caduta di tensione e disillusione;
• nel processo di implementazione riemergono logiche settoriali nel
finanziamento e nella realizzazione degli interventi, e quando vengono fatti
hanno caratteri diversi: più grandi, più costosi, più pesanti o nulla;
• cose semplici, che possono dare un segno di continuità, di interesse e cura
verso chi è stato coinvolto e verso le comunità locali, sono generalmente
ignorate perché considerate marginali.
Rischi
Resistenze pervasive
Occorre lavorare sul contratto con l'amministrazione partendo dai risultati ottenibili
Bisogna fare sempre due contratti, un primo che stabilisce il campo decisionale, ed il
secondo che è il vero e proprio contratto.
A partire degli anni ’90 sono stati molti gli approcci partecipativi ai piani urbanitici.
138
La partecipazione all'interno di programmi ordinari
Rischi
In sintesi
Occorre quindi
• Essere consapevoli del fatto che si tratta di una prospettiva necessaria nei
processi di riqualificazione urbana
• Largamente praticata in Europa e nel mondo
• Che richiede nuove abilità e competenze progettuali
• Competenze che possono essere apprese se ci si pone in una situazione di vero
ascolto e di ricerca di una chiarezza metodologica
• Se si ha coscienza delle molte trappole di cui è disseminato il terreno dei progetti.
139
Trappole:
Speranze:
140
16.0 La pianificazione strategica
La pianificazione strategica è vicina alla pianificazione
partecipativa.
141
affrontando e di incorporare i cambiamenti strutturali che
sono necessari.
142
Ragioni e applicazioni della pianificazione strategica
o Indirizzare le trasformazioni,
o Rigenerazione urbana ,,
o Grandi progetti e infrastrutture
o Sviluppo economico locale
o Competizione fra territori
o Attrazione di investimenti,
o Sostenibilità,
o Qualità urbana,
o Grandi eventi,
o Problemi sociali,
o Partnership.
143
16.1 La pianificazione di struttura inglese:
144
La pianificazione strategica fornisce un insieme di
concetti, procedure e strumenti che possono aiutare le
organizzazioni del settore pubblico ad affrontare il
cambiamento.
Obiettivi:
Processo pianificatore
145
2. Il secondo passo è l'identificazione dei mandati, o
"must", che affrontano la società o l'agenzia
governativa.
3. Il terzo passo è la chiarificazione della missione e
dei valori dell'organizzazione missione e dei valori
dell'organizzazione, o "vuole", perché hanno una
forte influenza sull'identificazione e la risoluzione
di questioni strategiche.
146
La sequenza è piramidale.
147
16.3 Il Piano di Barcellona:
Nel 1986 dopo la fine della dittatura si dovevano affrontare una serie di problemi. Si
lavorava alla scala metropolitana ed importante era la collaborazione tra gli attori.
Nei piani strategici si procede per momenti si osserva la “Big Picture” Vengono
affrontati i temi della distribuzione dell’acqua, dell’energia rinnovabile e dell’housing.
Charles Lindblom (1978): scrive in un saggio un metodo che tratta la competenza del
pianificare come una risorsa scarsa un metodo che impiega una varietà di dispositivi per
superare problemi analitici e utilizza l’interazione come sostituto dell’analisi.
un metodo che cerca di fare uso sistematico dell'intelligenza con cui individui e gruppi
perseguono le proprie preferenze sostenendo i processi che vanno nella direzione
desiderata o cercando di influenzare
H. dice che la natura relazionale del fare strategia per generare mobilitazione, per
diventare orientamento, un nuovo “discorso” che viaggia in diverse arene, che cerca di
correlare il lavoro attivo degli individui.
148
Innes, Gruber, Boher ci dicono invece che la pianificazione contribuisce alla produzione
di capitale sociale, politico, intellettuale.
Hillier (2007) dice che “strategic spatial planning should not involve the adoption of pre-
determined solutions but might offer a ‘genuine possibility’ of experimentation for
actants to ‘internally generate and direct their own projects’.” Traiettorie, piuttosto che i
punti finali: Un modo sperimentale di lavorare con l'incertezza e il dubbio,
l'improvvisazione, l’adattamento, la creazione.
Francois Jullien (2006), sinologo scrive un volume sul confronto tra la storia occidentale
e quella orientale. La storia occidentale è basata sul confronto delle figure. In Cina invece
lo stratega deve partire da una situazione, non da quella che potrebbe essere
modellizzata, ma da quella specifica e imprevedibile all'interno della quale è capitato,
cercando di scoprire il suo potenziale e come fare uso di essa. In questo senso è il
"potenziale della situazione" - piuttosto che il Piano (e la volontà dello stratega) – ad
essere rilevante, e le circostanze non possono essere considerate solo come generatrici
di attriti.
149
17.0 La strategia dell’IBA Emsher Park:
Rigenerare un territorio, il più industrializzato della
Germania, devastato
150
della regione quanto al resto dello stato federale e dell’Europa.
L’IBA ovvero mostra internazionale tedesca prende le mosse dalle grandi esposizioni
mondiali. Queste erano mostre in cui si chiamavano a concorrere diversi artisti ed
architetti a realizzare dei progetti come housing o altri simili.
Le sfide socioeconomiche
Le sfide politico-amministrative
Immagine
Da qui utilizzando L’IBA vengono designati una serie di piccoli progetti. Così aveva
fatto Mazza nell’avere una strategia generale, per far fronte al rapido cambiamento
della società.
Non è stato disegnato alcun Piano tradizionale di tipo fisico ma sono stati promossi
attraverso una serie di bandi singoli progetti (estesi o puntuali) riferiti ad una visone
di lungo periodo legata al tema di fondo della modernizzazione nel rispetto
151
della memoria del passato industriale e alla
promozione della cultura come catalizzatore di nuove
trasformazioni e funzioni.
152
• Brownfields piuttosto che green fields
• Piccolo piuttosto che grande
• Il piano impara dai progetti
Milano era in buone condizioni Economiche però aveva problemi rilevanti dal punto
di vista della qualità della vita. Obiettivi non erano quindi nuove infrastrutture bensì
un miglioramento della qualità dell’abitare.
1. l’ABITABILITÀ: per rispondere alle aspirazioni dei cittadini verso una migliore
qualità della vita nel territorio della provincia e sostenere la competitività
nelle nuove condizioni di concorrenza, occorre costruire un grande progetto
partecipato finalizzato al miglioramento della qualità dell’abitare
154
2. la CITTÀ DI CITTÀ: per dare forma allo sviluppo
e rispondere alle esigenze della popolazione
della provincia occorre rafforzare la
cooperazione tra comuni, individuando ambiti
significativi per la affermazione di una nuova
urbanità.
Ispirazione è stato il Piano della Ruhr. a seguito del documento strategico è stato
definito un bando città di città poi un atlante, a sua volta seguito da dei progetti
pilota. Infine, un documento finale.
Il Bando ebbe un successo enorme, che definiva dei metodi d’approccio, l’abitare
come migliorarlo, come condividere gli spazi, con parchi urbani, spazi per i bambini.
Importante è stata anche la mostra alla Triennale “VIVIMI” questa metteva in mostra
i cambiamenti che avvenivano a Milano e organizzava il teatro di città di città, che
permetteva agli autori dei progetti di presentarli, creando un forum tra i diversi
soggetti.
La visione finale proposta era una città che funzionava grazie al rapporto con tutti i
nuclei urbani, un nodo rilevante, un porto internazionale, un città che respira, più
verde, in cui le infrastrutture creano valore aggiunto, ma che è anche accogliente,
che facilità la ricerca di casa, che è giovane, cosmopolita e dinamica, aperta
all’innovazione sociale, coesa e competitiva.
IN SITUAZIONI COMPLESSE
156
• Non separando le conoscenze professionali dall'interazione
• Coinvolgendo gli attori interessati in una riflessione comune: se partecipano
• alla definizione dell'orientamento verranno orientati
• Particolarmente appropriata in situazioni di post-metropolitane.
In conclusione
157
18.0 Reinventing Cities:
Obiettivo rigenerare delle aree pubbliche, attraverso un
particolare concorso.
• Viale Doria;
• Serio;
• Scuderie de Montel;
• Scalo Greco Breda.
158
conservazione del plesso edilizio delle scuderie
costituisce l’idea progettuale vincitrice.
Queste sono:
• Piazzale Loreto;
• Bovisa;
• Crescenzago;
• Ex Macello;
• Palazzine Liberty;
• Monti Sabatini.
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Il risultato prevede la pedonalizzazione di parte dei
percorsi attualmente occupati da macchine per dar
spazio ad una piazza, ed Hub metropolitano.
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