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Alessandro Manno

URBANISTICA
Prof. Alessandro Balducci

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INDICE:

Capitolo 1- Sette tesi sulla città e sull’urbanistica………………………….………………4

Capitolo 2- Gli strumenti dell’urbanistica nel tempo………..……………..…….….......9

Capitolo 3- Jane Jacobs……………………………………………………..…………..….…………23

Capitolo 4- Strumenti di pianificazione urbana per Milano………….………….… 30

Capitolo 5- Giovanni Astengo …………………………………………………………………… 37

Capitolo 6- Campos Venuti…………………………......………………………………………… 44

Capitolo 7- Giancarlo de Carlo……………...……………………………………………………..53

Capitolo 8- Kevin Linch……………………..……………...….………………………………………64

Capitolo 9- Bernardo Secchi……………...………………………………..…………………….…73

Capitolo 10 – Secchi, un progetto per Prato 1…………..………..………………………...79

Capitolo 11- Alberto Magnaghi………………………………...…………………………..…….97

Capitolo 12- Luigi Mazza……………………………………………...……………...……..……..105

Capitolo 13-Planning Theory 1: Christensen, Schön ………………...…………..…..114

Capitolo 14- Planning Theory 2: W. H e L …………………….….…………………...…...120

Capitolo 15- Pianificazione partecipativa……………………..………………...………...133

Capitolo 16-Pianificazione Strategica……………………………………….……………….141

Capitolo 17- La strategia dell’IBA Emsher Park ,sulla Rhur…………………………150

Capitolo 18- Reinventing cities……………………………………….…………………………158

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A cura di Emma Mariotti

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1.0 prima tesi, Le città e la diversità:
La Città è un concetto, una definizione che sembra
conferire una certa conformità, ed è l’unico
fenomeno che non varia nome a seconda delle
dimensioni. Essa è un insieme di case e fabbriche che
è tendenzialmente circondato dalla campagna.

Le città hanno un carattere, possono essere di corsa


o lente, sicure, insicure belle o brutte egoiste o
generose. Ma anche la loro popolazione può essere
aperta o chiusa.

Le città differiscono nella forma, per esempio Milano


è una città radiocentrica, New York ha una struttura
a griglia. Ovviamente la forma è anche esito del
condizionamento naturale.

Le città sono anche diverse nell’impronta sul


territorio. Possono essere molto estese o contenute.

Ciascuna città ha un diverso rapporto con il territorio,


non possiamo capire una città senza averne capito il
rapporto con il contesto naturale. E varia anche
molto la densità di popolazione, Milano è più
densamente popolata di Roma poiché il territorio
comunale è più ristretto.

1.1 Seconda tesi, Le città sono sempre


state la culla dell’innovazione:
Peter Hall, nel suo libro “Cities in Civilisation” del
1998, esamina il ruolo che hanno avuto le città nel
processo di civilizzazione del genere umano.

P. Hall, uno dei più grandi urbanisti contemporanei,


evidenzia quattro ondate di innovazione:

• Culturale
• Tecnologico- produttiva
4
• Culturale tecnologica
• Tecnologico organizzativa (internet)

È da considerare che questo libro sia stato scritto prima dell’epoca di maggiore
diffusione del WEB.

Le città dell’innovazione culturale furono:

1. Atene 500 a.C.;


2. Firenze 1400;
3. Londra 1600;
4. Vienna 1800
5. Parigi 1900;

Peter Hall fa notare come tutte queste città nei loro momenti d’innovazione
fossero capitali ed avessero un eccesso di ricchezza, e quindi erano poli attrattivi.

Le città dell’innovazione tecnologico-produttiva sono:

1. Manchester 1770, Macchina a vapore


2. Glasgow 1840, Produzione industriale di Ford
3. Detroit 1900, Rapporto con la ricerca scientifica

Le città dell’innovazione tecnologico-culturale sono:

1. Los Angeles 1920, Cinema


2. Memphis, 1955, l’industria discografica

Queste uniscono innovazione e tecnologia. Queste hanno permesso di produrre


in larga scala l’arte del teatro e la musica.

Queste erano città distanti in fase di sviluppo, Los Angeles era una cittadina di
villaggi, queste riuscirono però ad unire arte e tecnologia.

L’ultima fase, L’innovazione tecnologico-organizzativa: Internet e computer,


Urban Innovation Trova figure come Jobs e Gates.

Tutto questo ci dice che nella storia del progresso e della città sono avvenute due
cose importanti:

• Si sono progressivamente sommate tutte le forze culturali, tecnologiche,


produttive, artistiche, organizzative che fanno delle città i motori del
progresso

5
• -le città che sono oggi la punta più avanzata non sono capitali, città di
secondo rango come Manchester o addirittura periferiche come
Memphis ma costellazioni di città che grazie a Internet e alla mobilità
tengono insieme città grandi e piccole zone di campagna e zone molto
costruite infatti oggi noi siamo tutti collegati

1.2 La terza tesi, Il secolo delle città:


Attualmente gran parte della popolazione mondiale vive nelle città. La crescita
della popolazione è stata così rapida da portare ad un aumento di 1 miliardo nella
popolazione mondiale in solo 10 anni. L’adozione delle nuove tecnologie è
sempre più rapida ed è direttamente correlata all’aumento della popolazione
urbana, questo perché nella città si diffondono le idee e le invenzioni.

1.3 Quarta tesi, Le città hanno cambiato natura, sono


Mega city e mega-city regions:
Le città non sono più chiuse e separate dalla campagna ma si mischiano con essa
ed hanno al loro interno sia spazi costruiti che ampi spazi aperti.

Le città più piccole e più antiche si sono unite tra di loro ed hanno formato delle
aree grandi quanto le regioni dette mega-city e mega-city regions: sono città con
milioni di abitanti che hanno messo in connessione molte città.

Milano è un esempio di mega city regions che addirittura comprende città di tre
regioni. La conurbazione non è continua ma è senz’altro connessa.

1.4 Quinta tesi, Lo sviluppo è legato alle infrastrutture:


Le infrastrutture ovvero reti del trasporto, dei servizi, delle comunicazioni,
dell’energia, dei rifiuti sono essenziali allo sviluppo di una città. Quindi le
infrastrutture variano dagli spostamenti aerei ai cavi sottomarini che permettono
le connessioni internet.

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1.5 Sesta tesi, la crescita poco controllata crea problemi:
ovvero:

• La congestione: ogni giorno la popolazione di molte città raddoppia perché


ci sono tante persone che ci entrano per lavoro
• L’inquinamento dalle automobili e dalle fonti di energia fossile
• Mancano gli spazi verdi come i parchi e giardini
• Si costruisce tanto, con tanto cemento, anche sulla natura
• Ci sono molte case per chi non ne ha bisogno (case costose) e mancano per
quelli che ne hanno bisogno
• Aumentano disuguaglianze tra le persone e la povertà.

È chiaro che sia necessario capire come agire, il che avviene studiando la realtà.
Bisogna quindi intervenire ma come?

congestione ed inquinamento sono legati ai trasporti che si usano per spostarsi. Ci


sono molti modi per spostarsi e dobbiamo incoraggiare quelli che inquinano meno.
dare più spazio alla natura, Difendendo e migliorando gli spazi verdi promuovendo
quindi forestazione urbana. Riscoprendo i corsi d’acqua che sono stati coperti e
rafforzando il rapporto con l’agricoltura. Ovviamente anche riducendo l’utilizzo di
suolo.

Prendersi cura dello spazio pubblico e delle persone, di tutti anche dei ceti meno
abbienti.

1.6 Settima tesi, l’urbanistica:


L’urbanistica studia l’insieme dei fenomeni urbani in vista di un loro possibile
trattamento. Alcune definizioni fondative e generali:

L'urbanistica è la scienza che si occupa dei fenomeni urbani in tutti i loro aspetti,
avendo come proprio fine la pianificazione del loro sviluppo storico sia attraverso
l'interpretazione, il riordino il risanamento l'adattamento funzionale e degli
aggregati urbani già esistenti e la disciplina della loro crescita, sia attraverso
l'eventuale progettazione di nuovi aggregati, sia infine attraverso la riforma e
l'organizzazione ex novo dei sistemi di raccordo degli aggregati tra loro e con
l'ambiente naturale. 2

l'urbanistica si occupa di tutto ciò: delle trasformazioni del territorio dei modi nei
quali avvengono e sono avvenute, dei soggetti che le promuovono, delle loro
interazioni, delle tecniche che utilizzano, dei risultati che si attendono, degli esiti che

2
Giovanni Astengo voce dell’Encliclopedia 1966
7
ne conseguono, dei problemi che di volta in volta sollevano inducendo a nuove
trasformazioni […] per urbanistica intendo quindi non tanto un insieme di opere,
di progetti, di teorie o di norme unificate da un tema, da un linguaggio e da
un'organizzazione discorsiva, tanto meno intendo un settore di insegnamento,
bensì le tracce di un vasto insieme di pratiche: quelle del continuo e consapevole
modificare lo stato del territorio e della città. 3

3
Bernardo Secchi, Prima Lezione di Urbanistica, 2000
8
2.0 La pianificazione in Italia prima
della legge n.1150 del 1942:
In Italia prima della legge n. 1150 del 1942 non vi era
nessuna legge che stabiliva le procedure
urbanistiche. Ogni volta si approvavano
singolarmente i casi. Il piano prevedeva un disegno
di massima delle espansioni.

Nel 1865 il piano Poggi di Firenze fu creato poiché


deciso di spostare la capitale da Torino a Firenze. Il
piano di Giuseppe Poggi del 1865 si limitava a
definire le zone d’espansione.

Così anche il piano di Cesare Beruto del 1884-89 per


Milano. Anche questo piano prevedeva la
demolizione delle cinta murarie. Il piano
d’espansione propone una serie di interventi ispirati
a modelli internazionali. Il primo atto ritenuto utile è
la demolizione delle mura, sostituite con un ampio
viale alberato a cui si affianca un altro anello
circolare, che delimita l’espansione massima prevista
per la città. Nella fascia d’espansione così ottenuta,
scandita da una maglia regolare di strade e piazze,
vengono prolungati e proiettati verso il territorio i
principali assi di penetrazione che convergono verso
il centro storico. Lo stesso disegno incentrato
sull’espansione era quello per Roma di Endmondo
Sanjust.

Tra questi piani ve ne sono alcuni che anticipano


aspetti della legge 1150. Esempio è il piano di Roma
del 1931 che oltre a definire le aree di nuova
costruzione utilizza il mezzo dell’esproprio. Anche il
piano di Napoli del 1939 fu innovativo, Luigi
Piccinnato fu il suo autore e diede molto spazio ad
un’analisi alla scala regionale.

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2.1 La legge n.1150 del 1942:
Nel 1930 viene fondato l’INU-Istituto nazionale
d’Urbanistica, con l’intento di studiare i problemi
dello sviluppo sociale, culturale ed economico delle
città. La prima fase di lavoro dell’INU si concluse nel
1942 con l’approvazione della LUN, che
rappresentava una prima bozza di legge urbanistica
italiana.

Questa legge non fu di facile approvazione, portò ad


uno scontro tra i difensori della proprietà privata e
quelli che invece volevano porre dei limiti ai diritti di
utilizzazione fondiaria.

La legge portava le seguenti innovazioni:

• Instaura il Piano regolatore Generale;


• Prevede un nuovo sistema di pianificazione;
• Regolamenta l’esproprio e definisce la
zonizzazione.

Il PGR doveva essere esteso a tutto il territorio


comunale e non solo le aree di espansione.

Cosa indica Il PGR?

• la rete delle principali vie di comunicazione


stradali, ferroviarie e nel caso navigabili con
l’obiettivo di sistemare lo sviluppo
dell’abitato
• la divisione in zone del territorio precisando
quelle di nuova espansione
• le aree destinate a formare gli spazi pubblici
• le aree destinate alla sede comunale e alle
chiese e alle scuole e alle opere d’interesse
generale.

il PRG è obbligatorio per tutti i comuni indicati dal


Ministero dei Lavori Pubblici;

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Il PRG è attuato a mezzo di piani particolareggiati di
esecuzione in cui vengono indicati le reti stradali e i
principali dati altimetrici di ciascuna zona. Ed è
obbligatorio per tutti i comuni indicati dal ministero
dei lavori pubblici.

La legge prevedeva anche la pianificazione


Intercomunale PIC ed il piano territoriale di
coordinamento. Questo ha valore indeterminato ed è
di competenza del ministero dei lavori pubblici (stato
centrale) che stabilisce di volta in volta il perimetro.
Esso stabilisce:

• Le zone da riservare a speciali funzioni;


• Le sedi per nuovi nuclei urbani;
• Le reti principali per la mobilità.

La legge regolamenta l’esproprio e definisce la


zonizzazione:

1) I comuni dotati di PRG possono espropriare entro le


aree di espansione urbana le aree inedificate e quelle su
cui insistono costruzioni in contrasto con le previsioni
del piano. L’indennità svincolata e non tiene conto degli
incrementi di valore derivanti dalle previsioni di piano.

2) I PRG erano elaborati sul principio della zonizzazione:


metodo di suddivisione del territorio in zone, distinte
per omogeneità̀ di destinazione edilizia. L’attribuzione
alle autorità̀ urbanistiche del potere di zonizzare, e
quindi di conformare le proprietà private, consente di
eliminare il ricorso alle leggi speciali e di avere il
controllo sulle trasformazioni future.

Un esempio di Piano regolatore post legge n. 1150 è


quello di Milano del 1953. Il piano prevede la
zonizzazione. Si nota come le parte di città siano
chiaramente studiate e suddivise in zone. Quando il
piano fu approvato la guerra era già finita da tempo e
vi erano già state grandi trasformazioni. Questo piano
non prevedeva lo sviluppo urbano ma lo seguiva.

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2.2 Il dopoguerra, i piani di ricostruzione e gli
scandali edilizi
Nel 1942 la legge urbanistica fu approvata in piena guerra mondiale. La guerra
finisce nella primavera del 45 e inizia la fase della ricostruzione del paese. I danni
sono enormi, sebbene meno gravi di altri paesi europei come la Germania e la
Polonia.

Si rivela particolarmente grave il problema abitativo che già prima della guerra
era molto grave: il censimento del 1931 aveva rilevato una popolazione di 41,6
milioni di abitanti e 31,7 milioni di stanze; nell’ipotesi, allora ancora accettabile di
uno standard di un abitante per stanza c’era un deficit di quasi 10 milioni di
stanze!!!

La procedura per i piani di ricostruzione era molto veloce. Questo perché si


pensava che l’edilizia potesse diventare la locomotiva della ricostruzione. Il
settore edilizio si è trovato così in alleanza con il settore industriale. Perché
entrambi si basavano sui fenomeni migratori interni al paese.

Nel 1951 fu votata la Legge n.1402 che prevedeva, per i Comuni compresi in
appositi elenchi, l'obbligo di adottare entro tre mesi un PIANO DI
RICOSTRUZIONE.

In questa prospettiva, il settore edilizio si è trovato in posizione di oggettiva


alleanza con il settore industriale perché entrambi si alimentavano grazie agli
spostamenti migratori interni al paese.

Negli anni 60, le città crescono e si realizzano nuovi quartieri residenziali per
assorbire le ondate migratorie ma la speculazione in tutto il paese, soprattutto
nel mezzogiorno, riesce ad alimentare una rete sempre più fitta di collusioni.

Il che portò realizzare edifici anche in zone non proprie, esempio è il caso di
Napoli, del quale è anche stato realizzato un film 4

Da un'inchiesta del ministro dei LL. PP. negli anni 60 emergono dati
impressionanti: solo in un quarto dei Comuni italiani (2000 circa) sono state
autorizzate lottizzazioni per circa 115.000 ettari, per oltre 18.000.000di vani,
sufficiente a colmare il fabbisogno nazionale fino al 1980.

4
Le mani sulla città, 1963, regia di Francesco Rosi.
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Queste situazioni gravi spingono a correre ai ripari e, nell'estate del 1967 si
approva la Legge 765, della "Legge ponte", in quanto avrebbe dovuto costituire
un tramite tra la vecchia Legge del 1942 e la futura riforma urbanistica sempre
più necessaria per limitare la lottizzazione sfrenata. L'innovazione fondamentale
riguarda i cosiddette "standard urbanistici", cioè̀ la quantità minima di spazio
che ogni Piano Regolatore deve inderogabilmente riservare all'uso pubblico e la
distanza minima da osservarsi nell'edificazione ai lati delle strade. Questi valori
verranno fissati con due successivi decreti, rispettivamente il D.M. 1444 del 2
aprile 1968 e il D.M. 1404 del 1968.

Il decreto prevedeva STANDARD RIFERITI A DIVERSI TIPI DI ATTREZZATURE:

• alcune d’interesse locale (raggiungibili in 20/25 min): 18 mq spazio


pubblico (nido, scuola, attrezzature d’interesse comune,
parcheggi, verde….) e altri d’interesse territoriale.

Questo strumento viene applicato attraverso le ZONE OMOGENEE (zona A, B, C,


D, F, G) una tecnica di progettazione della città che consolida una concezione del
disegno urbano basato sulla rigida MONOFUNZIONALITA’ delle diverse parti e
nella negazione del carattere complesso tipico dell’organismo urbano.

Questi strumenti non tengono conto:

• dei tempi e dei modi di accessibilità,


• del rapporto tra attrezzatura e sito,
• delle opportunità di integrazione tra attrezzature diverse ma
complementari, dell’opportunità di diversificare le stesse dotazioni
ad abitante in relazione a diverse situazioni demografiche.

Tutta questa situazione che fa i conto con una densificazione pesante e poco
controllata dei centri metropolitani e la difficile gestione dei territori spinge per
l’attuazione delle regioni a statuto ordinario. Cioè la creazione di un livello
intermedio di pianificazione tra lo Stato Centrale e i Comuni capace di coordinare
la gestione del territorio.

Il PIANO INTERCOMUNALE MILANESE è una sperimentazione della


«pianificazione territoriale allargata» iniziata negli anni 50 e svolta a cavallo
dell’istituzione delle regioni.

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2.3 L’attuazione delle regioni a
statuto ordinario nel 1972:
Tutta questa situazione che fa i conti con una
densificazione pesante e poco controllata dei centri
metropolitani e la difficile gestione dei territori
spinge per l’attuazione delle regioni a statuto
ordinario. Cioè la creazione di un livello intermedio
di pianificazione tra lo Stato Centrale e i Comuni
capace di coordinare la gestione del territorio.

Non vi era fino ad allora un momento di controllo


intermedio.

Il PIANO INTERCOMUNALE MILANESE è una


sperimentazione della «pianificazione territoriale
allargata» iniziata negli anni 50 e svolta a cavallo
dell’istituzione delle regioni.

Il primo piano regolatore di Milano del ’53 cercava di


governare le trasformazioni della città, ma non ci
riesce quindi l’amministrazione percepisce la
necessità di sviluppare un piano intercomunale per
cercare di controllare il fenomeno ad una scala
differente. Nel ’59 il ministero dei lavori pubblici
approva questa richiesta di istituire un piano
intercomunale e nel ’61 l’assemblea dei sindaci si
incontra per la prima volta. Nel ’63 la prima proposta
è quella a turbina di Giancarlo de Carli, poi sono
avanzate altre tre proposte.

Il caso milanese è un caso sperimentale essenziale


per gli sviluppi seguenti.

Nel gennaio del 1972 (DPR n.8 del 15 gennaio) le


Regioni ereditano dallo stato centrale quasi tutti i
poteri urbanistici.

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Con l’attuazione delle regioni, queste si occupano:

• Approvazione degli strumenti urbanistici (piani territoriali di


coordinamento, piani regolatori generali comunali e intercomunali, piani
di ricostruzione, regolamenti edilizi e programmi di fabbricazione, piani
particolareggiati;
• Il controllo e la vigilanza sull’attività urbanistica degli enti locali;
• Approvazione dei piani dell’edilizia economica e popolare;
• Redazione e approvazione dei piani territoriali paesistici.

Il meccanismo non è ancora del tutto a regime che subito lo si scardina con
l’approvazione di leggi che permettono delle deroghe, cancellano la
programmazione regionale e consentono la localizzazione degli interventi
indipendentemente dalle previsioni del piani urbanistici.

Gli anni 80 sono anni difficili in cui si torna indietro su vari fronti, gli anni del condono
edilizio ma è un decennio di presa di consapevolezza dei danni all’ambiente e al
territorio.

2.4 La questione ambientale e la legge Galasso del 1985:


Nel 1983 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite affidò alla Commissione Mondiale
su Ambiente e Sviluppo (World Commission on Environment and Development,
WCED), la redazione di un rapporto sulla situazione mondiale dell’ambiente e dello
sviluppo. “Our Common Future”, più comunemente detto Rapporto Brundtland, dal
nome del primo ministro norvegese Gro Harlem Brundtland che presiedeva la
Commissione, venne presentato il 4 agosto del 1987.

Ma nonostante il ritardo della cultura urbanistica italiana a farsi carico della


questione ambientale non vanno trascurate intuizioni e attenzioni di urbanisti italiani
nei confronti delle qualità del territorio già a partire dagli anni 60 (Giuseppe Campos
Venuti a Bologna, Giovanni Astengo ad Assisi….)

In Italia nella seconda metà degli anni 80, nonostante gli sfaceli dovuti alla
deregolamentazione, vengono trattati provvedimenti che hanno diretta attinenza
con la salvaguardia dell’ambiente e la tutela del paesaggio.

Nel 1985 viene pubblicata la Legge n.431 (legge Galasso), che impone alle Regioni
di sottoporre a specifica normativa d'uso e valorizzazione ambientale il proprio
territorio attraverso la redazione di Piani Paesaggistici (o Paesistici) da approvarsi
entro il 31 dicembre 1986.

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Si tratta di una legge che segna una svolta consistente nell’evoluzione normativa
della tutela del paesaggio: si tratta di una tutela del paesaggio che non riguarda più
soltanto beni di esclusiva rilevanza estetica (bellezze naturali) o culturale (singolarità
geologiche, beni rari o di valore tradizionale o di interesse scientifico) come indicato
dalla legge del 1939, bensì elementi caratterizzanti la struttura morfologica del
territorio nazionale (come zone in quota, vicine a laghi o corsi d’acqua).

Non più tutela di beni individuati come singoli o come complessi ma tutela
dell’ambiente come patrimonio collettivo, come segno e testimonianza della nostra
cultura. Eco con il Rapporto Brundtland.

La vera innovazione è nel non considerare il vincolo paesaggistico come fine a sé


stesso ma come premessa necessaria alla pianificazione paesistico-territoriale. La
pianificazione ad ogni livello deve farsi carico della tutela del paesaggio e
dell’ambiente!!!

La legge Galasso chiedeva che le Regioni producessero un piano paesistico entro il


1986 ma solo nel 1998 tutte le regioni sono arrivate a adottarne uno.

• Le regioni hanno avuto orientamento e comportamenti molto diversi poi


cambiati negli anni:
• alcune regioni hanno conferito contenuto paesistico ai piani territoriali ordinari
estendendoli all’intero territorio regionale (Veneto);
• altre regioni pur estendendolo all’intero territorio regionale hanno redatto piani
esclusivamente paesistici (Liguria, Emilia-Romagna, Marche);
• altre regioni hanno prodotto piani paesistici solo per alcune porzioni di territorio
regionale (Abruzzo, Basilicata);
• altre regioni hanno suddiviso la regione in un numero importante di ambiti e per
ognuno di questi hanno redatto un piano (Lazio e Lombardia).

Con questo nuovo modo di procedere si prende consapevolezza del territorio e delle
sue ferite e inizia a maturare un nuovo modo di osservare e raccontare la città, ad
esempio «la città diffusa» (F. Indovina), «la dispersione urbana» (M. C. Gibelli

A cavallo tra la fine degli anni 90 e inizio degli anni 2000, si tracciano nuovi
approcci alla questione urbana come l’approccio territorialista definito da
Alberto Magnaghi: rintracciare nuovi valori della comunità per immaginare uno
sviluppo sostenibile.

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2.5 Le nuove leggi regionali dopo la legge n.142 del 1990:
In questo nuovo contesto e dopo l’entrata in vigore delle nuove norme
sull’ordinamento degli enti locali (legge n.142 del 1990) nelle regioni si è aperta
una nuova fase ricca di innovazioni sostanziali:

• Tutte le regioni assumono come principio l’individuazione di tre livelli di


pianificazione corrispondenti ai tre livelli di governo eletto di primo grado
a rappresentanza generale: la regione, la provincia, il comune. Le leggi
regionali attribuiscono il massimo valore precettivo e riassuntivo alla
pianificazione comunale.
• Alla pianificazione di livello comunale viene attribuito un carattere
complessivo e riassuntivo di tutte le scelte sull’assetto del territorio. In
relazione anche a questo la pianificazione comunale è articolata in più
elementi.

Il sistema della pianificazione urbanistica in Italia

A. Piani territoriali di coordinamento o direttori Possono essere alla scala


regionale o provinciale.

Definiscono le principali linee di assetto del territorio, le ipotesi sui grandi assi
della mobilità, criteri generali per le destinazioni d’uso, la localizzazione dei
grandi impianti di interesse generale, l'imposizione di vincoli all’uso del territorio,
i criteri per il dimensionamento dei piani di ordine inferiore.

B. Piani urbanistici generali o regolatori

In accordo con i Piani territoriali di coordinamento definiscono l’assetto di un


ambito comunale o (in rari casi) sovracomunale

Essi indicano:

• Rete stradale e infrastrutture di mobilità


• Le strutture abitative e produttive (esistenti, da completare, da
trasformare, o di nuova realizzazione)
• Le attrezzature ed i servizi necessari per rendere agibili le zone
• I vincoli generali o specifici per le diverse zone
• Le aree soggette a strumenti attuativi
• Le norme di attuazione

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C. Piani urbanistici particolareggiati o attuativi

Servono a specificare e dare attuazione alle previsioni del Piano urbanistico


generale e quindi ne indicano in dettaglio le modalità di realizzazione, le aree da
cedere, gli spazi a servizi, gli indici edificatori, ecc. Possono anche definire
l’assetto urbanistico generale di una zona quando lo strumento urbanistico
generale delega il piano attuativo.

2.6 La legge regionale della Lombardia n.12 del 2005:


La legge regionale n. 12/2005 è una legge urbanistica di valenza amministrativa
regionale, disciplina l’uso del suolo ed introduce il concetto di “governo del
territorio” all’interno della Regione Lombardia. In questo modo, all’interno della
Regione Lombardia, è stato possibile sostituire il Piano Regolatore Generale
(della legge urbanistica nazionale n. 1150/1942), con il Piano di Governo del
Territorio.

Il governo del territorio si attua mediante una pluralità di piani, fra loro coordinati
e differenziati, i quali, nel loro insieme, costituiscono la pianificazione del
territorio stesso:

• il Piano Territoriale Regionale


• il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale
• il Piano di Governo del Territorio
• i Piani Attuativi

il Piano Territoriale Regionale

• Il Piano Territoriale Regionale (PTR) è lo strumento di supporto all’attività


di governance territoriale della Lombardia. Si propone di rendere
coerente la "visione strategica" della programmazione generale e di
settore con il contesto fisico, ambientale, economico e sociale;
• Il PTR è aggiornato annualmente mediante il Programma Regionale di
Sviluppo, oppure con il Documento di Economia e Finanza regionale
(DEFR). L'aggiornamento può comportare l’introduzione di modifiche ed
integrazioni, a seguito di studi e progetti, di sviluppo di procedure, del
coordinamento con altri atti della programmazione regionale, nonché di
quelle di altre regioni, dello Stato e dell’Unione Europea (art. 22, l.r. n.12

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del 2005). L'ultimo aggiornamento del PTR è stato approvato con d.c.r.
n. 766 del 26 novembre 2019 (pubblicata sul Bollettino Ufficiale di
Regione Lombardia, serie Ordinaria, n. 50 del 14 dicembre 2019), in
allegato al Documento di Economia e Finanza regionale 2019.
• Il PTR costituisce il quadro di riferimento per l’assetto armonico della
disciplina territoriale della Lombardia, e, più specificamente, per
un’equilibrata impostazione dei Piani di Governo del Territorio (PGT)
comunali e dei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale (PTCP). Gli
strumenti di pianificazione, devono, infatti, concorrere, in maniera
sinergica, a dare attuazione alle previsioni di sviluppo regionale,
definendo alle diverse scale la disciplina di governo del territorio.

Il Piano Territoriale Regionale si compone delle seguenti sezioni:

• Il PTR della Lombardia: presentazione, che illustra la natura, la struttura


e gli effetti del Piano
• Documento di Piano, che definisce gli obiettivi e le strategie di sviluppo
per la Lombardia ed è corredato da quattro elaborati cartografici
• Piano Paesaggistico Regionale (PPR), che contiene la disciplina
paesaggistica della Lombardia
• Strumenti Operativi, che individua strumenti, criteri e linee guida per
perseguire gli obiettivi proposti
• Sezioni Tema/che, che contiene l'Atlante di Lombardia e approfondimenti
su temi specifici
• Valutazione Ambientale, che contiene il rapporto Ambientale e altri
elaborati prodotti nel percorso di Valutazione Ambientale del Piano.

il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale

• La Provincia definisce attraverso il Piano Territoriale di Coordinamento


Provinciale (PTCP) gli obiettivi generali relativi all’assetto e alla tutela del proprio
territorio connessi ad interessi di rango provinciale o sovracomunale o
costituenti attuazione della pianificazione regionale.

• Le seguenti previsioni del PTCP hanno efficacia prescrittiva e prevalente sugli


atti del Piani di Governo del Territorio (PGT):

• le previsioni in materia di tutela dei beni ambientali e paesaggistici;


• l’indicazione della localizzazione delle infrastrutture riguardanti il sistema
della mobilità;

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• la individuazione degli ambiti destinati all’attività agricola di interesse
strategico;
• l’indicazione per le aree soggette a tutela o classificate a rischio
idrogeologico e sismico, delle opere prioritarie di sistemazione e
consolidamento.

il Piano di Governo del Territorio

Il Piano di Governo del Territorio si distingue dal Piano Regolatore Generale, in


quanto è dotato di strumenti normative più̀ precisi sostituendo la
regolamentazione classica dell’uso del suolo, dove erano previste le zone
funzionali, che settorializzavano molto l’intero territorio comunale.

Il P.G.T. ha una durata quinquennale ed è composto da tre documenti:

• Documento di Piano,
• Piano dei Servizi,
• Piano delle Regole.

Il Documento di Piano non ha valenza normativa e serve a fornire delle previsioni


future sull’assetto generale del territorio locale, in funzione del Piano dei Servizi
e delle Regole.

Il Documento di Piano deve essere accompagnato dalla Valutazione Ambientale


Strategica, la quale prende parte nella fase iniziale di redazione del piano, per
quanto riguarda la fattibilità̀ ambientale e socioeconomica delle previsioni sul
territorio comunale. La V.A.S. è disciplinata dal D.lgs. 152/2006 (Testo Unico
dell’Ambiente).

Il Piano dei Servizi serve a fornire indicazioni per lo sviluppo dei beni materiali
ed immateriali di interesse pubblico, nonché́ il riferimento contributivo fiscale per
il loro utilizzo (regime tributario comunale e tassazioni). Si considerano, quindi,
tutti i servizi presenti nel comune ed il regime di tassazione, le opere di
urbanizzazione primaria e secondaria.

Il Piano delle Regole serve per regolamentare l’uso dei suoli e dei beni immobili
presente su di esso, in base alle normative di valenza superiore ed alla funzione
destinata ad ogni suolo. All’interno del Piano delle Regole sono distinti i “tessuti
urbani” e la documentazione normativa di riferimento (NTA – norme tecniche di
attuazione).

20
2.7 Le città metropolitane e il Piano
Strategico Metropolitano:
La riforma degli enti locali introdotta con la legge 56
del 2014 (cd. ‘legge Delrio') ha ridefinito
l'ordinamento delle province ed istituito le città
metropolitane.

La riforma si accompagnava al progetto di riforma


costituzionale che prevedeva la soppressione delle
province quali ente costituzionalmente necessari.
Venuto meno il progetto di revisione costituzionale,
all'esito del referendum del 4 dicembre 2016, si è
aperto il dibattito sull'opportunità̀ di un nuovo
intervento legislativo.

Le città metropolitane sostituiscono le province in dieci


aree urbane, i cui territori coincidono con quelli delle
preesistenti province, nelle regioni a statuto ordinario:

Roma Capitale, Torino, Milano, Venezia, Genova,


Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria.

Uno degli aspetti più̀ interessanti della legge 56/2014 è


l’introduzione, come strumento a disposizione delle
città metropolitane, del Piano strategico triennale
del territorio metropolitano. Previsto dalla legge
come atto di indirizzo per l’ente e per l’espletamento
delle funzioni dei comuni e delle unioni comunali
comprese nel territorio metropolitano.

Nel 2019 la Città Metropolitana di Milano ha


aggiornato il PSM (2019-2021):

• 6 ambiti di policy: delineano obiettivi e indirizzi


per l’azione di città metropolitana e dei comuni;
• 8 zone omogenee: corrispondono a 8 agende
di lavoro condivise con i Comuni e improntate
all’azione;
• 10 progetti strategici: contribuiscono in misura
rilevante al potenziamento della capacità

21
competitiva e attrattiva del territorio
metropolitano; Orizzonti temporali lunghi;
• 24 progetti operativi: a differenza dei progetti
strategici, hanno obiettivi meno ambiziosi e
lega1 all’ordinarietà dell’azione; Orizzonte
temporale più circoscritto.

Il Piano Territoriale Metropolitano (PTM) della Città


metropolitana di Milano è stato adottato dal Consiglio
Metropolitano nella seduta del 29 luglio 2020, con
Deliberazione n.14/2020 e pubblicata sull'Albo Pretorio
dal 30 luglio 2020 al 29 agosto 2020.

Le novità introdotte dalle normative europee, nazionali


e regionali hanno portato nel PTM a una diversa
impostazione e articolazione delle tematiche del PTCP
vigente e soprattutto alla definizione di contenuti nuovi
e approcci innovativi nelle modalità di attuazione e
gestione del piano. Rientrano tra i temi caratterizzanti
del PTM:

• la tutela delle risorse non rinnovabili e gli aspetti


inerenti alle emergenze ambientali e i cambiamenti
climatici connessi con gli obiettivi dell’Agenda 2030
per la sostenibilità;

• l’articolazione delle soglie di riduzione del


consumo di suolo in attuazione della normativa
regionale;

• la rigenerazione urbana e territoriale;

• La definizione di nuove regole per gli insediamenti


di rilevanza sovracomunale;

• il progetto della rete verde metropolitana che


integra gli aspetti fruitivi e paesaggistici della rete
ecologica metropolitana alla strategia di
adattamento ai cambiamenti climatici;

• il potenziamento dei servizi di mobilità pubblica e


la riqualificazione dei centri di interscambio modale
quali veri e propri luoghi urbani.

22
3.0 Jane Jacobs:
Jane Jacobs fu una giornalista che nacque in una piccola cittadina in Pensilvania nel
1916. A 19 anni si spostò a New York con sua sorella Betty. Qui Frequentò alcuni corsi
alla Columbia ma non concluse gli studi iniziando a lavorare come giornalista.

Nel 1944 si sposò con l’arch. Robert Jacobs e andarono ad abitare al Greenwich
Village.

Nel 1961 pubblica il suo libro “Vita e morte delle grandi città”. In questi anni siamo in
pieno trionfo delle tesi del movimento moderno, e delle politiche sul rinnovo urbano
negli Stati Uniti, della espansione di autostrade che penetrano nelle città.

L’opera di Jane è destinata a diventare una pietra miliare della letteratura urbanistica.
Tuttavia, nei primi anni fu oscurato dall’ideologia moderna razionalista.

Il libro è dedicato alla città di New York dove è arrivata a cercare fortuna e l’ha trovata
trovando il marito Bob e i suoi tre figli Jimmy, Ned e Mary.

Dopo aver pubblicato il suo libro Jane ingaggia la sua battaglia con Robert Moses
contro la costruzione della autostrada che avrebbe sventrato il quartiere e la vince.

3.1 Vita e morte delle grandi città:


Vita e morte delle grandi città è un grande atto di accusa contro gli urbanisti, i city
planners di allora, accusati di essere prortatori di una ideologia anti-urbana, incapace
di comprendere il valore della qualità urbana.

Il Libro di J. Jacobs è diviso in quattro parti:

• La natura specifica delle città;


• Le condizioni della diversità urbana;
• Fattori di decadenza e di rigenerazione;
• Nuove tecniche di intervento.

Nella introduzione si scaglia contro le ideologie anti-urbane di Howard (città


giardino) di Mumford e soprattutto della Ville Radieuse di Le Corbusier che vengono
accusati di aver concepito teorie urbanistiche pericolose e distruttive della città per
quello che è che viene descritta come il male.

Già nella prima parte vengono sviluppate una serie di tesi assolutamente originali
per l’epoca Il tema centrale è che la natura specifica delle città è data dalla vita nella
strada.

23
La natura dei marciapiedi: la sicurezza

Il primo capitolo è dedicato alla sicurezza, un problema molto sentito nella città
americana di quegli anni.

“la prima cosa da capire è che l’ordine pubblico e le strade sui marciapiedi della città
non è mantenuto principalmente della polizia per quanto questo possa essere
necessaria: esso è mantenuto soprattutto da una complessa e quasi inconscia rete di
controlli spontanei e di norme accettate e fatte osservare dagli abitanti stessi”

Jane Jacobs fa un confronto tra New York e Los Angeles ed altre città a bassa densità
per mettere in evidenza che “diminuendo la densità della popolazione urbana non si
garantisce la sicurezza della criminalità e della paura che essa suscita”

Una strada frequentata è anche una strada sicura perché ci sono gli occhi dei suoi
abitanti che garantiscono la sicurezza. Se la densità è elevata succedono più cose,
dice Jane Jacobs.

Le caratteristiche di una strada sicura sono quindi:

1. una netta separazione tra spazio pubblico e spazio privato


2. la strada deve essere sorvegliata dagli occhi dei naturali proprietari
3. i marciapiedi debbono essere frequentati con sufficiente continuità

Sono perciò importanti i bar e i piccoli esercizi commerciali che attirano persone
Quanto più vasta e ricca è la gamma di interessi che le strade urbane riescono a
soddisfare, tanto più sicura sarà la strada.

“sotto l’apparente disordine delle vecchie città esiste -dovunque la città adempie con
successo la sua funzione - un meraviglioso ordine che può mantenere sicure le strade
e al tempo stesso rendere libera la città. È un ordine complesso la cui essenza risiede
nella fitta mescolanza di usi dei marciapiedi e nella conseguente sorveglianza diretta
continua”

Nel secondo capitolo della prima parte si affronta il tema delle relazioni sociali
ovvero i contatti umani.

La tesi è che i contatti umani più efficaci sono quelli che avvengono nelle strade
urbane e nella città densa spontaneamente rispetto alle iniziative forzate che
debbono essere costruite nel suburbio o nei nuovi insediamenti residenziali nel
verde, dove solo artificialmente si riescono ad organizzare iniziative.

Jane Jacobs sostiene che soltanto la strada urbana incoraggia simultaneamente


condivisione e privacy ed è in grado di realizzare relazioni sociali reali e non
artificiose.

24
Nel suburbio la privacy non esiste e in parte, di conseguenza, è più difficile realizzare
contatti spontanei ed efficaci.

“La tolleranza la possibilità di convivere con vicini molto diversi da sé e spesso la


differenza è assai più profonda della diversità di colore della pelle sono realizzabili e
normali in un ambiente intensamente urbano ma sono del tutto estranee alla
mentalità del suburbio o dello pseudo suburbio: esse sono realizzabili normali solo
dove le strade, per il loro intrinseco carattere, consentono a persone tra loro estranee
di convivere in pace su una base di civismo che tuteli anche la dignità e l’intimità della
vita individuale”

La tesi di Jane Jacobs su questo punto riflette il suo ruolo di madre di tre ragazzi, in
un contesto, quello degli anni ’50 quando le automobili non avevano ancora
completamente invaso la strada.

Il suo punto è che se i ragazzi stanno in strada, vengono controllati in molti modi dai
negozianti, dai vicini e dai passanti, molto più e meglio rispetto a situazioni dove
sono lontani dalla vista ed esposti all’incontro con gang e teppisti.

“Il difetto di questo sistema è che nessun ragazzo di età superiore a sei anni che abbia
un minimo di vivacità di intraprendenza vuole restare in un ambiente così noioso;
molti desiderano evadere già prima; questi ambienti ben protetti e impregnati di
“socievolezza” sono utili per la formazione del bambino e in effetti vengono
adoperati a tal fine solo per 3-4 anni della sua vita e precisamente per quegli anni
che sotto molti aspetti presentano minori difficoltà.”

Jane Con ironia arriva a dire che nonostante il fatto che gli urbanisti siano
prevalentemente maschi essi si immaginano una società matriarcale di massaie
insignificanti addette alla cura e al controllo dei figli nei parchi giochi. O di guardiani
che debbono essere stipendiati per fare quello che la strada potrebbe fare
spontaneamente.

La funzione dei parchi di quartiere

“Nell’urbanistica ortodossa gli spazi verdi di quartiere sono venerati in modo


assolutamente acritico pressappoco come selvaggi adorano il loro feticci se chiedete
un progettista di edilizia residenziale perché il suo quartiere pianificato rappresenta
un miglioramento rispetto al vecchio ambiente urbano, egli vi risponderà, come se si
trattasse di una verità in sé evidente, «perché ha più spazi verdi”

Ci vorranno molti anni per arrivare a questa lucidità: non tutti gli spazi verdi sono un
bene. Alcuni sono abbandonati, richiedono controllo, spesso sono deserti e
diventano pericolosi. Esistono precise condizioni per le quali uno spazio verde possa

25
funzionare: esso deve essere ben visibile ed essere in qualche modo controllato
spontaneamente dalla strada.

“Per capire come i parchi dell’ambiente urbano circostante si influenzino


mutuamente la prima cosa da fare non confondere gli usi effettivi dei parchi con
quelli mitici, ad esempio, con l’idiozia fantascientifica che i parchi siano ‘i polmoni
della città’”

La funzione dei vicinati urbani:

L’idea del vicinato è diventata carica di sentimentalismo. Difficile costruire


artificialmente vicinati efficienti. Non basta che ci siano scuole, parchi ed alloggi
decenti. Bisogna sfuggire a «la dottrina della salvezza per mezzo dei mattoni»
L’efficienza del vicinato non dipende dal livello di reddito dei suoi abitanti. Ci sono
vicinati poveri molto efficienti e vicinati ricchi malati Ciò che è cruciale è la capacità
di autogoverno, formale e informale. Nell’urbanistica tradizionale il vicinato ideale è
fato di circa 7000 abitanti, per sostenere una scuola elementare, negozi di prima
necessità ed un centro comunitario. A sua volta il Vicinato è articolato in sotto-unità
per il gioco dei bambini oltre che «allo scambio di chiacchiere tra casalinghe» Questa
idea è alla base di quasi tutti i progetti di rinnovo urbano Un ideale inconsistente,
anzi dannoso.

L’idea del quartiere urbano che si comporta come un paese è infondata, la grande
città è fluida, non prevede chiusure, quartieri autosufficienti. L’idea che un vicinato
urbano possa offrire ai suoi abitanti una vita di paese o di villaggio è deleteria.

Se si intendono i vicinati urbani come organi di autogoverno ne esistono tre tipi

1) la città nel suo insieme


2) Vicinati di strada
3) I grandi quartieri aventi dimensioni di sub-città con 100.000 ab e oltre Tutti e
tre coesistono e sono importanti

La città nel suo insieme è la «comunità madre», ci riconosciamo nella città possiamo
essere attivi, per la sua trasformazione, avere accesso alla politica urbana.

All’estremo opposto sta il vicinato di strada Sorveglianza, trama di vista collettiva


quotidiana, fiducia e controllo sociale, assimilazione dei ragazzi. Ma anche,
raccogliere aiuti quando il vicinato è in difficoltà. Il vicinato di quartiere svolge una
mediazione tra i vicinati di strada e la città nel suo complesso

Per far funzionare i vicinati la pianificazione dovrebbe:

1) Favorire strade vivaci e interessanti


2) Creare una rete continua a tutta l’ampiezza di un quartiere
26
3) Usare parchi, piazze e edifici pubblici per unire e non per dividere la rete di
strade
4) Mettere in risalto l’identità funzionale di zone grandi che possano funzionare
come quartieri

Le condizioni della diversità urbana: I generatori della diversità

La diversità è un carattere connaturato alla grande città Per poter capire le città
occorre prendere in considerazione combinazioni e mescolanze di usi e funzioni La
varietà commerciale spesso è un indicatore di altri tipi di varietà: occasioni culturali,
varietà di aspetti e di abitanti e di utenti.

Quattro condizioni per creare diversità

1) Il quartiere deve servire più funzioni primarie, più di 2, che debbono


assicurare la presenza di persone sulle strade in diverse ore, che pur
frequentando la zona per motivi diversi abbiano modo di utilizzare in comune
molte delle attrezzature
2) gli isolati debbono essere piccoli per consentire di svoltare agli angoli
frequentemente
3) Ci devono essere edifici di diverse età e condizioni per consentire diversi
redditi e diverse popolazioni
4) La densità deve essere elevata

La necessità della mescolanza delle funzioni primarie

Gli usi primari sono gli uffici, e fabbriche, le abitazioni, certi centri di spettacolo, di
istruzione e di svago, musei, gallerie, biblioteche. Preso a sé nessun uso primario è
capace di costruire diversità, se poi è affiancato da un altro uso primario che provoca
l’uso dello spazio nelle stesse ore, non si è concluso nulla. Se invece si combina con
un altro uso che porta la gente in orari diversi si crea un ambiente propizio ad una
diversità secondaria: commercio, servizi, ristoranti, bar, ecc.

I CBD sono in genere zone morte. Un centro urbano completo è importante invece
per molti diversi motivi L’opportunità di tenere distinte le abitazioni dai luoghi di
lavoro ci è stata inculcata, e produce quartieri morti.

Le zone urbane degradate lo sono non per ciò che ci si trova, ma per ciò che manca

La necessità di edifici vecchi

Se sono solo edifici nuovi i costi sono elevati e questo livella e limita chi non può
sostenere alti costi di esercizio Le città hanno bisogno di una mescolanza di edifici

27
vecchi e nuovi per poter alimentare la diversità primaria e secondaria; in particolare
hanno bisogno di edifici vecchi per poter generare nuove manifestazioni di diversità
primaria.

La necessità di concentrazione

Una densità elevata è una precondizione della diversità, ma deve essere unita alla
diversità primaria e secondaria La densità può essere calcolata in abitazioni per
ettaro, o in abitanti per kmq, ricordate Milano circa 7.000, Parigi 21.000, Londra 5700,
Manhattan 27.000.

Fattori di decadenza e di rigenerazione l’autodistruzione della diversità

• I centri urbani colonizzati da banche, assicurazioni, che distruggono la


diversità
• Il rinnovo urbano cieco alla vitalità esistente
• La zonizzazione che separa le funzioni
• Le zone circostanti grandi insediamenti pubblici come ospedali, università

Solo l’auto risanamento può riuscire ad eliminare gli slums

Nuove tattiche di intervento Il sovvenzionamento dell’edilizia residenziale


Erosione delle città o eliminazione dell’automobile

I grandi quartieri di edilizia pubblica diventano facilmente ghetti Sono organizzati


come aree monofunzionali, attorno ad attrezzature pubbliche altrettanto
monofunzionali.

La separazione dei traffici veicolari e pedonali è un’altra idea di brutale


semplificazione. Inoltre, la dipendenza dall’automobile uccide le città perché occupa
spazi enormi che potrebbero essere destinati ad usi diversi. È quindi necessario
vincolare, ridurre, costringere lo spazio dell’automobile ed opporsi alle autostrade
che penetrano nella città.

L’ordine visuale urbano: La necessità di integrare i complessi edilizi e l’importanza


della democrazia urbana

L’ordine visuale è dato più dalla varietà, dalla presenza di punti di riferimento, dalla
vita che si svolge in città che non dà caratteri formali e di uniformità. I quartieri
costruiti sull’ideologia del movimento moderno sono già da recuperare integrandoli
nel tessuto, facendogli arrivare strade vitali al loro interno. Ci vorrebbero invece
strutture decentrate per organizzare la partecipazione dei cittadini al miglioramento
della propria città.

In conclusione

28
Jane Jacobs è stata una attivista urbana che prima di molti urbanisti ha capito come
si costruisce la qualità urbana. Ci è riuscita perché è stata capace di guardare alla
everyday life, alla vita quotidiana, a cosa produce comfort e piacere nella vita della
grande città ed al contrario cosa produce grigiore e anomia Con questo ha demolito
non solo una idea muscolare del progresso (Moses) ma anche tutto lo schematismo
dell’urbanistica autoritaria di allora Le dobbiamo molto, soprattutto la capacità
scendendo al livello della vita di ogni giorno di elaborare un pensiero complesso che
si contrappone alle semplificazioni brutali delle visioni i solo dall’alto.

29
4.0 La regione urbana di Milano:
Osservando la tendenza demografica di Milano
[1951-2011] e provincia capiamo che vi è un
processo di spostamento della popolazione verso le
provincie. Comunque, la popolazione di Milano dal
2001 fino al 2019 è in crescita.

In passato si ipotizzava una crescita delle metropoli


secondo uno schema determinato, il modello di
Walter Christaller, Milano fino poco tempo fa era
prova di ciò. Tuttavia, ora il movimento verso le
province sta dando vita a qualcosa di estremamente
diverso. Innanzitutto, il confine del comune milanese
non è più leggibile. Si sta quindi configurando una
Megacity regions:

“Le città che competono nel mondo non sono più


città centrali con le loro aree metropolitane ma un
fenomeno nuovo che comprende una rete tra 10 e
50 città, fisicamente separate per ciò che riguarda le
relazioni casa-lavoro, che come un unico spazio di
flussi di persone ed informazioni che si muovono
lungo strade ed autostrade, ferrovie ad alta velocità
e reti telematiche.” 5

Diverso quindi da una metropoli, che ha un centro


prevalente. Non sono tante altre le mega regions in
Europa

4.1 Milano nelle analisi:


Quali sono dei trend importanti per capire il ruolo della
città di Milano?

Una prima rappresentazione è stata presentata dal TAR


che ha cercato di rappresentare l’area forte dell’Europa.
Che è rappresentata dalla “Blue Banana”, che include

5
Hall, Pain 2006
30
Londra Bruxelles e Milano. La blue banana è l’asse
più importante di sviluppo. È stato poi definito anche
un pentagono, di cui Milano è un vertice, che
comprende solo il 18% della superficie di tutta
l’Europa, ma contiene al suo interno il 41% degli
abitanti e si produce il 49% del prodotto interno
lordo europeo.

A partire dal 2004 Questo istituto di ricerca di Taylor,


ha iniziato a valutare le città secondo le aziende
multinazionali presenti, e Milano è nel primo gruppo,
le Alpha World Cities.

Milano eccelle anche per disoccupazione e per PIL


prodotto sul totale prodotto dall’intero paese.

Tuttavia, Milano è anche una città molto inquinata e


diseguale, anche se fino al 1990 Milano era la città
meno diseguale.

4.2 I piani:
Il primo è il piano regolatore del 1980, che mostrava
il desiderio di mantenere il carattere industriale
[Viola] della città, questo per opporsi alla
speculazione. Esistevano anche delle ampie aree,
[Gialle] le grandi funzioni urbane, e delle aree [rosa
scuro] che si pensava di dedicare all’edilizia popolare
economica, che inusualmente circondavano anche il
centro storico. Erano presenti anche le aree verdi e le
aree agricole.

I limiti del piano, che portarono a solo una sua


parziale realizzazione erano le troppo serrate
divisioni, e il desiderio di vincolare aree centrali
all’edilizia popolare.

Nel 1980 viene approvato il Documento Direttore


delle Aree Industriali Dismesse che, evidenziava
come le aree industriali fossero ormai in disuso, si
31
decide quindi di vincolare al 50% l’edificazione di
queste ex aree industriali. Nel 1984 viene anche
redatto il Documento Direttore Progetto Passante
che propone di concentrare in determinati punti ad
alta accessibilità gli interventi e le volumetrie. Questi
due piani modificano il piano regolatore che quindi
non viene realizzato nella sua interezza.

Nel 2000 è redatto anche il Documento di


Inquadramento, che fa un’operazione di
individuazione di due assi [La T Rovesciata] per
sviluppare secondo questi due assi la città. Gli assi
portano a Linate e Monza.

4.3 Piano di Governo del Territorio:


Il PGT mostra gli ambiti di trasformazione urbana e
soprattutto una maggiore incidenza del verde.

Il PGT vuole accompagnare Milano verso il 2030,


proponendosi di ridurre gli squilibri socioeconomici,
estendendo lo sviluppo a tutti i quartieri della città,
integrandolo a quello della più vasta regione urbana.
È inoltre un tema importante quello del
miglioramento delle condizioni ambientali e della
qualità della vita dei suoi cittadini e dei city users

Nel PGT 2030 Vengono presentati i cinque obiettivi del


piano che sono:

1. Una città connessa, Metropolitana e Globale


2. Una città di opportunità, attrattiva e inclusiva
3. Una città Green, vivibile e resiliente
4. Una città, 88 Quartieri da chiamare per nome
5. Una città che si rigenera

Per ciascuno di questi obiettivi sono individuate delle


strategie e dei dispositivi per la loro attuazione.

32
1 - Una città connessa, Metropolitana e Globale:

Milano 2030 è una città che vuole rafforzare i propri


sistemi di mobilità. Con la creazione della Circle Line,
l’aggiunta di nuove stazioni del SFR, estensione delle
linee metropolitane, e potenziamento dell’offerta di
trasporto pubblico.

La creazione di dei nodi di Interscambio, e la


promozione della mobilità dolce.

Strategia 1:

Vi sono così alcuni luoghi che rappresentano delle


piattaforme di sviluppo. Infatti, lo sviluppo futuro di
Milano sarà incentrato sul rapporto tra progetto
urbanistico e progetto di mobilità sostenibile, così
come tracciato da PUMS.

2- Una città di opportunità, attrattiva e inclusiva:

La capacità di Milano di competere ai livelli alti dei


processi di sviluppo sarà sempre più dipendente dalla
combinazione tra innovazione e inclusione economica,
sociale e civile. Importante è il rapporto con la regione
urbana, infatti, sarà proprio nei grandi vuoti della città
l’occasione per ospitare funzioni strategiche d’interesse
pubblico.

Obiettivo è anche quello di rafforzare la rete dei servizi


nei quartieri popolari, e recuperare gli spazi ai piedi
degli edifici come nuovi luoghi di lavoro, e favorire
l’affitto a canone agevolato per giovani e famiglie a
basso reddito.

Strategia 2

I grandi vuoti come san Siro, Bovisa, porto di mare,


Rubattino divengono momento di trasformazione. Che
porta così alla rigenerazione urbana. Queste sei aree
individuate sono adatte ad ospitare grandi funzioni
urbane, pubbliche private per valorizzare un’economia
basata su servizi avanzati e su ricerca ed innovazione.

33
Strategia 3

Innovare ed includere, promovendo uno sviluppo


sostenibile, Partendo da valori guida
dell’innovazione e dell’inclusione di intende
promuovere uno sviluppo sostenibile dal punto di
vista economico, sociale ed ambientale. Il piano
facilita la rigenerazione del tessuto produttivo e il
rinnovamento dell’economia urbana orientata ai
giovami grazie all’accorpamento di attività
economiche.

Strategia 4

Il piano predilige la manutenzione o riqualificazione


dell’esistente ed è prevista una normativa che
incentiva e premia chi offre case in affitto, e sono in
porto numerosi progetti di edilizia pubblica.

3- Una città Green, vivibile e resiliente

L’impronta della Milano del futuro deve essere


Green, Vengono quindi ridimensionate le previsioni
insediative, riducendo il consumo di suolo. Viene
creata una cintura verde con nuovi parchi
metropolitani.

L’acqua torna protagonista con la riapertura dei


navigli e con i progetti su Lambro e Seveso.

Obiettivo è anche quello di ridurre le emissioni di gas


serra.

Strategia 5

Per rispondere a questo obiettivo, la strategia 5


identifica delle aree di riconnessioni delle aree verdi,
esistono molti progetti su vari parchi urbani. Dando
più spazio al reticolo idrografico al fine di migliorare
la capacità di drenaggio delle acque meteoriche
Esempio è il parco nord, simbolo di rinascita. Esiste
un progetto di una cintura verde che circonda la

34
circle line ferroviaria. Tema importante è anche
quello della riapertura dei navigli, che ha sia valore
estetico che idraulico, permettendo il collegamento
della Martesana con la Darsena si possono irrigare i
campi ed evitare penurie idriche.

Strategia 6

Il piano definisce regole performanti per le nuove


costruzioni, per minimizzare i consumi energetici,
rinaturalizzare e massimizzare la superficie
permeabile Si pensa quindi anche ad una riduzione
dei consumi energetici.

4- Una città, 88 Quartieri da chiamare per nome

Già nel piano del 2012 erano stati Identificati i NIL,


Nuclei di identificazione locale, e con il concetto
della città dei 15 minuti è divenuto molto forte il
tema del quartiere. Ribadito da questo slogan degli
88 quartieri

Strategia 7

dice di programmare servizi specifici nei diversi NIL,


portando ad un bilanciamento del comune. Offrendo
così servizi capillari su tutto il territorio urbano anche
riutilizzando strutture inutilizzate sia pubbliche che
private

Strategia 8

Coniugare fronti urbani e vitalità nello spazio aperto


e favorire lo sviluppo dei distretti commerciali
naturali, limitando le grandi strutture di vendita.

Scali, ai navigli e a sette piazze da reinventare come


porte a vocazione pedonale per ricucire parti di città.

Nuclei storici esterni e spazi a vocazione pedonale


come ambiti privilegiati per interventi di
riqualificazione

35
5- Una città che si rigenera

Milano 2030 intende stimolare processi di


rigenerazione del patrimonio edilizio degradato,
sfitto e dismesso, attraverso incentivi mirati a
contrastare l’abbandono degli edifici e facilitare la
ristrutturazione. Valorizzando lo spazio pubblico e
rafforzando le connessioni verdi.

Strategia 9

Milano ha fatto un censimento degli edifici


abbandonati ed è prevista un abbattimento nel caso
di non restauro, intanto però la regione ha dato un
premio volumetrico per chi ristruttura un edificio
fatiscente. Norma che premia chi non opera subito.

La città di Milano si apre all’area metropolitana,


facendo studi sulle reti di trasporto e i punti ad alta
accessibilità.

36
5.0 Giovanni Astengo:
Astengo è considerato uno dei padri dell’urbanistica
italiana per i molti ruoli avuti come progettista, come
docente, come consulente di Ministeri, come colui
che ha concepito il Corso di laurea di Venezia in
Urbanistica, come direttore della rivista Urbanistica,
come Presidente onorario dell’Istituto Nazionale di
Urbanistica, INU Come urbanista militante.

Nasce nel 1915 a Torino da una famiglia di industriali


nel 1938 si laurea in Architettura con Giovanni Muzio
e dal 1943 inizia l’attività didattica al Politecnico di
Torino Il suo primo lavoro importante è lo studio per
un piano regionale per il Piemonte (1944-45), una
assoluta novità: non esistevano le regioni [esistono
dal 72] non vi era ancora traccia di una pianificazione
territoriale di vasta scala. Interessante è come nel
piano di astengo vi fossero anche delle vedute aeree
dello sviluppo urbano.

È uno studio che proietta A. subito dopo la guerra nel


dibattito sulla ricostruzione e sul contributo che può
dare l’urbanistica. Il piano viene presentato in diverse
occasioni nel 1948 il Ministro Tupini affida ad
Astengo la redazione di un vero Piano per il
Piemonte.

Nel 1950 ottiene l’incarico per la progettazione del


quartiere INA Casa Falchera, uno degli esempi
meglio riusciti.

Nel 1948 l’INU decide di riprendere la pubblicazione


di Urbanistica e nello stesso anno A. entra nel
consiglio direttivo. Nel 1949 con Olivetti presidente
INU, A. diviene capo redattore della rivista
Urbanistica, ne diventerà direttore nel 1952 e fino al
1976, dal 1963 venuti meno i finanziamenti della
Olivetti la gestisce anche economicamente.

37
Una grande cura e dedizione, per il ruolo importante che la rivista ha nella
costruzione della disciplina, nella codifica dei linguaggi, nella presentazione di
casi esemplari in Italia e nel mondo e di spinta per promuovere la disciplina in sé.

Dal 1949 viene chiamato da Samonà ad insegnare a Venezia dove resterà per 36
anni dopo aver conseguito nel 1950 la libera docenza.

Nel 1955 gli viene conferito l’incarico per il Piano di Assisi, per lui diventa una
prova da tutti i punti di vista, della metodologia, dell’impegno personale, della
sperimentazione. Prende casa, istituisce un Ufficio di Piano e in 2 anni realizza
PRG e 2 piani particolareggiati per il Centro Storico e per l’espansione.

Adottato viene abbandonato e stravolto dal cambio della amministrazione


attraverso il meccanismo delle osservazioni.

Per A. si tratta di una bruciante sconfitta, l’impegno è stato straordinario ed


improvvisamente tutto lo sforzo viene vanificato.

In realtà il piano di Assisi ottiene riconoscimenti e premi e anche se non utilizzato


diventa un riferimento importante della Storia della pianificazione Urbanistica ed
ottiene premi.

L’incarico per Gubbio arriva nel 1965 dopo la crisi di Assisi, anche questa vicenda
si risolve in una dura battaglia con accuse di irregolarità nei confronti di A. che lo
indignano ed addolorano.

Era diventato assessore all’Urbanistica di Torino e dopo un anno a causa della


vicenda di Gubbio si dimette.

Gubbio era la città della fondazione dell’ANCSA, della Carta di Gubbio

Tra il 1961 e il 1964 fa parte di una Commissione nazionale istituita presso l’INU
per la riforma urbanistica.

Ottiene anche l’incarico per il Piano di Genova ed anche in questo caso le


relazioni con l’Amministrazione diventano presto difficili, la città aveva un Piano
che avrebbe consentito una crescita della popolazione fino a otto milioni e A.
interviene riducendo drasticamente le previsioni, ma alla fine del 1965 l’incarico
gli viene revocato.

Finalmente a Bergamo un piano non segnato da contrasti, che diventa occasione


per la applicazione di metodi di calcolo sulle potenzialità di sviluppo basati su
modelli matematici. I suoi elaborati erano di ottima fattura.

38
Una serie di esperienze in una fase più matura, a volte in collaborazione con altri
(Campos Venuti per Pavia).

Convinto, anche sulla base delle sue sconfitte, della necessità di costruire
competenze specifiche per la figura dell’urbanista con un percorso separato da
quello dell’Architettura. È una battaglia culturale dura che vince
temporaneamente e che sembra avere successo, sicuramente in anticipo sul
livello di maturazione della Amministrazione Italiana.

Astengo ottiene una sede prestigiosa dalla Provincia di Treviso a Preganziol e


attorno al suo progetto raccoglie alcuni giovani promettenti appartenenti alle
diverse discipline che debbono contribuire alla formazione dell’urbanista
Ceccarelli, Secchi, Macchi Cassia, Anceschi, Mainardi, Airaldi, Picchierri, Piccinato,
Dolcetta.

Per la rivista l’obiettivo della direzione di A. è di costruire un linguaggio unificato


per la nuova disciplina che deve essere in grado di permettere il controllo e la
progettazione dello sviluppo territoriale.

Vengono pubblicati i Piani realizzati in Italia e all’estero, piani che vengono


colorati e ridisegnati quando necessario per ottenere qualità grafica e leggibilità.
La qualità grafica è altissima e tutto viene controllato con grande meticolosità.

È il modo di parlare a ma anche di costituire e formare la comunità degli urbanisti


e di metterla in contatto con il resto del mondo.

Un altro tassello del suo impegno civile è il suo impegno in politica attiva. Nel
1975 si presenta alle elezioni regionali e diventa Assessore alla Pianificazione e
gestione urbanistica della Regione Piemonte.

Nei 5 anni della sua amministrazione promuove la redazione della legge


regionale «Tutela ed uso del suolo» riorganizza l’assessorato ed incentiva
l’elaborazione di nuovi Piani regolatori comunali e pubblica il Rapporto sulla
pianificazione e gestione urbanistica in Piemonte.

Una iniziativa che apre anche alla produzione di altri rapporti come quello sullo
stato dell’urbanizzazione in Italia e sulle politiche urbane e territoriali per gli anni
‘80, preparato come contributo all’OCSE a partire da una sua denuncia sulla
mancanza di DATI.

39
L’impegno politico nasce dalla convinzione della necessità non solo di formare
meglio gli urbanisti ma anche di modificare profondamente la qualità e la cultura
della Amministrazione sui problemi territoriali.

Congedato dall’insegnamento negli anni ‘80 si impegna in una serie di


operazioni di pianificazione: un piano strutturale per l’area di Bergamo, piani
comprensoriali per la Valsugana, la Valle dell’Adige la Val di Non, la Piana
fiorentina. In questi anni si riavvicina anche all’INU e nl diventa Presidente
Onorario. Nel marzo 1990 ottiene la laurea ad honorem in Pianificazione
dall’Università di Reggio Calabria.

Ancora in piena attività muore in treno tornando dalla Toscana il 19 luglio del
1990.

“Giovanni Astengo ha dedicato tutte le sue energie per la affermazione ed il


consolidamento della cultura urbanistica.

Lo ha fatto in un clima culturale nel quale il coraggio non era fiaccato dalle molte
delusioni che si accumuleranno nel periodo successivo.

Aveva un progetto per la società italiana, per il patrimonio territoriale, per la


giustizia spaziale, non per la semplice affermazione di una nuova figura
professionale ma per quello che questo avrebbe potuto significare per la
salvaguardia del paesaggio e per il benessere dei cittadini.” 6

5.1 Assisi, La prima occasione:


La rivista urbanistica è stata diretta per molto tempo da Astengo, ed in questa
stessa rivista è concentrata la descrizione del primo piano, quello del 1958 di
Assisi.

Giovanni Astengo aveva avuto una formazione elitaria, studiò nel liceo gesuita di
Torino. Un élite che immaginava in piena guerra di pubblicare un libro che
potesse riportare l’attenzione sulla città e sulle questioni urbane. Questo era il
tema del suo primo libro, mai pubblicato, Lavoro e Abitazione nella città di
domani: programma urbanistico.

6
Da Preganziol
40
Quest’attenzione per l’urbanistica si è poi tradotta
nella proposta del piano territoriale per la regione
Piemonte al Concorso. Il progetto era stato
autofinanziato dal Gruppo ABRR e si è poi tradotto
nel piano regolatore di Torino ed ha influenzato le
idee di città lineare industriale per la pianura padana.

Astengo si dimostrò abile nell’affrontare più scale


diverse. Per lui era molto importante saper
comunicare e riuscire a capire e interpretare le
trasformazioni dell’Italia, che stava per entrare nel
boom. Importante è la pubblicazione “Criteri per la
redazione dei piani regionali” che doveva essere un
materiale di base per redigere questi piani.

Quindi questa sua capacità di variare abilmente scala


di rappresentazione, di comunicare e di costruire un
percorso di comprensione del territorio della città e
del paesaggio viene tradotto su Assisi.

“Nel 1955, a quarant’anni, non avevo ancora avuto un


incarico di piano regolatore. Dopo l’esperienza del
piano regionale piemontese, di dieci anni prima e
sette di direzione della rivista tutto taceva per me in
campo professionale. Improvvisa, non ricercata,
venne l’offerta di redigere il PRG di Assisi.” 7

Conoscere, comprendere, comunicare e progettare


erano i suoi principi progettuale.

Il piano di Assisi durò molti anni, 16 a partire dal ’55.

Nel piano di assisi le fotografie hanno notevole


importanza, furono incaricati numerosi e famosi
fotografi.

Egli documenta i luoghi, gli edifici e le famiglie che


vivono Assisi.

7
G. Astengo, Assisi, un’esperienza
41
Il piano aveva grande attenzione per il rapporto
nuovo- antico, e per i piccoli spazi aperti.

Tutto ciò si traduce in un piano regolatore di assetto


complessivo, che comprende anche il vasto territorio
agricolo, le pianure le colline e le montagne
circostanti, ma soprattutto comprendeva un piano di
sviluppo economico basato su rimboscamenti e
progettazione di sistemi di irrigazioni per aree che
potevano essere adibite all’agricoltura.

Si cercava sia di tutelare la città in sé che permettere


un turismo che però non la travolgesse, evitando il
più possibile manomissioni ed intrusioni all’interno
dei sistemi territoriali, agevolando l’accesso alla città
ma mantenendo l’automobile all’esterno.

Un tema importante era anche quello di bloccare


l’utilizzo del suolo nella piana soprattutto per le
industrie

Santa Maria degli angeli, la città nuova (a sud nella


pianta) è un’espansione che viene progettata con
attenzione da Astengo con un piano
particolareggiato.

Vengono analizzati i tipi di degrado e i valori


architettonici ed urbanistici Della città storica.

Il Piano scendeva anche nel dettaglio


rappresentandone piante e prospetti analizzando
fenomeni di degrado e condizioni igieniche. A. dà
delle indicazioni sul come operare sui fronti, in
rispetto dei principi del restauro.

Importanti sono anche i progetti per l’introduzione


di nuovi servizi come un parcheggio parzialmente
interrato, che risultava essere innovativo e
consentiva di evitare l’entrata delle automobile
all’interno di Assisi. Questo e il progetto di un
mercato coperto non furono mai realizzati.

42
Per il piano di Santa Maria degli Angeli, che non
aveva nuclei di antica formazione di particolare
rilievo decide di dare spazio anche a progetti di
edilizia popolare, per permettere l’ampliamento
della città.

Propone anche un piano particolareggiato oltre


porta nuova, per instaurare nuovi insediamenti
rispettando le modalità costruttive storiche della
città. Interessante è come spiega ciò, ovvero con
delle sezioni.

Il piano completo di tutti gli elaborati fu pronto in


due anni, presentato al consiglio comunale,
approvato a gran voce nel 1958. Tuttavia, nel ’57 era
stata approvata la legge speciale per Assisi, che dava
una quantità di fondi esponenziali per attività
economiche, dando vita a una corsa per ottenere i
fondi offerti. Si decise quindi di modificare il piano
per minimizzare i danni. Nel 1966 il nuovo piano fu
approvato dal consiglio comunale, che ancora volle
apportare strappi e concessioni, superò gli scogli
delle osservazioni, andò al ministero dei LL PP che lo
approvò sul finire del 1971, pochi giorni prima del
decreto di trasferimento delle competenze
urbanistiche alle regioni.

[Ha poi parlato di un progetto di Astengo ad Assisi]

43
6.0 Giuseppe Campos Venuti:
Egli è una figura importante nel panorama degli urbanisti italiani, Animatore della
posizione riformista Molto legato alla militanza nel Partito Comunista.

Nel ruolo di Assessore al comune di Bologna ha contribuito a fare della città un


esempio riconosciuto a livello internazionale della buona amministrazione
dell’urbanistica.

Campos Venuti nasce a Roma il 3 agosto 1926 da una famiglia borghese, suo padre
agente di cambio sua madre nel settore alberghiero. Partecipa giovanissimo alla
resistenza quando, a soli 17 anni, collabora con i Servizi Strategici della 5° Armata
Americana (OSS).

Il suo nome di battaglia è "Bubi", soprannome mantenuto per tutta la vita. Finita la
guerra si iscrive alla Facoltà di Architettura dell’Università di Roma dove si laurea nel
1954. Sia all’Università che nell’associazionismo civico e professionale è molto attivo.

I primi lavori professionali sono nel campo dell’architettura, poi nel 1958 riceve il
primo incarico di urbanistica: il PRG di Ariccia, che non fu mai realizzato.

L’interesse per la scala urbana è evidente anche negli scritti sulle vicende urbanistiche
di Roma su Paese Sera dal 1956 al 1958. Inizia poi l'insegnamento universitario e
sceglie l’urbanistica come sua professione.

Dopo l’esperienza della Resistenza nel Partito d’Azione aderisce al Partito Comunista
Italiano. Il PCI lo candida consigliere comunale nel 1960 a Bologna dove diventa
assessore all’urbanistica nella giunta eletta il 23 dicembre 1960, con sindaco
Giuseppe Dozza.

Si trasferisce poi a Bologna dove risiederà per tutta la vita.

Come amministratore per Bologna ha un approccio di forte innovazione,


impostazione che renderà per questo la città famosa in tutto il mondo: nel 1967
pubblica «Amministrare l’urbanistica» a conclusione della esperienza amministrativa.
Quando viene eletto e nominato Assessore all’Urbanistica di Bologna ha 34 anni, solo
2 anni prima ha avuto la sua prima esperienza con il PRG di Ariccia che però non viene
approvato a causa del cambio di governo nella amministrazione.

Nel corso di tutti gli anni ‘60 ha una intensa attività professionale.

Già nel primo testo importante Campos getta le basi del suo impegno civile
Introduce la discussione sulla rendita urbana differenziale ed assoluta.

44
Sono gli anni della discussione sulla riforma urbanistica nazionale di cui è uno dei
protagonisti.

Descrive i pericoli di un regime immobiliare capitalistico che oltre a trascurare i


bisogni delle popolazioni operaie e meno abbienti costituisce una appropriazione di
valori prodotti dalla collettività.

Trasferisce nel dibattito urbanistico una serie di temi che fino ad allora erano
appannaggio di economisti dandogli un pieno significato politico. L’urbanistica non
è solo la migliore soluzione della forma ma anche convivere con queste spinte
economiche.

In questo testo non soltanto raccoglie l’esperienza fatta come Assessore a Bologna,
ma anche getta le basi del suo approccio:

• Il tema del regime immobiliare


• Il tema della rendita assoluta e differenziale
• Il tema dell’edilizia popolare
• Il tema del sovradimensionamento dei piani.

Molti Piani di edilizia Economica e Popolare PEEP e PRG di Rimini (dopo De Carlo?)
Cervia, Reggio Emilia, Modena,

Nel Piano di Reggio Emilia anticipa l’introduzione degli standard urbanistici.


Collabora con Osvaldo Piacentini della Cooperativa Ingegneri ed Architetti di Reggio
Emilia, che proveniva dalla democrazia cristiana, quindi di visione politica opposta a
Campos. Nel 1966 lascia la carica di Assessore

Nel 1968 pubblica «Urbanistica Incostituzionale» sulle conseguenze della sentenza


55 della Corte che rende illegittimo il vincolo di esproprio a tempo indeterminato
senza indennizzo per le previsioni di aree a standard

Dal 1968 inizia ad insegnare al Politecnico di Milano come professore incaricato dove
forma un gruppo di giovani legati all’INU ed al PCI impegnati in una attività di ricerca
che applica i principi proposti da Campos ES: «Una Alternativa Urbanistica per
Milano»

Dal 1970 al 1975 una seconda esperienza amministrativa in Regione Emilia-Romagna


come presidente della Commissione Urbanistica e assetto territoriale.

La sentenza della Corte costituzionale in qualche modo chiude il periodo di speranze


che si erano coagulate attorno ad una ipotesi di riforma urbanistica proposta da una
commissione per la sua stesura (Piccinato, Samonà Astengo) fatta propria dal
ministro Fiorentino Sullo che prevedeva l’esproprio generalizzato dei terreni
inedificati per mettere tutti i proprietari in posizione di parità. Dal 1962 al 1963 la
45
vicenda si consuma con una campagna di stampa avviata dal Tempo di Roma, e poi
ripreso dal Popolo, la DC sconfessa il suo ministro, cade il governo. La riforma non
verrà mai approvata. Nel 1966 la Frana di Agrigento, nel 1967 la «legge Ponte» la 765
Nel 1968 il Decreto Ministeriale sugli Standard urbanistici. Questa riforma avrebbe
avuto grandi conseguenze sull’urbanistica.

Negli anni ‘70 l’attività professionale si sposta fuori regione in Toscana, Marche,
Lombardia, Veneto, Liguria. Firma i piani di Portoferraio, Ancona, Pavia (dove lavora
con Astengo), S. Benedetto del Tronto, Vittorio Veneto, La Spezia, Vigevano, Padova,
Faenza. Molti PEEP sono preliminari poi ad un nuovo Piano Regolatore.

Sperimenta la introduzione di un Piano dei servizi, come strumento di una battaglia


per la affermazione dell’interesse pubblico contro gli interessi costituiti della rendita
fondiaria urbana.

Pavia, il Piano delle cinque salvaguardie,

• Salvaguardia pubblicistica, legata ai servizi pubblici, che sono essenziali ad


una buona città.
• Salvaguardia sociale, che cerca di difendere dalla selezione capitalistica i ceti
popolari quali artigiani e bottegai.
• Salvaguardia Produttiva, difese della produzione.
• Salvaguardia ambientale
• Salvaguardia programmatica, per avere uno sviluppo controllato

Nel 1978 pubblica «Urbanistica e austerità» dove propone le 5 salvaguardie come


modello di piano, legato alla lotta allo spreco, in un clima culturale nel quale il PCI si
fa promotore di una proposta sui temi della austerità nella politica economica.

Nel 1979 si aprono tre esperienze importanti: il Piano Territoriale dell’Emilia-


Romagna, il Piano regolatore di Madrid, la Variante al PRG di Firenze.

In Emilia-Romagna Campos ha realizzato un gran numero di piani, conosce a fondo


il territorio, nel suo piano propone l’idea di una «metropoli regionale», con il
riconoscimento delle sue parti, Appennino, Cispadana, Adriatico e Via Emilia con la
proposta di costruire il PTR attraverso quattro progetti di area.

La vicenda del Piano dell’Emilia si conclude bruscamente nel 1982 con la rinuncia
all’incarico per divergenze con la Amministrazione regionale che non condivide la
sua impostazione.

Nello stesso periodo lavora anche al Piano di Madrid, una esperienza molto positiva,
il Piano di Roma, ed il Piano per la Piana di Firenze con Giovanni Astengo che si

46
trasforma anch’esso in una battaglia per la applicazione dei principi pubblicistici
contro le pretese della Fondiaria e della Fiat proprietari di estese aree in quella zona.

Nel 1983 pubblica il libro «la terza generazione dell’urbanistica» nel quale riprende
gli esempi dei piani di Madrid, Roma, Bologna e Firenze. Nel 1984 è visiting professor
a Berkeley e nel 186-87 è consulente all’ONU per l’America Latina. Diventa così
l’urbanista italiano più noto anche a livello internazionale.

In Emilia-Romagna Campos ha realizzato un gran numero di piani, conosce a fondo


il territorio propone l’idea di una «metropoli regionale», con il riconoscimento delle
sue parti, Appennino, Cispadana, Adriatico e Via Emilia con la proposta di costruire il
PTR attraverso quattro progetti di area.

Nei piani che segue nella seconda metà degli anni ‘80 cresce l’attenzione per le
dimensioni ecologiche ed ambientali, Campos scopre la stretta interconnessione tra
urbanistica ed ecologia che arricchisce la sua prospettiva riformista.

Dal 1990, alla morte di Giovanni Astengo viene nominato Presidente onorario
dell’Istituto Nazionale di Urbanistica Dal 2000 al 2001 è Presidente del Consiglio
Superiore dei Lavori Pubblici Nell’ultima fase della sua carriera ottiene
riconoscimenti nazionali (Cavaliere di Gran Croce) e una laurea honoris causa
dall’Università di Valladolid. Muore il 29 settembre 2019 all’età di 93 anni

È considerato la figura di punta dell’urbanistica riformista. Di una interpretazione


molto politica dell’urbanistica. Da un lato ha una vasta schiera di allievi e di seguaci,
dall’altra suscita anche controversie

Nel 1987 scrive «Mi bruciano ancora le sprezzanti accuse di Quaroni all’uso della
rendita come categoria analitica, l’indiscriminato ostracismo di De Carlo all’impiego
dello zoning, le distruttive intemerate di Samonà contro gli standard: quasi che la
proposta urbanistica riformista facesse di questi strumenti il fine, la strategia e non
piuttosto li usasse come mezzi di comprensione, di pianificazione e di attuazione»

6.1 L’urbanistica Riformista di Campos:


Campos inizia la sua carriera come architetto progettando ville monofamiliari.

Giuseppe si innamorò dell’urbanistica al di fuori degli studi, egli era molto legato
all’istituto nazionale dell’urbanistica INU, Campos ne è stato anche presidente. Il
centro storico è sempre stato qualcosa di molto caro a Campos, che era noto in
spagna e più in generale all’estero per la tutela e il recupero di centri storici e dei
sistemi ambientali. Egli promosse anche progetti di edilizia popolare non isolati bensì

47
vicini ai centri delle città. Al contrario cercava di decentrare i grandi centri direzionali,
come fece per bologna. Il suo metodo per la difesa di città storica e sistemi
ambientali è stato molto apprezzato e studiato.

Campos è stato un grande docente questo era uno dei suoi metodi di fare
urbanistica. Ma anche assessore e consulente, non ha tuttavia mai avuto un proprio
studio. L’urbanistica di Campos è un’urbanistica chiara semplice, facile da rispettare
e controllare, egli voleva migliorare concretamente la qualità della vita, sempre a
partire dagli ultimi.

L’urbanistica riformista riconosce il mercato e le sue esigenze e a esse impone regole


di comportamento, ma senza soffocarla.

Sono diversi gli aspetti/temi attraverso i quali si è espresso il suo contributo originale.

a) La lotta contro la rendita fondiaria e immobiliare


Insieme alla necessità di difendere l’ambiente, sono alla base delle scelte che
influenzeranno il suo percorso culturale scientifico e disciplinare, con una
coerenza capace di rinnovarsi intorno a ogni nuovo impegno.
b) L’importanza attribuita ai numeri
Rappresenta una fondamentale verifica della qualità delle scelte urbanistiche:
la contabilità delle previsioni, in termini di aree, di offerta immobiliare,
contabilizzazione degli standard urbanistici, tradizionali e innovativi
(ambientali).
c) La sostenibilità ambientale ed economica delle previsioni.
L’incontro con la pianificazione urbanistico – ecologica tedesca sviluppa un
approccio nel quale le misure di ecologia urbana assumono un peso
crescente nella formazione del piano: la conservazione delle risorse non
riproducibili (il contrasto al consumo di suolo) e la rigenerazione naturale di
quelle riproducibili, la “mobilità sostenibile”, la costruzione di una “rete
ecologica”, rappresentano una vera innovazione per l’urbanistica italiana.
d) La forma del piano
Un piano “a due velocità” con la distinzione tra Città esistente da riqualificare
e Aree di trasformazione, che affronta le nuove problematiche della
trasformazione urbana; la perequazione urbanistica per superare
l’incostituzionalità del “doppio regime dei suoli” e la decadenza
quinquennale dei vincoli urbanistici; la compensazione urbanistica in
alternativa all’esproprio a valore di mercato; la trasferibilità delle previsioni
edificatorie per garantire perequazione e compensazione.

48
e) Un approccio morfologico ma non
formalistico
Il passaggio dall’espansione alla trasformazione
urbana mette in discussione il tradizionale
zoning funzionale: riprendendo la lettura della
qualità della città esistente nel rapporto tra
tipologia edilizia e morfologia urbana, la città
esistente è articolata in “tessuti urbani”.
Un’analoga attenzione morfologica è dedicata
alle aree di trasformazione, con alcune
indicazioni progettuali “disegnate” in forma
schematica e prestazionale, attente al contesto
urbano in cui si trovano.
f) Le diverse dimensioni del piano
La svolta del 1995 (Congresso INU Bologna) con
una proposta di riforma urbanistica ha, di fatto,
impresso un cambiamento decisivo alla forma
del piano, anche dal punto di vista giuridico (La
riforma urbanistica, i principi e le regole). Alcune
Regioni adottano la soluzione INU del piano
tripartito (Strutturale, Operativo, Regolamento
Edilizio e Urbanistico) prima della riforma del
Titolo V della Costituzione (2001), con tutti i
limiti dovuti alla radicata permanenza della
cultura della pianificazione regolativa di
tradizione.

6.2 I piani di Reggio Emilia:


Campos lavora tre volte in quarant’anni. Il primo piano
viene realizzato nel 1967 insieme ad Albini e Piacentini,
che riduce drasticamente lo sviluppo insediativo,
organizzandolo secondo una struttura gerarchica
alternativa legata al sistema della mobilità,
rappresentata allora solo dalla viabilità e dal trasporto
privato su gomma.

49
Poi nell’89 con il progetto preliminare di riordino
urbanistico delinea le prime proposte ecologico –
ambientali riprendendo e contestualizzando buone
pratiche europee (tedesche e olandesi).

E soprattutto nel Progetto Preliminare di PRG del


1994, che introduce, in una logica integrata di
pianificazione e ambiente, la perequazione urbanistica
e le regole ecologiche – ambientali da rispettare nelle
trasformazioni urbane, ma anche politiche di
riqualificazione urbanistica –ecologica per la città
esistente.

E trovano la loro definizione compiuta nel PRG 1999,


che rappresenta un piano – cerniera, fra l’urbanistica
riformista di tradizione emiliana e i nuovi contenuti
strutturali e ambientali introdotti dall’allora legge
regionale 20/2000, i cui temi sono stati ripresi e
sviluppati organicamente nel Piano Strutturale
Comunale (PSC 2009).

Il piano del ’58 mostra in bordò la crescita della città


che segue le vie est ovest quindi rispondendo alle
trasformazioni della città.

Qui invece si vede un confronto tra stato attuale e


previsione di sviluppo che invertiva l’asse da est ovest a
nord sud. E vengono inseriti dei grandi parchi urbani.

Quindi da uno sviluppo naturale che assecondava lo


sviluppo della città Campos è giunto ad una radicale
conversione della sua forma legata però agli assetti
stradali. Campos anticipa i tempi e affronta i problemi
d’impermeabilizzazione del suolo, ed evidenzia nel
torrente crostolo una spina verde ambientali.

Quattro sono le questioni attraverso le quali possono


essere meglio precisate le tematiche ambientali ed
ecologiche che caratterizzano il PRG 1999: la
realizzazione del verde attraverso la perequazione
urbanistica, la costruzione di reti ambientali

50
interconnesse, la rigenerazione ambientale dei tessuti
urbani, la costruzione di una rete di mobilità pubblica.

Realizzare il verde attraverso la perequazione

Il piano del 1999 ha declinato compiutamente e in


maniera organica la perequazione generalizzata delle
trasformazioni urbane. La specificità del caso reggiano
è la definizione un progetto di perequazione finalizzato
esplicitamente alla costruzione di un robusto e
interconnesso sistema di verde pubblico. Non
disegnando soluzioni ma indicando le prestazioni e gli
obiettivi da raggiungere, sono indicate limitate e
circoscritte prescrizioni “a flessibilità controllata”: Solo
70 ettari dei 315 ettari di verde programmato sono
acquisiti tramite esproprio, la quasi totalità delle
dotazioni è quindi acquisita come compensazione nei
comparti di trasformazione.

Costruire reti ambientali interconnesse

Le “Proposte per il sistema ambientale” sono declinate


attraverso quattro specifici campi di azione: una
“legenda parlata” collega gli oggetti e i temi territoriali
individuati alle specifiche politiche da intraprendere, sia
pubbliche che private traducendo le componenti
ambientali individuate in un esplicito progetto
ambientale, paesaggistico e territoriale: ambiente da
qualificare (le risorse esistenti); ambiente da progettare
(le risorse previste); ambiente da connettere (le reti
ambientali e di fruizione); ambiente da riqualificare (le
fragilità, le situazioni critiche). Tema molto innovativo.

Favorire la rigenerazione ambientale dei tessuti


urbani esistenti

Il Piano individua ambiti (veri e propri tessuti urbani,


non più “zone” in senso tradizionale), non solo sulla
base delle densità e degli usi ma anche delle
caratteristiche di formazione storica, di conformazione
tipologica e morfologica, di qualità ambientale e

51
insediativa, di matrice attuativa. Per tessuto urbano è
intesa un’organizzazione territoriale urbanistica –
edilizia articolata sulla base delle analisi e
dell’interpretazione della città consolidata, che
presenta caratteri di omogeneità dal punto di vista
della trasformazione storica, del rapporto tra spazi
pubblici e spazi privati, tra tipo edilizio e spazi aperti
pertinenziali.

Costruire una rete di mobilità pubblica

La politica individuata nel PRG 1999 è stato il


potenziamento anche in funzione di metropolitana di
superficie delle tre ferrovie locali in concessione
(Ferrovie Emilia-Romagna, FER, gestisce
complessivamente nove linee regionali), che innervano
il territorio provinciale (Reggio – Guastalla verso nord
Reggio – Sassuolo verso sud – est, Reggio – Ciano
d’Enza verso sud –ovest). Il piano programma il loro
potenziamento e riuso per il trasporto urbano,
realizzando undici fermate complessive all’interno della
città, unitamente alla loro interconnessione con la linea
ferroviaria FS.

Campos concentra nelle aree retinate in rosso le aree


oggetto di nuovi progetti.

L’ultimo piano, quello del 2009 riprende molti aspetti


dei piani precedenti, concentrandosi però sul tema
della rigenerazione urbana.

52
7.0 Giancarlo de Carlo:
Una delle figure più interessanti della cultura
architettonica italiana. Assai diverso da Astengo (di cui
è poco più giovane) e Campos (molto legato al Partito
Comunista). De Carlo è anarchico, è un architetto
urbanista che non voleva né vedeva separazione tra
architettura e urbanistica, che aveva una grande
capacità di percezione della dimensione spaziale da
trattare sia con l’Architettura che con l’urbanistica ed
una grande sensibilità per la dimensione sociale (alla
Jacobs) Lo osserveremo nella sua attività di urbanista
ma cercheremo, di darne un profilo più ampio.

Ebbe un ruolo importante nel CIAM, del Team 10,


fondatore dell’ILAUD, progettista di Urbino.

Pubblica anche molti articoli sulla rivista Domus.

E anche per casabella, diventando anche amico di


Ernesto Nathan Rogers. È anche amico di Elio Vittorini,
Vittorio Sereni, Cesare Pavese, Italo Calvino, Franco
Fortini, si incontrano a Bocca di Magra in estate.

Una prima occasione professionale è l’allestimento di


una nave per un armatore napoletano, che fu arricchita
da un Quadro di Laugier, noto pittore impressionista.

Nel 1950 realizza un primo progetto importante di case


per lavoratori a Sesto San Giovanni e in questa
occasione apre il suo studio a Milano. Per Questo
progetto De Carlo si ispira alla casa a ringhiera, di cui lui
stesso poi capì le criticità del suo stesso progetto

Poi su suggerimento d Vittorini e Sereni viene chiamato


da Carlo Bo rettore della Università di Urbino per una
serie di progetti, i collegi, la ristrutturazione della sede.

Nel 1952 entra a far parte del CIAM su proposta di


Rogers come giovane architetto.

Già nel 1953 in un progetto nell’area di Varese


introduce la partecipazione, esito anche del suo

53
ripensamento su uno dei suoi primi progetti a Sesto
San Giovanni.

Dal 1956 fa parte della redazione di Casabella diretta da


Rogers con Gregotti e Zanuso, partecipazione
tempestosa.

Nel 1954 cura la mostra sull’urbanistica per la X


Triennale producendo i cortometraggi Una lezione di
urbanistica, La città degli Uomini, Cronache
dell’Urbanistica Italiana.

Nel 1955 fonda il Team X assieme ad Aldo Van Eyck, gli


Smithson, George Candilis, Jacob Bakema, in polemica
con le posizioni razionaliste del Movimento Moderno.

Il Team X non era un gruppo strutturato, non aveva un


manifesto, bensì era formato da singoli individui che
discutevano di diversi problemi, con discussioni anche
burrascose.

Nel 1954 in occasione del Ciam realizza un


cortometraggio in cui affronta il tema dell’urbanistica.

Nel 1956 Giuseppe Samonà lo chiama ad insegnare a


Venezia «Elementi di architettura e rilievo dei
monumenti» dove insegnano Albini, Scarpa,
Belgiojoso, Astengo, Zevi.

Nel 1958 è poi incaricato del PRG di Urbino e partecipa


ai convegni dell’INU sull’urbanistica.

Nel 1962 svolge un ruolo centrale nel convegno di


Stresa dove presenta una relazione «la nuova
dimensione della città: la città-regione».

Dal 1961 al 1965 lavora al PIM dove è protagonista di


una proposta di piano, la Turbina.

Nei primi anni ‘60 l’attività urbanistica si intensifica:


Urbino, Padova, Volterra, Ameglia, Sarzana, tutti
progetti urbani.

Nel 1964 pubblica «Questioni di Architettura e di


Urbanistica»

54
E dal 1967 dirige per la casa editrice Il Saggiatore la
collana Struttura e forma urbana, dove pubblica
traduzioni della migliore cultura urbanistica ed
architettonica mondiale, da Lynch ad Alexander.

Dal 1964 insegna «Pianificazione Territoriale» allo


IUAV, nel ‘66 è visiting professor a Yale e l’anno
successivo al MIT e ad Harvard.

Dal 1966 il Piano particolareggiato del Centro Storico di


Rimini e nel 1969 il piano per il Villagio Matteotti a
Terni.

Nel 1968 partecipa come componente della giunta alla


XIV Triennale. Nel 1970 al dibattito per la fondazione
del nuovo Corso di Laurea in Urbanistica promosso da
Astengo.

Nel 1976 fonda l’ILAUD, un laboratorio di architettura


ed urbanistica internazionale.

Nel 1979 fonda la rivista Spazio e Società, una rivista di


estremo valore.

Nel 1979 partecipa con Samonà al Piano per il Centro


Storico di Palermo, e qui emerge il suo interesse per la
progettazione urbana e il suo distacco sempre più
marcato dall’urbanistica dello zoning.

L’attività di pianificazione è per lui sempre una attività


di laboratorio, di sperimentazione di mobilitazione
sociale.

Nei primi anni ‘80 avvia il grande lavoro per la


ristrutturazione dei conventi di Catania dove sorgerà la
nuova sede dell’Università.

Tra il 1961 e il 1965 si consuma una delle esperienze più


interessanti di elaborazione nell’ambito del Piano
Intercomunale Milanese, il PIM, che ha appena definito
una struttura di governo leggera, guidata da una
assemblea dei sindaci, costituitasi su base volontaria.

55
Il conflitto per l’assetto di governo della nuova autorità
metropolitana è alle spalle e si comincia a lavorare al
progetto di piano per l’area metropolitana milanese.

Si formano da subito due gruppi di lavoro che


esplorano soluzioni alternative.

Marco Bacigalupo, con Giacomo Corna Pellegrini e


Gian Carlo Mazzocchi che elabora la “Proposta di
sviluppo lineare”.

Gian Carlo De Carlo con Silvano Tintori ed Alessandro


Tutino, che elabora la proposta nota come “La Turbina”.

Negli anni ’60 De Carlo dirige presso l’ILSES, l’Istituto


Lombardo di Studi Economici e Sociali, le ricerche sulla
struttura urbanistica dell’area metropolitana,
elaborando il concetto di città-regione.

Lavora al lancio della collana del Saggiatore dal titolo


“Struttura e forma urbana”, che pubblica testi
fondamentali per la costruzione di una cultura
urbanistica italiana aperta al confronto internazionale
facendo dialogare la migliore cultura urbanistica
internazionale con le prime operazioni di pianificazione
a grande scala condotte in Italia.

la proposta ha dunque radici solide dal punto di vista


della concezione del piano e della conoscenza dei
meccanismi di urbanizzazione, punta ad offrire una
visione capace di convincere gli amministratori locali a
prendere decisioni coerenti e condivise indicando un
obiettivo chiaro; è tutto tranne che una mera questione
tecnica, si impegna con tutta la sua energia nella difesa
della proposta della Turbina.

La costruzione della visione avviene attraverso una


serie di passaggi logici, appoggiati ad una serie di
schemi grafici da lui stesso disegnati.

Si tratta in primo luogo di arrestare lo sviluppo a


macchia d’olio di Milano, che moltiplica i conflitti e la

56
distanza in termini di qualità spaziale tra centro e
periferia e tra urbano e rurale (Fig. 1 e 2).

A questo si contrappone l’idea di una realtà urbana


dinamica che pur avendo un suo centro è capace di
valorizzare le specificità delle sue aree più esterne e
nella contestazione radicale della proposta di sviluppo
lineare, considerata una mera certificazione di quanto
stava già avvenendo. ad una immagine tutta basata
sulla dipendenza dei poli esterni dalla città centrale
contrappone l’immagine della Città-Regione,
policentrica, articolata e plurale, che favorisce rapporti
e relazioni in tutti i sensi, non solo centripeti.

La turbina, Una immagine che dà il senso del


movimento, della dinamicità e che allo stesso tempo
consente di affrontare una serie di problemi di struttura
e di forma urbana. Rafforzare gli assi di sviluppo lungo
le “pale”, concentrando su queste direttrici servite dal
trasporto pubblico le principali opportunità di crescita
scaricando tutti i territori fra le pale perché potessero
costituire dei grandi varchi di naturalità. Una struttura
che avrebbe consentito un vero decentramento di
funzioni pregiate lungo gli assi ed alla loro sommità e
che avrebbe potuto dare una forma specifica alla
conurbazione rispettando i caratteri originari della
antica Mediolanum, la città dello scambio e
dell’incontro al centro della pianura padana diventata
grande città-regione.

Lungo le pale della turbina il cui mozzo è la città


centrale si sarebbero dovuti rafforzare gli investimenti
infrastrutturali in modo da consolidare una densità di
funzioni che avrebbe garantito eguale accesso
all’urbanità in un’area molto più estesa di quella della
macchia d’olio di Milano; di razionalizzare i sistemi di
trasporto e di penetrare con ampie fasce a verde fino
al cuore della città centrale nello spazio definito tra le
pale.

57
I principi:

• un piano che non voleva essere un piano


regolatore intercomunale ma un documento di
indirizzi con un forte contenuto strategico
• basato su una interpretazione accurata dei
processi di trasformazione utilizzando le forze
che spontaneamente si stavano muovendo;
• né restando intrappolati nelle dinamiche
correnti né prescindendo da esse, ma
provando ad orientarle
• una immagine forte proposta come un
principio di orientamento delle azioni degli
operatori pubblici e privati e che affidava la sua
efficacia non alla trasformazione in un piano
approvato ma nella sua capacità di diventare
parte dell’immaginario collettivo.
• spina dorsale della costruzione della identità
di una regione urbana che non si accontentava
di svilupparsi impetuosamente ma che sapeva
dare forma allo sviluppo
• una struttura metodologica che doveva
innescare un processo, saperlo contenere ed
incanalare assegnandogli degli obiettivi e delle
direzioni di marcia.
• che non esigeva la creazione di nuove istituzioni
di governo sovracomunale per poter essere
efficace.
• che poteva lavorare a partire dalla assemblea
dei sindaci e che si sarebbe dovuto sviluppare
attraverso una serie sequenze non burocratiche
e formali ma di senso.

La scala era ampia, non si limitava al comune di Milano,


e non traeva tanto ispirazione dai progetti come quello
di Brasilia bensì da progetti come il Five Fingers Plan di
Copenaghen.

quel percorso è stato bruscamente interrotto, per


l’immaturità delle concezioni tecniche di allora, per la
crescente interferenza dei partiti, per la saldatura di una
58
serie di interessi economici e politici, ma anche … colpisce il fatto che sarebbe stato
possibile dopo oltre cinquanta anni, nei quali si sono perseguiti ossessivamente, tutti
i tentativi di dare corso ad una concezione vincolistica e autoritaria del piano, con
pochi esiti, quel modo di pensare al Piano in una regione urbana complessa come
quella milanese è ancora attuale:

La ricerca di una interpretazione attenta dei processi di trasformazione territoriale,


la costruzione di una visione ben argomentata, la produzione di immagini
territoriali capaci di orientare una moltitudine di attori pubblici e privati per riuscire
a contrastare la distruzione dei beni comuni sono ancora gli elementi da cui partire.

Nel libro “Cities of Tomorrow” di Peter Hall, si dice che John Turner, considerato da
tutti il padre fondatore della Community architecture, era stato stimolato a riflettere
sulla relazione tra architettura e partecipazione da una conferenza tenuta nel 1948
alla Architectural Association – che allora era nota per essere la levatrice in Gran
Bretagna dei sogni di megalomania Lecorbuseriani - da un giovane architetto
anarchico italiano, Giancarlo De Carlo.

De Carlo dichiarava di essere profondamente turbato dalle condizioni nelle quali la


povera gente viveva nell’ Italia del dopoguerra “non molto differenti dalle condizioni
degli schiavi del terzo secolo AC, o da quelle della plebe nella Roma imperiale” …
“L’edilizia pubblica non può essere una soluzione perché produce squallidi fabbricati
che si allineano con monotonia attorno al perimetro delle nostre città. Il problema
abitativo non potrà essere risolto dall’alto, è un problema della gente e non sarà
risolto e neppure efficacemente attaccato se non con la concreta volontà e attraverso
l’azione della gente stessa”.

La pianificazione avrebbe potuto aiutare questo processo solo se fosse stata


concepita come “la manifestazione della collaborazione della comunità locale” solo
se diventa “sforzo per liberare la vera esistenza dell’uomo, il tentativo di stabilire una
armoniosa connessione tra la natura, l’industria e tutte le attività umane”.

I tratti essenziali della concezione della partecipazione di De Carlo:

• la critica ad una interpretazione della professione come separatezza;


• la fiducia nella società, nella sua capacità di trovare le risorse per affrontare i
propri problemi;
• un atteggiamento di vero interesse verso la gente più semplice e deprivata
che ci ricorda lo sguardo benevolo, empatico e incuriosito di Pasolini.
“l’architettura diventa generosa e significante per gli esseri umani solo se è
un’estensione gentile e delicata dell’ordine naturale” De Carlo ha cercato con

59
tutte le sue forze e decisamente controcorrente di metter al centro
dell’architettura gli abitanti.

L’esperienza più nota di sperimentazione di un approccio partecipativo è quella del


Villaggio Matteotti a Terni.

Siamo nel 68-69 quando l’ideologia della partecipazione sta diffondendosi con le
rivolte studentesche ed operaie. Dove domina un atteggiamento paternalista ed
indulgente. De Carlo osserva subito, pur in una situazione di straordinaria coesione
della comunità che si trova di fronte, che sarà necessario spogliarsi delle reciproche
certezze per ricercare in un cammino comune la definizione del progetto.

Viene sottolineata in molti scritti l’intensità dell’esperienza, il lavoro dell’architetto


che da un lato contribuisce a de-costruire alcuni dei desideri degli operai quando
esprimono modelli standardizzati veicolati dal senso comune o dalla limitatezza
dell’esperienza, e dall’altro mette in discussione il sapere della propria cultura tecnica
e della propria stessa esperienza; una volta giunti ad un dialogo autentico, ad una
reciproca fiducia ad una comunicazione vera sul piano umano prima ancora che
attorno al progetto, prendono forma una serie di contenuti innovativi dei quali negli
anni successivi si scoprirà la generatività, la capacità di produrre effetti duraturi:

perché gli abitanti continueranno a curare e ad amare lo spazio che hanno


partecipato a progettare, perché l’esperienza che hanno costruito nel progetto verrà
utilizzata anche per altri eventi come la ristrutturazione della fabbrica che interviene
qualche anno dopo.

a Urbino la mia concezione di partecipazione si esprime in modo diverso: non sono


solo il tecnico, il progettista, sono diventato nel tempo uno di loro. Tutti mi
conoscono, tutti discutono di quello che faccio, mi fermano per strada chiedendomi
delle cose. È una situazione del tutto particolare”.

Che il progettista sia capace di immergersi così profondamente nella situazione nella
quale lavora da diventare “uno di loro”, che alimenta la conoscenza locale con la
conoscenza esperta ed alimenta la conoscenza esperta con la conoscenza locale.

La partecipazione è molto più di così: si chiede, si dialoga, ma si “legge” anche quello


che la vita quotidiana e il tempo hanno trascritto nello spazio fisico della città e del
territorio, si “progetta in modo tentativo” per svelare le situazioni e aprire nuove vie
alla loro trasformazione. Ogni vera storia di partecipazione è un processo di grande
impegno e fatica, sempre diverso e il più delle volte lungo ed eventualmente senza
fine. La partecipazione impone di superare diffidenze reciproche, riconoscere

60
conflitti e posizioni antagoniste. È difficile che il dialogo
si apra subito ad una fluente ed efficace
comunicazione. Ma quando si raggiungono fiducia e
confidenza, allora il processo diventa vigoroso, spinge
all’invenzione, innesca uno scambio di idee che viene
continuamente alimentato dall’interazione dei modi
diversi di percepire le questioni portate nel dibattito dai
vari interlocutori. A questo punto l’ambiente si scalda e
“accade” la partecipazione, che è un evento non solo
intellettuale o mentale, ma anche fisico, alimentato dal
calore umano. Man mano che lo scambio si intensifica
– e si assottiglia, si acuisce e si stratifica – l’interazione
diventa sempre più stimolante e i suoi esiti non sono
più prevedibili, perché dipendono dagli interlocutori,
che sono sempre diversi e perciò rendono unico il
processo-progetto cui partecipano”

7.1 Il Piano di Urbino:


Il secondo piano di Urbino nasce sulle soglie del primo,
che era stato manomesso da delle intromissioni.

Urbino è una città di estremo valore, che è stata


rappresentata in più incisioni. Urbino per certi aspetti
può essere considerata la città ideale del rinascimento.
Urbino a fine degli anni ’50 era costituita dal centro
storico e dallo sviluppo edilizio avvenuto nei primi anni
del ‘900, inserito in modo che non impattasse
visivamente con il centro storico. Il piano di De Carlo
aveva come caratteristica fondamentale che si poneva
l’obiettivo di conservare il centro storico e non di
trasformarlo radicalmente. Erano pochi altri ad aver
avuto questo approccio, ricordiamo il piano di Gubbio
di Astengo, città molto legata ad Urbino.

Il piano regolatore di Urbino aveva sostanzialmente tre


cardini;

61
• revitalizzare il centro storico localizzando al suo
interno localizzando le facoltà universitaria,
all’interno dei conventi abbandonati;
• garantire una residenza agli studenti che non
entrasse in conflitto con la residenza degli
urbinati, quindi localizzando residenze esterne
ma non troppo distanti;
• Creare uno sviluppo urbanistico ella città
limitato, non in contrapposizione con il centro
storico.

Questi obiettivi vengono sostanzialmente realizzati, ed


ospitati all’interno di edifici ristrutturati.

Il progetto di De Carlo prevedeva anche un’espansione


verso nord, limitata da una porta. Gli edifici in linea
chiudono l’edificato. A sud est vi sono i collegi. Urbino
ha un problema, ha un rapporto di 1:1 tra abitanti e
studenti. Il sodalizio tra città e università ha permesso
di realizzare il piano.

Tuttavia, tra la fine degli anni’70 e i primi anni ’80 la crisi


porta alla necessità di affittare le case all’interno del
centro storico, che ha portato alla costruzione di
complessi residenziali esterni al centro storico.

Ben presto si capì che questo sviluppo era dannoso per


Urbino e quindi De Carlo fu pregato di ritornare ma lui
era dubbioso, fu infine convinto da Carlo Bò.

La visione di De Carlo nel secondo piano non è più


urbano centrica bensì è chiaro come la città sia un fatto
del territorio.

Il piano degli anni ’90 cercava di riequilibrare il territorio


ed Urbino. Importante è la ferrovia che collega Urbino
a Fano. De Carlo studiò e decodificò il territorio per
capire come operare.

Lo studio non era fine a sé stesso ma era di spunto per


capire come recuperare le aree naturali. Che mostra
l’approccio di De Carlo verso l’urbanistica, basato non
su retinature ma su pratiche ed esemplificazioni.

62
Queste non si limitavano alle sole aree verdi ma anche
alla riqualifica delle aree residenziali realizzate negli
anni ’80.

De Carlo ipotizzo anche il potenziamento dei nuclei


rurali sparsi, che evitava lo spostamento di popolazione
di Urbino verso Fano.

Ed ipotizzo anche una riequilibrazione tra la costa e


l’entro terra. Che, come per i Nuclei, crearono uno
scandalo visto che non previsi dalle carte urbanistiche.

Importante era anche il consumo del suolo.

63
8.0 Kevin Lynch:
Uno studioso e progettista della città di straordinaria
rilevanza internazionale. Pur applicando il suo metodo
di indagine e le sue teorie alla città americana è stato
capace di parlare al mondo intero.

Abbiamo visto che Giancarlo De Carlo oltre ad


incontrarlo al MIT e a confrontarsi con lui ne ha tradotto
uno dei suoi primi volumi.

L. riprende un filo dello sguardo sulla città aperto da


Jane Jacobs con un salto di scala che permette di
parlare dell’immagine e della forma della città. Questo
è il cuore della sua analisi della città

Lynch Nasce a Chicago nel 1918 e muore a Marta


Vineyard nel 1984 a soli 66 anni Studia a Yale, frequenta
lo studio di Frank Loyid Wright, fatto che influenza
molto il suo pensiero insegna al MIT di Boston, e qui
apre anche un suo studio.

Le opere principali:

• 1960 - L'immagine della città


• 1962 - Site Planning (con Gary Hack)
• 1964 - The View from the Road
• 1972 - What Time is this Place?
• 1976 - Managing the Sense of a Region
• 1977 - Growing Up in Cities
• 1984 - Progettare la città: la qualità della
forma urbana (A Theory of Good City
Form)
• 1990 - Deperire: rifiuti e spreco nella vita
di uomini e città (Wasting Away,
postumo a cura di Michael Southworth).

64
8.1 L’immagine della città:
Testo pubblicato nel 1960 che riscuote un successo
straordinario

Il Planning negli USA era molto legato alla social


science ma Lynch riesce ad introdurre un approccio
attento alla percezione, al benessere ed all’Urban
Design, ovvero come gli abitanti vivono uno spazio.

La sua è però una concezione comunque consapevole


della complessità del fenomeno urbano. Secondo lui
noi riusciamo a valutare la qualità di uno spazio a colpo
d’occhio

KL propone di esaminare il carattere visivo della città


americana, analizzando l’immagine mentale che di essa
i cittadini posseggono. La leggibilità è di importanza
cruciale per Lynch in quanto essa è il risultato di una
relazione tra l’osservatore e il suo ambiente. Il libro
tratta della immagine pubblica.

Un’immagine ambientale può venire analizzata in


diverse componenti:

• Identità, la capacità di riconoscere uno


spazio, non anonimo
• Struttura, deve essere percepibile la
struttura urbana
• Significato, cosa trasmette uno spazio
• Figurabilità

L. analizza tre città, Boston, Jersey City e Los Angeles,


percorrendole a piedi e segnando una serie di elementi
riconoscibili, classificandone la forza e poi intervistando
un campione di cittadini sull’immagine che ne hanno.
La sua analisi è costruita su questo. Lui va a
rappresentare innanzitutto la topografia e poi
aggiunge gli elementi visivi divisi in elementi maggiori
e minori. Riconosce nodi, percorsi, quartieri e
riferimenti. Questo modo di osservare la città permette

65
di avere un’analisi. L. realizza anche una mappa della
città descritta dagli abitanti.

Dopo di che cerca di capire i problemi dell’immagine


della città. Così La figura 8 è un modo di riassumere
l’analisi dell'immagine di Boston, un sommario che può
essere un primo passo nella preparazione di un “piano
visivo”. Esso non è che la compilazione grafica di quelle
che sembrano costituire le difficoltà maggiori
nell’immagine della città: confusioni, punti vaganti,
margini deboli, isolamenti, fratture di continuità,
ambiguità, ramificazioni, mancanza di carattere o
differenziazione.

Accoppiato ad una rappresentazione dei punti forti e


delle potenzialità dell’immagine esso corrisponde alla
fase di analisi, sopralluogo di un piano di ambito più
ristretto; come un'analisi sopralluogo esso non
determina un piano ma costituisce una base sulla quale
possono venir prese decisioni creative.

Riconosce percorsi privi di carattere, confini deboli o


mancanti, punti di confusione, dove no spazio non
comunica con chiarezza, torre senza base, ambiguità di
forma etc.

Queste anilsi le fa anche su Jersey city e su Los Angeles

Gli elementi comuni da riconoscere:

1. percorsi, canali lungo i quali l’osservatore si


muove abitualmente;
2. margini, gli elementi lineari che non vengono
usati come percorsi, confini fra diverse fasi, linee
ferroviarie, rive,
3. quartieri, zone della città riconoscibili da dentro
e da fuori,
4. nodi, punti, luoghi strategici di una città, dove le
attività si densificano,

5. riferimenti, elementi puntiformi che consentono


di orientarsi edificio, negozio, montagne etc.

66
Dei Percorsi si osserva:

• La concentrazione degli usi;


• Qualità spaziali specifiche (ampiezza, sezione, ecc)
• Caratteristiche delle facciate degli edifici;
• Prossimità a speciali caratteristiche della città (es. il fiume)
• Identità e riconoscibilità;
• Continuità funzionale; il fatto che possano avvenire una serie di funzioni
• Alberature;
• Direzionalità e gradiente topografico
• Il nome;
• Le visuali, le sequenze di riferimenti,

i Margini sono Elementi lineari non considerati percorsi (un fiume, una infrastruttura)
che separano ma possono unire, possono essere impenetrabili o penetrabili, soffici
o duri. Se Ferrovie sopraelevate sono sopraelevati, possono avere anche una
direzionalità.

I Quartieri sono Aree urbane relativamente ampie nelle quali l’osservatore può
penetrare e che posseggono alcune caratteristiche generali:

• Hanno continuità tematiche che possono consistere in una infinita varietà di


componenti:
[grana, spazio, forma, dettaglio, simbolo, tipo edilizio, uso, attività, abitanti,
grado di manutenzione, topografia].
• Hanno contorni di varie specie: alcuni sono «duri» come una ferrovia altri
«soffici» come una strada urbana.

I Nodi sono fuochi strategici nei quali l’osservatore può entrare, tipiche congiunzioni
di percorsi o concentrazioni di alcune caratteristiche. I Nodi della mobilità, stazioni
della metropolitana, le stazioni ferroviarie,

possono avere una particolare forma spaziale non è essenziale ma conferisce


importanza al nodo possono essere al contempo congiunzioni e concentrazioni.

Un nodo è l’incrocio delle ramblas di Barcellona.

Riferimenti sono semplici elementi fisici che possono variare in scala, sono Isolati e
riconoscibili e danno orientamento.

Questi elementi sono le materie prime dell’immagine della città. Essi possono essere
composti insieme per fornire una forma che risulti soddisfacente.

Gli accoppiamenti fra di essi possono rafforzare reciprocamente ed accrescere il


potenziale specifico di ciascuno
67
L’intensità delle relazioni può essere analizzata in una continuità come segue:

a) I vari elementi sono sciolti e dispersi


b) Hanno una relazione debole
c) Presentano una struttura flessibile
d) Presentano una struttura chiara.

8.3 La forma della città:


Una città è una organizzazione dai molti propositi, mutevole, un ricovero per molte
funzioni, eretto da molte mani e con relativa rapidità.

Specializzazione completa articolazione perfetta, sono in essa improbabili e


indesiderabili.

La forma deve essere in certa misura non impegnativa, modellabile per i propositi e
le percezioni dei cittadini.

I percorsi sono lo strumento più potente per ordinare l’insieme. Può essere guardato
e progettato tenendo in considerazione molti fattori: linearità, direzione, facciate, luci
commerciali, posso lavorare su Il margine, visibile, singolare sui nodi e l’intensità
d’uso.

Posso anche lavorare sul riferimento, cruciale la sua ubicazione.

Qui seguono Le cose che devo tenere da conto nel costruire una città. Ovvero le
aggettivazioni della forma:

1. singolarità o chiarezza di figura-sfondo, precisione dei contorni, chiusura,


contrasto di superficie, forma, intensità, complessità, dimensione, situazione
spaziale.
2. semplicità della forma chiarezza e semplicità in senso geometrico della
forma visibile limitazione delle parti, come la chiarezza di una cupola, l’uomo
distorce e semplifica.
3. continuità di margini o di superfici prossimità di parti ripetizione ad intervalli
ritmici, similarità, analogie o armonia di superficie di forma d’uso come
nell’uso di insegne uguali.
4. preminenza di una parte sulle altre a motivo della dimensione dell’intensità
o dell'interesse risultante dalla lettura dell’insieme come costruito da una
caratteristica principale e da un gruppo di altre. Indispensabile
semplificazione dell’immagine attraverso elementi più rilevanti di altri

68
5. chiarezza di connessioni elevata visibilità di congiunzioni e suture chiara
relazione ed interconnessione di un edificio al suolo o di una stazione della
sotterranea al suolo soprastante.
6. differenziazione direzionale asimmetrie gradienti e direttrici radiali che
differenziano un’estremità dall'altra ho un lato dall'altro o una dimensione
zione cardinale da un'altra.
7. ambito di visione qualità che accrescono il campo e la penetrazione dello
sguardo effettivamente o simbolicamente essi includono trasparenze vetrate
o edifici su colonne sovrapposizioni, quando la struttura appare al di là di altre
viste e panorami che accrescono la profondità di visione elementi di
articolazione che evidenziano di visivamente uno spazio.
8. consapevolezza di movimento le qualità che rendono sensibile
all’osservatore il suo movimento reale o potenziale attraverso sensazioni
fisiche e cinestetiche, tali sono gli artifizi che maggiorano la chiarezza di
pendii curve e penetrazioni che danno esperienza di parallasse dinamica e
prospettiva che mantengono la sostanza di direzione o di cambiamento
direzionale oh che rendono visibile l'intervallo di distanza. Una città è
percepita attraverso il movimento.
9. serie temporali serie che sono percepite nel tempo comprendono semplici
connessioni, elemento per elemento in cui un elemento è semplicemente
legato a quello precedenti a quello seguente come la occasionale sequenza
di riferimenti particolari come anche serie che sono veramente strutturato nel
tempo e quindi di natura melodica quando i riferimenti crescono
nell’intensità di forma a raggiungere un punto di massimo.
10. nomi e significati caratteristiche non fisiche che possono intensificare la
figurabilità di un elemento i nomi, ad esempio, sono importanti per
cristallizzare l'identità, occasionalmente e si offrono un indizio ubicazionale
(North Station) sistemi di nomenclatura come quello di alfabetizzare una
serie di strade possono anche facilitare la strutturazione di elementi. tutte
queste qualità non operano isolatamente quando una sola qualità e presente
oh.se le qualità sono in conflitto l'effetto complessivo può essere debole e
richiede uno sforzo per l'identificazione la strutturazione.

69
8.4 La Buona forma della città
Questo libro è una sinterizzazione completa.

In che cosa consiste la qualità urbana?

Nel prologo Lynch sostiene che si tratta di una domanda ingenua per via della
estrema complessità dei fattori che portano alla costruzione della città. Eppure,
tendiamo a riconoscere uno spazio urbano di qualità dobbiamo quindi chiederci da
cosa dipende

Nel primo cap. L fa un’analisi storica dei Valori della forma nella storia urbana,
analizza la comparsa della città nella storia a seguito di una rivoluzione agraria.

L’importanza dei luoghi di culto come ragione dello sviluppo urbano, cui si
aggiungono magazzino, fortezza, laboratorio, mercato, palazzo.

Le dimensioni prestazionali che fanno la qualità urbana sono:

• Vitalità
• Significato
• Coerenza
• Accessibilità
• Controllo
• Efficienza e giustizia.

La Vitalità è Il grado al quale la forma di un insediamento supporta le funzioni vitali,


i requisiti biologici, e le capacità degli esseri umani – quanto la forma protegge la
sopravvivenza della specie. Come la città si occupa di porteggere la sua popolazione
ed è composta da:

1. Sostentamento: cibo, energia, acqua aria, smaltimento dei rifiuti


2. Sicurezza: non ci sono rischi psicologici, sociali e fisici, veleni, malattie quindi
controllo di inquinamento e violenza.
3. Consonanza: l’ambiente urbano dovrebbe essere funzionale al
mantenimento di condizioni di benessere; consentire i ritmi biologici
naturali; incoraggiare l’uso del corpo

Tre fattori essenziali cui si è applicata l’ingegneria sanitaria a tutte le politiche di


protezione dell’ambiente. Che secondo Lynch arrivano ad abbracciare anche altri
esseri viventi.

Per quanto riguarda la forma della città esiste un certo numero di dimensioni
prestazionali che possono venir raggruppate sotto il termine di Vitalità

70
a. Sostentamento; l’adeguamento della messa a regime di acqua, aria,
cibo, energia e rifiuti
b. Sicurezza: l’assenza di veleni, malattie o pericoli ambientali
c. Consonanza il grado di accordo tra ambiente e i requisiti umani di
temperatura interna, ritmo biologico, stimoli sensoriali, e funzioni del
corpo
d. Per altre cose viventi quanto positivamente l’ambiente provvede alla
salute ed alla diversità genetica di specie che sono economicamente
utili all’uomo

e. La stabilità presente e futura della comunità ecologica globale.

Il Significato è Il grado al quale l’insediamento può essere chiaramente percepito e


mentalmente differenziato e strutturato nel tempo e nello spazio dai suoi residenti e
il grado al quale quella struttura mentale li connette ai propri valori e concetti – la
relazione positiva tra ambiente, le nostre capacità sensoriali e mentali, i nostri
processi culturali.

Essa è composta da:

• Identità: la riconoscibilità e la identificabilità di uno spazio nella sua


distinguibilità ed unicità.
• Struttura: ciò che alla piccola scala consente di capire come le diverse parti
stanno insieme, e alla grande scala è un senso di orientamento.
• Congruenza: il riconoscimento di un luogo a partire dalla forma urbana o dei
suoi edifici.
• Trasparenza: la capacità di percepire come agiscono le varie funzioni
tecniche, le attività e i processi sociali e naturali che avvengono
nell’insediamento.
• Leggibilità: gli abitanti riescono a comunicare accuratamente tra loro
attraverso le forme simboliche dell’insediamento.

La Coerenza è il grado al quale il tessuto spaziale e temporale è rispondente ai


comportamenti abituali degli abitanti: l’accordo tra forma e attività tanto nelle
strutture comportamentali che nei circuiti spaziali in cui tali comportamenti si
attuano, includendo l’adattabilità a comportamenti futuri, che risulta essere molto
importante

La adattabilità è dunque composta da:

• Manipolabilità, quanto uno spazio può essere cambiato nel suo uso e nella
sua forma

71
• Reversibilità, quanto possono essere evitati futuri vicoli ciechi per un
determinato spazio.

L’Accessibilità è la capacità di raggiungere altre persone, attività, risorse, servizi,


informazioni o luoghi, includendo la quantità e la diversità degli elementi che
possono essere raggiunti. Il grado di fluidità e di accessibilità. Un buon luogo
permette facile accesso ad una varietà di persone, beni e altri luoghi, e consente di
espandere questa capacità. Potremmo dire propone uno spazio che non è fatto di
enclave.

Il Controllo è il grado al quale l’uso e l’accesso agli spazi ed alle attività, alla loro
creazione, modificazione, riparazione e gestione sono controllati da coloro i quali
usano, lavorano o risiedono in quegli spazi

1. Congruenza: il livello al quale l’utilizzatore o l’abitante di uno spazio lo controlla


in proporzione alla loro reale presenza in esso e a quanto è per loro rilevante
2. Responsabilità: è un criterio che bilancia il precedente e suppone che coloro che
controllano un luogo abbiano motivazioni, informazioni e potere per farlo bene
3. Certezza: il livello al quale le persone comprendono il sistema di controllo dello
spazio, possono prevederne il comportamento, e sentirsi sicuri con esso.

Infine, due meta-criteri: Efficienza e Giustizia,

Efficienza: un criterio che si occupa di come vengono bilanciati performance di diversa


natura in modo tale da risolvere i conflitti fra diverse dimensioni:

• Un ambiente vitale vs. un controllo decentrato da parte degli utilizzatori


• Un ambiente vitale vs. un ambiente pienamente coerente
• Significato vs. adattabilità
• Coerenza presente e futura
• Accessibilità per tutti vs. controllo locale del territorio
• Accesso personale vs salute.

Bisogna saperle bilanciare efficientemente.

Giustizia: modo in cui i costi ed i benefici ambientali vengono distribuiti fra le persone
sulla base di principi di equità, bisogno, valore intrinseco, capacità di pagamento, sforzo
individuale, contributo potenziale o potere.

Che cosa è dunque una buona forma della città?

Una buona città è vitale, è significante, è coerente, accessibile e ben controllata e tutto
questo può essere raggiunto con giustizia ed efficienza interna.

72
9.0 Bernardo Secchi:
È stato l’urbanista che ha forse innovato maggiormente strumenti e metodi della
progettazione urbanistica dopo una prima fase di stabilizzazione e crisi della
professione. Era anche un grande studioso della città, affascinante docente e
conferenziere. Ha insegnato in numerose università ma ha avuto anche il merito di
costruire una scuola, tra cui spicca Boeri.

È stato sempre capace di anticipare questioni di frontiera nel dibattito disciplinare.


Quando è passato dalla ricerca alla pratica professionale ha avuto successo prima in
Italia e poi a livello internazionale lavorando nelle principali città d’Europa.

Nasce nel 1934 a Milano dove muore a 80 anni ancora attivo nel 2014.

Si laurea in Ingegneria al Politecnico con Giovanni Muzio che insegnava nella scuola
di ingegneria architettura e urbanistica «Muzio era un professore straordinario, un
maestro generoso e severo. Il suo riferimento, come per la maggior parte degli
architetti milanesi della sua generazione era la Vienna di fine secolo. Ci impartiva
lezioni su Palladio. Nella sua architettura possiamo riconoscere entrambi: Vienna e
Palladio»

Nel 1960 diventa assistente di Muzio, da cui dice di aver imparato la passione per la
materialità della città.

Nello stesso periodo diventa ricercatore dell’ILSES dove lavora al Piano


Intercomunale Milanese nel gruppo guidato da Giancarlo De Carlo.

«De Carlo, uomo di charme e grande oratore non era mai soddisfatto di sé stesso,
sempre inquieto e alla ricerca di qualcosa oltre. Un’inquietudine che è divenuta la
mia»

Quando Muzio va in pensione a metà degli anni ’60 Secchi lascia il Politecnico. E viene
attratto dagli studi di economia in particolare ad Ancona dove attorno a Giorgio Fuà
si era concentrato uno dei migliori gruppi di economisti italiani.

Le sue prime esperienze di insegnamento sono proprio alla Facoltà di Economia di


Ancona nel 1966-67 dove presto ottiene l’incarico di dirigere l’ISSEM (Istituto di Studi
Sociali ed Economici delle Marche).

Ottiene la libera docenza in Economia regionale, esame necessario per ottenere poi
la cattedra.

Samonà lo chiama a insegnare a Venezia dove insegna Economia Urbana e


Regionale. Sempre con Samonà lavora al Piano del Trentino.

73
«Molto colto, curioso, divoratore di libri, amabilmente loquace e molto generoso,
Samonà era un vulcano in continua eruzione: apriva in continuazione nuovi terreni di
discussione, un nuovo fronte di avanzamento delle nostre ricerche» Con Paolo
Ceccarelli, suo coetaneo, lavora al Piano di Aosta.

Scrive «Squilibri regionali e sviluppo economico» un testo di economia territoriale


sulla interpretazione degli squilibri territoriali che conclude un intenso periodo di
studi nel mondo dell’Economia, anticipato da altri libri: Analisi delle strutture
territoriali (1965) Angeli, e Analisi economica dei problemi territoriali (1966) Giuffrè.
Insomma, Secchi inizia la sua carriera come economista territoriale, molto
apprezzato, è da qui che nasce l’interesse per l’urbanistica.

Negli anni ‘70 si dedica all’Università: a Venezia prima dove partecipa al progetto di
nuovo corso di studi in Urbanistica di Giovanni Astengo e a Milano dove si trasferisce
dopo aver vinto il concorso da Ordinario in Urbanistica nel 1974 e dove poi nel 1976
diventa Preside fino al 1982 segnando un cambiamento importante nella Scuola di
Architettura.

Una volta a Milano si occupa di politiche territoriali e poi di analisi del discorso.

Nel 1984 pubblica «Il Racconto urbanistico» uno studio sulla struttura narrativa dei
testi e dei progetti di urbanistica, un libro che è stato un grande successo.

Il libro apre una attenzione all’analisi dei testi urbanistici per rilevarne la struttura
narrativa, l’operazione di legittimazione delle scelte effettuata attraverso la logica del
peggioramento e la logica del miglioramento. Una seconda parte è dedicata alla
Politica edilizia.

Si occupa di politiche territoriali e poi di analisi del discorso.

Nel 1984 pubblica «Il Racconto urbanistico» uno studio sulla struttura narrativa dei
testi e dei progetti di urbanistica, un libro che è stato un grande successo.

Il libro apre una attenzione all’analisi dei testi urbanistici per rilevarne la struttura
narrativa, l’operazione di legittimazione delle scelte effettuata attraverso la logica del
peggioramento e la logica del miglioramento. Una seconda parte è dedicata alla
Politica edilizia.

Nel 1984 torna a Venezia allo IUAV dove lavora insieme a Tafuri e Gregotti.

Si occupa della urbanizzazione diffusa con un atteggiamento critico ma non


moralista, che suscita controversie.

Cerca di capire gli effetti negativi della città diffusa, tipo di urbanizzazione
ampiamente criticata dall’urbanistica moderna.

74
Un cambio di orientamento dallo studio al progetto
avviene con l’incarico per la redazione del Piano di Jesi
per la realizzazione del quale monta una squadra
formata da molti dei suoi allievi in Università.

Jesi (1984-1987) è il primo avvicinamento ad una


urbanistica praticata come progettista.

Collabora il suo gruppo di ricerca dell’Università:


Bianchetti, Boeri, Di Biagi, Gabellini, Infussi, Ischia, che
sono anche i membri della redazione di Urbanistica e
allievi.

Costruisce un ufficio di piano locale, come avevano


fatto anche altri architetti, non aveva uno studio, ma
aveva portato con sé i giovani più promettenti.

Secchi stava per compiere 50 anni, ricco di tutte le


esperienze passate di insegnamento e di ricerca.

Secchi ambiva a:

• Mostrare come un piano non servisse solo ad


aggiungere aree edificabili ma fosse una
operazione culturale alta, di rinnovo della città.
• Muoversi in autonomia rispetto alle leggi
forzandole per ottenere risultati di qualità.
• Mobilitare conoscenze tecniche diverse per
costruire progetti densi Per questo riconoscere
le parti, le morfologie, le strutture del
paesaggio, costruendo un atlante di lettura
ricco e profondo.

Le principali innovazioni che porta a Jesi sono:

• La interpretazione della città e il riconoscimento


delle sue parti: Jesi città «composta»,
• L’analisi fortemente integrata con l’attività
progettuale e con l’immersione nel contesto
«l’urbanistica fatta con i piedi», i progetti
tentativi, come strumento di analisi.

75
• Il progetto di suolo, lui sosteneva che un
problema del disegno urbano è che si
progettavano architetture e non il suolo
• I progetti-norma, contrapponendosi ai piani
retinati, questi progetti sono preliminari, e
servono a far emergere delle necessità.

È stato molto criticato, soprattutto per l’estrema rigidità


dei progetti Norma.

Osservando le tavole di Jesi si vede l’attenzione anche


per le alberature

Nello stesso 1984 si apre una importante esperienza


internazionale: quella de Piano di Madrid con Campos
Venuti e Nuno Portas.

Campos ne parla come di un piano di una nuova


generazione che innova rispetto ai piani del passato
assumendo le questioni ambientali, della mobilità, della
qualità urbana come questioni centrali. Secchi ne parla
come di un Piano che assieme a quanto avveniva in
parallelo a Barcellona, ha rappresentato una svolta
nell’urbanistica europea perché costituiva il quadro
entro il quale indirizzare ed accogliere progetti di
architettura non secondo la logica dello zoning.

Dal 1985 nel corso di una lunga collaborazione con la


rivista Casabella dove Secchi tiene una rubrica fissa sui
temi dell’urbanistica, si apre l’esperienza della direzione
della rivista Urbanistica.

La redazione è composta dai suoi allievi e collaboratori:


Cristina Bianchetti, Stefano Boeri, Paola Di Biagi, Patrizia
Gabellini, Francesco Infussi, Ugo Ischia.

La direzione della rivista dà a Secchi la possibilità di


parlare alla comunità degli urbanisti, non solo e non
tanto la comunità accademica, con la quale è abituato
a confrontarsi, ma piuttosto la comunità di chi pratica
l’urbanistica.

76
È in corso l’esperienza di Jesi, si sta affacciando ad una intensa attività professionale,
la rivista costituisce uno spazio ideale per impostare un ruolo anche di rifondazione
disciplinare.

La dirige fino al 1990.

Dopo Jesi, lavora a Siena, dove invece costruisce un gruppo di progettisti


completamente nuovo, separandolo dal gruppo della redazione di Urbanistica, dei
suoi allievi e collaboratori. Siena gli dà la possibilità di misurarsi con
un’importantissima città storica.

Secchi mira ad un piano differente che stabilisca delle relazioni differenti con il
progetto di architettura. Il progetto di architettura deve essere integrato, non deve
venire dopo. Siena, città medievale, non ha molti edifici medievali, e allora cosa rende
Siena una città medievale? Siena ha uno spazio interno ed uno spazio esterno.

Secchi cerca di creare un legame tra la città moderna e la città antica. Come per Jesi
anche a Siena Secchi realizza un progetto di suolo.

Nel 1990 fonda assieme a Paola Viganò lo studio Secchi Viganò a Milano, si tratta di
una collaborazione che produce un’accelerazione nella sua attività professionale, pur
non abbandonando mai l’insegnamento a Venezia, dove istituisce un Dottorato di
Urbanistica diverso da quello coordinato da Pierluigi Crosta di Politiche Urbane e
Territoriali.

Si può osservare un ciclo prevalentemente italiano nel decennio dei ’90 con i Piani
importanti di Bergamo, Prato, Brescia, Pesaro, fino al Piano Provinciale di Lecce e poi
un ciclo degli anni 2000 prevalentemente al di fuori dell’Italia, tra Belgio e Francia,
con una ultima fase di costruzione di visioni strategiche che si apre con Grand Paris
e prosegue in molte città importanti.

Nel 1989 pubblica «Un progetto per l’Urbanistica» Dove raccoglie tutti i suoi scritti
per Casabella e per Urbanistica e li inquadra nel titolo che vuole comunicare l’idea
che con il suo contributo sta lavorando ad un nuovo progetto per l’urbanistica.

Dopo aver partecipato alla costituzione del corso di laurea in urbanistica di Giovanni
Astengo, Secchi si allontana da quella ipotesi per privilegiare un approdo
all’urbanistica più vicino all’architettura.

Constatando i fallimenti, e la scarsa reputazione dell’urbanistica con la crisi che si


apre negli anni ‘80, Secchi sembra voler assumere la guida di un processo di
rivalorizzazione dell’urbanistica.

L’urbanista è il depositario di una tecnica, l’urbanistica si è avvicinata all’arte, è


divenuta indipendente.
77
La prima lezione di Urbanistica è un libro che esce nel 2000, un testo non semplice
come lui dice. Tradotto in molte lingue. nella prima parte discute di cosa si deve
intendere per urbanistica. nella seconda parte solleva i problemi dell’urbanistica
contemporanea. Infine, la terza è dedicata a riflessioni per il futuro dell’urbanistica.

La città del ventesimo secolo, Esce nel 2005, ed è un testo nel quale Secchi cerca di
sistematizzare le sue riflessioni sui cambiamenti strutturali che hanno interessato la
città.

È organizzato nella forma di tre racconti: quello della apparente dissoluzione della
città e della necessità di nuove descrizioni; quello della grande generazione della
città fra le due guerre; quello della responsabilità nuova del progetto urbanistico di
fronte alle trasformazioni dell’urbano.

La città dei ricchi e la città dei poveri,

Sorprendentemente, nel 2013 torna su un tema di disuguaglianze, come era stato in


qualche misura il libro Squilibri regionali e sviluppo economico. Come sempre è un
libro che anticipa temi sui quali molti cominceranno a lavorare negli anni successivi.
Si occupa non di come architettura e urbanistica possono risolvere i problemi di
crescente disuguaglianza, ma ci come molti aspetti dell’architettura e dell’urbanistica
della città incidano, possono aggravare o migliorare divari tra le persone e i gruppi.

78
10.0 Secchi, La nuova forma di Piano:
«L’analisi dei caratteri visibili della città e del territorio
sempre più impronta di sé una nuova «forma» di piano;
ne definisce i confini, i caratteri ed i connota:: quelli di
un piano prevalentemente limitato alla città esistente e
alla sua modificazione, caratterizzato da una forte
attenzione alla morfologia dell’ambiente costruito,
connotato dalla ricerca attraverso il progetto di
architettura, di una interpretazione della qualità dello
spazio che possa proporsi come adeguata a ciò che
vagamente esprime su questo terreno la società
contemporanea.» 8

Secchi Ipotizza una nuova forma di piano: pensare a un


piano urbanistico che sia fatto in modo diverso e che si
costituisca anche materialmente (tipo di disegni, testi,
raccolti…) in maniera differente. L’ipotesi fatta consiste
nell’elaborare un piano urbanistico che, rispetto al
passato, definisca dei rapporti differenti con il progetto
d’architettura.

A partire da queste riflessioni scritte sulla rivista


Urbanistica, lavora ai piani di Jesi (1988), di Siena (1990),
di Abano (1992), del centro storico di Ascoli Piceno
(1993), delle province di Pescara e La Spezia e anche al
piano regolatore generale di Prato.

10.1 Prato, la città fabbrica:


Sono due gli aspetti fondamentali di questo territorio:

• il sistema idrografico della regione;


• I cambiamenti socioeconomici e la
stratificazione di piani urbanistici comunali.

L’Arno, attraversa la piana di Firenze e attraversa quindi


Prato, città di ca. 200 mila abitanti.

8
Una nuova forma di piano, Urbanistica, n.28, febbraio 1986
79
Il sistema idrografico ha avuto una notevole incisione
sia sull’urbs che sulla civitas di prato che fin dall’anno
mille erano state fatte opere di canalizzazione e
bonifica, creando così Gore e Goroni. Questi avevano
funzioni energetiche, e sono la causa della
commistione tra edifici produttivi ed edifici abitativi.

Secondo il rilievo fatto da Enrico Bruzzi all’inizio del XX


sec. lungo le gore si sono installate, sin dal Basso
Medioevo, le prime fabbriche (opifici idraulici) per la
produzione di tessuti di lana. In queste fabbriche, de-e
gualchiere l'energia idraulica prodotta dalle acque,
consentiva a dei rulli di girare i teli di tessuto, questo
procedimento chiamato follatura, restituiva un tessuto
di lana più compatto e impermeabile.

Stretta relazione tra le gore, le gualchiere (opifici


idraulici pratesi) e residenze.

La stessa carta topografica dell’industria laniera


evidenzia un’altra peculiarità: gli assetti produttivi
iniziali, seppure situati in parti diverse della pianura,
non interferiscono con gli insediamenti residenziali, dai
quali restano ancora separati per le ampie campiture di
verde agricolo.

Questo fragile equilibrio fra zone residenziali e


industriali si rompe alla metà del secolo scorso, quando
la prima grave crisi del tessile pratese determina una
radicale trasformazione della struttura produttiva, con
la dismissione di molte di quelle fabbriche a ciclo
completo, censite nella carta Bruzzi del 1918, con la
contestuale nascita dell’artigianato tessile per le
lavorazioni in conto terzi.

80
10. 3 i piani urbanistici dal dopoguerra
agli anni ‘90

IL PIANO SAVIOLI (1954-1956)

A partire dal 1950 si registra un eccezionale sviluppo


della produzione tessile. Il sistema produttivo pratese si
trasforma radicalmente con la riduzione delle industrie
a ciclo completo e la contestuale formazione di una
miriade di aziende di piccole e medie dimensioni.

Il PRG dell’Arch. Leonardo Savioli identifica vaste e


diffuse “zone miste” per le quali le norme di Piano
forniscono generici “...orientamenti per una fluida
impostazione libera e ordinata nello stesso tempo di
quei nuclei vitali, ove la residenza, l’artigianato,
l’industria, in vario modo si fondono e si contemperano,
formando un tutt’uno inscindibile e funzionalmente
completo.” 9

Quindi S. riconosce il valore del territorio e non si


impone per modificarlo, però il Consiglio Superiore dei
LL.PP. boccia il Piano Savioli proprio per la genericità̀ e
promiscuità̀ dell’azzonamento che contraddice
l’assunto ministeriale dello “zoning”.

IL PIANO MARCONI (1961-1964 adottato nel 1971)

il Piano Marconi è il piano fondativo della Prato


moderna.

Plinio Marconi nell’analisi preventiva della situazione


urbanistica, non usa mezzi termini nel definirla “...un
disordine edilizio deplorevole...” in quanto
caratterizzata da un “[...]groviglio incoerente di piccole
strade, di fabbricati industriali e di edifici di abitazione
l’un l’altro frammischiati, nel cui ambito è [...]

9
PRG, Savioli – 1956, Relazione Generale, paragr. L

81
estremamente difficile stabilire la trama di un Piano
Regolatore.” 10

La riorganizzazione urbanistica proposta da Marconi


consiste nella preventiva predisposizione di aree
industriali nell’estensione necessaria- i macrolotti.

Il Piano Marconi viene «schiacciato» dal Piano


Intercomunale Fiorentino di Astengo (1965) che
incoraggia una struttura urbana lineare della piana
sfavorendo i nuclei urbani concentrati.

IL PIANO SOZZI – SOMIGLI (1981)

Viene realizzato un ultimo piano prima di quello di


Secchi. Il Piano Sozzi e Somigli sostanzialmente
riproduce la configurazione urbanistica del PRG
Marconi, apportando alcune riduzioni alle previsioni
insediative residenziali, ma lasciando praticamente
inalterata l’ubicazione e la consistenza edilizia dei
grandi Macrolotti previsti dal Piano precedente.

Per quanto il Piano Marconi sia approvato già dal 1971,


le previsioni dei nuovi Macrolotti tardano a tradursi in
realtà: il progetto esecutivo del Macrolotto 1 viene
approvato solo nel 1975, mentre si dovrà attendere il
1990 per l’approvazione, almeno nella prima versione,
del Macrolotto 2.

10. 4 PRG di Studio 93, Secchi Viganò


Bernardo Secchi viene incaricato dall’Amministrazione
Comunale di Prato dell’elaborazione del nuovo piano
urbanistico della città nel 1993.

Studio 93 lavora al piano dal 1993 fino al 1996, poi


adottato nel 1998.

10
PRG Marconi – 1964, Relazione Generale, pag. 15,28

82
Il piano viene elaborato durante la fase di approvazione
della Legge Urbanistica della Regione Toscana LR n.5
del 1995. Che rivoluziona la struttura della
pianificazione urbana in Italia.

Nel 1996 vengono pubblicati due libri – «Laboratorio


Prato PRG» e «Un progetto per Prato» - con la casa
editrice Alinea.

Il piano è tripartito ma Quasi nulla del piano è stato


realizzato.

Secchi rimane folgorato dalla bellezza della città e della


sua Mixitè.

Secchi è interessato dalla parco della città,


caratterizzate dalla frammistione di edifici residenziali e
produttivi, che era stata oggetto di rifiuto nei
precedenti Piani Regolatori, sia da parte di Marconi, che
l'aveva genericamente destinata a Piani di
Ristrutturazione, sia da parte di Sozzi e Somigli sulle
quali avevano sollecitato

l'innovazione tramite interventi di demolizione e


sostituzione edilizia, con parametri analoghi a quelli
delle zone di espansione.

Per Secchi quel tessuto urbano caratterizzato da una


continua e diffusa promiscuità edilizia, dagli elevati
rapporti di copertura e dalle modeste altezze, costruito
per addizioni successive e chiuso ai bordi delle strade,
costituisce la vera identità morfologica della città che
merita di essere salvaguardata anche nella
trasformazione, con regole che ne garantiscano il
mantenimento del principio insediativo originario.

1) Secchi mette al centro della riflessione:

• •il rinnovamento necessario della disciplina


urbanistica,
• •il ripensamento delle strategie cognitive
dell’urbanistica,

83
• •il ripensamento del proge6o come strumento
per l’urbanistica.

2) Prato, città fabbrica, sfugge alla descrizione


tradizionale dei sistemi urbani.

Il piano di Prato si costruisce come oggetto complesso:


non è un documento in particolare ma l’insieme di
documenti che lo compongono.

Il Piano di Prato si costruisce sperimentando nuove


strategie cognitive, prendendo spunto dall’esperienza
francese.:

• L’ascolto: “Ascoltare non è un’operazione semplice:


partecipare a una riunione e prendere appunti,
registrare i discorsi che si tengono in una stanza.
Ascoltare vuol dire in primo luogo dare voce alla città;
consentire che i suoi abitanti ne facciano propri,
articolati, specifici resoconti; lasciare che da questi
emerga la molteplicità delle esperienze che della città
essi hanno, il fascio di immagini attraverso le quali essi
le filtrano, interpretano e giudicano.” 11

• Il rilievo: “Rilevare è soprattutto camminare e vedere:


fare concreta esperienza della città e del territorio,
lasciarsi sorprendere dai suoi aspetti ripetitivi od
insoliti; annotare per confrontare, migliorare la propria
educazione allo sguardo.” 12

•L’analisi tecnicamente pertinente: rende


comprensibile lo spazio rilevato: misure distanze,
densità, rapporto tra spazio aperto e spazio costruito
sono indicatori analizzati per comprendere il rilievo e
l’ascolto.

• L’esplorazione progettuale: il progetto come


strumento di conoscenza. Ipotizzare progetti per
conoscere il territorio.

11
Laboratorio Prato PRG, pag. 12
12
Laboratorio Prato PRG, pag. 13

84
“Chi osserva tutto ciò è spinto a studiare meglio
l’immaginario collettivo e ad osservare da molto vicino
le diverse situazioni: è spinto, in altri termini, ad
ascoltare, a rilevare, a svolgere analisi tecnicamente
pertinenti; a rallentare l’interpretazione, a mantenerla
sotto il controllo continuo della descrizione; a
confrontarla con quello che emerge dagli sguardi
differenti, dello scrittore, del fotografo come del
botanico e del geologo, del sociologo e
dell’economista; ad usare il progetto come
provocatore di ulteriori reazioni offerte alla sua
osservazione ed analisi, a non codificare le proprie
mosse, a ripeterle più volte in modi nuovi e diversi, ad
utilizzare, in altri termini, strategie cognitive non
opposte, ma certamente dissimili da quelle cui
l’urbanista si era abituato sino ad anni recenti.” 13

Vengono istituiti due spazi di lavoro, che non sono


consequenziali ma si sviluppano in parallelo:

Studio Prato PRG al piano terra del palazzo che ospita


gli uffici urbanistici comunali, in pieno centro storico.

Dove lavora stabilmente un numeroso gruppo di


persone nei due anni e mezzo di elaborazione del piano
in collaborazione con i tecnici comunali.

Laboratorio Prato PRG, situato in un ampio spazio al


piano terra in via Bologna a Nord del centro storico.
Luogo di ascolto non passivo e fortemente innovativo
per l’epoca. Un luogo aperto alla città e al dibattito
nazionale e internazionale.

Si organizzano seminari, mostre, workshop di


progettazione, dibattiti, presentazioni dello stato di
avanzamento del piano. Questi; due spazi diventano
luoghi di ascolto e di scambio.

L’esito del Lab Prato PRG è raccolto nel libro prima


citato.

13
Laboratorio Prato PRG pag, 353
85
Dalla combinazione tra le nuove strategie cognitive
adottate e le discussioni nate nei luoghi di elaborazione
del piano, il PRG di Prato prende forma definendo:

• un quadro conoscitivo
• possibili scenari futuri: temi e problemi
• la costruzione di una politica urbana

Parte fondamentale del piano è il quadro conoscitivo.


L’azione del descrivere è un momento progettuale in
senso pieno: un momento esplorativo non solo delle
lacune da colmare ma anche delle latenze e delle
possibilità contenute nei luoghi.

Lo stesso Secchi dice che i testi contenuti nella prima


parte del piano “non costituiscono quindi una
illustrazione del piano o un suo commento. Essi “sono”
il piano, come lo sono le tavole e le norme che li
accompagnano. Tra le parole, i disegni e gli articoli delle
norme si vengono ora a stabilire relazioni nuove di
assoluta pariteticità. Il piano di Prato deve essere
considerato un esperimento in questa direzione.” 14

Le strategie cognitive rivelano tre città diverse:

• la città compatta: costituita dal centro storico e


dalla città fabbrica che prosegue nel tessuto
stratificato con la stessa varietà della parte
antica e gli edifici industriali ne sono parte
integrate;
• la città delle quadre: la città organizzata ancora
intorno ad aree coltivate, ingloba alcuni vecchi
borghi;
• la città dei filamenti: organizzata dal reticolo di
origine romana di strade e di acque.

Primo tipo di rilievo (1:2000) si sdoppia: le diverse fasi


del ciclo tessile essendo queste sparse in tutta la città.

14
Un progetto per Prato, pag.11
86
Mostrano:

• la geografia di questi luoghi; Il tema della


mescolanza, della mixité emerge come tema
progettuale e sarà posto al centro del progetto
di piano
• l’entità dell’abbandono. Il tema della
mescolanza, della mixité emerge come tema
progettuale e sarà posto al centro del progetto
di piano.

Terzo tipo di rilievo (1:5000 e 1:1000): riguarda il centro


antico della città ed è basato sull’unione di mappe
catastali e rappresenta il piano terra della città antica.
L’indagine metta al centro gli spazi aperti e il loro
utilizzo.

Quarto tipo di rilievo (1:10000): Riguarda la lettura dei


tratti Salienti del paesaggio naturale e culturale.

La città di Prato non è solo una città pianura. Influenza


del contesto e del territorio montano e collinare vicino.

Il rilievo fa emergere l’eterogeneità del territorio


pratese (parte alta e parte bassa della pianura) e spunti
progettuali sulla gestione delle acque.

Vengono discussi diversi scenari approfondendo temi


e per esplorare il futuro di questa città: il primo intono
allo sviluppo industriale, il secondo ai modi dell’abitare
e il terzo intorno alla circolazione e alla mobilità.

A conclusione di queste sperimentazioni si traccia “una


città più ricca”.

“Il futuro di una città come Prato non può essere ridotto
al pur ricco scenario del suo sviluppo industriale, a
quello altrettanto complesso dei suoi modi di abitare, o
a quello irto di difficoltà della circolazione. In una città
vi sono molte più cose. […] Prato può ospitare
importanti istituzioni congressuali e culturali: spazi
della musica, dello spettacolo, spazi espositivi e
congressuali, spazi dello sport. Il Fabbricone ha

87
ampiamente dimostrato seguendo le tendenze e che
sono comuni a tutti i paesi europei, come le fabbriche
dismesse possono divenire luoghi di grande attenzione
collettiva: luoghi centrali, non marginali.” 15

A partire da queste considerazioni e dallo scenario


tracciato «una città più ricca», viene esplorata nel piano
la trasformabilità funzionale e formale delle parti della
città: “non solo la possibilità del suo riuso ma anche la
possibilità che esso divenga altro se inserito in altre
composizioni.” 16

L’urbanista bricoleur (Claude Levy-Strasuss) studia


modi di comporre l’esistente entro nuove regole e
figure, entro nuove strutture visive e funzionali.

La costruzione di una politica urbana si basa


sull’applicazione, o meglio, sulla congiuntura tra la
volontà e la necessità di adoperare nuovi strumenti di
pianificazione istituzionali per il progetto della città
contemporanea (la nuova forma di piano) e le
indicazioni della nuova legge regionale 5/95. (piano
strutturale - sistemi, statuto dei luoghi e unità
territoriali organiche elementari-, regolamento
urbanistico, programma integrato d’intervento).

Secondo Secchi si tratta di un avanzamento


concettuale di enorme portata che rompe con la
tradizione di un progetto urbanistico costruito in base
alle zone omogenee e dei soli aspetti funzionali della
città e del territorio.

All’interno del piano strutturale vengono riconosciuti


principali sistemi.

un sistema di luoghi centrali: costituito da grandi


luoghi d’incontro collettivo come le piazze, le strade
commerciali, i musei, i parchi e i giardini…

• un sistema ambientale: l’acqua, la vegetazione,


le trame agricole…

15
Un progetto per Prato, pag. 127
16
Un progetto per Prato, pag. 135
88
• un sistema della mobilità: rete viabilistica, rete
ciclabile e pedonale…
• un sistema della residenza: aree residenziali
esistenti e in programma
• un sistema della produzione: aree industriali
interne alla città, aree di produzione in
prossimità dei borghi rurali e i macrolotti.

Lo statuto dei luoghi individua i tipi di intervento cui


ciascun luogo dovrà essere assoggettato.

La sovrapposizione di questa carta con i luoghi della


trasformazione e la carta dei Cinque sistemi
identificano delle particolari aree studiate con appositi
e mirati schemi direttori e i progetti norma.

Gli schemi direttori sono progettti d’area che tengono


insieme anche più sistemi, ed hanno l’obiettivo di
proporre degli indirizzi di trasformazione.

“Negli schemi direttori e nei progetti norma del piano


di prato si rappresenta una strategia della
trasformazione: l’insieme degli schemi direttori e dei
progetti norma ne chiarisce i temi, i luoghi, i modi, i
costi e i tempi. Il suolo degli schemi direttori e dei
progetti norma è quindi essenzialmente costruttivo. […]
Gli schemi direttori dettano regole: esse riguardano in
primo luogo il progetto di suolo di un’area estesa,
volutamente appartenente a differenti sistemi ed
interessata in modo unitario da programmi di
trasformazione.” 17

Cosa non ha funzionato del Piano di Secchi:

Il piano non ha immaginato come poi è andata la storia


di questa città:

• Non anticipa l’arrivo massiccio di popolazioni


manifatturiere cinesi.
• Non prevede la crisi e dismissione dell’industria
tessile in città.

17
Un progetto per Prato, pag. 197
89
Cosa ereditiamo?

• piano visionario che si è interessato di zone miste e difficilmente catalogabili,


precedentemente classificate come confuse e da demolire.
• la descrizione come strumento esplora8vo, complesso e contorto; non
semplice a supporto del rapporto lineare tra conoscenza e azione.
• riuso dei luoghi e il pensare l’urbanista come un bricoleur
• gli schemi direttori che incoraggiano un progetto di città che include sistemi
differenti, con logiche dissimili “Se del piano di Prato delle sue scelte e
proposte non è rimasto molto del Laboratorio, dello Studio Prato Prg e di
Bernardo Secchi molto è rimasto nella memoria collettiva pratese.” 18

I piani urbanistici pratesi successivi hanno fatto i conti con questo piano e con quello
che ha esplicitato. Il Macrolotto 0 è oggi uno dei luoghi maggiormente studiato a
Prato per mettere in pratica strategie di rigenerazione urbana e riuso degli spazi
industriali in spazi collettivi.

10.5 Grand Paris:


Progetto di Secchi e Paola Viganò, per il Gran Paris (2008-Sarkozy, ciò gli dà
importanza nazionale no sindaco).

Gran Paris è progetto (tutt’ora in corso) che mira a far diventare Parigi una metropoli
mondiale del XXI secolo. Gli obiettivi che vennero posti per il bando: benessere
cittadini, togliere disuguaglianze territoriali e sociali e futuro sostenibile. La
grandezza di Gran Paris deriva anche dalla quantità e dalla diversità dei vari progetti
in cui si articola abbiamo infatti iniziative culturali, di consultazione, infrastrutturali
diventano anche struttura di governance e fanno parte di un progetto più
istituzionale perché va oltre la competenza comunale.

Proposta di Secchi per la consultazione internazionale indetta da Sarkozy

Gran pari(s) de agglomération parisienne

L’unica equipe italiana chiamata per la consultazione. Il tema era fare un


ragionamento sugli sviluppi futuri della metropoli del XXI secolo dopo il protocollo
di Kyoto.

18
Paola Viganò in C.Renzoni, M.C.Tosi (eds), Bernardo Secchi libri e piani, Officina Edizioni 2017, pag.
107

90
10. 6 Ville poreuse
Proposta di Viganò e Secchi. Sono due i motivi per cui importante:

1. Ruolo del tutto speciale e importante nella carriera di Secchi, questo progetto
riassume tutti i concetti principali di Secchi soprattutto dei suoi ultimi anni di
carriera, Ville Poreuse ne rappresenta anche il testamento.
2. Ville Poreuse assume carattere di manifesto. Per la prima volta vengono messi
a sistema i grandi temi e strategia che da anni 2000 hanno caratterizzato il
pensiero di Secchi:
− La nuova questione urbana
− porosità/permeabilità
− scenari come strumenti per la pensabilità del futuro

Paola Viganò fu fondamentale nella carriera di Secchi soprattutto alla fine, ogni
elaborato/strategia veniva discusso ed elaborato insieme a lei.

L’importanza del Gran Paris si vede anche dal processo (foto), è un nuovo metodo
perché si tratta di un processo che si impronta sulla velocità: viene richiesto un lasso
di tempo molto breve per l’elaborazione del progetto (fra selezione dell’equipe e
l’incarico di progetto passano sei mesi). E dal fatto che non era né un progetto né un
piano (le proposte delle varie equipe hanno la sola funzione consultiva. Si tratta
quindi di un vero e proprio nuovo modello caratterizzato da velocità.

91
Nel gran Paris non era previsto un vincitore fra le equipe e le idee. Nel bando era
fondamentale che l’equipe fosse multidisciplinare e da subito le competenze dell’
equipe di Secchi e Viganò anticipano i grandi temi del metodo della Ville Poreuse.

I materiali e la forma di questo piano sono quelli tipici di Secchi. Ogni elemento
nell’esposizione scritto-visiva del progetto assume una forma uguale ad ogni altro
elemento, anche i testi verranno riproposti all’interno del Ville Poreuse.

La porosità è la metafora utilizzata dall’equipe per risolvere tutti i problemi che


secondo Secchi riguardavano la città di Parigi come le diseguaglianze sociali, la
povertà, la mobilità. Diventa strumento per eliminare le barriere che ostacolano la
permeabilità delle cose e delle persone (diminuire diseguaglianze sociali e
aumentare le connessioni ambientali.

Ville Poreuse secondo Secchi non è un progetto di una città ma un’infrastruttura su


cui costruire un nuovo modello di città.

PRIMA FASE DELLA CONSULTAZIONE

LA METROPOLI DEL XXI SECOLO DOPO KYOTO

obiettivi richiesti: lettura trasversale dei problemi da affrontare delle metropoli del
XXI secolo con al centro la questione della transizione ambientale.

Si divide in due parti:

-una prima parte teorica argomentativi dove vengono definiti i termini di una nuova
questione urbana con cui le città dovranno confrontarsi

- Seconda parte in cui vengono sviluppati alcuni scenari relativi ai temi dell’acqua,
della biodiversità, energia, mobilità per costruire uno spazio di riflessione per il
futuro di Parigi

01 NUOVA QUESTIONE URBANA

Il momento dello sviluppo di questo progetto si costruisce una nuova questione


urbana, infatti lo stesso Secchi tornerà su questo concetto più volte dal 2008: fino al
2014 scrisse numerosi saggi sulla “nuova questione urbana”. Secondo Secchi essa è

92
sospesa da tanti temi emergenti che orientano le basi su cui i nuovi piani urbanistici
del XXI secolo si orienteranno. Egli non fu l’unico che si concentrò in quegli stessi
anni sugli stessi temi (Richard Barret).

Ogni città secondo Secchi ha un modo diverso di rispondere a determinati input


urbanistici per due motivi: il primo per le questioni economico-sociali della città e
secondo per la conformazione e la morfologia di essa. Egli, infatti, individua 3 diverse
metropoli sono anche 3 tipi di modelli (o icone come diceva Bernardo). hanno tre
processi di sviluppo completamente diversi.

1- Parigi che ha uno sviluppi radiale (XIX secolo)


2- Hong Kong sviluppo verticale (XX secolo)
3- North Wester Metropolitan Area sviluppo diffuso (XXI secolo)

Secchi aveva una forte propensione per la terza tipologia di sviluppo della Metropoli,
perché modello di città rarefatta è una città più resiliente, in grado di portare avanti
le sfide del XXI secolo.

Per Parigi Secchi cercherà di scorporare la natura radiale della città per renderla più
simile al modello delle grandi metropoli diffuse (porosità). Per fare ciò egli guarda lo
spazio e il tessuto urbano di Parigi e ne differenzia tre: la Parigi di Haussmann, Le
Paivillon, Les Grand ensambles.

02 STRATEGIA COGNITIVA

La strategia cognitiva che viene adottata per affrontare un piano per una città così
grande si suddivide principalmente in 3 sguardi :

1- passo a passo, passeggiata lunga camminata per città

2- a volo d’uccello carte interpretative su cui vengono fatti degli schemi urbanistici e
dei ragionamenti

3- immaginari collettivi tecnici disciplinari.

un passo a passo

vengono definiti due quadri di lettura il primo (100x100km) coincide con ile de france
e ha come centro l’incontro tra la senna e la marna mentre il secondo (50x50) ha
come centro Notre Dame.

sul primo quadro nel territorio viene segnata la parte naturale e morfologica della
città (la senna, la marna e vallivi e Secchi nota una certa relazione fra alcuni punti
della morfologia del territorio (vallivi) e punti di sviluppo urbano di lungo periodo.

93
2 volo d’uccello

ripresa da Victor Hugo, dove l’accompagnatore di Hugo guarda Parigi dall’alto per
cercare di capirne le forme e i collegamenti. Queste letture vengono eseguite alla
ricerca della Porosità per costruire delle immagini che riescano a distruggere l’idea
di una città radiocentrica.

3 lettura immaginari

si contrappone agli sguardi precedenti.

10.7 Tre scenari possibili:


Propone 3 scenari+1 (il quale presenta l’ipotesi in cui i tre scenari si compiano
insieme)

Perché scenari—-> la tecnica adottata da loro viene riassunto in questo schema


Scenario0

WHAT… IF… cosa succederebbe se tutti i progetti del concorso dovessero


realizzarsi?

spesso erano progetti con scale diverse, c’era una ridensificazione di alcune zone,
ma comunque l’impianto sarebbe rimasto radiale

Scenario 1

mette al centro l’energia e il cambiamento climatico per tendere ad una grande


Parigi che nel 2050 possa essere energicamente autonoma. Venne fatta un analisi

94
sull’energia, il petrolio, le emissioni di CO2 e un grafico dei consumi energetici
durante gli anni.

Secchi dice che se si vogliono ridurre i consumi energetici si deve intervenire su


tutto il patrimonio edilizio (residenziale, produttivo, terziario) e non solo quello
di nuova costruzione.

le conseguenze di questo scenario si riversano in tutta la città. vengono mappati


i consumi energetici di Parigi per capire le esigenze e vengono assegnate delle
zone alle varie fonti di energia rinnovabile. Vengono proposte delle abitazioni
vicino ai poli produttivi che grazie alla mixite funzionale e consistenti riduzioni
dei sistemi energetici, c’è uno scambio energetico fra le varie abitazioni e fra un
attività e l’altra e che quindi il saldo energetico sia pari a 0.

1. Progetto di densificazione del pavillonaire, come nel caso precedente


vengono sperimentate le possibilità di usare la densificazione con un
processo che porti l’aumento di residenze ma che mantenga il saldo
energetico sotto lo zero. Si pensa anche ad una ristrutturazione delle case
esistenti con una coibentazione in modo da non avere la dissipazione
energetica del costruito.
2. anche qua si pensa ad un progetto con un saldo energetico pari a 0. Si
lavora anche sugli ensables. Il tema di questo scenario è l’utilizzo di diversi
materiali e di diversi tessuti urbani, ciò implica una ristrutturazione e un
riciclo integrale di tutto il patrimonio edilizio

Scenario 2

si costruisce sull’acqua e sulle strutture dell’acqua. Si tratta di processi di


adattamento in cui anche il costruito si deve adattare alla nuova morfologia del
territorio. Ciò implica trasformazione del territorio in vista dei cambiamenti
climatici: vengono costruiti delle aree “umide” ai margini della Senna e della
Marna, che diventano spazi di laminazione per il produttivo ma anche di ecologia
e di svago per il tempo libero.

implica anche una trasformazione dell’edilizia che deve adattarsi questi spazi
umidi, vengono costruiti argini, edifici su pilotis.

Scenario 3

ora abbiamo una mobilità costruita sull’auto privata ma con l’aiuto dei
matematici dell’equipe hanno pensato da una rete isotopa rispetto ad una rete
gerarchizzata mettendo in discussione di alcuni fondamenti del pensiero
95
urbanistico politico/istituzionale occidentale. Eliminazione del percorso
radiocentrico ma reticolare, basato su tre velocità alta, media e bassa.

96
11.0 Alberto Magnaghi:
È una figura di urbanista-attivista del tutto originale. Dopo la fase operaista, Che lo
porterà anche in carcere e l’impegno universitario sulle periferie della città-fabbrica,
inizia un lavoro scientifico pionieristico sulle problematiche ambientali, interpretate
non solo in senso ecologico, ma anche propriamente socio-territoriale. Importante
per lui sono gli abitanti di un territorio.

Il punto di partenza è la perdita della coscienza dei luoghi, della loro materialità, dei
legami con la storia e con società locale.

A partire dalle prime lotte per la riqualificazione della Val Bormida definisce la
prospettiva del risanamento ambientale come la chiave della sua visione dell’
urbanistica. Segue l’esperienza del progetto di risanamento dei bacini dei fiumi
Lambro, Seveso e Olona, e da lì il suo metodo diventa sempre più radicale e più
chiaro. È il fondatore e l’animatore della Scuola Territorialista.

Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Torino (1965), è assistente all'Istituto


di composizione architettonica (prof. Carlo Mollino) e borsista CNR con il prof.
Giuseppe Ciribini, con il quale sviluppa le ricerche sul “metaprogetto”.

Dal 1963 è segretario della sezione universitaria del PCI, da cui esce nel 1968. Negli
stessi anni frequenta Classe Operaia, e fonda il gruppo Città Fabbrica che interviene
sulle condizioni delle periferie operaie. Interesse nella trasformazione della città dal
punto di vista della produzione

Nel 1969 si trasferisce al Politecnico di Milano, prima come borsista, poi assistente di
ruolo in Composizione architettonica, successivamente professore incaricato
stabilizzato e infine professore associato di Urbanistica.

Dal 1969 milita in Potere Operaio, di cui dal 1970 al 1971 è segretario nazionale.
Dopo lo scioglimento del movimento (1973), torna alla vita universitaria, fonda la
rivista Quaderni del Territorio (1976-79), promuove presso il Politecnico di Milano il
Dipartimento di Scienze del Territorio, del quale nel 1979 è eletto direttore. Il 21
dicembre 1979 viene arrestato nell’ambito dell’inchiesta “7 Aprile” e trattenuto in
carcerazione preventiva, senza processo, fino al 21 settembre 1982. Condannato in
primo grado a sette anni di carcere, viene nel frattempo reintegrato nell’attività di
docente universitario (1984), e infine assolto nel processo d’appello (1987).

Dopo l’esperienza del carcere si dedica pienamente agli studi territoriali con un
approccio originale che lo porta a fondare la scuola territorialista.

Nel 1989 è chiamato a coprire il ruolo di professore ordinario di Pianificazione del


territorio all’Università di Firenze, dove promuove e dirige il Laboratorio di
97
progettazione ecologica degli insediamenti (LaPEI, 1990-2010); promuove e
coordina (1994-2000) il primo Dottorato in Pianificazione a UniFi , in e, qualche anno
più tardi, i Corsi di laurea in Pianificazione (triennale e magistrale) a Empoli); nel
frattempo fonda e consolida la Scuola territorialista, che nel 2011 dà vita alla Società
dei territorialisti/e ONLUS.

Nel 2001 fonda e fino al 2011 presiede la "Rete del Nuovo Municipio", associazione
fra Enti locali, associazioni e studiosi che promuove un approccio partecipativo della
democrazia per lo sviluppo locale auto sostenibile. La Rete, che arriva a contare
centinaia di aderenti fra gli Enti locali italiani e allaccia estese relazioni internazionali,
deve sciogliersi nel 2011 di fronte all'involuzione della finanza e della politica locali
seguita alla crisi finanziaria mondiale.

Nel 2012 l’Università di Firenze gli conferisce il titolo di Professore Emerito.

È autore di numerosissimi saggi e contributi. I suoi libri sono pubblicati e tradotti in


spagnolo, francese, inglese e portoghese.

Alberto Magnaghi, dopo la fase operaista e l’impegno universitario sulle periferie


della città-fabbrica, inizia un lavoro scientifico pionieristico sulle problematiche
ambientali, interpretate non solo in senso ecologico, ma anche propriamente socio
territoriale.

Il punto di partenza è la perdita della coscienza dei luoghi, della loro materialità, dei
legami con la società locale.

Uno dei primi momenti di applicazione delle sue posizioni è la lotta della Val Bormida
che lo vede protagonista delle rivendicazioni ambientali conseguenti all’incidente
della ACNA di Cengio del luglio 1988.

Una nube tossica che inquina tutta la valle; Magnaghi lavora per trasformare la
rivendicazione in un progetto di riqualificazione territoriale.

La Val Bormida, nel 1982 a seguito dell’insediamento di un azienda produttrice di


esplosivi, viene inquinata. L’economia agricola è fortemente danneggiata da questi
eventi. I processi di industrializzazione spesso sono dannosi all’ambiente.

Dalla nube tossica della Icmesa di Seveso del 1976 alle decine di incidenti rilevanti in
tutto il paese fino al grande incidente dell’ACNA di Cengio in Val Bormida.

Sono il segno di un modello di sviluppo insostenibile e distruttivo dei valori


territoriali. Anche sulla base della esperienza maturata in Val Bormida Magnaghi
ottiene un incarico di ricerca per il Piano di risanamento ambientale dell’area
Lambro-Seveso- Olona. Si tratta dell’area centrale lombarda oggetto dei più intensi
processi di urbanizzazione.
98
Con un vasto gruppo interdisciplinare ha modo di
applicare le teorie che si vanno consolidando
riguardanti la necessaria «conversione ecologica»

La Bonifica, riconversione e valorizzazione ambientale


dei bacini dei fiumi Lambro, Seveso e Olona:

Un lavoro fondativo nell’esperienza di Alberto


Magnaghi che gli permette di esplorare, modalità di
pianificazione e di rappresentazione del territorio che
vanno nella direzione alla quale in sede teorica stava
lavorando.

Parte dal riconoscimento dei fiumi come elementi


generatori del territorio e dal tentativo di far riemergere
i caratteri geomorfologici ed ambientali che sono stati
cancellati dal processo di de-territorializzazione.
Introduce il riconoscimento di sistemi territoriali
Giunge così alla definizione di un vero e proprio piano
di riconversione. Sfida per il futuro coniugando
sviluppo economico e difesa del territorio.

Il progetto, anche se poco considerato dalle istituzioni


regionali, diventerà una sorta di matrice per una serie di
altri progetto, in particolare per la generazione dei
Contratti di Fiume, un nuovo strumento per la
pianificazione dei bacini dei fiumi lombardi.

Certamente questo modo di rappresentazione dei


caratteri del territorio e delle sue possibilità di
riconversione ha penetrato lentamente la cultura di
governo.

Il tema di episodi, pratiche istituzionalizzate, cultura di


governo di Patsy Healey.

Nel 1990 pubblica «Il territorio dell’abitare» e nel 1998


«Il territorio degli abitanti»

Il Testo articolato in tre parti:

• Visioni dell’auto sostenibilità


• Nuovi abitanti
• Ambienti per l’uomo

99
Si Nota un processo di sistematizzazione di quelle operazioni che avevano preso
luogo per la Val Bormida e per il Seveso Olona

Nel 2000 pubblica un libro in inglese con l’intento di connettersi ad una rete
internazionale che lavora sui temi della sostenibilità. La metropoli deve essere
interpretata come una rete di Villaggi.

Poi pubblica un testo in cui M. codifica un linguaggio per la rappresentazione del


territorio.

Il territorio non è solo una piattaforma, ma è rilevante anche il rapporto che insiste
tra gli abitanti ed il loro territorio.

Importante è la collaborazione Con Francoise Choay con la quale affronta il tema


della valorizzazione dei patrimoni.

Il termine di Bioregione Urbana è qualcosa che sta molto a cuore a M.

11.1 Il principio territoriale:


Nel suo ultimo libro intitolato «Il principio territoriale» Magnaghi ci ricorda la
necessità di ripartire dal territorio, dai suoi valori, dai suoi abitanti reagendo ai
processi di de-territorializzazione e di devastazione che hanno interessato lo spazio
fisico dove abitiamo.

La Terra, Gaia, ha iniziato a reagire a livello planetario alle offese arrecate alla biosfera
dalla civiltà delle macchine, con incendi ed alluvioni.

L’unica possibilità di salvezza è un ritorno alla cura sapiente, creativa, corale da parte
degli abitanti in cui riaffiora la «coscienza di luogo». La conversione ecologica
dell’economia e della società non dovrebbe avere carattere semplicemente
compensativo. Non basta, dovrebbe invece aprire ad una nuova «civilizzazione
antropica» che sia in grado di rimettere in sinergia città e campagna di ricostruire
nuove forme e metabolismi dell’abitare urbano e di restituire lo statuto di abitanti
capaci di governo territoriale e nei loro mondi di vita.

La nuova centralità del territorio Il degrado crescente ha prodotto insicurezza, crisi


ambientale e povertà.

Ma il territorio può essere l’epicentro della sperimentazione di una nuova


civilizzazione «terrigna» (ancora Latour).

100
La qualità degli ambienti di vita e di lavoro è al centro di un conflitto fra processi di
etero-direzione dei flussi globali del comando e forme di auto-governo dei sistemi
socio-territoriali locali attraverso percorsi di re-identificazione comunitaria delle
società locali con il proprio patrimonio territoriale.

Il territorio reinterpretato come «soggetto vivente», da cui ripartire dopo la


distruzione del fordismo e della globalizzazione digitale

Due fenomeni si incrociano:

• la de-spazializzazione legata prima alla subordinazione alle regole degli spazi


funzionali e poi alla digitalizzazione, lo spazio non ha più il suo ruolo centrale
a causa della digitalizzazione delle relazioni
• la de-territorializzazione che è la autonomizzazione crescente
dell’insediamento umano dai processi co-evolutivi con l’ambiente

Si tratta di due facce della stessa medaglia anche se appaiono in contraddizione.

Nel libro tratta anche di:

Patrimonio territoriale

Esso è l'insieme degli elementi, dei beni e dei sistemi ambientali urbani, rurali
infrastrutturali e paesaggistici formatosi mediante processi co-evolutivi di lunga
durata fra insediamento umano e ambiente che contribuiscono con la loro
permanenza storica e nella loro percezione da parte delle popolazioni a formare
l'identità di una regione.

Coscienza di luogo

Coscienza di luogo si può definire come la consapevolezza, acquisita attraverso un


percorso di trasformazione culturale degli abitanti-produttori, del valore patrimoniale
dei beni comuni territoriali materiali e relazionali, in quanto elementi essenziali per la
riproduzione della vita individuale e collettiva biologica e culturale.

Paesaggio

Il Paesaggio, si può definire e come l'esito sensibile percepibile con i sensi del processo
di territorializzazione di lunga durata che definisce i caratteri strutturali e statutari del
territorio evidenziando descrivendo e rappresentando in particolare l' identità morfo
tipologica dei luoghi che lo compongono.

De-territorializzazione e ri-territorializzazione

I processi che distruggono il patrimonio territoriale e la relazione tra abitanti e


territorio ed i processi inversi di ricostruzione di questa relazione e di riscoperta e
valorizzazione del patrimonio territoriale.
101
Un contro esodo in quattro mosse

• Il ritorno alla terra


• Il ritorno alla urbanità
• Riabitare la montagna
• Il ritorno ai sistemi socioeconomici locali.

La posizione di Magnaghi contesta alla radice il modello di sviluppo dominante.

Con riferimento ai problemi della urbanizzazione propone il principio della


bioregione urbana che a differenza della bioregione naturale si fonda su una serie di
elementi costruttivi che vanno riconosciuti:

• Le culture e i saperi del territorio e del paesaggio


• Le strutture ambientali
• Le centralità urbane
• I sistemi produttivi locali integrati
• Il patrimonio delle risorse energetiche locali
• Le strutture agro-forestali
• Le strutture dell’autogoverno.

Tutti elementi che possono aprire verso la definizione di una bioregione urbana.

Una prospettiva di riconversione ecologica dell’urbano

Il progetto di bioregione può indicare la strada per i contenimento dell’esodo verso


le megacities, nel sud del mondo contrapponendogli una visione di un pianeta
brulicante di bioregioni in rete.

«Contrastare i caratteri degradanti dell’ urbanizzazione planetaria richiede lo


sviluppo di forti sperimentazioni di culture alternative dell' abitare urbano, verso la
ricostruzione dell' urbanità; in questa direzione il progetto della bioregione urbana,
campagne abitate (edilizia rurale diffusa, borghi, sistemi di ville fattorie, cascine,
masserie, eco villaggi rurali) città di villaggi (eco quartieri) e reti di città con reticoli
complessi policentrici multimodali in grado di superare il concetto di dipendenza e
mono funzionalità delle periferie, dotando ogni unità urbana di centralità e confini,
di complessità di funzioni produttive e sociali, di spazi pubblici, di istituti di
autogoverno, di qualità estetica e ambientale attraverso processi di rigenerazione». 19

19
Alberto Magnaghi, Il principio territoriale
102
11.3 Il Piano della Valle Vettabbia:
L’esperienza del sopracitato piano è molto vicino alla matrice territorialista.

L’area del parco agricolo situata a sud di Porta Romana è caratterizzata da aree
agricole ed aree verdi dedicate a Parco. L’area molto ambia costituisce un’unità
territoriale definita da un corso d’acqua, la Vettabbia. Qualcosa che fino a pochi anni
fa sarebbe stato impensabile. Nel 1974 in una rappresentazione dell’area è evidente
il desiderio di creare un parco, tuttavia la Vettabbia non solo ha un ruolo marginale,
ma è anche definita la fogna di Milano.

Negli anni 1980 l’idea di realizzare il depuratore Nocedo prende più rilievo, e si
distanzia dall’abbazia di Chiaravalle. Nel 1982 è approvato una variazione al PGT
che avrebbero comportato un espansione a sud della città di edilizia residenziale
popolare. In quest’occasione Ferraresi ha realizzato un’analisi per capire le regole di
sviluppo di quest’area. Importante in quest’analisi è il ruolo dei corsi d’acqua.

Il limite è stato quello di separare così nettamente le aree agricole da quelle Urbane,
si proteggendole dall’erosione, ma andando contro i principi dell’urbanistica
territoriale.

La carta di sintesi era presentata in modo evocativo, non era quindi necessaria una
legenda troppo complessa.

Essa propone il trattamento degli spazi aperti come sistemi ad alta complessità. Ed
evidenzia tre aste fluviali e più in generale il reticolo idrografico, riletto come un
grande sistema interconnesso.

È stato poi coniato lo Slogan Restituire i corsi d’acqua al territorio e restituire il


territorio ai corsi d’acqua. Cercando di stabilire secondo un approccio partecipativo
e di governance una forte integrazione tra:

• Pianificazione territoriale;
• Programmazione di settore;
• Programmazione agricola, delle aree protette e delle infrastrutture;
• Progettualità locale.

Vengono quindi realizzati una serie di progetti pilota, tra questi spicca il progetto
pilota del depuratore, che ambiva nel risanare i corpi idrici superficiali, valorizzare il
sistema abbaziale cistercense e riqualificare l’agricoltura di servizio ambientale.

Gli interventi dovevano essere oltre che interventi prettamente funzionali al


depuratore dovevano avere delle ricadute di tipo ambientale. Per esempio, venivano

103
realizzati complementarmente ai sistemi più tecnici dei sistemi naturali che avevano
anche carattere paesaggistico.

Sia il paesaggio agrario che il paesaggio urbano avevano elementi che li


contraddistingueva, e si doveva capire come relazionare queste due parti.

Nel 2000 viene ultimato il progetto del depuratore che depurava l’acqua per poi
gettarla nel Lambro. Importante è che insieme al progetto del Dep. Nosedo il
ministero dell’ambiente prescriveva la rinaturazione e la riattivazione dei alcune
roggie. L’impianto, completamente sordo all’ambiente circostante. Nel momento in
cui l’acqua usciva depurata dall’impianto si capì che essa poteva divenire un
elemento di potenziale valorizzazione. Il Depuratore di Milano è ammirato in
tutt’Europa in quanto l’acqua è poi utilizzata per irrigare i campi.

Il ruolo della Vettabbia

Era a questo punto necessario definire un vero e proprio progetto dell’area. È stata
innanzitutto evidenziata la valle della Vettabbia, che non era riconoscibile se non da
un’analisi geologica. La Vettabbia è un corso d’acqua non interamente naturale, nel
periodo romano era probabilmente anche navigabile. Nel periodo rinascimentale
era raffigurata come un drago , una spina dorsale della città.

Il progetto viene intrapreso con uno sguardo più ampio, analizzando il rapporto tra
il territorio l’abbazia e considerando il depuratore come un elemento fondamentale.
Il progetto redatto era un progetto di riqualificazione territoriale, con particolare
attenzione all’acqua e alle piantumazioni. Il tutto cercando di creare continuità al
sistema territoriale della valle.

Alla fine, si è cercato di definire un parco agricolo-urbano con riferimento alla sua
natura di elemento strutturale della città, come parte nuova singolare e viva che
faccia intimamente parte della vita urbana. Sia dal punto di vista Funzionale che
Formale. Sono stati creati numerosi boschi per mediare il passaggio tra area urbana
ed are agricola, con una forte attenzione agli impianti idraulici esistente ed i percorsi
pedonali. Interessante è il bosco umido, che complementarmente al depuratore
depura l’acqua rappresentando un ecosistema di valore elevato.

104
12.0 Luigi Mazza:
È un urbanista e uno studioso che ha dato un
contributo importante e originale alla disciplina
urbanistica. Ha iniziato come professionista e docente
volontario al Politecnico di Torino. Molto giovane ha
diretto un importante centro di ricerca e
documentazione.

Ha anche insegnato Urbanistica alla Facoltà di


Architettura del Politecnico di Torino dove è stato
anche Preside.

Ha fondato e diretto la rivista Planning Theory,


Trasferito al Politecnico di Milano all’inizio degli anni
2000 ha coordinato il dottorato in Pianificazione
Urbanistica.

Ha avuto un importante incarico dal Comune di Milano


per la redazione del Documento di Inquadramento
delle politiche urbanistiche del 2000 Autore di
moltissimi testi è l’ispiratore di una serie di proposte
innovative.

Nato 1937 ad Alessandria si laurea in Architettura nel


1961 al Politecnico di Torino con Carlo Mollino, un
architetto, designer e docente di composizione
architettonica noto per la sua originalità.

Subito dopo la laurea, dopo alcune esperienze come


progettista e architetto, si avvicina all’urbanistica di
Astengo con il quale collabora forse negli studi sul
Piemonte e Torino che Astengo stava conducendo in
quegli anni.

Nel 1962 Mazza fonda il Centro di Documentazione di


Architettura, Ingegneria Civile e Pianificazione
Territoriale di cui diventa direttore. Si tratta di una
istituzione molto anticipatrice.

Svolge anche una attività professionale parallela alla


attività del Centro. Tra il 1962 e il 1968 è incaricato del
Piano Regolatore e del Piano provinciale di Alessandria.

105
Poi negli anni successivi alcuni altri incarichi di piani
urbanistici: Lecco, Desio, Torino, il Gargano, Pinerolo, e
una serie di altri centri.

È incaricato di Elementi tecnici di Urbanistica al


Politecnico di Torino dal 1972 e nel 1980 ottiene la
cattedra di Urbanistica presso lo stesso ateneo, dove
occupa anche diversi incarichi di direttore di
dipartimento e Preside.

Nel 1990 viene chiamato al Politecnico di Milano dove


insegna fino al termine della carriera accademica. Oggi
è professore emerito del Politecnico di Milano.

Lo stesso Mazza riflettendo sulla sua vita di studioso e


di urbanista ricorda che la sua expertise è stata basata
tutta su esperienza e riflessione si definisce un
autodidatta. Ed è stata importante la sua adesione ad
un partito per capire le relazioni con la politica
L’incarico per il PRG di Alessandria, la sua città natale,
arriva completamente inaspettato, appena laureato:
«non avevo idea di come si potesse fare e mi sono
messo a studiare»

Alessandria era allora un comune di 100.000 abitanti e


un territorio molto esteso di circa 200 kmq.

Una fonte importante la trova nell’urbanistica inglese,


cui dedica subito grande attenzione, il libro «Trafic in
Town» noto come rapporto Buchanan è la prima fonte
di ispirazione.

L’avvicinamento a Buchanon si inquadra in un forte


interesse per la pianificazione urbanistica inglese. Su
questo tiene alcuni dei suoi corsi al Politecnico di Torino
fino a pubblicare, nel 1976 Urbanistica moderna in Gran
Bretagna, Milano 1976.

Della pianificazione inglese lo attrae la storia


(fortemente anticipatrice rispetto all’Italia) il rigore
metodologico, le grandi figure da Geddes a Howard ad
Abercrombie. Questo è per lui una grande fonte
d’ispirazione.

106
12. 1 Il Piano di Alessandria:
Una esperienza che consente di ragionare:

• Sul rapporto fra tecnica e politica


• Sulla questione della partecipazione
• Sulla questione della cittadinanza
• Sul rapporto fra teoria e pratica
• Sugli aspetti simbolici e ideologici nella
percezione dell’urbano,
• Sulla relazione tra pianificazione della mobilità e
land-use
• Sul tema della densità come fonte di urbanità.
La densità come occasioni che aumentano se
aumenta l densità.

Nel 1962 Mazza diventa il direttore del Centro d


Documentazione.

Aperto a Milano, In Largo V Alpini, il Centro raccoglie gli


abbonamenti alla gran parte delle riviste del mondo di
questi campi disciplinari ed offre un servizio di
selezione e schedatura dei migliori articoli che vi
compaiono. Contribuendo alla formazione di una
cultura tecnica. Finanziato dal CNR e da alcuni soggetti
privati (Aldo Basseti, membro del partito socialista)
accoglie un gran numero di giovani laureati nelle
diverse materie per la produzione di schede
bibliografiche che vengono poi raccolte,
periodicamente editate ed inviate agli abbonati.

È una esperienza che nasce nel contesto degli anni della


grande fiducia nella programmazione e del contributo
che l’apertura internazionale può dare alla cultura
tecnica italiana.

Molto anticipatrice, troppo anticipatrice, chiude per


carenza di finanziamenti nel 1975.

LM è convinto che fin dalle prime esperienze è per lui


chiaro che l’interesse per la teoria della pianificazione di

107
cui a lungo si occupa nasce dalle sfide che la pratica gli presenta.

Quando nei primi anni ‘80 ottiene la cattedra di Urbanistica al Politecnico di Torino,
partecipa ad una serie di congressi internazionali prodromici alla costituzione della
Association of the European Schools of Planning di cui diventa uno dei fondatori.

Nel 1984 entra nel comitato editoriale di Town Planning Review e di una serie di altre
riviste nazionali ed internazionali.

Nel 1983 fonda e dirige la «Rivista di urbanis9ca» nel 9tolo è scritto «in associazione
con la Town Planning Review» che vive per un paio di anni alimentando una
riflessione aperta sul Piano.

Il suo interesse per la teoria lo spinge ad organizzare lui stesso, (Polito e Oxford Poly)
nel 1986 il secondo congresso internazionale di «Planning theory in practice» cui
convoglia i migliori studiosi italiani con il meglio della ricerca teorica nel mondo.
Aperto da Giovani Astengo e chiuso da David Harvey.

Entra poi nel gruppo promotore di Planning Theory Newsletter che poi si trasforma
nella rivista Planning Theory.

Nel 1997 raccoglie quattro testi che gli consentono di sviluppare sistematicamente
il tema della relazione fra tecnica e politica.

Il punto di parenza è che lo spazio della tecnica urbanistica sia trascurato a causa
dell’indubitabile ruolo politico di questa attività svolge distribuendo premi e
penalizzazioni.

Nel primo saggio, «Il suolo ineguale», del 1990 espone la questione tecnica del
trattamento dei diversi proprietari che si trovano ad essere in posizione di
valorizzazione o di penalizzazione ad opera del piano.

Un tema che solo Mazza continuerà a sollevare dopo la caduta della proposta Sullo
nelle nuove condizioni politiche nazionali.

LM discute in molti suoi scritti della necessità di operare una distinzione tra
dimensione tecnica e dimensione politica della pianificazione.

Il suo punto diventa sempre più chiaro e sempre più radicale: di fronte allo
spostamento della pianificazione verso la dimensione processuale – il problema del
how- Mazza denuncia la perdita di importanza del contenuto sostanziale della
pianificazione, il what.

Il contenuto tecnico è la capacità di governare l’assegnazione di valori e di funzioni


e di principi d’uso al suolo. Un tema presente fin dall’antichità con un proprio
contenuto tecnico. Anche chi sottolinea l’impossibilità di distinguere fra dimensione
108
tecnica e dimensione politica dovrebbero essere interessati alla valorizzazione della
dimensione tecnica, l’unica prospettiva secondo la quale la disciplina può
consolidarsi e rigenerarsi.

Nella tradizione italiana ed europea la pianificazione urbanistica è tecnicamente


soprattutto regolazione degli usi del suolo, dove con regolazione si intende
l'intervento dello Stato nelle sfere di attività private per perseguire degli scopi di
interesse generale, ovvero il decidere con la forza della legge quali siano gli usi che
un proprietario pubblico privato può fare del suolo di cui dispone.

La regolazione degli usi del suolo non è un'attività esclusiva dell’urbanistica ma è


solo l'urbanistica che individua nelle strategie e nelle regole di pianificazione e
controllo degli usi del suolo il suo oggetto specifico, e lo coltiva con una tecnica
principale che consiste nel disegno di confini e nell’ assegnare ad ogni zona
racchiusa dai confini delle modalità specifiche d'uso del suolo.

Il disegno di confini suddivide il territorio in zone all'interno delle quali si


costituiscono specifici diritti d'uso, mentre altri ne sono esclusi; un procedimento che
permette di organizzare la distribuzione nello spazio delle attività e dei gruppi sociali
e in questo modo di determinare anche le differenze spaziali che sono alla base delle
dinamiche del mercato immobiliare.

Vengono così definite forme di controllo territoriale attraverso le quali è possibile


operare forme di controllo sociale.

Una questione fondamentale è l'assenza di compensazione per gli interessi


soccombenti nei confli: urbanistici

dove con interessi soccombenti si intendono quelli che risultano tali a causa delle
modalità di funzionamento del sistema di pianificazione urbanistica e non perché
prodotti da una deliberata ed esplicita azione redistributiva.

La competenza tecnica è dunque quella capace di intervenire sulla definizione dei


confini e delle regole d'uso del territorio.

Mazza sottolinea il fatto che la natura giuridica delle previsioni di piano costituisce
assieme una caratteristica specifica delle previsioni urbanistiche ed insieme un suo
limite. In passato la ragione del valore giuridico delle previsioni era legata alla
necessità di ordinare lo sviluppo urbano sottoposto a pressioni da parte dei grandi
processi edificatori conseguenti alle grandi migrazioni. Quella situazione aveva
determinato una tendenza al sovradimensionamento dei piani, unico modo per
intervenire sulla questione della creazione di differenze in termini di vantaggi e
svantaggi prodotti dal piano.

109
Quella situazione di sovradimensionamento e stata responsabile di una generale
incapacità di governare la qualità del processo di crescita.

Una scarsa capacità che fa riferimento ad una primitiva concezione dell'interesse


pubblico e del rispetto dell'interesse generale come elemento imprescindibile per
una crescita ordinata della città.

Oggi la situazione è diversa la città è in gran parte infrastruttura il valore giuridico


delle previsioni di piano costituisce più un ostacolo che una risorsa.

Oggi siamo nella situazione di poter definire obiettivi e strategie generali che
consentano di valutare progetto sulla base della rispondenza a questi piuttosto che
in base al rispetto delle norme giuridiche del piano. Ciò conduce anche alla
corruzione.

Il Documento di Inquadramento delle Politiche Urbanistiche del Comune di Milano


è una prima applicazione di questa nuova impostazione.

M. dedica alla discussione sul documento d’inquadramento un testo scritto nel 2004.
Al termine della sua importante esperienza di consulenza al Comune di Milano, come
vedremo deluso e amareggiato dalle polemiche e dagli scarsi risultati, pubblica una
serie di raccolte di scritti di cui questo è il primo. Raccoglie testi scritti dal 1983 al
1995 Riprende in qualche misura il percorso di «Trasformazioni del Piano» anch’esso
una raccolta.

Quasi a dimostrazione della coerenza di un percorso intellettuale che si va chiarendo


ed allo stesso modo irrigidendo.

I tema dello squilibrio come riflesso dei conflitti e delle disuguaglianze entro cui
operare, respingendo l’idea del Piano come l’operazione di re-imposizione
dell’equilibrio.

I tema dei diritti di cittadinanza intesi come l’accesso ai servizi, alla mobilità, agli spazi
verdi, ad elementi di centralità ottenuti attraverso una efficace attività di
pianificazione che attraverso la sua azione redistribuisce diritti è uno dei temi
essenziali della sua riflessione teorica.

In questo si collega al pensiero di Henri Lefevbre di «right to the city»

Prove parziali di riforma urbanistica 2004

Il libro discute dell’esperienza del Documento di Inquadramento delle Politiche


urbanistiche del Comune di Milano. Il Documento affronta il problema di indebolire
il valore cogente delle previsioni; esso definisce una strategia generale, degli obiettivi

110
e consente ai singoli progetti proposti liberamente da
diversi operatori di variare le norme giuridiche del
piano se rispondenti agli obiettivi strategici e se capaci
di produrre benefici pubblici rilevanti per
l'amministrazione.

Il documento e quindi l' esplicitazione di una strategia


l'individuazione di obiettivi e una normativa che
consente l'avanzamento di proposte di programmi
integrati di intervento che debbono essere negoziati in
base al loro contributo specifico allo sviluppo della
città.

Sulla T rovesciata si concentrano delle funzioni di


spessore.

Il Documento di Inquadramento delle politiche


urbanistiche del Comune di Milano

Le conseguenze di questo cambiamento di paradigma


sono:

1. le negoziazioni tra investitori e


l'amministrazione sono esplicite e documentate;
2. le responsabilità pubbliche e private sono
individuate e chiare;
3. le decisioni devono essere motivate e non
possono giustificarsi semplicemente come
attuazione del piano;
4. le procedure di trasformazione possono seguire
il cambiamento con maggior flessibilità e
rapidità;
5. si facilita la concentrazione degli interventi,
migliori economie di scala eccetera;
6. le regole edilizie e molte regole urbanistiche
sono prodotte dai progetti e non li precedono;
7. Si può sviluppare una certa competizione tra gli
investitori; e sviluppare soluzioni più interessanti.

111
8. in prospettiva , una volta caduto il valore giuridico delle previsioni, sono
eliminate le attese e il sovradimensionamento del piano.

La strategia urbanistica prescelta riassunta nel titolo Ricostruire la Grande Milano ed


è considerata perseguibile a tre condizioni:

1. che si ampli il mercato urbano, che vuol dire scogliere i valori all’intera città e
non solo ai bastioni.
2. che si realizzi un nuovo modello di organizzazione spaziale,
3. che si realizzi un miglioramento della qualità ambientale e urbana, quindi
deconcentrando le funzioni urbane,

l'ampliamento e lo sviluppo del mercato urbano sono possibili grazie a nuovi


investimenti e decentrando funzioni pregiate e servizi in modo tale da migliorare la
qualità delle periferie della regione urbana e da alterare la distribuzione piramidale
dei valori fondiari.

il nuovo modello spaziale comprende l'asse attuale di sviluppo che dal centro
muove verso nord e lo articola in un sistema a T rovesciata appoggiata su un'asta
forte di trasporto pubblico che va da Malpensa a Linate.

L’impostazione del Documento di Inquadramento si basa su un altro importante


pilastro che è quello della capacità di valutazione:

- Valutazione della coerenza rispetto agli obiettivi del Piano


- Valutazione dei benefici pubblici che l’intervento può apportare
- Valutazione della qualità delle proposte che anche oltre le tradizionali
regole debbono dimostrare la loro capacità di contribuire alla qualità
urbana.

È su questo terreno che l’attuazione del Documento incontra i suoi principali nodi
critici.

In una prima fase Mazza fa parte del nucleo di valutazione ma di fronte al riemergere
di una rinuncia ad una valutazione coerente e rigorosa lascia il nucleo e l’attività di
valutazione perde il suo ruolo centrale.

Il pensiero di Mazza, quindi, apre verso la sperimentazione della assegnazione di un


indice unico di edificabilità a tutto il territorio comunale. Cosa che sarà sviluppata nei
successivi piani regolatori del Comune di Milano.

Apre verso la sottrazione del valore giuridico delle singole previsioni d'uso del suolo
per consentire flessibilità, superamento della rigidità ed incapacità di adattamento;
apre verso l'indifferenza funzionale, ovvero la possibilità di individuare le funzioni più
adatte nello specifico momento in cui avverrà il processo di trasformazione, ha come
112
conseguenza una serie di implicazioni tecniche come il trasferimento dei diritti
volumetrici da aree destinate a verde o servizi pubblici verso altre aree, alla banca dei
diritti volumetrici che ne consegue.

Potremmo dire che non mette in discussione la questione fondamentale della


definizione dei confini ma ne cambia profondamente i contenuti.

Più recentemente due suoi allievi, Luca Gaeta e Umberto Janin riescono a convincere
Mazza a pubblicare un manuale. Il testo è costruito in gran parte a partire dalle sue
dispense e diventa presto un riferimento per molti corsi di urbanistica.

Negli ultimi anni come anticipato si dedica con passione alla ricostruzione del
contributo di alcuni padri fondatori dell’Urbanistica, tra cui Patrick Geddes e
Ildefonso Cerda Con l’obiettivo di consolidare le basi storiche della conoscenza
tecnica.

113
13.0 La planning theory:
Le teorie della pianificazione si sono occupate storicamente di spiegare le ragioni di
successi e fallimenti della pianificazione.

Secondo John Friedman le teorie svolgono tre compiti principali :

• Il primo è offrire una base filosofica a questa attività mettendone in evidenza


le implicazioni per la pratica, abbiamo a che fare con problemi di grande
complessità e con un gran numero di attori, serve perciò un approccio di
base.
• Il secondo è l'adattamento delle pratiche di pianificazione ai vincoli del
mondo reale con riguardo a scala, alla complessità e al tempo.
• Il terzo è tradurre la conoscenza e le idee generate in altri campi disciplinari
nel campo della pianificazione. La teoria serve a fare anche questo processo
di traduzione.

Karen Christensen ha proposto uno schema che consente di mettere in relazione la


variazione delle condizioni di incertezza del contesto con le caratteristiche che
l'azione di pianificazione deve assumere per essere efficace.

Pianificazione è trovare dei mezzi per raggiungere una finalità.

Se vogliamo uscire da una pianificazione ingenua dobbiamo avere prontezza del


fatto che gli obiettivi possono mostrare accordo o in accordo tra gli attori e i metodi
possono essere incerti. Gli esempi che abbiamo affrontato precedentemente
mostrano il tema della pluralità degli attori.

Diversamente dai problemi dell'architettura, dell'ingegneria civile o delle scienze


esatte, che hanno avuto influenza decisiva nella costruzione del paradigma
dominante della pianificazione, i problemi cui si applica la pianificazione sono
dominati dall'incertezza. Incertezza rispetto agli obiettivi dell'azione per la pluralità
dei soggetti che intervengono nel corso del processo di pianificazione e incertezza
rispetto alle soluzioni delle quali disponiamo; di quelle che potremmo chiamare con
un termine più ampio le "tecnologie di intervento". (Astengo ad Assisi, Gubbio, De
Carlo a Rimini)

Nello schema sono evidenziati gli obiettivi che possono essere condivisi o meno, e
le tecnologie che possono essere conosciute o meno.

Nel Caso A gli Obiettivi sono condivisi e le tecnologie conosciute, l’attività è quindi
di programmazione, si deve programmare l’intervento.

114
Esempio, realizzazione di reti infrastrutturali - elettriche, idriche, fognarie -; della
dotazione di servizi di base per la popolazione come quelli scolastici;

dell'uso della zonizzazione quando non sia controversa la realizzazione di tipologie


che conseguono alla imposizione di determinate densità.

Nel Caso B gli obiettivi sono condivisi ma i metodi sconosciuti.

Esempio, rispondere ai problemi abitativi delle fasce a reddito più basso, rendere
vivibili alcuni quartieri periferici attraverso interventi di tipo urbanistico, creare luoghi
di aggregazione nelle zone periferiche, rivitalizzare aree economicamente depresse,
creare infrastrutture capaci di favorire l'innovazione tecnologica, smaltire i rifiuti
senza pericoli. Tutti obiettivi condivisi, ma la cui risoluzione è dubbiosa.

Nel caso C i metodi sono conosciuti, gli obiettivi discussi.

Per Esempio il progetto di realizzazione di un centro commerciale da parte di un


gruppo imprenditoriale e il progetto di un parco da parte degli abitanti del quartiere;
un inceneritore in un'area dove esistono gruppi che premono per la realizzazione di
attrezzature sportive; l'allargamento di una strada contro la realizzazione di una pista
ciclabile; la realizzazione di tutte le attrezzature che hanno un impatto negativo per
gli abitanti: i centri di accoglienza per gli immigrati, le carceri, la grande viabilità, gli
aeroporti. Importante non è quindi la sperimentazione quanto riuscire a trovare un
compromesso tra le parti.

Nel Caso D Gli obiettivi sono discussi ed i metodi non chiari.

Per esempio, il disagio grave di alcune periferie urbane, che riguarda aspetti sia di
carattere fisico, che sociale ed economico. Le periferie abusive di alcune grandi città.
Il controllo della crescita urbana. Trattare i problemi indotti dal cambiamento
climatico. Si deve quindi ridefinire il problema e renderlo trattabile.

115
Molti aspetti della inefficacia delle politiche di pianificazione possano essere
ricondotti come sostiene appunto Karen Christensen ad una prematura presunzione
del consenso rispetto agli obiettivi, ovvero ad una prematura presunzione di
conoscenza delle tecnologie di intervento, delle soluzioni.

Solo nella situazione A i problemi che ricadono in quella situazione prevedono distanza
tra chi pianifica e i destinatari degli interventi (reti, servizi di base, etc. ) tutte le altre
situazioni richiedono interazione e partecipazione dei destinatari. Attività essenziale.

Tutte le teorie della pianificazione pretendono di affrontare l’insieme dei problemi e


invece alcune sono adatte per trattare meglio alcune situazioni problematiche.

Le teorie pertinenti:

La situazione A è il campo di applicazione tipico delle teorie razionaliste della


pianificazione di origine positivista (Moses).

Secondo queste teorie è possibile che si dia un processo separato di costruzione di un


repertorio di soluzioni realizzato attraverso la sperimentazione; che parallelamente si dia
un processo separato di costruzione di tecniche analitiche, le quali sono in realtà tecniche
di classificazione delle diverse situazioni problematiche; e che infine l'attività di
pianificazione - come ogni prestazione tecnica - consista essenzialmente nella messa in
relazione di queste due forme della conoscenza per assegnare la soluzione corretta,
disponibile nel repertorio, al problema correttamente individuato dal punto di vista dei
sistemi di classificazione.

Se non vi è incertezza rispetto agli obiettivi ed al consenso che li caratterizza, se esistono


soluzioni ‘provate', allora è possibile percorrere una sequenza che vede.

(a) la identificazione degli obiettivi


(b) l'analisi dei mezzi - delle soluzioni alternative - disponibili nel repertorio per il
raggiungimento degli obiettivi,
(c) l'analisi delle conseguenze della applicazione di ciascuna alternativa in termini di costi e di
benefici, e infine
(d) la scelta della alternativa che permette di massimizzare il raggiungimento degli obiettivi
minimizzando i costi.

Queste teorie non tematizzano l'incertezza

116
13.1 Le teorie pertinenti Donald Schön:
Schön è stato un teorico delle teorie di apprendimento sociale.

Nella seconda area (B) caratterizzata da incertezza rispetto alle soluzioni, i contributi
teorici più appropriati per trattarli sono quelli che fanno riferimento alle "teorie
dell'apprendimento sociale" del social learning. Sono teorie che affondano le loro
radici nel pragmatismo americano ed in particolare nelle posizioni di Dewey; che
partono da un giudizio di generale inapplicabilità dei paradigmi della razionalità
tecnica ai problemi della società attuale; che pongono al centro dell'attenzione le
possibilità di generazione di soluzioni innovative in condizioni di incertezza; che
prevedono che le soluzioni ai diversi problemi vengano ricercate attraverso un
processo di apprendimento collettivo che può essere favorito, organizzato e
guidato, ma non rigidamente predeterminato come nelle sequenze prima
richiamate.

Nel contesto di problemi di pianificazione queste posizioni sono state sviluppate


soprattutto da Donald Schön, che nei suoi lavori propone il tema della rifondazione
necessaria dei metodi (di lettura) della pratica progettuale per affrontare situazioni
sempre più caratterizzate da unicità e quindi dalla impossibilità di applicare soluzioni
standardizzate.

In un testo intitolato "The Reflective Practictioner" ed in una serie di successivi lavori


Donald Schön mette in evidenza come vi sia una sistematica sottovalutazione di
quelle forme di mobilitazione della competenza professionale che non sono
riconducibili all’applicazione di tecniche consolidate a problemi già definiti. Secchi
nei suoi lavori mette in campo tutte le sue conoscenze.

S. Afferma invece come sia principalmente l'attività di definizione dei problemi ad


essere luogo critico, e come il ruolo cruciale dell'esperto sia soprattutto quello di
riflettere nel corso dell'azione per favorire una buona definizione dei problemi,
piuttosto che quello di chi è capace di individuare la soluzione corretta.

Secondo Schön i problemi di efficacia dell'azione del planner (come delle altre
professioni) deriverebbero in gran parte da una epistemologia della pratica
professionale che ha le proprie radici nel positivismo e che è fondata
sull'applicazione di una teoria oggettiva ai "problemi" che si presentano nella
società.

Questa posizione prende le mosse non solo dai molti fallimenti dei tentativi di
applicazione di tecniche e metodologie standardizzate a situazioni complesse, ma
soprattutto dalla convinzione che i "problemi" non sono dati ma vengono definiti di

117
volta in volta attraverso un processo di indagine che tende a convertire situazioni
problematiche complesse e vaghe in un "problema", una volta individuato il quale è
(forse) possibile l'applicazione di soluzioni tecniche.

Questo processo di conversione passa attraverso una attività assai poco strutturata
e interattiva nella quale i diversi elementi della situazione vengono nominati,
schematizzati, sottoposti all'applicazione di metafore e "frames" [cornice] che fanno
sostanzialmente riferimento al bagaglio delle precedenti esperienze del
professionista entro il quale la conoscenza scientifica ha un ruolo parziale

L'applicazione della razionalità tecnica dipende dal consenso sulle finalità


dell'azione, consenso che generalmente non è dato per problemi complessi ed in
particolare nella pianificazione. È attraverso un processo non tecnico di
strutturazione e ristrutturazione della situazione problematica che è possibile
organizzare e chiarire sia le finalità dell'azione, sia i possibili mezzi per raggiungerle.

I fallimenti dell'approccio "oggettivo" derivano dal fatto che rendono inevitabile la


messa in campo di "strategie della disattenzione" ai molti aspetti delle situazioni
problematiche che non rientrano nei repertori e nei modelli utilizzati dal
professionista.

La proposta di Schön è per la costruzione di una nuova epistemologia della pratica


professionale non basata sulla razionalità tecnica ma basata sulla "riflessione nel
corso dell'azione" che si affida al riconoscimento e alla valorizzazione delle forme di
conoscenza tacita e di autoriflessione implicite in molte forme di comportamento
concreto del soggetto in situazioni reali. (Mazza, De Carlo, Secchi)

La competenza professionale così mobilitata è fondata sul principio della unicità


delle situazioni problematiche; essa consiste in procedure di prova ed errore che
tengono continuamente conto degli effetti inattesi generati dalla applicazione di
mappe cognitive e "frames" e in continue oscillazioni fra problema e soluzione in un
processo di "conversazione" con la situazione problematica.

Il problema non è più quello di disporre di repertori di soluzioni ma piuttosto dalla


capacità di costruire nel singolo caso una efficace rappresentazione del problema
capace di condurre a soluzioni adeguate.

Il ruolo del professionista può essere inteso come quello di un partecipante in una
"larga conversazione sociale" attraverso la quale i problemi cui le politiche debbono
applicarsi vengono definiti; in questo contesto il professionista, se non pretende di
disporre di una conoscenza superiore ma facilita la strutturazione e ristrutturazione
dei problemi, aiuta tale conversazione a diventare riflessiva.

118
In questo senso il professionista deve essere capace di assumere come oggetto di
riflessione le posizioni che gli si contrappongono e saper spingere verso processi di
indagine cooperativa anche nell'ambito di situazioni conflittuali.

L'apporto del professionista non può in ogni caso essere quello che fornisce
soluzione ai problemi ma piuttosto quello di un partecipante in un processo
collettivo che è insieme di definizione dei problemi e di individuazione delle
soluzioni.

La sua azione è efficace se mobilita qualità tipicamente considerate


extraprofessionali come la capacità di riflessione e quindi di riformulazione dei
problemi di mediazione e comunicazione con altri attori.

Quando non sappiamo che tecnologie trovare l’approccio di Schön è molto


funzionale.

119
14.0 Planning Theory 2:
Se vogliamo essere efficaci nella situazione C tecnologie conosciute ma confli5o
sugli obiettivi le posizioni teoriche rilevanti sono quelle che tematizzano il conflitto.

14.1 Melvin Webber


Webber è uno dei più attenti studiosi dei processi di pianificazione urbanistica nel
contesto nordamericano. Nato nel 1920 ha conseguito nel 1954 uno dei primi Master
in city planning all'università di Berkeley, dove ha insegnato tutta la vita di, con una
dissertazione sull'attuazione del master plan.

Già in un articolo apparso nel 1963 sul "AIP Journal" (tradotto anche in Italia dieci
anni dopo) proponeva l'adozione di una concezione della pianificazione come
metodo per prendere le decisioni più che come campo di conoscenze sostantive.

Siamo allora in una fase di piena espansione della professione e di fiducia nella sua
capacità di contribuire ad un processo di riforma della società.

È il periodo dei grandi programmi democratici (Kennedy) come «la guerra alla
povertà» o il piano per le città modello

Webber mette in evidenza:

• i limiti di un approccio che pretenda di fornire soluzioni definitive e corrette


ai problemi, di fronte al pluralismo della società urbana,
• i limiti di una concezione normativa della pianificazione che tenti di
controllare piuttosto che di guidare lo sviluppo;

Un metodo proprio per la pianificazione

Webber non scrive mai un libro ma in due saggi pubblicati sulla rivista inglese "Town
Planning Review" (1968 e 1969) Webber afferma che i limiti di efficacia della
pianificazione urbana dipendono dal fatto che essa non ha (ancora) adottato né una
idea propria di pianificazione né il metodo della pianificazione.

Essa ha internalizzato invece concetti e metodi dell'ingegneria civile e


dell'architettura che si sono intrecciati, nel processo della sua formazione, con
l'ideologia del riformismo sociale, consolidando un corpo di tecniche inappropriate
al governo dei processi di trasformazione urbana in una fase post-industriale. Le
forze in azioni sono troppo complesse.

120
Per "pianificazione in senso proprio" Webber ci propone una particolare modalità di
decisione e azione le cui condizioni dovrebbero essere le seguenti:

1. La spiegazione degli obiettivi di diverso livello per ciascun sub-sistema preso


in considerazione, comprendendo, nella sfera pubblica, ciascuno dei gruppi
che verrà toccato dalle azioni di piano.
2. La continua previsione dei cambiamenti qualitativi e quantitativi che sono al
di fuori del controllo del pianificatore. Uno dei problemi della pianificazione
era non tener conto degli elementi incontrollabili.
3. La continua previsione delle possibili catene di conseguenze, all'interno di
ciascun sub-sistema, che risultano da ipotesi di intervento alternative.
4. La valutazione dei costi in termini di investimenti e dei vantaggi in termini di
miglioramento del benessere legati a ciascuna alternativa. Se viene
individuato un ragionevole accordo fra sistema di valori e un determinato
corso di azioni ipotizzato, vengono definite sequenze di azioni strategiche,
comprendenti azioni tattiche di più breve termine, ciascuna delle quali con
propri obiettivi e tempi. Ciascuna azione tattica a breve termine è valutata per
i suoi probabili effetti.
5. Il continuo monitoraggio del sistema sottoposto a pianificazione. Un
costante flusso di informazioni sugli esiti dell'azione svolge la funzione di
"feed back" nel sistema di pianificazione per segnalare errori di previsione e
procedere alle necessarie correzioni. L'efficacia delle azioni dirette agli
obiettivi viene valutata empiricamente per ciascun subsistema e per ciascun
pubblico.

È quindi un atteggiamento molto diverso.

L’orientamento al futuro:

Una attività di osservazione e decisione continua orientata al futuro e che assume la


dimensione del cambiamento e della differenziazione dei gruppi sociali nel tempo
come dimensione costitutiva dei processi di trasformazione urbana; che non
definisce obiettivi di carattere generale ma piuttosto introduce soluzioni parziali e
tentativi.

Secondo Webber la pianificazione urbanis1ca non è invece mai stata realmente


orientata al futuro (siamo negli anni '60); nonostante le radici profonde
nell'utopismo, la concezione del futuro che ha guidato la pianificazione urbana è
spesso stata un riflesso meccanico del passato (Webber 1968). Il piano è il contratto
tra attori diversi, fatica perciò a definire un visione futura.

121
Ogni proiezione nel futuro è basata su di una serie di assunzioni circa i caratteri della
società:

• che l'organizzazione sociale e gli obiettivi rimangano stabili durante gli


orizzonti temporali del piano;
• che esista un largo consenso attorno agli obiettivi di sviluppo della città;
• che data la stabilità degli obiettivi, quelli futuri siano derivabili dal presente e
conoscibili dai professionisti.

Nel gallaratese un cambio radicale demografico ha stravolto la previsione del piano.

L’origine dei problemi

Queste assunzioni vengono messe radicalmente in crisi, già nel corso degli anni '50
e '60 dal ritmo accelerato del mutamento sociale.

Le ragioni del loro radicamento sarebbero rintracciabili nelle origini storiche della
disciplina sviluppatasi all'inizio del secolo nel contesto della società industriale che
presentava problemi assai più semplici e trattabili di quelli attuali.

I metodi dell'ingegneria urbana sono costruiti sul presupposto che siano sempre
individuabili cause dirette ai problemi della città e di conseguenza soluzioni
progettabili per affrontarle, così non è.

L'ideologia del riformismo è basata su presupposti di razionalizzazione e


modernizzazione della società attraverso l'applicazione di tecniche appropriate che
sarebbero in grado di raggiungere obiettivi di maggiore giustizia sociale e di
correzione delle distorsioni del mercato.

È da questo intreccio che sarebbero state prodotte le principali tecniche di intervento


sulla città come l'individuazione degli standard, il master plan e lo zoning. Queste
sono tecniche di Ing. e Arch.

Nell'ingegneria civile lo standard è un insieme di regole da seguire se si vogliono


raggiungere determinati risultati (se deve essere trasportata una determinata
quantità di acqua ... allora occorre una tubatura di un certo calibro) dove i caratteri
principali sono: obiettivi chiari, conoscenze scientifiche e test empirici a supporto
della regola così stabilita.

Nella traduzione che lo standard ha avuto nella pianificazione urbana (statunitense)


sia chiarezza di obiettivi, sia conoscenze scientifiche e basi sperimentali certe
vengono a cadere e lo standard perde il carattere di strumento condizionale per
assumere quello di regola assiomatica per la individuazione dei bisogni.

122
Il master plan è l'estensione del progetto della singola opera o dell'edificio all'intera
città.

E infine Lo zoning è il tentativo di attribuire al progetto valore legale.

Gli obiettivi idealistici della pianificazione hanno impedito di vedere l'inapplicabilità


della logica della progettazione (architettonica o ingegneristica) ad una società
costituita da migliaia di decisori che agiscono secondo proprie strategie, le cui azioni
producono effetti cumulativi non dotati di un fine.

W. diceva che queste tecniche si basano sulla possibilità di individuare valori e


interessi comuni nell'ambito di una collettività urbana, mentre quanto più la
conoscenza dei meccanismi di funzionamento delle città progredisce, tanto più ci si
accorge lo sviluppo tecnologico produce differenziazione piuttosto che
identificazione ed i "problemi urbani" appaiono sempre più come miti imposti dal
pianificatore.

Appellarsi all'esistenza di obiettivi comuni per risolvere "problemi comuni" ha


portato ad evitare il problema degli effetti redistributivi delle poli-che urbane, ma se
cade la clausola della possibilità di riconoscere l'interesse comune cade anche, di
conseguenza, la possibilità di giustificare le scelte sulla base di criteri tecnici.

Ogni scelta di piano è politica e deve fare i con- esplicitamente con il problema di
quali gruppi ne beneficiano e quali ne sono penalizzati. Vicino alle politiche del suolo
di luigi mazza

Permissive planning

La proposta di Webber è per uno spostamento del fuoco dell'attenzione sui problemi
di efficacia dell'azione di pianificazione che deve fondarsi sulla rinuncia ad utilizzare
la conoscenza professionale come sostitutiva dei complessi processi politici che
portano all'individuazione delle preferenze da parte di gruppi sociali sempre più
differenziati. Di nuovo l’idea della collaborazione.

La sua idea di "pianificazione permissiva" consiste precisamente in questo:

(a) un approccio orientato al futuro e al mutamento sociale,


(b) che interviene nei processi di trasformazione sociale in modo discreto
puntando su incentivi piu6osto che su regole e divieti,
(c) che dichiari esplicitamente la sua politicità occupandosi di valutare per
ogni azione tentata quali vantaggi e svantaggi per quali gruppi sociali
essa produce.

Quindi l’idea di una guida basata su incentivi piuttosto che di un divieto.

123
In un articolo apparso su "Policy Science" nel 1973 dal 'tolo "Dilemmas in a General
Theory of Planning", Horst Ritiel e Melvin Webber approfondiscono una delle
dimensioni del dibattito sull'inadeguatezza del paradigma dominante nella
pianificazione: quella relativa alla natura intrinsecamente intrattabile dei problemi
sociali che ne costituiscono l'oggetto.

Ciò che distingue i problemi delle scienze naturali o dell'ingegneria dai problemi di
pianificazione è che quest’ultimi sono problemi "maligni" ("wicked problems") mal
definiti e che si affidano al giudizio politico per il loro trattamento; non sono mai
risoti, ma solo attati' ripetutamente nel tempo.

I problemi delle scienze naturali come quelli dell'ingegneria sulla base dei quali è
stato costruito il paradigma dominante sono invece problemi "benigni" o
"addomesticati" caratterizza' dal fatto che la loro definizione è indiscussa e ciò
consente di affidarne la soluzione ad un processo tecnico separato. Il modello della
razionalità tecnica affronta temi tecnici.

"Come esempio si consideri un problema matematico, come risolvere un'equazione;


o il lavoro di un chimico nell'analizzare la struttura di una sostanza sconosciuta; o
quello di un giocatore di scacchi che voglia concludere vittoriosamente una partita
in cinque mosse. Per ciascuno è chiaro lo scopo. È chiaro, di conseguenza se il
problema è stato risolto. I problemi maligni al contrario non godono di nessuno di
questi tratti chiarificatori; e includono quasi tutte le questioni affrontate dalle
politiche pubbliche -che si tratta della localizzazione di una autostrada, della
modifica di una imposta, della modifica di un curriculum di studi, o della lotta al
crimine"

I problemi maligni, spiegano Rittel e Webber, si presentano nella forma di questioni


intrattabili, di circoli viziosi, di problemi sfuggenti.

Il problema principale è allora per il planner quello di non trattarli come se fossero
"addomesticati", di non tentare prematuramente di addomesticarli, e di rifiutare di
riconoscere l'intrinseca malignità dei problemi sociali.

Vengono definiti quindi i 10 caratteri dei Wicked problems:

1. Non c'è mai una formulazione definitiva di un problema maligno.


Contrariamente a quanto avviene per un problema "benigno" del quale è
sempre possibile dare una formulazione esaustiva che contiene tutte le
informazioni necessarie al tecnico per comprendere e risolvere il problema,
un problema maligno si caratterizza per il fatto che le informazioni necessarie
per comprenderlo dipendono strettamente dall'idea che si assume per
risolverlo.

124
Ciò è dovuto al fatto che non è possibile individuare tutte le rette causali
rilevanti per una comprensione esaustiva delle vere radici del problema,
ed ogni richiesta di informazione aggiuntiva dipende dalla comprensione
del problema e della sua soluzione allo stesso tempo.
L'esempio più tipico è il problema della povertà: a seconda del tipo di
intervento prospettato per affrontarlo, vengono messe in evidenza
differenti cause.
La formulazione di un problema maligno è quindi il problema, in quanto
formulare il problema implica l'individuazione della soluzione.
La gran parte delle tecniche di pianificazione (analisi dei sistemi, ricerca
operativa ecc.) si applicano a problemi già formulati quindi già
"addomesticati".
2. Non esiste una regola per stabilire quando interrompere gli sforzi per
risolvere un problema maligno.
Nel risolvere problemi "benigni" (matematici, chimici ecc.) il tecnico sa
quando l'operazione è conclusa. Esistono criteri riconosciuti per stabilirlo.
Ciò non si dà per un problema maligno; dal momento che non esistono
criteri per stabilire quando il livello di comprensione del problema può
essere considerato adeguato, ovvero per porre un limite all'indagine sui
nessi causali che legano diversi sistemi tra loro, è sempre possibile fare di
meglio. Con un problema maligno si può sempre far di meglio.
Normalmente un planner conclude i suoi sforzi per considerazioni che
sono esterne alla logica del problema: limiti di risorse, di tempo, di
interesse.
3. Le soluzioni di problemi maligni non sono vere o false, ma buone o cattive.
Esistono criteri per stabilire oggettivamente se la soluzione di un
problema matematico è corretta o falsa.
Per un problema maligno no: molto diversi soggetti possono avanzare la
pretesa di valutare le soluzioni e nessuno ha il potere di decidere la
oggettiva correttezza della soluzione.
Ciascun soggetto può dire se la soluzione è buona o cattiva relativamente
ai propri interessi e valori, nessuno se è corretta o meno in assoluto.
4. Non esiste una possibilità di verifica diretta o definitiva per la soluzione
di un problema maligno.
Le conseguenze di ogni soluzione tentata ad un problema maligno si
ripercuotono in diverse aree e per un periodo di tempo indeterminato, ne
deriva che non è possibile dare una valutazione definitiva dei risultati
finché non si sono esaurite tutte le possibili catene di conseguenze; e ciò

125
è reso difficoltoso dal fatto che difficilmente si è grado di individuarne
tutte le aree all'interno delle quali una azione produce conseguenze.
5. Ogni soluzione di problemi maligni è un'operazione unica e irreversibile;
non c'è possibilità di prova ed errore ogni tentativo conta.
Nel campo delle scienze fisiche e naturali il tecnico può tentare diverse
soluzioni per approssimarsi a quella corretta.
Nei problemi di pianificazione ogni soluzione messa in atto genera
conseguenze rilevanti e irreversibili (Non si può costruire una autostrada,
vedere come funziona, e poi rifarla se i risultati non sono soddisfacenti).
Il tentativo di correggere errori dovuti a soluzioni "sbagliate" genera una
serie di problemi maligni che incorrono nello stesso tipo di dilemmi.
6. I problemi maligni non hanno un numero limitato di possibili soluzioni,
né è possibile descrivere in modo completo le operazioni da compiere per
perseguire una determinata soluzione.
Nel trattamento di un problema maligno vengono individuate alcune
soluzioni e ne vengono trascurate molte altre in modo del tutto
contingente senza che sia possibile stabilire la rilevanza di quelle
considerate e conoscere quelle escluse. È materia di arbitrio lo stabilire
quando interrompere la ricerca di soluzioni alterna6ve dal momento che
non esistono regole assolute.
Dal punto di vista delle operazioni da compiere l'unico criterio è quello
del realismo e della disponibilità dei mezzi, non quello della loro
adeguatezza.

7. Ogni problema maligno è essenzialmente unico.

Non è possibile stabilire "classi" di problemi maligni in modo tale da


applicare soluzioni simili a tutti i problemi compresi nella medesima classe.
Parte dell'arte di trattare con problemi maligni dipende dall'abilità di non
anticipare troppo presto una soluzione. Di fronte ad un problema maligno
non si può mai essere certi che nonostante le molte similarità, le par6colari
differenze non rendano impossibile trasferire soluzioni da altri casi già
trattati.

8. Ogni problema maligno può essere considerato come un sintomo di un


altro problema.

Ciascun problema maligno è il sintomo di problemi di carattere più generale


(la criminalità nelle strade è un sintomo del problema della povertà che è un
sintomo del problema dell'incapacità del sistema politico economico di
offrire a tutti uguali opportunità, ecc.). Tanto più ci si sposta a monte della

126
rete di causazione tanto più intrattabile diventa il problema, ma allo stesso
tempo tanto più si resta a valle tanto più diventa difficile rimuovere le cause
del problema. Questi aspetti dilemmatici fanno sì che non esista un "livello
naturale" del problema.
9. L'esistenza di una discrepanza rappresentata da un problema maligno
può essere spiegata in molti modi. La scelta della spiegazione determina
la natura della soluzione al problema.

Mentre nel campo delle scienze naturali esiste la possibilità di valutare la


correttezza di una spiegazione scientifica e di confutarla sulla base di dati
empirici. Nel campo dei problemi sociali né l'uno né l'altro è possibile. I dati
empirici non sono mai isolabili con certezza dal contesto delle cause
concomitanti che possono aver portato ad un certo esito, essi sono interpretabili
sulla base di ipotesi spesso contrastanti. Dato il carattere unico dei problemi e

l'impossibilità della sperimentazione non è possibile verificare la validità della


spiegazione adottata. Di conseguenza la spiegazione adottata riflette
essenzialmente il tipo di soluzione prospettata dall'analista.

10. 0 Il planner non ha diritto di sbagliare.

Il principio popperiano secondo il quale nella scienza le soluzioni ai problemi


sono solo ipotesi offerte alla confutazione non si applica alla pianificazione; la
comunità scientifica non incolpa i suoi membri per aver sostenuto ipotesi che si
sono poi dimostrate infondate.

Nel campo della pianificazione e dei problemi maligni nessuna immunità di questo
tipo è tollerata. L'obiettivo non è trovare la verità ma migliorare il mondo nel quale
la gente vive. I planner sono pertanto considerati responsabili per le azioni che
producono.

In questo modo Rittel e Webber offrono una prospettiva impegnativa per l’attività di
pianificazione che a partire da una critica radicale del modello della Razionalità
Tecnica invita a trovare vie di uscita non semplificatrici

Molte delle questioni sollevate da Melvin Webber le ritroviamo ad esempio nelle


posizioni di Luigi Mazza, ad esempio sulla questione del valore giuridico delle
previsioni, sul negoziato come strumento di pianificazione.

127
14. 2 Charles Lindblom:
Alla base degli argomenti di Webber possiamo rintracciare un rapporto diretto con
il pensiero pluralista ed in particolare con il lavoro teorico di Charles Lindblom che
criticando il Modello Razionale della assunzione delle decisioni (quadrante A)
sostiene che non regge perché.

• sono attori non solo quelli che hanno un potere formale in un processo
decisionale, ma tutti quelli che ne sono in qualche modo toccati,
• non abbiamo mai una informazione completa, e che tutti gli attori sono in
una situazione di Mutua interdipendenza partigiana.
• Tutti hanno una posizione di parte e debbono interagire con altri e adattarsi
per perseguire i propri obiettivi.

L, è anche l’autore del modello incrementale:

• Tutti gli attori nel perseguire i propri obiettivi sono costretti a interagire con
gli altri e a adattarsi ad altri obiettivi,
• Tutti hanno interessi di parte anche se affermano di agire nell'interesse
pubblico, perché dell'interesse pubblico esistono definizioni a seconda dei
partiti politici o dei ruoli amministrativi,
• Tutti adottano un approccio incrementale: ciascuno rispetto al problema
tiene conto di solo poche alternative che non siano molto dissimili alla
situazione attuale. Ovvero considerare solo poche alternative non molto
diverse tra loro e non molto diverse dalla situazione/politica attuale
producendo un cambiamento incrementale
• Incrementalismo disgiunto.
• Il Mutuo Aggiustamento Partigiano come un gioco in cui ogni gruppo di
interesse agisce come "cane da guardia" per i suoi interessi.
• La partecipazione di molti è necessaria per garan2tie che tu< gli interessi
essenziali ricevano un'attenzione adeguata.
• gruppi negoziano, contrattano e fanno compromessi nell'arena politica per
raggiungere decisioni tra richieste contrastanti.
• Non è necessario condividere i valori e gli obiettivi principali della vostra
controparte per trovare un accordo con lei/lui in una decisione concreta di
pianificazione.

L’aggiustamento reciproco è l’unica forma di coordinamento possibile

128
Il coordinamento centrale o completo non è possibile perché richiederebbe:

• organi di governo completamente coerenti e senza conflitti,


• burocrazia che si limita ad eseguire gli ordini,
• nessun partito politico o gruppo di interesse.

La struttura dei processi decisionali è quella di un reciproco aggiustamento di parte:


ogni attore è il guardiano dei suoi interessi, ma ha bisogno di interagire con altri nel
perseguire i suoi interessi, ha bisogno di aggiustare

L’apertura dei processi come fonte di razionalità:

• Questo non è solo il modo migliore per descrivere i processi, ma è anche


l'approccio che permette risultati più "razionali".
• Metodo della radice contro il metodo del ramo
• Quando definiamo una decisione buona o razionale? Quando minimizza le
conseguenze negative. Come ottenerla nel modo migliore? La pluralità degli
attori è la fonte della razionalità
• L'intelligenza della democrazia.

Se noi consideriamo che tutti sono portatori di interessi che debbono essere tenuti
in conto allora possiamo razionalmente ipotizzare l’impatto di ogni decisione. Da qui
il concetto di rischio controllato.

Webber e Lindblom,

Si tratta di posizioni che non solo ci parlano di conflitto non solo come accidente ma
anche come forma normale dello sviluppo delle società.

Webber nella sua critica al modello della Razionalità Tecnica come azione capace di
interpretare l’interesse generale, apre ad una concezione del processo di
pianificazione come processo negoziale come un processo ne quale si confrontano
le diverse posizioni e da qui prende le mosse l’esperienza della Advocacy Planning
(Jane Jacobs) dove l’urbanista è visto come un avvocato che partecipa ad un processo
difendendo gli interessi di un gruppo, ed in particolare dei ruppi svantaggia:

Lindblom con la sua concezione pragmatica dei processi decisionali ci dice che la
partecipazione non è una scelta di valori ma può essere una scelta orientata ad
aumentare la capacità di decisioni pubbliche di essere efficaci, più razionali e quindi
queste teorie ci dicono che alcune scelte hanno radice teoriche più importanti.

129
14.3 Albert Hirschman:
Anche lui economista, sociologo

Uno dei più grandi pensatori del 900, economista, scienziato politico, planner in
forme completamente non convenzionali.

Ce ne occuperemo solo come autore di una posizione che può essere assunta tra
altre come teoria appropriata per la situazione D quella di conflitto sugli obiettivi e
di incertezza sulle tecnologie di intervento. È anche lui un demolitore degli approcci
convenzionali alla pianificazione che lavora con gli stessi concetti con i quali Webber
e Lindblom si sono misurati.

Basa le sue teorie su una osservazione diretta dei processi in par6colare in uno dei
primi libri intitolato «Progetti di sviluppo» nel quale riflette ed elabora teorie
interpretative sui problemi della pianificazione (della Banca Mondiale) in paesi in via
di sviluppo.

Il principio della mano che nasconde (in economia vi è la mano nascosta):

• Le prime mosse sono dedicate a mettere in discussione alcuni assunti


fondamentali della pianificazione tradizionale: come il fatto che bisogna
pianificare tutto per evitare soppresse.
• Lettura pag. 20 Il bambù che fiorisce
• Il principio che ne trae è che l’esperienza mostra che c’è come una mano che
ci nasconde le difficoltà che inevitabilmente incontreremo, ma la stessa mano
ci nasconde anche le nostre capacità di reazione.
• Non dobbiamo quindi pretendere di prevedere tutto nei minimi dettagli
perché inevitabilmente capiteranno imprevisti, ma allo stesso tempo
possiamo avere fiducia nel fatto che saremo capaci di affrontare quegli
imprevisti.

Da questa posizione Hirschman sviluppa una posizione utile per affrontare le


situazioni più complesse. È un atteggiamento che lui chiama possibilismo.

«lo sviluppo non dipende tanto dal trovare combinazioni ottimali per risorse e fattori
di produzione dati, quanto dal richiamare e coinvolgere a fini di sviluppo risorse e
capacità che sono nascoste, sparse o male utilizzate»

Contro i "costrutti a camicia di forza" delle politiche fondate su generalizzazioni, leggi


universali e sequenze fisse, cercando invece l'unicità o le cara;eris5che uniche di una
data situazione

l'identificazione di possibili "vie di fuga".

130
Qui troviamo una relazione diretta con la riflessione di Donald Schon che nel suo
"The reflective practitioner" partendo dall'unicità dei problemi di pianificazione porta
il suo attacco alla Technical Rationality e propone l'idea di frame reflection e
reflective practice.

Il possibilismo si basa sulla convinzione che il cambiamento all'interno di qualsiasi


setting è possibile, ma che l'identificazione degli agenti del cambiamento richiede
una propensione a cercare razionalità nascoste o interpretazioni dei setting locali che
a prima vista potrebbero essere contro-intuitive. Spinge verso l’inconsueto.

l possibile piuttosto che il probabile

"un approccio al mondo sociale che sottolinei l'unico piuttosto che il generale,
l'inatteso piuttosto che l'atteso, e il possibile piuttosto che il probabile. Perché
l’intento fondamentale dei miei scritti è stato quello di ampliare i limiti di ciò che è o
di ciò che è percepito come possibile, sia a costo di abbassare la nostra capacità, reale
o immaginaria, di discernere il probabile”

H parla di Dispositivi del possibilismo:

• Uno è la nozione di 'benedizione (o maledizione) sotto mentite spoglie', cioè


l'idea che una caratteristica che è stata identificata come negativa potrebbe
in realtà portare qualche effettivo positivo finora non riconosciuto che
potrebbe essere promosso ulteriormente.
• Un altro dispositivo è il concetto di "sequenze invertite", che può essere
spiegato al meglio facendo riferimento alla teoria della dissonanza cognitiva
che sostiene che i cambiamenti nelle credenze o negli atteggiamenti sono
generati da certe azioni invece di essere un prerequisito per esse (es.
imprenditorialità ed etica della religione protestante
• Un altro possibile espediente è quello di cercare "conseguenze non volute",
o "cambiamento attraverso effetti collaterali non voluti" (scoprire l'America
cercando l'India).

Aiutare le persone ad aiutare sé stesse

"Il possibilismo, in conclusione, non è paternalistico. Non deriva da approcci


universali «one size-fits-all» (taglia unica) e combatte attivamente le insidie
dell'adesione troppo stretta a paradigmi e parametri di riferimento che mettono a
repentaglio le possibilità di identificare ciò che è possibile nelle circostanze locali".

"In questo, mira effettivamente e in modo piuttosto persuasivo ad aiutare le persone


ad aiutare sé stesse', come recita uno dei principali mantra retorici della politica di
sviluppo, in quanto permette ai decisori locali di imparare dalla propria esperienza,

131
affinare le loro opinioni su ciò che può essere fatto in termini di cambiamento sociale
e agire di conseguenza. Lo sviluppo, dal punto di vista del possibilismo, è la ricerca
di processi endogeni, non di spinte esterne".

Cosa ne possiamo trarre per le situazioni più difficili?

• Un indicazione contro il disfattismo e l’impotenza di fronte alle difficoltà: c’è


sempre una via di uscita
• Sempre la ricerca di risorse nascoste
• Sempre la ricerca di risulta; parziali che funzionano
• Negazione del fato che esista una “best way” da seguire,
• La ricerca di "meccanismi di induzione" endogeni o "dispositivi di stimolo che
favoriscono il cambiamento dall'interno,
• Contro il “visiting economist” ma noi potremmo dire il “visiting planner”

132
15.0 Approccio partecipativo:
Al di là delle scelte di valore sappiamo che nelle diverse
situazioni problematiche solo la situazione A non
richiede interazione. B,C,D prevedono forme diverse di
partecipazione come condizione per poter affrontare
efficacemente i problema.

Però possiamo dire anche che osservare i contesti


territoriali locali e riavvicinarsi alle comunità che li
abitano rappresenta un primo passo per evitare il
rischio della complicazione progettuale e
dall’appesantimento delle politiche.

(abituate a svolgere una funzione di matching tra


domanda e offerta) e per dare spazio ad un lavoro di
ridefinizione plurale delle due polarità e del loro modo
di essere in relazione.

Si costruisce un nuovo spazio di azione con una


connessione diretta con alcune matrici forti come
l’esperienza soprattutto di De Carlo (ma come abbiamo
visto anche Mazza, Secchi) e il movimento di Comunità
in Italia di Adriano Olivetti, con alcune rotture rispetto
all’abuso del termine partecipazione che ne aveva fatto
un concetto quasi inutilizzabile, intriso di ideologia e di
semplificazioni.

Anche Secchi nel piano di Parigi aveva fatto delle


interviste.

Mazza cercava di carpire le incrostazioni ideologiche


degli abitanti.

È un fenomeno che non riguarda solo l'Italia.

• La Community Architecture in Gran Bretagna,


• World Bank introduce approcci partecipativi
sulla scorta dei fallimenti degli approcci Top-
Down fin dagli anni ’80
• FAO ed altri organismi di cooperazione
internazionale

133
• USA Empowerment Zones ed Enterprise
Community
• USA Consensus building approach.

La partecipazione è stata vista anche in modi


semplificatori, bisogna quindi sempre avere un
approccio critico.

Negli stati uniti vi è un filone che si sviluppa intorno al


concetto di Enpowerment.

La scala della partecipazione è molto interessante, non


tutto ciò che appare come partecipazione lo è
effettivamente.

Nel dibattito sulla pratecipazione vi è un articolo di un


noto urbanista che definisce otto gradini sulla scala
della partecipazione:

Controllo dei cittadini

8. Controllo dei cittadini

7. Potere delegato

6. Partnership

Partecipazione formale

5. Contenimento dei confli:

4. Consultazione

3. Informazione

Non partecipazione

2. Terapia

1. Manipolazione

Il passo successivo è l’analisi dei cicli della


partecipazione, studiati dal Paolo Fareri.

Negli anni ’70 vi sono stati i movimenti sociali urbani,


che spingevano la realizzazione di grandi opere. Da qui
abbiamo capito che gli esperti non hanno sempre
ragione.

134
NIMBY not in my backyard, negli anni ’70 sono nati
molti movimenti partecipativi per non avere strade, fili
elettrici nei pressi delle proprie abitazione. Questa fase
sottolinea che il consenso è rilevante.

La terza fase prende piede negli anni ’90 si è arrivati ad


una serie di esperienze di progettazione partecipata. La
domanda proviene dall’amministrazione, che chiede di
partecipare ai cittadini.

L’ultima è la fase a partire degli anni 2000, basata su di


una società attiva. I cambiamenti sono basati su una
domanda che parte dal basso, ma in cui la società è
attiva, si fa senza chiedere. La società è in grado di auto
organizzarsi.

15.1 Caratteri della Partecipazione:


Nell’insieme che caratteri presentano le esperienze di
partecipazione?

• sfida al professionalismo;
• antidoto alla autoreferenzialità dei sistemi di
produzione dei servizi (anche urbanistici);
• strategia per favorire l’innovazione;
• strategia per favorire il negoziato;
• strategia adeguata a trattare in modo integrato
diverse dimensioni di progetti complessi;
• per un riavvicinamento ai bisogni dei destinatari
delle politiche e dei progetti;
• come processo che alimenta l’auto-
affidamento;
• strategia capace di sviluppare senso di
appartenenza da parte dei partecipanti nei
confronti del progetto.

Gli studiosi dicono attenzione lavorando con la


partecipazione vi è una commistione di attori.

Se si lavora in tale maniera si integrano più attori.

135
Strumenti per l’integrazione.

• Integrazione orizzontale fra approcci settoriali


• Integrazione verticale fra attori di diverso livello
• Dalla concezione di “destinatario” a quella di
attore partecipante al progetto

Nell’ impostazione del percorso bisogna quindi


identificare correttamente tutti gli attori che debbono
partecipare al processo perché nessuna delle
"competenze" rilevanti resti esclusa dalla attività di
progettazione; predisporre un metaprogetto del
processo di progettazione sufficientemente elastico
per essere modificato secondo le esigenze ma
sufficientemente definito per far capire a tutti i diversi
attori in campo in ogni momento quali sono i principali
passaggi e a che punto del percorso ci si trova;

Essenziale è anche verificare ad ogni stadio del lavoro


l’efficacia delle tecniche utilizzate e progettare nel
dettaglio l’organizzazione del lavoro nella fase successiva;
predisporre sia prima dell’avvio del lavoro che durante il
suo sviluppo tutti i supporti informativi finalizzati a
mettere gli attori in condizione di condividere una base
informativa comune. utilizzare una pluralità di tecniche
partecipative secondo principi di appropriatezza. Non
tutte le tecniche sono sempre approproate!

15. 3 Strumenti e tecniche:


1. Prevedere momenti di Udienze o incontri pubblici è
2. una tecnica com’anche la celebrazione di Cerimonie
e feste, in questi momenti si raccolgono spunti
importanti.

3. Le Mappe di uso sociale del territorio e Planning for


Real, ideate da degli urbanisti inglesi sono molto utili
per capire le necessità della popolazione.

4. Il workshop

5. Focus Group, organizzati per trattare determinate

136
6. questioni, oppure adoperando anche il Brainstorming. Anche con la Costruzione
di scenari.

7. Charrette, ovvero cercare più soluzioni di uno stesso problema per giungere così
alla migliore soluzione. Test Planning.

8. Visita e analisi della documentazione su altri casi,

9. Auto inchiesta, ovvero un survey fatto dagli stessi abitanti.

10. Tecniche di osservazione diretta e di autoconsapevolezza

11. 12. O tecniche di Osservazione partecipante come Shadowing.

13. Uffici di progettazione in luogo (laboratori/agenzie) di quartiere.

14. Costruzione incrementale dei manufatti.

Quarta fase del planning chi fa che cosa quando e dove, localizzare i miglioramenti
e come s

Principali risultato mobilitazione di conoscenza socialmente prodotta, profonda e


non utilizzata

• attivazione di importanti suggerimenti per la costruzione di progetti messi


alla prova delle aspettative degli abitanti
• anticipazione dei conflitti che sono importanti strumenti di informazione su
bisogni e domande
• costruzione di una concezione allargata di partnership che include soggetti
deboli capaci di portare risorse fondamentali
• costruzione di capitale intellettuale, sociale, politico.

Le 5 fasi del workshop sono:

• Make Field survey;

15.3 Risultatati limiti e rischi:


Risultati

• Mobilitazione di conoscenza socialmente prodotta, profonda e non utilizzata;


• attivazione di importanti suggerimenti per la costruzione di progetti messi
alla prova delle aspettative degli abitanti;
• anticipazione dei conflitti che sono importanti strumenti di informazione su
bisogni e domande;

137
• costruzione di una concezione allargata di partnership che include soggetti
deboli capaci di portare risorse fondamentali.
• costruzione di capitale intellettuale, sociale, politico

I limiti elle esperienze sperimentali di progettazione partecipata

• le comunità non vengono informate dei risultati del lavoro nel quale sono
state coinvolte una volta che i processi entrano nella "scatola nera" delle
procedure amministrative;
• i tempi necessari a trasformare progetti o piani costruiti in modo partecipato
in atti amministrativi sono generalmente troppo lunghi per non produrre
caduta di tensione e disillusione;
• nel processo di implementazione riemergono logiche settoriali nel
finanziamento e nella realizzazione degli interventi, e quando vengono fatti
hanno caratteri diversi: più grandi, più costosi, più pesanti o nulla;
• cose semplici, che possono dare un segno di continuità, di interesse e cura
verso chi è stato coinvolto e verso le comunità locali, sono generalmente
ignorate perché considerate marginali.

Rischi

Resistenze pervasive

1. nelle modalità di affidamento degli incarichi sui progetti e sui piani


2. nei modi in cui i prodotto progettuali sono valutati
3. nelle difficoltà di destinare risorse alla gestione dei processi
4. nella cultura del personale amministrativo e nella cultura dei tecnici

Si fa la partecipazione non si fanno le cose

Superare i limiti delle esperienze sperimentali

Occorre un riconoscimento del valore, anche economico, del supporto alla


costruzione partecipata di un progetto.

Allo stesso tempo sono ci sono evidenti rischi di banalizzazione e di


standardizzazione dei metodi

Occorre lavorare sul contratto con l'amministrazione partendo dai risultati ottenibili

Occorre lavorare sul mainstreaming.

Bisogna fare sempre due contratti, un primo che stabilisce il campo decisionale, ed il
secondo che è il vero e proprio contratto.

A partire degli anni ’90 sono stati molti gli approcci partecipativi ai piani urbanitici.

138
La partecipazione all'interno di programmi ordinari

• Forme di mainstreaming: Urban I,II,Italia, CdQ, PRU, ma anche legislazioni


urbanistiche regionali che prevedono la istituzionalizzazione della
partecipazione VAS
• Per la prima volta la partecipazione è un requisito per la ammissibilità dei
programmi
• Dalla sperimentazione alla ricerca di competenze per condurre i processi.

Rischi

• Costituisce oggettivamente una preoccupazione secondaria rispetto a quella di


preparare il progetto per il bando
• Presenta una povertà "oggettiva" rispetto alla certezza dei meccanismi propri dei
lavori pubblici
• Se non c'è assunzione di responsabilità e presidio forte diventa unicamente
consultazione episodica travestita di ideologismi partecipativi

Si fanno le cose non si fa la partecipazione

In sintesi

• Una serie di esperienze di carattere sperimentale ha introdotto l’uso della


partecipazione come modalità di superamento della crisi nell’efficacia di molte
politiche di rigenerazione urbana a partire dall’inizio degli anni ’90
• L’attenzione si è concentrata sulle forti motivazioni teoriche e sul riconoscimento
della legittimazione di questi approcci, poco sulla valutazione dell’efficacia
dell’azione nel suo complesso
• Se sottoposti ad un processo di valutazione i risultati delle esperienze sono
limitati, la reazione si è indirizzata verso una maggiore strutturazione
• I programmi complessi offrono lo spazio per una maggiore strutturazione degli
approcci partecipativi nell’ambito di importanti politiche di rigenerazione urbana
• Se sottoposti a valutazione mettono in evidenza altri limiti, per certi aspetti
simmetrici.

Occorre quindi

• Essere consapevoli del fatto che si tratta di una prospettiva necessaria nei
processi di riqualificazione urbana
• Largamente praticata in Europa e nel mondo
• Che richiede nuove abilità e competenze progettuali
• Competenze che possono essere apprese se ci si pone in una situazione di vero
ascolto e di ricerca di una chiarezza metodologica
• Se si ha coscienza delle molte trappole di cui è disseminato il terreno dei progetti.

139
Trappole:

Eccesso di attenzione alla partecipazione in sé, scarsa conoscenza delle tecniche


utilizzabili, debolezze metodologiche, difficoltà di management del processo, resistenze
all’innovazione nella amministrazione, fisicismo

Speranze:

L’approccio consente di lavorare alla riqualificazione vera e duratura e di apprendere una


nuova metodologia progettuale improntata ai principi dell’efficacia.

15.3 Il caso del Laboratorio Quartieri di San Donato


Milanese 2004-2006:

vedi appunti Anna

140
16.0 La pianificazione strategica
La pianificazione strategica è vicina alla pianificazione
partecipativa.

La pianificazione ha bisogno da un lato di strumenti per


la definizione legittima dei diritti di trasformazione di
ogni area e di mezzi per produrre la qualità spaziale, la
sostenibilità e l'equità dall'altro.

Tutto questo porta ad espandere l'agenda della


pianificazione e a sviluppare pratiche di pianificazione
che abbracciano l'incertezza, i molteplici possibili futuri
alternativi, riconoscendo che gli obiettivi degli attori
possono cambiare, che molte decisioni devono essere
flessibili, esplorative e sperimentali.

Un numero crescente di pratiche, in tutto il mondo,


sembra suggerire che la pianificazione strategica del
territorio può essere vista come un possibile approccio
in grado di far fronte alle sfide che la nostra società sta
affrontando e di incorporare i cambiamenti strutturali
che sono necessari.

La logica della pianificazione statutaria: dirigere lo


sviluppo in certe direzioni

La pianificazione ha bisogno da un lato di strumenti per


la definizione legittima dei diritti di trasformazione di
ogni area e di mezzi per produrre la qualità spaziale, la
sostenibilità e l'equità dall'altro.

Tutto questo porta ad espandere l'agenda della


pianificazione e a sviluppare pratiche di pianificazione
che abbracciano l'incertezza, i molteplici possibili futuri
alternativi, riconoscendo che gli obiettivi degli attori
possono cambiare, che molte decisioni devono essere
flessibili, esplorative e sperimentali.

Un numero crescente di pratiche, in tutto il mondo,


sembra suggerire che la pianificazione strategica del
territorio può essere vista come un possibile approccio
in grado di far fronte alle sfide che la nostra società sta

141
affrontando e di incorporare i cambiamenti strutturali che
sono necessari.

La logica della pianificazione statutaria: è di dirigere lo


sviluppo in certe direzioni.

In questo modo però spesso il piano regolatore è un print


di una direzione precisa

Il PRG di Como del 1952 definisce uso del suolo di ogni


parte ma solo del territorio comunale, il che ha dei limiti.
L’analisi estremamente dettagliata comporta tempi molto
lunghi che porta ad essere obsoleto appena approvato.

La pianificazione urbanistica ordinaria (land-use),


anche se necessaria, è statica, estremamente
dettagliata, passiva, basata su lunghe analisi, esaustiva,
e si basa tipicamente su un modello razionale classico.

Tutto deve essere deciso subito, in anticipo, prima della


trasformazione, e ogni cambiamento deve seguire tutta la
stessa procedura adottata per la formazione e
l'approvazione del piano.

Non è flessibile, non è aperta al cambiamento, è limitata ai


confini comunali, è rivolto verso l'interno.

Gli strumenti urbanistici tradizionali sembrano essere


incapaci di affrontare una serie di problemi:

• Inadatti a governare la dimensione


urbana/regionale e la sua complessità,
• Affrontare le conseguenze ineguali della
ristrutturazione economica,
• Cogliere la relazione tra i luoghi,
• Andare oltre il tradizionale mantenimento
dello status quo e guardare al futuro,
• Affrontare i continui e molteplici processi di
negoziazione.,
• Mantenere l'impegno di generare inclusività,
causando spesso nuove esclusioni
• Strumenti di pianificazione inefficaci perché
concepiti per gestire stabilità, certezza e
ragionevole chiarezza sui problemi da
affrontare

142
Ragioni e applicazioni della pianificazione strategica

o Indirizzare le trasformazioni,
o Rigenerazione urbana ,,
o Grandi progetti e infrastrutture
o Sviluppo economico locale
o Competizione fra territori
o Attrazione di investimenti,
o Sostenibilità,
o Qualità urbana,
o Grandi eventi,
o Problemi sociali,
o Partnership.

La parola "strategia" nasce in un contesto militare


insieme alla parola "tattica", è ciò che guarda al lungo
termine, all'intera organizzazione della guerra, la sua
missione è raggiungere il fine ultimo. La tattica è
finalizzata al breve termine, ad un episodio che fa parte
del campo più ampio della strategia.

Per vincere la guerra (strategia) si può anche perdere


una battaglia (tattica).

Già negli anni '50 la pianificazione strategica fu adottata


dalle società private più innovative, società in rapida
evoluzione e crescita, per pianificare efficacemente e
gestire il proprio futuro quando il futuro stesso
sembrava essere sempre più incerto.

Le aziende iniziarono ad elaborare strategie a lungo


termine volte a raggiungere precisi obiettivi aziendali,
articolati attraverso azioni a breve termine.

Quindi la pianificazione strategica diventa una pratica


consolidata nelle attività di gestione di imprese private.

143
16.1 La pianificazione di struttura inglese:

La prima introduzione di una nozione di pianificazione


strategica in campo territoriale è avvenuta in GB con il
planning act del 1968

Strategico strutturale: regionale-territoriale

Piani locali: uso del suolo

Strutturale: determinanti di fondo del cambiamento

Strategico: decisioni in grado di coordinare gli obiettivi


e determinare come raggiungerli

Pianificazione strategica della GB: sinottica, globale,


sequenziale, gerarchica, di lungo periodo, fatta
dall'attore pubblico

Strategico strutturale: è il livello gerarchico più alto


dove si assumono le decisioni fondamentali, è ciò che
precede e determina le altre decisioni

Si applica a fattori economici, infrastrutture, mobilità,


progetti più rilevanti

La pianificazione strategica è una pianificazione


strutturale

Non funziona così. I comuni non vogliono solo


implementare le decisioni strategiche che sono prese
ad un livello superiore, da altri attori.

Inoltre, è ancora globale e piuttosto rigido, quindi


incontra lo stesso tipo di critica dell'intero sistema di
pianificazione negli anni '80

Mentre tutto il sistema di pianificazione è sotto attacco


in Gran Bretagna e altrove, la pianificazione strategica
Corporate aziendale privata sta diventando sempre più
popolare.

Inizia ad essere fatta un'operazione di "traduzione"


(Bryson e Roering 1987). Cercano di capire cosa
funziona e cosa no.

144
La pianificazione strategica fornisce un insieme di
concetti, procedure e strumenti che possono aiutare le
organizzazioni del settore pubblico ad affrontare il
cambiamento.

La pianificazione di origine aziendale Usa:

La pianificazione strategica è uno sforzo disciplinato


per produrre decisioni e azioni fondamentali che
modellano e indirizzano ciò che un'organizzazione è,
ciò che fa e perché lo fa.

Ciò che distingue la pianificazione strategica da altre


forme di pianificazione:

1. la sua enfasi sull'azione,


2. la considerazione di un insieme ampio e
diversificato di stakeholder,
3. l'attenzione alle opportunità e alle minacce
esterne e ai punti di forza e di debolezza interni
4. l'attenzione ai concorrenti attuali o potenziali

IN TABELLA IL CONFRONTO TRA PIANFICAZIONE


ORDINARIA E STRATEGICA.

Obiettivi:

• Introdurre razionalità in sistemi frammentati in


cui le prescrizioni non portano a soluzioni
adeguate

• Incoraggiare l’efficienza del sistema

• Costruire partnership, coinvolgere gli


stakeholders, costruire il consenso

• Costruire una visione come framework per


l’azione

Processo pianificatore

1. Il processo inizia con un accordo iniziale (o


"piano per la pianificazione") tra i decisori il cui
sostegno è necessario per la formulazione e
l'attuazione del piano.

145
2. Il secondo passo è l'identificazione dei mandati, o
"must", che affrontano la società o l'agenzia
governativa.
3. Il terzo passo è la chiarificazione della missione e
dei valori dell'organizzazione missione e dei valori
dell'organizzazione, o "vuole", perché hanno una
forte influenza sull'identificazione e la risoluzione
di questioni strategiche.

4. 4 & 5 Seguono due passi paralleli SWOT:


identificazione delle opportunità e minacce
esterne che l'organizzazione affronta, e
identificazione dei suoi punti di forza e debolezza
interni.

5. La distinzione tra ciò che è "dentro" e ciò che è


"esterno" dipende dal fatto che l'organizzazione
controlla il fattore, che lo colloca all'interno, o non
lo controlla, il che lo pone all'esterno.

6. 6. Insieme, i primi cinque elementi del processo


portano al sesto, l'identificazione delle questioni
strategiche: questioni politiche questioni politiche
fondamentali che riguardano i mandati
dell'organizzazione, la missione.

7. Lo sviluppo della strategia inizia con


l'identificazione di alternative pratiche per
risolvere le questioni strategiche. Poi passa
all'enumerazione delle barriere al raggiungimento
di queste alternative, piuttosto che direttamente
allo sviluppo di proposte per realizzare le
alternative.

8. Descrivere il futuro potenziale dell'organizzazione.


Questa descrizione è la "visione del successo"
dell'organizzazione un abbozzo di come
l'organizzazione sarebbe apparire se
implementasse con successo le sue strategie

9. Identificazione di azioni e decisioni per


implementare la strategia

10. Valutazione dei risultati.

146
La sequenza è piramidale.

Molte città hanno trovato in questa forma di


pianificazione derivata dalla pianificazione aziendale
un modo efficace per reagire alla natura rigida, lenta e
passiva della pianificazione territoriale;

La pianificazione strategica è diventata la modalità di


pianificazione privilegiata dalle città più innovative:
Barcellona, Lione, Glasgow, Bilbao, Torino, Firenze;

Anche la pianificazione territoriale ordinaria si è


trasformata nel corso del tempo per assorbire questa
dimensione strategica basata sulla visione, sul
coinvolgimento degli stakeholders, sulla SWOT
analysis, ecc.

16.2 Il Piano di Torino:


Il piano viene approvato come un patto, Torino, prima
capitale d’Italia, volgeva in una grande crisi economica.

La missione era quindi quella di dare alla città un nuovo


ruolo nel contesto internazionale, l’obiettivo di
Promuovere la città e l’area metropolitana attraverso
l’elaborazione di un progetto di sviluppo integrato.

Attraverso il coinvolgimento di attori, economici,


politici e sociali nell’elaborazione della visione e nella
definizione delle strategie progettuali.

Il percorso, circolare aveva una struttura gerarchica.

Il percorso aveva anche come obiettivo le olimpiadi del


2006 e prevedeva più linee strategiche come
promuovere il turismo, la cultura, il commercio e lo
sport.

Torino aveva bisogno di rafforzarsi, l’obiettivo è stato


però raggiunto da una coesione tra gli attori.

147
16.3 Il Piano di Barcellona:
Nel 1986 dopo la fine della dittatura si dovevano affrontare una serie di problemi. Si
lavorava alla scala metropolitana ed importante era la collaborazione tra gli attori.

L’obiettivo era quello di rendere Barcellona una città internazionale, di valore


culturale ed anche attrattiva.

Nei piani strategici si procede per momenti si osserva la “Big Picture” Vengono
affrontati i temi della distribuzione dell’acqua, dell’energia rinnovabile e dell’housing.

La sfida era quella di ridurre le diseguaglianze favorendo anche l’economia.

16.4 Gli approcci alternativi:


Il modello consolidato della pianificazione strategica è adeguato alle città, ma molto
meno per le regioni urbane policentriche. Le regioni urbane sembrano richiedere un
approccio diverso, perché hanno a che fare con poteri frammentati e concorrenti.

Un approccio diverso: la razionalità strategica come capacità di anticipare e lavorare con


le molteplici azioni e reazioni dei soggetti coinvolti. Come un'attività di sense-making,
attivazione e azioni sperimentali. Si parla molto di story telling, è importante come viene
descritta una città, una regione urbana. Con l’Expo, Milano ha acquistato spessore.

La pianificazione strategica come metodo selettivo e interattivo:

Charles Lindblom (1978): scrive in un saggio un metodo che tratta la competenza del
pianificare come una risorsa scarsa un metodo che impiega una varietà di dispositivi per
superare problemi analitici e utilizza l’interazione come sostituto dell’analisi.

un metodo che cerca di fare uso sistematico dell'intelligenza con cui individui e gruppi
perseguono le proprie preferenze sostenendo i processi che vanno nella direzione
desiderata o cercando di influenzare

in situazioni complesse l’analisi scientifica supporta la conoscenza ordinaria. Se tu hai un


obiettivo, si devono cercare di capire quale azione vanno già nella direzione desiderata,
questi possono essere dei punti di partenza. Non si pianifica la soluzione si pianifica
l’approccio.

La pianificazione strategica come risorsa per costruire capitale relazionale

Un altro contributo teorico è dato da Healey, famosa Urbanista.

H. dice che la natura relazionale del fare strategia per generare mobilitazione, per
diventare orientamento, un nuovo “discorso” che viaggia in diverse arene, che cerca di
correlare il lavoro attivo degli individui.
148
Innes, Gruber, Boher ci dicono invece che la pianificazione contribuisce alla produzione
di capitale sociale, politico, intellettuale.

L’approccio a “quattro assi” (Albrechts):

• La costruzione di una visione a lungo termine,


• L’innesco di azioni immediate, debbono esserci per capire se la pianificazione
funziona.
• Il coinvolgimento degli stakeholders di rilievo
• L’azione di comunicazione verso l'opinione pubblica

La pianificazione strategica come un campo aperto di sperimentazione

Hillier (2007) dice che “strategic spatial planning should not involve the adoption of pre-
determined solutions but might offer a ‘genuine possibility’ of experimentation for
actants to ‘internally generate and direct their own projects’.” Traiettorie, piuttosto che i
punti finali: Un modo sperimentale di lavorare con l'incertezza e il dubbio,
l'improvvisazione, l’adattamento, la creazione.

Approccio strategico per sostenere il processo di cambiamento nella cultura del


governo

Healey: la pianificazione (spaziale) strategica è in grado di aiutare gli episodi specifici di


innovazione sociale o istituzionale ad essere assorbiti da pratiche di governo più stabili e
può eventualmente 'viaggiare' all’interno di contesti diversi per ‘ri-modellare’ la cultura
di governo dominante. Lo stesso piano strategico è un episodio.

La pianificazione strategica come modo di utilizzare il potenziale piuttosto che come


atto di eroismo

Francois Jullien (2006), sinologo scrive un volume sul confronto tra la storia occidentale
e quella orientale. La storia occidentale è basata sul confronto delle figure. In Cina invece
lo stratega deve partire da una situazione, non da quella che potrebbe essere
modellizzata, ma da quella specifica e imprevedibile all'interno della quale è capitato,
cercando di scoprire il suo potenziale e come fare uso di essa. In questo senso è il
"potenziale della situazione" - piuttosto che il Piano (e la volontà dello stratega) – ad
essere rilevante, e le circostanze non possono essere considerate solo come generatrici
di attriti.

Quindi in sintesi i tre diversi modelli di pianificazione strategica:

• Il modello di pianificazione inglese funziona per modelli molto gerarchizzati.


• Il modello americano funziona per città molto coese, a Milano non
funzionerebbe.
• La terza modalità funziona anche per città meno coese.

149
17.0 La strategia dell’IBA Emsher Park:
Rigenerare un territorio, il più industrializzato della
Germania, devastato

Il bacino idrografico del fiume Ruhr percorso da est a


ovest dal fiume e dal canale Emscher

Un secolo e mezzo di industria pesante ed estrattiva


hanno trasformato la regione, passata da 500.000 a
5.000.000 di abitanti in poco più di mezzo secolo,
modificando il paesaggio così profondamente da
renderlo da pianeggiante a collinoso per l’accumulo di
grandi quantità di materiali di estrazione. È anche
un’area densamente abitata con ben 11 Città 4 contee:
Dortmund, Essen, Duisburg, Bochum etc. La uhr è parte
della banana Blue.

A partire degli anni ’60 vi è una crisi, l’acciaio si


rilocalizza, lasciando un’area ferita, devastata ed
inuinata.

Quando nel corso degli anni’70 la crisi dei settori


estrattivi e dell’acciaio è definitivamente maturata,
l’eredità lasciata dal passato industriale non è stata solo
la disoccupazione e la perdita di identità, ma anche un
territorio ferito dal punto di vista ambientale,
intensamente infrastrutturato ma in funzione di un
sistema di localizzazioni e funzioni industriali ed
estrattive non più vivo.

Alla fine degli anni ’80 il ministero della pianificazione


urbana e dei trasporti del Land ha promosso un
progetto di rigenerazione urbana denominato IBA
Emscherpark. Si tratta di un processo di rinnovamento
complessivo della struttura paesaggistica, economica e
sociale della regione della regione promosso con il
marchio di “workshop per il futuro della regioni
industriali”.

Fin dall’inizio il progetto, si è configurato come una


sfida, ambiziosa, rivolta tanto all’interno del Land e

150
della regione quanto al resto dello stato federale e dell’Europa.

L’IBA ovvero mostra internazionale tedesca prende le mosse dalle grandi esposizioni
mondiali. Queste erano mostre in cui si chiamavano a concorrere diversi artisti ed
architetti a realizzare dei progetti come housing o altri simili.

In Germania era quindi comune rinnovare attraverso le mostre dell’IBA. In questo


modo si poteva affrontare anche una questione così ampia e complesse.

Le sfide socioeconomiche

• Grande impresa dominante


• Manodopera dequalificata
• Disoccupazione oltre il 15%, mai stato così alta.
• Aree inquinate ed abbandonate
• Scarsi investimenti interni, bassa domanda di aree
• Emigrazione selettiva, polarizzazione etnica
• Affidamento all’assistenza statale

Le sfide politico-amministrative

• Un partito politico dominante, clientelismo


• Sindacati molto forti e conservatori
• Scarsa cooperazione infra-regionale
• Eccessivo pragmatismo e incapacità di visione alternativa e proiettata verso il
futuro.
• Ripiegamento interno, provincialismo

Immagine

Immagine negativa difficile marketing dell’area Bassa qualità dell’architettura e del


paesaggio urbano Turismo inesistente: la Rhur non è nelle mappe.

Da qui utilizzando L’IBA vengono designati una serie di piccoli progetti. Così aveva
fatto Mazza nell’avere una strategia generale, per far fronte al rapido cambiamento
della società.

La denominazione IBA (letteralmente Mostra Internazionale di Architettura), ripresa


da IBA di Berlino degli anni’80 non più alla scala urbana ma alla scala dell’intera
regione.

Non è stato disegnato alcun Piano tradizionale di tipo fisico ma sono stati promossi
attraverso una serie di bandi singoli progetti (estesi o puntuali) riferiti ad una visone
di lungo periodo legata al tema di fondo della modernizzazione nel rispetto

151
della memoria del passato industriale e alla
promozione della cultura come catalizzatore di nuove
trasformazioni e funzioni.

Il progetto è stato affidato ad una agenzia molto


efficiente e leggera (meno di 30 persone in staff) ma
autorevole, senza potere diretto di spesa, con potere di
valutazione e indirizzo sostenuto da differenti board
composti da personalità del mondo politico e
amministrativo. Vi era Un forum, un’agenzia che
costruiva dei memorandum.

Il processo è stato avviato con la costruzione di un


memorandum, un documento di indirizzi che ha messo
a fuoco i principali obiettivi del progetto:

• la trasformazioni ecologica e la rinascita


strutturale dei siti abbandonati
• la rinaturalizzazione del fiume Emscher
• la conversione produttiva dei siti industriali
abbandonati
• la conservazione delle memorie del passato
industriale
• la costruzione di progetti sperimentali di Housing
• la promozione di nuovi ambienti di lavoro con lo
slogan “lavorare nel parco”
• la creazione di un nuovo clima e ambiente
culturale nella regione.

A seguito del memorandum sono state raccolte


attraverso un bando oltre 350 proposte progettuali. Le
proposte selezionate e premiate hanno avuto un
riconoscimento di qualità e accesso privilegiato ai
finanziamenti ordinari. I progetti erano giudicati anche
dal Forum.

I principi che guidavano il piano erano Processi


piuttosto che piani.

• La società Civile piuttosto che il settore pubblico


• Incrementalismo con una prospettiva strategica
• Qualità piuttosto che Quantità

152
• Brownfields piuttosto che green fields
• Piccolo piuttosto che grande
• Il piano impara dai progetti

Il processo IBA innanzitutto Esplora, definendodei


progetti meritevoli, che poi vengono disseminati,
diffondendo il messaggio della strategia.

Dopo di che Profiling, ovvero capire in quali luoghi


concentrare attività e progetti bandiera.

Poi Networking collegare i progetti creando delle vere


e proprie reti progettuali.

Infine, Consolidation , consolidare l’approccio a diverse


regioni. Creare quindi un modello. Importantissimo è
quindi il memorandum che definisce le strategie.

Importante è Il Parco nel progetto che si struttura a


partire dal fiume.

I progetti di Housing costruiti non sono tradizionali,


realizzati nei pressi di scarti estrattivi, li esaltano
dandogli carattere ambientale di valore.

Lavorare nel parco, viene creato un museo e centro di


ricerca in merito alla riqualificazione ambientale.
Progetti realizzati da grandi architetti.

Interessante è l’approccio alla Land Art, che è utilizzata


come elemento riconoscitivo delle trasformazione. La
storia della pianura è mantenuta molti gasdotti o
industrie sono mantenute esaltate e rifunzionalizzate,
progetti realizzati da grandi architetti.

L’eredità: problemi trasformati in opportunità

• L’immagine della regione è radicalmente


cambiata
• Il patrimonio industriale conservato e riutilizzato
• I progetti dell’IBA sono stati una fonte
straordinaria di ispirazione
• L’IBA è diventato un modello di rigenerazione
copiato nel mondo
• Il grande parco naturale è stato realizzato
153
• La rinaturalizzazione dell’Emscher
• La capacità nella bonifica è diventata un expertise vendibile
• Nuovi posti di lavoro creati in settori vivi
• Nuova qualità dell’architettura e dell’ambiente
• Gli operatori privati hanno mostrato maggiore fiducia
• L’atteggiamento della grande impresa è cambiato
• Molti cittadini della Rhur sono diventati ambasciatori del processo
• Essen è stata scelta come Cultural City of Europe nel 2010.

La pianificazione strategica deve utilizzare l’intelligenza della società cogliendo ciò


che già va in quella direzione.

17.1 Il piano strategico “Città di Città”:


Realizzato dal Comune di Milano nel 2004, è considerato un’esperienza
sperimentale.

1. pianificazione strategica come costruzione di una visione condivisa che


produce immagini di un futuro possibile, le consegna alla discussione
pubblica, perché vengano appropriate, modificate, interpretate, discusse

2. pianificazione strategica come evento che propone una sequenza, solo in
parte progettabile, di occasioni, eventi mobilitanti..
3. pianificazione strategica come occasione di animazione culturale che
alimenta il dibattito sul senso e il significato dei problemi e delle politiche
possibili per la regione urbana milanese.

Milano era in buone condizioni Economiche però aveva problemi rilevanti dal punto
di vista della qualità della vita. Obiettivi non erano quindi nuove infrastrutture bensì
un miglioramento della qualità dell’abitare.

Due assi centrali della visione:

1. l’ABITABILITÀ: per rispondere alle aspirazioni dei cittadini verso una migliore
qualità della vita nel territorio della provincia e sostenere la competitività
nelle nuove condizioni di concorrenza, occorre costruire un grande progetto
partecipato finalizzato al miglioramento della qualità dell’abitare

154
2. la CITTÀ DI CITTÀ: per dare forma allo sviluppo
e rispondere alle esigenze della popolazione
della provincia occorre rafforzare la
cooperazione tra comuni, individuando ambiti
significativi per la affermazione di una nuova
urbanità.

La città doveva investire sul campo dell’abitabilità.

In queste due immagini da satellite del 1972 e del


2001, che abbiamo spesso usato, stanno molti dei
problemi e delle opportunità legate alla visione della
CITTÀ DI CITTÀ che si basa:

• sul nuovo ruolo della “Provincia dei Comuni”


• su una pianificazione proattiva e basata sul
coinvolgimento piuttosto che sul controllo.

IL PIANO STRATEGICO “Città di città”

È una prospettiva teoricamente solida e che dialoga


con le più avanzate esperienze internazionali…

1. pianificazione strategica come azione capace di


lavorare con l’intelligenza della società, Charles
Lindblom
2. pianificazione strategica: vettore tra episodi,
pratiche e cultura di governo, Patsy Healey
3. un modello di azione a quattro campi: visione,
azioni immediate, coinvolgimento,
comunicazione, Louis Albrechts

…ed è stato riconosciuto come pratica innovativa e


fertile di pianificazione strategica, nel contesto italiano
ed europeo.

I passaggi fondamentali del processo di


pianificazione:

Un processo realizzato in tempi brevi, che si è mosso tra


azioni immediate e prospettive di lungo periodo

 una serie di prodotti: Documento Strategico,


Atlante dei Progetti, Documento Finale,
Documento Di Valutazione
155
 e di eventi: bandi, conferenze, mostre, forum, workshop, dibattiti, incontri…

Ispirazione è stato il Piano della Ruhr. a seguito del documento strategico è stato
definito un bando città di città poi un atlante, a sua volta seguito da dei progetti
pilota. Infine, un documento finale.

Il Bando ebbe un successo enorme, che definiva dei metodi d’approccio, l’abitare
come migliorarlo, come condividere gli spazi, con parchi urbani, spazi per i bambini.

Importante è stata anche la mostra alla Triennale “VIVIMI” questa metteva in mostra
i cambiamenti che avvenivano a Milano e organizzava il teatro di città di città, che
permetteva agli autori dei progetti di presentarli, creando un forum tra i diversi
soggetti.

La visione finale proposta era una città che funzionava grazie al rapporto con tutti i
nuclei urbani, un nodo rilevante, un porto internazionale, un città che respira, più
verde, in cui le infrastrutture creano valore aggiunto, ma che è anche accogliente,
che facilità la ricerca di casa, che è giovane, cosmopolita e dinamica, aperta
all’innovazione sociale, coesa e competitiva.

Esiti rilevanti sono

1. capacità di aiutare ad interpretare i rapidi cambiamenti in corso e di rimando


di rinnovare l’agenda locale, ABITABILITA’ diventata parola di uso comune,
nuove cornici per l’azione..
2. capacità di attivare nuove relazioni tra attori istituzionali una serie di
occasioni che hanno inaugurato un nuovo dialogo tra Provincia, Comuni,
Camera di Commercio, Triennale, Università..
3. capacità di rinnovare le politiche: il BANDO come meccanismo per fare
emergere le risorse progettuali capacità di fare emergere la disponibilità
degli attori e le loro risorse
4. capacità di coinvolgimento: gli EVENTI come occasione di attivazione di reti,
di discussione e riflessione pubblica forte attivazione, attenzione e
disponibilità da parte della società
5. capacità di attivazione progettuale in tempi brevi: i PROGETTI (dai Bandi ai
Progetti Pilota) avviato un incubatore progettuale significativo La
pianificazione strategica per situazioni di elevata complessità.

IN SITUAZIONI COMPLESSE

• Non una macchina di strategie / obiettivi / azioni


• Partendo dai potenziali: l'intelligenza della società
• Non separando l’analisi dalla progettazione

156
• Non separando le conoscenze professionali dall'interazione
• Coinvolgendo gli attori interessati in una riflessione comune: se partecipano
• alla definizione dell'orientamento verranno orientati
• Particolarmente appropriata in situazioni di post-metropolitane.

Cos’è pertanto la pianificazione spaziale strategica?

• un tentativo di elaborare una logica spaziale, coerente e a lungo termine, di


regolazione dell’uso del suolo, di protezione delle risorse e di orientamento
all'azione;
• il combinare visione e selettività con la natura stessa delle dinamiche
urbane/regionali e lo sviluppo urbano/regionale;
• il tentativo di perseguire sostenibilità e qualità socio spaziale;
• la costruzione di un processo con il coinvolgimento di attori rilevanti

In conclusione

La pianificazione strategica è il pianificare azioni sfuggendo alle insidie della


pianificazione territoriale tradizionale in contesti che cambiano.

Abbiamo visto due definizioni e approcci:

• La pianificazione strategica importata dalla pianificazione aziendale


• Modelli alternativi di pianificazione strategica intesi come esplorazione Questi
possono essere adatti a situazioni differenti
• La prima quando l'ambiente è complesso ma i poteri non sono frammentati
• La seconda, quando i poteri sono frammentati e i contesti estremamente
complessi In ogni caso la costruzione di strategie spaziali è necessaria per
guidare lo sviluppo di aree metropolitane e di grandi regioni urbane

157
18.0 Reinventing Cities:
Obiettivo rigenerare delle aree pubbliche, attraverso un
particolare concorso.

Il concorso, organizzato a scala internazionale, prevede


la cessione, e vendita di aree pubbliche a privati.

Diversamente da come è usuale fare non si vede al


miglior offerente, ma si è indetto un concorso di
architettura, ed il miglior progetto vince l’area.

Il progetto sostenuto da C40 e anche da enti privati


come le ferrovie dello stato, è internazionale, Milano è
stata la prima città italiana a prendere parte a questo
progetto.

Reinventing Cities si è sviluppato in due edizioni, la


prima ha preso piede tra il 2017 e il 2019 ed aveva
quattro aree d’interesse progettuale:

• Viale Doria;
• Serio;
• Scuderie de Montel;
• Scalo Greco Breda.

Nella prima fase era prevista la manifestazione


d’interesse da parte dei tema progettuali.

Il tema del Team è qualcosa di molto rilevante per


Reinventing Cities, i Team costituiti da figure con
formazioni differenti sono addirittura premiati.

Alla base del concorso vi è il rispetto di alcune norme


ambientali, come il calcolo della Carbon Footprint.

Il progetto vincitore di Viale Doria prevede la


realizzazione di un ostello che pur avendo dimensioni
ridotte apre verso la città.

Il progetto vincitore per l’area delle scuderie de Montel


è di pari valore architettonico ed ingegneristico,
l’attenta analisi geologica dell’area ha permesso di
scoprire delle fonti termali. Questo insieme alla

158
conservazione del plesso edilizio delle scuderie
costituisce l’idea progettuale vincitrice.

Il progetto per Via Serlio è stato vinto da Carlo Ratti che


ha realizzato in un’area di esigue dimensioni un edificio
per uffici che riesce a coniugare sapientemente spazi
pubblici e spazi privati attraverso una spirale verde che
fende e definisce i volumi architettonici dell’edificio.

Il progetto Vincitore per scalo Greco prevede un


complesso sistema di edilizia residenziale sociale. Il
progetto è molto ambizioso in quanto prevede la
pedonalizzazione di grande aree e quindi il
ripensamento e potenziamento del sistema dei
trasporti pubblici.

Nella seconda Edizione, ancora in svolgimento,


debbono essere presentate le proposte finali, che
vengono scelte tenendo a mente il rispetto dei valori
prima citati.

Nella seconda fase sono state individuate anche altre


aree pubbliche che potessero essere oggetto di questo
progetto internazionale.

Queste sono:

• Piazzale Loreto;
• Bovisa;
• Crescenzago;
• Ex Macello;
• Palazzine Liberty;
• Monti Sabatini.

Nella seconda fase l’attenzione è stata incentrata su


nodi di mobilità pubblica e edilizia residenziale.

Il progetto vincitore per Piazzale Loreto è senz’altro


uno dei più interessanti. L’obiettivo è quello di dare
forma ad una piazza che fino ad oggi si configura come
uno snodo viabilistico su gomma molto congestionato.

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Il risultato prevede la pedonalizzazione di parte dei
percorsi attualmente occupati da macchine per dar
spazio ad una piazza, ed Hub metropolitano.

Il progetto è previsto per il 2030 anno delle olimpiadi


invernali di Cortina.

Anche gli esiti progettuali del nodo Bovisa sono


interessanti. Qui l’obiettivo è quello di ricucire l’area
raggiungendo il ruolo di nodo di mobilità funzionale.

In questa seconda fase però l’area di Monti Sabatini


non ha trovato un progetto vincitore, essendo un’area
molto complessa a sud est di Milano

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