INTRODUZIONE
1.-LA CITTÀ E I SUOI PROBLEMI
CITTA’: è un organismo in continua evoluzione. Dal momento della sua nascita si discute molto
sulla sua evoluzione, ponendo particolare importanza al processo di urbanizzazione e ai vari periodi
storici.
Uno spunto di riflessione importante si può cogliere analizzando l’opera di Kevin Lynch
“L’immagine della città” (1960), che fornisce una panoramica sull’immagine che ogni cittadino ha
della propria e delle altre città.
Per Lynch la città è una costruzione di vasta scala nello spazio, che viene percepita solo dopo
molto tempo, e le cui immagini sono fortemente legate ai ricordi e alle esperienze personali. Con
questa tesi si trova d’accordo anche il MIT, che dimostra come non esista un’immagine collettiva e
condivisa della città.
Questo studio mette in luce anche la difficoltà di creare analogie tra le varie città, e rende quindi
complesso individuare quali pratiche prendere come esempio e quali no.
“Le città invisibili” (Calvino) > è inutile cercare di capire se Zenobia rientri tra le città felici o tra
quelle infelice, perché in realtà la divisione che bisogna operare è un’altra:
1. Città che riescono, nonostante il passare del tempo, a dare forma ai loro desideri;
2. Desideri che riescono a cancellare la città o che sono cancellati. Esiste una città ideale?
ESEMPIO: Bhutan viene riconosciuto come il paese più felice al mondo. Qui, la qualità della vita
non viene misurata tramite il PIL pro capite, ma tramite un nuovo indicatore, il FIL (felicità interna
lorda). Questo indicatore non misura solo la produzione economica, l’impatto ambientale, il livello
culturale die cittadini, ma prende in considerazione aspetti nuovi, come l’uso del tempo, il
benessere psicologico dei cittadini, la cultura, la vitalità della comunità, l’educazione. Collegato a
questo abbiamo anche un altro indicatore > INDICE PLANETARIO DI FELICITA’ > BETTER LIFE
INDEX.
Naturalmente, il desiderio di vivere in una città ideale innesca dei processi di abbandono, con
conseguente decrescita demografica, e di questo le maggiori vittime sono i centri minori, i borghi,
con pochi abitanti e un’età media avanzata. Questo processo prende avvio in particolar modo nel
2° dopoguerra.
Questi fenomeni, però, in piccola parte possono essere contrastati, tramite la “riqualificazione”
delle città, ad esempio sviluppando una nuova immagine legata allo sport, al cinema, al turismo.
Un esempio lampante è quello di alcune regioni facenti parte del parco regionale delle Alpi
Marittime, che dopo molti anni di desolazione hanno vissuto un processo migratorio inverso, di
rientro nella terra d’origine (grazie alla costruzione di nuove infrastrutture, edifici e quant’altro).
La complessità dell’argomento “città” è data dal fatto che essa rientra negli studi di molte discipline
(geografia, antropologia, storia ecc) ed è quindi uno degli argomenti più discussi. Attualmente, il
dibattito si è fatto ancora più intenso a causa del nuovo turismo urbano, che si pone quale
obiettivo quello di valorizzare le aree meno turistiche delle città, le periferie, per cercare di liberare
un po’ i centri storici, molto spesso sofferenti. La città è al centro di ricerche recenti anche per la
sua capacità di resistere alle minacce esterne. L’esempio migliore è quello dei centri commerciali
nelle aree periferiche, che hanno portato a una progressiva desertificazione di centri storici.
La città come organismo ha un suo spirito di sopravvivenza, ed è questo che le permette di
riadattarsi continuamente alle esigenze e trasformazioni nel tempo, facendo fronte ai bisogni del
fruitore (il cittadino) e quindi modificando la propria offerta complessiva di beni e servizi.
Nella progettazione strategica in ambito aziendale, ma anche in quello urbano, si utilizza spesso
l’analisi
SWOT, data dall’esame di:
- Punti di forza (strenghts);
- Punti di debolezza (weaknesses);
- Opportunità (opportunities);
- Minacce (threats).
Tra le ultime, la pandemia da Covid-19 ha influito in modo pesante su tutte le attività urbane. Di
fatto, tutte le città, che già erano state colpite dalla crisi del 2007-2008 (bolla immobiliare), si sono
trovate nel peggiore degli incubi, ovvero il blocco di tutte le attività. Per la prima volta, le nostre
generazioni hanno potuto osservare delle vere e proprie città fantasma, e si sono trovare a vivere
una situazione comparabile a quella di una guerra.
Al contrario, in alcuni contesti, quelli delle smart city, l’organizzazione e la capacità di rispondere in
modo imminente agli imprevisti, ha permesso di mettere subito in modo un sistema comunicazioni
alternativo. Alcune aree delle città sono invece andate incontro a cambiamenti di natura sociale
➔ Gentrification = è un processo che parte da un singolo distretto, e che si espande
rapidamente fino a disperdere la maggior parte dei precedenti abitanti, ottenendo quindi il
cambiamento dell’intero sistema sociale.
Al giorno d’oggi, molte città italiane/europee, stanno subendo processi di gentrification, accentuati
dalla frequentazione di massa di locali notturni.
Gli studiosi si trovano quindi a dover attuare una riflessione circa questi processi, che portano
all’introduzione di nuovi temi, quali l’emarginazione sociale, la frammentazione dei legami col
territorio. Durante questi ultimi due anni, tutto il mondo ha sperimentato una “sospensione” di
legami, riti, pratiche all’interno delle città, che per alcuni si è rivelato un momento di cui approfittare
per NON incontrare gli altri, mentre per molti altri è stato un vero e proprio incubo.
➔ Si parla di pandemia di solitudine (N. Hertz), con casi di alienazione che hanno alimentato
fenomeni di depressione e disconnessione dalla realtà.
2.-STUDI DI CITTA’
La gentrification potrebbe anche essere avviata da processi di miglioramento ambientale, dalla
diffusione di soluzioni ecologiche. Da qui nasce il paradigma “Nature Based Solutions”, per
contrastare la degenerazione urbana, l’invecchiamento delle strutture, ma anche il cambiamento
climatico, grazie ad azioni sulla natura stessa che poi verranno tradotte in vere e proprie politiche
territoriali.
Purtroppo, però, questo fenomeno non fa altro che alimentare le diseguaglianze sociali, portando
alla green gentrification, per cui il naturale aumento dei costi delle aree rigenerate spinge coloro
con un reddito più basso a spostarsi verso altri luoghi.
➔ La città passa da essere un luogo inclusivo ad uno escludente.
A Torino, questo processo ha avuto inizio negli anni ’90, con il quartiere San Salvario e il
Quadrilatero Romano, anni in cui la città ha cercato di crearsi una nuova identità dopo il periodo
fordista, anche se ancora molte zone devono continuare questo processo.
Nella maggior parte delle città, ovviamente, esiste un’identità di quartiere, data da aspetti come
l’organizzazione degli spazi, dai rilievi socio-economici, dall’istruzione, dal livello del reddito. Le
identità dello stesso quartiere possono essere anche differenti, perché sono date da punti di vista
diversi, riferibili ai diversi fruitori, e persino all’interno degli stessi gruppi possono emergere
differenze.
➔ Concetto d’identità: è legato a quello di senso del luogo, introdotto dal geografo Tuan nel
’91. Secondo la sua visione, il compito del geografo è quello di studiare e capire l’origine e
l’evoluzione di un luogo.
Umberto Colombero, ad esempio, studia il caso della dieta nordica di Copenaghen, e l’utilizzo di
pratiche quasi del tutto scomparse, come il foraging > pratica di “andar per campi a cercar ebre
spontanee”.
Quest’idea fa parte di un progetto più ampio, ovvero la New Nordic Diet, che mira a cambiare la
visione della capitale danese, molto speso connotata da stereotipi.
Se le relazioni umane che tengono in vita una città si affievoliscono, con il tempo essa perde tutte le
sue funzioni urbane e va a morire. Non scompare fisicamente, ma rimane in qualche modo
cristallizzata durante i secoli.
Inoltre esistono città che nel corso del tempo hanno subito fasi di declino importante, e che sono
state in grado di rialzarsi nel migliore dei modi: sono le cosiddette “città fenice”, come Catania, la cui
porta Ferdinandea della città riporta l’iscrizione “Melior del cinere surgo” (rinasco migliore dalle
ceneri). Catania è stata varie volte minacciata dalle eruzioni vulcaniche dell’Etna e distrutta dai
terremoti.
Una città fenice è anche Safed, città santa per l’ebraismo assieme a Gerusalemme, Hebron e
Tiberiade.
Grazie a tutti questi esempi, possiamo renderci conto di come le città seguano un ciclo di vita:
nascono, si sviluppano e possono anche avere una fine. Un fattore importante per lo sviluppo delle
città è sicuramente l’andamento demografico, che può anche essere deleterio. Difatti’ un’eccessiva
densità demografica può portare alla nascita di conflitti interni a causa della mancanza di risorse
adeguate, dello sfruttamento eccessivo e dell’accentuazione delle differenze sociali. Ed è proprio
questo che può poi condurre a ondate migratorie.
La geografia ha cercato di studiare in astratto gli aspetti volti a spiegare gli insediamenti urbani e le
relazioni fra città, attraverso aree di attrazione delle diverse funzioni. Un approccio diverso
comincerà a farsi strada solo con la svolta della geografia “umanistica”, che farà precipitare le
percezioni, le emozioni, il senso di appartenenza, nel cuore del discorso. Questo approccio troverà il
suo sviluppo negli studi di Yi-fu Tuan. Come afferma De Spuches
➔ Quest’ottica mostra come la città non sia solamente composta da artefatti materiali, ma
assuma l’immagine delle ideologie, valori, forme di potere che circolano al suo interno. Per
comprendere il significato delle città, quindi, dobbiamo sempre confrontarci con il contesto
culturale nel quale sono inserite.
➔ Da qui l’attenzione alla gentrification (movimento di popolazione che si concentra nei
quartieri centrali e storici, con la messa in atto di piani di rigenerazione urbana), alle gated
communities (aree residenziali limitate da recinzioni), agli spazi etnici, al paesaggio urbani.
Grazie a questi studi, gli amministratori stanno cercando di creare condizioni di vita migliori,
mettendo in atto politiche mirate al benessere degli abitanti (ad esempio riconversioni di aree
industriali dismesse, riprogettazione di aree abbandonate). Sono diversi anni che vengono anche
commissionati indagini volte a misurare la felicità degli abitanti dei diversi paesi e il livello di vivibilità
delle città. Purtroppo però, non sempre le metamorfosi urbane inducono il benessere in tutti gli
abitanti, a volte questi processi altro non fanno che aumentare le disuguaglianze.
Tuttavia, come ben sappiamo, la ricerca della città ideale ha origini antiche e ci riporta indietro nel
tempo.
1- SPOPOLAMENTO IN MONTAGNA
La regione alpina ha conosciuto spesso modifiche di densità demografica in relazione a fattori e
cause politiche, religiose, psicologiche ed economiche diverse. Dal 19 sec le zone più colpite sono i
territori montani dell’Europa centro-meridionale, con modalità e tempi diversi a seconda delle zone.
Le Alpi italiane vengono interessate da questo fenomeno prima della prima guerra mondiale anche
se non in maniera eccessiva rispetto ad esempio alle Alpi francesi. Intorno al 1928 vengono messe in
atto delle iniziative per indagare dal punto di vista geografico e tecnico-economico l’estensione, le
cause ed i possibili rimedi del
fenomeno dello spopolamento delle zone montane in Italia. Un inchiesta fatta nelle zone interessate
a rivelato che alcune cause che hanno determinato la rarefazione demografica delle zone di
montagna:
• mancanza di strade,
• pesantezza dei tributi,
• disordini idraulici,
• politica vincolistica dei boschi,
• cattive condizioni edilizie,
• polverizzazione della proprietà
Il divario esisteva anche prima dell’800 se pur con tono minore. Quali possono essere i rimedi?
Obiettivo primario: far sì che il montanaro trovi la convenienza, economica, psicologica e
culturale, a non abbandonare i suoi monti
Necessario trasformare e innalzare il livello e la qualità della vita rurale alpina
Mezzi principali proposti:
o agevolazioni fiscali
o bonifica integrale, specializzando il territorio con coltivazioni e
prodotti vincenti
o amministratori onesti e competenti
o miglioramenti infrastrutturali
o incentivi per l’istallazione di piccole industrie a tipo artigianale
o connesse con le produzioni locali
o industria del “villeggiante”
3- GRANDI CONFLITTI
Il 900 inizia con la guerra italo-turca e con la seduzione del nuovo continente, mentre chi resta è
costretto a lottare con il razionamento alimentare, il caro viveri e la disperazione. La vita ad
Entracque, durante la prima guerra mondiale, trascorre come in tutte le altre città italiane, eccezion
fatta per le città prossime ai luoghi di combattimento, risentono soprattutto delle ricadute
economiche del conflitto. Il paese dopo un periodo di crescita demografica conosce una fase di
impoverimento sia demografico che zootecnico , nonostante avessero caratterizzato la struttura
economica e sociale per secoli. Quali possono essere le soluzioni per frenare lo spopolamento?
- Riforma della proprietà per impedire altri frazionamenti
- Miglioramenti a stalle ed abitazioni
- Si migliora la viabilità montana attraverso la costruzione di strade carreggiabili
- Si razionalizzano i metodi di agricoltura
- Costruzione di alberghi e piste per una meta di turismo invernale .
4 – LA LIBERAZIONE
La Liberazione crea euforia ma allo stesso tempo la ripresa è durissima. Occorre ricostruire tutto
dalle abitazioni stesse alla vita stessa delle popolazioni.
5.1 – TORINO
Torino diventa una delle città emblema della ricostruzione e dello sviluppo dell’immediato
dopoguerra e rientra nel cosiddetto TRIANGOLO INDUSTRIALE insieme a Milano e Genova. Si
trasforma così da piccola città di provincia, anche nelle dinamiche interrelazionali, a grande città
industriale.
Fa fronte a:
Rapido incremento dei residenti problematiche infrastrutturali e logistiche collaterali:
disponibilità, inadeguata alle esigenze, di alloggi e posti letto e di servizi atti a soddisfare le
necessità degli abitanti
Quartieri di case popolari nelle periferie (le "barriere")
Trasporti: rete in crescita, ma in ritardo rispetto alle esigenze
Servizi alimentari:
o GDO – primo punto vendita della Grande Distribuzione Organizzata nel 1959
o Negozi di vicinato: latteria, panetteria, salumeria, macelleria, verduriere
Latteria:
o un negozio frequentato giornalmente
o uno dei punti di contatto nel quartiere, per scambi di
opinioni, informazioni ed il gossip del tempo
6 – CONCLUSIONI
Gli abitanti della montagna, dalla montagna sono scesi in città per ricercare migliori condizioni di
vita.
Non avevano organizzazioni per agevolare gli spostamenti e gli inserimenti: spesso la migrazione era
frutto di scelte personali indipendenti, al massimo a seguito di "sentito dire ".
Nel tempo si sono integrati e sono diventati parte del tessuto attivo della città.
Seconde e successive generazioni si verifica un meccanismo migratorio di ritorno: la diffusa
volontà di risalire la strada percorsa in discesa e ritornare nelle terre alte, adesso maggiormente
vivibili.
La montagna è cambiata: offre opportunità per le nuove generazioni, permette di cercare modelli di
vita innovativi e sostenibili, si propone come buen retiro per montanari di ritorno o villeggianti
stanziali.
2- LA CITTA’ E IL TURISMO
Lo studioso Patrick Brouder ha equiparato la pandemia al reset avuto dopo gli attacchi terroristici del
2001 e alla crisi economica del 2008. Prendendo in considerazione il settore del turismo possiamo
dire che la pandemia ha dato la possibilità di valutare il grado di dinamismo, creatività e resilienza di
alcuni contesti urbani. In questo senso Klaus Kunzmann ha affermato che questa nuova competenza
digitale ha portato all’aumento delle prenotazioni digitali dei viaggi e delle strutture ricettive, e di
conseguenza, per creare un ulteriore passo in avanti nella società gli operatori e professionisti
devono creare una collaborazione con gli studiosi, questo perché il settore turistico rappresenta uno
dei settori chiave dell’economia mondiale.
La pandemia ha confermato ancora di più il fatto che viviamo in uno spazio fisico che è allo stesso
tempo virtuale. Negli ultimi anni occorre però dire che il gap tra la percezione di una città e la sua
reale consistenza si sia assottigliato grazie alle nuove modalità informatiche come le recensioni, le
webcam ad alta risoluzione ecc.
4- CONCLUSIONI
La pandemia ha dato la possibilità ad alcune città di dimostrare il grado di competitività raggiunto e
di diventare un modello di riferimento. Firenze è l’esempio di capacità nei contesti ad alto livello
tecnologico e di competenze di superare brillantemente alcune situazioni critiche, collaborando con
altre strutture a sviluppare e trarre beneficio dai nuovi canali multimediali.
1-INTRODUZIONE
Lo spazio nel quale abitualmente viviamo e muoviamo i nostri passi quali “attori sociali” è sembrato
(fino alla diffusione del Covid-19 almeno) un qualcosa di scontato.
Lo spazio abitato è anche quello della memoria individuale e collettiva, all’interno del quale si
sovrappongono diverse appartenenze identitarie, soggettività diverse che definiscono e strutturano
paesaggi culturali.
Al senso di appartenenza ai luoghi può essere data una duplice lettura:
1. Un luogo può appartenerti
2. Tu puoi appartenere a un luogo.
Il senso di appartenenza è fatto in larga misura da memoria
➢ Per appartenere a un luogo devi legargli la memoria; per legare le tue memorie a un luogo
devi viverci esperienze memorabili.
È strano, però, che molto spesso le persone non riescano a distinguere tra ciò che è ordinario e ciò
che è straordinario, trasformando tutto in esperienza. Così troviamo persone che vivono in
condizioni di totale ordinarietà che trovano un forte senso di appartenenza.
Quello che realmente conta è l’intensità dei ricordi.
Il patrimonio identitario contribuisce a definire e riconoscere i segni impressi dalle vicende umane
sullo spazio del vissuto. Il rapporto tra memoria collettiva e identità comprende 3 fattori
fondamentali:
➔ Uno in particolare è un preciso riferimento spazio-temporale in cui oggetti, persone e
luoghi si relazionano tali da diventare elementi essenziali dello spazio e del tempo.
La memoria per poter essere tramandata e continuare ad esistere ha bisogno non solo di riferimenti
concreti, ma anche di supporti che rendono visibili quei legami nascosti.
2. LA CITTÀ SOSPESA
La città è un nodo di relazioni all’interno delle società e dello spazio che queste occupano > uno
spazio umano, che viene modellato e interpretato. Uno spazio di cui ciascun individuo, gruppo,
classe, dispone concretamente in una società, ne riflette il prestigio.
Si può affermare quindi che lo spazio si definisce in rapporto agli esseri umani che lo usano, che si
muovono al suo interno, che lo percorrono e lo dominano.
Già Evans-Pritchard sottolineava che, se è incontestabile che lo spazio è determinato dall’ambiente
fisico, ecco poi incorpora valori e dipende da principi strutturali. Non c’è dubbio che l’uso dello
spazio è strumentale ed espressivo. Interiorizzando l’ordine spaziale che il proprio gruppo di
appartenenza ha storicamente costruito, l’individuo interiorizza l’ordine sociale che ordinerà la sua
vita psichica e sociale.
I cambiamenti strutturali non hanno mai messo in discussione i caratteri fondanti della città, a partire
dalla centralità degli spazi. Tutto questo perché osservandone gli usi sociali è possibile cogliere gli
elementi identitari della città, le sue economie, il grado di attrattività.
Il concetto di spazi urbani quali veri e propri contenitori di idee, iniziative, risale ai primi decenni del
‘900 (1938), nello specifico con le riflessioni di Wirth che riesce ad evidenziare come solo le città
fossero in grado di produrre distinti mondi sociali.
Però, l’emergenza sanitaria per la diffusione del Covid-19 ha messo in crisi in poche settimane i
caratteri fondanti delle nostre città, a partire dai suoi spazi collettivi, adottando misure restrittive per
contenere il rischio di contagio, tra cui in primis l’inibizione della fruizione degli spazi pubblici e il
distanziamento fisico
➢ Annullamento di gran parte delle interazioni sociali. A livello pratico questo ha significato
mettere in lockdown circa 1/3 della popolazione mondiale.
➢ Da un punto di vista della sociologia urbana e territoriale tale evento ha condotto ad una
vera e propria SOSPENSIONE della città, concetto che può essere applicato in una
molteplicità di contesti, a cominciare dalla vita organizzata secondo fasi di attività diverse.
“Sospensione”: normalmente è un termine che fa riferimento ai momenti di stacco dal lavoro
(weekend o ferie), quando ci si può dedicare alla famiglia. Per la società, la sospensione periodica del
lavoro riveste tendenzialmente il carattere di svago e lo svago è distanziamento fisico e mentale da
tutti i problemi.
Ancora oggi, però, in molte società i momenti di sospensione non equivalgono allo svago. Pensiamo
ad esempio ai rituali di “iniziazione”, diffusi nelle società extra europee.
➔ Ciò che fa da collegamento è il comune carattere di “liminarità” > le città e i suoi cittadini si
trovano in una condizione liminare sotto il profilo spaziale, temporale e occupazionale. La
liminarità dei rituali di iniziazione è spesso privazione, sofferenza, esperienza di dolore.
Abitare (dal latino) significa vivere, occupare uno spazio determinato nel quale è possibile rilevare
tracce di un vivere permanente che sopravvive nella memoria di chi resta, nei luoghi, nella storia,
gettando le basi del senso di appartenenza e della creazione di identità collettive. Queste ultime
generano luoghi di memoria che assumono una dimensione spaziale e temporale in riferimento sia a
punti reali dello spazio, sia a rappresentazioni, perché investiti di un significato evocativo di
appartenenza.
Riflettendo suk pensiero di antropologi come Lévi-Strauss, De Martino e Bourdieu ci ricordiamo
come sia proprio il modo in cui abitiamo a plasmare il modo in cui viviamo il mondo, ecco perché
l’esperienza che il Covid-19 ci ha fatto vivere è importante, perché se i processi con cui plasmiamo
noi stessi sono influenzati dal modo in cui abitiamo lo spazio, una variazione di questo ci orienta
verso un diverso modo di dare forma alla nostra umanità.
Noi siamo passati da una molteplicità e libertà di accesso ai vari spazi a doverci limitare a spazi
riservati alla nostra sopravvivenza biologica. Siamo passati dalla relazione con i paesaggi condivisi al
ritiro nello spazio privato. Questo ritiro però, non è una libera scelta di eremitaggio.
Ci siamo ritrovati in case che non sapevamo più come abitare, indossando la giacca e la cravatta da
ufficio per rimanere in camera da letto o in salotto. La dimensione spaziale si configura anche nei
modi con cui viviamo le relazioni, nella distanza interpersonale. Viviamo una sospensione di quelle
che il sociologo canadese Goffman individua come “rituali di deferenza e contegno”
➢ Sono basati su scambi fisici in presenza, in ambienti predisposti, dove la fisicità è essenziale.
Ci siamo dovuti reinventare questa dimensione rituale che serve a riconoscere la sacralità dell’altro,
traducendola in quello che è lo smart working, dove i diversi ruoli che viviamo si trovano sovrapposti
nell’ambiente domestico. Nel telelavoro non è possibile esprimere la vicinanza consueta tramite
strette di mano, abbracci.
Ci siamo ritrovati quindi alle prese con una riorganizzazione collettiva dello spazio sociale.
5- CONCLUSIONE
Borgo Filadelfia è allo stesso tempo quartiere granata e quartiere studentesco, o meglio ancora poli-
identitario, qualsiasi tipo di soluzione si trova ancora in una fase iniziale nel senso che nessuna
prevale sulle altre tanto da creare un imprinting identitario così forte.
Copenhagen è la capitale della Danimarca, sorge su un territorio pianeggiante sulle isole di Zealand
e Amager. Il clima tipico è oceanico, le precipitazioni non sono abbondanti, ma ben distribuite.
Estate 2001: Copenhagen e la città di Malmö sono collegate da un ponte, e il risultato è che la città
danese è diventato il centro di una vasta area metropolitana tra Danimarca e Svezia.
Essa è stata classificata come la città più felice d’Europa.
Tradizionalmente, alla base della cucina danese ci sono il maiale, le patate, i formaggi, latticini. Sono
molto noti il morbradboffer (maiale fritto nel burro con salsa di panna), le frikadeller (polpette di
carne di maiale, latte, uova, cipolla e farina).
Copenhagen era ed è tutt’ora nota per i suoi rod polse, panini a base di salsiccia rossa che venivano
venduti soprattutto nei food truck introdotti in città nel 1920.
In altre parole, la dieta era tutto il contrario di quello che, a partire dal 2004, diventeranno vere e
proprie regole d’ordine: stagionalità, freschezza, benessere degli animali, giuste contaminazioni ecc.
Ovviamente, la New Nordic Diet è passata dall’astratto al concreto entrando nella cucina del
ristorante Noma, per poi espandersi fino a conquistare anche gli scaffali dei supermercati delle città
che proponevano, fino ad allora, quasi esclusivamente prodotti d’importazione.
Oltre al Noma, nel corso del tempo altri ristoranti si sono appropriati di questa tradizione, ad esempio
il Kadeau, la cui cucina si basa tipicamente sui prodotti dell’isola di Bornholm. Qui, troviamo l’utilizzo
di cavolo rapa, ribes nero, abete, granchio reale e il formaggio Havgus, il tutto in un ambiente
ristorativo elegante ma minimal.
Un altro locale è Radio. Anche questo, come il Noma, viene aperto grazie all’aiuto dell’imprenditore
Meyer. Il giovane chef di Radio pone grande attenzione al cibo biologico e prettamente nordico,
tanto che si procura le sue verdure direttamente da due ettari di terreno situati poco fuori la capitale.
Lo chef ama definire il Radio come un locale che serve “Food made from scratch”, ossia pietanze
create tentando di scartare e gettare il meno possibile di ogni prodotto, riutilizzando tutto ciò che è
possibile.
Come tutti i progetti emergenti, anche la New Nordic Diet ha ricevuto delle critiche, soprattutto
rivolte a Meyer e ai cuochi firmatari del manifesto, affermando che per essere davvero nordici
avrebbero dovuto servire baby balene e altri animali in via d’estinzione. Sappiamo però, che partire
da zero è sempre difficile, tanto da sembrare impossibile.
Ovviamente lo scopo era quello di creare una dieta salutare basata sui prodotti agricoli, unendo
agricoltori e piccole aziende per definire un nuovo modo di pensare la cucina nordica, che non fosse
elitario, ma che entrasse nella cita quotidiana delle persone.
Ad oggi, nei vari supermercati sono presenti prodotti come il cavolo, la segale, le ortiche e altre erbe
selvatiche del territorio danese.
➢ Si tratta di riscoprire il proprio territorio, ciò che di buono e salutare possono offrire
Copenhagen e la Danimarca, al fine di mantenere uno stile di vita sano, potenziando al
contempo benessere e gusto.
5. CONCLUSIONI
Abbiamo provato a scoprire un altro aspetto che caratterizza la citta: il CORAGGIO DEL
CAMBIAMENTO. Un cambiamento che la Danimarca non ha avuto timore ad affidare al figlio di un
immigrato musulmano che ha sposato una ragazza ebrea (che collabora con lui).
La creazione e lo sviluppo della New Nordic Diet sono stati passi coraggiosi, si è avuto a che fare con
innovazione ed esperimento, riuscendo a ricreare da zero il modo di pensare il cibo. E questo anche
arrivando ad utilizzare elementi che fino a quel momento non erano stati considerati:
➔ la riscoperta di un territorio che ha dovuto confrontarsi con una memoria perduta è stata la
chiave del successo.
È così che Copenhagen, da città ai margini della ristorazione di livello, è riuscita a reinventarsi. Prima
di questo, il contatto tra agricoltori e cuochi era quasi nullo. Ed è stata proprio la coesione tra cucina,
agricoltori, produttori e foraging che ha trasformato Copenhagen, facendola diventare competitiva e
sostenibile.
La New Nordic Diet è andata nella giusta direzione dimostrando di saper essere esempio di
educazione alimentare, ma anche cultura e tutela dell’agricoltura locale.
La tarda età del Bronzo (epoca in cui, secondo la Bibbia, si sarebbe verificato il crollo delle mura ad
opera di Giosuè) si caratterizza invece per la mancanza di rinvenimenti nella zona. La totale assenza di
resti relativi alle fortificazioni cittadine del periodo, non solo non consente di stabilire la veridicità dei
fatti biblici relativi ad esse, ma rafforza l’ipotesi secondo la quale “gli israeliti non immigrarono a
Canaan, né la conquistarono, ma emersero dal suo interno”. Gli scavi hanno tuttavia portato alla luce
la possibile origine della leggenda biblica circa il crollo delle mura al suono della tromba di Giosuè,
infatti le mura di Gerico, costruite secoli più tardi, sono state distrutte almeno 17 volte a causa di
guerre e terremoti. Il rinvenimento di ceramiche, luoghi di sepoltura, documenti e mikva’ot (bagni
rituali) ha comunque permesso di ricostruire in modo molto dettagliato le usanze ebraiche dell’epoca.
Con la caduta di Babilonia (539 a.C.), si inaugura il periodo persiano guidato dall’imperatore Ciro.
Durante questo periodo l’antico sito collinare venne progressivamente abbandonato, per far fronte al
crescente sviluppo urbano e gli insediamenti umani si spostarono lentamente nella zona ove
attualmente sorge il centro urbano. È proprio in questo periodo che il prestigio della città crebbe:
Gerico ricoprì lentamente il ruolo di “resort invernale per nobili e ricchi palestinesi”.
Sul finire dell’epoca romana la città di Gerico subì ulteriori modifiche, fino a raggiungere, nel periodo
bizantino (324-363 d.C) l’assetto urbano che ancora oggi la contraddistingue. Racchiusa da solide
mura e attorniata da folti palmeti, essa iniziò ad essere chiamata la “città delle palme”.
La storia della Gerico medievale è caratterizzata da un’economia florida, legata al suo ruolo leader
nella coltivazione, nella raffinazione e nel commercio della canna da zucchero. I resti di tre zuccherifici
crociati (uno quasi intatto) sono ancora ben visibili nell’area.
Il successivo periodo Ottomano (1516-1918) è tradizionalmente considerato come un lasso temporale
prosperoso per la città. Annessa al distretto di Al-Quds (Gerusalemme), essa era soggetta ad ingenti
tassazioni proprio in virtù della sua fiorente attività agricola e commerciale, come riportato da
numerosi scritti contabili e notarili dell’epoca. Questo porterà al progressivo abbandono dell’area di
Gerico, nonostante la fertilità dei terreni e la disponibilità di risorse .
2- LE ORIGINI E IL MISTICISMO
La tradizione narra che fu fondata da Sem, uno dei figli di Noè, dopo il diluvio universale. Secondo il
talmud di Gerusalemme è uno dei luoghi in cui durante il periodo del secondo tempio venivano
accesi i fuochi per annunciare l’inizio delle festività o una nuova luna. A seguito dell’Inquisizione
spagnola gli ebrei che non si convertirono furono costretti a lasciare la città e molti scelsero proprio
Safed. Era considerata la città con il più alto tasso di misticismo per la sua vicinanza a Dio. La città fu
anche devastata dai terremoti che ne provocarono la morte di metà della popolazione e così
scomparve la città vecchia. La città venne ricostruita più a est ed in una posizione più elevata.
Oggetto di scontri anche dopo la prima guerra mondiale, fu invasa dagli arabi nonostante i raporti
fino a quel momento tra arabi ed ebrei erano molto tranquilli.
2. I TERRITORI PALESTINESI
I territori palestinesi sono costituiti da due aree distinte:
1. Cisgiordania;
2. Striscia di Gaza.
Gli abitanti ammontano a poco più di 5mln 200mila, e la loro ampiezza è la stessa della città di
Torino, ma con il doppio degli abitanti > piccolo paese caratterizzato da una rapida crescita
demografica, il che determina un forte stress e una difficoltà maggiore nella creazione di sufficienti
posti di lavoro, infrastrutture ecc.
La popolazione è prevalentemente insediata in piccoli centri vicini alla costa mediterranea e nei
villaggi sull’altopiano, zona con una piovosità media, e dunque con un più alto potenziale di
produttività agricola. L’insediamento urbano vero e proprio riguarda solo pochi centri:
1. Gerusalemme Est;
2. Nablus;
3. Hebron;
4. Gerico;
5. Gaza.
1967: completa libertà di movimento fra territori e Israele, difatti moltissimi lavoratori avevano scelto
di lasciare i campi per andare a lavorare in Israele, ritenendolo più redditizio.
Secondo una ricerca, al momento della nascita dei territori, la forza lavoro complessiva era di 500mila
persone, ma cresceva a un tasso di 30mila unità all’anno. L’emigrazione di lavoratori palestinesi
verso stati petroliferi era cessata verso la metà degli anni ’80, mentre le scelte politiche della dirigenza
palestinese nella prima guerra del Golfo avevano causato l’espulsione di 250 mila palestinesi dal
Kuwait, causando un innalzamento di disoccupazione nei territori.
La società palestinese soffre particolarmente a causa della mancanza di sovranità, libertà e
indipendenza: la leadership attuale pare non riuscire a districarsi tra i tanti problemi che affliggono i
territori.
Lo stesso contesto economico è al collasso e l’economia palestinese continua a dipende in larga
misura dagli aiuti esteri e da Israele, il quale negli ultimi anni ha reso difficoltoso il commercio tra i
due Paesi gravandolo di un complesso sistema di permessi, tasse, controlli che hanno finito col
limitare la circolazione di beni e persone. Inoltre, la frammentazione geografica tra la Cisgiordania e
Gaza, come le chiusure all’indomani di ogni attentato, creano notevoli problemi e finiscono con
l’aumentare i costi di trasporto e produzione portando a un declino delle attività economiche.
È evidente che la mancanza di indipendenza sia il problema maggiore: molti aiuti non sembrano
essere utilizzati secondo finalità costruttive e pacifiche, ma è proprio l’assenza di pace a impedire il
raggiungimento dell’indipendenza e a creare continui scontri
➢ Tutto ciò ha portato al declino della capacità del popolo palestinese di soddisfare i bisogni
primari e ogni possibile crescita economica e indipendente viene preclusa.
PROBLEMA IDRICO: è dal 2010 che non si è più potuta riunire la Commissione per la gestione
dell’acqua (a causa del rifiuto palestinese), un ente che era stato previsto dagli accordi di Oslo del
1995 per la gestione delle infrastrutture idriche in Cisgiordania.
Da allora l’autorità palestinese e il governo di Hamas si rifiutano di collaborare con Israele. In
particolare, gaza fa affidamento alla sua falda acquifera, la cui portata è sempre più scarsa e la cui
qualità è peggiorata nel corso del tempo.
Le strutture idriche palestinesi non sono sufficienti per soddisfare le esigenze della popolazione, con
conseguente scarsità d’acqua in alcune zone.
Nonostante Israele avesse approvato l’invio aggiuntivo di 10 milioni di metri cubi d’acqua a Gaza e 6
mln in Cisgiordania, il problema non era stato risolto e l’assenza di dialogo tra le parti sta sortendo un
effetto drammatico per la popolazione palestinese.
Nonostante ciò la Israeli Water Authority ha commissionato un piano pluriennale con l’obiettivo di
sistemare le infrastrutture idriche a beneficio di tutta la popolazione che vive in Cisgiordania.
A partir da Giugno 2019 ha avuto inizio la costruzione di un grande impianto di desalinizzazione in
grado di rendere potabile 55 mln di metri cubi d’acqua alla Striscia di Gaza e di migliorare il sistema
di gestione delle acque.
Per quanto riguarda lo sviluppo urbano è da notare che tradizionalmente la maggior parte della
popolazione palestinese viveva in piccole città/villaggi; essi erano circondati da terreni di proprietà di
agricoltori.
Durante il periodo di dominio giordano la popolazione è notevolmente aumentata, ma la situazione è
mutata a seguito della Guerra dei Sei Giorni del giugno 1967.
Al momento dell’occupazione israeliana, né la città né i villaggi della Cisgiordania e neppure quelli di
Gaza avevano piani strutturali approvati. Di conseguenza è stato semplice avere mano libera nel
controllo dell’uso del suolo.
1971: a partire da qui, con l’emissione dell’ordine militare n° 418 vengono gettate le basi per la
pianificazione secondo le regole dell’autorità militare israeliana.
Questo decreto si è trasformato in un efficiente meccanismo volto a limitare la crescita urbana
palestinese, limitando l’edilizia, rifiutando i permessi di costruzione e riducendo il terreno destinato a
progetti industriali ed economici.
Bassem Eid è un’attivista palestinese per i diritti umani che ha ipotizzato un piano di pace che muove
le proprie mosse partendo dal presente.
➢ Peace Vision è un documento che interpreta “da dentro” i contrastanti sentimenti della
popolazione palestinese ed è riassumibile nell’idea che NON si possa tornare alla trattativa
riesumando le posizioni del passato.
La sua proposta è quella di creare una confederazione, la Grande Palestina, che possa racchiudere al
suo interno 3 Stati sovrani e indipendenti: Israele, Palestina, e Striscia di Gaza, col riconoscimento di
Israele quale Stato ebraico. L’unico esercito sarebbe quello d’Israele. Gerusalemme diventerebbe la
capitale della confederazione e resterebbe anche capitale d’Israele, la parte Est verrebbe riconosciuta
invece come capitale della Palestina, mentre Gaza come capitale della Striscia.
Le autorità Palestinese e Hamas sono ormai difficilmente riconosciute come rappresentative e
credibili, pensiamo solo al fatto che le ultime elezioni si svolsero nel 2006.
Intanto, la pace ha cominciato a muovere i suoi passi attraverso gli “Accordi di Abramo”, verso un
futuro sostenibile in Medioriente.
Gli scontri avvenuti a maggio 2021, in seguito all’ipotesi di sfratto di alcune famiglia del quartiere
Sheikh Jarrah di Gerusalemme est non sembrano andare verso la giusta direzione.