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RESTAURO SCIENTIFICO

Dopo il restauro storico e filologico di Boito.

Gustavo Giovannoni e il restauro scientifico

Due episodi concludono la parabola del XIX sec. Per l’architettura italiana:
LA PATRIA DI PIETRA
Il Vittoriano: Il più grande monumento nazionale, inaugurato in occasione
del 50°dell’Unità d’Italia, celebrava Vittorio Emanuele II ,“Il re galantuomo”
morto il 9 gennaio 1878.
La prima proposta di legge per erigere un monumento nazionale a Vittorio
Emanuele II venne approvata già nel 1878: l’iter venne seguito dall’allora
ministro dell’Interno, il bresciano Giuseppe Zanardelli.
Vennero banditi due concorsi di idee per la scelta del progetto: il primo,
nel 1880, alimentò le proposte più bizzarre e stravaganti.
(Episodio spartiacque: costruzione del vittoriano, un grande monumento per Vittorio Emanuele II il re che
aveva costruito l’Italia unita, realizzato verso la fine dell’800.
Si decide con uno strumento di legge di ereggere questo monumento, primo concorso internazionale per
raccogliere le proposte per il monumento, momento che attiva un’attenzione enorme. Vince il concorso un
progetto di un architetto francese che propone una grande piazza di ispirazione francese con un colonna
celebrativa, 4 fontane ed un’esedra, polemiche per la scelta di un architetto francese per il simbolo del re
d’Italia. Il luogo non era opportuno per la proposta e quindi viene scartato.)

Il secondo, nel 1882, si conclude con la scelta del progetto del conte
Giuseppe Sacconi (1854-1905).
Il progetto dovette misurarsi con grossi problemi di natura statica,
costruttiva, architettonica, e subì numerosi rimaneggiamenti, il più
importante dei quali venne approvato il 4 giugno 1890.
La storia dell’Altare della patria è indissolubilmente legata a Brescia, e in
particolare ai comuni di Botticino e Mazzano, sede delle cave da cui venne
estratto il marmo utilizzato per il monumento, e di Rezzato sede delle
imprese che fornirono al governo italiano il materiale lapideo.
(Seconda fase di concorso con localizzazione del luogo con monumento gradonato sul fianco del colle vinto
da Giuseppe Sacconi 8italiano) che propone una costruzione impostata su una successione di terrazzamenti
che recupera l’idea dell’acropoli d’Atene con una monumentalità esagerata del monumento stesso. Il
progetto viene approvato nel 1890 ed iniziano i lavori.)

Il progetto deve confrontarsi con Colosseo, San Pietro.


Si effettuano enormi demolizioni per posizionare sul fianco del colle il
monumento ma anche attorno per allargare la piazza.

Tutto ciò dilatò i tempi di realizzazione e i costi del monumento, che finì per
costare 30 milioni di lire rispetto ai 9 inizialmente previsti.
Dopo la Roma degli imperatori e la Roma dei papi, la terza Roma –la capitale
del nuovo stato unitario –ha trovato nel Vittoriano il monumento-simbolo
capace di eguagliare, per ambizione e dimensioni, il Colosseo e San Pietro.
CROLLO DEL CAMPANILE DI SAN MARCO
Prevedibile per le fessurazioni visibili crolla nel 1902.
Ricostruito Com’era e dov’era

«Perciò è nostra certezza che il campanile debba risorgere com'era e dov’era»


Luigi Sugana, Gli artisti di Venezia per la riedificazione del campanile, La Stampa 22/07/1902

In realtà il campanile non venne ricostruito com’era dov’era:


Beltrami vi apporta tre importanti modifiche:
- Materia: i mattoni sono nuovi e la malta a base di cemento;
- Forma: il campanile viene rastremato per renderlo più snello;
- Struttura: la cella campanaria è realizzata con struttura in cemento armato
(Beltrami insieme a Gaetano moretti. Ricostruzione di emotività della città. Si utilizzano mattoni nuovi ì,
non riutilizzati. Utilizzata con malta di cemento per aumentarne la resistenza (al posto di malta di calce),
realizzata con una forma rastremata per un maggior equilibrio strutturale e la parte sommitale della
cuspide realizzata in cemento armato per essere + resistente e + snella.)

MONUMENTI E AMBIENTE elementi di novità del secolo

Apporti innovativi a inizio secolo


- Nuova definizione di monumento, inteso non più come edificio eccellente per dimensioni o qualità
storico-artistiche, ma come “qualunque costruzione del passato, anche modesta (…) che abbia valore d’arte
e di storica testimonianza”, ivi comprendendo “le condizioni esterne costituenti l’ambiente” naturale o
urbanistico
(oggi qualunque testimonianza avente valore per la città)
- L’ambiente (ambiente dei monumenti) viene ad essere considerato, almeno concettualmente, inscindibile
dall’episodio emergente del quale costituisce la ‘cornice’, e viene ad essere poi apprezzato anche per i suoi
specifici valori (monumento d’ambiente), e non soltanto per la sua connessione con i singoli prodotti
architettonici eccezionali e più rappresentativi
(ambiente come cornice dei monumenti, cornice in cui viene inserito il monumento, 2° legge di tutela del
39 che inizia a parlare di beni paesaggistici, estensione della tutela.)

Figura che incarna questo periodo:


Gustavo Giovannoni, (1873 -1947),
Si laurea in ingegneria nel 1895 alla Scuola di applicazioni di Roma.
A modificare un profilo formativo inizialmente tagliato su quello dell'ingegnere
civile giunse, nel 1897, l'incontro con Adolfo Venturi.
Frequentò il corso di storia dell'arte medievale e moderna, nell'ambito della
scuola di specializzazione, istituita dallo stesso Venturi nel 1896 presso la
facoltà di lettere di Roma.
E’ assistente presso la cattedra di architettura tecnica (1899) e quella di
architettura generale (1903) della scuola per ingegneri.

Nel 1914 vinse il concorso per la cattedra di architettura generale; e, dopo la guerra, a questo
insegnamento affiancò quello di restauro dei monumenti presso la neocostituita Scuola superiore di
architettura di Roma.
Nel 1916 fu nominato membro del Consiglio superiore di antichità e belle arti:
questa funzione di consulente ministeriale gli permise di esaminare una grande
quantità di progetti collocati all'intersezione di problemi e di scale diversi, distribuiti
sull'intero territorio nazionale.
Da questo osservatorio egli poté infatti spaziare, per quaranta anni, dai temi del
restauro architettonico a quelli più legati alla dimensione urbana, dalle questioni
proprie dello storico a quelle del progettista.
(architetto del nuovo e anche restauro)
Palazzetto Torlonia, Roma 1908-09

Esperto che vaglia molti progetti, dà consigli ed entra nel merito di molti progetti)

Gli anni giovanili trascorrono con l’acquisizione di una valida metodologia d’indagine necessaria ad
interrogare grandi complessi architettonici, primi fra tutti le architetture romane.
Esse saranno indagate sotto ogni punto di vista facendo attenzione alla materia,
agli elementi costruttivi e al contesto storico.
Nel caso del Tempio di Minerva Medica, attraverso un calcolo statico grafico di uno
degli archi meridiani arriva a calcolarne i processi che lo hanno portato alla sua
rovina.
(fabbrica con stile eclettico, Giovannoni ha molte contraddizioni nel suo lavoro di
restauratore)
Fabbrica di Birra Peroni, Roma 1909-13

Proprio questo metodo positivo diverrà presto la base dei suoi studi e delle sue ricerche sull’architettura
romana e quella dell’alto Rinascimento.
Visione di una disciplina che diverrà presto, a partire dal 1938, elemento di contrasto con Adolfo Venturi.
Giovannoni ribadisce i principi che debbono servire da fondamento scientifico alla conoscenza di una
disciplina come è la Storia dell’Architettura.
Gli aspetti figurativi insiti in un manufatto non sarebbero stati sufficienti per studiare un’architettura ma
bisogna prendere in esame il suo dato materiale e costruttivo.
(Giovannoni è indirizzato verso un pensiero positivista, razionale con sicurezza nel valore della scienza che
vuole fare di questa visione metodologica il motivo del restauro proprio per questo il suo restauro viene
definito SCIENTIFICO, con un carattere metodologico. Si interessa in particolare dell’arte del Rinascimento.
Figura fondamentale per far individuare la figura dello storico dell’architettura come disciplina autonoma,
architetto integrale, architetto di oggi, figura multidisciplinare che è in grando di entrare in ambito sociale e
tecnico con facilità.)

Dall'inizio degli anni Trenta, a costituire il prevalente campo di interessi fu l'architettura del passato,
specialmente quella che si connette ai grandi episodi della Roma cinque-seicentesca.
Dopo il 1935, egli si dedicò allo studio di una serie di grandi figure: Bramante, Bernini e Antonio da Sangallo
il Giovane,
A questo impegno di studioso egli unì, l’attività di consulente ministeriale.
A quella fase risalgono i suoi sforzi per dare vita a nuove istituzioni nel campo dello studio e del restauro dei
monumenti: un Istituto nazionale di restauro, una scuola di specializzazione, una rivista a diffusione
nazionale, un'associazione e un centro nazionale di studi.
“Lo studioso di architettura deve rendere l’opera architettonica come un libro aperto pronto per essere
studiato.
Il testo si sarebbe dunque dischiuso ad un professionista capace di cimentarsi con problemi sia dell’arte che
della tecnica: il progettista integrale o per meglio dire l’architetto integrale
Fin dal 1903 Giovannoni divulgherà le prime nozioni in materia di restauro, tracciandone in seguito i
fondamenti di una teoria e di una disciplina.
L’intento è quello di unificare le prassi che a volte si disperdono negli effetti discrezionali delle singole
Soprintendenze.”
(concetto che con Giovannoni diventa essenziale per restauratori e conservatori, legge l’opera nella sua
fisicità e matericità e i documenti che la corredano, è l’architettura ad essere un libro aperto oltre ai
documenti).
(si rende conto che non tutte le sovraintendenze non lavorano in modo omogeneo e quindi crea la carta del
restauro).

Nuove realizzazioni (poche e con ridotta risonanza)


- Chiesa degli Angeli Custodi, Roma 1920
- Fabbrica Birra Peroni, Roma 1909-13
- Palazzetto Torlonia in via Tomacelli, Roma 1908-09

Restauri
- Tempio di Ercole, Cori 1913
- Chiesa di San Domenico, Orvieto 1934
- Chiesa di Santa Maria del Piano, Ausonia 1916
- Chiesa di Santo Stefano degli Abissini, Città del Vaticano 1931
- Villino Calderai Torlonia, Roma 1910
- Chiesa di Sant’Andrea, Orvieto 1930
- Chiesa di San Pietro, Cori 1913

Interventi alla scala urbana (in collaborazione con altre persone)


- Piano per la sistemazione edilizia di Bari vecchia, 1931
- Quartiere del Rinascimento, Roma 1913-18
- Piano per la sistemazione edilizia di Bergamo Alta, 1934
- Sistemazione di Via dei Coronari, Roma 1913

Rifiuto del restauro stilistico tale rifiuto parte da un concetto di storia inteso come evoluzione di tipi e
forme, mentre il restauro stilistico vuole ricondurre ad unità stilistica ciò che la storia ha creato e
trasformato in molteplice e complesso.
Rifiuto della teoria modernista ovvero dell’architettura contemporanea e della sua positiva capacità di
intervenire nell’opera di restauro.
Essa, per quanto risponda ai principi di distinguibilità, non garantisce armonia con l’antico.
(Da una parte ha una posizione molto simile a quella di Boito, propone una via intermedia del restauro
italiano che incunea tra i due pensieri ritrovando un compendio, pensiero nei cpnfronti del modernismo e
dell’architettura razionale e moderna, DECISAMENTE CONTRARIO alle commistioni tra antico e moderno in
senso di linguaggi contrapposti a favore di un affiancamento tra edificio antico e componenti
contemporanei)

Il restauro non è riconducibile a criteri generali; è operazione scientifica –in continuità col pensiero del
restauro filologico, e soprattutto storico –volta a conservare tanto il monumento quanto l’ambiente
monumentale
Il restauro assume dunque una funzione mediatrice = ‘posizione intermedia’ (ripresa da Boito), cercando di
porre una condizione di equilibrio tra le ragioni della storia e quelle dell’arte, ovvero tra le tendenze
puramente conservative esemplificate dalla corrente archeologica che sostiene il mantenimento dello
status quo e gli atteggiamenti stilistici.
(innalzare la disciplina del restauro a un livello scientifico con una metodologia condivisa, chiara e con modi
di intervenire riconoscibili. In questo suo generare categorie di interventi di restauro è molto abile.

- Monumenti morti esclude ogni pratica utilizzazione


- Monumenti vivi ritiene opportuna una destinazione d’uso non troppo dissimile dalla primitiva
Considera la funzionalizzazione come strumento per la conservazione del monumento
Monumenti maggiori/opere architettoniche minori
Conservazione del contesto ambientale e delle stratificazioni storiche per i primi/maggiore libertà di
intervento per le seconde.
(volontà di lavorare in maniera metodica per categorie come nelle discipline scientifiche)

Il monumento deve essere considerato come documento di arte e di storia:


- documento di sé;
- di una molteplicità di dati disciplinari
(invito a leggere la polisemicità di messaggi che contiene il libro, monumento come documento)

Il restauro garantisce la salvaguardia di tale molteplicità


Tutela l'architettura come documento storico, documento complesso in quanto documento collettivo in cui
convergono intenzioni e valori architettonici assieme a manifestazioni di altra natura che fanno capo a
discipline molto diverse fra loro.

Divide il restauro in 5 categorie:


1. Consolidamento: intervento da compiere tramite le risorse della tecnica (stabilità dell’edificio)
(consolidamento come intervento da tenere nascosto)
2. Ricomposizione: anastilosi con eventuali integrazioni distinguibili (quando es. templi o altre antiche
costruzioni che devo essere rimontate per anastilosi e con distinzione tra parti aggiunte e parti vecchie)
3. Liberazione eliminazione di ‘masse amorfe’ che danneggiano le preesistenze (eliminazione di parti di
superfetazione, parti dell’edificio o di edifici accorpati che disturbano il volume)
4. Completamento prevedendo aggiunte, seppure limitate, ed escludendo rifacimenti e inserzioni attuali
(es. arco di Tito quando completare un pezzo di cornicione con materiale differente riconoscibile)
5. Innovazione rendendo lecita anche l’aggiunta di parti di nuova concezione ed il rinnovamento di quelle
esistenti

Pur riconoscendo "pedantesca ed artificiosa" una tale classificazione, egli la giudica necessaria per dare un
quadro sistematico della situazione, differenziando i criteri da adottare a seconda del tipo di intervento.
(ideologicamente queste idee di restauro vengono strumentalizzate dal potere per conseguire i propri
principi ideologici -> PERIODO FASCISTA)

Dopo la guerra la figura di Giovannoni viene legata al periodo fascista


BOLOGNO –Palazzo del Podestà
A Bologna si vuole completare il palazzo ciel Podestà, situato nel cuore della
città, di fronte a San Petronio.
La vicenda del completamento si trascina ormai da decenni. Il palazzo è
incompiuto nella sua parte terminale.
Una prima proposta, di Alfonso Rubbiani, (architetto con restauro storico
filologico) per la costruzione di un cornicione e cli una merlatura
sovrastante, risale al 1908, una seconda al 1926.
In entrambi i casi il Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti -il
massimo organismo in materia di restauro -approva l'idea del cornicione,
ma si oppone all'idea di costruire i merli. Palazzo del Podestà ante 1888
(oggetto del dibattito: CORONAMENTO
Scontro tra la volontà del podestà e del consiglio superiore delle belle arti che dibattono se completamento
con cornicione merlato o semplice cornicione di gronda sempre in un’ottica di completamento.
Rievocare la medioevalità di Bologna, l’altro di rievocare la grandezza rinascimentale di Bologna)

Cornicione merlato realizzato in parte con un modello in legno per dare l’idea alla città della realizzazione
finita. Due soluzioni alternative di finestre una con bifora e l’altra crociata.

Nel 1933, viene avanzata la terza richiesta di realizzare il cornicione e la merlatura di Rubbiani. Ne è
promotore un comitato locale, con il sostegno politico del podestà Angelo Maranesi.
Il restauro dei monumenti più rappresentativi della città è un punto fondamentale del suo programma
amministrativo.
Alla proposta di completare il palazzo si oppone il nuovo soprintendente di Bologna, Carlo Calzecchi.
Questi non solo è contrario alla merlatura, ma pone pure in discussione i due precedenti pareri del
Consiglio Superiore, favorevoli al cornicione. Accusato da Maranesi di essere ostile ai restauri, Calzecchi
osserva che, nel caso del palazzo del Podestà, non ci si trova di fronte a un intervento di, ma più
semplicemente a un "arbitraria scenografia".
(promuovere un’immagine della città ideologicamente affine al modello fascista.)

Nel giugno del 1934, Giovannoni, in veste di componente del Consiglio


Superiore, si reca a Bologna per un sopralluogo al palazzo del Podestà.
Il mese successivo, il Consiglio Superiore, dove Giovannoni siede, si
riunisce per esaminare il progetto di completamento.
Respinge le merlature ma, contro il parere di Calzecchi, accoglie la
proposta di eseguire "in forma semplice e schematica" la cornice di
coronamento, in quanto elemento «evidentemente mancante".
Il parere favorevole al cornicione viene giustificato con il carattere di
"spiccata e larga Rinascenza italiana" del palazzo, ispirato al
"sentimento di romanità".

Per il comitato promotore del restauro e per il Consiglio Superiore, l'idea di completamento sottende due
diverse finalità ideologiche.
Da un lato c'è chi vuole i merli, in quanto espressione di uno spirito "tutto locale", bolognese;
dall'altro chi vuole il solo cornicione, in quanto simbolo di una rinascenza italico-romana.
Entrambe le proposte, pur così diverse negli esiti formali, attribuiscono all'opera cli completamento un
coerente significato fascista.
VICENZA Loggia del Capitaniato
Il consiglio comunale, nella seduta del 5 maggio 1926 aveva
approvato il completamento della Loggia del Capitaniato per farne
il famedio della città, il “tempio della fama” degli eroi vicentini
caduti per la patria
Con questa proposta si sostituiva il monumento funebre
progettato al Piazzale della Vittoria, appena inaugurato dal Duce
nel settembre 1924. Incaricato di presentare il progetto di
completamento della Loggia del Capitaniato fu l’architetto Ettore Fagiuoli.
Qui Giovannoni sostiene fin dall'inizio la proposta di completamento tanto che Ettore Fagiuoli, il
progettista, è scelto su suo suggerimento.
(luogo della celebrazione dei caduti della grande guerra, completare l’opera proseguendo le sue linee
architettoniche.
Giovannoni promuove Fagiuoli per questo intervento)

L’o.d.g. è approvato alla unanimità.


Nel 1928 il progetto Fagiuoli viene approvato dal Ministero
dell’Educazione Nazionale, il podestà Franceschini in data 29 aprile 1929
deliberava l’ampliamento.
La loggia veniva consacrata ai caduti della Guerra 1915/18, e prendeva il
nome di Loggia IV Novembre. Il Prefetto il 27 giugno 1929 autorizzava la
demolizione delle case Orefice in Piazza Grande e Contra’ dei Giudei ora Cavour., un’opera di sanatoria e di
pulizia per ridare alla piazza la sua bellezza.
(1° operazione liberare il loggiato da costruzioni realizzate.)

Nell'aprile 1928, il Consiglio Superiore approva all'unanimità il progetto cli Fagiuoli, che prosegue l'opera di
Palladio, aggiungendo altre due arcate all’edificio esistente.
Questa la motivazione del Consiglio Superiore: mentre il "completamento in stile similare", attuato su
monumenti "lontani ormai dal nostro sentimento e dalla nostra civiltà", è considerato inopportuno, all'
opposto è ritenuta possibile "la ritmica continuazione" di opere ciel rinascimento rimaste incompiute.
(Anche questo progetto inizia ad avere dei detrattori anche a livello ministeriale, anche Mussolini che era
tanto favorevole all’improvviso cambia idea e tutto si blocca).

Il progetto di completamento della loggia scatena numerose e autorevoli


reazioni contrarie.
Il crollo della Borsa in America si fa sentire anche in Italia e il Consiglio dei
Ministri invita i Comuni ad eliminare le spese non obbligatorie per legge.
Così l’Amministrazione rimanda i lavori.
Qualche notabile romano riporta il parere di Gabriele D’Annunzio e del Duce
il quale nel settembre del 1938 viene a Vicenza ed interpellato sul
completamento della Loggia risponde: “Se volevate mettere in evidenza il
vostro Palladio non potevate fare opera migliore”.
Due anni dopo, l’Italia entra in guerra e del completamento della Loggia Palladiana da tre a cinque archi,
non si è parlato più.
(Liberato dalle parti che si addossavano, la non prosecuzione dell’intervento si è rivelata migliore)
In seguito al Congresso Internazionale sul tema “La Conservazione dei monumenti d’arte e di storia”
(ottobre 1931).
Promotore e animatore è Gustavo Giovannoni.
La sede di Atene non fu scelta casualmente: in questo periodo si compie uno dei restauri più importanti del
secolo, vale a dire quello dell’Acropoli e soprattutto del Partenone.
Nicolaos Bàlanos restaura il tempio utilizzando molto materiale ancora in loco, ma con vaste integrazioni di
cemento armato.
(Giovannoni è di fatto il promotore ma anche il grande artefice di questa carta del restauro.
Atene in quegli anni era il luogo dei grandi interventi sul Partenone e sull’acropoli che in quegli anni si
stavano portando avanti con grande uso del cemento armato, per l’anastilosi, per composizione in parti
diverse ma anche per realizzare completamenti strutturali per consolidare e tenere strutturalmente in esse
il monumento)

Scopo della Carta internazionale di Atene del 1931 è il tentativo di unificare le diverse posizioni dei Paesi, in
nome dell’unico obiettivo.
 Indicazioni della Carta riferite ai soli beni architettonici.
 Collaborazione tra gli Stati per la conservazione dei monumenti.
 Evitare restituzioni integrali →istituzione di manutenzioni regolari.
 Restauro solo se è necessario, rispetto dell’opera d’arte di interesse storicoartistico e nessuna
preferenza verso lo stile di alcuna epoca.
 Rovine → conservazione scrupolosa senza ricostruzioni, è consentita l’anastilosi (ricomposizione di
un monumento frammentario del quale si conservino le parti) e i materiali nuovi devono essere
riconoscibili.
 Necessità di studi e ricerche sulle patologie e i materiali del restauro.
 L’utilizzo giudizioso dei materiali moderni è consentito, in particolare l’uso del cemento armato, ma
gli elementi di rinforzo devono essere dissimulati.
 Rispetto del carattere e della fisionomia delle città e delle prospettive pittoresche

(materiali moderni dissimulati e nascosti non messi in evidenza)

Giovannoni appare consapevole delle contraddizioni metodologiche che definiscono la disciplina,


caratterizzata dall’alternanza d’impostazioni diverse che spesso entrano in contrasto tra di loro anche negli
interventi che riguardano esclusivamente l’«ossatura costruttiva». Egli individua, con chiarezza, le due
posizioni prevalenti: quella di Viollet-le-Duc, tendente alla “falsificazione”, e quella di John Ruskin, espressa
dalla teoria «delle grucce apparenti e del rinforzo che mostri evidente il nuovo tipo strutturale.
Riconosce, però, nella sua lucida posizione centrale, che in «tempi così complessi tutte queste teorie hanno
in parte ragione, ma anche tutte hanno torto, e non appare logico l’applicarle fino alla esagerazione
unilaterale».
Giovannoni suggerisce di ovviare alle contrapposizioni ricorrendo a soluzioni intermedie, alla ricerca di
quella «semplicità ottenuta con effetti di massa anziché di ornato, (il che permette di armonizzare con
l’architettura esistente per sintesi e non per falsificazioni di particolari)»
(via intermedia di bilanciamento delle posizioni internazionali, pur riconoscendo le contraddizioni che
questa scelta porta dietro)
A questo punto, l’ingegnere si riferisce a Le Corbusier e ai protagonisti «moderni ultra-razionalisti», alle
estreme conseguenze dell’applicazione di rigide azioni meccaniche prive di ogni «preoccupazione di ritmo,
di concezione significativa ed emotiva, di rispondenza all’ambiente, cioè di tutto quello che fa
dell’Architettura un’Arte». Considerazioni che spingono Giovannoni a non seguire idee prestabilite,
posizioni rigide e assolute, ma a sperimentare tutti i mezzi costruttivi proposti dalla tecnica moderna; tra
questi egli segnala il cemento armato, materiale che manifesta vantaggi enormi, compresa una buona
versatilità operativa espressa sia dalla sua «plasticità [...] [sia dalla] solidarietà rigida di tutta l’armatura»

Nel documento finale composto da una premessa e 10 articoli, si esprime la condanna del restauro
stilistico, il rispetto per l'intorno ambientale del monumento, la necessità di una costante manutenzione e
della divulgazione delle conoscenze acquisite.
 La unitarietà degli intenti dei Paesi porta ad una stretta collaborazione (art. I)
 Conservazione attraverso una manutenzione ordinaria nel rispetto dell'opera attuale (art.II)
 Per le "rovine" processo di anastilosi o riseppellimento dopo rilievo accurato (art. IV).
 Accettazione di tecniche e materiali moderni nel consolidamento, ma NON visibili (art. V).
 Necessario mantenimento in situ della scultura monumentale (art. VI)
 Problemi di carattere urbanistico: rispetto dell'ambiente (art. VII)
 Invito agli Stati di pubblicare un Inventario dei monumenti e creare un Archivio (art. VIII)
 Necessaria sensibilizzazione generale (art. X)

Riprendendo i punti espressi ad Atene, il Consiglio Superiore per le Antichità e le Belle Arti, struttura del
Ministero della Pubblica Istruzione, nel 1932, emanò la Carta del restauro italiana, la prima direttiva
ufficiale dello Stato Italiano in materia di restauro. (non leggi ma linee guida che indirizzano l’operatività)
Di fatto le sue idee di restauro vengono recepite anche con lo scoglio degli elementi di ricostruzione.
1938 contro-carta del restauro da parte dei sovraintendenti che andranno a toccare il nervo scoperto
dell’ampia possibilità di composizione e completamento degli edifici.

La carta italiana del Restauro (1932): i principi


 Importanza della ricerca storica come conoscenza preventiva (premessa)
 Manutenzione per la conservazione (art. 1)
 Ripristino solo se strettamente necessario e certamente documentato (art. 2)
 Possibile utilizzo dell'anastilosi (art. 3)
 Proposta di riuso coerente con la natura del monumento (art. 4)
 Mantenimento delle integrazioni successive senza desiderio di unità stilistica (art. 5)
 Rispetto delle condizioni ambientali intorno al monumento (art. 6)
 Le aggiunte devono essere limitate di numero, semplici, coerenti con lo schema costruttivo e
distinguibili (artt.7-8)
 Adozione di mezzi costruttivi moderni come ultima possibilità (art. 9)
 Necessario tenere un giornale del restauro (art. 11)
 Proposta di un convegno annuale per uno scambio delle esperienze di restauro
CENTRI STORICI
Il concetto di monumento, oltre agli episodi emergenti, deve comprendere anche «l’insieme delle cose,
d’importante interesse, che hanno valore collettivo», e che, di fatto, costituiscono la prosa architettonica
degli insediamenti urbani.
In tale prospettiva affronta anche il rapporto tra antico e nuovo, ovvero tra edilizia storica e sviluppo
contemporaneo:
→ propone di soddisfare le necessità attuali mediante adeguamenti funzionali tali da non ledere i caratteri
degli impianti storici
→ è convinto che una «città sopravvissuta» non possa diventare centro della «città nuova» se non
attraverso innaturali e profonde trasformazioni.
E propone la TEORIA DEL DIRADAMENTO, assunta come principale strumento per contrastare la pratica
diffusa degli sventramenti
→ «demolire in piccoli tratti staccati lasciando aree libere e ricostruendo poco o nulla», aprire nuove
visuali, portare aria e luce fra gli isolati «più folti e più luridi», e provvedere all’«abbellimento stradale»

(Trasformazione della città in senso moderno. La sua posizione in contraddizione con la posizione
dominante del periodo fascista, ovvero gli sventramenti, demolizione di interi quartieri con presunti motivi
di carattere igienico-sanitario, con obbiettivi di carattere di città immagine fascista.
Per Giovannoni invece propone la teoria del diradamento, molto più strategica, riconosce la necessità di
intervenire in alcuni punti ma in senso quasi chirurgico, con interventi puntali, alleggerimenti edilizi per
opportunità di luce della città ma con un’impostazione operativa più blanda.)

Per Giovannoni, attraverso il diradamento edilizio è possibile programmare: “una sistemazione artistica:
opera non trionfale ma modesta, di rispetto al passato con criteri moderni, d’innesto di bellezza nuova sulla
bellezza antica” Questi principi acquistano una fisionomia operativa nella proposta per la sistemazione del
quartiere Rinascimento, presentata da Giovannoni in Consiglio Comunale il 30 giugno del 1918 . In tale
proposta viene affermata la necessità di un equilibrato rapporto tra diradamento edilizio e decentramento
residenziale.

Pianta della Direzione Generale del Censo, 1866.Il tessuto edilizio e viario
permane immutato rispetto alle trasformazioni di età rinascimentale e
barocca fino alla metà del XIX secolo.
Stralcio del “Piano Regolatore di Roma” di A. Viviani del 1883. In giallo le
nuove strade previste nel Quartiere Rinascimento

Risultato di un concorso bandito nel 1926, il piano di Luigi Angelini (1884-1969) sarà chiaramente ispirato
dalle teorie di Giovannoni, ad esempio attraverso l’individuazione degli edifici da tutelare, lo studio dei
percorsi di attraversamento, la ricerca di nuovi scorsi prospettici e l’applicazione della teoria del
diradamento edilizio.
chiesa di sant’Andrea a Orvieto
Giovannoni riconosce le contraddizioni che si riscontrano nella pratica rispetto agli assunti teorici.

La Collegiata di Sant’Andrea e Bartolomeo si trova in piazza della


Repubblica, a fianco del palazzo comunale. La chiesa costituisce un
raro esempio di sovrapposizioni e riedificazioni di culto nella stessa
area sacra.
Nel basso medioevo appartenne al Comune; risultano atti notarili
stipulati nella chiesa già nel 1171, così come risale al XIII sec. la
costruzione del campanile. Atti del 1236, e del 1252, testimoniano
la presenza di portici annessi alla chiesa, smantellati nel 1303 per
contrastare la presenza di vagabondi.
L’edificio fu testimone di eventi storici rilevanti, essendo stata Orvieto residenza di numerosi Papi.
(forma decagonale con fusto in muratura, addossati alla chiesa dei fabbricati.)

«Ora se vi è un caso in cui le costruzioni aggiunte in tempo relativamente recente non meritano davvero il
minimo rispetto è proprio quello del S. Andrea.
La parte seicentesca, grottescamente gotica, della facciata tricuspidale. La galleria superiore e la cupoletta
del campanile, le basse botteghe schierate su Corso Cavour, non solo non hanno il benché minimo elemento
d’Arte, ma nei riguardi del monumento rappresentano una triste orrenda alterazione del concetto
originario, ed in quelli estrinseci dell’edilizia cittadina rendono sgradevole e indecoroso quello che dovrebbe
essere il maggior centro del movimento e della vita urbana […]».

Un preventivo viene redatto già nel 1921, ma i lavori di demolizione della parte superiore del campanile
inizieranno solo nel marzo del 1926.
Dal carteggio si evince che le motivazioni del ritardo, oltre che di natura economica, sono da ricercarsi
anche in un forte contrasto fra il soprintendente Umberto Gnoli e Giovannoni, mai reso esplicito dai due
protagonisti, eppure piuttosto marcato, tale da portare a continui rimandi dei lavori e modifiche del
progetto già presentato al pubblico,
E’ il campanile a fare le spese di questi contrasti e, soprattutto, delle scoperte realizzate durante le
demolizioni.

Questo, da una prima ipotesi che prevedeva un solo giro di bifore –l’unico noto al momento del progetto –
soprastato da uno di monofore e concluso, «dopo un ulteriore sviluppo verticale, […] con 12 pilastri
angolari, non merli isolati […] ma elementi di sostegno di un tetto piramidale di coronamento» pian piano
giunge, attraverso ‘aggiustamenti’ successivi, alla soluzione finale a tre ordini di bifore e merlatura
terminale.

Da una parte quindi il progetto iniziale dovrà essere modificato perché‚ «il
monumento, che ne sa più di tutti noi, ha parlato ed è superfluo dire che non
c’è altro da fare che seguire ciò che egli dice»
dall’altra però, l’altezza complessiva della torre rimane quella indicata fin dal
1919, infatti, «Nulla di male […] se la sopraelevazione, necessariamente
arbitraria, risponderà un poco ad un altro criterio estetico di ambiente, e si
eleverà presso a poco all’altezza che avevamo fissato nella nostra visita ad
Orvieto. Chi ha mai visto due monumenti medievali perfettamente uguali?»
«Ora se vi è un caso in cui le costruzioni aggiunte in tempo relativamente recente non meritano davvero il
minimo rispetto è proprio quello del S. Andrea.
La parte seicentesca, grottescamente gotica, della facciata tricuspidale. La galleria superiore e la cupoletta
del campanile, le basse botteghe schierate su Corso Cavour, non solo non hanno il benché minimo elemento
d’Arte, ma nei riguardi del monumento rappresentano una triste orrenda alterazione del concetto
originario, ed in quelli estrinseci dell’edilizia cittadina rendono sgradevole e indecoroso quello che dovrebbe
essere il maggior centro del movimento e della vita urbana […]».

Di qui la scelta di realizzare una «nuova facciata


per la chiesa» perché «una facciata vera non c’è
stata, […] mai in passato, ma solo inizi di
facciata eseguiti in tempi molto tardi» e di
progettare il «ripristino pel campanile» che fino
alla quota del primo giro di bifore «risulterà
sistemato in modo autentico» mentre per la
parte superiore imitando il campanile
dell’abbadia «lo sarà in modo semiautentico»

l progetto è completato con la demolizione delle «meschine


botteghe» che si addossavano al fianco della chiesa «per
sostituirvi un portico ad arcate che libera la parete e chiude la
linea dell’insieme»

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