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Tutela, Riuso e Pratica del Restauro

Ioannis Barbas, Pietro Borzacca

Piazza Alicia, Strade adiacenti e Ricostruzione della Chiesa Madre Salemi,


Alvaro Siza e Roberto Collovà (1991-1998)

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Informazioni Bibliografiche
Teoria del Restauro di Cesare Brandi.
Lezioni raccolte da L. Vlad Borrelli, J. Raspi Serra e G. Urbani, Roma 1963. Edizioni di Storia e Letteratura; Collana Pic-
cola Biblioteca, Torino, Einaudi, 1977.

Biografia dell’Autore
Cesare Brandi nacque a Siena nel 1906, si trasferì poi a Firenze, dove concluse il percorso di studi in Lettere nel 1928.
Due anni dopo ricevette l’incarico di catalogare e ordinare la collezione dei dipinti dell’Accademia delle Belle Arti della sua
città natale.
Nel 1938 venne chiamato a Roma al ministero dell’Educazione Nazionale e l’anno seguente gli fu assegnato il ruolo di
dirigente per il Regio Istituto Centrale del Restauro (ICR), incarico che durò fino al 1959.
Da questa data in poi si orientò verso l’insegnamento della storia dell’arte; prima a Palermo poi a Roma. Proprio durante
questo periodo iniziò a prendere vita il libro “Teoria del Restauro”.

Il tempo riguardo all’opera d’arte e al Restauro; Il restauro della pittura antica


La distinzione delle arti nel tempo e nello spazio è di natura illusoria: tempo e spazio sono infatti le uniche condizioni
formali comuni a qualunque opera d’arte, senza le quali quest’ultima si dissolverebbe. Il tempo è da intendere come la
struttura del ritmo, che incontra l’opera d’arte in tre momenti differenti. Il primo si identifica nella durata durante la quale
l’artista concepisce l’opera, in un processo di concretizzazione. Vi segue un intervallo temporale che si interpone tra la
fine del processo creativo e il riconoscimento dell’opera d’arte nella coscienza. Quest’ultimo attimo, il momento in cui l’o-
pera d’arte si sedimenta nella coscienza che la riconosce come tale, è il terzo e ultimo momento, che si manifesta come
una folgorazione.
L’opera d’arte vive per definizione in una sorta di eterno presente, una dimensione extratemporale. Tuttavia, l’attimo di
folgorazione dell’opera d’arte si manifesta anche nella coscienza di chi la osserva: in quell’attimo, un momento che si col-
loca nel presente storico, l’opera d’arte si piega alla propria funzione di stimolo, dando luogo a quella che Brandi chiama
“interpretazione suggestiva”, capace di suscitare emozioni nello spettatore. In questo momento di contatto tra due tempi,
è come se l’opera d’arte gravitasse nel tempo storico in cui noi viviamo, scendendo dal proprio piedistallo e concedendoci
di identificarci con la sua dimensione fuori dal tempo. Avviene una sorta di scambio, in cui per un attimo ci è concesso di
intuire un senso di eternità.
Questo momento di folgorazione non potrebbe esistere se l’opera d’arte fosse priva di una sua fisicità: l’immagine si
deve servire di una fisicità per giungere alla coscienza. Questa può essere minima, eppure sussiste sempre, anche dove
virtualmente scompare: una poesia può essere letta in silenzio, senza servirsi di un mezzo fisico, eppure non si può
ignorare il suono che si cela dietro al segno. L’esigenza del suono sussiste, anche se questo non viene profferito ma vive
solo nell’immagine della lingua. E il suono, cambia nel tempo: il lasso di tempo intercorso fra il momento in cui la poesia è
stata scritta e il tempo in cui viene letta, fa in modo che questa non si legga e non si pronunci più allo stesso modo. Quin-
di, anche per queste opere d’arte che sembrerebbero più al riparo dal tempo, “il tempo passa ed incide non meno che sui
colori dei dipinti o sulle tonalità dei marmi”. Il restauro è intimamente correlato alla fisicità dell’opera d’arte. Per permettere
il contatto tra il nostro tempo storico e il tempo extratemporale dell’opera d’arte, è necessario conservarne la fisicità, che è
l’unico tramite. Logicamente, ne deriva che l’opera d’arte possa essere restaurata solo dopo la sua avvenuta conclusione.
L’autore condanna infatti il restauro di fantasia, che tenta di inserirsi nella fase del processo artistico, ovvero nella fase
della durata. Il restauro è da intendere come la rifusione dell’immagine in un’altra immagine, si tratta di “un atto sintetico e
creativo che esautora la prima immagine e la sigilla in una nuova”. Il restauro non dovrebbe inserirsi nemmeno nell’inter-
vallo di tempo fra la conclusione dell’opera e il presente storico: vorrebbe dire abolire quel lasso di tempo in un intervento
di ripristino. Conseguentemente, l’unico momento legittimo per il restauro non può che essere quello del presente stes-
so della coscienza riguardante, in cui l’opera d’arte è nel presente storico e nel passato al tempo stesso. L’intervento di
restauro non dovrà porsi come “segreto e quasi fuori dal tempo”, ma dovrà al contrario essere puntualizzato come evento
storico quale è, per il semplice fatto di trattarsi di un’azione umana. Deve inserirsi nel processo di trasmissione dell’opera
d’arte al futuro, differenziando le zone integrante da quelle preesistenti, sempre nel rispetto di quello che Brandi chiama la
patina, ovvero il sedimentarsi del tempo sull’opera.
Per un’opera architettonica il restauro ha la stessa valenza che per un’opera d’arte, fatta eccezione che la prima è
intrinsecamente legata al luogo in cui sorge: difficilmente infatti un quadro è pensato per stare in un determinato luogo,
mentre il contesto in cui sorge l’architettura è la base di partenza per la formulazione della stessa. L’opera architettonica,
oltre al peso del tempo, subisce il peso dello spazio: il contesto spaziale in cui sorge ne diventa la cornice, e in un’opera
di restauro puntuale i due fattori non possono rimanere separati. Non si può pensare quindi di scomporre e ricomporre l’o-
pera in un luogo diverso da quello originale, né tantomeno pensare di riprodurre un falso con le stesse tecniche, materiali
e forme

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Piazza Alicia, strade adiacenti e ricostruzione della Chiesa Madre a Salemi
La scelta del libro è stata dettata in primis dall’importanza storica del volume, la cui analisi critica ha influenzato le mag-
giori opere di restauro dalla sua pubblicazione in poi. In particolare, troviamo che il capitolo preso in analisi, Il tempo
riguardo all’opera d’arte e al restauro, tocchi determinate tematiche fortemente assonanti al caso studio da noi scelto. Il
progetto per il restauro del centro storico di Salemi è un progetto che si confronta intimamente con la temporalità, toc-
cando con estrema raffinatezza ciò che il tempo ha tentato di cancellare, viaggiando sul filo della memoria. L’intervento
di Siza e Collovà non è un intervento di ripristino, in quanto non cerca di cancellare le tracce del passaggio del tempo. È
il contrario: ripristinando gli antichi tracciati urbani, il progetto sembra inserirsi come un momento nel lungo processo di
trasformazione del luogo, non pretende di esaurirlo attraverso decisioni definitive. Il tema diventa la ricerca di un nuovo
e diverso piano di unità, seppur fatto di frammenti, in cui gli effetti del terremoto vengono usati come elementi di trasfor-
mazione piuttosto che di distruzione. Il progetto della piccola scala (foto n°8-9) che collega le quote di due percorsi che si
intersecano, è un gesto minimale che con grande delicatezza ricuce il tessuto dello spazio. Come un muretto distrutto e
scalcinato diventa una piccola scala, le stradine disintegrate del paese non vengono toccate: vengono progettate giusto
delle piccole soglie (foto in pietra massiccia per riportare alle quote delle antiche case. Questi interventi frammentari, non
uniformi, in cui rimane sottile ma chiara la differenza tra la preesistenza e il costruito, lavorano nel rispetto del tempo e
della sedimentazione dello stesso sull’opera d’arte. Nulla viene ripristinato né ricostruito; si tratta piuttosto della ricompo-
sizione di un mosaico fatta di piccoli gesti e accorgimenti, in cui la traccia del tempo, in questo caso del terremoto, non
viene cancellata, ma diviene chiave interpretativa del progetto stesso.
Troviamo che la sensibilità di Siza e Collovà nel trovare un punto di contatto tra l’antico e il nuovo, senza la pretesa di
cancellare la traccia del passaggio del tempo, sia in linea con il pensiero di Brandi sul rapporto tra il tempo ed il restauro.
Tuttavia, potremmo forse obiettare che la scelta degli architetti di ricostruire la chiesa madre per sottrazione, lasciandola
completamente aperta alla piazza, possa essere un gesto che Brandi criticherebbe. L’intenzione degli architetti era creare
una piazza nella piazza, in cui la piazza sacra della chiesa si aprisse verso la piazza laica del paese, riprendendo l’orien-
tamento del vecchio colonnato della chiesa, proiettando gli originali elementi architettonici verso l’esterno. L’intento era
quello di conservare la memoria della chiesa senza ricostruirla. L’idea, col passare degli anni, rimane estremamente ele-
gante e raffinata; tuttavia non si è poi tradotta nella realtà con il risultato sperato. Lo spazio della piazza oggi, per quanto
di una bellezza indiscutibile, rimane vuoto, diventando la sede di un parcheggio. Forse Brandi avrebbe pensato che
l’intervento sulla piazza fosse un intervento di fantasia che, per quanto poetico e raffinato, vada ad intaccare la funzione
primaria dell’opera d’arte originale, ovvero la funzione liturgica della chiesa e quindi quella civica della piazza. Si tratta di
due ambienti architettonici diversi, ognuno dei quali forse necessita un proprio spazio distinto per sopravvivere al tempo.
Nonostante questo, pensiamo che tutto il lavoro circostante sul tessuto antico del paese, partendo dalle pavimentazioni
delle strade, al progetto del patio dietro l’abside della chiesa, alla rivisitazione dei passaggi che diventano accessi alla
piazza con dei minimali gesti architettonici, denotino lo spazio di una ricchezza e una poesia che difficilmente si sarebbe
potuta ottenere ricostruendo il paese tale e quale, cancellando la traccia del tempo.

Descrizione del progetto


Correva l’anno 1968 quando un violento terremoto colpì una vasta area della Sicilia occidentale, compresa tra le province
di Agrigento, Trapani e Palermo. Ubicato tra colline coltivate a ulivi e vigneti, il piccolo borgo di Salemi, cittadina di matrice
arabo-medievale, fu particolarmente danneggiato. Il centro storico riportava delle ferite profonde, e gran parte dei cittadini
furono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni, parzialmente crollate o pericolanti.
Il progetto di ricostruzione di Alvaro Siza e Roberto Collovà nacque a partire dagli studi per il Laboratorio di Progettazio-
ne del Belice, con la collaborazione dell’Ufficio tecnico della Curia di Mazzara del Vallo. Il seminario, i cui esiti verranno
esposti alla Triennale di Milano nel 1981, venne organizzato a Gibellina nel Settembre del 1980, per iniziativa dei Comuni
disastrati dal terremoto.
Il progetto esecutivo venne commissionato dalla Curia di Mazzara del Vallo nel 1984. Nel documento era chiaro come
l’obbiettivo principale fosse il restauro della Chiesa Madre; allo stesso tempo lasciava interessanti indicazioni per futuri
interventi sul centro storico. Il progetto esecutivo è parte di un progetto più esteso che riguarda il risanamento dell’intero
quartiere: la chiesa, le costruzioni sul fianco nord (cappelle, sacrestie, dotate di nuovi collegamenti interni, impianti e locali
di servizio), i magazzini sottostanti, le case addossate all’abside (oggi di proprietà comunale), le stradine e i passaggi che
che risalgono verso la piazza principale del paese. Si decise di ricercare una nuova relazione tra la quest’ultima, Piazza
Alicia, e la Chiesa, il cui rudere avrebbe dovuto comunque rendere possibile la funzione liturgica.
È interessante specificare come il terremoto del Belice non provocò che il crollo di una navata laterale della Chiesa Ma-
dre, che rimase fondamentalmente intatta: fu l’incuria delle autorità civili ed ecclesiastiche che frettolosamente scelsero
di demolire la costruzione, a ridurla allo stato di rovina. Il progetto di Siza e Collovà nasce da un presupposto preciso: la
Chiesa non avrebbe dovuto subire alcuna demolizione dopo il terremoto. La struttura necessitava solamente di essere
rinforzata dall’interno, e la navata danneggiata di essere restaurata. Questo punto è fondamentale per comprendere il
modus operandi dei due architetti, che, non avendo abbastanza fondi a disposizione per ricostruire la chiesa, studiano
una particolare composizione - o meglio ricomposizione - delle sue rovine, con l’intento di conservare la memoria del-
la chiesa senza ricostruirla. “Se non possiamo ricostruire la chiesa, proviamo a raccontare come era costruita”, spiega
Roberto Collovà. Per questo motivo, vengono effettuate semplici operazioni di taglio (schizzo n°3) ad altezze differenti
su alcuni elementi della chiesa demolita, per sottolinearne, in un esercizio quasi didascalico, l’autonomia costruttiva, e
restituirne la spazialità. In tal modo, la sezione del transetto della chiesa e l’ombra generata dall’abside divengono, quasi
come una quinta teatrale, il nuovo fondale della piazza.

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Il lavoro di consolidamento delle mura della chiesa è risultato quello più impegnativo data l’arretratezza delle tecniche
costruttive. Attraverso un preciso lavoro di rilievo si sono riscontrate buone fondazioni su tutto il perimetro, un sistema di
muri di grande spessore e solide volte di pietra. La pietra utilizzata è in parte ben squadrata e riconciata, impiegata per
murature a sacco.
Il perimetro della chiesa viene soprelevato, marcato da un podio in pietra (foto n°3) che ne restituisce le dimensioni e l’im-
pianto storico. La base di alcune colonne di spoglio viene riposta nella propria posizione originaria, per visualizzare una
matrice, una geometria concettuale altrimenti invisibile. Allo stesso modo, due colonne vengono riportate al proprio posto,
come se fossero delle tracce, dei punti di riferimento visivi che restituiscono un senso dello spazio originale, in relazione
simmetrica alle strade che si affacciano sulla piazza. La pietra recuperata dalle demolizioni viene tagliata per dare forma
ad uno scalino, ad una soglia, ad un elemento compositivo della pavimentazione. Lavorando con la rovina della chiesa,
Siza e Collovà sono stati in grado di non attuare un intervento puramente figurativo, ma ripensano agli elementi super-
stiti come parte integrante di un nuovo progetto contemporaneo. Determinati frammenti di ordine classico, come alcune
modanature o capitelli, vengono recuperati e riposti in posizioni didascaliche sulla nuova facciata della Chiesa Madre.
Viene attentamente studiato un raffinato sistema di illuminazione in acciaio (foto n°14) e scolo dell’acqua, che si inserisce
in maniera quasi impercettibile nel complesso. Le costruzioni addossate dietro la chiesa, completamente crollate dopo il
terremoto, vengono ricostruite attorno al nuovo patio dietro l’abside. Quest’ultimo è un giardino pensile pavimentato, il cui
vuoto consente uno spazio di respiro tra la chiesa e le nuove costruzioni in pietra. Il taglio della pietra di Trapani distingue
con finezza l’antico dal nuovo, ma rispetta l’armonia materico-cromatica caratteristica del luogo. Le nuove costruzioni
ospitano il nuovo locale d’accesso al piano inferiore, dotato di una nuova scala, i servizi e i magazzini. Di fronte al fianco
sud della chiesa, quasi attaccate alle pareti di quest’ultima, erano presenti delle abitazioni, crollate con il sisma. Invece di
demolirne le rovine al fine di favorire la progettazione di un nuovo parcheggio, gli architetti scelgono di preservare il muro
perimetrale di pietra, costruendoci all’interno un pergolato (foto n°6) che ricollega la piazza alla quota della strada del
quartiere retrostante la chiesa. Le finestre che bucano il muro del pergolato, in un gioco di equilibrio e contrasti materici
tra la pietra antica e quella nuova, consentono un collegamento visivo con il nuovo patio dietro l’abside della chiesa.
È interessante notare come il materiale grafico per il progetto non ponga l’accento sui volumi edificati, ma insiste sull’or-
ganizzazione dello spazio vuoto, definendo la geometria delle pavimentazioni e il sistema dei dislivelli. Il disegno del
vuoto mostra come quest’ultimo non sia trattato dagli architetti come uno spazio interstiziale residuo, privo di qualità. Al
contrario, è proprio negli spazi vuoti provocati dal sisma che gli architetti trovano le soluzioni più interessanti. Un piccolo
nodo urbano (foto n°8-10 e ridisegno in pianta e sezione) particolarmente riuscito è un vuoto creato dal crollo di alcune
stradine tra un agglomerato di vecchie case, che gli architetti riescono a ricucire tramite una sensibile composizione di
gradini, piattaforme e muri che colmano il vuoto tra le abitazioni, riconnettendole alla strada principale che risale verso la
piazza. È chiaro come nel progetto non esista una reale gerarchia di importanza: lo spazio della piazza e della chiesa è
trattato con la stessa cura di un passaggio tra due case diroccate o di una soglia per entrare nella propria abitazione. La
cura del dettaglio è visibile anche nel disegno delle pavimentazioni, a partire dalle giunzioni dei materiali e dal trattamento
delle superfici. La pavimentazione è continua, circoscrive interni ed esterni (in uno spazio tutto aperto) con soglie invisibili,
i materiali sono diversi e cambiano nei punti di frattura.
L’intervento principale sulla chiesa viene accompagnato dagli interventi per le strade storiche, con l’aggiunta di sette
ingressi al centro storico che definiscono la ramificazione delle strade verso la piazza della chiesa. È singolare come que-
sto progetto riesca a ricucire il tessuto urbano del paese, senza ricorrere a soluzioni spaziali definitive. Si direbbe quasi
che sia proprio l’incompiutezza la chiave di lettura del progetto, che diventa un mosaico di piccoli interventi puntuali e pre-
cisi, frammenti che tuttavia sono in dialogo tra loro. La modalità di intervento scelta rimanda in certi aspetti alla pratica del
Kintsugi, una pratica di restauro giapponese nel quale un oggetto in ceramica viene riparato con metalli preziosi, donando
a questo maggior pregio rispetto allo stato originale. Il progetto gioca, in questa lettura, il ruolo del metallo prezioso nella
riparazione, inserendosi nella frammentazione generata dal terremoto. Siza e Collovà si dimostrano abili nell’intervenire
sempre tramite giustapposizioni, piccoli accorgimenti e gesti minimali che, con delicatezza e intelligenza, legano lo spazio
senza mai demolire niente: le aggiunte “completano” le rovine, ripristinandone il senso simbolico e d’uso, ma esibendo
sempre uno scarto sottile tra l’antico e il nuovo.
I progetti di Siza e Collovà intendono inserirsi in un percorso temporale ampio, nel quale la tinta del tempo partecipa
attivamente, come una pelle protettiva. Le metamorfosi a cui sono sottoposti i diversi materiali di questo paesaggio sono
previste dal progetto, e contribuiscono a integrare ogni elemento nello stesso “tempo”, fino al momento in cui “l’architettu-
ra non si vede più, sparisce completamente come una nuova naturalità” (Bernard Huet).

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1.Vista dall’alto del paese di Salemi

2.Chiesa Madre prima del terremoto 3.Chiesa Madre dopo il crollo e la demolizione parziale

4.Chiesa Madre dopo i primi lavori di messa in sicurezza 5.Vista dalle navate crollate

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1.Schizzi generali sull’approccio al progetto 2.Schizzi sul restauro delle mura della Chiesa

3.Assonometria schizzata degli interventi di “taglio” sul rudere della Chiesa

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1.Veduta dalla via di arrivo alla piazza

2.Veduta dall’alto del progetto 3.Veduta sull’angolo sud-ovest del podio

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4.Corridoi separati sul lato sud della Chiesa 5.Continuazione del corridoio che porta ai blocchi
di servizio sul retro

6.Continuazione del corridoio pergolato 7.Veduta dal retro della chiesa sul blocco dei servizi

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8.Utilizzo della pietra di Trapani per colmare le differenze di quota 9.Scalinata che collega i due corridoi a lato della Chiesa

10.Restauro di un’area completamente crollata 11.Scorcio da dietro il Castello

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12.Restauro di una zona adiacente all’abside che porta dalla Chiesa al nuovo patio con blocco dei servizi

13.Dettagio dell’intervento sulle soglie delle preesistenze 14.Dettaglio della nuova illuminazione pubblica

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1.Assonometria dal retro della Chiesa

2.Assonometria dal fronte della Chiesa

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Planimetria 1:2000

Sezione 1:1000

9 10
11
7 8
12 14

6 13
19

19

1 3 1.Spazio basilicale
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2.Nicchione
3.Abside
4.Nicchione
2 5.6.Nicchia del transetto
17 18 7.Nuova cappella
8.Cappella dell’Immacolata
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16 9.Locale annessi alla sacrestia
10.Servizi igienici sacrestia
19 11.Scala di servizio alla terrazza
12.Vestibolo sacrestia
13.Sacrestia
14.Locale di servizio (sacrestia)
15.16.Passaggio al patio
17.Torre campanaria
18.Patio/Cortile
19.Giardino pensile e locali di servizio

Pianta 1:1000
Tutte le pavimentazioni disegnate in grigio sono anch’esse parte del
progetto, ma per scelta grafica si è deciso di non dare loro colore

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Dettaglio di una scalinata 1:500 Zoom con pianta e sezione sul dettaglio 1:200

Pietra di Trapani

Calcestruzzo

Letto di cemento e sabbia

Dettaglio della sezione delle soglie 1:40

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Dettaglio del podio 1:100 Zoom sul dettaglio del podio 1:20

Dettaglio illuminazione pubblica 1:10

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BIBLIOGRAFIA

A+U Architecture and Urbanism n°347, 1999


(assonometria n°1, schizzi n°3, foto n°4-5)

Casabella n°536, 1987


(Foto storiche n°2-3-4)

Pages paysages: anamorphoses n°191, 1998


(schizzi n°1-2, foto n°8-9, foto storica n°1-5)

Domus n°813, 1999


(foto n°2-11-12-13, assonometrian°2, foto di copertina)

Lotus n°106, 2000


(foto n°3-14-10)

Piazze e Spazi pubbici, architetture 1990-2005,di Pietro Carlo Pellegrini, 2005


(Foto n°1-5-6-7)

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