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IL NOVECENTO DELLE AVANGUARDIE STORICHE: UN SECOLO DI GRANDI SPERANZE E DI STRAORDINARIE DELUSIONI

La necessità di conquistare nuovi mercati e di ridisegnare i confini europei crea le premesse per la Prima guerra
mondiale che, al prezzo di quasi 10 milioni di morti, sancirà definitivamente la fine della Belle Époque, il rovinoso
crollo degli imperi centrali (Prussia e Austria-Ungheria) e il primo affacciarsi sulla scena internazionale della nascente
potenza degli Stati Uniti. Le esperienze artistiche del primo Novecento, dunque, maturano in un clima di incertezza e
contraddizione.
Gli studi che proprio in quel periodo Sigmund Freud stava compiendo sulla psicoanalisi, scoperchiando per la prima
volta il mondo dell’inconscio, del sogno, dei desideri repressi, contribuiscono ad aprire nuovi orizzonti di ricerca:
l’arte inizia a non voler più trovare le sue motivazioni solamente nella realtà visibile (fenomenica) ma ad aprirsi al
campo sconfinato della realtà interiore ed onirica.
Sul piano della ricerca scientifica le elaborazioni teoriche di Einstein stavano dimostrando che spazio e tempo non
sono entità assolute e tra loro indipendenti.
Contemporaneamente stavano dando scalpore anche le riflessioni del filosofo Henri Bergson, secondo il quale
l’energia fondamentale che muove l’universo è quella che lui definisce “slancio vitale”, che consiste in un irresistibile
impulso a creare spontaneamente forme e situazioni nuove e imprevedibili. Il tempo non esiste più come
successione di singoli attimi, ma come durata complessiva, percepibile più intuitivamente che razionalmente.
Visto che i nuovi orizzonti della medicina, della scienza e della filosofia stavano facendo intravedere la possibilità di
infinite realtà parallele, anche l’arte si apre a ricerche e sperimentazioni mai provate prima.
È dunque questo il contesto in cui maturano le cosiddette Avanguardie storiche (termine avanguardia: preso in
prestito dal linguaggio militare), ossia gruppi composti da artisti innovatori che, incuranti di tutto, intuiscono nuove
prospettive di sviluppo artistico e lottano con determinazione per il raggiungimento di nuovi obiettivi. Si associa
l’aggettivo “storiche” perché si fa riferimento ad un arco di tempo relativamente breve e determinato, ben distinto
da tutte le serie di avanguardie che continueranno a fiorire poi lungo tutto il secolo.
Tra le Avanguardie storiche troviamo: l’Espressionismo (spesso considerato parte di questa classificazione), il
Cubismo, il Futurismo, il Dada, il Surrealismo, l’Astrattismo e la Metafisica.

IL CUBISMO
Una delle prime e più significative delle Avanguardie storiche della quale Pablo Picasso e George Braque furono gli
indiscussi padri fondatori.
A differenza dell’arte classica che, per definizione, era perfetta imitatrice della realtà, l’arte cubista pone pittura e
natura sullo stesso piano, nel senso che “la pittura si fa equivalente della natura” nel processo creativo: la pittura
non deve imitare la realtà ma creare una realtà nuova e diversa, non necessariamente simile a quella che tutti
conosciamo, anche se spesso parallela ad essa. “Bisogna avere il coraggio di scegliere, perché una cosa non può
essere insieme vera e verosimile” affermerà Braque.
Verosimile è sicuramente una pittura che ricostruisce prospetticamente e mimeticamente la realtà; vera, al
contrario, è una pittura che non riproduce ciò che si vede ma che dà forma a nuove realtà, che restituisce una
percezione istintiva della realtà: la rappresentazione di un oggetto deve andare oltre quella prospettica e visiva
(concezione chiara e ordinata del mondo, misurabile, finito e fatto a misura d’uomo della concezione rinascimentale)
e indagare invece quella realtà fatta di flussi disordinati, di frammenti in cui neanche spazio e tempo possono più
considerarsi parametri assoluti. Quindi, non solo ciò che si vede, ma ciò di cui si fa esperienza, ciò che si vive e si può
conoscere nella sua vera essenza, senza l’inganno della visione puramente ottica e delle convenzioni di
rappresentazione classica (vedi disegni dei bambini).
Il fattore tempo, quello che loro chiamano “la quarta dimensione” inizia ad avere grande importanza nella pittura,
così come lo ha nelle nostre vite: il pittore cubista immagina di camminare intorno all’oggetto, di ruotare intorno ad
esso, per conoscerlo meglio, per comprenderlo. Infatti, non ne coglierà solo un aspetto, univoco e limitato, ma ne
percepirà diversi in successione. Per assumere più punti di vista è necessario muoversi intorno all’oggetto e per
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muoversi si impiega del tempo, appunto. Si rappresentano, così, contemporaneamente momenti diversi di una
medesima scena.
Il nome stesso del movimento viene dall’uso di “scomporre” la realtà in piani e volumi elementari (come cubi,
appunto). Riprendendo alcuni commenti negativi di Matisse, il critico Louis Vauxcelles (quello che aveva già coniato
in senso dispregiativo il termine Fauves) definì ironicamente alcuni paesaggi di Braque come composti da banali
cubetti. E come per l’Impressionismo, anche il Cubismo prese questa definizione dispregiativa di “Cubismo” e ne fece
la bandiera della più grande rivoluzione artistica del secolo.
La data ufficiale di inizio del movimento si fa convenzionalmente
risalire al 1907, anno nel quale Picasso dipinge le Demoiselles
d’Avignon. In quello stesso anno, poi, si tiene a Parigi una grande
mostra retrospettiva dedicata a Cezanne, morto l’anno prima, la cui
pittura sarà considerata un punto di inizio fondamentale della loro
ricerca artistica.

Il periodo di massimo
splendore del movimento,
quando l’amicizia tra Braque
e Picasso diventa così
intensa che le rispettive
opere diventano quasi
indistinguibili, inizia nel
1909. È la prima fase del
Cubismo, detta “Cubismo
analitico”, che consiste nello
scomporre i semplici oggetti
dell’esperienza quotidiana
(bottiglie, bicchieri, pipe, ecc) secondo i principali piani che li compongono.
Questi piani vengono ruotati, incastrati, sovrapposti e alla fine distesi e
ricomposti sulla tela. I colori, in questa fase, sono generalmente terrosi e di
tonalità neutre, in modo da non interferire con la comprensione delle forme.
Come esempio, vedi qui a fianco l’opera di Braque, “Violino e brocca” del 1910.
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Tra il 1912 e il 1913 Braque e Picasso indirizzano la loro ricerca verso una
ricomposizione degli oggetti che precedentemente avevano
frammentato, in oggetti nuovi e spesso fantastici che, seppur
mantengano un rapporto con quelli originali, vivono una loro realtà
autonoma, caratterizzata da colori brillanti e antinaturalistici. Siamo nella
fase del cosiddetto “Cubismo sintetico” in cui si mette in pratica quella
innovativa equivalenza tra pittura e natura, in cui l’artista crea delle
forme e situazioni che non hanno più alcun rapporto con quelle già note,
sebbene rimanga sempre una certa riconoscibilità dell’oggetto. Un
esempio è l’opera di Picasso (qui a fianco) intitolata “I tre musici”, in cui
egli distende i colori su piani ampi e piatti, in una visione rigorosamente
frontale e bidimensionale.

Tipici di questa fase “sintetica” sono anche le tecniche del papiers collés e del collage (inventati proprio da Braque e
Picasso), strumenti espressivi che verranno poi ripresi in varie esperienze artistiche del primo dopoguerra, in primo
luogo dal Surrealismo. Nel caso dei papiers collés vengono applicati sulla tela ritagli di giornale e carte da parati. Nel
collage invece si usano materiali eterogenei: stoffe, paglia, gesso e legno.
Con queste tecniche i due artisti riescono a scindere la forma dal colore.
A destra, “Vaso e bottiglia di Suze”, 1912-13, di Picasso.

Lo scoppio della Prima guerra mondiale


metterà improvvisamente fine alla grande
stagione del Cubismo. Braque è chiamato al
fronte e quando verrà congedato, nel 1916,
tornerà a Parigi da Picasso, dove quest’ultimo
aveva continuato a lavorare autonomamente;
le loro strade sono ormai divise.

PABLO PICASSO (1881 – 1973)

Pablo Diego Josè Francisco de Paula Juan


Nepomuceno Crispin Crispiano de la Santisima
Trinidad Ruiz y Picasso è il complicatissimo
nome di colui che è passato alla storia
semplicemente come Picasso (scegliendo il
cognome materno).
«In antico, venendo probabilmente da Genova,
la famiglia Picasso passò in Spagna attraverso
Palma de Mallorca. La famiglia della madre era una famiglia di argentini. La madre, come Picasso, è fisicamente
piccola e robusta, con un corpo vigoroso, pelle scura, capelli quasi neri, lisci e forti: suo padre, come Picasso diceva
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sempre, somigliava a un inglese, cosa di cui Picasso e suo padre andavano fieri. Era alto, con capelli ricci e un modo
di imporsi quasi all'inglese» (Gertrude Stein)

 Picasso si avviò giovanissimo al mestiere di pittore durante il proprio apprendistato presso il padre, Don Josè,
realizzando, all’età di soli 7 anni, il suo primo dipinto, “Il Picador”: ne seguirono molti altri, tutti caratterizzati da
un'eccezionale abilità tecnica che si dice abbia spinto uno sbalordito Don José, ormai superato dal giovane allievo
Nel 1891 Picasso frequenta la Scuola d’ Arti e Mestieri di La Coruña, in Galizia,
ma già nel 1895 viene ammesso all’ Accademia di Belle Arti di Barcellona,
città alla quale rimarrà sempre legato, tanto da sentirsi catalano nel profondo
dell’anima. Due anni dopo frequenta anche la Real Academia de Bellas Artes
de San Fernando di Madrid. D’animo fantasioso, irrequieto e indipendente,
l’artista si affranca ben presto dalla famiglia e, nonostante la giovanissima
età, compie numerosi viaggi nell’ amata Catalogna. Una volta tornato a
Madrid frequenta assiduamente il Museo del Prado, applicandosi in modo
particolare allo studio dei grandi pittori spagnoli del passato: soprattutto
Velázquez e Goya. Nell’ottobre del 1900 Picasso, non ancora ventenne, si
reca per la prima volta a Parigi ritornandovi l’anno successivo e restandovi
poi per quasi mezzo secolo. Seguiranno, in rapida e operosa successione, i
periodi più significativi e rivoluzionari della sua ricerca artistica. Alla fine del
primo conflitto mondiale Picasso alterna a grandi dipinti monumentali vivaci
riprese cubiste, interessandosi, nel frattempo, anche alla grafica e alla
scenografia e curando allestimenti teatrali di successo in Francia e in Italia. Nel 1925 partecipa alla prima mostra
surrealista alla Galerie Pierre di Parigi e negli anni Trenta allarga
l’esperienza surrealista anche alla scultura, introducendo
fantasiose costruzioni in filo di ferro o in materiali eterogenei. La
sua ricerca, infatti, non conoscerà interruzioni fino a tarda età,
quando, ormai universalmente celebrato e famoso, continuerà
febbrilmente a sperimentare tecniche, azioni e materiali sempre
nuovi e diversi. Morirà a Mougins, in Costa Azzurra, nel 1973.

Dal Periodo blu al Cubismo:


Inizialmente lo stile del giovane Picasso oscilla tra l’ammirazione
per Cézanne e le generiche tematiche impressioniste e
postimpressioniste, come ben si evidenzia nella Bevitrice di
assenzio, un olio parigino del 1901 nel quale sono ancora evidenti
sia l’allusione a Degas – allora quasi settantenne – sia l’omaggio a certe figure di “donne perdute” di Toulouse-
Lautrec. Nell’autunno di quello stesso anno, però, la sua pittura conosce una prima decisiva svolta, conseguente
anche all’emozione suscitatagli dal suicidio per amore dell’amico poeta Carlos Casagemas (1880-1901). Picasso,
infatti, inaugura il cosiddetto «Periodo blu», che si protrarrà fino a tutto il 1904. Come suggerisce la definizione, si
tratta di un tipo di pittura giocato tutto sui colori freddi (blu, azzurro, grigio, turchino), quasi che gli occhi dell’artista
fossero velati da un cristallo azzurrato e il suo cuore da una perenne malinconia. Anche i temi, di conseguenza,
attingono a un repertorio di personaggi poveri ed emarginati, segnati dal dolore e sconfitti dalla vita. (opera: “Poveri
in riva al mare”, 1903).

A partire dal 1905, invece, la tavolozza di Picasso cambia improvvisamente tono e alla mestizia desolata degli azzurri
subentrano le più tiepide gradazioni dei rosa, degli ocra e degli arancio. Ha così inizio il secondo, importante
momento della sua maturazione artistica: il cosiddetto «Periodo rosa», appunto. Questa fase, di intensa produzione
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ma di breve durata (si concluderà in poco più di un anno, alla fine del 1906), costituisce la logica prosecuzione di
quella precedente. Al mondo degli sfruttati e degli emarginati del periodo blu si sostituiscono ora soggetti ripresi in
prevalenza dall’ambiente del circo e dei saltimbanchi. (opera: “Famiglia di saltimbanchi”, 1905).

Gli ultimi mesi del 1906 segnano i il cosiddetto «periodo africano», allora definito anche «epoca negra», nel corso
del quale Picasso si interessa in modo approfondito alla scultura rituale africana e polinesiana, che i fiorenti
commerci con le colonie avevano contribuito a diffondere in molti ambienti intellettuali parigini. In queste opere,
spesso ingenue ma di grandissima espressività, egli ricerca le testimonianze di un’umanità spontanea e incorrotta,
non ancora contaminata dalla troppa ideologia e dai condizionamenti sociali e culturali della tradizione occidentale.
La contiguità formale con alcuni prototipi africani, dei quali lo stesso Picasso era attento collezionista, è evidente in
molti suoi studi di quegli anni, nei quali lo stiramento verticale dei volti e la scomposizione dei volumi preludono
direttamente alla successiva svolta cubista. Nel 1907, infine, l’artista espone Les Demoiselles d’Avignon, opera
considerata la capostipite
indiscussa del movimento
cubista.

Les Demoiselles d’Avignon


(1907)
È un olio su tela, realizzato nel
1907, che misura cm 244x234,
oggi conservato
nel MoMA di New York. Il
quadro, per il quale Picasso creò
oltre un centinaio di studi
preparatori e schizzi, mostra
cinque prostitute in
un bordello di calle Avignon,
a Barcellona. Quando fu esposto
per la prima volta nel 1916, il
quadro fu tacciato di immoralità.
Partendo dalle solide volumetrie
di Cézanne, Picasso semplifica le
geometrie dei corpi e

coinvolge in tale semplificazione anche lo spazio.


Quest’ultimo, infatti, invece di essere inteso come una
serie di rapporti tra le varie figure, viene esso stesso
materializzato e dunque diviene un oggetto al pari degli
altri, da scomporre secondo i taglienti piani geometrici
che lo delimitano. Lo stesso procedimento viene
applicato anche alla natura morta con frutta e tovagliolo,
posta sul tavolino al centro in basso, dove non si
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percepiscono più rapporti spaziali coerenti e tutto viene squadernato davanti agli occhi di chi osserva in modo
immediato e indifferenziato. Anche le figure femminili
non risultano più immerse nello spazio ma da esso
compenetrate e, a parte il colore rosato dei nudi,
sembrano essere costituite della stessa materia solida,
cosicché ogni differenza tra contenuto (i personaggi) e
contenitore (lo spazio) viene automaticamente
annullata. Mentre nella realizzazione dei volti delle
figure centrali Picasso si ispira alla scultura iberica, quelli
dei due personaggi di destra risentono dell’influsso delle
maschere rituali dell’Africa nera. Si pensa che il pittore
fauves, Maurice Vlaminck, lo abbia introdotto all'antica
scultura africana di tipo Fang nel 1904. In un caso e
nell’altro vengono stravolte non solo tutte le regole
della prospettiva ma anche quelle del senso comune,
che sottintende sempre un punto di vista unico. Le
apparenti incongruenze sono però finalizzate a una
nuova e diversa percezione della realtà, non più visiva,
come era sempre stato fino ad allora, ma mentale: cioè
volta a rappresentare tutto quello che c’è e non solo
quello che si vede. In questo senso non deve dunque
meravigliare se di un personaggio si vedono
contemporaneamente due o più lati: è come se vi si
girasse attorno tentando poi di ricostruire le varie
vedute sovrapponendole l’una all’altra.

Cubismo analitico:
Il Ritratto di Ambroise Vollard (1909-10)
Risale al 1910 ed è tra i più significativi del periodo del Cubismo analitico, pur ricalcando con impressionante
puntigliosità un analogo ritratto eseguito da Cézanne circa un decennio prima. Vollard, collezionista e mercante
d’arte, è uno dei molti amici di Picasso che si prestano a posare per un ritratto cubista. Osservando l’opera appare
subito evidente come l’artista miri più al contenuto che all’apparenza, rinunciando a qualsiasi tipo di verosimiglianza
fotografica. Ciò non significa rifiutare in assoluto il concetto di ritratto ma, al contrario, impone di scavare più in
profondità nella psicologia del modello, mettendone in luce solo le caratteristiche veramente significative al fine
della conoscenza. E non della conoscenza esteriore e formale che avviene tramite gli occhi, della quale si
accontentavano gli Impressionisti, ma di una conoscenza profonda, che va all’essenza stessa della realtà. La
composizione è minutamente frastagliata e sia il personaggio sia lo sfondo sono posti sul medesimo piano, a
interagire con uno spazio frammentato e quasi esploso secondo le stesse regole degli altri elementi. Ecco allora che
dalla materia indistinta dello sfondo fuori escono e prendono, poco a poco, forma la spaziosa fronte calva del
collezionista, una bottiglia appoggiata sul tavolo dello studio, un libro sullo scaffale, il giornale che Vollard sta
leggendo, ma anche innumerevoli altri dettagli, quali un bottone del panciotto, il fazzoletto nel taschino, la manica
destra della giacca. In assenza di qualsiasi riferimento prospettico i concetti di davanti e dietro perdono ogni
significato, per cui non desta meraviglia, ad esempio, che il giornale non copra la giacca e che anche libro e bottiglia
fluttuino sullo stesso piano spaziale. Nonostante questo, Picasso dimostra un’attenzione lucida e assolutamente
concreta a ogni minimo particolare della realtà e proprio quando l’opera, nel suo insieme, sembra quasi dissolversi,
egli ne ribadisce con prepotenza la solidità.
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Cubismo sintetico:
Natura morta con sedia impagliata (1912)
La difficoltà di interpretazione dei loro dipinti è un problema che sia Braque sia Picasso si sono sempre posti,
entrambi attenti a che la loro pittura non sconfinasse mai nell’astrazione, cioè in qualcosa di puramente mentale,
senza più alcun rapporto concreto con la realtà. È per questo che nel periodo del Cubismo sintetico i due artisti
incominciano a introdurre nelle loro opere anche lettere dell’alfabeto e numeri. In questo modo ogni ipotesi di fuga
verso l’astrazione viene volontariamente bloccata dall’immediata riconoscibilità di questi elementi, subito
riconducibili alla concretezza del quotidiano. Sempre al fine di radicare nella realtà la propria pittura, Picasso adotta
la tecnica del collage, cioè dell’incollaggio sulla tela di materiali eterogenei che saranno in grado, meglio di qualsiasi
pittura, di richiamare direttamente alla mente gli oggetti reali in quanto reali essi stessi. Il primo e uno dei più
significativi collage di Picasso è la Natura morta con sedia impagliata, realizzato nel 1912. L’opera rappresenta una
natura morta ambientata all’interno di un caffè parigino. Sulla destra vi sono una fetta di limone e un’ostrica, al
centro un bicchiere scomposto analiticamente, a sinistra si riconoscono un giornale e una pipa. Gli inserti pittorici
sono realizzati con colori a olio della gamma dei bruni, perfettamente intonati al ritaglio di tela cerata che
rappresenta con realismo fotografico l’impagliatura di una sedia del tempo. Anche se può apparire quasi come un
gioco, l’operazione compiuta da Picasso è invece estremamente colta e raffinata. La finta paglia di Vienna riprodotta
sulla tela cerata sta a rappresentare una sedia vera. Dunque, il soggetto (la paglia) è falso, ma il materiale (la tela
cerata) è vero. Entrambi sono però falsi quando vogliono rappresentare una sedia. In questo modo l’artista distrugge
ogni illusionismo pittorico dimostrando con immediatezza quanto labile sia la differenza tra realtà e
rappresentazione. La sostanziale monocromia dell’insieme, la forma insolitamente ellittica (comune anche ad altre
opere cubiste del periodo) e la semplice corda usata al posto della cornice rappresentano altri richiami intenzionali al
problema della forma che si fa materia e della materia che prende forme nuove ed estranee alla sua natura.

Guernica (1937)
Il 26 aprile 1937, nel pieno della guerra civile
spagnola che i franchisti, sostenuti dalle forze
nazifasciste di Germania e Italia, avevano scatenato
contro il legittimo governo del Paese, Picasso è
sconvolto dalle notizie sul bombardamento della
cittadina basca di Guernica. All’ottusa furia
sterminatrice di quell’azione terroristica, rivolta
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soprattutto contro la popolazione inerme, nel giorno del mercato, l’artista – allora a Parigi – risponde realizzando in
appena due mesi l’enorme tela intitolata appunto Guernica, vero e proprio atto d’accusa contro la guerra e la
dittatura. La posizione politica di Picasso, del resto, è sempre stata convintamente democratica e antifascista, tanto
che nella Germania nazista alcune sue opere vennero pubblicamente bruciate sulle piazze come esempio negativo di
«arte degenerata».

L’opera, le cui fasi di esecuzione furono tutte documentate fotograficamente da Dora Maar, venne simbolicamente
presentata nel Padiglione spagnolo dell’Esposizione Universale di Parigi del 1937 e in tutto il mondo libero destò uno
scalpore e una commozione pari solo all’indifferenza derisoria con la quale venne invece giudicata nella Germania di
Hitler e nell’Italia di Mussolini.
Guernica, che già nelle sue dimensioni (circa 3,5 metri di altezza e quasi 8 di lunghezza) denuncia la propria funzione
di manifesto ideologico e politico, fatto per essere contemporaneamente osservato dal numero di persone più
grande possibile, costituisce uno dei punti di sintesi più alta e ispirata di tutta l’arte picassiana. Il dipinto rappresenta
il drammatico momento del bombardamento. Il colore, sinonimo di vita, viene abbandonato in favore di
un’omogenea gamma di grigi e azzurri su fondo antracite; le figure appaiono come spettri urlanti, illuminate
all’improvviso dai bagliori sinistri delle esplosioni. La composizione, apparentemente caotica, è invece organizzata in
tre fasce verticali: le due laterali sono più strette, fra loro uguali e simmetriche rispetto a quella centrale; in
quest’ultima, molto più larga, è ammassato il maggior numero di personaggi, nella disposizione dei quali prevalgono
allineamenti fortemente geometrizzati, attorno alla figura gigantesca d’un cavallo ferito che fugge impaurito.
L’ambientazione è contemporaneamente interna (come si deduce dal lampadario appeso in alto, quasi al centro del
dipinto) ed esterna (come è invece suggerito dagli edifici in fiamme all’estrema destra). Questa contemporaneità di
visione non è solo cubista, ma vuole rendere con violenta immediatezza la tragedia del bombardamento, che
all’improvviso sventra e demolisce interi palazzi sparpagliando impietosamente all’aperto anche gli oggetti più intimi
di ogni famiglia. In questo spazio caotico e indifferenziato uomini, donne e animali fuggono e urlano come impazziti,
sovrapponendosi e compenetrandosi, accomunati dallo stesso dolore e dalla stessa violenza. All’estrema sinistra
della composizione una madre lancia al cielo il suo grido straziante mentre stringe fra le braccia il cadavere del
figlioletto, nel quale il naso rovesciato costituisce il tragico indizio della morte appena sopraggiunta. Dal lato opposto
della tela le fa eco l’urlo disperato di un altro personaggio femminile che, fra gli edifici in fiamme, alza urlando le
braccia al cielo in segno di orrore e disperazione. Al centro il cavallo ferito, simbolo del laborioso e onesto popolo
spagnolo, nitrisce dolorosamente protendendo verso l’alto una lingua aguzza come una scheggia di vetro. Ovunque
sono morte e distruzione, sottolineate da un disegno duro e quasi tagliente, che rende anche i raggi di luce del
lampadario altrettante piccole spade acuminate. Chi può cerca di fuggire, come la donna che, dall’angolo inferiore
destro, si slancia diagonalmente verso il toro, all’angolo superiore sinistro, simbolo di violenza e bestialità. Nella
parte destra della fascia centrale del dipinto un’altra donna si affaccia disperatamente a una finestra reggendo una
lampada a petrolio, simbolo della regressione alla quale la guerra inevitabilmente conduce. Al suolo, tra le macerie,
si assiste all’orrore dei cadaveri straziati. A sinistra una mano protesa, con la linea della vita simbolicamente spezzata
in minuti segmenti. Sempre in basso, esattamente al centro, un’altra mano serra ancora una spada spezzata, sullo
sfondo di un fiore intatto, simbolo della vita e della ragionevolezza che, nonostante tutto, avranno comunque la
meglio sulla morte e sulla barbarie. In questo dipinto, preceduto da almeno una cinquantina di schizzi e bozzetti
preparatori, Picasso riesce mirabilmente a superare e fondere Cubismo analitico e Cubismo sintetico. Tutto è
movimento, convulsione, dramma. Quelle bocche digrignate rivolte al cielo urlano dolore e vendetta e il brusco
alternarsi di luci (bianco) e ombre (nero e l’intera gamma dei grigio-azzurri) sottolinea il sinistro susseguirsi delle
esplosioni, il caotico spargersi della polvere e delle macerie e l’improvviso divampare degli incendi. In questo
rendere udibile, attraverso i soli strumenti della pittura, il rombo della guerra e le grida delle vittime innocenti stanno
tutto il carattere e la grandezza del Picasso maturo, che non esita a schierarsi con la democrazia e la civiltà, contro
ogni forma di fascismo e di dittatura. E ancora una volta torna straordinariamente attuale l’insegnamento di
Francisco Goya, verso il quale l’artista andaluso non ha mai cessato di sentirsi intimamente debitore: «Il sonno della
ragione genera mostri».
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