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“La pittura è una storia italiana”


Prima che la pittura ritorni: 1959–1979

Francesco Lo Savio a lavoro sui Filtri nello studio, Roma, 1961. Courtesy Collezione privata.
Parte prima
di Laura Cherubini e Andrea Viliani

Partendo da una citazione di Gino De Dominicis,


Laura Cherubini e Andrea Viliani percorrono la storia
della pittura in Italia tra il 1959 e il 1979.
Flash Art ospita questo
primo testo manifesto,
inizio di un percorso
editoriale a due capitoli.

una premessa (antropologica)


“La pittura è una storia italiana”1, era solito ripetere
Gino De Dominicis. L’affermazione, apparentemente
o ironicamente “provinciale”, è invece una riflessione
sulla specificità dell’arte italiana e sul ruolo oggettivo
che vi riveste la pratica pittorica. Esiste infatti, per
De Dominicis, nell’arte italiana, una vocazione quasi
antropologica alla pittura. De Domininicis stesso
– i cui dipinti saranno perlopiù composti da pochi,
essenziali elementi quali matita, tempera, tavola –
sosteneva che la grande tradizione dell’arte italiana
era quella, delicatissima e sublime, della tempera
su tavola. E, già negli anni Settanta, l’artista aveva
ricomprato tele e pennelli a tutti gli amici, fra cui
Sandro Chia e Mimmo Germanà, molto prima che
si iniziasse a parlare di “ritorno alla pittura”.
In principio era l’immagine (non il “verbo”) è del
resto il titolo del quadro del 1981, il primo che De
Dominicis torna ad esporre nel 1982 alla galleria
Gian Enzo Sperone a Roma, poi pubblicato sulla
copertina di Flash Art no. 183, giugno 1986. I colori
sono, insieme al bianco e al nero, quelli primari della
pittura: rosso, giallo e blu. L’immagine è un orante
sumero, ma anche un autoritratto, come sosteneva Carla Accardi, Tenda, 1965-66. Vernice su sicofoil su struttura in
Elisabetta Catalano, o la cantante nazional-popolare perspex. 215 × 220 × 214 cm. Veduta dell’installazione presso Musée
Mina, come sosteneva l’amico pittore Nicola De d’Art Moderne de la Ville de Paris, Parigi, 2002. Courtesy Archivio
Maria. Esposto originariamente accanto a un Accardi Sanfilippo, Roma.
cesso... il quadro, se è un grande quadro, è appunto
un grande quadro, mentre un cesso, con buona pace di del disegno alla sua articolazione tridimensionale come
Marcel Duchamp (e Maurizio Cattelan?), resta pur sempre sottolinea lo stesso De Dominicis: “il disegno, la pittura,
solo un cesso... De Dominicis non amava l’Arte concettuale la scultura, non sono forme di espressione tradizionali,
e la sua pratica di deviare dall’oggettività dell’immagine, ma originarie, quindi anche del futuro... materiali, immobili
di de-contestualizzare un objet trouvé per trasformarlo e muti, sono ontologicamente l’opposto di tutti gli altri
in opera d’arte (“il termine arte concettuale, di origine linguaggi artistici”.
americana, in Italia è molto piaciuto, forse perché ricorda Né un ritorno all’ordine né un attraversamento del tempo
nomi di persona molto diffusi come Concetta, Concezione, con le sue varie avanguardie, la pittura è un modo
Concettina”). Ma amava il pictor maximus Giorgio de originariamente e ontologicamente consapevole per
Chirico, Ottone Rosai, Antonio Donghi, di cui prediligeva andare oltre il tempo, il limite dell’esperimento linguistico,
il Giocoliere (1936), una figura che stranamente gli somiglia le strategie della citazione e dell’appropriazione... uno
e che tiene in bilico un cappello a cilindro su un sigaro, strumento che è il destino stesso dell’arte, e in particolare
prefigurazione della sua asta in bilico Equilibrio (1967). dell’arte italiana. Ne consegue che la pittura – espressione
Il passaggio dalle opere che non alludono ma rappresentano originaria e ontologica e, antropologicamente, una storia
concetti, intorno alla fine degli anni Settanta, permette a De italiana – verosimilmente era sempre stata presente, e
Dominicis di mettere a punto la più perfetta macchina del quindi praticata, anche fra il 1959 e il 1979: ovvero, da un
tempo, che per l’artista è proprio la pittura, dalla tracciatura lato, anche dopo la fine della Pittura informale e, dall’altro,
anche prima che si parlasse del cosiddetto “ritorno alla italiana, l’Amor Sacro e Amor Profano o la nuda modella, 38
pittura”... Due decenni in cui invece – secondo categorie Carlotta Chabert, di Francesco Hayez... Una vera e propria
critiche e storiografiche date per certe, come per esempio folgorazione è, per Accardi, quella della trasparenza e
l’opposizione fra Arte povera e Transavanguardia – della malleabilità del sicofoil. La sua pittura di segno si
sembrerebbe che la pittura non sia stata in Italia il fulcro di fa progressivamente scrittura ambientale, introducendo
alcune delle pratiche artistiche più radicali – e radicate. La nell’opera lo spazio intorno, rivelando la struttura della tela,
storia di questi due decenni fantasmatici di pittura italiana facendosi ambiente pittorico abitabile. La materia stessa
è proprio quella che abbiamo deciso di raccontare, di nuovo. del sicofoil, nelle sue sovrapposizioni, sostituisce il segno
Una storia che sarà pubblicata in alcuni capitoli su Flash Art, pittorico o lo confina in mere gocciolature, strofinamenti,
la rivista che a partire dal 1967 si è definita come uno degli tamponature ai bordi, sul telaio: dimenticare e mettersi in
organi ufficiali delle tante storie della pittura italiana... salvo, pittura senza pittura: come dichiara l’artista “il segno
passò alla scomparsa, come se si distruggesse e tu non
in principio: segno, gesto, materia potessi fare più niente”. Entriamo allora nella Piccola tenda
“Segno, gesto, materia” è il titolo di una mostra sulla pittura (1966) di Accardi e osserviamo il mondo che traspare
europea, a partire dalle avanguardie storiche, che si tenne attraverso di essa – come in nuce nelle opere coeve, fra
presso la galleria di Paolo Sprovieri a Roma nel 1977, data altri, di Antonio Sanfilippo e Achille Perilli, o Piero Dorazio:
che si colloca pressoché alla fine della nostra storia. Eppure vibrazioni fra segno, colore, luce, superficie e ambiente
questo titolo sembra una perfetta metafora di quelle che che trasformano la pittura in un fisico “impatto percettivo”
sarebbero state assunte, verso la fine degli anni Cinquanta, (Alberto Boatto, Filiberto Menna).
come le tre figure-matrici della pittura a venire: Giuseppe
Capogrossi (“segno”), Lucio Fontana (“gesto”), Alberto Burri azimuth e azimut: verso una pittura oggettuale,
(“materia”). E che anche noi assumiamo come incipit del ambientale e performativa
nostro racconto, che inizia intorno al 1959, quando ormai si Tra il 1959 e il 1960 a Milano erano state fondate la rivista
avviava a conclusione l’epoca della Pittura informale. Azimuth e la galleria Azimut, piattaforme nevralgiche anche
da un punto di vista teorico (tra i collaboratori Vincenzo
astrazioni nello spazio Agnetti, Bruno Alfieri, Guido Ballo e Gillo Dorfles) di un nuovo
Emersi dalla furiosa battaglia pensiero sul monocromo. Negli Achrome di Piero Manzoni
astrazione-realismo dei la monocromia, realizzata
decenni precedenti alcuni con un bagno nel caolino,
pittori procedono oltre, riveste non solo la tela,
configurando intuizioni tanto che si autodetermina nelle
fondanti quanto premonitrici. sue grinzature, ma anche
Osservando un’opera l’oggetto (michette di pane,
come Absurdes Berliner sassi), mentre l’ovatta si
Tagebuch (1964) – sette auto-presenta, bianca di per
plurimi realizzati a Berlino sé. Il 24 aprile 1961 Manzoni
ed esposti per la prima volta presenterà a Roma le sue
a Documenta III a Kassel, in sculture viventi, estendendo
cui, intersecando i differenti la pittura verso l’azione,
piani, la pittura invade lo concettuale e auto-ironica
spazio tridimensionale – si – possibile preannuncio
può intuire quanto Emilio dell’ironia de-dominicisiana
Vedova abbia contribuito, verso il concettuale (è
fin dall’inizio della nostra così che Manzoni firma
storia, alla riscoperta Neo- Fabio Mauri, Schermo-Disegno, 1957. Tempera su carta. anche la Scarpa destra di
espressionista della pratica 70 × 100 cm. Courtesy Estate di Fabio Mauri e Hauser & Wirth Mario Schifano e la Scarpa
pittorica avvenuta in area Hong Kong / Londra / Los Angeles / New York / Somerset / destra di Franco Angeli). I
tedesca un decennio dopo. St.Moritz / Gstaad / Zurigo. coevi monocromi di Enrico
Nella tradizione italiana la Castellani sono invece
pittura non sta mai al suo posto, all’interno della cornice bassorilievi centinati fra intro- ed estro-flessione e campiti
e della superficie bidimensionale della tela, ma pervade da un solo colore. Quando vi compariranno elementi micro-
l’esperienza spaziale dell’osservatore: il mondo intero, per architettonici essi espanderanno ulteriormente la tela fino
l’artista italiano, come il veneziano Vedova, è pittura. a suggerire la possibilità di un vero e proprio ambiente di
Un salto nello spazio che Giulio Turcato traduce, nella pittura (Ambiente bianco, 1967, esito che sembra raccogliere
dinamica naturale-artificiale, inglobando nella pittura gli il testimone degli Ambienti spaziali di Fontana, 1949-1968).
oggetti comuni del quotidiano: cieli stellati di carta carbone Ma, come vedremo, il rapporto pervasivo e immersivo fra
e aspirine, superfici lunari in gomma piuma o tele che monocromo e spazio-tempo pittorici non finisce qui, così
aprono lo sguardo ai colori Oltre lo spettro che solo gli come il rapporto fra pittura e dimensione performativa.
astronauti avevano potuto osservare. La leggerezza volubile
e versatile di questi dipinti – che non glorificano l’oggetto ma dal monocromo al quadro- oggetto
lo essenzializzano impastandolo nella pasta pittorica – sarà Monocromi sono i dipinti realizzati con un solo colore
un punto di riferimento sia per gli artisti della malintesa Pop da molti giovani artisti che, fra la fine degli anni Cinquanta
art romana sia, in seguito, per De Dominicis o gli artisti della e l’inizio degli anni Sessanta, scelgono l’azzeramento
cosiddetta Transavanguardia, come Enzo Cucchi. quale via d’uscita da quel confuso pasticcio che era per
Evolvendo dalla storia ormai conclusa del Gruppo Forma, loro diventata la pittura. “Bisogna azzerare tutto, bisogna
le svolte di Carla Accardi deriveranno anche negli anni superare l’informale, perché si fanno la pittura addosso”,
Sessanta dalla scoperta del materiale, come era già era il leitmotiv, riassunto da Giuseppe Uncini, mentre Mario
accaduto per le plastiche di Burri e accadrà per il plexiglass Schifano affermava “o uno andava nelle strade e guardava
di Mario Schifano o il metacrilato di Gino Marotta, materiali i cartelloni pubblicitari, o andava nelle gallerie e vedeva i
tecnologici e attuali che la loro pittura rende atemporali: quadri informali”. Il monocromo nasce da un rapporto di
le iterazioni di Marotta racconteranno, per esempio, affinità materica e oggettuale con la città moderna, per
sub specie-metacrilato la storia degli alberi della pittura esempio la Roma che si preparava alle Olimpiadi del 1960,
39 con il Villaggio Olimpico in costruzione (all’inizio la materia esistita una Pop art italiana? Nel rispondere ci si troverà
del monocromo è in effetti il cemento: alla Galleria Appia a ri-definire le caratteristiche più identificative che hanno
Antica nel 1958, Piero Manzoni presenta opere di stoffa e reso queste opere tra i più bei dipinti della storia della
gessi e Francesco Lo Savio i Filtri, mentre Schifano opere pittura italiana: e per farlo occorre ripartire dal monocromo
con cemento e graffiti su juta, e Uncini il primo cemento e giungere, attraverso la sua evoluzione prima in quadro-
armato con l’ultima striscia di pittura, secondo la oggetto e poi in ambiente pittorico totalizzante, al ruolo
testimonianza di Uncini stesso). critico che vi ricopre la ricomparsa dell’immagine.
Oltre la bidimensionalità pittorica opera alla fine degli anni Nel 1960, in occasione della mostra che per la prima volta li
Cinquanta anche Salvatore Scarpitta che, partendo dalle riunisce tutti insieme, alla galleria La Salita di Gian Tomaso
estroflessioni dei Gobbi di Burri, individua nel quadro un campo Liverani, Pierre Restany definisce Angeli, Festa, Lo Savio,
oggettivo di tensioni in cui fasce e bende che si avvolgono Schifano e Uncini “ces jeunes pragmatistes romains”, mentre
intorno al telaio, inizialmente dipinte e poi lasciate monocrome, Menna annota: “Li accomuna lo stesso bisogno di andare oltre
aprono fra loro quelle fenditure che hanno fatto pensare le ultime esperienze dell’informale. Il loro maestro è Burri, di
a Dorazio che Fontana vi abbia intravisto l’idea dei Tagli. cui ovviamente essi non cercano i ‘contenuti’, l’irripetibile storia
Nello stesso momento Mimmo Rotella sperimenta il dell’anima, ma le nuove possibilità di linguaggio che l’artista
décollage mimando il gesto di chi strappa il manifesto in ha aperto con l’impiego di materie pressoché inedite, con il
strada per scoprire che – sotto quella superficie in cui si suo ordine mentale e la compostezza della forma in cui la sua
deposita l’iconosfera urbana – c’è un palinsesto di immagini angoscia esistenziale si rapprende e decanta”.
e materia che, se rovesciata, genera un auto-monocromo, Nel definire questo nuovo immaginario dichiara ancora
nella forma del Retro d’affiche. Angeli: “Non potevo fare una pittura illustrativa perché non
Rendendo fra loro indivisibili l’analisi dei nascenti strumenti ne ero capace, quindi presi delle immagini già esistenti”
della comunicazione di massa e l’analisi del nuovo ma che al tempo stesso “fossero nascoste, perché a
monocromo, Fabio Mauri realizza i suoi primi Schermi furia di vederle nessuno ci faceva più caso”. La riscoperta
fra il 1957 e il 1958: “Lo ‘schermo’ non è un monocromo: spiazzante delle immagini che poco a poco emergeranno
sono due... In senso stretto non ricopre di sé il mondo. dai monocromi di Angeli, Schifano e Festa... rende le loro
Né è una materia a cui lo riduce. Il suo intento, minimo o immagini al contempo dialettiche rispetto alla realtà che non
smisurato, è di contenerlo ‘velandolo’”. Un monocromo quindi illustrano, ma riscoprono, e metafisiche, in quanto restituite
che, denunciando i “ai loro significati originari,
suoi due lati, si rivela anche ai loro valori morali” (come
uno schermo: un oggetto scrive Nello Ponente in
duplice che veicola riferimento a Angeli). E, nel
l’immaginario collettivo, caso di Angeli, ciò accade
come quello del cinema grazie alla sovrapposizione
o del televisore, ma anche di una velatura monocroma
uno strumento di analisi – almeno una decina di
della dinamica fra emissione mani di vernice diluita fino
e ricezione di un segnale. a far trasparire l’immagine,
Nella seconda metà degli “però non troppo” per non
anni Sessanta la pittura- dare la sensazione della
tela si è definitamente stoffa tirata ma di un velo
trasformata, quindi, in che al contempo allontana
pittura-oggetto, mettendo e introietta, memore dei
in crisi la sua limitante Sacchi di Burri e che toglie
destinazione di mimesi all’immagine sottostante,
superficiale per convergere Fabio Mauri, Schermo con pubblico, 1962. Tempera su carta. spesso di soggetto
verso lo spazio-tempo 70 × 106 cm. Courtesy Estate di Fabio Mauri e Hauser & Wirth politico, la tentazione del
reali dell’osservatore: Hong Kong / Londra / Los Angeles / New York / Somerset / “manifesto” (Maurizio
nel dinamismo costruttivo St.Moritz / Gstaad / Zurigo. Calvesi). Del resto è
e percettivo delle tele proprio l’uso del materiale
di Agostino Bonalumi e Paolo Scheggi, nelle tappezzerie pittorico ad essere, anche in questo caso, fondamentale,
imbottite di Cesare Tacchi e nelle tele centinate di Pino nel tentativo di renderlo “evocativo”, di farne “l’estensione
Pascali che – dopo la rivolta contro l’Informale, assecondando di dimensioni storiche”, afferma Angeli. Ed è qui che si
sia la tabula rasa del monocromo sia una tendenza italiana definiscono due grandi differenze con la Pop art americana.
all’auroralità dell’immagine – emerge fra i protagonisti di Non solo gli artisti italiani attingono alla propria tradizione
questa ricerca che libera gli oggetti comuni dalla loro funzione storico-artistica: Pascali fu accusato di “minimalismo” per
d’uso per sprigionarne le energie più immaginifiche, una le Botole, che però si ispirano agli affreschi di Signorelli nel
memoria profonda dei prodigi della tela pittorica che fa saltare Duomo di Orvieto, come di contesto italiano erano stati i
ogni coordinata... Pop, Minimalismo, Poverismo, Concettuale... riferimenti di Festa: “mi dispiace per gli americani che hanno
così poca storia alle spalle, ma per un artista romano, e
il monocromo nel grande malinteso della “ pop ” italiana per di più vissuto a un tiro di schioppo dalle mura vaticane,
Sono le storie di Piazza del Popolo a costituire il Clima popular è la Cappella Sistina, vero marchio del made in
felice degli anni Sessanta (titolo di un dipinto di Tano Festa, Italy”. E ancora, nel fatidico 1968, proprio Festa scriverà
1969), in cui si riassume la storia di quegli Amici del a Angeli: “a tuo modo anche tu sei un vietcong, fai la tua
cuore (altro titolo di Festa, 1967) che comporranno la “Pop” privata e silenziosa battaglia contro l’America oggi.”
romana. “I miei primi quadri sono la testimonianza
del contatto quotidiano con la strada. Vidi i Ruderi, le Lapidi, l’alba dell’immagine
simboli antichi e moderni come l’Aquila, la Svastica, la Falce Ma soprattutto, mentre la Pop art fissa il momento del
e Martello, obelischi, statue, Lupe Romane sprigionare consumo dell’immagine, gli artisti italiani colgono il momento
l’energia sufficiente per affrontare l’avventura pittorica”, in cui l’immagine silenziosamente si forma – nella percezione
afferma Franco Angeli, che conclude: “E sono in grado di o nella memoria di cui è intrisa la materia pittorica – l’attimo
affermare di non avere mai dipinto un quadro nello spirito in cui l’immagine emerge alla coscienza, svanisce, riaffiora…
della Pop art”. Ecco, occorre innanzitutto capire: è mai È un’alba dell’immagine, non il suo dissolvimento finale
e d’impotenza di fronte al loro 40
essere fisico, inorganico, ottuso,
e ancora un senso di mistero e
d’impenetrabilità nelle loro fredde
e scure geometrie”. Oggetti
opachi e impenetrabili, presenze
mute e solitarie, un “mobilio da
camera” che sembra provenire
da stanze metafisiche e delineare
ipotetiche “camere di pittura”:
Finestre, Porte, Armadi “delle
apparenze, dei falsi oggetti”
che esistono nella dimensione
meditativa dei “valori plastici”
della pittura italiana e della sua
storia (Obelischi, Lapidi, Van
Eyck e Michelangelo).
Negli stessi anni, e pur nella
loro eccezionale autonomia,
anche i dipinti di Domenico
Gnoli – realizzati con una materia
pittorica spessa di acrilico misto
a sabbia che compete con
(e trascende la) concretezza
Franco Angeli, Artiglio, 1965. Tecnica mista su tela con velatino, 114 × 162 cm. dell’oggetto rappresentato
Courtesy Archivio Franco Angeli, Roma. – astraggono dal dettaglio
ingigantito di particolari comuni
e reliquiale nella necrosi merceologica, un “ritorno alle per restituire l’icastica memoria della “pratica del Rinascimento”
cose stesse” (Renato Barilli, che cita Edmund Husserl, come delle avanguardie storiche del Ventesimo secolo, filtrate
fondatore del pensiero fenomenologico). Ed è per la stessa da una sintesi di matrice scenografica: messe in scena di uno
ragione che, quella italiana, è sempre anche un’immagine spazio-tempo pittorico al contempo reale e auto-riflessivo.
ideologica – contrapposta a quella di per sé anti-ideologica Festa stesso aveva, nel frattempo, sottolineato il carattere
della Pop americana: le immagini di Mauri che denunciano lo mentale della sua ricerca: “Credo che la Pop art, col mio
scandaloso inganno costitutivo della comunicazione (come, lavoro non c’entri proprio per nulla. Più vicino, per certi
dalla fine degli anni Sessanta, della propaganda intossicante aspetti, mi sento agli artisti concettuali”, stabilendo la
dell’ideologia, tema che l’artista stesso identificò come differenza saliente tra Pop e Popolare: “Gli americani erano
propriamente europeo rispetto a quello americano e Pop pop artist perché raffiguravano oggetti di consumo veri e
delle merci e delle icone), le figure messe in punteggiatura o propri come simboli artistici da cui trarre l’ispirazione. Noi
modellate sui sistemi pubblicitari rotanti di Umberto Bignardi, italiani siamo stati popular perché siamo riusciti, viceversa, a
le donne-schermo di Giosetta Fioroni, le cancellature di consumare l’arte stessa con le citazioni e le estrapolazioni”.
informazioni di Emilio Isgrò, i Gesti tipici di Sergio Lombardo, Un consumo, una macerazione compositiva e intellettuale
gli Uomini statistici e i quadri come rebus di Renato Mambor, della citazione rinvenibile anche nelle piccole forme circolari
le istantanee pittoriche di Titina Maselli (secondo cui “gli sovrapposte da Festa nel 1965 alle Tombe Medicee: un
americani s’interessano solo a dipingere l’oggetto in sé” tratto grafico che può essere messo in relazione (Elisa
mentre l’artista italiana ne dipinge “conflitti” e contraddizioni Francesconi, Duilio Morosini) più che con la Pop con
che deflagrano nell’“anonimato urbano”). In queste opere i l’Optical art, celebrata, in quello stesso anno, al MoMA
simboli vi sono “re-inverati” (Calvesi), “trasportandoli dai muri di New York dalla storica mostra “The Responsive Eye”.
della città sul quadro-muro”, o quadro-schermo, che riscopre
la “poetica del muro praticata a Roma da Rotella, oltre che un ’ infanzia per la pittura
da Gastone Novelli e da Cy Twombly” e la sviluppa nel Anche l’iniziale e “voluttuoso” (Giorgio Franchetti) pensiero
dialogo con il proprio spazio urbano. Distinta radicalmente monocromo di Schifano struttura paradossalmente tutta
dalla Pop art, la pittura italiana rappresenta una realtà intrisa la sua opera pittorica, come tendenza a velare il mondo
di memoria e di pensiero, che rende dinamica, mutevole, con un colore omogeneo, minimale e elementare come
comunque complessa, la superficie di opere innervate da in un abbecedario della pittura – qualità che secondo
un “acutissimo dialogo culturale”. C’è qualcun altro disposto Ileana Sonnabend gli permise di superare l’imagerie
a ingaggiare un dialogo simile? Sì, e può chiamarsi per della Pop art e divenire presagio del Minimalismo e della
esempio Sigmar Polke, equivalente di Angeli in Germania: pittura Concettuale. Se dal 1962 l’immagine emergerà
il fatto è che, antropologicamente, gli artisti europei più progressivamente dallo sfondo monocromo per produrre
consapevoli non hanno paura di distinguersi culturalmente, la configurazione di cose e persone (frammenti di immagini,
oltre che formalmente, dalla Pop americana. costruzioni di segni, segnali, elementi del paesaggio
Dopo i primi monocromi dedicati al poeta Sandro Penna e metropolitano), essa non prenderà mai il sopravvento.
al suo amante Raffele, tra il 1960 e il 1962 emerge in Festa Schifano infatti non persegue il consumo dell’immagine,
la tendenza all’uso di colori elementari e alla campitura non celebra il suo memento mori. La sua è un’immagine sorgiva
netta, prodromo dell’incorporazione dell’oggetto sul piano che non ha i caratteri seriali della ripetizione e reiterazione
inclinato della pittura: “Da tempo guardavo gli oggetti di dell’immaginario Pop: in occasione della prima personale alla
mobilio domestico che, essendo i più privati, sono quelli con galleria Appia Antica (1959) William Demby scrive per Schifano
cui siamo più a contatto… In quei momenti tutti gli oggetti Lettera ad un giovane pittore: “Sole-cielo, Italia, dove nero è
della stanza assumevano un valore insolito rispetto a quello bianco, è luce” – anche il nero non nega, ma risplende.
normale e quotidiano. Pensai di ricostruire degli oggetti che La mostra di Schifano del 1963 all’Odyssia di Roma ha un
fossero mutilati delle loro funzioni, oggetti che nella loro titolo emblematico, “Tutto”, asserzione di una sintesi che
fisicità esprimessero una sottile inquietudine di fronte alla sembra anticipare sia il Vogliamo tutto di Nanni Balestrini sia
loro troppo facile e certa presenza, un senso di ambiguità la serie di arazzi di Alighiero Boetti. Dichiarazione di poetica,
41 come l’opera Io sono infantile. Da una parte la figura dell’artista come campo, come velo, come filtro, esplicita la virtualità,
che “vuole tutto” e rivendica per la pittura la dimensione la potenzialità, la dinamicità, ovvero la criticità vitale del
totalizzante dell’infanzia; dall’altra la componente intellettuale quadro, all’opposto di un repertorio rigido di temi, di un’idea
che sottrae immediatezza all’immagine e rivela le sue origini formalista e di un’esperienza statica del dipingere. Ed è in
in una libera reinterpretazione delle avanguardie storiche, questo senso che, per esempio, alle garze che ricoprono le
da Balla a Duchamp (“credo proprio che nel mio lavoro tele di Angeli – che da lontano sembrano monocromi ma che
sia stata sempre presente anche una componente di
concettualità”). L’azzeramento sulla superficie liscia
e speculare del quadro, “che accoglie ed espelle nello
stesso tempo la sostanza pittorica” (Achille Bonito
Oliva) è conseguito anche in questo caso attraverso
la reinvenzione di un materiale contemporaneo come
lo smalto, riflettente e repellente, e gli impoetici colori
industriali, “gli unici colori possibili”, materia che
copre le immagini della “vita moderna: la vernice
delle carrozzerie che fanno da guaina alle macchine
(auto o treni, aerei o scafi, macchina da scrivere
o elettrodomestici), o della segnaletica” (Calvesi).
Schifano non vede più, quindi, ma “inquadra” (Maurizio
Fagiolo), isola un particolare astratto o figurativo o di
scrittura (lettere o cifre) o un colore, mappa elementi
minimi che depurano lo sguardo. Per questo la nozione
che più definisce i monocromi di Schifano è quella di
campo, termine usato in agricoltura, nella scienza e nel
cinema per indicare uno spazio-tempo generativo. E
anche quando immagini e scritte compariranno sulle
superfici monocrome, a Schifano non interesserà la loro
riconoscibilità ma tenderà a cancellarle, trasformarle,
immergerle in quel “senso di relatività, che non esiste
nei pittori Pop americani” e che invece contraddistingue
la sua pittura, infantile e epifanica: “La mia infanzia è
ora oggi qui”, dichiara Schifano, in un doppio sogno
che comprende sia l’Italia che gli USA. Racconta Anita
Pallenberg del loro viaggio a New York, nel dicembre
1963, poco dopo l’assassinio di J.F. Kennedy: “[…] una
cosa non la posso dimenticare: arrivare a New York
e vedere i cartelloni pubblicitari tutti neri, in lutto per
Kennedy. Sembravano dei grandi monocromi neri […]”
In Italia la storia del monocromo – sostrato concettuale Mario Schifano, 7 agosto 61, 1960. Smalto su fogli di carta su tela.
e formale – e quella delle immagini che lo solcheranno 160 × 130 cm. Fotografia di Paolo Vandrasch, Milano. Courtesy
è quindi una storia essenziale, che con la Pop art ha M&L Fine Art, Londra.
poco a che fare, e che è invece un’alba, un inizio, un
principio per la pittura italiana del decennio. da vicino lasciano trasparire un insieme di simboli e stereotipi
– sono accostabili anche gli apparentemente opposti Filtri
nella materia , il pensiero pre-minimalisti di Lo Savio: diaframmi materici e veli di Maya
Scrivendo degli interventi di Angeli e Castellani in occasione contemplativi, ipotesi che dallo spazio-tempo della pittura si
del Teatro delle Mostre (1968), teoria di opere e azioni della sporgono verso quello della realtà – che è la realtà storica
durata di un giorno alla Galleria La Tartaruga di Plinio De quanto quella degli elementi e fenomeni fisici e dei processi
Martiis, Calvesi afferma che “Angeli ha sentito che il tema era, mentali. Generando immagini plurali, mobili e problematiche,
in fondo, lo spazio, infinitamente modificabile, ed ha cercato quindi complesse, che non cercano l’illusione ma la verità, che
di provocare un mutamento radicale con mezzi minimi: soffitto non semplificano ma articolano punti di vista e ipotesi critiche.
abbassato, tutto bianco, luce intensa”. Il critico nota inoltre In tutte queste molteplici schermature, coperture, velature e
che, a sua volta, Castellani accetta lo spazio pittorico di Angeli filtraggi di materia pittorica astratta, quanto nelle immagini che
limitandosi ad aggiungere al suo interno otto metronomi, vi traspaiono e, infine, nella tensione verso ciò che c’è oltre il
ovvero la dimensione del tempo. Questa magistrale sintesi quadro, nel mondo, agisce una resilienza antropologica e al
– in cui la pittura diviene un’esperienza fisica e concreta contempo risolutamente libera, nel senso che non prevede
dello spazio e del tempo della pittura – è in realtà un punto un codice consapevole, ma di volta in volta si mette a punto
di arrivo nella nostra storia, per quanto temporaneo, che nel confronto con la materia pittorica stessa. In cui è all’opera
sancisce la progressiva affermazione del monocromo il pensiero, alla ricerca di una possibile compenetrazione fra
come concentrazione intellettuale e formale rispetto alla spazio e tempo, immagine e oggetto, icona e azione, forma
sovrabbondanza delle immagini nell’Italia del boom economico. e storia, prassi e teoria, pittura e realtà.
Maria Silvia Farci parlerà a questo proposito di un “ideale
‘magro’”, intendendo il monocromo come una riduzione LAURA CHERUBINI è curatore, critico e docente
radicale del mondo allo spazio-tempo critico della pittura. all’Accademia di Brera a Milano.
“Prevalentemente blu in Klein, ripetutamente bianco in
Manzoni, il monocromo non è ‘tonale’, è il lato concreto ANDREA VILIANI è un critico e curatore, dal 2013
di un’idea prima”, scrive Mauri, che ha praticato dalla fine Direttore generale del Madre-Museo d’arte
degli anni Cinquanta lo schermo come monocromo che contemporanea Donnaregina di Napoli.
include criticamente ciò che vi si può proiettare: “lo schermo
‘si vela’ (io stesso, Angeli, Manzoni). È un contenitore 1 Nota metodologica: per il seguente testo si è scelto di
di immagini invisibili, ‘esterne’ appunto, non estranee”. omettere le note bibliografiche. Tutte le citazioni presenti
Il monocromo declinato in Italia come muro, come schermo, nel testo riportano fra parentesi il relativo autore.

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