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La cornice: procedimenti

esecutivi ed evoluzione
tipologica, M. L. Papini
Tecniche Artistiche
Università degli Studi di Milano
13 pag.

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LA CORNICE: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica

L’ANTICHITA’

1.1. Alle origini della cornice

La cornice nasce dalla necessità di delimitare un’immagine in rapporto a ciò che la circonda e quindi
evidenziarla rispetto allo spazio in cui è inserita. In epoca antica avveniva con una bordura e le prime
incorniciature sono semplici linee, incise o dipinte. La Stele di Kavit, dell’età del bronzo, 2000 a.c. è tra le
più antiche e l’immagine è in un quadrato i cui lati sono due linee parallele incise nella pietra. Si vede quindi
nei rilievi su pietra, su stele funerarie, intorno a soggetti o iscrizioni. Dipinte sono nella pittura murale
egizia, cretese, sulla ceramica dipinta per suddividere scene o parti. Ci sono anche incorniciature che
prendono a modello strutture architettoniche del tempio come frontone, trabeazione, pilastri, colonne,
soprattutto nei margini di stele e in questo caso si vuole delimitare un’area sacra distinta dall’ambiente
intorno. Questo tipo è presente anche nel mondo romano anche per suggerire piani di profondità, ma ci sono
anche esempi in cui gli elementi arch. sono scolpiti a tutto tondo come nel “Dipinto di ragazza con offerte”
del Cairo in cui un’edicola incornicia il ritratto. Quindi inizialmente all’origine della cornice (dipinta,
scolpita o incisa e contestuale alla raffigurazione) ci sono forme geometriche semplici e strutture arch.
essenziali.

1.2. La cornice a otto punte

In Grecia nel IV a.c. è testimoniato l’uso di vere cornici, cioè oggetti autonomi e materialmente separati
dall’immagine inquadrata, legata alla fioritura della pittura su tavola e all’uso del grande formato che non
permetteva più l’uso di una sola asse per il dipinto. La cornice racchiude le varie assi della tavola, le lega
entro un bordo intorno. Quindi nasce dall’esigenza di un sostegno tecnico al supporto del dipinto. Purtroppo
questi sono andati persi e le conosciamo dalle cornici di epoca romana, note dalle riproduzioni di pittura
murale. Il più antico tipo è quella a otto punte ovvero 4 assi di legno, con fessure per incastrarsi nei 4 angoli
del quadrato e visto che le assi sporgono oltre il punto di connessura, la cornice ha 8 terminazioni libere.
Abbiamo esempi a Roma e Pompei dove sono dipinti quadretti con cornici, appesi con una piccola corda
che passa negli angoli superiori appesa ad un gancio. Due ante di legno laterali potevano essere presenti per
coprire o meno il dipinto e ripararlo da luce, polvere, urti, affini alle ante delle finestre. Una vera è stata
trovata in Egitto romano, in legno, a liste scanalate con angoli calettati e fissati con chiodi, per un dipinto di
divinità di II-III d.c. In quelle più elaborate ci può essere un’intelaiatura interna in legno per ingrandire lo
spessore.

C’è anche un tipo più semplice, rettangolare o quadrata senza estremi sporgenti, con assi più larghe e dipinte
o a stucco con chiodini o borchie, evidenziando il ruolo decorativo rispetto al dipinto. Oltre all’uso privato,
anche per quadri trionfali dipinti, per facilitarne il trasporto.

1.3 Le cornici dei ritratti del Fayum

Nell’Egitto romano si producono questi ritratti da I-III d.c., su un supporto ligneo a tempera o encausto, a
volte su tela, con funzione rituale-funeraria legata alla mummificazione, eseguiti dal modello vivente e poi
applicati sulla mummia sul viso. Molti sono rinvenuti con cornici singolari e uniformi: taglio rettangolare,
smussate agli angoli, prive del lato sotto e per questo dette a ferro di cavallo. La base è lignea con
decorazione a bassorilievo in stucco con decori geometrici o naturalistici (tralci di vite con uva) lungo tutto il
bordo senza interruzioni, e forse erano dorate. Potevano unirsi al ritratto sia applicate sopra il supporto del
dipinto o incastrate alla tavola con dei regoli all’interno della cornice e in ogni caso tenevano unite le varie
assi e sottolineavano il ritratto del defunto. Una volta sulla faccia del defunto il ritratto era fasciato ma in
modo da restare a vista e il lato senza cornice era infilato tra le fasce all’altezza del collo come in continuità
col corpo. Quindi il quarto lato manca perché sarebbe da impaccio per la fasciatura e avrebbe isolato il viso.

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1.4. La cornice tonda

Molto usata in epoca romana, deriva dall’imago clipeata cioè l’immagine sullo scudo di antenati o
importanti personaggi pubblici, come ricorda Plinio, con significato virile e marziale. Il bordo degli scudi
diventa la parte più decorata configurandosi come vera cornice tonda mentre il centro solo uno sfondo. La
cornice è curvilinea, con profilo modanato, decorata con elementi vegetali a ghirlanda di foglie intrecciate o
ovuli e da pitture pompeiane sappiamo che le immagini clipeate erano appese tra gli intecolumni di case
private o pubbliche, e vista la sua origine acquisto un significato onorifico e verso l’apoteosi.

IL MEDIOEVO

2.1. Riquadrature e prime cornici medievali: le icone

Elemento di continuità col mondo romano sono tra IV-V le incorniciature dei dittici consolari o di altro
soggetto tipo apoteosi imperiali, caccia, miti, in avorio, doppie, unite da cerniere con cornice semplice con
bordo stretto e piatto ricavato dallo stesso massello in avorio. A volte è decorato con motivi classici tipo
kymation o vegetali oppure con arco che inquadra i personaggi, derivato dalle incorniciature ad edicola
antiche. Presenti nell’arte bizantina tra IV-VII con il diffondersi del culto dell’immagine sacra per le icone,
concepite come teofanie, che spesso si diceva non fatte da mano umana e a cui si attribuivano poteri
miracolosi, tanto che la visione del fedele lo poneva in contatto con la divinità. Così la cornice serve per
delimitare il soggetto anche dall’ambiente circostante, come confine tra umano e divino e come protezione
fisica quando l’icona è oggetto di devozione. Le cornici, giunte da icone integre, erano con 4 assi lignee
scanalate internamente e la tavola si infilava dentro le guide ed era fissata ad incastro e a volte ulteriormente
fissata con chiodi, di cui la più antica è Cristo in piedi, Monte Sinai, VI-VII. Inizialmente sono a profilo
unico, tagliate ad angolo retto, dipinte in genere di rosso e una striscia rossa è anche sulla tavola, al margine,
per collegare dipinto e cornice in un passe-partout. Spesso ci sono iscrizioni che richiamano il soggetto. Le
icone, disposte o appoggiate su un piano, o appese con cornici infilate in asole, erano per chiese, case, celle
di conventi, botteghe.

In occidente con papa Gregorio Magno si da importanza comunicativa e didattica all’immagine, diventando
patrimonio della chiesa mentre in oriente l’iconoclastia dall’VIII porta artisti bizantini in Italia. Tra le icone
più antiche italiane la “Vergine in trono con bambino tra due angeli” di VIII in s. Maria in Trastevere con
cornice in legno, rossa, iscrizione in nero, rettangolare terminante a gola diritta sul lato rivolto verso il
dipinto, incassata alla tavola con scanalatura interna ai 4 regoli perché le tre assi erano connesse a semplice
gradinatura e non a incastro. La tavola fu progettata per avere una cornice perché le assi sono coperte da teli
di canapa che non rivestono del tutto le tavole ma lasciano libero il margine esterno per le guide scavate nei
regoli. Anche qui il bordo interno è dipinto con riga nera e bianca come raccordo e il carattere dell’iscrizione,
titulus, indica che cornice e pittura sono contemporanee e legate. Inoltre rinvenuti segni di altri chiodi che
servivano per fissare un velo per riparare l’immagine, legato al culto imperiale e alla teofania. Sappiamo
inoltre che Gregorio IV volle il quadro sull’altare, posizione nuova che avrà conseguenze nei secoli per il
quadro d’altare.

Le icone possono avere anche una cornice con bordi fatti da liste di legno applicate sulla tavola e dipinte del
colore di fondo della tavola, spesso oro, molto larghi e dipinti con santi o episodi del ritrattato. Visto il ruolo
importante di queste icone, le cornici dovevano proteggerle bene e dall’XI sono rivestite in metallo prezioso,
lamine d’oro o argento come la “Madonna di Nicopeia” di XII a Venezia con lamine e figure smaltate.

2.2. La cornice dell’icona della Madonna Avvocata in s. Maria in Aracoeli a Roma

Datata tra XII-XIII molto venerata, prima in un tabernacolo, ora sull’altare maggiore. La cornice ancora
originale è particolare: la tavola è appoggiata in una scatola o cassetta in legno il cui bordo aderisce ai
margini della tavola e protegge l’immagine che può essere rivolta verso l’interno quindi con doppia

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funzione, usata per conservare o esporre l’immagine. Il bordo interno dell’immagine è nero e con listello a
rilievo dorato, quello esterno è dorato in accordo con l’immagine.

2.3. La cornice rettangolare

Nel XIII è la più diffusa e diversamente da prima che avevano regoli interni separabili dal quadro, ora le
cornici sono ricavate dalla stessa tavola, piallata per lasciare un bordo rialzato. Altre volte era applicata su
una tavola o sul fianco esterno come nel Paliotto d’altare di Siena del 1214 dove il bordo applicato sul
margine esterno separa le 6 piccole storie che affiancano il pannello centrale, fissato agli angoli con chiodi.
Decoro a rilievo con motivi geometrici e borchie e c’è la data dell’opera. Dal XIII si arricchiscono di profili,
colori e decori, come nella”Madonna in trono” di Coppo di Marcovaldo del 1260 per Orvieto, con due liste
di cui una con profilo obliquo e l’altra piatta, applicate sul fianco esterno. La cornice ha 3 fasce per decori:
dall’esterno una ha rombi e puntini, la seconda motivo nastriforme con foglie e viticci, la terza rombi. I
decori sono su fondo dorato che è lo stesso del dipinto.

2.4. La cornice a cinque angoli

Sempre nel XIII, dalla forma pentagonale della tavola, come nella tavola di “S. Francesco” di Bonaventura
Berlinghieri con un semplice bordo obliquo applicato. Diventa più complessa da metà XIII e si vede bene
nella scuola di Guido da Siena come nella “Madonna Galli-Dunn” con cornice con fascia centrale larga,
con motivo a treccia e rosette e sui margini listelli lignei dorati. Nel dipinto un arco trilobato che in altri
esempi è sporgente e sagomato come parte della cornice, mutuato dalla tradizione classica e che caratterizza
le opere di Guido. A Firenze cornici che richiamano quelle di Marcovaldo, meno larghe e basate
sull’abbinamento anche cromatico di decori.

La cornice pentagonale è molto usata da Cimabue, Duccio con la Madonna Rucellai, Giotto con la
Madonna di Ognissanti. In questi la cornice ha un livello di integrazione tra articolazione plastica dei profili
e varietà decorativa e cromatica. Sono divise in tre fasce con le liste sui margini usano 3-4 profili e la fascia
centrale è decorata con strisce, intrecci, rosette, medaglioni, rombi. Sono molto colorate molto spesso con
fondo dorato. Erano appese con corde che erano infilate in anelli di metallo sul retro.

2.5. La cornice architettonica

L’uso di incorniciare una scena con una forma architettonica era già presente e da metà XIII alcuni elementi,
come timpano e arco, entrano a far parte delle cornici delle tavole ma è dal XIV che si afferma una cornice
del tutto struttura su modelli architettonici in cui si diffondono piccole tavole in cui un arco a tutto sesto o
ogivale costituisce la cornice. L’arco è a bordo liscio dorato o profilato da archetti e colonnine con pilastri
sulla base, detta predella. L’uso maggiore di ciò è nelle grandi pale d’altare composte da più pannelli. Un
precedente è il trittico di Duccio “Vergine con Bambino” oggi a Londra: è una tavola centrale pentagonale
in cui è inscritto un arco e della stessa altezza due semi archi dei pannelli laterali, fissati con cerniere che si
chiudono nell’arco centrale. Più complessa la pala di Vigoroso da Siena “Vergine, bambino e santi” con un
primo piano di 5 archi con cuspidi ed edicola al centro del secondo ordine. La cornice ha un profilo semplice
e liscio e sulle cuspidi il bordo è a spiovente verso l’esterno. In questa prima fase le innovazioni sono a
Siena nella scuola di Duccio che introduce un segmento di passaggio tra un piano e l’altro dell’ancona, una
cuspide tronca su cui poggia un’altra cuspide o edicoletta.

Nel primo ‘300 cuspidi decorate da fogliame, pinnacoli e archi ogivali, gotici, sono usati nelle cornici e il
polittico di tipo gotico si vede nelle opere dei Lorenzetti, Simone Martini, Andrea di Vanini e Andrea di
Bartolo, Taddeo Gaddi e Giovanni del Biondo. Anche a Venezia ci sono grandi polittici, prima con archi a
tutto sesto poi ogivali. Da metà ‘300 il polittico gotico si fa complesso con più pannelli e piani, l’uso della
predella, più elementi arch. e decorativi come fogliame, cuspidi, pinnacoli, trafori, archi. Questi elementi
erano intagliati nel legno e applicati sulla tavola per rendere il supporto resistente e proteggerlo da fratture e

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incurvature, consentendo anche l’accostamento di più pannelli. Inoltre davano plasticità alla cornice e
sporgenza, erano dorati o dipinti. Sono cornici imitazioni dell’arch. gotica per forme e struttura che richiama
la sezione trasversale di una chiesa gotica con il pannello centrale come navata centrale e gli altri alle navate
laterali con gli stessi rapporti proporzionali. Le pale diventano oggetti compiuti poste sull’altare maggiore o
nelle navate libere da sostegni e staccate dalla parete. Queste forme instaurano un rapporto con lo spazio
arch. e si pone in accordo con il soggetto spirituale che trova lo spazio sacro ideale che riproduce l’ambiente
esterno. Si vede a Orvieto nel rapporto tra struttura della facciata del Duomo e quella del reliquiario del ss
Corporale. Questa cornice ha caratteri differenti: in area toscana conserva un equilibrio tra superficie dipinta
e cornice; a Venezia e Bologna il lavoro d’intaglio predomina sul dipinto.

2.6. La cornice nel “Libro dell’arte” (fine XIV)

2.6.1. La preparazione

E’ la prima fonte dove si rintracciano sulla tecnica nei capitoli della pittura su tavola. La cornice era applicata
prima di eseguire la pittura quindi entrambe ricevevano la stessa imprimitura ed è probabile che il pittore
intervenisse anche sulla cornice e lavorare contemporaneamente e per questo qui troviamo anche dei
suggerimenti per le cornici. Per preparare la tavola: dopo la connessioni delle assi con colla di formaggio e
calce, si incollavano sul legno, strisce di tela. Stesa la colla si stendeva gesso e colla. Dopo qualche giorno
lisciata ancora 8 strati di gesso e colla. Poi seccata veniva ripassata col raschiatoio. E’ nelle fasi di stesura di
gesso e colla che bisogna fare attenzione alle cornici, ripulendole dal gesso oppure si può passare sulla
cornice per riparare errori dell’intaglio del legno. Poi tavola e cornice erano ripassate con raschietto e mella
per lisciare. Le cornici potevano essere pulite sfregando un panno umido.

2.6.2. La doratura

Dominante negli sfondi delle tavole medievali e cornici. Avveniva con oro in foglie sottili applicate con bolo
o mordente. Il bolo era macinato e stemperato in albume a neve ed acqua, steso con un pennello, asciutto si
lucidava con un panno. Il bolo era bagnato con acqua e albume per trattenere la foglia d’oro, poggiata con
pinzette su un foglio di carta rovesciato contro la parte umida, si toglieva la carta e con un batuffolo si
premeva l’oro. Per le cornici si usava uno spessore sottile, per i fondi maggiori. Applicata si bruniva per
levigare e scurire, con il brunitoio cioè pietra d’agata o dente di lupo o cane per la doratura a guazzo. Per
quella a missione si otteneva impiegando il mordente, steso con un pennello e da asciutto si stendeva la
foglia.

Con il graffito e l’incrostazione si realizzano parti in cui il colore è intessuto con l’oro. Il graffito da una
coloritura a tempera o olio sulla foglia, il colore è graffito con un’asticella ed emerge la doratura sotto. Per la
seconda la parte era colorata interamente, su di essa riportata la traccia del motivo da realizzare in oro; il
disegno ripassato con mordente per accogliere l’oro. Col punzone si ottengono decori a piccolo rilievo
geometrici o vegetali. Altri motivi a rilievo erano fatto con lo stucco pastiglia e gesso, bianco di piombo e
colla, rivestiti di foglia d’oro che riproduceva il disegno.

Cennini riporta la ricetta per l’oro in polvere o in conchiglia: l’oro è tritato, mescolato con albume e steso
come un pigmento e usato per rifiniture o decori ma non per una superficie grande. Altra doratura si faceva
con la porporina, un surrogato dell’oro, nota come oro musivo, per motivi economici. Erano eseguite sia su
tavola che cornice ma per la pittura rinascimentale solo per la cornice, in particolare quella a cassetta
‘500esca.

IL QUATTROCENTO

3.1. La cornice a edicola e a tabernacolo

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La cornice arch. gotica sopravvive per il XV nella pala d’altare come in quella a Firenze del 1423 di Gentile
da Fabriano “Adorazione dei magi” per la famiglia Strozzi con la suddivisione in arcate con pilastri a
colonnine, cuspidi trilobate decorate con motivi del gotico fiorito e una predella come basamento. C’è però
un nuovo rapporto tra cornice e dipinto e non sono più complementari perché lo spazio interno è un’unica
scena e non segue la divisione dei tre archi tradizionale. Forme nuove e nuova funzione della cornice sono il
riflesso delle innovazioni nel campo della pittura in particolare le tecniche prospettiche.

3.1.1. La tipologia

La raffigurazione unitaria dello spazio pittorico dettata dalla prospettiva e il taglio quadrato o rettangolare del
dipinto mutano la forma della cornice rinascimentale che recupera dall’antico i motivi compositivi e
decorativi. La cornice a edicola, fiorentina, appartiene al genere arch. ma abbandona le forme gotiche
acquistando quelle classiche: su un basamento sono poggiati pilastri scanalati con capitelli, architrave con
arco o timpano e dal XV con girali o palmette e poi paraste lesene con grottesche o figure. La predella è
intagliata con i motivi delle lesene o dipinta e usata per scrivere autore, data, nome dei committenti. Gli
elementi arch. possono essere applicati sulla tavola o essere una struttura autonoma in cui era collocato il
dipinto.

La cornice a tabernacolo è più piccola, rettangolare, con il lato corto come base quindi è verticale con
timpano. Quella a edicola era più grande e per le pale d’altare e arredo di stuodioli, mentre l’altra usata come
altarolo, ancona propiziatoria in atri, camere, chiostri con la funzione dei dittici medievali per il culto
privato.

3.1.2. La funzione

La prospettiva influisce anche sulla funzione della cornice perché la superficie del dipinto è vista come
finestra aperta, sfondamento della superficie e dava profondità. Identificando il quadro come finestra si
presupponeva anche una parete su cui immaginare l’apertura e da qui nasce la consuetudine di appoggiare il
dipinto a parete e la cornice diventa parte della costruzione prospettica, l’intelaiatura lignea della finestra.
Quella ad edicola è usata come primo piano dell’immagine pittorica per accentuare la profondità e dividendo
spazio del dipinto e quello circostante. L’uso della cornice si lega al fenomeno percettivo di figura-sfondo,
agendo come figura che si sovrappone al dipinto e lo spazio pittorico diventa sfondo, percepito come se
continuasse al di la della cornice, che diventa elemento simbolico-percettivo. Nella pala gotica la cornice è
unita al dipinto e con la pittura è un unicum; quella rinascimentale è in relazione con lo spazio raffigurato ed
esterno.

3.2. Diffusione della cornice a edicola

Si diffondono da Firenze in altre regioni.

3.2.1. Siena

Qui si elabora un tipo di cornice a tabernacolo con la predellina con iscrizione dorata, lesene a treccia e
cimasa semitonda con archetti gotici. Qui c’è anche una cornice più semplice con un solo arco a tutto sesto,
liscio o decorato ma sottile con uno o due profili, sia per pale d’altare sia per ancone piccole.

3.2.2. Venezia

Le forme tardo gotiche persistono oltre la metà del XV, in particolare a Venezia, centro importante per la
cornice di tipo gotico che si evolve nelle forme complesse del gotico europeo per la presenza qui di
intagliatori nordici. Impulso nuovo il “Trittico di san Zeno” di Mantegna che introduce una nuova cornice
ad edicola rinascimentale. La pala poggia su un’alta predella, divisa in 3 da colonne con capitello composito
e sormontata da architrave e timpano. Presentano un decoro a intaglio con girali classici, in legno dorato e

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alcune parti in azzurro. Impalcatura della cornice in legno di pioppo. Relazione tra dipinto e cornice qui è
perfetta e coordinata, e la cornice imita un portico a 4 colonne diventando tutt’uno col dipinto e diventa una
finestra prospettica. E’ Donatello a Padova con gli studi di profondità e di arch. antica che media tra la
cultura fiorentina e Mantegna e i rapporti con Bellini ed è in un suo polittico che gli elementi arch. gotici
diventano classici. Tuttavia i cambiamenti sono sempre graduali e si cerca di rimodernare più che
rivoluzionare anche per la difficoltà ad abbandonare i canoni tradizionali, come in Vivarini. L’esempio più
vicino al Mantegna per l’unità tra dipinto, cornice e parete la si ha nel trittico dei Frari di Bellini in cui un
arco antico della cornice imposta in modo nuovo lo spazio interno.

3.3. Il tondo

Creazione toscana rinascimentale è la cornice rotonda, contemporanea a quella a edicola. Il tondo già
presente in passato, ora è visto come desco da parto, un vassoio dipinto con immagini religiose su entrambi
i lati, donato alla nascita di un bimbo e la forma circolare ora diventa elemento autonomo con una sua
cornice. La cornice è lavorata a intaglio e decorata con motivi vegetali e ovuli sempre più naturalistici con
festoni di frutta, fogliame ad intrecci e di solito ci sono vari profili, di cui la fascia centrale è quella decorata,
e viene colorata e dorata. Un es. è “Madonna della Melagrana” di Botticelli la cui cornice dorata ha un
motivo di giglio su fondo azzurro. Anche per il tondo c’è una relazione tra spazialità del dipinto, della parete
e cornice ed entra nella questione prospettica diventando un oblò imperniando la figurazione nel punto
centrico. Essendo priva di angoli non tende verso nessun punto e non si presta a paesaggi o scene ma per
temi religiosi e per questo si pone come confine netto che isola il dipinto.

Nella “Madonna con bambino” di Botticelli è il soggetto al centro che risalta, isolato dal bordo ligneo e la
composizione è ancora su piani verticali e orizzontali che si incontra al centro e la cornice contribuisce alla
scansione con rossette poste in corrispondenza degli assi. Discostando dal centro le figure si impone
movimento alla composizione come nel tondo Doni e la dinamicità è esaltata anche dalla cornice di Baccio
da Montelupo in legno di pero decorata con racemi vegetali e piccole teste, che non corrispondono agli assi
ma esalta la circolarità. Le teste sono piccole e quindi lo spettatore deve fare un doppio moto visivo e con
questo espediente si ottiene una sequenza cinetica preparatoria al movimento dei piani, esaltata anche dalla
posizione delle teste, rivolte verso lo spazio prospicente il dipinto che rivelano, se tiriamo delle rette, il cono
ottico bruneschelliano e forse è intervenuto lo stesso Michelangelo nella progettazioe della cornice, così
inerente al dipinto.

3.4. Il retablo catalano in Sardegna

Si diffonde qui nel XV. Durante il ‘300 la pittura fu solo di importazione ma poi si diffonde una linea
autonoma del retablo sardo. Il retablo è una grande pala d’altare lignea con vari pannelli con una struttura
arch. adeguata allo spazio cui era destinata. Le tavole che lo compongono sono incastonate in incorniciature
intagliate e dorate con pilastrini, pinnacoli, nicchiette, archi e c’è un ordine gerarchico per le raffigurazioni
pittoriche: lo scomparto superiore è per la trinità o crocifissione, quello in basso all’intitolazione. La pala è
riquadrata per tre lati da una larga cornice obliqua che in alto ha una tettoia a spioventi che sono i polvaroli
che riparano il dipinto. Sono molto decorate queste cornici con profeti e santi, decori geometrici, clipei,
arabeschi, e c’è anche una predella spartita in casas.

3.5. Progetto ed esecuzione della cornice: artisti e artigiani

Tra XIV e XV c’è un legame forte tra quadro e cornice per lo stesso supporto ligneo, riferimento percettivi,
relazione tra spazialità del quadro e dell’ambiente circostante e per questo pensiamo che il pittore potesse
realizzare o progettare la cornice, soprattutto in età medievale quando la cornice è ricavata dalla stessa
tavola del dipinto. Poi la cornice viene applicata prima della pittura e visto che tavola e cornice ricevevano la
stessa preparazione l’artista poteva intervenire su entrambe. Come per cornice della “Vergine delle rocce” di
Leonardo, commissionata a Giacomo del Maino, dorata da Leonardo. Ma anche Bellini curava le cornici dei

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suoi dipinti. Poteva anche essere solo suo il progetto coordinando i fattori nel rapporto tra cornice e dipinto,
e si vede nel tipo a edicola e tondo. A volte questa situazione emerge dai contratti di commissione delle
opere, come per Lotto o Ercole de Roberti, il cui intagliatore doveva seguire disegno e colori del pittore.
Gli artisti si interessavano alla cornice, la studiavano in relazione al dipinto e si accordavano con l’artigiano
intervenendo anche nei ritocchi finali.

Contemporaneamente si specifica la figura dell’intagliatore nel XV. Già nel medioevo c’erano corporazioni
di magistri lignaminis per la costruzione di navi, mobili, statuaria, impalcature per lavori di pittura e la
preparazione di tavole dei pittori. Più tardi si sviluppa il ramo specifico dei corniciai, in particolare a Siena,
Firenze e Venezia in botteghe. Soprattutto Siena fu considerata terra di intagliatori e anche a Firenze l’Arte
dei Legnaioli era tra le più numerose nel ‘300 comprendente lavoratori di legname, bottai, segatori,
intagliatori, intarsiatori e dal 1450 si delinea una scuola di intaglio sotto la guida di Francesco di Giovanni
di Matteo. C’erano anche strade dedicate a quest’arte. Per le opere monumentali il lavoro non era eseguito
in bottega ma ci si recava sul luogo con aiuti e arnesi. Contratto, acquisto e scelta del legname spettavano al
maestro. Le cornici erano in legno di castagno, pioppo o noce e tra XV-XVI anche legni teneri come il tiglio
per intagli più complessi. A Venezia è nel 1335 che si crea la corporazione di artigiani detti marangon de
soaza che dovevano produrre e vendere cornici, che però raggiungono la fioritura grazie all’intagiador,
corporazione dal XIV. Pale d’altare e ancone erano fatte da dinastie di artigiani tra i più specializzati, tra cui
spiccava la bottega dei Moranzone, stimati come artisti.

IL CINQUECENTO

4.1. La cornice architettonica e la pala d’altare: nuovi orientamenti e diffusione

La cornice arch. a edicola a fine ‘400 cambia dimensioni e tipologia. Grazie all’influsso dell’arch.
michelangiolesca compaiono elementi come volute, frontoni spezzati, mensole e vista la presenza di dipinti
molto grandi per le chiese anche le cornici diventano sempre più grandi diventando opere di arch.
fondendosi con la struttura delle cappelle come “L’Assunzione della Vergine” di Tiziano a Venezia con la
cornice di Sansovino. Cornici imponenti nell’architettura di due pale di Parma di Girolamo Mazzola e
Correggio, a forma di arco classicheggiante con pilastri e colonne scanalati, trabeazione con foglie d’acanto,
virgulti, rosoni, cherubini, palmette, conchiglie e vasi su colonne. A Bologna invece la “S. Cecilia” di
Raffaello ha una cornice di Marchesi di Formigine, priva di elementi arch. con 4 liste uguali, sormontata da
una cuspide con girali e volute e su un alto basamento a tre piani, decorata tutta con racemi vegetali. A
Cremona nel periodo manierista si diffonde una cornice da altare merito dei Campi dove sono rielaborati
elementi classici. In Piemonte una cornice sormontata da cimase intagliate e colonne scolpite ispirate ai
motivi arch. lombardi di Bramante e Antonio Amadeo dalla certosa di Pavia. A Roma una ripresa di
riferimenti all’età classica.

4.2. La cornice architettonica e l’ambiente privato: dal tipo a edicola a quello a cassetta

Con la diffusione di dipinti in ambienti laici, si diffonde una cornice adatta a case e studioli perdendo però
riferimenti all’arch, la predella scompare e c’è una semplice base o mensola, l’architrave si alleggerisce e
scompaiono pilastri e colonne, arrivando al tipo a edicola con semplice architrave e base. C’è poi un bordo
con 4 assi intagliato e decorato e questa cornice interna ha una fascia centrale per la decorazione vegetale ed
esternamente profilata da due bacchette. Il bordo interno si emancipa dagli elementi arch. e genera una
cornice a 4 lati uguali, la cornice a cassetta, che rimarrà il modello base. E’ piatta e uniforme nel profilo,
non ha dislivelli tra decoro e bordi laterali, ogni lista è divisa in 3 fasce, di cui quella centrale è detta fascia di
riposo per la decorazione principale. In questi due casi i motivi sono classici come girali, viticci, medaglioni,
testine per la centrale, dentelli, foglie e kymation per le laterali. In quella centrale ci possono essere cesure
con rosette, teste o stemmi. Quando la cornice è intagliata, viene dorata con la foglia d’oro. Quella a cassetta
può anche non essere intagliata e quindi viene decorata a basso rilievo con la tecnica a pastiglia nella fascia

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centrale, dorata, lavorata a bulino e punzone. Diffuse le cornici a cassetta dipinte con motivi in oro su fondo
scuro con il graffito oppure si dipingevano gli elementi con pigmento dorato.

A Venezia si usava la pastiglia che sostituiva l’intaglio. La pastiglia era colata in stampi e le forme erano poi
fissate sul telaio ligneo con una treccia per la fascia centrale e i bordi lisci. Si imitava l’effetto di un intaglio
con minor costo e più rapidamente. Sempre qui la cornice a cassetta decorata a intarsio ligneo, anche con
legni e materiali tipo avorio, ebano, madreperla, dorato e policromo, definito anche alla certosina e legato
agli Embriaghi. A Bologna quella a cassetta ha motivi a Formigine con racemi vegetali che darà il via alla
decorazione a prezzemolo con disegni dorati su lacca scura. A metà ‘500 a Venezia il tipo a profilo interno
con la cornice divisa in 3 fasce con un bordo più alto verso l’interno e basso verso il margine esterno. A
Firenze quella a cassetta è del tipo piatto e del tipo opposto di quello veneziano con margine esterno alto, e
il passaggio da margine esterno a interno è graduato con listelli. I decori sono dorati per un contrasto col
legno scuro.

4.3. La cornice Sansovino

Nel ‘500 a Venezia si diffonde la cornice Sansovino, dal nome dell’architetto e intagliatore Jacopo Tatti detto
Sansovino. Ha motivi ispirati al repertorio arch. e scultoreo manierista con cartigli a voluta che partono da
cariatidi o fiori, rosette o teste, intaglio profondo e le sagome dei motivi sono a forte rilievo. Sono dorate o
lasciate naturali lucidate. In una fase successiva il decoro si dispone sui lati e in alto e l’intaglio decorativo
diventa la struttura della cornice. Sono diverse da quelle contemporanee fiorentine con un margine esterno
netto e spesso, questo margine invece movimentato mette in relazione il quadro con l’ambiente dove si
ritrovano progettati dallo stesso architetto gli stessi motivi.

4.4. La cornice tra dipinto e ambiente

L’evoluzione della cornice in quella a cassetta con i 4 lati uguali segna un’evoluzione del rapporto tra
dipinto, ambiente e cornice che diventa sempre più autonoma. Già a fine XV le cornici non sono più
incollate o inchiodate alla tavola ma sono separabili, forse dovuto all’uso della tela e non solo della tavola,
quindi non più materialmente fissata. Inoltre la struttura arch. perde il significato e viene sostituita da regoli
che prescindono quasi del tutto dal quadro che accompagnano, perché comunque qualche legame c’è ancora
come la scelta di decori conformi, accostamento cromatico e tipo di profilo. La cornice nera fa risaltare nei
piccoli dipinti i toni scuri e isola l’immagine. Oro, nero e tinta neutra isolano il tessuto coloristico da
interferenze con le pareti e creano una particolare luce per vedere il quadro. La doratura dal XVI è trattata
come una vernice a base di colla trasparente e poco pigmento, creando una piccola tessitura per smorzare la
lucentezza della foglia d’oro. Alcune regole per incorniciare sono fissate da Mancini in “Considerazioni
sulla pittura” tra 1617-21, dove afferma che predilige il nero all’oro ma per la pittura antica viceversa, per
Caravaggio oro.

Anche il tipo di profilo influisce otticamente sulla percettibilità del dipinto perché crea diverse condizioni
di incidenza della luce esterna sul quadro: la cornice da una luce diffusa uniforme o determina zone d’ombra.
Il profilo inverso proietta il dipinto all’esterno, quello aggettante converge l’attenzione verso l’interno del
quadro. Mancini è critico verso il profilo inverno e per proteggere il dipinto l’uso della tenda in seta e questo
uso è confermato dai ganci che si trovano sugli angoli in alto delle cornici. La cornice a cassetta abbandona
i riferimenti all’arch. ‘400eschi diventando più autonoma rispetto all’immagine, parte del processo storico di
astrazione, ma conserva funzione e significato di cornice finestra. Se in quella a edicola gli elementi arch.
avvaloravano l’impianto prospettico del dipinto, in quella a cassetta la funzione percettiva si svincola
dall’imitazione simbolica di una vera finestra perché solo il fatto di circoscrivere l’immagine basta a
produrre l’effetto di primo piano. Inoltre l’effetto visivo è rafforzato dalla ricchezza di lavorazione e decoro
che risalta come figure rispetto al dipinto e parete. La cornice è ora un terzo elemento tra dipinto e
ambiente che isola, media e raccorda. E’ nel ‘600 che la cornice si conformerà all’ambiente e al mobilio
diventando oggetto di arredamento.

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IL SEICENTO E IL SETTECENTO

5.1. Evoluzione della cornice a cassetta: la cornice barocca

Tra XVI-XVII la cornice a cassetta con stucchi e quella Sansovino sono le più diffuse con decori a fiori,
frutti, elementi vegetali stilizzati o volute manieriste. C’è però qualche cambiamento: non c’è più la
divisione in tre fasce uguali e quella centrale non è più nettamente distinguibile perché le fasce sono tutte
decorate. Inoltre l’intaglio diventa più grande e spesso e più aggettante, si usa al posto del lavoro in legno lo
stucco appoggiato alla base della cornice, e molto usato anche quello in stampi già preformati poi
assemblati. A Firenze una cornice con intagli a cartigli o sbaccellature accartocciate e contorte senza
decori vegetali. Il decoro riempie tutta la cornice e si allarga verso l’esterno con un disegno che ricorda un
merletto e si chiama cornice aperta. I modelli erano dalle botteghe granducali. Inoltre la cornice si avvicina
al movimento della scultura barocca e inoltre c’è continuità tra quadro e parete con il profilo esterno che
scompare. Inoltre la cornice diventa più grande e larga del quadro.

A metà ‘600 la cornice barocca diventa come un’opera scultorea con angeli, cariatidi, sfingi e tritoni a tutto
tondo e spesso i soggetti sono in relazione al tema dipinto come nel “Bacco” di Guido Reni dove ci sono
racemi e pampini che richiamano le divinità. Frequenti anche gli stemmi, iniziali e trofei oppure grandi
foglie, intagliate e traforate che si allargano tutto intorno al quadro, in un apparente disordine dato dalla
ricchezza dei fogliami dietro ad uno schema invece convenzionale. Si adattano anche alle tappezzerie. Nel
XVII anche tipi tradizionali, lineari e sobri con materiali preziosi tipo avorio, pietre dure, guarnizioni in
bronzo come si vede nell’accademismo romano con aste lisce di ebano.

5.2. La cornice ovale

Introdotta nel XVII che riprende l’ellissi con due fuochi, dove la perdita di simmetria e centralità genera un
effetto di movimento e circolarità, sottolineando quindi il movimento e l’articolazione dei soggetti della
pittura ‘600esca. Adatta per scene di gruppi, sacri e profani, ritratti verticali o paesaggi orizzontali. Inoltre
c’erano più forme di ellissi. La decorazione di un ovale è uniforme senza scansioni con foglie di acanto,
elementi vegetali, ovuli, dentelli, intagli scultorei e l’ovale si coordinava con il mobilio degli interni
barocchi. Un es. è la cornice di “Madonna con Bambino e san Giovannino” di Carlo Maratta, a profilo
inverno e con decori classici e rosette.

5.3. La cornice Salvator Rosa

Diffusa tra fine XVII-XVIII dal nome del pittore che alle sue opere faceva anche la cornice, diversa da
quelle barocche, conserva una divisione in tre o più fasce strette e decorate o lisce. E’ dorata o in nero e oro
con un effetto di luminosità. Creò una cornice tipo adattabile a tutti i suoi dipinti.

5.4. L’influenza europea nella produzione di cornici

L’importanza dell’artigianato europeo, soprattutto francese, sul settore delle cornici. Fino al XVI le cornici
italiane furono un modello con la forma a liste nere con ornamenti dorati agli angoli e al centro per i quadri
fiamminghi, mentre in Germania l’uso di motivi decorativi italiani ma da metà XVII fu la Francia ad avere
un ruolo guida per lo sviluppo della pittura e lo zelo dei collezionisti, tra cui il re, da cui nasce la cornice
Luigi XIV. E’ un’elaborazione di modelli precedenti: la fascia decorativa si amplia e occupa tutto lo spazio,
il decoro a motivi classicheggianti o vegetali è uniforme, il motivo scolpito è al centro e agli angoli
conferendo movimento al profilo ed era dorata. Viene ideata non da botteghe ma da un sistema controllato
dalla Corona, l’Academie royale de peinture et de sculpture, statale dal 1664. Il re dettava il gusto, era
mecenate e controllava la produzione che doveva assecondare lo stile di corte. Si consolidano le manifatture
reali dove viene concentrata tutta la produzione artistica nazionale in una sola officina. Un es. del periodo è
quella di arazzi acquistata dai Gobelins. La produzione era di carattere quasi industriale, si ripetevano tipi
fissi e anche nelle cornici Luigi XIV c’era uniformità di forma e decori, che non erano prodotte in relazione

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al dipinto ma allo stile ufficiale e il disegno rispecchiava lo stile del mobilio dell’ambiente. Si diffusero
manuale con disegni di mobili e arredi per suggerire agli artisti i modelli. Lo stile si diffuse in Europa e in
Italia (gradualmente e con adattamento locale), dove alla cornice barocca si affianca il modello francese che
evitava il tipo a grande intaglio scultoreo per uno più raffinato ed uniforme, sottolineando il legame col
mobilio e ponendo la cornice tra gli oggetti di arredamento.

5.5. Il rococò: la cornice e l’arredo

Si diffonde in Francia sotto Luigi XV nel XVIII, deriva da rocaille cioè luogo sassoso ovvero una
decorazione allora in voga basata sull’uso di conchiglie e materiali multicolori. Non fu l’arte della monarchia
come il barocco ma dell’aristocrazia e alta borghesia nei loro hotels e petites maisons, cabinets e ai colori
solenni come bruno, porpora e oro sono sostituiti i colori pastello. In Italia attecchì molto per il risalto delle
arti minori e si diffondono stucchi, rivestimenti in legno, incisioni di ornamenti e cornici, scenografie,
mobilio, vasellame e porcellane. La cornice rococò qui ha liste sottili con decoro leggero e raffinato con
tralci, fiorellini, conchiglie che danno un leggero movimento. Negli angoli nodi decorativi più sporgenti.
Inizialmente l’ornamento è sovrapposto alla cornice mentre poi inflessioni, compressioni plastiche,
andamento curvilineo sono le stesse linee strutturali della cornice e riecheggiano nell’ambiente circostante e
nel mobilio, con un grande uso dello stucco, malleabile e che creava forme particolari, e di molti più colori.

5.6. La cornice a lacca

Emerge la tecnica della lacca cinese che deriva dall’imitazione di una tecnica cinese importata in Europa dai
mercanti del Nord. La lacca originale era ricavata dalla resina di una pianta, era distesa in velature anche in
anni e si ottiene una materia compatta, dura e spessa che poteva essere intagliata. La lacca europea, in
francese detta vernis Martin, era rapida e simile alla pittura su tavola. Nel 1720 padre Filippo Bonanni
pubblicò “Trattato sopra la vernice detta cinese” dove spiega la ricetta, con gomma copale, pece greca, olio
cotto e spaltro, e la lavorazione. Si preferiva un legno tenero, si levigava la superficie su cui si stendeva un
velo di pastiglia che rivestiva l’oggetto totalmente. Essiccato, era lisciato con carta vetrata o agata. Poi si
decorava: si stendeva la tinta del fondo e si dipingevano a tempera i motivi, essiccati, il laccatore iniziava a
verniciare ripassando con tanti passaggi l’oggetto facendo asciugare ogni strato con un effetto finale molto
lucido. I temi erano vegetali, e nella cimasa dove ci sono anche animali, uccelli, paesaggi. Usati anche
motivi orientaleggianti, temi esotici o alla cinese come pagode, cinesi, donne con ombrellini. A volte erano a
rilievo con la pastiglia e poi dorati. Versione più economica, nota come lacca povera, prevedeva i motivi
non dipinti sulla cornice ma incollando ritagli di stampe che erano poi verniciate per sembrare dipinte, tra cui
vedute di Venezia.

5.7. Doratura e argentatura

Il sistema più diffuso di rivestimento tra XVII-XVIII fu la doratura a guazzo, a missione e a mecca, questa
nuova, di origine cinese, in uso proprio in questo periodo. Si applica, come il sistema della foglia d’oro,
l’argento in foglia su bolo giallo o nero, sopra si stende una vernice gialla trasparente detta mecca e il giallo
si otteneva da zafferano, mirra, aloe. Si hanno anche cornici rivestite direttamente in argento.

5.8. La cornice Canaletto

Fu uno dei pochi es. di produzione originale e di portata internazionale in Italia nel XVIII perché il mercato
era dominato dai tipi francesi. Ha aste molto sottili, sagomate e intagliate a bassissimo rilievo, il centro della
lista ha cartelle lisce, agli angoli rametti di fiori. Ha una forma lineare, essenziale e sobria nei decori in linea
con l’ambiente francese. Ci sono anche a volte inseriti pezzi di specchio che si collega con le cornici per
specchiere tipiche di Venezia e si adatta alla pittura di veduta con i pezzi che accentuavano la vibrazione
luminosa. Non è ideato dall’artista ma dalla produzione artigianale veneziana.

5.9. La cornice a passe-partout

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Di forma quadrata o rettangolare con incluso sempre un dipinto tondo o ovale e i margini di passaggio tra le
due forme sono il passe-partout in legno da cui deriva il nome. Diffusa nelle botteghe granducali toscane e
nelle quadrerie romane, adattabile a qualsiasi dipinto. Il suo uso corrisponde a una tendenza nuova nelle
collezioni private ‘700esche di incorniciare tutte le opere con lo stesso tipo di cornice per uniformare la
collezione. Per i dipinti più antichi si sostituiva la vecchia cornice con una alla moda il relazione agli arredi.
In Italia nel periodo diffusa questa e quella Salvator Rosa. Da metà XVIII si diffonde la fabbricazione su
scala pre industriale della cornice con profili creati con stampi e realizzati a metro, tagliati e messi assieme.
Inoltre ora si aggiunge il vetro davanti al dipinto che conferma la funzione protettiva della cornice ora usata
per tenere insieme vetro e dipinto.

OTTOCENTO E NOVECENTO

6.1. La cornice e gli stili storici

Da fine XVIII fino al XIX la cornice segue le sorti del recupero degli stili storici, e sopravvive solo la ricerca
di uniformità stilistica con l’ambiente. La cornice riflette il mutamento di gusto mentre un rinnovamento di
funzione solo a fine ‘800. Il recupero della cultura classica conseguenza degli scavi e della fioritura del
mercato antiquario, produce tra ‘700 e ‘800 uno stile internazionale che coinvolge tutti i settori artistici che si
adeguano al nuovo gusto e vengono prodotti arredi e oggetti in stile impero. Il gusto neoclassico impone
disegni sobri, simmetria in reazione al rococò e le 4 assi della cornice tornano ad essere rette ed uguali, il
decoro solo sul margine interno o esterno e i motivi sono arch. tipo ovuli, kymation o elementi egizi. Il
profilo è sporgente in avanti e viene dorata. Si usano anche marmo, tartaruga, riporti in bronzo dorato che
ripetono i decori del mobilio.

A inizio XIX in pieno romanticismo si diffonde la cornice neo-gotica che rielabora i caratteri dell’arch.
medievale e a volte ci sono anche figurazioni simboliche che alludono al dipinto. Molto usata dai pittori
simbolisti che usano il polittico per dividere il tema in sequenze come Moreau. In Inghilterra i preraffaelliti
recuperano la cornice a edicola rinascimentale in concordanza ai soggetti dipinti (temi storici, religiosi o
letterari di medioevo e rinascimento). Sulla cornici iscrizioni e suddivideva il soggetto in dipinto e predella.
Nell’800 recuperate anche i tipi Luigi XIII, XIV, XV in cui però vengono mescolati vari elementi senza
rigore storico, usando calchi in gesso e non intagli in legno. Furono usate dalla scuola di Barbizon e dai
Salons.

6.2. Dagli impressionisti ai divisionisti

Gli impressionisti usarono le cornici dorate che però non si adattavano perché la doratura alterava i toni
così sperimentano due soluzioni: usare cornici semplici, prive di dorature e decori, di un colore coordinato
con il dipinto; oppure usare una cornice bianca che consentiva gli accostamenti, e fu quella che colpì i critici
perché nuova. Usate anche cornici colorate già nel 1870, seguendo la teoria della complementarità dei
colori di Chevreul e l’uso del colore passò anche alle pareti delle sale di esposizione dal 1880 sostituendosi
al rosso pompeiano ufficiale. Queste cornice sono andate per lo più perse eccetto quella gialla di “Citrons,
poires et raisins” di van Gogh. Gli impressionisti si chiedono anche che tipo di modanatura dare e lo
sappiamo dagli appunti di Degas che di da due tipi: una con una sagoma convessa nota come crete de coq,
l’altra con sezione quadrata e mossa da modanature scanalate.

Queste cornici furono usate anche dai divisionisti tra cui Seurat, che inizialmente usò il bordo bianco poi
cornici colorate, con il colore steso sulla cornice a piccole pennellate secondo la tecnica puntinista e questo
passaggio si vede nella tela “Le modelle” del 1888 dove nello studio dell’artista ci sono quadri con cornici
bianche e altre colorate. Prima colorava il bordo della tela e poi sopra poneva la cornice con lo stesso colore
(per sopperire alle ombre della cornice) basandosi sempre sui contrasti cromatici come in “Il circo” con
cornice blu, nel dipinto solo per i contorni delle figure. Con Seurat la cornice ha la funzione di contraltare

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cromatico e isolante rispetto allo spazio, c’è un rapporto simbolico-decorativo e cromo-luministico tra
quadro e cornice e l’artista crea direttamente la cornice.

6.3. Il nuovo stile

A fine ‘800 non si seguono più gli stili storici ma il movimento moderno cioè liberty, jugendstil, art
nouveau, opposto all’accademismo e all’eclettismo ‘800eschi. Cornici “moderne” già nel 1860 da pittori
legati al movimento arts&crafts di Morris. Rossetti ideò una cornice con una stretta modanatura con sottili
motivi cannelés scolpiti, la doratura lascia visibili le venature del legno, il profilo è piatto e assicura
continuità tra quadro e parete. Whistler usa invece larghe fasce piatte per aumentare le dimensioni del
quadro, aggiungendo anche parti dipinte e decori orientali presenti anche nel quadro, legando quadro e
cornice.

Guimard in Francia crea cornici con linee e motivi che rimandano alle sue produzioni di arredo urbano con
tratti morbidi, eleganti e continui con elementi naturali. Negli USA i Mathews creano cornici ornate
complementari ai loro dipinti dall’organizzazione produttiva Furniture shop, attiva dal 1906-20. La cornice
in questo periodo si rinnova nella struttura e decoro e rientra nell’ambito dell’ideazione artistica.

6.4. La cornice d’artista

A fine XIX la cornice torna a essere considerata parte integrante del quadro. Come i simbolisti che usano
scritte e simboli sulla cornice, i Nabi in Francia usano motivi simbolici in armonia col dipinto. Frequenti
come Whistler gli interventi pittorici sulla cornice con una indefinitezza del limite tra soggetto e cornice
come nel “Bacio” di Klimt. Munch realizza cornici con fitti linee spezzate e figure e scritte i cui motivi
simbolici rimandano a implicazioni psicologiche. Il rapporto unico tra dipinto e cornice non consente più di
evidenziare linee e caratteri comuni perché ogni opera è un unicum, eccetto per la funzione di cui si
rintraccia una tendenza generale: si cerca di vedere la cornice non come finestra ma come espansione del
dipinto con elementi simbolici complementari, proseguimento della pittura, bordi piatti.

6.5. La negazione della cornice finestra

Concetto nato nel rinascimento e la cornice diventava il primo piano, la figura, mentre il dipinto lo sfondo.
Questo concetto nell’800 ha il suo apice perché con la cornice si interrompe il contorno dell’oggetto
raffigurato sottolineando il carattere accidentale del confine e la funzione di figura finestra della cornice. A
fine secolo i pittori iniziano a determinare il bordo esterno del dipinto e intervengono sulla cornice che si
configurava non come primo piano davanti al dipinto ma come proseguimento del dipinto. Nel ‘900 la
concezione dello spazio del dipinto fu condizionata dal cubismo con la fine della concezione spaziale
rinascimentale per la moltiplicazione dei punti di vista, il dissolvimento dell’oggetto, ecc.. Al quadro finestra
si sostituisce il quadro come superficie continua, come campo di forze, anche grazie alla pittura non
figurativa e la pittura libera i contorni dalla cornice, a fare di essi il confine esterno del dipinto più che quello
interno della cornice. La cornice si adegua alla nuova funzione e diventa una striscia sottile o contorno.
Espansioni della pittura sulla cornice nelle opere di Delaunay, Severini, Balla, Braque, poi Picasso, Klee,
Mondrian, Picabia.

Nelle correnti dada e surrealista la cornice è assunta tra i temi della pittura trasferendo la questione dal
piano visivo a concettuale diventando strumento espressivo come in “Coppia con la testa piena di nuvole”
di Dalì dove le teste sono bordate da una cornice (finestra sull’inconscio) o in “French windows” di
Duchamp dove una finestra ha vetri oscurati e che si limita a incorniciare il proprio buio. A volte poi, intesa
come limite della pittura viene abolita con l’arte concettuale, povera, le installazioni dove decade il ponte
tra spazio rappresentato e in cui l’opera è inserita perché questi si identificano. Si vede nello spazialismo di
Fontana o nella Land art in cui l’arte conquista uno spazio e si dilatano i confini dell’opera a interi

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territori quindi la cornice non è più usata se non come contesto perché è la superficie terrestre ad essere con
Christo uno spazio limite che incornicia gli interventi degli artisti.

APPENDICE. LA CORNICE: CONSERVAZIONE E RESTAURO

Non ha attirato molto anche dal punto di vista del restauro, c’è poca letteratura e documenti ma vengono
comunque fatti interventi perché considerata di interesse artistico. La cornice poteva essere in vari materiali
e non è mai in uno solo e ognuna ha varianti dettate dall’ingegno dell’artigiano, dalle esigenze dell’artista,
dalla reperibilità dei materiali, dai costi e la scelta dei trattamenti dipenda dai materiali e dalla loro
combinazione. Essendo legata al dipinto, il restauro di un dipinto presuppone anche quello della sua
cornice così come gli interventi conservativi tenendo conto dei materiali e che le esigenze non siano
incompatibili. Bisogna evitare completamenti in stile o analogici mentre ammesse aggiunte in funzione
statica di parti storicamente accertate marcando le aggiunte senza eccedere, evitare rimozioni e non alterare
o rimuovere la patina dell’opera. Questo vale anche per le cornici dove si integrano le parti con funzione
strutturale o aggiungere parti sul modello originale, salvaguardare le testimonianze storiche e per la pulitura
ci si deve fermare allo strato di vernice originale o patina in superficie.

Importanti le informazioni sul restauro del tondo Doni dove sono state asportate ridipinture moderne,
dorature successive, stuccature e le parti rifatte non asportate sono delineate da un sottile bordo mentre per
reintegrare pittura si è scelto tinte neutre ad acquarello. Nella “Pala Pesaro” di Bellini la reintegrazione ha
richiesto una differenziazione di interventi tra parti dipinte e dorate: le lacune della doratura sono lasciate a
legno, nelle modanature lisce sono state stuccate e coperte a tratteggio applicando per la cornice una tecnica
usata nei dipinti e per le piccole lacune una stesura ad acquarello. Le cadute di colore a gouaches velati con
colori a vernice da ritocco. Per le parti in legno manomesse o perdute per restituire funzionalità sono state
reintegrati delle parti. Nessuna integrazione per le mancanze negli intagli e nei decori perché avrebbe
eliminato parti originali.

Per la conservazione dobbiamo tenere conto che spazialità dell’immagine, della parete e spazio fisico dello
spettatore interagiscono e non sono indipendenti e quando la cornice è legata al dipinto e si trova nella sua
primaria collocazione possiamo considerarla un elemento importante per la conoscenza completa anche
dell’opera. Quindi se è storicamente pertinente non bisogna alterarla né sostituirla perché rappresenta il
gusto di un’epoca, mentre se non è originale ci si comporta come nei confronti di rifacimenti o aggiunte.
Questioni ancora aperte il problema della conservazione della cornice in un museo, qualora un dipinto ne è
rimasto privo oppure legare una pittura con la sua cornice antica in uno spazio moderno. In alcuni casi è
prevalsa una maggiore attenzione al rapporto dipinto-cornice ricostruendo il gusto dell’epoca e
incorniciandolo con un oggetto coevo o in stile. Altre volte il problema si è posto come una ricerca di
equilibrio tra opera antica e il suo inserimento in un contesto moderno come nella mostra impressionista al
MoMA del 1985 dove si sono tolte le cornici originali sostituendole con semplici bordure in legno. In ogni
caso si attesta l’esigenza di un raccordo spaziale pensato in rapporto al contesto moderno o al dipinto antico
e confermano il ruolo tradizionale della cornice.

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