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frazione di Verona, dove oggi si trova la sua lapide commemorativa, in
una stradina immersa nella campagna.
Opere e Critica.
La città che sale è un dipinto a olio su tela (199,3 × 301 cm) realizzato a
cavallo tra il 1910 ed il 1911 dal pittore italiano futurista Umberto
Boccioni. Nel 1912 il quadro fu acquistato dal musicista Ferruccio Busoni
nel corso della mostra d'opere futuriste itinerante in Europa. È oggi
esposto al Museum of Modern Art di New York. Il bozzetto preparatorio è
esposto nella collezione della Pinacoteca di Brera a Milano.
Per dipingere quest'opera Boccioni prese spunto dalla vista di Milano che
si vedeva dal balcone della casa dove abitava. Il titolo originale era IL
LAVORO così come apparve alla Mostra d'arte libera di Milano del 1911.
Nonostante la presenza di elementi realistici come il cantiere o la
costruzione, ed ancora la resa dello spazio in maniera prospettica, il
dipinto viene considerato la prima opera veramente futurista del pittore
reggino, pur non discostandosi molto dai quadri analoghi degli anni
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precedenti, nei quali le periferie urbane erano il soggetto principale. In
questo dipinto viene parzialmente abbandonata la visione naturalistica
dei quadri precedenti, per lasciare il posto ad una visione più
movimentata e dinamica.
Si coglie la visione di palazzi in costruzione in una periferia urbana,
mentre compaiono ciminiere e impalcature solo nella parte superiore.
Gran parte dello spazio è invece occupato da uomini e da cavalli, fusi
esasperatamente insieme in uno sforzo dinamico. In tal modo Boccioni
mette in risalto alcuni tra gli elementi più tipici del futurismo, quali
l'esaltazione del lavoro dell'uomo e l'importanza della città moderna
plasmata sulle esigenze del nuovo concetto di uomo del futuro.
Ciò che mette il quadro perfettamente in linea con lo spirito futurista è
però l'esaltazione visiva della forza e del movimento, della quale sono
protagonisti uomini e cavalli e non macchine. Questo è ritenuto un
particolare che attesta come Boccioni si muova ancora nel simbolismo,
rendendo visibile il mito attraverso l'immagine. Ed è proprio il "mito" ciò
che l'artista modifica, dunque non più arcaico legato all'esplorazione del
mondo psicologico dell'uomo, ma mito dell'uomo moderno, artefice di un
nuovo mondo. In parole povere l'intento dell'artista è di dipingere il frutto
del nostro tempo industriale. Il soggetto dunque, da raffigurazione di un
normale momento di lavoro in un qualunque cantiere, si trasforma nella
celebrazione dell'idea del progresso industriale con la sua inarrestabile
avanzata. Sintesi di ciò ne è il cavallo inutilmente trattenuto dagli uomini
attaccati alle sue briglie.
L'influsso di Gaetano Previati come si vede è ancora evidente nelle
pennellate filamentose e nella tecnica divisionista, le pennellate
tratteggiate hanno infatti andamenti ben direzionati e funzionali al
mettere in evidenza le linee di forza che caratterizzano il movimento delle
figure, non quindi alla costruzione di masse e volumi, anche se i tratti
pittorici sono qui volti a dare dinamicità ai volumi fino a far perdere loro
consistenza e peso.
La composizione del quadro conserva tuttavia ancora un impianto
abbastanza tradizionale. Le figure sono scandite su precisi piani di
profondità dove in basso si vedono le figure in primo piano, mentre in
alto quelle sui piani più profondi. La composizione può essere divisa in tre
fasce orizzontali che corrispondono ad altrettanti piani:
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1. in basso Boccioni colloca le figure umane realizzate secondo linee
oblique che ne evidenziano lo sforzo dinamico.
2. al centro dominano delle figure di cavalli, tra le quali ne risaltano
quattro, gli ultimi tre hanno una colorazione rossa e dei profili di colore
blu che rappresentano i cavalieri sulla groppa: 1. uno bianco a sinistra che
rivolge lo sguardo verso destra, 2. uno al centro che domina il centro del
quadro, 3. uno sulla destra, 4. uno sulla sinistra, poco più su di quello
bianco, col muso verso l'alto e la bocca aperta.
3. nel terzo piano appare lo sfondo di una periferia urbana, che
probabilmente andrebbe identificata con un quartiere di Piacenza in
costruzione.
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La strada entra nella casa è un dipinto futurista di Umberto Boccioni
risalente al 1911, custodito allo Sprengel Museum di Hannover.
Il dipinto mostra una donna di spalle, ritratta mentre si poggia sulla
ringhiera di un balcone. La vista che si apre da tale postazione mostra una
fitta serie di edifici, una strada sulla sinistra e dei cantieri nella parte
centrale del dipinto. L'opera presenta una potente carica emotiva,
rappresentata dalla scelta dei colori e dalle forze che riescono persino a
piegare gli edifici.
Boccioni stesso descrive la sua opera in questo modo:
«La sensazione dominante è quella che si può avere aprendo una finestra:
tutta la vita, i rumori della strada, irrompono contemporaneamente come
il movimento e la realtà degli oggetti fuori. Il pittore non si deve limitare a
ciò che vede nel riquadro della finestra, come farebbe un semplice
fotografo, ma riproduce ciò che può vedere fuori, in ogni direzione, dal
balcone.»
(Umberto Boccioni)
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Visioni simultanee è un dipinto di Umberto Boccioni risalente al 1911,
custodito al Von Der Heydt Museum di Wuppertal.
Il dipinto, esposto nella prima mostra futurista a Parigi del 1912, ricalca
alcuni temi dell'opera La strada entra nella casa, pressoché
contemporanea e oggi conservata ad Hannover. In entrambe le tele il
personaggio più visibile è una donna, appoggiata ad un balcone (o in
questo caso ritratta mentre si sporge da una finestra) e rivolta verso la
strada sottostante e gli edifici di fronte.
L'"azione" si svolge su piani sovrapposti, con lo scopo di mostrare
nell'opera tutto ciò che sia visibile dalla finestra cui si affaccia la donna; gli
edifici si curvano e si scompongono, come le figure per la strada e la
donna stessa.
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Stati d'animo n. 1. Gli addii è un dipinto a olio su tela (70,5 × 96,2 cm)
realizzato nel 1911 dal pittore italiano Umberto Boccioni.
È esposto al MOMA di New York.
Lo spazio è composto in vorticosi movimenti, le forme sono viste
simultaneamente da numerose posizioni, figure e ambiente sono fusi in
un unico ritmo dinamico. La composizione assume un moto vorticoso. Il
treno, le fabbriche e le città in costruzione sono spesso presenti nei
dipinti futuristi, come simboli del progresso. A partire dall'800 le ferrovie
sono divenute un elemento molto importante del panorama urbano delle
città del mondo sviluppato. Dopo il 1830, le strade ferrate e le locomotive
a vapore si sono diffuse rapidamente dall'Inghilterra, loro luogo di origine,
a tutta l'Europa. Milano non è stata da meno di tante altre città italiane
ed europee, ed il treno, con i suoi binari e le sue stazioni, ha iniziato a
caratterizzare e condizionare l'assetto territoriale e viario della città,
anche se, la ferrovia non è mai penetrata all'interno dell'antica cerchia
delle mura spagnole.
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Materia è un'opera d'arte dipinta a olio su tela (226x350 cm) realizzata a
cavallo tra il 1912 e il 1913 dal pittore Umberto Boccioni.
È conservata temporaneamente alla Collezione Peggy Guggenheim di
Venezia e appartiene alla collezione di Gianni Mattioli.
Materia è chiaramente un ritratto a figura intera della madre dell'artista,
il soggetto principale di numerose tele da esso realizzate, come nel caso
della madre con l'uncinetto del 1907. La madre nel dipinto viene ritratta
seduta nella sua casa frontalmente, così da volgere le spalle ad un
balcone che si affaccia sul paesaggio urbano retrostante. Questa scelta
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compositiva serve a fondere in un'unica «visione simultanea» la
percezione ottica di due soggetti ben distinti, l'ambiente metropolitano e
la madre dell'artista. Le mani della figura materna sono rappresentate
incrociate e gigantesche e vanno a costituire il fuoco del ritratto. Lo
scenario urbano appare come uno spazio perfettamente integrato con la
figura umana, i profili delle case sono rappresentati come nuclei
generatori di ampi fasci di luce azzurra trasparente, che dall'alto
illuminano la "madre". Tipico di questo quadro è l'energia che si viene a
formare grazie ai colori utilizzati, un'energia che va in ogni direzione come
è tipico della corrente di appartenenza, il Futurismo.
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Antigrazioso o L'antigrazioso, conosciuto anche come La madre, è una
scultura in gesso patinato di Umberto Boccioni realizzata tra 1912 e 1913
e conservata presso la Galleria nazionale d'arte moderna e
contemporanea di Roma. Il busto è uno dei pochi esempi superstiti delle
sculture futuriste eseguite da Boccioni nel 1912 e 1913 ed esposti alla
Galerie 23 di Parigi nel 1913.
Il gesso originale, presente dal 1938 nella Galleria nazionale d'arte
moderna, fu acquistato dal museo nel 1950 da Benedetta Marinetti.
La scultura rappresenta la scomposizione futurista del volto della madre
dello scultore, ripreso nel dipinto Materia del 1913. Boccioni esegue
anche un dipinto con lo stesso titolo, Antigrazioso del 1913, di
impostazione differente.
Il busto ha uno stile simile a Forme uniche della continuità nello spazio.
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Dell'opera esiste una fusione in bronzo del 1950-1951, conservata presso
il Metropolitan Museum di New York.
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Sviluppo di una bottiglia nello spazio è un'opera scultorea del 1912 di
Umberto Boccioni.
L'opera rappresenta una bottiglia poggiata su un piatto: le due figure
costituiscono una natura morta, tema raro nella poetica futurista di
Boccioni. Tuttavia, l'artista riesce a rendere il gioco dinamico, che sta alla
base dei suoi lavori, attraverso una visione vorticosa dei due elementi,
rendendo indistinti l'interno e l'esterno degli oggetti e dando movimento
al tutto.
Oltre all'esemplare fuso nel 1935 dal gesso originale e oggi esposto a
Milano, nel Museo del Novecento, ne esistono altri quattro, fusi in diversi
momenti. Uno di questi, fuso nel bronzo negli anni 2000 e appartenente a
una collezione privata, è stato esposto al pubblico nel 2009, presso la
Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, in occasione del centenario del
Manifesto del futurismo di Marinetti.
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Forme uniche della continuità nello spazio è una celebre scultura
dell'artista futurista Umberto Boccioni. Rappresenta simbolicamente il
movimento e la fluidità. Boccioni respinge la scultura tradizionale per
creare questo pezzo, considerato uno dei capolavori del Futurismo.
La scultura è raffigurata sul retro delle monete da 20 centesimi di euro
coniate in Italia e se ne conoscono varie versioni, tra cui una al Museo del
Novecento di Milano, una alla Kunsthalle di Mannheim, una alla Tate
Modern di Londra, una al MoMA di Manhattan, una al Metropolitan
Museum di New York, una al Museo Kröller-Müller di Otterlo (Paesi Bassi)
e una alla Galleria Nazionale di Cosenza.
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Il movimento futurista si prefiggeva di rappresentare la velocità e la forza
del dinamismo nell'arte. Boccioni, anche se formatosi come pittore, iniziò
la propria carriera di scultore nel 1912. Scrisse a un amico: "In questi
giorni sono ossessionato dalla scultura! Credo di aver visto una completa
rinnovazione di quest'arte mummificata." Un anno dopo, Boccioni
completò la scultura (Dinamismo di un corpo umano in due copie
litografiche). L'obiettivo della sua opera era quello di rappresentare un
"continuum sintetico" del movimento, invece di una "discontinuità
analitica" che egli vedeva raffigurata da altri artisti come František Kupka
e Marcel Duchamp. L'opera originale di Boccioni è in gesso e nel corso
della vita dell'autore non venne mai prodotta la rispettiva copia in bronzo.
Il gesso è in mostra al Museo di Arte Contemporanea, a San Paolo del
Brasile. Ulteriori calchi furono ricavati nei decenni successivi:
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«Questo succedersi, mi sembra ormai chiaro, non lo afferriamo con la
ripetizione di gambe, di braccia, di figure, come molti hanno
stupidamente supposto, ma vi giungiamo attraverso la ricerca intuitiva
della forma unica che dia la continuità nello spazio.»
(Umberto Boccioni,[5] Forme uniche della continuità nello spazio)
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Dinamismo di un cavallo in corsa + case è l'ultima opera scultorea di
Umberto Boccioni, realizzata tra 1914 e 1915. È conservata nella Peggy
Guggenheim Collection, presso palazzo Venier dei Leoni, nel centro
storico di Venezia. Con questa scultura l'artista afferma la sua opinione
secondo cui la natura stessa del senso visivo produce l'illusione della
fusione delle forme; l'osservatore infatti, non avendo cognizione
dell'effettiva distanza che intercorre tra il cavallo in corsa e le case sullo
sfondo, percepisce le due figure come parte di una singola unità
dinamica.
Essa segue i dettami del Manifesto tecnico della scultura futurista nel
negare l'esclusività di una materia per la intera costruzione d'un insieme
scultorio: infatti, l'opera si compone di parti in legno, in cartone, in rame
e in ferro, con superfici dipinte a guazzo e olio.
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I taccuini di Umberto Boccioni. I dubbi sul Futurismo. Tornare
all’antico?
di Enrico Giustacchini
“Sono da tre giorni a Milano. Oggi ho visto un quadro che mi ha fatto
inumidire gli occhi. La Pietà di Giambellino a Brera. E’ la perfezione stessa.
Il sogno di un artista non può andare più in là. C’è tutto. E’ terribile!!”.
Chi scrive così, chi confessa di aver pianto davanti ad un dipinto
quattrocentesco, è – lo avreste creduto? – Umberto Boccioni. All’epoca –
corre l’anno 1907 – ha venticinque anni. E adora i classici. Gira per
l’Europa alla ricerca della grande pittura. Aspira a diventare, egli stesso,
un grande pittore. Eccolo, in settembre, a Monaco di Baviera. Annota nel
suo taccuino (i taccuini dell’artista sono stati ripubblicati, nel 2003, a cura
di Gabriella Di Milia, da Abscondita): “Ho visitato la Pinacoteca antica,
importantissima. Infinità di cose buone e alcune meravigliose: Dürer con
l’autoritratto a 28 anni mi atterrisce… Ci vorrebbe un volume a parlarne”.
E pochi giorni dopo: “Mi entusiasmano tutti gli artisti fino a Raffaello. Oh,
mi inebriano, mi trasportano, sono un loro schiavo…
Leonardo m’è venuto alla mente come non mai prima! Che intelletto
divino! E c’è chi dice che la Scienza ha ucciso l’Arte. Ma può essere ciò?”.
Ancora, in dicembre: “Leggo Müntz, un libro sul Rinascimento. Le parole
che dice su Leonardo Michelangelo Bramante Raffaello mi fanno
scomparire come la neve al sole. Come posso credermi qualche cosa
davanti a simili giganti?”.
Concludiamo con una riflessione del febbraio del 1908: “Michelangelo!
Come posso arrischiarmi con le mie parole a parlare di Lui? Chi sono io?
Perché scrivo? Per me? Sì, forse questo mi permetterà di dire che
m’inginocchio e adoro… Oh! Misteriosa potenza del genio! Io non posso
seguirlo in tutto. V’è un punto in cui lo vedo varcare una soglia ed entrare
nel Mistero. Adoro e basta!”. Lasciamo Boccioni ai suoi innamoramenti, ai
suoi rovelli, ai suoi proclami d’inadeguatezza degli esordi. Facciamo un
salto temporale, sino al 1916. Sono passati solo otto anni, ma in questi
otto anni è successo di tutto, nel mondo dell’arte. E’ nato, ad esempio,
quello che sarà uno dei maggiori e più dirompenti movimenti del secolo, il
Futurismo. Ed Umberto Boccioni ne è l’osannato principe.
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Eppure… Il rovello ogni tanto si fa sentire; il tarlo del dubbio rode. Colui
che ha proclamato il gioioso primato del movimento, colui che ha cantato
la scoppiettante carica della macchina e dell’artificio, si lascia cogliere a
volte, e ogni volta un po’ più a fondo, dalla nostalgia. Le idee sono ancora
vaghe, l’orizzonte lontano e caliginoso. Ma quei pensieri sulla tradizione,
sulla classicità ritornano ostinatamente.
C’è stata, frattanto, a complicare le cose, l’esperienza della guerra.
Umberto aveva accolto con entusiasmo la notizia dell’inizio del conflitto;
con gli altri compagni di strada dell’avventura futurista si era arruolato
volontario, in un guasconesco e abbastanza improbabile “Battaglione
ciclisti”. Presto, però, la realtà si era rivelata ben diversa. Vista da vicino,
la guerra aveva perduto il suo alone eroico e glorioso. “Sonno! Letto!
Mangiare!” sono le ultime parole che troviamo scritte nel diario dal
fronte. Poi il ritorno a casa, il faticoso riavvicinamento all’attività pittorica,
mentre il disincanto e i dubbi montano di pari passo. Boccioni non si
arrende. Sceglie di non crogiolarsi nella fama acquisita, di non dormire
sugli allori. L’alfabeto gagliardo delle linee-forza e della scomposizione
iconica lascia il posto alla solennità nuova di un ricompattamento plastico,
di una riedificazione formale in senso figurativo. Il vate del Futurismo
avverte ineludibile la necessità di un rallentamento. Per vedere meglio –
pensa -, per meglio mettere a fuoco, servono un passo più largo e una
minore concitazione. L’immagine si fa così, negli ultimi quadri, più
centrale, più definita nell’impianto volumetrico, più “assoluta”. Umberto
dipinge i suoi ritratti avendo davanti agli occhi e nel cuore la sublime
lezione del passato, i sublimi maestri: e, su tutti, Cézanne. “La sintesi, i
pieni ed i vuoti come negativi e positivi di concavi e convessi muovono la
struttura disegnativa con purezza e semplificazione di mezzi” osserva, a
proposito di queste opere, Guido Ballo. Nei primi mesi del 1916, il Nostro
è ospite del musicista Ferruccio Busoni. Un committente prestigioso, il cui
ritratto è la prova più celebre e riuscita dell’estremo periodo del pittore.
Busoni detestava il Futurismo, e qualcuno ne approfitterà per sostenere
la tesi che la svolta stilistica di Boccioni avrebbe avuto motivazioni anche
utilitaristiche. Una tesi che provocherà l’appassionata reazione, tra gli
altri, di Aldo Palazzeschi: “Solamente chi non ha conosciuto Boccioni può
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cadere in questo equivoco. Le opere di quel momento, dobbiamo
considerarle attraverso l’incontentabilità e l’implacabilità del suo spirito
sinceramente rivoluzionario, attraverso la sua lungimirante e spietata
intelligenza che gli faceva misurare i limiti di una nuova via fino dal suo
inizio… Tornare alla propria origine… significava costruire un trampolino
di lancio e attingere nuova lena per una più audace e sicura conquista”.
Certo, quei mesi furono, pur nel travaglio, mesi di ritrovato entusiasmo
per l’artista. In calce ad una lettera all’amico compositore egli aggiungerà
questa postilla: “Vedo, rileggendo, che ho ripetuto la parola felicità tre
volte… Sono realmente in un periodo felice. Procedo con passo di
danza…”.
La danza si interromperà purtroppo presto. Il richiamo alle armi in luglio.
La caduta da cavallo, poche ore di agonia, la morte assurda il 17 di agosto.
Se il destino non fosse stato con lui così crudele, chissà dove sarebbe
arrivato, Umberto Boccioni, a furia di inseguire – sempre danzando – il
fantasma di una pittura insieme antica e nuova, che è come dire eterna.
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Umberto Boccioni e Vittoria Colonna, gli ultimi giorni di un
incantesimo d’amore prima della morte
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