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Mimmo Paladino (Padula 1944) all’Accademia di Brera - 27 gennaio 2023

di Angelo Marcuccio

“Silenzioso mi ritiro a dipingere un quadro” questo il titolo di uno dei suoi lavori che più lo
rappresentano.
Sì, perché Mimmo Paladino, classe 1948, è un pittore a tutto campo, che pur avendo sperimentato
tra pittura, fotografia, scultura e cinema non smentirà mai di sentirsi tale.
In questo incontro a cura di Lorenzo Madaro e Laura Cherubini,
il maestro si racconta intimamente davanti alla platea dell’Accademia di Brera, dai suoi primi esordi
fino ad oggi.
Non frequentando alcuna accademia Paladino crea la sua forma mentis con lo zio Salvatore
(anch’egli artista) e girovagando per mostre e Biennali. Nello specifico dalle sue parole emerge
quanto il lavoro di Rauschenberg e Jasper Johns fosse stato d’impatto durante quella biennale del
1964 in cui a Venezia approdò la pop art americana. Analogo al suo pensiero infatti, “Pittura è
mettere un oggetto potente su una superficie”, emerge quanto fosse stato affascinato dal vedere
incollare un’aquila su una tela e capire quanto potesse cambiare completamente.
Racconta come nel 1977 da giovane pittore ambizioso approda a Milano portando avanti un lavoro
che si basava principalmente su una postproduzione fotografica e disegno (che sottolinea sentire
ancora sua), ma che dinanzi ad alcuni primi rifiuti decide di realizzare una tela di dimensione 70*50
(centimetri) “Silenzioso mi ritiro a dipingere un quadro”. Opera che potremmo definire di
superamento, che lo inquadra nella pittura ma con dei segni fuoriuscenti tiene conto dello spazio.
Questo uno dei suoi primi successi, visibilità sulla rivista di Tommaso Trini (“DADA”) e di Ettore
Sottsass.
Una delle tante mostre raccontate è quella di Milano, nel 1978 dove in un freddo pomeriggio
d’inverno espone presso la galleria Franco Toselli su un muro l’opera dal titolo “Il Brasile si sa è un
pianeta dipinto sul muro di Franco Toselli”.
Sempre nello stesso anno ci racconta, grazie all’estrema generosità di Michelangelo Pistoletto, entra
in contatto con Persano, proprietario dell’omonima galleria che era la culla torinese dell’arte povera
e riesce ad ottenere una sua personale.
Tra i vari aneddoti raccontati su questa mostra ho trovato simpatico il fatto che Mario Merz fosse
titubante e nervoso davanti ai lavori di Paladino. Pochi secondi dopo ci dirà che a seguito
diventarono amici.
Da queste due mostre possiamo capire quanto nel giro di poco tempo l’artista inizia così ad ottenere
i suoi primi riconoscimenti, tanto che il critico Achille Bonito Oliva inizia a trascriverlo come
pittore della “Transavanguardia”, movimento teorizzato e documentato da quest’ultimo includendo
anche altri artisti come Chia, Cucchi, De Maria e Clemente.
Proprio in merito a ciò, l’artista risponde quanto non ha mai creduto a fratture nel mondo dell’arte,
se non per il futurismo (fondato su un manifesto ed ambientato in un determinato contesto storico).
E precisa quanto tutti loro abitassero in città diverse ad eccezione di Clemente e Cucchi, e ci spiega
quanto essenzialmente ognuno di loro avesse una produzione tesa ad una forte soggettività. Tutti
questi artisti infatti avevano portato una nuova sensibilità nel mondo dell’arte, tanto, che racconta
l’artista vennero paragonati dallo stesso Tommaso Trini ai nuovi cantautori (De Gregori e Dalla)
che avevano riportato la poesia nella musica.
A seguito di ciò, una lunga carreggiata di successi, “Giovani Italiani” di Armàn, esposizione ad
Amsterdam, New York, nel 1980 Biennale di Venezia, nel 1981 una personale al Kunst Museum di
Basilea, sempre stesso anno esposizione presso la Royal Academy, nel 1982 presso Documenta.
Questo solo per menzionarne una parte.
Racconta della sua esperienza ad Acireale (1981), piuttosto che a Gibellina (1990) dove installò in
modo permanente una montagna di cemento su cui vi sono trenta cavalli in legno.
Lavoro tanto apprezzato che venne riadattato durante la sua personale a Palazzo Reale di Napoli nel
2010 rendendola scultura installata temporaneamente composta da sale all’interno della imponente
piazza.
Quindi pittore, fotografo, scultore ed ovviamente non poteva frenarsi davanti alla macchina da
presa.
Il suo primo film, nel 2003, un omaggio all’anniversario di “Don Chisciotte” in cui un basso
budget, ci racconta, aveva permesso che recitassero solo suoi amici e famigliari, tra cui Lucio Dalla
e Toni Servillo.
Ed infine l’ultimo film, in uscita a marzo 2023, “La divina cometa”, del quale abbiamo avuto la
fortuna di vedere dei frammenti in cui si narra la storia di cinque magi che portano in dono le
cinque forme d’arte, ovvero pittura, musica, poesia, scultura ed il teatro.
Che dire?
Un artista che è riuscito a scavalcare le difficoltà ed i limiti grazie alla propria ambizione
addentrandosi a tutto campo in quello che sono le arti visive.

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