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progettato dall'architetto Josep Lluís Sert. Portò con se l’esperienza della gioventù parigina, la
maturità artistica e le sue opere, che lo accompagnarono sull'isola-rifugio che scelse per l’ultima
parte della sua carriera.
"E' il più surrealista di tutti noi" affermò Breton quando vide le sue opere esposte accanto a quelle
di Picasso nella Galerie Pierre di Parigi nel 1925. Già nel 1923 era un membro affermato
dell'avanguardia francese e a Parigi lo fu soprattutto per il quadro Carnevale di Arlecchino (1924-
1925). Ripassare quest’opera aiuta a comprendere al meglio la mostra qui recensita, "Miró:
l’esperienza di osservare" esposta nell'Accademia delle Belle Arti di Buenos Aires e aperta fino a
febbraio 2018 (entrata gratuita). Osservando il Carnevale di Arlecchino si noteranno le forme
biomorfiche, le linee a svolazzi, molto nero, rosso, verde e blu, il tutto amalgamato in una
composizione apparentemente ingenua; alcuni critici la ritengono infantile. Vi sono insetti, note
musicali, pesci e animali, oltre a un occhio spalancato. Un palloncino baffuto diviso in due metà
uguali, una dipinta di rosso e l'altra di blu, rappresenta l'Arlecchino. Il dipinto raffigura il Martedì
Grasso (Mardi Gras) e rappresenta l'anima del Surrealismo, cioè "un automatismo psichico allo
stato puro" come lo definì Breton, che caratterizzò gran parte dell'opera di Miró. Lui stesso lavorò
negli ultimi due decenni di vita (1960-1983) a una rivisitazione del proprio passato artistico, dando
nuova luce a concetti ed espressioni che lo caratterizzarono per tutta la prima parte del ‘900. Miró
nacque a Barcellona nel 1983 e fino all’età di diciannove anni non si dedicò completamente
all’arte, se non come alternativa all’indirizzo economico che il padre gli impose.
Una mostra da vedere con calma, soprattutto con un minimo di consapevolezza sul passato
artistico dell’autore.