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Era il 1956, quando Miró si trasferì nelle vicinanze di Palma (Maiorca) nel suo studio-casa

progettato dall'architetto Josep Lluís Sert. Portò con se l’esperienza della gioventù parigina, la
maturità artistica e le sue opere, che lo accompagnarono sull'isola-rifugio che scelse per l’ultima
parte della sua carriera.

"E' il più surrealista di tutti noi" affermò Breton quando vide le sue opere esposte accanto a quelle
di Picasso nella Galerie Pierre di Parigi nel 1925. Già nel 1923 era un membro affermato
dell'avanguardia francese e a Parigi lo fu soprattutto per il quadro Carnevale di Arlecchino (1924-
1925). Ripassare quest’opera aiuta a comprendere al meglio la mostra qui recensita, "Miró:
l’esperienza di osservare" esposta nell'Accademia delle Belle Arti di Buenos Aires e aperta fino a
febbraio 2018 (entrata gratuita). Osservando il Carnevale di Arlecchino si noteranno le forme
biomorfiche, le linee a svolazzi, molto nero, rosso, verde e blu, il tutto amalgamato in una
composizione apparentemente ingenua; alcuni critici la ritengono infantile. Vi sono insetti, note
musicali, pesci e animali, oltre a un occhio spalancato. Un palloncino baffuto diviso in due metà
uguali, una dipinta di rosso e l'altra di blu, rappresenta l'Arlecchino. Il dipinto raffigura il Martedì
Grasso (Mardi Gras) e rappresenta l'anima del Surrealismo, cioè "un automatismo psichico allo
stato puro" come lo definì Breton, che caratterizzò gran parte dell'opera di Miró. Lui stesso lavorò
negli ultimi due decenni di vita (1960-1983) a una rivisitazione del proprio passato artistico, dando
nuova luce a concetti ed espressioni che lo caratterizzarono per tutta la prima parte del ‘900. Miró
nacque a Barcellona nel 1983 e fino all’età di diciannove anni non si dedicò completamente
all’arte, se non come alternativa all’indirizzo economico che il padre gli impose.

L’ultimo periodo di produzione dell’anziano Miró (muore a novanta anni) è ugualmente


impressionante e certamente intenso, costellato da linee grosse e nere, l’uso di colori energici e
accesi per i quali era conosciutissimo dal pubblico, gocce di colore qua e là e una forte carica
simbolica. L’introspezione dell’autore dal 1960 in poi, periodo rappresentato dalla mostra, si nota
nelle cinquanta opere di pittura e scultura esposte nel Museo di Belle Arti di Buenos Aires, un
percorso raggruppato in unica grande sala che trova posto al primo piano dell’edificio, dove non è
facile districarsi sia per il poco spazio fra le opere sia per la molta gente presente. La curatrice della
mostra, Carmen Fernández Aparicio (Belle Arti di Buenos Aires), con la direzione di Rosario Peirò
(Museo Regina Sofia di Madrid) hanno concepito un percorso che esplora la ricerca artistica
dell’autore nella rappresentazione della natura e della figura umana. In questo senso, il percorso
espositivo si apre sulla sinistra con il quadro Donna, uccello, stella (1966-1973) dipinto da Mirò per
rendere omaggio a Picasso. L’opera presenta elementi caratteristici che si ripetono in molte quadri
qui esposti, in particolare la composizione di cerchi e figure geometriche colorate combina tre
elementi che Miró propone in questa ultima tappa artistica. La donna come unione con la terra,
l’uccello come simbolo della poetica e la stella che si riferisce alla spiritualità. In questo Mirò
anziano si ritrovano tutte le esperienze dell’avanguardia post guerra, la semplicità dei materiali
usati per le sculture profondamente simboliche (latta, oggetti d’uso quotidiano, ruote) e anche
una certa “stanchezza” riscontrabile nei tratti stilizzati e nei colori spenti –quasi timidi direi–
osservabili in uno degli ultimi quadri che dipinse come Donna, uccello (1978) se si compara con
opere di quasi vent’anni prima. L’altra faccia di Miró è mostrata dai due documentari in bianco e
nero proiettati in una saletta attigua al grande salone espositivo, dove si vede l’artista catalano
verso gli anni ’70 intento a “imbrattare” le vetrate del famoso edificio del Collegio degli Architetti
di Barcellona, proprio sotto l’opera Fregio dei Giganti di Picasso. Un Miró che si dedicava alla
performance artistica, un’artista che non si fermò mai, nemmeno se avesse potuto.

Una mostra da vedere con calma, soprattutto con un minimo di consapevolezza sul passato
artistico dell’autore.

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