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Schede sugli illustratori presenti in mostra*

Anselmo Ballester

(Roma 1897-1974): Con Luigi Martinati e Alfredo Capitani diede vita alla BCM, agenzia che si
occupava della pubblicità cinematografica in Roma. I tre riuscirono a codificare perfettamente il
lessico iconografico del cartellonismo, miscelando stereotipi desunti dalle stampe popolari,
copertine dei feuilletons, e persino dei tarocchi. Secondo Quintavalle, particolarmente Ballester è
“colui che costruisce i generi del racconto del manifesto, che, insomma, fissa … che un certo
sistema di “scrittura” e un certo sistema di colori devono rispondere a pellicole di un certo
contenuto … connotando le pellicole di specifici sensi e di non altri. Attivo per il cinema sin dagli
anni ’10, Ballester ha firmato migliaia di “pittorici” cartelloni in circa mezzo secolo d’attività. In
questa mostra esponiamo una sua celebre e “romantica” locandina degli anni ’40, ovvero La sepolta
viva (1948).

Averardo Ciriello

Nato a Milano nel 1918, è eclettico illustratore di giornali e riviste (“Il travaso delle idee”, “La
Domenica del corriere”, “Tribuna illustrata”), libri per ragazzi (L’isola del tesoro, Il richiamo della
foresta, Ben Hur, Il principe e il povero, per Mondadori e Fabbri), fumetti erotici (Lucifera); ma la
sua fama è legata soprattutto all’attività di cartellonista cinematografico, cui ha iniziato dedicarsi
nell’immediato dopoguerra. Interessanti appaiono soprattutto i manifesti dell’immediato
dopoguerra, in cui egli – modernizzando il più aulico gusto “alla Ballester” – eseguì suadenti
composizioni indirizzate al passante-spettatore degli anni del Neorealismo, caratterizzati da una
veristica “esasperazione illustrativa: il manifesto sembra voler contenere in sintesi tutto il film”
(Montini). Nella mostra spicca fra tutti il manifesto formato elefante di Totò, Peppino e la
Malafemmina (1961), veramente bello per il realismo ritrattistica e per la vivacità del segno; sono
esposti anche la locandina Giulio Cesare contro i pirati (1962) e una fotobusta, che in questa sede
attribuiamo, ovvero Il mondo le condanna (1953).
Ciriello ha donato 800 opere – tra bozzetti e stampe – al CSAC dell’Università di Parma.

Angelo Cesselon

Nasce a Cinto Caomaggiore nel 1922 e già quindicenne si trasferisce a Roma, dove divenne
collaboratore di Ercole Brini, ottimo cartellonista cinematografico. Dopo la guerra si mise in
proprio, elaborando un peculiare stile espressivo, evitando le facili lusinghe del contorno ben
definito, a vantaggio di una stesura rapida, energica, “frastagliata”, dall’apporto grafico di grande
presa comunicativa, accompagnata da una sapiente disposizione cromatica (prediletti i toni bleu,
rosacei, ciclamino). Incisivi appaiono soprattutto i ritratti dei protagonisti, che rifiutano il realismo
eccessivo di tanti colleghi a favore della ricerca di una maggiore sintesi. Ha illustrato oltre 3000
film. Abbandonata l’attività cartellonistica, si è dedicato alla pittura sacra, operando in varie chiese
laziali. Nel 1991 è stata organizzata una sua personale presso il Palazzo delle Esposizioni in Roma.
In questa mostra viene esposta la locandina di Cantami buongiorno tristezza, del 1955, quella de La
monaca di Monza, del 1962 e la fotobusta di Pietà per chi cade (1954).

Renato Casaro

Trevigiano, nato nel 1935, ancora adolescente realizza cartelloni e addobbi effimeri per il cinema
Garibaldi a Treviso, operando anche come litografo presso la tipografia Coppelli. Trasferitosi a
Roma, lavora come grafico per il Ministero della difesa e come aiutante presso lo studio di Augusto
Favalli: quindi si mette in proprio come cartellonista pubblicitario. Firma numerosi manifesti, spessi
ricchi di humour gustoso e immaginifico (fra i tanti Assi alla ribalta, Alessandro il grande, L’uomo
di Alcatraz, Lo chiamavano Trinità, Flash Gordon, Conan il barbaro, La storia infinita, Amadeus).
Nel 1988 è stata esposta un antologica di opere a carattere cinematografico presso il Museo Civico
di Treviso.
Nella mostra che presentiamo segnaliamo la locandina di Per pochi dollari ancora (1966) e una
vera chicca “beat”, ovvero la locandina di Pensiero d’amore (1969). Attribuiamo, inoltre, pur non
avendone conferma, anche la locandina de L’ira di Achille (1962).

Franco Fiorenzi

(Carqueiranne 1912-Roma 1992)


Nato in Francia da italiani emigranti, si trasferì dal 1935 a Roma; di formazione autodidatta, iniziò
ben presto a dedicarsi alla realizzazione di manifesti cinematografici. Pur non avendo dimostrato
peculiari qualità espressive, né avendo legato il suo nome ad un film particolare, Fiorenti operò
sempre con professionismo impeccabile. Lasciato il cartellonismo a seguito della crisi dell’industria
cinematografica, si dedicò alla pittura da cavalletto, eseguendo numerosi paesaggi ed elaborando
una sua particolare tecnica “su muro”: allestì negli ultimi anni della sua vita alcune personali presso
la galleria Le Scalette di Roma.
In questa mostra esponiamo La figlia del diavolo, del 1952.

Rinaldo Gèleng
Nato a Roma nel 1920 da padre tedesco, dapprima collabora con giornali e riviste; ottimo pittore
ritrattista, Geleng si dedica con particolare impegno alla pubblicità cinematografica, tanto da essere
assunto come capufficio stampa della Warner e della Pea. Tra i suoi numerosi manifesti – stampati
dalle tipografie romane Artero, Parziale, Vecchioni & Guadagno – ricordiamo Scraface, Per chi
suona la campana, Catene, Il ladro di Venezia.
In mostra possiamo ammirare la fotobusta di Fedora, che è anche il pezzo più vecchio esposto,
essendo del 1942. Bellissima la locandina de Il cobra, del 1967, in cui combina la grafica delle
lettere con il disegno, altro pezzo esposto in questa mostra.

Enrico De Seta

Nato a Catania nel 1908, in seguito si trasferisce a Roma; nella sua giovinezza collabora a molte
riviste, quali il “Balilla”, il “Corriere dei Piccoli” e il “Marc’Aurelio”, inventando una serie di
straordinari personaggi, in cui “con grazia fulminante e disarmante sapienza il suo segno essenziale
e immediato alla Trier o alla Kossatz raggiunge il massimo dell’espressività con il minimo di pezzi”
(Pallottino). De Seta è stato poi alquanto attivo nell’ambito del manifesto cinematografico,
realizzando oltre 500 esemplari, di solito reclamizzando commedie di costume, più adatte al suo
ironico spirito di osservazione. A testimonianza di ciò si possono vedere nella nostra esposizione
due divertentissime fotobuste, Papà diventa mamma (1952) e Zitto e mosca (1953). Ma in mostra vi
sono anche altri lavori di tono diverso: così per Il tradimento (1951), e la simbolica quanto
evocativa locandina de Gli uomini dal passo pesante (1966). Attribuiamo a De Seta anche la
locandina de La regina di Saba, del 1952.

Roberto De Seta

Roberto è il figlio di Enrico De Seta. E’ nato a Roma nel 1937 ma ora vive in Canada. Ha realizzato
anch’egli centinaia di manifesti cinematografici. In questa esposizione si può ammirare la locandina
de La ragazza sotto il lenzuolo, del 1961.
Sandro Simeoni

Nasce a Ferrara nel 1908. Da giovane realizza interessanti shorts pubblicitari a cartoni animati per
la Pubblicane di Ferrara e, sempre nella stessa città, collabora con la OPR, ditta che realizzava
cartelloni stradali, Illustrò anche il giornale “Gioventù in lotta”: Trasferitosi a Roma, lavora come
cartellonista pubblicitario presso l’agenzia di Favalli, e quindi, si mette in proprio. Ancora in
attività. Simeoni ha realizzato circa 2600 manifesti, sia per le majors hollywoodiane che per le case
italiane. Ha disegnato inoltre varie copertine di libri gialli e, come pittore, ha allestito varie
personali a Roma e nella Repubblica di San Marino. Abile sia nell’eseguire freschi bozzetti
“narrativi” che nell’impaginare le fotografie degli attori protagonisti, l’artista ferrarese è tra i pochi
cartellonisti che sia riuscito a modernizzare il proprio stile restando sulla cresta dell’onda,
nonostante la crisi economica che ha attraversato la committenza. In mostra si possono ammirare
alcuni suoi lavori: la locandina di Morte di un amico (1960), quella di Boccaccio ’70 (1962),
Donne…botte e bersaglieri (1968), ma soprattutto la prima versione, abbastanza rara a vedersi, de
Per un pugno di dollari (1964).

Giuliano Nistri

Nasce a Roma nel 1926 e lavora, assieme al fratello Enzo, nel campo del cartellonismo
cinematografico. La Yomo, negli anni ’60, gli commissiona una serie di cartoline pubblicitarie, che
esegue con ottimi risultati; in seguito è illustratore della famosa rivista “Il Borghese”. I due fratelli
Nistri, così come il cartellonista Nano, oggi spesso operano come pittori e grafici per il Comando
generale dei carabinieri.
In questa esposizione possiamo ammirare due locandine di “peplum”, ovvero Cartagine in fiamme
(1953) e Marte dio della guerra (1962).
Il cinema italiano tra passioni e risate

Quando si parla del cinema degli anni del dopoguerra la critica ricorda i grandi capolavori del
neorealismo come quelli di De Sica o Rossellini, ma in quegli anni il maggior successo di pubblico
era riscosso dal filone popolaresco e da quello d’appendice.
IL personaggio che incarna l’essenza di questo cinema, al di là dei vari registi, è senz’altro Amedeo
Nazzari, l’unico attore italiano che occupi nel nostro cinema il posto riservato, a Hollywood, ad un
Gary Cooper, a un Clark Gable, a un Cary Grant o un James Stewart. Già prima della guerra era
diventato famoso con film quali Luciano Serra pilota o La cena delle beffe di Blasetti, ma ora trova
la sua perfetta collocazione in un cinema che potremo definire d’evasione anche se strappalacrime.
IL ruolo dell’ “amatore” gli è perfettamente confacente e le sue intepretazioni nobilitano le trame
che, a volte, lasciano un po’ a desiderare. Questo cinema, d’altro canto, non può essere certo
equiparato alle fiction e ai tv movie di oggi, perché l’impegno era senz’altro di altro livello, vuoi
appunto per la grande professionalità degli attori, vuoi per le ambientazioni e i costumi che erano
sempre all’altezza. E’ pur vero che non tutti i registi affrontavano l’impegno con la stessa capacità e
perizia tecnica: è possibile, dunque, trovarsi di fronte a dei piccoli gioielli come La sepolta viva di
Frignone o La contessa azzurra di Gora, o a prodotti quali Bella non piangere di David Carbonari o
Salvate mia figlia di Corbucci, questi ultimi ad uso e consumo di chi voleva rappresentati sullo
schermo solo i buoni sentimenti senza eccessive pretese. Nella mostra che presentiamo vi sono
anche manifesti di film che sfuggono alla classificazione sopraccitata: così per I sogni muoiono
all’alba, un raro film di Indro Montanelli ambientato durante la repressione sovietica a Budapest,
nel 1956; oppure Dagli appennnini alle ande di Folco Quilici, che pur ispirandosi al racconto di De
Amicis, risulta quasi un pretesto per svelare le doti documentaristiche del regista.
Se Amedeo Nazzari è il simbolo di questo cinema, Totò senz’altro lo è per quello comico. Non è
questa la sede per elencare e descrivere le sue straordinarie performance, e crediamo che la presenza
in questa sede di due manifesti di film quali La banda degli onesti e Totò peppino e la
malafemmena valgano a rappresentarlo per tutti. Ma la commedia all’italiana è anche Fabrizi,
Rascel e molti altri, diretti in pellicole a volte di scarso impegno da registi che spaziavano abilmente
da un genere all’altro. A volte, bisogna ammetterlo, con grande professionalità, come nel caso di
Camillo Mastrocinque, un petit maitre del cinema italiano capace di firmare, negli anni ’60, alcuni
capolavori del cinema horror di matrice “gotica”.
Nella mostra spicca la locandina di un celebre film, Boccaccio ’70, che porta la firma di quattro big
della regia, ovvero Visconti, Fellini, De Sica, Monicelli. Quattro episodi boccacceschi che sono
diventati dei cult movies anche per la presenza di un cast straordinario, prima fra tutti la Loren,
bellezza “inarrivabile”
In questa mostra di locandine cinematografiche si vuole riassumere un periodo
fecondo del cinema italiano, spesso bistrattato dalla critica dell’epoca e forse anche
dall’attuale, perchè definito “di genere.” In realtà molti di questi film, realizzati con
scarso budget, ma con buona professionalità dai registi e dagli attori, se da un alto
trovarono spesso il favore del pubblico dall’altro spesso non rappresentavano mero
cinema d’evasione. A volte, tutt’altro, fossero polizieschi, noir, film di mafia o
thriller, nascondevano neanche troppo velatamente una certa denuncia sociale: in film
come La corta notte delle bambole di vetro, Lo strano vizio della signora Wardh e
molti altri la trama si presta ad una lettura immediata ma al tempo stesso la critica
alla società, al sistema, alla morale comune non risparmia quasi mai nessuno. La
riscoperta di questo cinema passa anche attraverso i grandi illustratori che hanno dato
vita, in una striscia di carta, ai personaggi e ai temi di questi film; alcuni di questi
hanno fatto fortuna e sono conosciuti in tutto il mondo, come il trevigiano Renato
Casaro, altri per il pubblico sono rimasti delle semplici firme che però hanno
realizzato migliaia di poster, cartelloni pubblicitari e, appunto, manifesti
cinematografici. Noi che amiamo “i film di serie B” amiamo anche queste locandine,
le quali ancor più che per i grandi film, davano modo all’artista di sperimentare la
propria fantasia e attiravano la nostra attenzione di aspiranti cinefili

N.P.
Rinaldo Gèleng

Nato a Roma nel 1920 da padre tedesco, dapprima collabora con giornali e riviste;
ottimo pittore ritrattista, Geleng si dedica con particolare impegno alla pubblicità
cinematografica, tanto da essere assunto come capufficio stampa della Warner e della
Pea. Tra i suoi numerosi manifesti – stampati dalle tipografie romane Artero,
Parziale, Vecchioni & Guadagno – ricordiamo Scraface, Per chi suona la campana,
Catene, Il ladro di Venezia.
Bellissima la locandina de Il cobra, del 1967, in cui combina tra loro vari significanti
fino a sfruttare la grafica delle lettere
Averardo Ciriello

Nato a Milano nel 1918, è eclettico illustratore di giornali e riviste (“Il travaso delle
idee”, “La Domenica del corriere”, “Tribuna illustrata”), libri per ragazzi (L’isola del
tesoro, Il richiamo della foresta, Ben Hur, Il principe e il povero, per Mondadori e
Fabbri), fumetti erotici (Lucifera); ma la sua fama è legata soprattutto all’attività di
cartellonista cinematografico, cui ha iniziato dedicarsi nell’immediato dopoguerra.
Interessanti appaiono soprattutto i manifesti dell’immediato dopoguerra, in cui egli –
modernizzando il più aulico gusto “alla Ballester” – eseguì suadenti composizioni
indirizzate al passante-spettatore degli anni del Neorealismo, caratterizzati da una
veristica “esasperazione illustrativa: il manifesto sembra voler contenere in sintesi
tutto il film” (Montini). Negli anno 60 firma alcuni capolavori tra i quali ricordiamo il
manifesto di Totò, Peppino e la Malafemmina (1961), in cui si distingue per il
realismo nella ritrattistica e per la vivacità del segno. L’uomo senza memoria fa parte
della sua ultima produzione
Ciriello ha donato 800 opere – tra bozzetti e stampe – al CSAC dell’Università di
Parma.
Sandro Simeoni

Nasce a Ferrara nel 1908. Da giovane realizza interessanti shorts pubblicitari a


cartoni animati per la Pubblicane di Ferrara e, sempre nella stessa città, collabora con
la OPR, ditta che realizzava cartelloni stradali, Illustrò anche il giornale “Gioventù in
lotta”: Trasferitosi a Roma, lavora come cartellonista pubblicitario presso l’agenzia di
Favalli, e quindi, si mette in proprio. Ancora in attività. Simeoni ha realizzato circa
2600 manifesti, sia per le majors hollywoodiane che per le case italiane. Ha disegnato
inoltre varie copertine di libri gialli e, come pittore, ha allestito varie personali a
Roma e nella Repubblica di San Marino. Abile sia nell’eseguire freschi bozzetti
“narrativi” che nell’impaginare le fotografie degli attori protagonisti, l’artista
ferrarese è tra i pochi cartellonisti che sia riuscito a modernizzare il proprio stile
restando sulla cresta dell’onda, nonostante la crisi economica che ha attraversato la
committenza. Firma migliaia di locandine e manifesti tra i quali ne ricordiamo solo
alcuni: Morte di un amico (1960), di Boccaccio ’70 (1962), Donne…botte e
bersaglieri (1968), Per un pugno di dollari (1964) e molti altri ancora. La locandina
di Joe Valachi (1972) è ben esemplificativa del suo stile assolutamente originale,
sperimentale e allo stesso tempo legato allo stile fumettistico
Giuliano Nistri

Nasce a Roma nel 1926 e lavora, assieme al fratello Enzo, nel campo del
cartellonismo cinematografico. La Yomo, negli anni ’60, gli commissiona una serie
di cartoline pubblicitarie, che esegue con ottimi risultati; in seguito è illustratore della
famosa rivista “Il Borghese”. I due fratelli Nistri, così come il cartellonista Nano,
oggi spesso operano come pittori e grafici per il Comando generale dei carabinieri.
Tra gli anni ‘50 e ‘60 firma numerosi manifesti illustrando molti film del genere
“peplum” (ad es. Cartagine in fiamme,1953, Marte dio della guerra,1962); in questa
mostra vediamo Un detective (1969) e Lo strano vizio della signora Wardh (1971)
Franco Fiorenzi

(Carqueiranne 1912-Roma 1992)


Nato in Francia da italiani emigranti, si trasferì dal 1935 a Roma; di formazione
autodidatta, iniziò ben presto a dedicarsi alla realizzazione di manifesti
cinematografici. Pur non avendo dimostrato peculiari qualità espressive, né avendo
legato il suo nome ad un film particolare, Fiorenti operò sempre con professionismo
impeccabile. Lasciato il cartellonismo a seguito della crisi dell’industria
cinematografica, si dedicò alla pittura da cavalletto, eseguendo numerosi paesaggi ed
elaborando una sua particolare tecnica “su muro”: allestì negli ultimi anni della sua
vita alcune personali presso la galleria Le Scalette di Roma.
In questa mostra esponiamo Troppo per vivere...poco per morire (1967) e Il dolce
corpo di Deborah (1968) realizzato insieme a Casaro
Renato Casaro

Trevigiano, nato nel 1935, ancora adolescente realizza cartelloni e addobbi effimeri
per il cinema Garibaldi a Treviso, operando anche come litografo presso la tipografia
Coppelli. Trasferitosi a Roma, lavora come grafico per il Ministero della difesa e
come aiutante presso lo studio di Augusto Favalli: quindi si mette in proprio come
cartellonista pubblicitario. Firma numerosi manifesti, spessi ricchi di humour gustoso
e immaginifico (fra i tanti Assi alla ribalta, Alessandro il grande, L’uomo di
Alcatraz, Lo chiamavano Trinità, Flash Gordon, Conan il barbaro, La storia infinita,
Amadeus). Nel 1988 è stata esposta un antologica di opere a carattere
cinematografico presso il Museo Civico di Treviso.
In questa esposizione due bellissime locandine, ancora legate ad uno stile pittorico
ma di grande suggestione: Banditi a Milano (1968) e La corta notte delle bambole di
vetro (1971), da annoverarsi tra i suoi capolavori
Altri illustratori

Nella piccola esposizione di locandine si notano i nomi di altri illustratori. Bisturi la


mafia bianca è di Rodolfo Gasparri (Ancona 1928-Roma 1981): come molti altri
illustratori si trasferì ben presto a Roma, con l’idea di fare il pittore di cinema. Tra i
tanti manifesti da lui firmati si ricordano quelli per i film La battaglia della Neretva,
Marcellino pane e vino, Il colosso di Rodi, C’era una volta il West, Giù la testa e la
serie dei film Mark e il poliziotto che vede come attore protagonista suo figlio
Franco.
Del disegnatore G. Di Stefano non abbiano trovato notizie biografiche se non che è
autore di centinaia di manifesti per il cinema, illustrando alcuni classici e famosi film
di genere come Quella sporca dozzina, Atragon, Il figlio di Frankestein, Fango
verde, La Cortina di Bambù e tanti altri. In questa mostra è esposto Gente d’onore,
che mostra il suo stile legato ad un realismo che lo accomuna a disegnatori come
Ciriello o De Seta.
Infine la locandina Tecnica di un omicidio è firmata da Michelangelo Papuzza,
disegnatore, pittore ed incisore nato a Palermo nel 1933; anch’egli autore di centinaia
di manifesti per la pubblicità e per il cinema, è famoso per aver realizzato il
manifesto di Guerre Stellari (1977)

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