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UNIVERSITAT RAMON LLULL

Facultat de comunicació Blanquerna


Barcelona
Prof. Jaume Radigales
Llenguatge musical

LA MUSICA DEL NEOREALISMO ITALIANO


I FILM DI LUCHINO VISCONTI:
OSSESSIONE (1943)
LA TERRA TREMA (1948)
BELLISSIMA (1951)
PER UN’ ANALISI DEL COMMENTO SONORO ALLE IMMAGINI

di Fabio Ragonese

Anno Accademico 2000/2001


INDICE

INTRODUZIONE pag.
1
Il Neorealismo italiano
 I maestri
 La memoria del tempo

OSSESSIONE (1943) pag.


5
La funzione espressiva de contesto musicale

LA TERRA TREMA (1948) pag


11
La diegesi sonora del destino

BELLISSIMA (1951) pag


14
La musica in funzione anti-neorealista

CONCLUSIONI pag.
19
La musica che convisse con il Neorealismo

FILMOGRAFIA pag.
22

BIBLIOGRAFIA pag.
23
INTRODUZIONE
il Neorealismo italiano

Se il crollo del fascismo al momento della sconfitta militare costituisce il fattore


scatenante da cui origina il movimento neorealista, i suoi germi erano già presenti da
tempo nel cinema e , più in generale, nella cultura italiana. Tutti i critici concordano nel
farlo risalire al verismo letterario di G. Verga e a “Sperduti nel buio” (1914) di N.
Martoglio. Sin dal 1935 i giovani del Centro Sperimentale (la scuola di cinema di Roma)
studiano i “maestri” russi e il naturalismo francese (Carnè, Duvuvier, Renoir), mentre la
critica - “Bianco e Nero”, “Cinema” – auspica che i cineasti scendano in piazza per
filmare il mondo reale. Nè si deve dimenticare, a questo proposito, la tradizione
tipicamente italiana di presentare la realtà popolare nella pittura, nell’opera lirica, nel
teatro e nel romanzo. Anche il cinema mussoliniano ha sempre concesso un certo spazio
(seppur modesto) alla realtà di tutti i giorni, al popolino, alla tendenza documentaristica,
almeno a partire da Sole di A. Blasetti (1929).
La nascita del movimento è tuttavia ritardata di due anni dalla difficile avanzata delle
truppe americane. Guarda caso, di lì a pochi anni, il cinema neorealista desidererà porsi
in contrasto proprio con il linguaggio cosmopolita della America onnipresente, ed in
particolare con il divismo spettacolare del cinema hollywoodiano. Quando, infatti, nel
1945, l’Italia viene liberata, i cineasti riscoprono nel fare film l’esaltazione massima del
carattere di specificità nazionale da contrapporre al modello uniformista americano.
Il Neorealismo, fra il 1945 e il 1950 tratteggia un quadro completo dei problemi
nazionali dell’Italia post-bellica: dal tema della guerra (Paisà di Rossellini) allo studio
del sottosviluppo nel mezzogiorno (La terra trema di Visconti, Non c’è pace tra gli ulivi
di De Santis), dalla disoccupazione urbana (Ladri di biciclette di De Sica, Roma ore
undici di De Santis), alla povertà nella campagne (Riso amaro di De Santis) ma anche
alla condizione dei vecchi (Umberto D. di De Sica) e della donna (Un marito per Anna
Zaccheo di De Santis); quello che interessa ai cineasti neorealisti è proporre dei canoni
estetici alternativi al sensazionalismo americano ed al romanticismo del fouilletton
sentimentale. L’ideale rappresentativo teorizzato da C. Zavattini, lo sceneggiatore di
molte pellicole neorealiste, tra cui Bellissima di Visconti, è quello del “pedinamento del
personaggio”, ossia l’utopia di voler riprendere ventiquattro ore di vita di un uomo
qualunque al quale non accade nulla.
In realtà, ai personaggi neorealisti succedevano molte cose: morivano di miseria o
uccisi, in gruppo o soli, rubavano e venivano derubati, subivano ingiustizie e si
immolavano sacrificando la propria vita, desideravano rivendicare i propri diritti e
finivano umiliati, amavano con disperato sentimento. I personaggi del cinema
neorealista rappresentavano quella parte della popolazione italiana che aveva vissuto
l’indigenza del periodo bellico e si portava dietro l’umiliazione della sconfitta e della
privazione, e che esprimeva un’ansia di rinascita e di rinvigorimento morale che cercava
sfogo attraverso i maestri di quel cinema. Dal canto loro, i registi interpretavano e
vivevano il risentimento antiborghese che si avvertiva a quel tempo appena dopo la
caduta del fascismo, il quale era nato proprio dalle istanze culturali e dall’universo
ideologico dei ceti medi. L’obiettivo principale, quindi, era ricostruire sulle basi di valori
umani la coscienza collettiva snaturata e poi infranta dalla tragica esperienza della
dittatura. Ciò che farà il cinema neorealista sarà o professare la negazione dell’umanità
borghese, o al contrario cercare una nuova totalità esistenziale. Il significato
complessivo del movimento neorealista sta in una critica dell’individualismo borghese,
sulla prospettiva esaltante d’una paretecipazione comune al destino collettivo. A sua
volta la sua sorte si giocò proprio sul doppio versante fra la crescita della democrazia
politica in italia e il volenteroso sforzo di una democratizzazione dello spettacolo
cinematografico. Per questo, i neorealisti cercarono fin dal principio tutti gli espedienti
per appoggiarsi alle altre forme espressive che costituivano lo zoccolo duro della cultura
popolare italiana, e che quindi dovevano avere un ascendente sicuro su quella parte della
popolazione che non aveva potuto, fino ad allora, identificarsi con nessun tipo di
cinema. Così il Neorealismo raccolse le tradizioni del romanzo d’appendice e della
musica, sia essa operistica che canzonistica, e le trasformò in immagini potentemente
evocative di un esistenzialismo sanguigno e profondamente radicato nella coscienza
italiana. Risultarono, però, altrettanto cariche di pensiero e concettualizzazione politica,
tanto che diventa difficile, ora, non riconoscere al movimento neorealista una vocazione
intellettualistica oltre che sociale e documentaria.

I MAESTRI

Il 1942 è un anno di vitale importanza nella storia del cinema italiano. Escono nelle sale
le quattro opere pioneristiche che inaugurano la stagione neorealista, destinata a durare
per almeno dieci anni. Appaiono nell’ordine: Quattro passi fra le nuvole di A. Blasetti; I
bambini ci guardano di V. De Sica; con la sceneggiatura di C. Zavattini, Gente del Po di
M. Antonioni (che però non prenderà parte all’evoluzione del movimento); e infine
Ossessione di L. Visconti, che adatta il romanzo Il postino suona sempre due volte di J.
Cain. Quest’ultimo dimostrò il suo reale valore attraverso il suo eccezionale eclettismo
artistico. Già abbiamo parlato della brillante eredità artistica e culturale dalla quale trova
risorse e si sviluppa il neorealismo cinematografico. Ebbene Visconti interpreta alla
perfezione la sinergia tra teatro, musica, e cinema e in un certo senso compare
puntualmente sulla scena, quando si cominciò ad avvertire la necessità di risollevare
dalle ceneri del conflitto e dalla repressione del fascismo la ricchezza artistica dell’Italia
da liberare. Quello che più conta, infatti, nell’avviare la carriera del regista milanese, e
degli altri neorealisti è l’aver trovato un contrappunto ideologico straordinario, da
opporre ai canoni estetici che fino ad allora sembravano dover elevare la
strumentalizzazione politica del cinema a potenzialità espressiva riconosciuta della
settima arte.
Quelli che fecero la “fortuna” del movimento furono i già nominati De Sica e Visconti,
ai quali vanno aggiunti, De Santis e Rossellini. Quest’ultimo, anche se giunto in ritardo,
viene considerato il padre del Neorealismo avendo avuto il merito di aver realizzato due
opere cardine come Paisà e Roma città aperta. L’opera sulla capitale da liberare rimarrà
l’unico film neorealista ad aver avuto un riconoscimento tanto ampio quanto protratto
nel tempo, mentre la scena della Magnani mitragliata dai nazisti è ormai un manifesto
del cinema mondiale.

LA MEMORIA DEL TEMPO

La coscienza storica del Neorealismo italiano è ancora molto forte. Se da un lato ha


contribuito a far conoscere al mondo intero la maniera di fare i film dei cineasti italiani,
dall’altro lato ha influito notevolmente sull’opera dei registi che da quel momento in
avanti hanno considerato l’ideale rappresentativo neorealista un punto di riferimento
importante nell’approccio narrativo alla realtà. Il cinema neorealista non è mai morto
definitivamente perchè le sue istanze sono rimaste o si sono evolute i differenti filoni
cinematografici che hanno poi fatto la fortuna della celluloide italiana. Lo stile
ritrattistico e contemplativo delle immagini e la caratterizzazione teatrale dei personaggi
e dei dialoghi sono tutt’ora utilizzati e studiati. È rimasta, invece, oscurata o accantonata
qualsiasi istanza investigativa sulla “voce” del neorealismo, sul sonoro e sul commento
musicale che i registi italiani scelsero per rappresentare la vita popolare urbana e rurale
della penisola.

Lo scopo di questa ricerca è analizzare il rapporto tra immagini e sonoro che uno
dei maestri del neorealismo, Luchino Visconti, rappresentò nei suoi tre film di
quella stagione del cinema (dal 1943 al 1951) e attraverso la sua opera, risalire al
senso che ebbe la colonna sonora nei film di quell’epoca.
OSSESSIONE (1943)
La funzione espressiva del contesto musicale

Visconti ambienta la storia in un’Italia povera, immersa in un clima di penitenza,


a causa della guerra in atto, e di rassegnazione rispetto al potere che ha l’abitudine al
dolore di reprimere la voglia di libertà. Ossessione è uno dei primi e classici esempi di
cinema antropomorfico, diametralmente opposto al culto delle dive (la Calamai si tinge
le unghie in mezzo ai piatti da lavare di un sordido rettrocucina) e lontano anni luce dai
fasti imperiali dipinti dal regime nei pur apprezzabili colossal storici di qualche anno
prima. Visconti descrive la passione di due amanti, lanciando una provocazione salutare
contro la mitologia del perbenismo e il culto del decoro formale, e fissa le regole per una
estetica della verità che smaschera le menzogne della dittatura ed assegna alla
dimensione tragica del melodramma la portata innovativa di un’opera rivoluzionaria.
Ossessione compare proprio nel momento in cui il fascismo sembrava stesse portando
l’Italia verso un triste ineludibile destino. L’illusione di benessere del nostro paese che il
regime era riuscito a far affermare è tradita dall’inaffidabilità dei vertici istituzionali. La
brutezza morale dei protagonisti del film interpretano la crisi nella quale versa il paese e
indicano la via di salvezza in quei passi già percorsi ma in direzioni sbagliate.
Visconti è un “metteur en scene” vero e proprio. La raffinatezza figurativa stride con
l’ambientazione rude, ma convoglia tutta l’attenzione fino ai minimi dettagli del dramma
esistenziale dei protagonisti. Centrali nella messa in scena, nella trama e nell’ideologia
cinematografica, Gino e Giovanna sono i poli del conflitto dialettico tra aspirazione ed
immanenza. Nel rapporto SFONDO-FIGURA, analogo al rapporto tra i protagonisti e i
personaggi comprimari, si riscontrano i caratteri tipici del melodramma. Fin dalle prime
immagini, il film esterna la polivalenza artistica del Visconti nel saper orchestrare le
proprie conoscenze teatrali, musicali, oltre che cinematografiche. Musica e teatro, in
particolare, sono il valore aggiunto che distingue il neorealismo viscontiano da quello
degli altri autori che pure condividono la stessa radice culturale.
La prima sequenza del film racchiude tutto: un camion trasporta clandestinamente Gino
fino allo spaccio del Bragana; un ritmo penetrante di una grancassa e una melodia
incisiva e irregolare di archi lo accompagna. La strada che scorre di fronte al muso del
mezzo. Questo contesto espressivo lancia il primo segnale d’inquietudine, poi
l’atmosfera cambia. Scendono gli autisti dal camion che porta i rifornimenti al Bragana.
Sulla comparsa del personaggio incomincia il primo motivo musicale dalla connotazione
chiaramente premonitrice:
“…qual destino di furor…” ,
sono le parole che meglio si intendono. È l’andante della Traviata che il protagonista
canterà nel concorso canoro poco prima di morire. La melodia proviene dall’interno del
bar ed è cantata timidamente da alcuni ospiti del locale, mentre una di loro accenna
alcune note su di un pianoforte. Quando la cinepresa entra nel locale sta già seguendo
Gino che si dirige verso la cucina dalla quale proviene il canto di Giovanna:
“…Fiorello, l’amore è bello vicino a te,
mi fa cantare, mi fa sognare,
chissa’ perchè…”,
sono i sogni ad occhi aperti di Giovanna che Gino desta improvvisamente irrompendo
nella stanza senza bussare. A quel punto il silenzio musicale sposta l’attenzione sullo
sguardo attonito di Giovanna. È l’inizio della tragica avventura che legherà i loro destini.
In questa sequenza che durà, più o meno, dieci minuti, è contenuta l’intera varietà (ne
seguiranno altri esempi) di interventi appartenenti al copione musicale del film. Si parte
con il primo attacco musicale che fa parte della colonna sonora originale scritta
appositamente da G. Rosati e diretta da F. Previtali.

Il compositore, curiosamente, non apprezzava il Verismo, la corrente letteraria che ispirò


il Neorealismo, ma si lasciò coinvolgere nella realizzazione del film perchè considerava
Visconti un genio, e probabilmente, perchè quest’ultimo seppe conquistarlo con il
carisma e l’elevatura culturale che lo caratterizzavano. È anche vero che Rosati scrisse
una partitura che si adattava perfettamente allo spirito neorealista del film, ma questo fu
anche merito del regista che aveva sempre chiaro come indirizzare il lavoro dei suoi
collaboratori.

Il leitmotiv del film è essenzialmente composto per archi, accompagnati spesso dalla
grancassa; sono presenti anche il piano e l’arpa nelle sequenze centrali. Ancora una
volta, anche nella scelta degli strumenti è rintraccabile a livello connotativo il tema
ideologico dell’opera. A mio avviso, infatti, gli archi e le percussioni interpretano il
dualismo conflittuale tra aspirazione ed immanenza e di conseguenza, lo stato di
eccitazione e di inquietudine che si riflettono nei personaggi. Gli archi eseguono, tra
motivo ricorrente e variazioni sul tema, un fraseggio frammentato e un movimento
marcato ma irregolare; le percussioni suggeriscono un timbro opaco e profondo e un
ritmo irregolare e gravoso. Il modo minore contribuisce a creare un’atmosfera cupa e di
spossante attesa. In realtà la musica non salirà mai di tonalità a sottolineare la linearità
prevedibile del cammino dei protagonisti. Comunque, la musica che accompagna le
scene è legata al loro stato emotivo. La sua funzione è quella di intensificare il
sentimento di angoscia espresso da Gino e Giovanna nel lottare tra l’attrazione verso la
libertà e il vincolo terreno dello stato delle cose.
La tessitura musicale tende a trasmettere un effetto realtà, attraverso il gancio empatico
con le vicende degli amanti. Possiamo dire che il Rosati compone un sottotesto musicale
che rafforza il copione centrale del film, e più che accompagnare le sequenze, sublima il
contatto emotivo tra occhio esterno e protagonisti. Vuole rivelare la forza interiore delle
interpretazioni, il “realismo lirico” della composizione scenica.
Visconti, per colmare il vuoto lasciato dall’”aura” cinematografica:
“…fond les images avec la musique, mais ainsi pour atteindre
une grande expressivité…1”

Nel far questo, Visconti si affida alla tradizione del melodramma e dell’opera lirica, nel
lasciare alla musica un compito di edulcoratrice dell’atmosfera scenica che accresce la
portata espressiva perchè:
“…la musique a également pour fonction, d’exprimer ce qui
n’est pas transportable au niveau des gestes et de la visibilité:
l’intériorité, le moment de la reminescence et de l’aspiration…2”

Un contributo piu efficace nel definire l’effetto realtà prodotto dalla musica c’è dato da
M. Chion:
“… la función dramática de la música es la sugestión material
de una realidad sensible…3”

in questo caso, il fato.


Questo compito di drammatizzazione è reso possibile dal dinamismo intrinseco del testo
musicale. Chion ci dice, infatti, che i fenomeni sonori sono più direttamente vettorizzati
nel tempo che quelli visuali, nel dir questo dà ragione al grande maestro russo,
Eisenstein:
“… El elemento de unidad concreto de la música y el cine reside
en el gesto. No se refiere al movimiento o al ritmo del film en si,
sino a los movimientos fotografiados. Pero el sentido de la música
se refiere a la justificación de este movimiento. La imagen
concreta carece de una motivación. Solamente indirectamente cabe

1
Le sense et l’image di Y. Ishagpour
2
Le sense et l’image di Y. Ishagpour
3
L’ audiovision di M. Chion
entender que la copia petrificada de la realidad parezca confirmar
de repente esa espontaneidad de la que se había visto privada por
su fijación. En este movimiento interviene la música, que en
cierto modo restituye la fuerza de gravedad, la energía
muscular y la sensación de corporeidad…4”

Che ne sarebbe infatti, del momento in cui Gino chiude dietro di sè la porta del locale,
non appena uscito il Bragana, per avvicinarsi a Giovanna, se mancassero i colpi della
grancassa intervallati dalle graffianti note di violino, che marcano la passione e l’ardore
con il quale è definito l’incontro degli amanti? Non avrebbe certo la stessa efficacia
espressiva anche se fosse accompagnato dal rumore reale.

In definitiva, possiamo affermare che tutti gli interventi di musica non diegetica centrano
l’attenzione sul commento della scena presente, accrescendo il valore drammatico. Gli
interventi di musica diegetica, invece, possiedono, quasi tutti, una connotazione
premonitrice. Ribadiscono, in maniera più o meno esplicita, l’esito scontato
dell’avventura patita. In realtà, a tale intuizione. pare conducano anche alcuni attacchi di
fiati (tromba o oboe?) all’interno del leitmotiv del Rosati.
Tra le sequenze maggiormante caratterizzate dalla presenza di musica diegetica va
senz’altro menzionata quella del concorso canoro al quale partecipa il Bragana, poco
prima che i due amanti prendano la decisione critica di provocare la sua morte.
Si tratta della sequenza seguente a quella del nuovo incontro dei tre ad Ancona, dopo la
prima fuga di Gino. Bragana invita generosamente Gino ad entrare nel locale dove si
svolgerà la manifestazione e Gino accetta per ovvi motivi. Qui, Visconti indugia su di un
parallelismo: Bragana si esibirà sul palco con l’Andante della Traviata. Nell’opera di G.
Verdi i protagonisti, Violeta e Alfredo, si amano dopo essersi conosciuti ad una festa
presentati da un loro amico (così come Gino chiama il Bragana quando spiega allo
Spagnolo la sua fretta di andarsene) e la “Taverna degli amici” è il nome della locale,
nel film. Gino seduto ad un tavolo con Giovanna, le dichiara inequivocabilmente il suo

4
El montaje di S. M. Eisenstein, estratto da El cine y la música di Eisler, Adorno
amore e Giovanna contraccambia. Alle loro spalle, Bragana si esibisce fiero nel brano da
lui scelto.
La sequenza del concorso canoro ribalta, in Ossessione, la consueta architettonica del
testo narrativo adottata da Visconti. Se infatti, la struttura dei rapporti FIGURA-
SFONDO è tipica del film viscontiano quanto del teatro operistico, in queste scene, il
protagonista che canta il brano della Traviata occupa un’importanza subalterna allo
svolgimento del dialogo tra Gino e Giovanna. Ciò può essere chiaramente considerata
una presa di posizione identitaria dell’opera filmica sull’opera teatrale, ma è certamente,
anche, la dichiarazione d’identità del cinema neorealista in senso verbocentrista.
Questo è uno dei casi di utilizzo contrappuntistico del copione musicale nel senso di una
trasgressione puntuale e significativa del rapporto prospettico tra musica ed immagini
nell’ambito della finzione.
Altre occasioni relative all’uso di commento musicale anempatico sono rintracciabili
nelle sequenze della festa nel bar dopo la morte del Bragana: c’è un’orchestra che suona
ritmi popolari da danza, mentre Gino e Giovanna vivono conflittualmente il peso del
rimorso. L’altra è presente nella scena nella quale Giovanna informa Gino di aver
riscosso i soldi dell’assicurazione sulla vita del marito. Gino rifiuta seccamente di
accettare il denaro. I due litigano e sullo sfondo va una canzonetta allegra emessa da una
radio nella piazza. Rimane da tener presente, che questi ultimi esempi analizzati si
distinguono dagli altri casi di musica diegetica, oltre che per il valore contrappuntistico,
anche nel lasciar percepire un amaro commento umoristico da parte del regista, sulla
penosa situazione vissuta dai protagonisti.
LA TERRA TREMA (1948)
La diegesi sonora del destino

Con Roma città aperta, Rossellini aveva dato avvio a una doppia linea di ricerca,
tra democrazia ideologica e democraticità di linguaggio, rottura delle convenzioni
spettacolari e apertura al dialogo con il pubblico popolare. Tale processo giunse a un
punto di sviluppo massimo con La terra trema di Luchino Visconti.
Proiettato nel 1948-1949, il film tende a presentarsi come una summa dell’esperienza
neorealista: dopo cinque anni di silenzio (Ossessione, 1943), il regista vuole tornare ad
assumere un ruolo guida, mostrandosi capace di fornire un’indicazione esemplare per lo
sviluppo e il superamento della fase attraversata dal cinema postbellico italiano.
La terra trema segna un avvicinamento deciso all’ottica marxista: si tratta di un apologo
sul sorgere della coscienza di classe negli sfruttati, che fuoriescono dall’orizzonte
individualistico attraverso la lotta comune contro l’oppressione economica. Quello che
fa Visconti è riprendere la tradizione dell’arte e del pensiero borghesi nei suoi risultati
più avanzati e inverarli nella prospettiva di un ribaltamento del dominio di classe. Il suo
obiettivo è adottare i procedimenti neorealisti ed estremizzarli per potenziarne le
capacità di presa.
Così La terra trema viene diretto senza sceneggiatura prefissata, nei luoghi stessi in cui
è ambientato il racconto ed ha per interpreti i pescatori siciliani di Acitrezza, i quali si
esprimono in dialetto. A questo parossismo veristico che ostenta di dare il massimo
valore documentario alle immagini, fa però riscontro una studiatissima elaborazione del
materiale: da ciò, il preziosismo delle inquadrature, i parallelismi e gli effetti
contrappuntistici.
La terra trema è condotto su di una varietà di temi e piani che vanno dal dramma
all’idillio, dalla coralità di piazza al raccoglimento domestico e che nell’insieme
compongono un’opera intellettualmente complessa, affascinante ma di ardua
comprensione.
Dal punto di vista della colonna sonora, risulta interessante, soprattutto, analizzare il
geniale lavoro svolto dal solo Visconti sui dialoghi tra i pescatori. Sovrapposti uno
sull’altro, risultano veri e propri brani polifonici, incisi in presa diretta. Dunque alle
musiche di repertorio (sulle quali lavorò Willy Ferrero) si alternavano quelle create da
Visconti attraverso quei dialoghi serrati, coronati da concertati che possiamo definire
operistici nelle scene di massa dei pescatori.
Anche in questo film, sono presenti elementi delle sue radici teatrali, ma questa volta
manca un evidente rapporto SFONDO-FIGURA, se si considera che le vicende della
famiglia Valastro sono sempre legate a quelle di tutto il paese. Visconti rappresenta una
coralità oggettiva, il cui insieme sembra scaturire dall’emergere di una coscienza
collettiva che anima l’azione. La scena paradigmatica di questo principio è quella della
rivolta dei pescatori contro i grossisti durante la contrattazione del pesce; lo stesso valore
ha, anche , la precedente scena nella piazza del mercato di fronte al mare. Il vero
protagonista della sequenza è la voce umana, con le sue modulazioni: l’urlo, che esprime
il richiamo all’attenzione; il dialogo serrato, incomprensibile e concitato; infine il canto,
nelle cui parole è contenuta la sapienza del luogo, il viscerale legame tra destino
dell’uomo e destino dell’opera.
Le stesse campane del paese, paiono assumere le vesti di diegesi del fato annunciando
l’imminente pericolo della burrasca, e cadenzando l’angosciosa e solenne attesa l’attesa
del verdetto del mare: il ritorno o il non ritorno dei pescatori.
Più tardi, suoneranno ancora una volta a sentenziare il triste destino piombato sulla
famiglia Valstro, e poco dopo rintoccheranno, questa volta a festa, per celebrare il
battesimo delle nuove barche di Acitrezza pronte a salpare.
Anche il silenzio, inteso come assenza di sonoro “recitato”, svolge un ruolo importante
nell’ambientare la vicenda in un luogo e tra persone che non conoscono altra voce che
quella del mare. Il loro rapporto con la natura è di rassegnazione e di rispettosa
dipendenza. La loro visione del mondo lascia poco spazio alla fantasia. Così, quando
‘Ntoni ed altri giovani pescatori decidono di prendere il posto degli anziani per porre
fine alla tolleranza del sopruso, la scena si lascia ritmare dalle tre risatacce consecutive
provenienti dalle barche vicine, che commentano con disprezzo l’irruenza dei rivoltosi.
Quando ‘Ntoni si troverà nella miseria a causa del fallimento della sua iniziativa, diventa
un disgraziato. Gironzola tutte le notti, ubriaco, con i vagabondi del paese, ma quella
non è la vita che gli si addice. Così, mentre si ode un’armonica di uno dei suoi amici
suonare, in casa Valastro si parla di come sia cambiato il loro ‘Ntoni e del dramma della
povertà. Questo è l’unico esempio di musica diegetica che pone dei dubbi sulla fedeltà
alla presa diretta del sonoro. Sembra, infatti, che la musica si riproduca nella casa per
simboleggiare la risonanza tematica della discussione in atto.
BELLISSIMA (1951)
La musica in funzione anti-neorealista

Dopo il magro successo economico de La terra trema, Visconti si rese conto di


essersi avviato per una strada impraticabile e con il film successivo sperimentò una
soluzione di linguaggio totalmente diversa.
Bellissima è giocato su di un contrasto di facile presa. Il mondo del cinema, visto
dall’interno e svelato come una fabbrica di miti governata da ciarlatani e cinici senza
cuore. A dispetto dell’esile soggetto al quale si affidò il regista, scritto da C. Zavattini, il
film dimostrò una corposità e una complessità di pensiero molto affascinante.
D’altronde, quello che fece Visconti, fu cambiare alcuni semplici aspetti del soggetto di
partenza e caratterizzare vigorosamente e particolareggiatamente, i quattro personaggi
fondamentali della storia: Maddalena, Annovazzi, il “coro” della periferia del
Prenestino, nel quale incorporiamo Spartaco, il marito di Maddalena, e tutti i figuranti
del circo cinematografico di “Cinecittà”.
Visconti si tiene ancora lontano dalla dimensione spettacolare (alla quale giungerà con
Senso nel 1954) anzi insiste nell’evidenziare i lati negativi dello Star System italiano. A
suo modo di vedere, la relazione tra neorealismo e cultura popolare è scaduta. Ne è la
prova l’ambiguo movente dell’intrigo tra Maddalena e Annovazzi che dimostra
l’inconciliabilità e l’incomunicabilità di due mondi a contrasto. Annovazzi è furbo,
spaccone e banalmente arrivista, ed è mosso da un capriccio di seduzione nei confronti
di una donna matura; Maddalena è visceralmente spontanea, energica e confusa, ma
cosciente della sua situazione e mossa dalla necessità. Esce fuori un confronto di
temperamenti che avrà il suo apice nel dialogo in riva la fiume tra i due protagonisti, ma
che rivelerà il fallimento del cinema neorealista come faro della cultura nazional-
popolare.
Il regista pone un soggetto dal marco neorealista, la popolana Maddalena, in conflitto
con il suo sogno, di vedere la vita sua e della figlia riscattate da una realtà mediocre e
non appariscente, per merito del cinema. Il “gran rifiuto” finale sancirà il divorzio,
almeno per Visconti, dall’attaccamento a quell’ideale di alleanza tra il cinema e la gente.
D’altro canto, lo sguardo che Visconti getta sulla realtà suburbana romana, è tipico di un
occhio borghese. Le tinte sono marcate, alle volte accentuate. La concettualizzazione
dei personaggi è tirata al limite del ritratto letterario. Il “coro” dei donnoni dei casolari è
addirittura caricaturizzato; mentre i cinematografari sono umanamente troppo meschini
ed imbroglioni per non insospettirsi che Visconti abbia esasperato volontariamente il
conflitto per rendere più accessibile il messaggio. Questa drammatizzazione, in gran
parte sostenuta dall’interpretazione della Magnani, tende a far sorgere, dal mio punto di
vista, un sentimento di identificazione-contrapposizione. In poche parole, Visconti
vuole che il pubblico prenda le distanze dal cinema neorealista e si identifichi, dapprima
con i personaggi demitizzanti dei palazzoni e poi con il dignitoso ripiego ad una
dimensione plausibile delle ambizioni. Si ripete, così, l’eterno conflitto tra aspirazione
ed immanenza che si conclude ancora con il ritorno allo stato delle cose, questa volta
alleviato dal lieto fine.
Questa è la chiave di lettura del massiccio utilizzo di linguaggio contrappuntistico a
livello di colonna sonora. A volte ironicamente, altre volte malinconicamente, la musica
sottolinea la vena critica dell’opera e induce a cogliere uin punto di vista esterno alle
immagini.
Il film incomincia con il concerto radiofonico, eseguito dall’orchestra del “teatro
dell’opera” diretto da F. Ferrara, che suona le note di un tema de L’elisir d’amore di G.
Donizetti. Quando si giunge alle sequenze dell’arrivo della folla urlante e disordinata
agli studi di Cinecittà, la musica va scemando; purtuttavia si ode in sottofondo:
…” non fate strepito,
ma fate piano…5”

Ecco il primo contrappunto ironico che commenta l’ambiziosa invasione del


cinematografo da parte delle premurose madri.
Quando dopo pochi istanti Blasetti apparirà, annuncerà, interpretando sè stesso, l’inizio
delle selezioni accompagnato, con uno spirito sarcastico esplicito, dal tema di
“Dulcamara” , tratto dalla stessa opera. Visconti suggerisce, di nuovo, un parallelismo
tra Cinema e Opera affiancando due personaggi che possono rientrare nella categoria
“venditori di fumo”.
Un aneddoto di F. Mannino, tra l’altro l’esecutore del commento musicale di Bellissima,
ci racconta che il medesimo e Visconti erano preoccupati, all’anteprima del film, per la
reazione potrebbe aver avuto Blasetti vedendosi accostato ad un personaggio, che seppur
immaginario poteva essere considerato un imbroglione. Al contrario, pare che, alla fine
della proiezione, Blasetti e la stessa moglie, si siano affettuosamente congratulati con
Visconti e Mannino e che abbiano percepito a pieno il senso ironico del paragone.
Comunque, nell’opera, Dulcamara finirà per essere l’artefice equivocato del lieto fne
della vicenda.
Queste pennellature erudite che il Visconti faceva, possono essere considerate oltre che
divagazioni naturali del suo eclettismo, anche le prove di una connotazione anti-
neorealista del commento sonoro del film. La musica utilizzata, per esempio in
Ossessione era centrata maggiormente sul personaggio, più che sulla scena, o al limite
direttamente sovrapposta alla figura in evidenza sul fondo, ma utilizzare musica

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tratto da L’elisir d’amore di G. Donizetti
anempatica vuol dire imporre una scelta del piano diegetico che impedisce il
raggiungimento del congiunto espressivo tra sonoro e immagini. In altre parole, si
provoca un distacco inevitabile dal dramma cosciente e il sorgere di una suggestione
simbolica del piano sonoro in contrasto con quello delle immagini. La musica viene,
così, a perdere la sua funzione di finestra sullo “spazio interiore della soggettività” dei
personggi, per assumere un senso prevalentemente simbolico di una chiave di lettura
sottestuale al film. Nel momento in cui la musica conquista un suo discorso autonomo,
oltre a far perdere, in parte, di significato al sentimento di immedesimazione (quindi al
livellamento narrazione-vissuto) realizza il disimpegno dalla rappresentazione della
coscienza collettiva che riporta l’opera filmica ad un grado di accessibilità di volta in
volta determinato dall’autore.
Con Bellissima, Visconti chiude la sua stagione neorealistica rinnegando l’utopia di un
linguaggio cinematografico democratico e denunciando la fine di un’epoca nella quale il
cinema aveva voluto trasmettere una visione unniversale dell’uomo.
Anche durante la scena di Annovazzi e Maddalena in riva al fiume, nella quale si
riconosce la vocazione neorealista di Visconti, nel far arrivare il dialogo all’intimità,
senza passare per l’idillio, è presente un elemento discordante. Ancora una volta è la
scelta del commento musicale ad essere determinante: quando, infatti, Annovazzi attacca
disinvolto e sicuro con la sua sdolcinata e languida dichiarazione:
“…la vita è bella,…
…cosa crede, io lo so che lei vuole bene a suo marito…”

è accompagnato da una dolce e conciliante melodia di violini. Le sue parole sono


palesemente pesate e tatticamente rivolte a comprare la sensibilità di Maddalena. Sa di
avere a che fare con una donna intelligente, ma tenta la carta che secondo lui ha portato
la donna a fidarsi di lui: l’aspirazione a seguire il principio del piacere. E si sbaglia,
perchè quando, infatti, irrompe Maddalena, che per un tratto era sembrata sul punto di
cedere alle lusinghe e alle moine, e disillude il giovane, la musica cessa
improvvisamente, e pare che disilluda anche noi. Il contrappunto, qui, non sta tanto nella
scelta del sonoro, quanto nell’esito che ha la vicenda rispetto all’incipit musicale e
sembra indirizzarlo proprio all’attenzione dello spettatore. Visconti ci dà, così, un primo
accenno della sorpresa che sarà vedere Maddalena rifiutare il contratto pronto sul tavolo.
D’altro canto, Annovazzi interpreta in maniera fin troppo “cinematografica” delle
battute che in qualche modo fanno il verso a quelle delle commedie romantiche e quindi
assume le vesti di un meta-personaggio del cinema che soprendentemente fallisce la sua
missione seduttrice. In questa occasione, Maddalena risorge dopo aver accennato a
cadere. In una delle sequenze precedenti, invece, quando con Spartaco osservano da
lontano il cinema all’aperto dove danno Fiume rosso di H. Hawks, lei cerca di
coinvolgere lui nell’incanto nel quale è assorta, ma non ci riesce, e alla fine cede, o
meglio si lascia cadere tra le braccia del marito che la porta a casa a dormire.
Un’altra sequenza dal contrappunto musicale evidente, è quella della fuga di Maddalena
da Cinecittà, dopo aver visto i provini della figlia ed aver ascoltato le risa dei
cinematografari. Si siede su di una panchina, visibilmente scossa dal pentimento, e
piange con la bambina che dorme tra le braccia. Questa scena meriterebbe un commento
più adeguato, ma quello che c’è da sottolineare è l’incombere di una melodia allegra e
gioiosa: sono i suoni del circo, un altro baraccone dello spettacolo che oggi diremmo,
data la crisi in cui versa, che esprime la profonda malinconia di un sogno infranto.
Alla fine Maddalena tornerà a casa, e dopo aver fatto cacciare via Annovazzi e
compagnia che erano tornati per far firmare il contratto, trova, questa volta sì, il suo
idillio, nella dolce scena della rappacificazione con Spartaco.
La cinepresa passa prima a salutare la bimba teneramente assopita, mentre la colonna
sonora ci riporta alle note del tema “quanto è bella, quanto è cara6”, questa volta in
chiave di commento empatico, e poi arriva ai due sul letto. Spartaco scopre un
insospettabile dolcezza nelle maniere di consolare la moglie, ma ad un certo punto,
l’immaginazione di Maddalena ricompare quando riconosce la voce di Burt Lancaster
proveniente dal cinematografo. Spartaco la minaccia:
“…emmò te gonfio, eh!…”
lei si difende:

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L’elisir d’amore di G. Donizetti
“…che ‘nze po’ scherza’?…7”

La forza demitizzante dell’ironia della Magnani, rappresenta la dignità recuperata e il


distacco da un’ambizione che appartiene ad un altro mondo, uno falso e crudele, non
reale, non neorealista.

CONCLUSIONI
La musica che convisse con il Neorealismo

L’esperienza neorealistica del Visconti può essere circoscritta lungo un arco


storico che va dal 1942-43 al 1951, durante il quale è nata, si è sviluppata e declinata la
sua convinzione, che il cinema potesse incorporare le istanze di pensiero che la rinascita
democratica italiana desiderava esternare.
Visconti è stato uno dei padri che ha condotto dalla culla alla tomba l’utopia neorealista
un po’ come si conduce un personaggio a conoscere la sua identità, partendo dal
conflitto interiore fino a raggiungere uno sguardo oggettivo e disincantato sul proprio
vissuto e sul proprio presente.
La disillusione che Visconti lascia esprimere alla Magnani in Bellissima misura,
paradossalmente, l’intensità con la quale lui ha creduto e quindi rinnegato la possibilità
di creare un legame elettivo tra cinema e realta sociale. Chi più di lui, d’altronde, poteva
afferrare la verità dell’impossibile incontro tra aspirazione ad un linguaggio universale e
l’immanente predominio storico dell’individualismo? Se c’era un regista che avrebbe
potuto interpretare perfettamente il personaggio neorealista come summa dell’esperienza
umana era sicuramente Visconti. Il suo eclettismo, quindi la sua capacità di riunire in un
discorso coerente le voci di molte arti era l’ingrediente giusto per realizzare quell’opera
totalizzante, e dalla portata, direi, rinascimentale che doveva essere il cinema del nuovo
umanesimo.

7
Trad: “que te pego, eh!”…”¿es que no se puede bromear?
Il fallimento, dal punto divista del pubblico, e quindi commerciale, fu dovuto, secondo
me, al fatto che all’uscita da una crisi, il neorealismo non seppe interpretare l’esigenza di
una distensione di pensiero che la popolazione civile reclamava in luogo di una dolorosa
risonanza delle sofferenze patite. Per questo, probabilmente, solo i circoli di intellettuali
borghesi, rimasero attratti da quest’ottica rivoluzionaria. Non avevano pagato con il
sangue il prezzo della storia. Più tardi, quel cinema che al principio era stato
sopravanzato dall’entusiasmo neorealista seppe riorganizzarsi raccogliendo la sfida
culturale di quest’ultimo ma con i contenuti blandi e pittoreschi della narrativa rosa e
della commedia farsesca. Nacque il neorealismo rosa.
Quando, però, Visconti prenderà le distanze dal movimento, ammettendo il fallimento
della missione anche sotto l’aspetto culturale (che era poi lo stesso riconoscimento del
pubblico non borghese), lo fa non come De santis e Rossellini, che si ripiegarono in una
sorta di “pessimismo storico”, bensì realizzando un’opera meta-neorealistica che parla
con serenità e schiettezza del mancato idillio tra realtà popolare e cinema. Bellissima
diventa la “scatola nera” della corrente neorealista.
I suoi commenti contrappuntistici, in particolar modo, quelli musicali, sono rivolti a
trasmettere il senso dell’incomunicabilità tra i due mondi. La musica impiegata nei suoi
film, rappresentativa di indiscutibili successi popolari che dovevano suscitare l’empatia
con i personaggi, si trasformano per l’equivoco della mancata predilezione del pubblico,
in veicoli di un intellettualismo e di una raffinatezza espressiva, accessibili solo a partire
dalla comprensione del lirismo figurativo dell’autore. A mio avviso, la musica dei film
neorealisti, che non è stata ancora studiata come tale, è stata dimenticata perchè ha
rappresentato soltanto un complemento, seppure indispensabile, del complesso
drammatico delle sequenze. Non ha mai conosciuto un discorso autonomo,
un’indipendenza di giudizio, che se, però, avesse ottenuto, avrebbe aggiunto qualcosa di
difficilmente inquadrabile nell’ottica neorealista. È rimasta ottenebrata dal mancato
raggiungimento di quello che oggi chiamerebbero target, e non ha goduto della
rivalutazione critica che ora si fa del neorealismo nell’insieme, come corrente
cinematografica. L’utilizzo, d’altro canto, di musica diegetica, non è servito allo scopo
appena detto, per il fatto che i brani inseriti nei film, in genere canzoni, avevano un
successo indipendente dalla loro vetrina cinematografica. Al contrario, oggi, si possono
costruire successi discografici, partendo dall’introduzione di brani in successi
cinematografici, tanto che si possono vedere i primi superare i secondi.
Quello che è successo alla musica neorealista può essere definito processo di
“neutralizzazione”:
“…el estilo musical en el sentido ordinario, es decir,el
material empleado, se hace en gran medida indiferente.
Esta es la función precisa de la composición planificada…8”

che corrisponde anche al processo di fusione tra musica e immagini che dà luogo al
valore aggiunto di un testo audiovisuale. Ciò fa sì che si perda di vista l’effetto di
riempimento dei limiti realisti, che si realizza prolungando l’emozione di una frase o di
uno sguardo un po’ più in là del tempo che concede un immagine.
Questa è la sfortuna toccata alla musica del cinema neorealista: essere ignorata; tanto da
poter dire, che ci fu una musica che convisse con il cinema neorealista, ma non ci fu una
musica neorealista.

8
El cine y la musica di Eisler, Adorno

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