Sei sulla pagina 1di 101

Universale / Film 31

© 2002 Lindau s.r.l.


corso Re Umberto 37 - 10128 Torino

Seconda edizione: aprile 2007


ISBN 978-88-7180-???????
Mariapia Comand

DINO RISI
IL SORPASSO
DINO RISI
IL SORPASSO
Grazie a Francesco Casetti e a Leonardo Quaresima che hanno visiona-
to lo scritto. Per l’aiuto nel reperimento di alcuni materiali ringrazio
Aldo Grasso, Paolo D’Agostini e Fabrizio Natalini.
Prefazione

È difficile parlare del Sorpasso senza fargli torto. Raccon-


tare dello spessore della leggerezza di Risi senza cadere
nella declamatoria che tanto accuratamente il regista ha
sempre evitato. Descrivere i sentimenti contraddittori e
potenti che si muovono dietro il cinismo goliardico di su-
perficie, occultati dal gusto salace, genuinamente infantile,
irresistibile dello sberleffo. Rintracciare la presenza di un
cineasta il cui timor di retorica o lo sguardo mai compia-
ciuto di sé, tende istintivamente a occultarsi. Parlare del
Sorpasso vuol dire produrre una teoria inarrestabile di os-
simori. Perché Dino Risi ama i suoi personaggi anche
quando sono imperfetti o addirittura sgradevoli e comun-
que non propriamente politically correct. Così come ama il
tempo in cui vive anche se ha intuito, prima di altri, l’im-
barbarimento dei costumi e delle emozioni, senza però
mai giudicarli, anzi esaltandone paradossalmente i colori
vitali. E ama il cinema senza complessi, rifuggendo con
ironia la spocchia d’autore. Eppure Risi è Autore, inequi-
vocabilmente Autore nella capacità del suo «dire per im-
8 DINO RISI. IL SORPASSO

magini», nella felice ambiguità del suo «guardare» alle co-


se. Ed è con la stessa libertà di pensiero (anche critico) che
Il sorpasso va rivisto, senza pregiudizi teorici né pregiudi-
ziali analitiche.
Parlare del Sorpasso è difficile anche perché è un film
molto amato. E le battute folgoranti ma anche certi strug-
genti controcampi silenziosi, l’allegria che si respira così
subitaneamente malinconica e naturalmente la prepotenza
solare di Bruno Cortona, così come l’esitazione del vivere
di Roberto Mariani, restano, anche oggi, momenti di cine-
ma – di culto – mai «sorpassati».
«Il sorpasso» e la commedia del boom

La commedia del boom, la forma più pura di commedia


all’italiana, occupa il periodo compreso tra il 1958 e la pri-
ma metà degli anni ’60 e storicamente coincide con il mira-
colo economico italiano, di cui racconta la fase ascendente
(conclusa nella prima metà degli anni ’60), la cieca euforia,
i luoghi (comuni) e i novelli status symbol, ma anche le
prime vaghe nevrosi che già iniziano a inocularsi sottopel-
le nel tessuto sociale, politico ed economico nazionale. Da
un punto di vista cinematografico l’esordio di tale comme-
dia viene fatto coincidere con l’uscita di I soliti ignoti (1958)
di Mario Monicelli, che è generalmente indicato come il
prototipo del genere 1, di cui contiene molte delle caratteri-
stiche narrative e stilistiche tipiche: una certa eleganza
espressiva (ravvisabile nella splendida fotografia di Gian-
ni Di Venanzo), la cura in fase di sceneggiatura e la ricerca
di un linguaggio dinamico (evidente nella scelta del com-
mento sonoro del jazzista Piero Umiliani), esprimono una
presenza in qualche modo autoriale o comunque cinéphile
(intuibile nell’omaggio al cinema muto, presente nel film
10 DINO RISI. IL SORPASSO

attraverso le didascalie che incorniciano la vicenda) che in-


nesta su formule di genere consolidate i germi della mo-
dernizzazione. Si tratta pur sempre di un atteggiamento
scanzonato e canzonatorio, ma che trasuda comunque cer-
te frequentazioni intellettuali e ideologiche e un comune
modo di guardare alle cose. I soliti ignoti conquista una no-
mination all’Oscar come migliore film straniero; La grande
guerra, sempre di Monicelli (1959), guadagna l’anno suc-
cessivo il Leone d’oro al Festival di Venezia; è noto il suc-
cesso, anche internazionale, di Il sorpasso (il cui titolo della
versione americana, Easy Life, pare abbia addirittura in-
fluenzato il Dennis Hopper di Easy Rider, del 1969). Rico-
noscimenti, premi nazionali e stranieri ratificano la capa-
cità creativa e autoriale del cinema italiano di genere del
periodo, su cui oramai anche la letteratura concorda: «Con
La grande guerra la commedia entra in terreni riservati alla
produzione alta, partecipa delle tensioni e dello sviluppo
linguistico ed espressivo e va a costituire una linea media-
na del sistema. Gli eroi della commedia indossano vecchie
e nuove maschere, ma impongono alle loro scelte un carat-
tere di indicazione etica anche nei confronti del pubblico.
Le miserie e gli stracci sono lontani: i protagonisti popola-
ri dell’Italia alle soglie del boom si muovono entro nuovi
scenari, hanno nuove capacità linguistiche e s’adattano
presto alla nuova condizione di benessere. La commedia è
la via più rapida e meno sofisticata per raccontare l’ingres-
so nella modernità. […] La commedia rivendica il suo di-
ritto a essere considerato prodotto d’autore. [...] Senza ce-
lebrare il boom, registi e sceneggiatori ne osservano al mi-
croscopio le trasformazioni prodotte nel territorio e nei
«IL SORPASSO» E LA COMMEDIA DEL BOOM 11

comportamenti. [...] Importante diventa l’apparire: il cine-


ma degli anni ’60 racconta la messa in scena di un’opulen-
za illusoria, costruita sulle sabbie mobili. L’italiano popo-
lare, il piccolo e medio-borghese, mimetizza sempre più le
proprie povere origini ed entra di slancio nella civiltà dei
consumi. Il nuovo status non gli impedisce di accorgersi
che la rapidità del mutamento è stata eccessiva, il cammi-
no alle sue spalle è disseminato di rovine sentimentali e il
benessere economico è raggiunto al prezzo del deserto af-
fettivo e alla rinuncia di non pochi ideali e valori» 2.
Il sorpasso si inserisce in questo contesto e spesso ne è
stato considerato l’espressione più perfetta 3. Vi sono infat-
ti alcuni elementi tematici ricorrenti nella commedia del
boom, la maggior parte dei quali trovano una traduzione
assai nitida nel film di Risi.

L’odissea della commedia del boom

Il tema del viaggio, che domina il genere, rappresenta la


facile metafora di una ricerca d’identità che fatica a ricom-
porsi, perduta e confusa nel mare magnum delle trasforma-
zioni epocali che investono quel periodo italiano. È vera-
mente sorprendente notare, ad esempio, in quali e quante
diverse declinazioni (narrative o allegoriche) il tema del
viaggio si insinui nella prima commedia all’italiana. A vol-
te il viaggio è un tema che dà forma e sostanza all’intero
film, come nel Sorpasso ma anche in molte delle commedie
resistenziali dell’epoca: è il caso del già citato La grande
guerra, Tutti a casa (1960, di Luigi Comencini), La marcia su
12 DINO RISI. IL SORPASSO

Roma (1962, di Dino Risi). In altri casi il tema del viaggio


rappresenta il detonatore diegetico della vicenda, come ac-
cade per Crimen (1960, di Mario Camerini), Il federale (1961,
di Luciano Salce), Il mafioso (1962, di Alberto Lattuada), La
voglia matta (1962, di Luciano Salce), Gli anni ruggenti
(1961-1962, di Luigi Zampa), Il gaucho (1964, di Dino Risi).
Altrove si tratta di un viaggio simbolico nella memoria
(Divorzio all’italiana, 1961, di Pietro Germi; L’attico, 1961, di
Gianni Puccini) o nel tempo (Una vita difficile, 1961, di Di-
no Risi) o anche nel sogno (L’impiegato, 1959, di Gianni
Puccini). Eppure capita di frequente che nonostante questo
frenetico «ipercinetismo» il genere sembri risentire di una
certa sostanziale inazione, poiché molte delle vicende si
concludono con un nulla di fatto (molte addirittura si ran-
nicchiano su se stesse, ritornando al punto – se non altro
geografico – d’avvio), facendo spesso coincidere lo status
ad quem e lo status quo narrativi; o perlomeno si assiste a
una trasformazione che agisce più sui caratteri dei perso-
naggi che non sugli eventi. Così accade nel Sorpasso, dove
nessuno degli obiettivi iniziali viene centrato (Roberto, ad
esempio, non raggiungerà Valeria a Viareggio né riuscirà a
tornare a Roma).
Ai margini di questi viaggi e spesso attraverso di essi,
s’incontrano sempre le stesse facce e gli stessi posti, luoghi
pubblici in cui esplodono l’ebbrezza e la malinconia collet-
tive e lo scivolamento dell’una nell’altra, in un tracimare
emotivo che è una delle connotazioni passionali del gene-
re. Come è stato osservato 4 uno di questi scenari prediletti
sono le spiagge, preferibilmente quelle formicolanti e colo-
nizzate dagli ombrelloni, dai riti del consumismo, dall’im-
«IL SORPASSO» E LA COMMEDIA DEL BOOM 13

perativo categorico al divertimento di massa, della riviera


adriatica (Ombrellone, 1965, di Dino Risi), della Versilia (Il
sorpasso), del litorale romano (Il giovedì, 1963, di Dino Risi),
dove floridi commendatori e traboccanti bikini esibiscono
irrefrenabili desideri narcisistici annegati nell’euforia ge-
nerale. La dialettica tra l’individualità e il gruppo sociale
che prende forma così vividamente nella spiaggia, è nel
Sorpasso particolarmente evidente. «Gli individui […] ven-
gono bruscamente travolti dal “tutti”, come attesta la se-
quenza balneare del Sorpasso. Non avendo trovato una si-
stemazione migliore, Gassman e Trintignant sono andati a
dormire in riva al mare, e sulla spiaggia silenziosa e deser-
ta si scambiano persino qualche confidenza notturna. Ma
una brusca dissolvenza incrociata ci porta al mattino dopo,
ferragosto, con le canzonette a tutto volume, le sedie a
sdraio straripanti di corpi, e Gassman che viene risveglia-
to non dalla brezza mattutina ma da una pallonata in testa.
È l’invasione del “tutti”, che entra violentemente nel cam-
po privato dei due protagonisti, provocando opposte rea-
zioni: Gassman, maestro dell’integrazione, si adegua subi-
to al nuovo clima, e dopo pochi minuti è già al centro del-
l’attenzione generale, come se fosse su quella spiaggia da
sempre; Trintignant, modello perfetto di asociale, resta in
camicia e pantaloni per tutta la sequenza. Il modo in cui
Risi svolge la sequenza balneare del Sorpasso è tipico di
quegli anni: un’introduzione folgorante, uno sguardo d’in-
sieme sulla spiaggia-carnaio (preferibilmente dall’alto),
una serie di piccoli aneddoti e curiosità» 5.
E quel senso di inquietudine che serpeggia – offuscata
dal solleone – tra la folla dei bagnanti, spesso si manifesta
14 DINO RISI. IL SORPASSO

con virulenza durante le feste (Una vita difficile; Il gaucho; I


complessi, 1965, episodio «Una giornata decisiva» di Dino
Risi), nelle sale da ballo o nei nightclub alla moda. In qual-
che modo faccia notturna e speculare della spiaggia, il
party ne costituisce il lato oscuro, luogo dove le irrequie-
tezze segrete o rimosse (ma pur sempre presenti) si allun-
gano, si distendono, si tendono, infine esplodono nel cli-
max drammatico. Nel Sorpasso i due protagonisti sono sia
spettatori che attori di feste. Nel primo caso, quando per la
prima volta davvero complici irridono una festicciola pae-
sana incontrata casualmente durante il loro viaggio e os-
servata, dall’auto, sul ciglio della strada (sotto di loro, visi-
vamente e metaforicamente); è una sagra all’aperto, tra le
lampadine penzolanti sugli alberi che alla bell’e meglio il-
luminano la notte e la piccola gente di pessimo gusto che
balla sgangheratamente: una fiera gioiosa dei «poveri ma
belli», fiera del passato rurale, del «volemose bene» genui-
no e un po’ kitsch, dei divertimenti semplici lasciati alle
spalle dalla borghesia «arrivata». Che invece si celebra du-
rante il ritrovo notturno al Cormorano Night Club, locale
trendy della riviera toscana, emporio dei look appariscenti,
delle mise ricercate, dei drink esotici e abbondanti, dei faci-
li business. Eppure, e nonostante lo sfolgorio, è proprio qui
che la sfrontatezza di vita paga il proprio conto e un sor-
passo avventato (a una Seicento!) scatenerà il pandemonio,
causerà una rissa, impedirà il buon esito degli affari e l’al-
lontanamento dei due: stracciati, sconfitti, soli.
Così succede nella commedia del boom: i luoghi del-
l’euforia, per definizione deputati al divertimento (la
spiaggia, i night) spesso di colorano di tinte fosche. Ma ac-
«IL SORPASSO» E LA COMMEDIA DEL BOOM 15

cade anche il contrario e proprio in virtù di quella capacità


di capovolgimento dell’esistente che è propria del genere,
i luoghi per definizione «tristi», come la galera (I soliti igno-
ti) o i funerali (ancora in I soliti ignoti ma anche in Il vedovo,
1959, di Dino Risi o in Divorzio all’italiana) assumono toni
comici o grotteschi. Ma sempre, il luogo comune nella pri-
ma commedia all’italiana, costringe il piccolo protagonista
del boom a un confronto difficile con il proprio contesto
sociale, quello del miracolo economico: ed esiste un luogo
che più di altri incarna questa competizione strisciante,
cioé l’autogrill, territorio eletto della modernità massiva
che abbandonata la stabilità dei propri riferimenti tradizio-
nali, imbocca la strada dinamica e vacillante della contem-
poraneità.
L’autogrill – «non-luogo» per eccellenza e luogo comu-
ne per antonomasia – è la metafora toponomastica più
eclatante dell’identità fantasmatica, collettiva e materiali-
stica nella civiltà del boom. Così felicemente raccontato in
«Il pollo ruspante» di Ugo Gregoretti (episodio di
Ro.Go.Pa.G., 1963, di Roberto Rossellini, Ugo Gregoretti,
Jean-Luc Godard e Pier Paolo Pasolini), come pure, ancora
una volta emblema lucidissimo del genere, nel Sorpasso,
dove la speranza di poter spegnere la sete (con la benzina,
con le sigarette, l’aperitivo o l’attenzione della cassiera) si
risolve in una nuova frustrazione (per Roberto, che resta
imprigionato nella toilette). Come sempre succede ai pro-
tagonisti della prima commedia all’italiana, i quali inanel-
lano una frustrazione dietro l’altra, una sconfitta dietro
l’altra, una sequela inarrestabile e inevitabile di insuccessi.
Perché, alla fin fine, gli eroi della commedia del boom han-
16 DINO RISI. IL SORPASSO

no sempre le solite facce, indossano gli stessi abiti un po’


logori, quelli dei cantori dell’italian easy way of life nata sul-
l’onda della golden age nostrana di cui rappresentano in
realtà i «grandi esclusi», i guitti che arrancano più o meno
vistosamente nell’arte di arrangiarsi, i parassiti del miraco-
lo che mirano a partecipare al luculliano banchetto senza
riuscirvi e dovendosi accontentare delle poche briciole che
avanzano dalla spartizione della torta degli «altri». Così
Sordi (in Il boom, 1963, di Vittorio De Sica o in Il maestro di
Vigevano, 1963, di Elio Petri, solo a titolo esemplificativo) o
Gassman (nel Sorpasso come pure in Il gaucho) disegnano
ritratti che riportano a un’unica fisionomia sociale, già co-
sì splendidamente delineata nella carrellata dei caratteri di
I soliti ignoti. E per accentuarne il tratto dominante attra-
verso il conflitto dialettico (tra il protagonista perdente e
l’inevitabile vincente di turno), enfatizzando in questo mo-
do la connotazione fallimentare, la commedia del boom
dissemina qua e là figure di deuteragonisti superegoici.
Che poi queste figure assumano forme differenti, poco im-
porta: se il protagonista è un podestà ci sarà uno spietato
ispettore (Gli anni ruggenti); se è un maestro, un crudele
preside (Il maestro di Vigevano); se uno spiantato, un dana-
roso e sarcastico «commenda» (Il sorpasso); se un marito,
una moglie aguzzina (Il vedovo); se un padre sconsiderato,
un figlio comprensivo (Il sorpasso) o virtuoso (Il giovedì); se
un cittadino comune, sarà la «gente» il suo giudice impie-
toso (come accade in tutta la filmografia di Germi).
Si sa da subito come va a finire la commedia del boom,
perché è sempre impregnata di umori di minaccia, di «spa-
de di Damocle» sospese pericolosamente sulla materia
«IL SORPASSO» E LA COMMEDIA DEL BOOM 17

narrativa, elementi perturbatori che possono deflagrare da


un momento all’altro; piccoli o grandi campanelli d’allar-
me che non fanno altro che rendere più ineluttabile quel-
l’elastico patemico che è il genere in senso proprio. Finché
succede l’irreparabile, come nel Sorpasso. Ma ancora pri-
ma, c’è sempre «qualcosa che sta per accadere»: identità
che possono essere scoperte (Gli anni ruggenti), verità che
possono venire a galla (Il commissario, 1962, di Luigi Co-
mencini), crimini che stanno per essere commessi (Divorzio
all’italiana, I soliti ignoti, Il vedovo, Il mafioso), tracolli econo-
mici sul punto di scoppiare (Il boom). E scoppi improvvisi
ci tengono costantemente all’erta, facendoci sobbalzare
sulla poltrona: scoppi di pioggia (Il giovedì, I complessi), di
risa (sguaiate come in Il boom), di armi (Sedotta e abbandona-
ta, 1964, di Pietro Germi), di campane (Sedotta e abbandona-
ta o Divorzio all’italiana), di proiettili (I compagni, 1963, di
Mario Monicelli), di ordigni esplosivi (I mostri, 1963, episo-
dio «L’oppio dei popoli» di Dino Risi). E di clacson, come
nel Sorpasso.
Perché tutto può precipitare da un momento all’altro,
tutto può capovolgersi, quando ci si muove ai margini,
quando si vive sul ciglio di un burrone. È un niente scivo-
lare giù.

La commedia del boom: una vita in bilico

Ma questa «vita in bilico» che è tipica della commedia


del boom, questo scivolare da una dimensione all’altra –
che assume colorazioni diverse (patemiche e narrative) –
18 DINO RISI. IL SORPASSO

investe il genere anche in senso più ampio, impregnando-


lo di fragranze e aromi intertestuali e di presenze interme-
diali, attraverso cioè citazioni, allusioni, ammiccamenti ad
altri film o generi oppure con echi di altri linguaggi. Si ha
talvolta, guardando queste commedie, la sensazione di
precipitare in un genere diverso rispetto a quello proprio
di appartenenza. Davanti a Sedotta e abbandonata sembra a
tratti di essere catapultati dentro a un western (di trovarsi
in un luogo di nessuno, un novello Sud, nostrano West, in
cui la partita tra il bene e il male è ancora tutta da giocar-
si); in Il mafioso si muovono personaggi e logiche che arri-
vano direttamente dal gangster-film (con tanto di cappelli
a tesa, sigari che rendono biascicata, enigmatica e temibile
ogni parola pronunciata a denti stretti, sgargianti gessati
indosso a figuri oscuri, sparizioni e apparizioni improvvi-
se, pistolettate contro il malvivente di turno inschiumato
ad arte dal correo barbiere e così preparato per l’esecuzio-
ne capitale); e che dire del delitto preparato e cadenzato
dallo scandire di lancette, così angoscioso nel thriller e co-
sì solennemente deriso attraverso applicazioni maldestre
in Il vedovo o in I soliti ignoti? Anche Il sorpasso – pur essen-
do pienamente una commedia all’italiana – mutua l’arche-
tipo del viaggio, ma senza la solennità edificante del we-
stern e con una lievità (in realtà apparente) assai poco
«road-movie».
Dietro a queste commedie c’è spesso la visione – disin-
cantata, canzonatoria – di tanto cinema. È celebre la battu-
ta del Sorpasso rivolta ad Antonioni, quando Bruno chiede
a Roberto: «L’hai vista L’eclisse? Io ci ho dormito, una bella
pennichella! Bel regista Antonioni, c’ha una Flaminia Za-
«IL SORPASSO» E LA COMMEDIA DEL BOOM 19

gato. Una volta, sulla fettuccia di Terracina, m’ha fatto al-


lungà il collo». Risi ironizza su Antonioni e così esprime la
sua idea di cinema. Perché questi prestiti intertestuali, che
spesso cercano la via parodica, permettono di testualizza-
re un conflitto fra modellizzazioni del mondo tra loro di-
scordi. La commedia del boom – attraverso il connotato in-
tertestuale – irride l’assiologia enfatica e celebrativa del ci-
nema hollywoodiano per esempio o la retorica magnilo-
quente di certo cinema «alto». Prende un dispositivo ideo-
logico – come il genere ma non esclusivamente – e lo mot-
teggia, rovesciandolo. Ma tutto ciò avviene cercando la
complicità del pubblico su un terreno d’intesa che è asso-
lutamente popular, medio e inter-mediale in senso stretto.
Per prendere le distanze (da certa ideologia) la commedia
del boom accorcia quelle col proprio pubblico sullo sfondo
dei nuovi scenari della comunicazione di massa: il juke-
box e le canzonette del Sorpasso, ad esempio, novelle coor-
dinate dell’orizzonte culturale ed esistenziale dell’italiano
(vacanziero) medio. O la televisione sempre più presente
come fucina di immagini necessarie a riscrivere la mitolo-
gia sociale e a costruire un nuovo immaginario in cui con-
sumare simbolicamente nuovi incontri con il pubblico: Ce-
sare Polacco (il celebre ispettore Rock di Carosello) fa il
verso a se stesso in L’impiegato , così come Mario Riva in Il
vigile (1960, di Luigi Zampa) o il maestro Cutolo in Il com-
missario , oppure ancora le Kessler (in Il giovedì o in I com-
plessi, episodio «Guglielmo il dentone» di Luigi Filippo
D’Amico). Ma se nella commedia del boom la convocazio-
ne del piccolo schermo (attraverso le sue star) ha un signi-
ficato pragmatico, ciò non accade nel Sorpasso dove l’evo-
20 DINO RISI. IL SORPASSO

cazione della tv – fugacemente nominata da Roberto du-


rante il suo rituale giro di perlustrazione nella vecchia ca-
sa d’infanzia, il quale davanti a una porta dice con malin-
conia: «La stanza dei lettini... adesso la chiameranno la
stanza della tv» – acquista il sapore amaro di un presente
«lontano» da sé e di un passato rimpianto con un po’ di
nostalgia.

1
Si veda a questo proposito Enrico Giacovelli, La commedia all’italiana,
Gremese, Roma 1990, p. 41.
2
Gian Piero Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale. L’Europa, le
cinematografie nazionali, vol. 3 (tomo 2), Einaudi, Torino 2000, pp. 943-
944.
3
Rileva Claudio Camerini – in Riccardo Napolitano (a cura di), Comme-
dia all’italiana. Angolazioni controcampi, Gangemi, Roma 1985, pp. 179-
192 –, attraverso la ricognizione delle critiche degli anni ’60, che già al-
lora Il sorpasso veniva indicato come un film di riferimento in questo
senso. Tale considerazione sembra essere un dato ormai acquisito dalla
letteratura; dice infatti Giacovelli: «C’è tutto eppure non c’è niente di
troppo in questo film che rappresenta la commedia all’italiana al suo
grado più alto» (Enrico Giacovelli, Un secolo di cinema italiano, 1900-
1999. Dalle origini agli anni Sessanta, Lindau, Torino 2002, p. 262).
4
Enrico Giacovelli, La commedia all’italiana cit., pp. 114-119.
5
Ivi, p. 117.
Il film

Titolo: Il sorpasso
Origine: Italia
Anno: 1962
Regia: Dino Risi
Soggetto e sceneggiatura: Dino Risi, Ettore Scola, Rugge-
ro Maccari
Dialoghi: Ettore Scola, Ruggero Maccari
Fotografia (b/n, 1 x 1,85): Alfio Contini
Scenografia e costumi: Ugo Pericoli
Montaggio: Maurizio Lucidi
Aiuto regista: Guglielmo Ambrosi
Operatore: Maurizio Scanzani
Segretario di edizione: Renato Rizzuto
Arredamento: Enrico Fiorentini
Musiche: Riz Ortolani
Canzoni: Guarda come dondolo e Pinne fucile ed occhiali di
Rossi e Vianello (cantate da Edoardo Vianello); Per un atti-
mo di Naddeo (cantata da Peppino di Capri); St. Tropez twi-
st di Cenci e Faiella (cantata da Peppino di Capri); Don’t
22 DINO RISI. IL SORPASSO

Play That Song (You Lied) di Ertegun, Nelson (cantata da


Peppino di Capri); Quando quando quando di Renis, Testa
(cantata da Emilio Pericoli); Vecchio frac composta e canta-
ta da Domenico Modugno; Gianni di Tassone, Cassia (can-
tata da Miranda Martino).
Edizioni musicali: Simphony
Effetti speciali: Aurelio Pennacchia
Truccatore: Gustavo Sisi
Fotografo di scena: Bruno Bruni
Interpreti: Vittorio Gassman (Bruno Cortona), Jean-Louis
Trintignant (Roberto Mariani), Catherine Spaak (Lilly, fi-
glia di Bruno), Claudio Gora (Bibì, fidanzato di Lilly), Lu-
ciana Angiolillo (Gianna, moglie di Bruno), Luigi Zerbina-
ti (il commendatore), Franca Polesello (moglie del com-
mendatore), Linda Sini (zia Lidia), Bruna Simionato (zia
Enrica), John Francis Lane (cugino Alfredo), Mila Stanic
(Clara, la ragazza della stazione), Nando Angelini (conta-
dino che balla il twist), Edda Ferronao (ragazza senza va-
ligia a Civitavecchia), Annette Stroyberg e Margaretha
Robsam (turiste tedesche), Lilli Dorelli.
Produzione: Mario Cecchi Gori (per la Fair Film, Incei
Film, Sancro Film)
Direttore di produzione: Pio Angeletti
Ispettore di produzione: Umberto Santoni
Segretari di produzione: Franco Recine, Adriano De Mi-
cheli
Ragioniere di produzione: Bruno Altissimi
Distribuzione: Incei Film
Nulla osta: 1.12.1962, divieto ai minori di 14 anni
Durata: 106’
IL FILM 23

Premi: Premio per la miglior regia al Festival di Mar del


Plata del 1963 (Argentina). Nastro d’argento 1963 a Vitto-
rio Gassman (migliore attore protagonista).
La storia della storia

Racconta Risi che l’idea del Sorpasso nacque mentre lui


e Sonego stavano lavorando a Una vita difficile 1. L’idea –
del road movie allegro e disperato di due compagni casua-
li di avventura – fu suggerita al regista da un viaggio in au-
to con un certo avvocato Martello, milanese, patito di mac-
chine e corridore della Millemiglia, il quale gli propose di
accompagnarlo a trovare la sorella a Varese e lì, improvvi-
sando le mete strada facendo, arrivarono nel Liechtenstein
dove finirono a pranzo alla corte del principe. Nei ricordi
del regista a questo viaggio se ne associò un altro, altret-
tanto veloce e assurdo, da Roma a Maratea, col produttore
romano Pio Angeletti, «pessimo guidatore, sorpassi in cur-
va, radio a tutto volume, esplorati cinque o sei ristoranti
prima di trovare quello giusto. Fornito – diceva – di una
memoria topografica di ferro, si rifiutava di consultare la
carta. Arrivati a notte fonda non trovammo l’albergo e dor-
mimmo in macchina aspettando l’alba» 2. «In piccolo era
già la storia di Il sorpasso» 3.
Racconta Sonego di aver scritto e venduto il trattamen-
26 DINO RISI. IL SORPASSO

to del Sorpasso a De Laurentiis, pensando di affidare il ruo-


lo del protagonista inizialmente a Franco Fabrizi, «il quale
si sentiva confinato da registi e produttori in un piccolo cli-
ché di bello stronzo antipatico» 4 e poi a Sordi, il quale ri-
fiutò; e il produttore «non digerì l’ostinazione di Sordi e
così, per ripicca o per affare […] cedette il film a Mario
Cecchi Gori» 5. Il passaggio di mano della produzione – da
De Laurentiis a Cecchi Gori – provocò anche un cambio di
guardia alla sceneggiatura: subentrarono Scola e Maccari e
il nome di Sonego non comparve, nemmeno come sogget-
tista, nei titoli di testa.
Racconta Scola che lui e Maccari scrissero la sceneggia-
tura del Sorpasso da soli, «con delle visite di Risi che erano
molto importanti però perché […] Risi non è autore di
macchina da scrivere e di scrittura ma è autore di dialogo
con gli sceneggiatori» 6; «con Risi il lavoro procedeva spe-
ditamente, le riunioni con lui erano molto rapide e il lavo-
ro degli sceneggiatori godeva di ampia autonomia. […]
L’ottica con cui abbiamo guardato la società del benessere
in Il sorpasso faceva parte della nostra formazione. Intendo
il “Marc’Aurelio”, dove sia io che Maccari avevamo lavo-
rato, e dove si “inventava”proprio dalla realtà, dalle noti-
zie dei quotidiani, dall’osservazione su ciò che c’era intor-
no, anche se poi il giornale in sé tendeva più al qualunqui-
smo che alla vera critica e alla vera storia. […] Comunque
la tecnica di lavoro era questa, qualsiasi cosa distaccata
dalla realtà non veniva accettata, quando portavo vignette
che non parlavano di realtà italiana, anche se erano diver-
tenti, mi sentivo dire: “No, in fondo questo è umorismo in-
glese, dove mai accadrebbe in Italia una cosa così?”. E ve-
LA STORIA DELLA STORIA 27

nivano scartate. Questo sistema di lavoro […] ha nutrito


noi e lo stesso Sorpasso, che è zeppo di osservazioni sulla
realtà, con il personaggio costruito con attenzione ai di-
scorsi correnti, alle notizie fresche. Per esempio il pezzo in
cui Gassman dice: “Se due astronavi si scontrano, chi pa-
ga?”, lo avevamo scritto in seguito a una notizia letta sui
quotidiani pochi giorni prima, che annunciava l’avvio di
una branca di giurisprudenza spaziale. Per dire come in
noi ci fosse sempre quest’attenzione per ciò che accadeva
nel quotidiano» 7. Per quanto riguarda la suddivisione dei
ruoli nella sceneggiatura, Scola aggiunge che «durante i
mesi di scambio di idee, che precedono la scrittura di un
film, si parla molto, si prendono molti appunti, sulle situa-
zioni, sul carattere dei personaggi, sui dialoghi: quindi è
sempre difficile individuare la paternità di una scena o di
una battuta. Tenendo conto che io a quell’epoca studiavo
ancora Legge, forse mi occupai particolarmente del perso-
naggio dello studente, dei riferimenti ai suoi studi, agli
esami che sta facendo. E anche il mio carattere è forse più
vicino a quello di Trintignant. Il meridionale o è fastidiosa-
mente estroverso o è piuttosto schivo, tendente alla de-
pressione…» 8. In fase di sceneggiatura si definì anche il fi-
nale drammatico, inizialmente diverso 9, non solo perché si
risolse per l’epilogo tragico della vicenda – che si conclude
con un incidente mortale in auto – ma anche per l’identità
della vittima, che in un primo momento si era immagina-
to fosse quella di Bruno Cortona.
Racconta Maccari che «tra le varie idee che avevamo sul
finale la più giusta, quella su cui è caduta la scelta, è stata
quella drammatica perché dava il giusto valore alla storia.
28 DINO RISI. IL SORPASSO

Certo ci piaceva anche evitare il classico “lieto fine” […]


ma non ci ponevamo problemi di “nobilitare” perché sape-
vamo che il giudizio della critica sarebbe stato ugualmen-
te negativo» 10.
Nel frattempo il cast si andava definendo. Abbandona-
ta l’ipotesi di Sordi 11 per la parte del protagonista, il super-
ficiale vulcanico Bruno Cortona, si pensò a Vittorio Gas-
sman (in quel periodo sotto contratto con Cecchi Gori), con
una decisione piuttosto audace per l’epoca, perché l’attore,
ritenuto essenzialmente una personalità drammatica fino
ad allora, aveva interpretato pochi ruoli comici al cinema
(alcuni mirabili, come quello di Giovanni Busacca in La
grande guerra) e comunque sempre addolcendo o contraffa-
cendo la nobiltà classica della propria fisionomia col truc-
co (come in I soliti ignoti) o attraverso travestimenti (come
in Il mattatore, 1959, sempre di Dino Risi). Liberato dagli
orpelli somatici posticci e grotteschi (le orecchie allungate,
la fronte abbassata, il naso ammorbidito di I soliti ignoti per
esempio) e alleggerito della maschera espressionistica che
Monicelli aveva creato per imporlo come attore comico,
Gassman nel Sorpasso raggiunse pure nella recitazione – la
cui espressività barocca risentiva dell’indole teatrale anche
al cinema – la massima naturalezza e asciuttezza possibile,
arrivando a indossare perfettamente la «maschera» del-
l’uomo qualunque. Un uomo qualunque naturalmente sui
generis, velleitario, incostante, vitale, euforico e cupo, con
una sua dirompente forza d’urto. Per la parte del suo com-
pagno di vagabondaggio – il timido, gentile, controllato
Roberto Mariani, ideale contraltare del debordante Bruno
– a Risi venne offerto Jean-Louis Trintignant, conosciuto in
LA STORIA DELLA STORIA 29

Italia per la sua partecipazione al film di Valerio Zurlini,


Estate violenta (1959) ma su cui Risi nutriva qualche dub-
bio; invece l’incontro de visu12 con il giovane attore france-
se eliminò ogni perplessità.
Racconta Gassman che le riprese – iniziate il giorno di
ferragosto del ’62 in una Roma deserta e assolata – duraro-
no «meno di sei settimane, giocando sempre, improvvisan-
do. È costato pochissimo, fatto da un produttore che non ci
credeva per niente e che lo odiava. Era costruito su un’idea
buona ma con un buon quaranta per cento d’improvvisa-
zione, improvvisazione di buona vena, perché andò bene,
c’era un momento felice tra me e Trintignant e fra me e Di-
no soprattutto» 13. In realtà le perplessità di Cecchi Gori
non nascevano tanto dall’idea centrale del film (il viaggio
in automobile al contrario rappresentava una realtà così
quotidiana in quel periodo italiano che prometteva l’iden-
tificazione dell’intera nazione) quanto dalla visione dei
giornalieri, visione ovviamente muta e non ancora sono-
rizzata, che sembrava sconfortante e priva di tenuta narra-
tiva. E invece il ritmo del film ne costituisce uno degli ele-
menti di forza, come pure i dialoghi o la colonna sonora,
così attenta al gusto del tempo.
Racconta Alfio Contini 14, direttore della fotografia, che
l’idea di costruire una storia di personaggi su uno sfondo
ben preciso – quello dell’Italia del boom già minata dai pri-
mi segnali di inquietudini sotto la patina euforica e lucen-
te del consumismo, portando lo sfondo in primo piano at-
traverso la narrazione di individualità in qualche modo
emblematiche – si tradusse in precise indicazioni registi-
che, che determinarono quella luce forte e solare del film
30 DINO RISI. IL SORPASSO

(mantenendo a fuoco il contesto), la scelta di interni perlo-


più dal vero 15, l’ostilità verso i primissimi piani e la predi-
lezione per i piani di ripresa che immergessero gli attori
nell’ambiente circostante. Anche la scelta del teleobiettivo
– e Il sorpasso fu uno dei primi film in cui se ne fece un uso
massiccio – rispondeva a questa volontà non solo stilistica
ma anche narrativa, di isolare e «rubare» fisionomie, parti-
colari e dettagli e ricostruire attraverso il racconto di essi
un quadro d’insieme. Così la storia di Bruno e Roberto di-
venta la storia di un tempo, di un momento, di una società
«sul ciglio». Un orlo che da un momento all’altro può di-
ventare burrone e tragedia, come accadrà nella scogliera di
Calafuria 16, luogo dove si consuma l’incidente mortale.
Racconta Cecchi Gori, a proposito dell’uscita avvenuta
nel dicembre del ’62, che il film «uscì in prima visione al ci-
nema Corso, l’odierno Etoile. Come al solito era un ve-
nerdì, il giorno della settimana in cui si facevano le “pri-
me”. L’incasso della serata fu misero. Rimasi di ghiaccio,
anche se quei pochi che erano entrati l’avevano giudicato
bello e divertente: ma era una consolazione di poco conto.
La sera stessa il film fu proiettato ai David di Donatello, in
un ambiente completamente diverso, più raffinato, ma
neanche lì ebbe un risultato apprezzabile. La sera dopo, il
sabato, sempre al Corso, il film incassò 400-450 mila lire,
che erano poche anche allora, perché il biglietto costava
500 lire. Il proprietario del cinema, il dottor Marino, già
pensava in cuor suo di smontarlo intorno al mercoledì o
giovedì successivo. La domenica l’incasso si avvicinò al
milione: non era disastroso, ma rimaneva ancora la minac-
cia dello smontaggio. Il lunedì sera fece un incasso mag-
LA STORIA DELLA STORIA 31

giore della domenica: la gente si era passata la voce, il film


cominciava a piacere» 17. E nonostante le critiche non fosse-
ro entusiasmanti (si veda l’antologia critica), l’ascesa del
gradimento del pubblico risultò inarrestabile, tanto che il
film incassò in quell’anno più di un miliardo 18, essendo il
film italiano più visto del 1962 19.

1
Dice Risi a questo proposito che il film «non si chiamava ancora Il sor-
passo e non finiva allo stesso modo; [...]siamo stati due giorni in giro io
e Sonego in macchina, per la campagna romana, parlando di questa co-
sa». In Franca Faldini, Goffredo Fofi (a cura di), L’avventurosa storia del
cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti, 1960-1969, Feltrinelli, Mila-
no 1981, p. 122.
2
Valerio Caprara, Dino Risi. Maestro per caso, Gremese, Roma 1993, p. 91.
3
Tratto da un’intervista televisiva a Dino Risi, all’interno di Storie. Un
viaggio nella vita di persone non banali, programma ideato e condotto da
Gianni Minà per Rai2.
4
Tatti Sanguineti (a cura di), Il cinema secondo Sonego, Transeuropa, Bo-
logna 2000, p. 147.
5
Sulla paternità del Sorpasso le versioni sono discordanti, come rileva
Oreste De Fornari che così ricostruisce la vicenda: «C’è un piccolo gial-
lo filologico intorno al soggetto del Sorpasso, a causa di certe dichiara-
zioni di Alberto Sordi: “Ero andato da Sonego e gli avevo detto: ‘C’è un
diavolo, uno stronzo che ti batte sempre la mano sulla spalla ecc. Uno
che conosci, che ti offre l’aperitivo, che ti condiziona perché ti sta sem-
pre appresso... Bisognerebbe cercare di realizzare questo personaggio,
perché è un protagonista della vita di oggi in via Veneto, in tutti questi
posti un po’ alla moda’. Mentre stavamo in Svezia ci giunse la notizia
che Dino Risi stava realizzando Il diavolo e lo chiamava Il Sorpasso... per
noi fu molto grave, soprattutto per Sonego che era, diciamo, quello che
aveva concepito la cosa. Volevamo veramente intraprendere un’azione
legale perché Risi aveva preso l’idea e l’aveva realizzata senza dircelo”.
32 DINO RISI. IL SORPASSO

Sonego conferma con qualche variante questa versione dei fatti, preci-
sando che il soggetto, da lui scritto per Sordi e Gérard Blain e intitolato
Il diavolo (“tutto uguale al film, compreso l’itinerario e il finale”) fu of-
ferto a De Laurentiis. Ma Sordi riluttava. Così decisero di partire col re-
gista Polidoro per la Svezia, dove Il diavolo divenne il titolo di un film
tra il comico e il turistico sulle disavventure di un maschio latino in li-
bera uscita, fra vichinghe disinibite, pastori luterani, premi nobel, sau-
ne miste. In seguito, prosegue Sonego, “Sordi ha protestato con De Lau-
rentiis perché gli hanno levato il più bel soggetto della sua vita. ‘Ti sta
bene’ gli ha risposto Dino. Per la cessione dei diritti sul soggetto ci sia-
mo messi d’accordo tra di noi, alla buona, come usa in questi casi”. Ri-
si dà un resoconto differente. “L’idea è mia. Avevo scritto il soggetto e
l’avevo venduto a Marcello Girosi, il quale poi l’ha ceduto a Cecchi Go-
ri. È nato da un viaggio che ho fatto con due personaggi straordinari.
[...] Avendo pensato a Sordi, mi ero rivolto a Sonego, che era il suo au-
tore. Con Sonego abbiamo chiacchierato per un paio di giorni, non di
più”. Poi si optò per Gassman e per il tandem Maccari-Scola. Dal canto
suo Cecchi Gori afferma di aver acquistato il soggetto da Girosi, accre-
ditando così la versione Risi, sebbene non sia affatto sicuro che il sog-
getto fosse stato scritto proprio dal regista». In Oreste De Fornari (a cu-
ra di), Il sorpasso: 1962-1992. I filobus sono pieni di gente onesta, Edizioni
Carte Segrete, Roma 1992, pp. 13-14. In occasione della redazione di
questo volume di De Fornari, Sonego ha recuperato il manoscritto del-
la scaletta del film, di cui De Fornari pubblica un breve stralcio. Sulla
questione Scola altrove ha dichiarato: «Il sorpasso era un soggetto di Ri-
si, nato dall’osservazione dei comportamenti di un ispettore di produ-
zione, durante un viaggio per i sopralluoghi di un film [...]. Su Il sorpas-
so ho letto qua e là strane affermazioni di Sordi e di Sonego, secondo i
quali Il sorpasso era un film che avrebbero dovuto fare loro. È vero sol-
tanto che di quella sua idea di soggetto Risi aveva parlato, prima che
con noi, con Sordi, pensando a lui come protagonista; ma poi il film non
andò avanti, forse perché non interessava a De Laurentiis, forse perché
Sordi partì per un altro film: Risi pensò a Gassman e per la sceneggia-
tura si rivolse a Maccari e a me» (Antonio Bertini, Ettore Scola. Il cinema
e io, Officina Edizioni, Roma 1996, p. 53).
6
La dichiarazione è tratta dalla terza puntata di Ciak si scrive, documen-
LA STORIA DELLA STORIA 33

tario Rai di Pino Adriano (con la consulenza di Ugo Pirro), dedicato al-
la sceneggiatura.
7
Franca Faldini, Goffredo Fofi (a cura di), L’avventurosa storia del cinema
italiano cit., pp. 122-123.
8
Antonio Bertini, Ettore Scola cit., p. 53. De Fornari rileva altre curiosità
a proposito della stesura della sceneggiatura: «Per esempio in una pri-
ma stesura le due turiste nel cimitero militare tedesco scambiavano bat-
tute tra il didascalico e l’improbabile (“Però, quanti! Ma che ci facevano
qua in Italia?”, ”Mah! Una generazione ottusa, senza fantasia. Non tro-
vavano di meglio che fare la guerra e schiattare”, “Per dar retta a quel
matto coi baffetti. Come si chiamava?”, “Hitler, Himmer, boh!”) [...]. Ma
poi quelle battute sono state cancellate con un tratto di penna; è rimasto
solo, a suggerire la memoria corta della nuova generazione, “Però,
quanti! Ma che ci facevano qua in Italia?”, a sua volta sparito in fase di
riprese», in Oreste De Fornari (a cura di), Il sorpasso: 1962-1992 cit., p. 37.
9
Risi afferma che le prime discussioni di sceneggiatura non prevedeva-
no il finale che poi ebbe il film e ipotizzavano che Trintignant si ribellas-
se a Gassman e il corruttore morisse; in Franca Faldini, Goffredo Fofi (a
cura di), L’avventurosa storia del cinema italiano cit., p. 123. Sonego sostie-
ne che «l’amore che portavo al mio film mi fece convincere Dino Risi, il
quale in un primo tempo non se l’era sentita nemmeno lui, di girare il
finale previsto, lo schianto»; in Tatti Sanguineti (a cura di), Il cinema se-
condo Sonego cit, p. 148. Sempre a proposito del finale, dice Scola che
«nelle conversazioni con Dino, una delle possibilità che valutammo per
il finale era che il “timido”, contagiato da quella cicala implacabile, tro-
vasse un migliore contatto con la realtà, con la gente, con le ragazze, ac-
quistasse una più sana vitalità: il breve viaggio serviva a maturare que-
sto giovanotto. Ci parve insufficiente e così – scartata l’idea moralistica
di far morire il corruttore – venne il finale giusto» (affermazione tratta
da Antonio Bertini, Ettore Scola cit., pp. 53-54).
10
Pietro Pintus (a cura di), Commedia all’Italiana, parlano i protagonisti,
Gangemi, Roma 1985, p. 127.
11
Anche in questo caso le versioni non collimano perfettamente, poiché
Sordi ha dichiarato che «quando hanno fatto Il sorpasso, io e Sonego era-
vamo in Svezia a fare Il diavolo. Peccato, è un film molto bello, mi è dispia-
ciuto non farlo, soprattutto per Sonego. Al ritorno dalla Svezia ci fu l’idea
34 DINO RISI. IL SORPASSO

di fare causa a De Laurentiis e a Risi, ma poi lasciammo correre»; mentre


Risi sostiene che «se Sordi non ha fatto Il sorpasso è solo colpa sua, è lui
che ha rifiutato. […] Sordi ha detto no perché sosteneva “questa è una sto-
ria in cui io mi do un gran daffare e poi tutto il merito se lo prende quel-
l’altro!”e si è ritirato». Entrambe le dichiarazioni sono tratte da Franca
Faldini, Goffredo Fofi (a cura di), L’avventurosa storia del cinema italiano cit.
12
Il primo giorno delle riprese, 15 agosto 1962, Risi ancora non aveva il
secondo attore, Trintignant; la sagoma che appare in penombra dietro la
finestra, nella prima sequenza, è una controfigura. Vedi Angela Pruden-
ti, Cristina Scognamillo (a cura di), Dino Risi. Maestro dell’equilibrio e del-
la leggerezza, Fondazione Scuola Nazionale di Cinema, Roma 2002, p. 29.
13
Franca Faldini, Goffredo Fofi (a cura di), L’avventurosa storia del cinema
italiano cit., p. 122.
14
Pietro Pintus (a cura di), Commedia all’Italiana, parlano i protagonisti cit.,
p. 54.
15
Nel suo volume De Fornari scrive che la via Aurelia del Sorpasso è in
parte autentica e in parte apocrifa: «Tra i set autentici la trattoria Erne-
stino al tredicesimo chilometro, il ristorante di Civitavecchia e la curva
fatale di Calafuria. Quasi autentico il cimitero tedesco nei pressi di Po-
mezia (a sud di Roma e quindi in direzione contraria al film). Inauten-
tiche la villa degli zii nei pressi di Grosseto, in realtà un castello-casale
a Rota, nell’alto Lazio, e la stazione di Castiglioncello, che è invece la
stazione di santa Marinella, truccata. L’insegna del night-club “Il cor-
morano” fu costruita appositamente per il film, con allusione alla rapa-
cità del personaggio Gassman». In Oreste De Fornari (a cura di), Il sor-
passo: 1962-1992 cit., p. 12.
16
La sequenza è una delle poche che richiese il ricorso a più di una mac-
china da presa, poiché normalmente Il sorpasso venne girato con una so-
la cinepresa.
17
Pietro Pintus (a cura di), Commedia all’Italiana, parlano i protagonisti cit.,
p. 37.
18
Più precisamente 1.187.000.000, secondo il dato desunto da Roberto
Poppi, Mario Pecorari, Dizionario del cinema italiano. I film. Dal 1960 al
1969, vol. 3, Gremese, Roma 1992.
19
Come si evince da Maurizio Baroni, Platea in piedi: manifesti, numeri e
dati statistici del cinema italiano 1959-1968, Bolelli, Roma 1995.
Sinossi

Sequenza 1
Ore 12.00. L’incontro: Roma Balduina.
Un uomo percorre – su una rombante Lancia Aurelia
Sport supercompressa – le strade della periferia romana
deserta e assolata cercando un telefono pubblico che non
riesce a trovare; si ferma a bere a una fontanella e alzando
lo sguardo nota un ragazzo che timidamente l’osserva da
una finestra; gli chiede di usare il telefono, sale in casa, si
presenta: così Bruno Cortona finisce nell’appartamento di
Roberto Mariani, studente fuori sede di legge impegnato
nella preparazione degli esami. Bruno si informa distratta-
mente degli studi di Roberto (apprende che è di Rieti, pro-
voca con qualche svogliata domanda notizie sulla famiglia
del ragazzo, intuisce l’interesse di Roberto per la vicina di
casa) mentre inveisce contro gli amici che non l’hanno
aspettato all’appuntamento convenuto (per le undici ed è
mezzogiorno) e manifesta un certo nervosismo per la pro-
spettiva di un ferragosto solitario o ancor peggio in com-
pagnia della madre. Poi Bruno saluta, esce dall’apparta-
36 DINO RISI. IL SORPASSO

mento, ma subito risuona e propone un aperitivo a Rober-


to per sdebitarsi. Roberto nicchia, ma la sua educata genti-
lezza gli impedisce di liberarsi dell’invadenza vulcanica e
smargiassa di Bruno.

Sequenza 2
Ore 13.00. L’inizio del viaggio: da Roma a Civitavecchia.
La proposta dell’aperitivo si trasforma in invito a pran-
zo fuori porta (essendo quasi l’una), cui Roberto seppur
controvoglia non riesce a sottrarsi. I suoi pensieri vengono
sempre contraddetti dalle sue parole. Cortona guida speri-
colatamente per le strade del centro di Roma e viene mul-
tato dal sonoro fischio di un vigile senza neppure accor-
gersene; Roberto si sente «nelle mani di un pazzo» ma non
manifesta esplicitamente la propria preoccupazione. I due
iniziano il viaggio alla ricerca di un ristorante che non tro-
vano e nel mentre Bruno racconta di sé («a me la poesia
mica me convince tanto, me piace la musica, questo per
esempio... questo è forte... è mistico sa’… è ’na cosa che te
fa pensà... eh... la musica... a me Modugno me piace sem-
pre... quest’Uomo in frac me fa impazzì... perché... pare una
cosa da gnente e invece... ahò... c’è tutto la solitudine, l’in-
comunicabilità e poi quell’altra cosa quella che vada di
moda oggi l’a... l’alienazione») strombazzando il clacson,
salutando o insultando passanti, ciclisti e automobilisti che
supera. Nel frattempo sono fermati da un prete mentre in-
seguono due ragazze tedesche in macchina; nel tentativo
di adescare le due straniere, rinunciano alla sosta in una
trattoria fuori porta e finiscono in un cimitero, che scam-
biano per un’abitazione privata: Roberto cerca di dissua-
SINOSSI 37

dere Bruno dall’entrare ma vanamente. Resosi conto del


luogo, Bruno desiste e decide di ripartire. Mentre vanno
verso Civitavecchia (dice Roberto: «Sono già le due») la si-
lenziosa diffidenza di Roberto verso Bruno, per la sua gui-
da sconsiderata, per i suoi modi guasconi, non trova voce
ed espressione e inizia a incrinarsi. Mentre si fermano vici-
no a un camion incidentato col suo carico di frigidaire ro-
vesciati, e un corpo coperto a terra, Cortona viene nuova-
mente multato malgrado l’escamotage truffaldino di esibire
sul tergicristallo un segno distintivo della Camera dei de-
putati.

Sequenza 3
Ore 14.00. La sosta: il distributore di benzina.
La sosta al distributore di benzina si trasforma per Ro-
berto in nuove occasioni di disagio: è incapace di rifiutare
i soldi che Bruno con disinvoltura gli chiede in prestito,
inoltre resta inavvertitamente chiuso dentro il bagno del-
l’autogrill e ne esce, grazie a Bruno, con grande imbaraz-
zo. La spavalderia di Bruno fa vacillare le sue scelte (chie-
de all’amico: «Senti... perché hai detto che sto sbagliando
tutto?»). Ma, nonostante la sua irruenza, anche Bruno è co-
stretto a frustrare molte delle sue ambizioni: la cassiera lo
disdegna, le sigarette non si riescono a trovare.

Sequenza 4
Ora di pranzo. La prima meta: il ristorante a Civitavecchia.
Sulla strada verso Civitavecchia, a causa del pestilen-
ziale fumo del sigaro di un contadino a cui hanno dato un
passaggio, Roberto si sente male. Arrivati a Civitavecchia
38 DINO RISI. IL SORPASSO

Bruno si ferma in divieto di sosta, sfila una contravvenzio-


ne da un’auto di fianco («Se non ci aiutiamo tra noi auto-
mobilisti!») e l’appoggia sul parabrezza dell’Aurelia. Al ri-
storante Bruno spadroneggia, visita la cucina, deride due
suore che chiedono un’offerta, flirta con il personale, im-
pone a Roberto una zuppa di pesce non gradita; Roberto
racconta timidamente del suo amore platonico per Valeria.
Dopo pranzo, approfittando della siesta di Bruno (che me-
dita di concupire la cameriera), Roberto, stanco della situa-
zione e dell’attesa, se ne va in cerca di una corriera per an-
dare da dei parenti che abitano in zona; ma Bruno lo rag-
giunge, lo trova coinvolto in un parapiglia scoppiato alla
stazione delle corriere, lo dissuade dal testimoniare contro
un ladro, lo trascina via e si offre di accompagnarlo dai pa-
renti. In auto, ridendo in modo complice, Bruno racconta
dell’insuccesso con la cameriera. Nel tragitto verso la casa
avita Roberto, più rilassato, racconta a Bruno della sua in-
fanzia incantata presso i parenti, dell’amore puerile verso
la zia Lidia, dell’adorazione verso zio Michele.

Sequenza 5
Pomeriggio. La seconda meta: verso Grosseto, dagli zii di Rober-
to.
Bruno, arrivati a destinazione, sovverte le convinzioni e
i ricordi dello studente, guardando alle cose in modo di-
sincantato e smascherando certe realtà percepite diversa-
mente da Roberto; gli fa notare l’omosessualità del came-
riere «Occhifino»(e l’evidenza del soprannome, che capo-
volto suona come «Finocchio») e la paternità del fattore
dello spocchioso cugino Alfredo (non figlio dello zio Mi-
SINOSSI 39

chele ma frutto di una relazione adulterina tra la zia Enri-


ca e il fattore). Roberto guarda al passato e osserva il pre-
sente: la triste vacuità dei suoi sogni (la laurea, un lavoro,
una moglie devota) si materializza nell’immagine, odiosa
e sconfortante, del cugino. Il passato è stravolto dal pas-
saggio di Bruno, il presente è capovolto (coi parenti che
mostrano un’incredibile e inimmaginabile affabilità e sim-
patia per quell’estraneo millantatore e sbruffone), il futuro
perde ogni forma, certezza e desiderabilità. Il tempo sem-
bra fermarsi, come il rumoroso lugubre orologio a pendo-
lo che Bruno arresta. Poi guarda l’orologio poiché s’è fatto
tardi e sollecita i saluti, riprendendo la strada per Roma. Di
nuovo in auto sulla via Aurelia verso Roma, i due si imbat-
tono in una festa campagnola, irridono i balli dei campa-
gnoli e tra le risate il rapporto inizia a sciogliersi e a scal-
darsi (dice Roberto: «Capisco che è più facile diventare
amico di un estraneo che di un conoscente»). Bruno fa no-
tare che è sera e propone una sosta a Castiglioncello per la
cena. L’amico accetta. Nel tragitto Bruno ingaggia un duel-
lo stradale con una Seicento.

Sequenza 6
Sera. La terza meta: Castiglioncello e il Cormorano Night Club.
Arrivati a Castiglioncello, al Cormorano Night Club,
Bruno incontra un commendatore con cui è in affari, ma
l’imbarazzo per un prestito non onorato lo porta a cercare
di rappezzare la situazione andando a cena col commen-
datore e i suoi amici. Liquida sbrigativamente Roberto il
quale va in stazione per prendere un treno per Roma, ma
non trovandolo (l’orologio della stazione segna le 22.30 e il
40 DINO RISI. IL SORPASSO

treno successivo è alle cinque del mattino) e dopo qualche


chiacchiera con una ragazza lì incontrata – e scambiata per
l’amata Valeria –, ritorna al night. Lì, sedutosi in disparte,
osserva Bruno avvinghiato a una bionda, presto interrotto
però dagli strepiti degli automobilisti della Seicento, i qua-
li hanno fatto irruzione nel locale in cerca di rivalsa; a cau-
sa del parapiglia che si scatena, il commendatore se ne va.
I due, stracciati, soli e ormai squattrinati, si attaccano a una
bottiglia sopravvissuta al banchetto del commendatore.

Sequenza 7
La notte e il giorno dopo. La quarta meta: Versilia, dalla ex mo-
glie di Bruno.
Roberto ubriaco guida l’Aurelia indossando un naso
posticcio verso la casa di Gianna, ex moglie di Bruno; arri-
vano a tarda notte, accolti con materna e caustica indiffe-
renza dalla donna. Bruno, incapace di un ruolo paterno
tradizionale (che pure improvvisa stigmatizzando l’anzia-
no fidanzato Bibì della figlia Lilly, la quale rientra a tarda
ora: «All’una di notte sta ancora in giro?», dice Bruno) e re-
spinto in una patetica avance dalla moglie, decide di non
accettare l’ospitalità della sua ex famiglia e di trascorrere la
notte in spiaggia con Roberto, scambiandosi confidenze in-
time (dice Roberto: «Prima di buttarmi mi chiedo sempre
dove andrò a cadere, così non mi butto mai, sono un creti-
no» e risponde Bruno: «Noooo, che cretino, anzi sei in
gamba, so’ io che sono un balordo, bé ne riparliamo doma-
ni»). Al mattino successivo i due vengono svegliati dai ru-
mori festosi dei bagnanti, da un pallone, dalle canzoni da
spiaggia. La giornata trascorre tra le spacconate di Bruno
SINOSSI 41

(fa sci d’acqua, cerca una puerile rivalsa con Bibì in una
forsennata gara a ping pong, sperando di spillargli qual-
che soldo) e le sue incapacità paterne, e le deboli pressioni
di Roberto che vorrebbe ripartire (ma il suo orologio è fer-
mo, crede siano le nove e invece è già l’una passata); infi-
ne Roberto telefona a Valeria ma non la trova; i due deci-
dono di andare a Viareggio a cercare la ragazza.

Sequenza 8
L’ultimo viaggio: verso Viareggio.
In un ultimo folle duello stradale sulla strada, Roberto
appare ormai galvanizzato (dice all’amico: «Bruno ho pas-
sato con te i due giorni più belli della mia vita»): incita al
sorpasso e alla corsa forsennata; e mentre Bruno è impe-
gnato in una serie di sorpassi temerari, tra l’urlo degli
pneumatici sull’asfalto e il clacson impazzito, Roberto
guarda con un ultimo lampo di preoccupata prudenza il
contachilometri, sfiora il corno portafortuna che penzola
dal cruscotto e saluta con gesto chiaroveggente un bimbo
seduto su un Ape che si allontana. Dietro a una curva, sul-
la scogliera di Calafuria, l’Aurelia esce di strada: Bruno rie-
sce miracolosamente a saltare fuori dalla macchina e a sal-
varsi ma l’auto precipita giù dalla scogliera e per Roberto
non c’è speranza. Ai poliziotti accorsi che chiedono notizie
della vittima, Bruno risponde che si chiamava Roberto ma
che non ne conosceva il cognome.
Viaggio nel film.
Come Lucignolo e Pollicino, come Huck e Jim,
prima di Billy e Wyatt

Il viaggio è nel Sorpasso un viaggio di presa o perdita di


co(no)sc(i)enza 1. Sotto la superficie lieve del film si muo-
vono temi, personaggi e situazioni in qualche modo arche-
tipiche, come accade nelle grandi favole 2. Secondo De For-
nari ad esempio, «Gassman-Lucignolo induce Trintignant-
Pinocchio a mettere da parte l’abbecedario (i libri di giuri-
sprudenza) e a seguirlo. Gli spilla qualche biglietto da mil-
le (stile il Gatto e la Volpe), lo sottrae all’influsso noioso
della famiglia (lo zio sembra proprio un Geppetto), ma al
paese dei Balocchi (che è dalle parti di Castiglioncello) Pi-
nocchio, che intanto ha imparato a dire le bugie, non si di-
verte troppo. Finirà vicino al mare, nel ventre di una bale-
na meccanica, intrappolato. Come per Pinocchio, è possibi-
le leggere nel viaggio di Trintignant un rito di passaggio,
un’iniziazione, con tanto di rapimento, discesa agli inferi
(la casa degli zii), prove fisico-mondane (si ubriaca, tenta
di guidare, di sedurre la piemontese, si ferisce) e di morte-
rinascita finale, qui scambiate di posto: la rinascita-cresci-
44 DINO RISI. IL SORPASSO

ta, cioé la telefonata a Valeria, la ragazza dei suoi sogni,


precede la morte» 3.
Che Il sorpasso sia (anche) un viaggio iniziatico è evi-
dente fin dalle prime battute. L’apparizione dei due prota-
gonisti sulla scena sottolinea il loro «essere bambini» – eroi
«nascenti» – attraverso l’enfasi sul loro ruolo filiale: Bruno,
che nella prima sequenza a più riprese invoca la propria
madre 4, guardando una foto sul tavolo di studio di Rober-
to chiede: «Chi è ’sta cicciona?» e alla risposta: «Mia mam-
ma», corregge: «Ah... bella donna!». Bruno è un Peter Pan
bighellone, un piccolo (che si rifiuta di diventare grande)
grande vagabondo e il suo viaggio, puerile, fantasioso, lu-
dico, non lo porta da nessuna parte perché in effetti non ha
una meta precisa (ma piuttosto tante mete suggerite lì per
lì dall’istinto giocoso del momento: «Facciamo che anda-
vamo…»). Il suo viaggiare è semplicemente un’andare.
Roberto è un po’ Pollicino, che «tenta invano di tornare a
casa affidandosi al servizio pubblico, prima la corriera e
poi il treno» 5.
Andare per andare o andare per tornare, in ogni caso il
viaggio dei nostri Eroi è da subito un viaggio di non-con-
quista: del ristorante, delle sigarette, né tantomeno delle
donne che il Dongiovanni non riesce ad avere o dell’Amo-
re platonico che il timido non riesce a capire, degli affari e
dei denari. Ma in fondo né Bruno né Roberto inseguono al-
cunché con grande impegno, Bruno demorde docilmente
davanti ai dinieghi delle donne e agli affari sballati, Rober-
to abbandona tutto sommato facilmente i suoi studi (e ciò
che rappresentano) per uno sconosciuto.
VIAGGIO NEL FILM 45

Viaggio contro

Ed è da subito, quello del Sorpasso, un viaggio di fuga:


dai fischietti dei vigili, dalle multe che, come le «briciole»
di Pollicino, i due disseminano lungo il percorso; dai preti
che intimano di fermarsi... dalla madre (con cui Bruno non
vuole passare il ferragosto), dalla moglie (liquidata subito
da Bruno, ma presto, come ipotetica immagine futura, an-
che da Roberto), dalla figlia (Lilly), dalle responsabilità,
dagli Altri (automobilisti e dunque propri simili). Una cop-
pia in fuga 6. Come in Le avventure di Huckleberry Finn di
Mark Twain, dove Huck e Jim inaugurano il viaggio «del-
la fuga. Fuga da qualcosa o da qualcuno», in genere dalla
«società» 7. Come in Huckleberry Finn la strada diventa il
luogo degli incontri, che disegnano on the road una società
sempre ostile e a tratti orribile: e nel Sorpasso alcuni incon-
tri – con la società degli «arrivati», con la volgarità gradas-
sa del commendatore ad esempio o con la spocchia qua-
lunquistica del cugino Alfredo – sono davvero ripugnanti,
anche se raccontati con ironia. Perché sulla strada stanno
gli emarginati: come Bruno e Roberto, appunto e come,
ben dopo di loro, Billy e Wyatt, i misfits di Easy Rider (id.,
1969, di Dennis Hopper). Come il loro, anche il viaggio del
Sorpasso è un po’ un viaggio «nel quale la strada inizia a
farsi narrazione essa stessa: da un lato, ambiente privile-
giato in cui si svolgono le azioni dei personaggi [...]; dal-
l’altro, la strada non si limita [...] a essere un elemento con-
tenitore di azioni e avvenimenti, ma stimola di continuo
con la sua ingombrante presenza gli eventi e la situazione
46 DINO RISI. IL SORPASSO

esistenziale in cui sono collocati i personaggi della storia,


assumendo di fatto una precisa valenza diegetica capace di
sublimare a livello simbolico» 8. La strada diventa medium
per raccontare la marginalità rispetto a una realtà sociale
patita dai personaggi. Perché attraverso la storia di due
«uomini di strada», Risi racconta gli scricchiolii di una so-
cietà che, arroccandosi gelosamente nelle nuove torri d’a-
vorio, ha sacrificato nella corsa al benessere molte cose.
Viaggio di strada come in Easy Rider, anche quello di
Bruno e Roberto è, in modi diversi, anche un viaggio un
po’ «contro». Contro la società del Miracolo, che li esclude,
e che comunque si rivela essere meno favolosa di quanto
promette.
Ed è, il loro, anche un viaggio contro il tempo. Per
quanto non abbiano in realtà nulla di preciso o importante
da fare, Bruno e Roberto sono sempre in lotta contro il tem-
po: cercano di sconfiggere l’orario di chiusura dei negozi,
dei ristoranti, dei treni o di arrivare da qualche parte in
tempo utile (per pranzare, cenare, per dormire). Un assillo
il tempo nel Sorpasso: tutti guardano continuamente l’oro-
logio al polso, ricordano l’ora, sottolineano i ritardi… E
specialmente all’inizio, sappiamo sempre che ora è: l’in-
contro tra i due avviene alle 12, la partenza del viaggio al-
le 13, la sosta all’autogrill intorno alle 14. E anche dopo,
quando la cadenza temporale sembra farsi meno determi-
nata e incisiva, e il tempo diegetico pare dilatarsi, ogni se-
quenza viene marcata da un tempo e un luogo precisi: l’o-
ra di pranzo viene trascorsa a Civitavecchia, il pomeriggio
nel casale intorno a Grosseto, la sera a Castiglioncello, la
notte e il giorno dopo in Versilia, con una costruzione del-
VIAGGIO NEL FILM 47

la sceneggiatura «potente, con valvole, cinghie, cilindri, pi-


stoni» 9. Perché se inizialmente il ritmo del racconto è otte-
nuto attraverso il battito nervoso del tempo diegetico (ogni
sequenza narrativa equivale a un’ora nella vicenda) nel
prosieguo questo si allunga (occupando ogni sequenza un
arco diegetico-temporale maggiore), fermandosi addirittu-
ra due volte (quando Bruno, nella casa degli zii arresta l’o-
rologio a pendolo; e quando a Roberto si ferma l’orologio
da polso in spiaggia). Eppure quand’anche il tempo diege-
tico sembri meno incombente e pressante, il ritmo del rac-
conto resta comunque vorticoso: e ciò avviene perché le se-
quenze centrali si concatenano l’una all’altra attraverso
una sorta di enjambement narrativo, un tracimare di situa-
zioni (fatti o parole) da una sequenza alla successiva, un
accendere in un blocco del racconto una «miccia» narrati-
va che esploderà in quello seguente. Durante il tragitto
verso Grosseto (sequenza 4), i ricordi d’infanzia di Rober-
to preparano il colpo di scena che si consumerà nella casa
degli zii (sequenza 5) e cioè la scoperta di una realtà diver-
sa, la vera paternità del cugino, l’omosessualità del came-
riere. Nell’abbandonare Grosseto, nel tragitto verso il ma-
re (sequenza 5), il sorpasso di una Seicento da parte del-
l’Aurelia porterà alle conseguenze dell’incresciosa conclu-
sione della serata al Cormorano Night Club di Castiglion-
cello (sequenza 6), con la rissa scatenata dai «sorpassati» in
cerca di soddisfazione, che impedirà a Bruno di condurre
a compimento i suoi affari e il concupimento della bionda
compiacente a cui è avvinghiato. La decisione di raggiun-
gere Valeria a Viareggio, presa in spiaggia (sequenza 7),
determinerà il tragico epilogo (sequenza 8), consumatosi
48 DINO RISI. IL SORPASSO

nella curva di Calafuria. Una lotta contro il tempo dunque


che a un certo punto diventa lotta contro gli eventi, i quali
precipitano, di sequenza in sequenza (la quarta nella quin-
ta, la quinta nella sesta, la settimana nell’ottava) e nell’in-
tera vicenda. E sempre sfavorevolmente, fino al terribile fi-
nale.

Viaggio a rischio

La velocità del racconto (il suo ritmo inarrestabile, ini-


zialmente diegetico-temporale e poi diegetico-narrativo)
presentifica l’inevitabilità della vicenda. E lanciati (sopra
l’Aurelia, dentro il tempo, a causa degli avvenimenti) a
tutta velocità verso la fine ne temiamo la fatalità dramma-
tica. Che sia un viaggio a rischio è evidente fin dall’inizio.
Una quantità di indizi di pericolo grava su questa corsa. Il
cartello segnaletico del divieto d’accesso della prima se-
quenza è un invito alla cautela. Ma viene immediatamen-
te disatteso. E che il richiamo alla prudenza arrivi attraver-
so la foto (in bella mostra, sul cruscotto dell’auto, con tan-
to di targhetta «Sii prudente. A casa ti aspetto io») di Bri-
gitte Bardot, icona per eccellenza in quegli anni della tra-
sgressione più sconsiderata, suona come un’irrisione bef-
farda di ogni monito all’assennatezza. B.B., il simbolo del-
la ribellione come nume tutelare dell’avvedutezza: avrem-
mo dovuto insospettirci. Ma i sospetti diventano presto
macabri presagi: l’alea della morte risuona nelle parole di
Roberto attraverso il suo riferimento alle «tombe (etru-
sche)» presenti nella zona: e se la vitalità ignorante di Bru-
VIAGGIO NEL FILM 49

no lì per lì le tiene lontane scacciando con istinto presago


la visita ai loculi, non può evitarli di lì a poco quando vi si
imbatte involontariamente contro, finendo nel cimitero te-
desco mentre dà la caccia alle bionde straniere. E poi in
macchina, sulla strada le insidie sono sempre presenti: nel
richiamo ai «freni che non vanno» di Bruno, nell’incontro
con l’auto (dei preti) in panne o attraverso la visione di un
incidente mortale, col cadavere che giace sull’asfalto co-
perto da un pietoso lenzuolo, avvenuto sull’Aurelia poco
prima dell’arrivo dei due protagonisti. Ai quali viene gri-
dato dietro un esplicito rabbioso avvertimento («Vi possia-
te rompere il collo... eh ma non campano mica tanto...»),
lanciatogli dai «sorpassati» di turno, quelli della Seicento.
Tutto è vacillante nel Sorpasso. Come il lampadario che
dondola sul soffitto traballante di un salotto piccolissimo,
stretto tra i troppi mobili, dove un uomo in canottiera e
sandali sta mangiando una pagnotta: ma una carrellata al-
l’indietro svela che si tratta dell’interno di un camion di
una ditta di traslochi che procede con il suo carico davan-
ti all’Aurelia di Bruno. Tutto vacilla, anche la nostra perce-
zione, che appena prende forma (vediamo una casa) viene
subito smentita (ma in realtà è un furgone) attraverso un
astuto, malizioso movimento di macchina.
D’altronde l’instabilità è un fatto (linguistico) congenito
nel road movie, dovuto ovviamente all’uso della camera-
car 10, che pur consentendo un movimento piuttosto ampio
e fluido, conferisce all’immagine un senso di dinamicità o
non-stabilità (profilmica e filmica).
Su un piano pragmatico, tale sensazione è acuita dalla
scelta dei punti di vista in cui lo spettatore è chiamato a
50 DINO RISI. IL SORPASSO

identificarsi 11. Nella gran parte dei casi, a cominciare dalla


prima sequenza, la macchina da presa – e lo spettatore con
essa 12 – è collocata alle spalle e a ridosso di un conducen-
te, Bruno Cortona, che da subito si capisce essere un dis-
sennato e scriteriato pirata della strada. Di certo la condi-
zione del passeggero già induce un’impressione di malfer-
mità, enormemente amplificata in questo caso dalle carat-
teristiche del guidatore. «Sono nelle mani di un pazzo» di-
ce Roberto e noi (quasi sempre, e virtualmente, ospiti del
sedile posteriore) con lui. Non fa piacere «sentirsi nelle
mani di un pazzo». Tanto più che il nostro alter-ego virtua-
le sullo schermo 13 – Roberto – non sembra avere la saldez-
za né la fermezza necessarie per poterlo contrastare, per
poter impedire i suoi folli sorpassi, i suoi sconsiderati
duelli autostradali, la sua inevitabile corsa verso il tracol-
lo. Roberto dice sempre qualcosa di diverso da quello che
pensa e i suoi stessi pensieri sono mutevoli, cangianti,
pronti a scardinarsi sotto le sollecitazioni degli accadimen-
ti: abbandona i libri e con essi il futuro che aveva progetta-
to, mette incessantemente in discussione le sue scelte, al-
manacca su ogni cosa, persona, decisione o evento, facen-
doci sprofondare nel magma fluttuante delle sue elucubra-
zioni. Perché esse dominano, attraverso il monologo inte-
riore 14, perlomeno per tutta la prima metà del film, provo-
cando la continua immedesimazione dello spettatore con i
dubbi, i rimuginii, i ripensamenti di Roberto e con Rober-
to tout court.
Ebbene su questi «presentimenti funesti» che pesano
sul viaggio del Sorpasso (quegli oscuri presagi che invado-
no la diegesi), su questo «sentimento dell’instabilità» che
VIAGGIO NEL FILM 51

pervade il film (sia linguistica che enunciativa), nella ver-


tigine del ritmo inarrestabile (di una sceneggiatura-frec-
cia), irrompe il suono, squillante, indisponente e provoca-
torio, del clacson, che è – è il caso di dirlo – l’icona sonora
del film, la sua punteggiatura acustica. Il sorpasso si ricor-
da nel suono (del clacson, prima di ogni altro) prima anco-
ra che nelle immagini, perché un «suono estremamente
breve ma ben definito ha il privilegio di fissare direttamen-
te la propria forma e il proprio timbro nella coscienza, do-
ve si ripete come eco» 15. Così accade per il clacson – irri-
dente, prepotente, che squarcia le immagini, facendoci
sobbalzare sulla sedia – della Lancia Aurelia Sport super-
compressa.

1
La concezione del viaggio come re-azione (psicologica, emotiva) di
personaggi ad avvenimenti, anziché come azione di personaggi sugli
ambienti, evidenzia tutta la modernità ideologica del Sorpasso. D’altron-
de la distribuzione assiologica sui due personaggi subisce continui ri-
baltamenti (Bruno, in un primo momento incarnazione della vacua su-
perficialità, coglie con acume la verità di certe situazioni, come la vera
paternità del cugino Michele; d’altro canto la solidità di Roberto ben
presto scivola nell’indeterminazione e nell’inadeguatezza a vivere).
Questo continuo confondere le acque adottando sul piano delle strate-
gie narrative punti di vista differenti, quello «dell’Eroe e quello dell’An-
tieroe, in un vai e vieni che porta a dissolvere il senso di un fronte net-
to, di una divisione di campo» dove non si capisce «se il bene sia vera-
mente bene e il male veramente male», è uno degli elementi tipici del
regime della «narrazione debole» proprio della modernità cinematogra-
fica, come scritto in Francesco Casetti, Federico di Chio, Analisi del film,
Bompiani, Milano 1990, p. 208.
52 DINO RISI. IL SORPASSO

2
Ovviamente il riferimento imprescindibile in questo senso è a Vladimir
Jakovlevicˇ Propp e al suo Morfologija skazi, coll. Voprosi poetiki, n.12,
Gosudarstvennij Insitut Istorii Iskusstva, Leningrad 1928 (trad. it.,
Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi 1966). Propp ha utilizzato le fiabe
russe come repertorio per la costituzione di una grammatica del raccon-
to (in una cultura data e storicamente determinata), in cui elementi ar-
chetipici – che possono superficialmente assumere forme diverse nelle
singole favole – seguono in realtà, e nell’architettura testuale soggiacen-
te, le medesime logiche narrative.
3
Oreste De Fornari (a cura di), Il sorpasso: 1962-1992. I filobus sono pieni
di gente onesta, Edizioni Carte Segrete, Roma 1992, p. 36.
4
Nel trattamento Bruno afferma: «Io senza l’agendina dei telefoni, mi
sento perduto. Potrei telefonare a mamma e fargliela cercare...» (facen-
doci intuire che vive ancora con la madre) ma poi desiste per il timore
di dover passare il ferragosto con lei. Nel film la battuta è stata sacrifi-
cata (ed è rimasto solo: «Mi sa che mi tocca passà il ferragosto con mam-
ma!»), ma l’evocazione della madre resta comunque forte (per convin-
cere Roberto a seguirlo: «Mamma dice che il lavoro dei giorni festivi
non rende!»).
5
Oreste De Fornari, (a cura di), Il sorpasso: 1962-1992 cit., p. 36.
6
Frasca osserva che «la coppia serve solitamente al narratore (letterario
o cinematografico) per fornire un ritratto sfaccettato e profondo dei per-
sonaggi attraverso il loro dialettico interagire, in modo che essi formino
due personalità molto differenti, suscettibili di completarsi dall’unione
che ne scaturisce. In base ai dialoghi, ai diversi atteggiamenti, alle anti-
tetiche reazioni di fronte ad eventi improvvisi e in relazione al vario mo-
do di intendere pensieri, esistenza e situazioni, il narratore ha sempre
l’intenzione di offrire uno spaccato di personalità pronte ad integrarsi,
compenetrarsi e anche trasformarsi strutturalmente» (in Giampiero Fra-
sca, Road movie. Immaginario, genesi, struttura e forma del cinema america-
no on the road, UTET, Torino 2001, p. 17).
7
Ivi, p. 15
8
Ivi, p. 109
9
Oreste De Fornari, (a cura di), Il sorpasso: 1962-1992 cit., p. 51.
10
La camera-car, che consente le riprese di oggetti in movimento, è «quel-
l’automezzo dotato di sospensioni morbide e di un sistema di ammor-
VIAGGIO NEL FILM 53

tizzatori che attutiscono i sussulti che il congegno incontra nel suo spo-
stamento. Questo dispositivo può essere considerato la cifra stilistica
per eccellenza dei film sulla strada perché con il suo movimento fluido
permette spostamenti di considerevole entità a una velocità variabile,
utilissimi nelle occasioni in cui è necessario illustrare i movimenti di
personaggi dotati di auto, motociclette, camion, o di qualunque altro
mezzo si muova sulla strada», in Giampiero Frasca, Road movie cit., p.
92.
11
Sulla posizione, sul ruolo e il percorso che lo «spettatore modello» è in-
dotto a compiere (in relazione alle scelte enunciazionali operate) all’in-
terno di un testo filmico dato, si veda Francesco Casetti, Dentro lo sguar-
do. Il film e il suo spettatore, Bompiani, Milano 1986.
12
Secondo Metz perché lo spettatore possa calarsi nella realtà del testo
filmico è necessario che si inneschino dei processi simbolici di identifi-
cazione. La prima forma di identificazione (identificazione primaria)
operata dallo spettatore è con il proprio sguardo e dunque, con la mac-
china da presa; l’identificazione primaria si produce innanzitutto sul
piano dell’enunciazione linguistica. Su un piano narrativo invece lo
spettatore si immedesima con uno o più personaggi diegetici (attuando
l’identificazione secondaria). Si veda Christian Metz, Le signifiant imagi-
naire, UGE, Paris 1977 (trad. it. Cinema e psicanalisi, Marsilio, Venezia
1980).
13
Il doppio ruolo – di personaggio e di narratore – attraverso cui si de-
finisce Roberto (fino alla sequenza in casa della ex moglie di Bruno),
rafforza la sua presenza e il suo peso all’interno degli equilibri enuncia-
zionali del testo filmico, offrendo allo spettatore implicito un punto di
vista (emotivo-psicologico) assai marcato al quale ancorarsi.
14
Interessante il ruolo – in senso diacronico – assunto dalla voce del nar-
ratore over nel Sorpasso, poiché, come ricostruisce Federica Villa, «con i
primi anni ’60 i narratori in voce over si fanno presenza sporadica e
sprofondano sempre più nel mondo rappresentato. È il caso di Il sorpas-
so […], dove la voce che si sente non è più strettamente over, ma è quel-
la chiaramente di un monologo interiore, precisamente la verbalizzazio-
ne del pensiero di Roberto. Da “Forse era meglio se telefonavo io, non
so neanche chi è, non lo conosco… magari con la scusa, ma no” a “Ades-
so ci lascia soli e che le dico a questa”, tutti gli interventi di Roberto rap-
54 DINO RISI. IL SORPASSO

presentano un commento tra sé e sé che il personaggio fa a ridosso di


accadimenti, di situazioni, di possibili sviluppi della propria personale
vicenda». In tal senso, per l’autrice, il film rappresenta il culmine di un
processo narratologico, storicamente iniziato negli anni precedenti e
che giunge a compimento proprio con Il sorpasso, testo che emblemati-
camente rappresenta il collassare del soggetto locutore nella diegesi, co-
me guida delle istanze enunciazionali. Si veda Federica Villa, Il narrato-
re essenziale della commedia cinematografica italiana degli anni Cinquanta,
ETS, Pisa 1999, p. 271.
15
Michel Chion, L’audio-vision. Son et image au cinéma, Natha, Paris 1990
(trad. it. L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Lindau, Torino 1997,
p. 57).
L’inizio del viaggio: l’incipit del film

Mentre scorrono i titoli di testa


Inquadratura 1
Esterno giorno. Primo piano di spalle di un uomo che
guida spregiudicatamente un’Aurelia Sport; il suo volto è
vagamente intuibile nel riflesso dello specchietto retrovi-
sore; l’uomo si guarda intorno, si passa accaldato la mano
intorno al collo; una nervosa musica (jazz) off accompagna
l’immagine, con un crescendo di fiati e un commento per-
cussionistico sincopato.

Inquadratura 2
Campo lungo della periferia romana deserta; da dietro
un’angolo, sulla destra, sbuca l’Aurelia che si avvicina alla
macchina da presa e, seguita in panoramica, imbocca
sgommando un senso vietato.

Inquadratura 3
Campo medio di una strada desolata; da sinistra com-
pare l’Aurelia, percorre qualche metro e si ferma; l’auto-
56 DINO RISI. IL SORPASSO

mobilista si alza, si appoggia sullo schienale del sedile, si


guarda intorno alla ricerca di qualcosa.

Inquadratura 4
Panoramica in soggettiva delle saracinesche abbassate
dei negozi, sopra a cui sono affissi una serie di avvisi com-
merciali.

Inquadratura 5
Campo medio dell’Aurelia; l’uomo si risiede in auto, in-
grana la retromarcia riparte a tutta velocità e si allontana
sul fondo del campo.

Inquadratura 6
Campo lungo della strada periferica, sullo sfondo di pa-
lazzoni e di esercizi chiusi; da sinistra si vede arrivare, die-
tro una nuvola di polvere, l’automobile che percorre il
campo da destra a sinistra, compie una curva a «U» e af-
fianca un negozio che, proprio in quel momento sta abbas-
sando l’ultima saracinesca ancora semiaperta; l’auto ripar-
te, riattraversa la strada, poi rallenta e si ferma davanti al-
l’insegna di un telefono pubblico; l’uomo scende, cerca
uno spicciolo nella tasca, si avvicina alla saracinesca che
protegge il telefono e infila una mano tra le maglie, sfor-
zandosi di raggiungerlo.

Inquadratura 7
Dettaglio della mano che si sforza spasmodicamente
ma inutilmente di raggiungere il telefono a muro per infi-
larvi un gettone.
L’INIZIO DEL VIAGGIO 57

Inquadratura 8
Mezza figura dell’uomo che si guarda intorno pensan-
do al da farsi e con passo baldanzoso ritorna alla macchi-
na, sale, si rimette alla guida e riparte con rabbiosa alle-
gria.

Inquadratura 9
Campo medio dell’Aurelia che arriva dal fondo della
strada, attraversa il campo seguito in panoramica, si fer-
ma; l’uomo scende scavalcando la portiera e si avvicina a
una fontanella, seguito da una brevissima zoomata.

Conclusi i titoli di testa


Inquadratura 10
Breve zoomata sull’uomo, in piano americano, che beve
a una fontanella sulla strada mentre qualcosa in fuori cam-
po attrae la sua attenzione.

Inquadratura 11
Soggettiva in controcampo: contreplongée in campo
lungo di un palazzo con persiane totalmente abbassate;
dietro all’unica tapparella sollevata, s’intravede la sagoma
seminascosta di qualcuno che guarda fuori dalla finestra.

Inquadratura 12
Controcampo dell’uomo (in piano americano) che beve
alla fontanella mentre si discosta dal rubinetto rivolgendo-
si all’estraneo che lo osserva dalla finestra: «Ehi lei, dica un
po’…».
58 DINO RISI. IL SORPASSO

Inquadratura 13
Controcampo del ragazzo in mezza figura alla finestra,
che istintivamente sentendosi scoperto, si ritrae dalla fine-
stra.

Inquadratura 14
Soggettiva in controcampo dell’automobilista alla fon-
tanella: plongée in campo lungo dell’uomo che si stacca
dalla fontanella e si avvicina allo stabile.

Inquadratura 15
Mezza figura dell’automobilista che guardando verso
l’alto dice: «Aò, ma che fa, scappa?».

Inquadratura 16
Controcampo del ragazzo in mezza figura alla finestra
che, imbarazzato, si riavvicina al davanzale negando con
un cenno della testa.

Inquadratura 17
Contocampo dell’uomo in mezza figura che guardando
verso l’altro, chiede al ragazzo: «Senta qui è tutto chiuso,
che c’ha il telefono?».

Inquadratura 18
Controcampo del ragazzo in mezza figura alla finestra
che esitante risponde: «Sì...»; e poi rispondendo all’uomo
in fuori campo che gli chiede: «Me lo fa un piacere?», con-
tinua: «Sì… certo...».
L’INIZIO DEL VIAGGIO 59

Inquadratura 19
Soggettiva in controcampo: plongée dell’uomo che re-
plica: «Mi fa il 1326624 chiede di Marcella grazie eh!».
Inquadratura 20
Controcampo del ragazzo in mezza figura alla finestra
che ascolta le richieste dell’uomo, la cui voce in fuoricam-
po insiste: «Le dica che arrivo subito... aspetti... così passia-
mo a prendere gli altri…».

Inquadratura 21
Controcampo dell’uomo in mezza figura che continua,
rivolgendosi verso la finestra e gesticolando: «Se lo ricorda
il numero, è facile no? 13 raddoppia 26 inverte 62…».

Inquadratura 22
Controcampo del ragazzo alla finestra che ascolta le ul-
time indicazioni della voce dell’uomo in fuoricampo «... e
c’ammolla il 4», e poi si ritira verso l’interno della stanza.

Inquadratura 23
Interno della stanza. In sottofondo una musica classica.
Il ragazzo in piano americano si allontana dalla finestra e
avvicinandosi al telefono sulla scrivania, ripete mental-
mente: «1326624 chiedo di Marcella... le dica che…».

Inquadratura 24
Esterno della strada. Contre-plongée dell’uomo che di
spalle si allontana, andandosi a sedere sulla fontanella.
60 DINO RISI. IL SORPASSO

Inquadratura 25
Interno della stanza. Piano americano del ragazzo alla
scrivania, che sollevato il ricevitore, esita, si ferma e riflet-
te, tra sé e sé: «Chi arrivano... non mi ha neanche detto il
suo nome?…», indicando l’uomo fuori dalla finestra.
Quindi posa il telefono, si dirige verso la finestra e prima
di affacciarsi spegne il giradischi.

Inquadratura 26
Mezza figura del ragazzo che sporgendosi dal davanza-
le, propone con voce strozzata all’uomo in strada:
«Sent...».

Inquadratura 27
Esterno della strada. Contre-plongée dell’uomo che se-
duto sulla fontanella si sistema le scarpe; in fuori campo il
ragazzo schiarendosi la voce, gli grida: «Se... senta?» e l’au-
tomobilista chiede svogliato: «Ha già chiamato?».

Inquadratura 28
Mezza figura del giovane che affacciato al balcone, ri-
sponde: «No pensavo che... se vuole salire su così chiama
lei stesso».

Inquadratura 29
Esterno della strada. Contre-plongée dell’uomo che se-
duto, replica: «Buona idea, che interno è?»; «Quattro» spie-
ga in fuori campo il ragazzo; l’uomo avvicinandosi alla
macchina ammonisce: «Arivo! Senta dia un po’ un’occhia-
ta alla macchina che qui a ferragosto con tutta ’sta gente in
L’INIZIO DEL VIAGGIO 61

giro…».

Inquadratura 30
Esterno della strada. Campo medio dell’uomo che si ac-
costa all’Aurelia, da cui prende le chiavi e poi sempre ri-
volgendosi al ragazzo: «Che ha detto, interno quattro?
Vengo volando», e poi andando verso il portone saltellan-
do e canticchiando: «Con le pinne, il fucil gli occhiali …
Arivoo» ed entra nel portone.

Inquadratura 31
Interno della stanza. Mezza figura del ragazzo alla scri-
vania che pensa a voce alta: «Forse era meglio se telefona-
vo io... non so neanche chi è... non lo conosco... magari con
la scusa... ma no!», ma i suoi pensieri sono interrotti da uno
scampanellio vivace, quindi prudentemente prende i soldi
sul tavolo, se li mette in tasca ed esce di campo.

Inquadratura 32
Interno della stanza. Totale dell’ingresso. Il ragazzo si
avvicina alla porta d’ingresso mentre il campanello conti-
nua a strepitare e apre la porta all’uomo che entrando in
casa, chiede: «Ma che non funziona il campanello? Scusi
tanto eh... ma è mezz’ora che giro è tutto chiuso... Roma
sembra un cimitero... Permette? Bruno Cortona» e gli strin-
ge la mano avviandosi al telefono; «Roberto Mariani» si
presenta il ragazzo.
Analisi della prima sequenza.
Spaziando nei luoghi (comuni),
perennemente sulla soglia del Miracolo (economico)

Tutto nel road movie, e in questo particolarissimo road


movie all’italiana che è Il sorpasso, avviene attraverso lo
spazio, o meglio tramite la metaforizzazione dello spazio 1.
Ogni cosa è spazio nel Sorpasso. I desideri sensuali prendo-
no forma e vita al sole delle spiagge roventi e caotiche del-
la Versilia, gli affari si stringono e si concludono nei night-
club rumorosi della costa, gli appetiti si soddisfano nelle
trattorie festose e volgari fuori porta: e così eros, portafo-
glio e pancia trovano scenari ideali in cui identificarsi, pri-
ma ancora che soddisfarsi. E l’oggetto più desiderato e ce-
lebrato di tutti – un’automobile – è in effetti un mezzo ca-
pace di aggredire ogni luogo e di percorrerli, virtualmente
impossessandosene, tutti. Anche le canzoni, anzi le canzo-
nette del film – Guarda come dondolo e Pinne fucile ed occhia-
li, St. Tropez twist e Quando quando quando – diventano luo-
ghi collettivi in cui riconoscersi e ritrovarsi. Perché è più in
generale nel luogo – comune innanzitutto – che nel Sorpas-
so si cerca, si rincorre e si smarrisce il senso di sé. L’inizio
del Sorpasso, a ben vedere, è una sorta di matrioska del re-
64 DINO RISI. IL SORPASSO

sto del film, già contenendolo tutto in nuce, il suo senso ri-
posto o nascosto, la ricerca infruttuosa e fallita in partenza
di un proprio spazio vitale.
Nella prima sequenza un uomo percorre con spavalde-
ria nervosa il quartiere romano della Balduina alla ricerca
di un telefono pubblico e di un pacchetto di sigarette. Da-
vanti a lui si «srotolano» solamente luoghi desolati, abban-
donati dalla frenesia festaiola del ferragosto: con lo sguar-
do percorre in successione una serie di esercizi chiusi so-
pra a cui compaiono piccole affissioni (presumibilmente
con le indicazioni del periodo di vacanza), disegnando in
soggettiva una lunga simbolica teoria di insegne listate a
lutto (dirà infatti, Bruno Cortona, nel primo dialogo con
Roberto Mariani, che «Roma pare un cimitero!»). Perché è
attraverso il racconto delle ferie – una sorta di metafora fe-
rale della civiltà dei consumi – che nel Sorpasso si intrave-
dono da subito, in filigrana, i germi della malattia, i sinto-
mi patologici di quel mondo del boom, apparentemente
così appetibile e luminoso. Anche gli emblemi del boom –
ad esempio il telefono pubblico, medium di una massa de-
siderosa di celebrare collettivamente il favoloso benessere
economico – sono in realtà irraggiungibili, protetti dietro
alle maglie di una saracinesca, una specie di tabernacolo
che imprigiona religiosamente gli oggetti di culto, renden-
doli inaccessibili e trasformandoli in reliquie del Miracolo
(economico). L’incipit del film potrebbe virtualmente rap-
presentare allora l’epitaffio di una società dell’oro che an-
cora impegnata a officiare in allegorici rituali pagani il pro-
prio apologo, è incapace di vedere il proprio declino. L’ini-
zio del Sorpasso, costellato com’è da un insieme di allusio-
ANALISI DELLA PRIMA SEQUENZA 65

ni funeree, scrive l’epigrafe tropologica della mitica golden


age all’italiana e sardonicamente irride i ciechi ministri e i
fedeli che ancora la solennizzano. Sarà un caso, ma la vi-
cenda del Sorpasso ruota proprio attorno al 15 agosto, festi-
vità religiosa secondo il calendario ecclesiale che la bramo-
sia epicurea e gaudente così nitidamente raccontata dal
film vive come festeggiamento laico, al quale però tributa-
re una assoluta devozione. Le divinità profanizzate – e ma-
terializzate in oggetti e spazi precisi – non impediscono l’a-
dorazione.

Un inizio «periodico»

In questo quadro si comprende anche l’ansia di Bruno


Cortona così spasmodicamente teso, fin dalle prime battu-
te, a non restare escluso dal rito per eccellenza, quello del
ferragosto (che teme, riottoso figliol prodigo, di dover tra-
scorrere con la madre!). Invece sarà proprio il suo punto di
vista – dell’uomo perennemente e ineluttabilmente «a par-
te» dell’Eden nostrano, entro cui sembra sempre in procin-
to di entrare senza mai riuscire a oltrepassarne la «dorata»
soglia – che più acutamente scopre le crepe della società
del boom, anch’essa sull’orlo del baratro. È l’uomo «a mar-
gine» del consumismo che spingerà la società che lo esclu-
de nel dirupo.
Nelle prime immagini questo suo essere perennemente
«in limine» assume un’evidenza eclatante: e l’ultima sara-
cinesca dell’ultimo negozio che sta per abbassarsi e che si
inabissa proprio nel momento in cui lui sta arrivando,
66 DINO RISI. IL SORPASSO

sembra quasi una beffa, l’ultimo spazio che gli si preclude


dopo averlo illuso.
Gli accessi e le uscite marcano i confini degli spazi 2: e
sembrano costantemente enfatizzati nell’incipit. Un inizio
(di «ingressi-inizi periodici») che non smette mai di inizia-
re. In poco più di quattro minuti filmici Bruno Cortona se-
gna diegeticamente la propria uscita e il proprio ingresso –
il proprio soggiorno sulla soglia, simbolicamente marcan-
dola – una quantità innumerevole di volte: sbuca romban-
te da dietro un palazzo, s’immette in un senso vietato,
scende dalla spider, tenta di infiltrarsi oltre la rete della pro-
tezione dietro la quale di trova il telefono, risale sulla Lan-
cia, riappare dal fondo di altri vicoli, si precipita davanti
alla serranda dell’ultima bottega dischiusa tentando di en-
trarvi, spunta dall’ennesima laterale, smonta dall’auto, ir-
rompe nel portone dello stabile di Mariani, piomba nel-
l’appartamento dello studente, s’infila nel suo bagno…
Anche in seguito questo suo perenne «transito in limi-
ne» continuerà incessante: emblematica in questo senso la
sequenza in cui i due neo-amici, impegnati nell’abbordag-
gio delle turiste tedesche (e dunque, intenzionati a pene-
trare nei loro cuori), si trovano davanti all’ingresso di quel-
la che credono essere un’abitazione privata e restano pen-
sosi sull’uscio, dubbiosi se varcarlo o meno; ma natural-
mente, incurante dell’invito di Roberto che cerca di dissua-
derlo, Bruno deciderà di superare anche quell’accesso, sco-
prendo che si tratta di un camposanto e decidendo di ab-
bandonare l’impresa. E anche prima, hanno atteso fuori
dal ristorante, trattenuti nell’entrata dalla proprietaria che,
incorniciata nello specchio della porta, quasi a sbarrargli il
ANALISI DELLA PRIMA SEQUENZA 67

passo, gli comunica che la trattoria è chiusa (mangiandogli


in faccia un debordante piatto di spaghetti!). E hanno in-
dugiato all’imbocco di un bivio, tentennanti sulla strada
da prendere. E si ricordi anche l’episodio del Cormorano
Night Club e la lunga sosta di perplessità davanti alla por-
ta del locale: il dubbio sul da farsi (Bruno sta naturalmen-
te per entrare, Roberto non sa decidersi se seguirlo o me-
no) che li trattiene in quel luogo-non luogo per un lungo
tempo. E ancora si pensi alla scena nel bagno nell’area di
rifornimento e alla titubanza davanti alle porte dei bagni:
che Roberto non riesce ad aprire, salvato da Bruno che la
disincastra, entrando a sua volta nella porta, in quella sba-
gliata però (!), perché riservata alle donne.
Nel Sorpasso questo continuo sosstare nell’incertezza
della «soglia» rende i due protagonisti eternamente con-
dannati a una sorta di Limbo: il che non ci stupisce, essen-
do loro in effetti dei quasi-dannati al limbo di quell’Eldo-
rado italiano che è il boom del secondo dopoguerra.
Nell’inizio in particolare c’è una volontà precisa in Risi
– regista pure così attento al ritmo e ai raccordi nervosi –
di enfatizzare il momento dell’entrata di Bruno, attraverso
la durata del campo vuoto: e ciò avviene tramite la descri-
zione di un tempo morto, in cui lo spazio – nudo, desola-
to, puramente scenografico – si offre alla vista dello spetta-
tore prima che l’eroe vi faccia irruzione. C’è in Risi que-
st’accortezza di descrivere il luogo sgombro (sia la strada
o l’ingresso dell’appartamento) prima di renderlo abitato,
celebrando il rito dell’ingresso attraverso una sorta di reto-
rica dell’invasione di campo.
D’altronde la figura dell’ingresso riveste un valore sim-
68 DINO RISI. IL SORPASSO

bolico preciso, come ha acutamente evidenziato l’analisi


compiuta da Maurizio Grande sulla commedia all’italiana,
genere basato, in una prospettiva semiotica, sul motivo
dell’entrata (o del tentativo d’ingresso) nella società, che è
anche «l’ingresso nella vita adulta, che comporta la limita-
zione delle pulsioni soggettive e la ridefinizione dei desi-
deri individuali e delle mete sulla base del riconoscimento
di obbiettivi socialmente prefigurati. Il nuovo membro ac-
coglie valori e norme circolanti, assume la maschera dell’io
come espressione di un’identità psicologica e di un ruolo
sociale consoni alle posizioni occupate e alla correlativa
sfera di prestazioni, norme, comportamenti, valori. Pertan-
to, quando la commedia ci parla dell’ingresso nella società
(sia che lo descriva come matrimonio, come ingresso nella
vita coniugale, sia che lo descriva come assunzione di re-
sponsabilità professionali e come scelta di vita che “istrui-
sce” il futuro del soggetto), ci parla anche dell’ingresso del
soggetto nella vita adulta e nella legge, del passaggio al re-
gime delle prestazioni e della assunzione della “maschera”
corrispondente e del comportamento ad essa appropriato»
3
. E a seconda di come questo motivo dell’ingresso viene
tematizzato, e dunque si realizza, si risolve oppure viene
frustrato, si possono ipotizzare nella lettura di Grande al-
cuni modelli dominanti: le commedie legate al mythos del-
l’ingresso nella società (in cui i protagonisti di fatto rinun-
ciano all’io «pre-sociale» per aderire alle aspettative del
gruppo); le commedie legate al mythos dell’adattamento
forzato alle norme sociali (in cui l’ingresso nella società
viene di fatto rinviato o eluso o dilazionato all’infinito); le
commedie legate al mythos della truffa e del travestimento
ANALISI DELLA PRIMA SEQUENZA 69

(in cui, come nel Sorpasso, il soggetto soccombe nella corsa


folle e cieca per inseguire sogni impossibili); infine vi sono
le commedie legate al mythos dell’innocenza perduta (do-
minate dall’integrazione alla vita sociale).
Se in quest’ottica la commedia testualizza in senso am-
pio il rapporto dell’individuo con la società e il confronto
tra l’Io e le attese, le norme, le regole dell’ambiente, Il sor-
passo è la «storia sociale» di un soggetto marchiato da uno
iato incolmabile tra la potenza del proprio desiderio e l’ef-
fettiva possibilità di realizzarlo: e potremmo aggiungere
che la reiterazione dell’atto di ingresso nei luoghi comuni
(dunque nel territorio del sociale) non fa che ribadire vir-
tualmente la sua impossibilità o incapacità di aderire agli
obbiettivi del reale; e dunque il rito di iniziazione protrat-
to all’infinito, e figurativizzato nella persistenza dell’in-
gresso, rappresenta virtualmente l’inattualizzabilità delle
sue aspirazioni. Bruno non fa altro che entrare perché non
riesce a re-stare dentro la società.
Più in generale l’attenzione allo spazio e la predilezione
per i luoghi pubblici sposta da subito la vicenda del Sorpas-
so su un terreno di confronto sociale (cos’altro è lo spazio
se non l’espressione dell’identità nel proscenio del mon-
do?). Certo non è l’unica chiave di lettura del film, ma una
delle possibili. Importante oltretutto se pensiamo a quale
significato rivestano i cognomi – simbolo del riconosci-
mento o disconoscimento col contesto di appartenenza –
nel corso della storia: che è tutto un fiorire di cognomi; e in
fondo anche l’automobile non è una spider qualsiasi ma
un’Aurelia Sport, una vettura la cui denominazione suona
quasi come un nome e un cognome. E i cognomi giocano
70 DINO RISI. IL SORPASSO

un ruolo significativo nella definizione dell’opposizione


tra i due personaggi. Bruno – animale sociale o sedicente
tale – viene designato più volte attraverso il proprio co-
gnome: quando si trova tra i parenti di Roberto, dal com-
mendatore al Cormorano Night Club, dal fidanzato della
figlia di Lilly ecc. Mentre Roberto – il non-integrato, colui
che è fuori dal sistema e non sa nemmeno se vuole o non
vuole «buttarsi nella mischia» – quasi mai viene identifica-
to col proprio cognome: il quale, notificato durante l’in-
contro iniziale tra i due protagonisti (nella prima sequen-
za), nel prosieguo della vicenda viene ripetuto solo due
volte, quando si presenta alla ragazza della stazione (che
però lo ignora) e quando si presenta a Bibì, il quale pron-
tamente lo sminuisce: «Mariani? No, non conosco nessun
Mariani». L’anonimato sociale di Roberto resta tale fino al-
la fine (seguendolo o perseguitandolo anche nella morte) e
cristallizzandosi per l’eternità nella frase di Bruno che, al-
la domanda del poliziotto che gli chiede notizie della vitti-
ma dell’incidente, risponde: «Si chiamava Roberto... Il co-
gnome non lo so, l’ho conosciuto ieri mattina». Perché Bru-
no è Cortona e Roberto è Roberto: due isolati o comunque
ai bordi della società e mossi da una diversa propensione
o motivazione a farvi parte; spinta che in Cortona è fortis-
sima (anche se infruttuosa) perché assiomatica e in Rober-
to è fragile perché indebolita dalla sua continua problema-
tizzazione.
Due emarginati, dunque, ai margini del boom. Il quale
si manifesta in tutta la sua evidenza attraverso (ennesima
metafora spaziale) i suoi ambienti, le città abbandonate
dalla furia godereccia, le strade invase dalle «quattroruo-
ANALISI DELLA PRIMA SEQUENZA 71

te» e dai ciclomotori, le soste di servizio pullulanti di ten-


tazioni, le spiagge brulicanti di divertimento, i locali not-
turni, le stazioni dei torpedoni e dei treni; gli ambienti e
Roma sopra tutti (immortalata nella prima sequenza), rac-
contata nel presente dei palazzoni della periferia veloce-
mente accresciuta dalla frenesia edizia del Miracolo econo-
mico e nel passato storico (del centro) lasciato alle spalle; e
poi Civitavecchia, l’ultima vestigia del dopoguerra conta-
dino e burino, liquidato dalla supponenza degli «arrivati»;
i quali hanno eletto a loro nuovo sfolgorante habitat, la co-
sta tirrenica, la Versilia innanzitutto, Castiglioncello e Via-
reggio, templi dell’evasione, del tempo libero e gaudente.

Oltre lo splendore dell’effimero

E pure, nonostante il lusso e il sollazzo che questi luo-


ghi trasudano, non riescono ad abbagliarci del tutto (così
come il Miracolo raccontato da Risi non ci sembra mai ve-
ramente tale). Si avverte, si percepisce, sottotraccia, un in-
vito ad andare oltre lo splendore effimero delle apparenze.
Un invito certo posto secondo i modi, scapigliati, dissa-
cranti, gioiosamente cinici e mai moralistici di Risi. E però
invito preciso. E questo monito all’andare «oltre» si tradu-
ce linguisticamente nella richiesta di guardare «altrove» e,
ad esempio, nell’allusione costante al fuoricampo (cioè a
quello spazio off che viene escluso, supposto o richiamato,
dalla messa in quadro del profilmico). Luogo potentissi-
mo, come ricorda Burch 4, di evocazione dell’invisibile o
dell’indicibile. Abbiamo già visto, in particolare nella pri-
72 DINO RISI. IL SORPASSO

ma sequenza, come la maggior parte delle inquadrature


vengano contrassegnate dalle entrate e dalle uscite di cam-
po di Bruno (sia diegetiche: nelle porte o nei portoni ripre-
si; sia filmiche: cioè dentro e fuori i bordi dell’inquadratu-
ra), precedute o seguite da immagini del campo prima e
(o) dopo. Ora, «è soprattutto il campo vuoto ad attirare
l’attenzione su quanto succede in campo (e quindi sullo
spazio-fuori-campo in sé) dato che niente, in linea di mas-
sima, trattiene più (o ancora) l’occhio nel campo propria-
mente detto» 5. Ma non è l’unico modo. «Il secondo modo
in cui il regista può definire lo spazio fuori campo è con lo
sguardo off» 6; e anche a questo escamotage linguistico Risi
ricorre una quantità consistente di volte. Nella prima se-
quenza Bruno, di spalle, guarda fuoricampo cercando
qualcosa; la prima apparizione di Roberto ci è una sugge-
rita da una soggettiva di Bruno verso lo spazio off (e l’in-
teresse che manifesta verso ciò che lui vede e noi no, ga-
rantisce dell’importanza dello spazio a noi precluso); il pri-
mo dialogo tra i protagonisti si sviluppa attraverso un
campo-controcampo che rende ciò che non si può vedere
(le reazioni dell’uno all’altro, per esempio) altrettanto inte-
ressanti, se non di più, di ciò che ci è consentito vedere;
nell’appartamento l’evocazione dello spazio off è altrettan-
to intensa, quando per esempio Roberto, seduto alla scri-
vania, guarda verso la porta socchiusa del bagno, dove
sappiamo trovarsi Bruno che pure non è inquadrato; e la
sua apprensione in primo piano, le sue occhiate off, tradu-
cono tutta la rilevanza di quel luogo al di fuori della nostra
portata visiva.
Nel seguito i protagonisti, una volta nell’appartamento,
ANALISI DELLA PRIMA SEQUENZA 73

guardano fuori dalla finestra di Roberto (accrescendo il


nostro interesse per quanto avviene, da noi non visto, sot-
to i loro occhi) e solo in un secondo momento scopriremo
che si tratta dell’appartamento di Valeria (la ragazza segre-
tamente amata e spiata da Roberto), lasciandoci immagi-
nare lo spazio off che solo successivamente, «retrospettiva-
mente» direbbe Burch, assume una propria concretezza.
L’elenco potrebbe continuare, perché in tutto il film suc-
cede sempre qualcosa nel fuori campo che lo anima: l’irru-
zione delle fanciulle tedesche «accade» nel (grazie al) pri-
mo piano e nelle parole di Bruno prima che davanti ai no-
stri occhi; l’elicottero che rileva la folle velocità della spider
si «palesa» nella sbirciata di Bruno verso l’alto e ci costrin-
ge a domandarci (senza possibilità immediata di verifica)
cosa sta capitando sopra alle nostre teste. E così via. Ma, ol-
tre all’invasione o evasione di un campo che resta vuoto e
allo sguardo off, esiste un’ultima modalità di definizione
di tale spazio; «il terzo modo in cui si determina lo spazio
fuori campo […] è mediante i personaggi che hanno una
parte del corpo fuori dall’inquadratura» 7: situazione que-
sta, tipica del Sorpasso, in cui sempre i primi piani di uno
dei due protagonisti vengono «sporcati» dalla presenza
parziale (la nuca, le spalle, le braccia o altri particolari) del-
l’altro; o in cui i dettagli del fuoricampo diegetico (per
esempio una parte di lamiera del cofano del’auto, che ta-
glia il primo piano di Roberto nell’inizio) entrano nell’im-
magine, tagliandola, spezzandola, frammentandola e ren-
dendola sempre in qualche modo «parziale».
Dunque guardare altrove, oltre ciò che ci è possibile ve-
dere o che si vede nell’immediatezza dell’evidenza, perché
74 DINO RISI. IL SORPASSO

ciò che si vede è sempre appunto parvente, parziale, par-


venza. E ciò vale anche, e soprattutto, per la facile felicità
promessa dal boom, descritto con disincantata partecipa-
zione attraverso i suoi spazi, i suoi status symbol, i suoi pro-
tagonisti o aspiranti tali.
Bruno e Roberto: spazi confusi, volti a fuoco

Se pure lo sfondo della vicenda è rappresentato dall’al-


legra, vacua, effervescente e spregiudicata civiltà del be-
nessere, Il sorpasso non è semplicemente un ficcante affre-
sco sociologico ma è anche un penetrante racconto di ca-
ratteri e di personaggi, di fisionomie psicologiche che
prendono forma nel caos di un incontro fortuito. Al di là
del contesto socio-culturale (pure fondamentale) in cui la
vicenda si colloca, Il sorpasso è la storia affascinante di due
persone che casualmente inciampano l’uno nell’altro, si
conoscono sfidando le reciproce diffidenze – ognuno a
proprio modo: Roberto analizzando Bruno, Bruno «annu-
sando» Roberto –, si raccontano disorientandosi, si sento-
no lontani, si scoprono vicini, a volte si perdono, incredi-
bilmente si trovano, si confondono l’uno nell’altro, infine
si lasciano. Come in ogni incontro importante, i confini
dell’uno si slabbrano per accogliere l’altro, poi si riforma-
no e ricuciono, ma su tracciati diversi.
Roberto ospita Bruno nel suo presente, che è la sua ca-
sa: nella malinconia della periferia, nell’isolamento (la ma-
dre, racconta una foto, è lontana, a Rieti), nella solitudine
spartana, nell’intensità dei suoi pensieri (da subito così
«materici» grazie al monologo interiore), nella timidezza
compiacente (che lo fa agire diversamente da come vorreb-
ANALISI DELLA PRIMA SEQUENZA 75

be), nella solidità dell’impegno zelante e nell’acquiescenza


noiosa al dovere (le «sudate carte» che lo inchiodano a Ro-
ma troneggiano sul tavolo). Poi lo invita nel suo passato,
nella casa avita degli zii e nei luoghi dell’infanzia felice e
mai veramente abbandonata.
Anche Bruno trascina Roberto nel suo presente «volan-
te» e vacillante, su quella macchina con la quale si identifi-
ca simbioticamente e che per lui è «la sua casa», perché co-
me lì sopra lui non si sente «in nessun posto». Lo coinvol-
ge nel suo passato fallimentare, portandolo nella casa del-
la ex moglie e della figlia Lilly, da cui viene nuovamente
respinto.
Roberto e Bruno entrano l’uno nello spazio (e nella vi-
ta) dell’altro e in questa confusione le loro personalità ac-
quistano nitore. Così, nella prima sequenza il viso di Bru-
no – ripreso di spalle – viene riflesso nello specchietto re-
trovisore, ma è piccolo, lontano e quasi indistinguibile.
Mentre in seguito, quando Roberto sale sull’auto (e grazie
a un avvicinamento della macchina da presa che da quel
momento in poi si colloca a ridosso dei due), il volto di
Bruno assume un’evidenza icastica imponente: il volto di
Bruno diventa grande, vicino, evidentissimo. Un piccolo
trucco, forse, ma illuminante.
All’inizio le loro storie, i loro territori, gli spazi nei qua-
li si inscrivono (e che li descrivono), sono separati: nella
prima sequenza l’abboccamento – in campo-controcampo
– disegna due universi distanti e inconciliabili: l’uno (Bru-
no) si staglia su un fondale agreste, l’altro (Roberto) ha co-
me scenografia il cemento del condominio; l’uno è in bas-
so, l’altro è in alto e soprattutto la presenza dell’uno esclu-
76 DINO RISI. IL SORPASSO

de l’altro (anche sul piano sonoro, inizialmente). E invece


da quando Roberto e Bruno diventano coppia la presenza
di uno in campo implica sempre la compresenza (accenna-
ta o parziale) dell’altro, di cui s’intravede un qualche par-
ticolare. Perché è l’ingresso di Roberto nella vita di Bruno,
che ci permette di vederla, di leggerla, di comprenderla; e
ciò accade sul piano visivo prima che su quello narrativo.
È perché si mescolano che i personaggi si definiscono. Che
possiamo conoscere la vocazione di Bruno ad aggredire il
mondo e lo spazio circostante: spostandosi freneticamente
in qua e in là, saltellando con balzi improvvisi o con movi-
menti felini, ballando anziché camminare e invadendo con
la sua gioiosa, vitalissima, pervicace prepotenza qualun-
que luogo (la strada, la cucina del ristorante, la vecchia ca-
sa dei parenti di Roberto, il mare che cavalca con lo sci
d’acqua e la spiaggia dove s’improvvisa acrobata guardan-
do il mondo alla rovescia). E Risi, suo complice, racconta le
aspirazioni megalomani di Bruno prendendo le misure
dello spazio in base alle sue dimensioni: spesso lo inqua-
dra in campo lungo o in piano americano, in posizione
centrale rispetto al quadro dell’immagine; oppure gli offre
la scena anche quando è in fuori campo, garantendola at-
traverso la presenza – con suoni off – della sua voce sten-
torea e debordante (di canti, fischi, urli, sfottò, parole gri-
date e toni sempre alle stelle). Roberto invece è «agito» dal-
lo spazio: quasi sempre fermo, isolato, relegato dalla mac-
china da presa negli angoli dell’inquadratura o schiacciato
da plongée (come nell’ingresso al Cormorano Night-Club)
che ne traducono lo sperdimento esistenziale. Uno spazio
– quello in cui si muove Roberto – che lo domina senza
ANALISI DELLA PRIMA SEQUENZA 77

però mai riuscire a inglobarlo, a inghiottirlo, perché Rober-


to specialmente in mezzo alla gente risulta sempre una fi-
gura schiva, appartata, sfocata. Persino il villico a cui dan-
no un passaggio, una volta in auto gli ruba il posto, nella
macchina e nell’inquadrautra, costringendolo a scendere.
Solamente nell’ultima sequenza (precedente di poco la sua
uscita di scena definitiva), quando in spiaggia attraversa
vestito due ali di natanti danzanti, solamente allora il vol-
to di Roberto è a fuoco – in un primo piano bellissimo, lu-
minoso e triste, accompagnato dalle note di Don’t Play That
Song (You Lied) – al contrario degli altri, folla festosa e indi-
stinta. Del resto anche il rapporto con le canzonette – si è
detto, un importante luogo comune di quegli anni – ci par-
la di una dialettica antinomica: Bruno canticchia quasi co-
me un intercalare, una punteggiatura del proprio agire.
Roberto (che nel suo appartamento ascolta musica classi-
ca) non si sa muovere in quel mondo (canoro) che anzi
sembra disturbarlo: come quando decide finalmente di te-
lefonare a Valeria dalla spiaggia, ostacolato dalla musica
assordante che gli impedisce di capire e di farsi sentire.

Due vicende speculari

Due modi diversi di muoversi nel mondo, due storie


che sembrano opposte, ma che in realtà, come abbiamo vi-
sto, sono declinazioni diverse di uno stesso percorso falli-
mentare. Roberto non riuscirà a laurearsi né a raggiungere
Valeria, né a ritornare a Roma; ma anche Bruno, dietro una
parvenza da vincente, non raggiunge in fondo nessuno dei
78 DINO RISI. IL SORPASSO

suoi scopi: né il denaro (perché non va in porto l’affare dei


frigidaire ammaccati e il commendatore davanti ai suoi pa-
sticci se la dà a gambe), né le donne (respinto dalla cassie-
ra dell’autogrill, dalla cameriera del ristorante, dalla mo-
glie del commendatore e addirittura dall’ex moglie); e per-
de anche l’amata auto, che finisce distrutta, schiantata nel-
l’incidente. Due personalità diverse, egualmente sconfitte.
Illuminante per comprendere il percorso dei due prota-
gonisti, risulta l’analisi narratologica compiuta a questo
proposito da Federica Villa 8, la quale esplora il ruolo della
voce over (che materializza nello spazio sonoro il monolo-
go interiore di Roberto) in quanto spia significante delle
traiettorie narrative presenti nel film. Secondo l’autrice nel
Sorpasso scorrono parallelamente due vicende in qualche
modo speculari: se Roberto inizialmente si rappresenta co-
me una personalità assolutamente ed esclusivamente
«mentale», essendo nei fatti una sorta di «pensiero incapa-
ce di azione» troverà nell’incontro con Bruno lo stimolo
per assumere delle iniziative, Bruno viceversa passerà da
uno stato di vitalità frenetica e istintuale a una capacità di
riflessione sull’esistente che inizialmente gli era sconosciu-
ta. Dunque i due protagonisti «partono da poli opposti,
s’incontrano, si sorpassano, e tendono rispettivamente l’u-
no al punto di partenza dell’altro» 9. Tutto ciò è individua-
bile analizzando il ruolo del monologo interiore, curiosa-
mente molto presente all’inizio del film (già dalla prima
sequenza), per poi svaporare fino a dileguarsi del tutto.
Nelle prime sequenze le azioni di Roberto imboccano sem-
pre strade opposte rispetto a quanto dichiarato nei suoi
pensieri: Roberto si dice contrario ad andare a pranzo con
ANALISI DELLA PRIMA SEQUENZA 79

quell’estraneo, eppure ci va, restio a prestargli dei soldi ep-


pure li presta, e così via; «la parola si atrofizza nel pensie-
ro e non si scioglie nell’azione» 10. E in effetti la presenza di
Bruno nei pensieri di Roberto si configura sempre come
una presenza assolutamente distante da sé, «altra»: Rober-
to ne parla come di un «pazzo» o di «uno che vive chieden-
do soldi in prestito», e comunque sempre convocandolo
nelle sue riflessioni silenziose con asettici pronomi perso-
nali. Nelle sequenze successive Roberto – soprattutto a
partire dalla visita ai parenti in cui rilegge il proprio passa-
to grazie allo sguardo lucido di Bruno (che intuisce molte
verità fino ad allora oscure per Roberto) – incomincia un
lento progressivo avvicinamento alla realtà, propria e
realtà tout court, abbandonando la dimensione astratta del-
le meditazioni. «Il pensiero si abbarbica al reale circostan-
te, cerca un contatto diretto con esso» 11. Ed ecco che Bruno
– in qualche modo responsabile di questo processo – inco-
mincia ad acquistare una certa fisionomia familiare anche
nei pensieri di Roberto, che ne parla come di «Bruno», ele-
vandolo alla prossimità del nome proprio. La vicenda del
Cormorano Night Club assume un ruolo centrale (non a
caso situandosi all’incirca a metà del film): in questo mo-
mento infatti, i due attraverso il contatto, l’incontro, il rico-
noscimento di un legame che si stabilisce tra loro, «per co-
sì dire, si sorpassano e iniziano a prendere un poco l’uno
dell’altro» 12. Roberto infatti abbandona la sterilità del suo
pensiero a favore di iniziative concrete: decide di tornare a
Roma da solo, tenta di abbordare una ragazza alla stazio-
ne (anziché spiarla da lontano, come aveva fatto fino a
quel momento con Valeria), si butta in difesa dell’amico
80 DINO RISI. IL SORPASSO

durante la rissa dentro il locale. E il suo monologo interio-


re – che addirittura ripete una frase pronunciata da Bruno
– riflette questo nuovo stato di cose.
Roberto diventa un po’ Bruno, mentre Bruno diventa
un po’ Roberto: la scazzottata lo rende pensoso, si abban-
dona a riflessioni sulla vita che, contrariamente a quelle di-
staccate e buffonesche fatte fino a quel momento, sembra-
no sincere e spontaneamente partorite da un suo movi-
mento interiore. Dopodiché, anche il monologo interiore
sembra affievolirsi; pochi i pensieri di Roberto pronuncia-
ti tra sé a casa della ex moglie di Bruno e a lei rivolti:
«Adesso ci lascia soli e che gli dico io a questa»; ma tutto
sommato, malgrado la sbornia, il giovane studente sembra
padroneggiare la situazione senza subirla: agisce come fa-
rebbe Bruno. Il suo percorso è compiuto e il climax di que-
sta trasformazione è la sua decisione di andare a Viareggio
per cercare Valeria. Per questo motivo il monologo interio-
re si esaurisce, perché «il pensiero abdica all’azione, e Ro-
berto, dopo aver introiettato l’essere Bruno, non può che
dire, anzi gridare “Urrà”. E il monologo interiore viene de-
finitivamente soppiantato da questa nuova modalità d’e-
spressione: Roberto tornerà infatti a gridare, qualche istan-
te prima della morte, pronunciando questa volta il nome
di Bruno. Quasi un appello estremo per restare aggrappa-
to alla vita, a quella realtà con la quale ha cercato di impa-
rare a confrontarsi» 13. Eppure, nonostante questo movi-
mento interiore, «i due percorsi in effetti “tendono” verso
una nuova dimensione dell’esistere, che non riescono però
a raggiungere, ad assaporare appieno. Non esiste cioè un
autentico riscatto né per Roberto né per Bruno: il primo in-
ANALISI DELLA PRIMA SEQUENZA 81

fatti trova la morte, il secondo resta solo e vuoto» 14.


Due storie diverse, due percorsi speculari anche se op-
posti, desideri differenti, ma un identico destino.

1
Dice Magrelli: «Il viaggio è, da subito, movimento attraverso lo spazio
nel testo e movimento del testo stesso, movimento dell’autore e del let-
tore nel testo e, infine, in alcuni casi, di quest’ultimo verso i propri prin-
cipi organizzativi. […] Il viaggio consente allo spazio di farsi testo e al
testo di raccontare lo spazio, e a entrambi di assumere, a loro volta, i
tempi e i rischi di un percorso da seguire, una collocazione mitica da
svelare». Enrico Magrelli, Ad ovest di nessun Est, in Giorgio Simonelli,
Paolo Taggi (a cura di), L’altrove perduto. Il viaggio nel cinema e nei mass
media, Gremese, Roma 1987, p. 25.
2
Come osserva Villa, è l’intero film che è «teso tra un’entrata e un’usci-
ta di strada». Federica Villa, L’inventio del quotidiano in Leonardo Quare-
sima (a cura di), Il cinema e le altre arti, Marsilio, Venezia 1996, p. 282.
3
Maurizio Grande, Abiti nuziali e biglietti di banca, Bulzoni, Roma 1986,
p. 69.
4
Noël Burch, Praxis du cinéma, Gallimard, Paris 1969 (trad. it. Prassi del
cinema, Il Castoro, Milano 2000).
5
Ivi, p. 30.
6
Ivi.
7
Ivi.
8
Federica Villa, L’inventio del quotidiano cit.
9
Ivi, p. 282.
10
Ivi.
11
Ivi.
12
Ivi.
13
Ivi.
14
Ivi.
Antologia critica

Poteva essere una finissima commedia di caratteri, per signi-


ficare da una parte la rivoluzione psicologica provocata nel ra-
gazzo dall’esuberanza e dall’ottimismo del compagno di viag-
gio, e dall’altra il prezzo di solitudine e di cinismo pagato dal
piccolo avventuriero. Temi che il film tocca appena, requisiti ap-
punto dalla macchietta dipinta benissimo da Gassman, ma che
soltanto con più attento tratteggio avrebbero espresso il signifi-
cato della tragica conclusione.

Giovanni Grazzini, «Corriere della Sera», 9 dicembre 1962.

Il valore allegorico della vicenda è anche troppo chiaro. Ma la


figura di Bruno, che nella sua massiccia aggressività, nella sua
vacua tensione, ha sull’inizio una grottesca, seppur univoca cor-
pulenza, si perde e minaccia di banalizzarsi proprio laddove in-
clina ad acquisire maggiore complessità. Ed ugualmente, nel se-
condo tempo, il racconto si spezzetta in un’episodica a volte
marginale, rincorre effetti farseschi a sé stanti, rendendo ancora
più cruda la fragilità dell’altro personaggio, quello di Roberto: il
quale finisce con l’incarnare, più che un termine dialettico del
84 DINO RISI. IL SORPASSO

dramma, un suo pallido sottofondo morale.

Aggeo Savioli, «L’Unità», 9 dicembre 1962.

Non tutto, certo, nel film è ineccepibile: lo stesso umorismo,


non di rado si vena, specie nei dialoghi, di scurrilità gratuite e
eccessive, riprovevoli anche sul piano del buon gusto, e il respi-
ro del racconto, svelto, agile, velocissimo agli inizi, più avanti si
inceppa, ristagna, si concede delle pause non sempre sorrette da
uno stile egualmente brioso. […] Sono però contraddizioni e
scompensi che non tolgono molto all’impegno di Risi e alla com-
piutezza parodistica dei suoi risultati.

Gian Luigi Rondi, «Rotosei», 17 dicembre 1962.

Film d’innegabile interesse che ruota attorno alla breve va-


canza di due occasionali amici. […] Due caratteri si fronteggia-
no, a tratti resi con finezza d’intuito psicologico. […] Un pallido
senso morale sopravvive nel personaggio istrionicamente inter-
pretato da un Gassman ossessivo e narcisistico. […] Il tragico
epilogo che la platea respinge e non prevede, ha un’amarezza di
origine esistenziale.

Mino Argentieri, «Cinema 60», gennaio 1963.

Il Sorpasso è la vera tesi di laurea di Vittorio Gassman come


attore cinematografico […], finalmente arrivato a essere se stes-
so anche sullo schermo. Bruno è un quarantenne ossessionato
dalla furia di vivere, dall’ansia dei rapporti familiari, dal timore
della decadenza e della morte. Per lui, come per tanti uomini
ANTOLOGIA CRITICA 85

d’oggi, l’automobile è il pretesto di un atto esistenziale, la proie-


zione dei suoi scompensi profondi: e il sorpasso diventa una ri-
vincita sui fallimenti dell’esistenza, un modo comodo per sentir-
si vincitori quando si sono perdute molte battaglie. Nel ritratto
c’è una componente autobiografica e romanzata nelle dimensio-
ni della fantasia. Dino Risi ha fatto un film interessante non sol-
tanto come traguardo di un attore giunto al culmine delle sue
possibilità. Pur con qualche episodio meno risolto, Il sorpasso ha
un suo andamento libero e picaresco che avvince e interessa. Il
personaggio che rimpalla le sparate di Bruno è uno studentello
di legge, timido e sommesso (Jean-Louis Trintignant), letteral-
mente strappato alla sua scrivania dall’entusiasmo contagioso e
un po’ vuoto dell’amico improvvisato. Ma Bruno, anche se ha un
tipo di materia che può dar l’angoscia al di là del divertimento,
è un fortunato; il suo amico, invece, no. La vita, che nell’agitarsi
del compagno sembra tanto facile, respinge implacabilmente il
giovane fino a una morte ingiusta e inaspettata. La breve vicen-
da imbocca senza stonature una conclusione tragica ed è un apo-
logo su ciò che serve e non serve all’uomo contemporaneo per
attraversare un’esistenza invasa dal frastuono. Gli eccessi di sen-
sibilità, la delicatezza d’animo che trapela dalla sequenza del ca-
stello, un po’ in stile Le grand Meaulnes (e vagamente in peccato
di intellettualismo) sono di troppo […]; ma anche abbandonarsi
alla corrente, come fa il protagonista del film, è soltanto una so-
luzione provvisoria. Mentre diverte il film offre motivi di rifles-
sione. I personaggi minori, gli ambienti attraversati dalla rom-
bante macchina di Bruno, le canzoni da spiaggia che arrivano a
folate, tutto è giustamente dosato, senza moralismo né presun-
zione, da un regista che conosce l’alchimia dello spettacolo mo-
derno.

Tullio Kezich, «Sipario», gennaio 1963.


86 DINO RISI. IL SORPASSO

Un ultimo fattore di squilibrio è rappresentato dal finale, ino-


pinatamente tragico: ormai scrollata la timidezza e risoluto a
imitare in baldanza l’amico, Roberto incoraggia Bruno a un ri-
schioso sorpasso e nell’incidente perde la vita. Morale coerente
con la sotterranea amarezza del film (Roberto è la vittima inno-
cente di un’emulazione sbagliata e completa la definizione nega-
tiva di Bruno), questo epilogo ha però l’effetto di una brusca
mazzata sullo spettatore impreparato e sviato dai toni troppo ila-
ri del resto dell’opera.

Giulio Cattivelli, «Cinema Nuovo», n. 161, febbraio 1963.

Il sorpasso è un film divertente nel senso proprio del termine,


e in più ha in sé più di un motivo aperto alla riflessione e all’ap-
profondimento: quell’inizio così pazzoide e picaresco, ad esem-
pio, quel finale imprevedibile eppure tutt’altro che psicologica-
mente ingiustificato, quella parte centrale con la distruzione del-
la poesia dell’infanzia e dei ricordi più belli dello studente, il
senso delle differenti prospettive che deformano il medesimo te-
ma e le medesime forze. Nel cinema italiano, è noto, mancano
opere che possano aspirare con dignità a un piano artigianale di
interessi superiori alla media. Il sorpasso va a far parte dei pochi
film del gruppo, anche perché coglie i sintomi di un’aria estre-
mamente italiana, in un tema vicino a una sorta di improvvisa-
zione emotivamente caratteristica nelle circostanze, nei perso-
naggi e, perfino, negli istinti di cui il personaggio è eroe e vitti-
ma. In un certo senso l’attualità del film va a scapito di un’intro-
spezione di relazioni più ampia e più diretta; ma sotto un altro
profilo vale la pena sottolineare che Risi ha colto una situazione
in atto, che è di sfacelo e di disintegrazione morale e materiale.
È anche tutto questo che ribadisce la consequenzialità del finale,
ANTOLOGIA CRITICA 87

con la tragica conclusione della doppia avventura di Bruno, il


bullo, e dello studente: una guida pazzesca porta l’automobile a
uno sbandamento che lancia il giovanotto fuori dalla portiera, e
per la prima volta sul viso di Bruno appare un’ombra di stupo-
re e di angoscia, di pensierosa coscienza delle proprie azioni, di
senso di responsabilità legato all’affiorare del dubbio che la sua
vita di tutti i giorni possa non essere giusta, se aperta a tali terri-
bili improvvisazioni, e se chi paga è ancora una volta l’innocen-
te. La conclusione del film è più forte e valida anche in virtù del-
l’anticonformismo di rinuncia a un lieto fine che avrebbe potuto
presumere, invece, di andare più vicino alla natura della storia o,
per lo meno, ai gusti del pubblico. In un certo senso, quindi, Ri-
si ha sfidato le consuetudini e ha effettuato una sorta di esperi-
mento addirittura sulle clausole e sul «corpus vile» del film leg-
gero italiano, da un lato incatenando lo spettatore e dall’altro
piegando il film alle proprie esigenze, non tanto di «messaggio»
quanto di spirito e di umanità. Ed è stato aiutato […] anche da
una collaborazione attenta e interessata da parte degli attori.
Gassman, in primo luogo, che dà fondo al suo repertorio e ha
trovato con Risi una affinità di rapporti e di intendimenti inferio-
re forse soltanto a quella di un tempo con Monicelli […]; e poi
Jean-Louis Trintignant, il timido Roberto improvvisamente co-
stretto a guardare alla vita con una prospettiva nuova, più ama-
ra e piccolo-drammatica, e infine Catherine Spaak, Luciana An-
giolillo, Claudio Gora, in figurazioni limitate ma efficaci.

Giacomo Gambetti, «Bianco & Nero», n. 1/2, febbraio 1963.

Quello di cui dubitiamo è però che la lezione impartita nel


Sorpasso sia intesa da coloro ai quali è rivolta. Abbiamo la sensa-
zione che l’aspetto comico di cui il film si ammanta sia il solo che
troppi spettatori comprendano. Non si capirebbe, altrimenti,
88 DINO RISI. IL SORPASSO

l’entusiasmo con cui la platea segue e sottolinea le azioni del


protagonista: urla di giubilo quando Gassman rivolge gesti scon-
ci ai sorpassati o quando escogita la trovata di trasferire sulla
propria vettura il foglietto di contravvenzione data ad un’altra
automobile in sosta vietata. Il commento più frequente che ab-
biamo ascoltato alla conclusione del film è stato: «Peccato che fi-
nisca male!», mentre all’indirizzo dell’«eroe» andavano giovani-
li e ammirative esclamazioni del tipo: «Che elemento!», «Che
dritto!», «Che mago!».

Angelo Solmi, «Oggi», 3 marzo 1963.

Il sorpasso è un film di superficie, che vi tocca sulla superficie,


ma non manca di stuzzicare nel profondo. Risi fu, si dice, medi-
co, lo è sempre: pratica l’agopuntura. […] Fatto di mille acciden-
ti che situano un destino, un luogo, un’epoca, di mille riferimen-
ti che ne stabiliscono le coordinate, il film ci restituisce tutti que-
sti imponderabili che, prima dell’invenzione dei fratelli Lumiè-
re, sparivano per sempre, queste piccole peripezie del secolo che
formano l’aria del tempo.

Michel Delahaye, «Cahiers du cinéma», n. 147, settembre 1963.

Il sorpasso: un miliardo di incassi. Un risultato straordinario,


tanto più straordinario se si considera che il film non è un capo-
lavoro, non è un «colosso» (è anzi, girato in bianco e nero e de-
stinato allo schermo normale), annovera nel cast un solo divo,
Vittorio Gassman (Catherine Spaak, che del resto qui appare in
una parte di fianco, non era ancora una stella quando il film fu
proiettato), e non fu preceduto né accompagnato da particolari
clamori pubblicitari. Perché, dunque, un così enorme successo?
ANTOLOGIA CRITICA 89

Ricercarne le componenti può essere utile, e non soltanto per


comprendere meglio gusti ed esigenze del pubblico italiano più
largo. […] Il sorpasso è la prima commedia cinematografica che
affronta i temi del «boom». E ne tratta in modo indiretto, ma non
evasivo: lo stesso titolo, al di là dell’immediato riferimento alla
sequenza finale imperniata su un incidente stradale, contiene
una scoperta allusione al «boom». La vicenda e il linguaggio del
film sono gremiti di agganci alla cronaca quotidiana: in chiave
comica più che satirica, il regista Dino Risi e gli sceneggiatori
Scola e Maccari colgono con piglio robusto numerosi tratti tipici
del costume italiano contemporaneo, pur se li fissano poi, in
buona misura, nei limiti del macchiettismo.

Giovanni Cesareo, Le commedie del «boom», in Vittorio Spinazzola (a cu-


ra di), Film 1964, Feltrinelli, Milano 1964.

In tutta la serie di film che trova forse nel Sorpasso di Risi una
delle opere iniziali più significative, i motivi del viaggio, la mol-
teplicità degli incontri, l’accumulazione dei tipi, se consentono
di estendere lo sguardo alle stratificazioni sociali ed alla tipicità
dei fenomeni di massa, non consentono di produrre individual-
mente un senso assai relativo. Il senso nasce più per accumula-
zione che da un discorso diretto e i simboli fluttuanti dell’evasio-
ne di massa (automobili, feste, alberghi e pensioni familiari, in-
contri sotto l’ombrellone, colonne sonore di canzoni di successo)
consentono di registrare, come un termometro sensibilissimo,
tutte le trasformazioni più massicce ed evidenti dei modelli so-
ciali e culturali degli italiani inebriati dalla scoperta del consumi-
smo. Si giunge al boom, lo si rappresenta, ed è subito crisi.

Jean-A. Gili, Arrivano i mostri. I volti della commedia all’italiana, Cappelli,


Bologna 1980.
90 DINO RISI. IL SORPASSO

Nel Sorpasso abbiamo una storia di castrazione, dove ciò che


manca è immaginario: è ciò che non si può avere. […] Ciò che
Bruno (Vittorio Gassman) non può avere senza pagare è il suc-
cesso facile, la sicurezza sociale e emotiva, l’affermazione al di
fuori dei patti, al di fuori di quel dare e avere (materiale e sim-
bolico) che ci inscrive nell’ordine simbolico della legge. Bruno
Cortona non può mantenere la sua condizione di «nomade» e di
«miles gloriosus» che vive di scorribande sentimentali da una
casa all’altra, da una donna all’altra, da un luogo all’altro, da un
pasticcio all’altro, senza mai pagare. Nella sua corsa folle per
eludere il «debito simbolico», per rinviare la sanzione, per sfug-
gire all’ordine della legge, Bruno Cortona non fa altro che elude-
re (e mascherare) la castrazione che lo attende. E in parte gli rie-
sce, perché il debito verrà pagato dal suo giovane amico, dal suo
alter ego; il quale muore «dando alla luce» il suo ego alter: quell’io
che è sempre «altrove», maschera molle e friabile di un’identità
debole che fugge, che obbedisce al registro dei mascheramenti e
delle metamorfosi per non lasciarsi cogliere sul fatto.

Maurizio Grande, Abiti nuziali e biglietti di banca, Bulzoni, Roma 1986.

Tutte le doti di Risi vengono nuovamente a galla, dopo Una


vita difficile, nel Sorpasso […], che è un classico del cinema mon-
diale, ammirato e copiato anche in America. Realizzato da un
produttore (Mario Cecchi Gori) che non ci credeva molto, costa-
to pochissimo, girato in sei settimane, per buona parte improv-
visato, Il sorpasso presenta attraverso la struttura del road-movie,
il ritratto acutissimo e penetrante di un’Italia al culmine della
ricchezza, dove però l’euforia è già turbata dai primi presenti-
menti. Il viaggio attraverso il benessere dei due amici occasiona-
ANTOLOGIA CRITICA 91

li (Gassman e Trintignant) uniti da un auto e dal ferragosto si ri-


vela in realtà un viaggio verso la morte: nel film vi sono automo-
bili, spiagge folleggianti, locali di baldoria, ma anche un cimite-
ro premonitore (in cui i due uomini vanno a corteggiare le stra-
niere) e fin dall’inizio un primo incidente mortale, per il momen-
to altrui (Gassman comunque non si lascia impressionare: vor-
rebbe trarne spunto per una speculazione, cercando di esorcizza-
re la morte con la forza del benessere). Come ogni classico, Il sor-
passo è un’opera essenziale, non c’è niente di troppo. Anche il
personaggio esuberante di Gassman non diventa mai macchiet-
ta, sia per la statura (anche fisica) del protagonista, sia perché
l’intera società dell’epoca aveva qualcosa di eccessivo: piacevo-
le, seducente, a tratti inebriante, ma azzardata, spaccona, speri-
colata, a cento all’ora sull’orlo del precipizio.

Enrico Giacovelli, La commedia all’italiana, Gremese, Roma 1990.

La perfezione di Il sorpasso, cui non potresti togliere né ag-


giungere una sequenza o una battuta, non va cercata nella viru-
lenza dell’Atto d’accusa quanto, piuttosto, nei dubbi, nei sinto-
mi d’inquietudine che lo attraversano e lo elettrizzano: tra i qua-
li c’è sicuramente quello sull’irritante entusiasmo delle folle, ma
mai disgiunto da quello sui rovelli spossanti ogni individuo.

Valerio Caprara, Dino Risi. Maestro per caso, Gremese, Roma 1993.

Il racconto di Risi, anche se si sottrae agli effetti facili, è tra i


più spogli ed ellittici di tutta la commedia: egli punta diretta-
mente all’effetto che vuol raggiungere. […] Bruno Cortona, il
personaggio interpretato da Gassman nel Sorpasso, è il prototipo
di quegli individui «mostruosi» onnipresenti nella realtà del
92 DINO RISI. IL SORPASSO

boom. In lui Risi scopre un tipo di italiano che, pur vivendo ven-
tiquattr’ore su ventiquattro in maschera, in perpetuo movimen-
to, inventando nuovi riti, celebrando nuovi miti, è completa-
mente svuotato di ogni profondità umana. Al di là della masche-
ra (all’inizio divertente, poi grottescha e funerea) c’è tutto un iti-
nerario di comportamenti obbligati, di condizionamenti.

Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano, vol. 4, Editori Riuniti, Ro-
ma 1993.

Tutto il film è percorso da un sonoro incalzante formato dal-


le canzoni del momento, dai tipici motivi da spiaggia di Edoar-
do Vianello a Peppino di Capri a Modugno. Il gesto di inserire
nel «mangiadischi» che Bruno porta con sé nell’auto, il 45 giri di
Vecchio frac, suggerisce al protagonista la sarcastica parodia di
pensieri profondi – e la celebre autodefinizione: «Perché io so’
un tipo chiuso» – così come il richiamo al nome di Antonioni.
Cui Risi, con cattiveria (che egli dice ricambiata, all’epoca), non
risparmia la battuta irriverente. […] L’anno dopo Il sorpasso pro-
pongono a Risi di «ripetere» […]. Risi però questa volta non ac-
cetta. O meglio: non firma il film Il successo (la regia è ufficial-
mente di Mauro Morassi) ma di fatto vi collabora attivamente. Il
Bruno del primo film è diventato Giulio, è stanziale e non vive,
è meno spiantato di quello, ha una posizione in una società im-
mobiliare, ha una moglie, un amico anche lui, e molta ambizio-
ne: di denaro, di «cose», di simboli tangibili e appariscenti
dell’«arrivato»: del successo. L’affare, la svolta, in quegli anni
non può che essere nell’edilizia. Tramite il suo lavoro Giulio sa
di un lotto sulla costa della Sardegna, lo compra, s’indebita fino
al collo. Arriverà infine a vedere i frutti della sua spregiudicata
speculazione, ad avere la villa in Sardegna. Ma moglie e amico
non li ha più. […] C’è l’intenzione molto dichiarata, molto co-
ANTOLOGIA CRITICA 93

struita e forzata, di farne un apologo, una denuncia sulla salute


morale che gli affanni materiali stanno facendo perdere. Un ap-
pello, un allarme sui prezzi umani che un dissennato agitarsi in-
torno all’effimero fanno pagare. Un po’ facilone, un po’ mistifi-
catorio: il fascino diabolico dei Cortona era anche nel loro osare,
nella loro irresponsabile audacia, mista a conformismo, egoismo,
pusillanimità. Merito del Sorpasso era stato proprio di coglierne
questo valore, spiandolo con curiosità e un pizzico di ammira-
zione, non solo condannandolo, pregiudizialmente.

Paolo D’Agostini, Dino Risi, Il Castoro, Roma 1995.

Sotto gli pneumatici della lancia Aurelia Sport supercompres-


sa che sfreccia con il suo clacson rumoroso per le strade deserte
di Roma, per le provinciali che conducono al rito di massa delle
vacanze al mare, per le vie della speranza sul filo della scogliera
toscana, scorre tutta l’Italia del boom: con l’illusione di riscatta-
re, nell’ebbrezza della velocità e nel gusto del potere al volante,
tutte le frustrazioni e i fallimenti del dopoguerra. Il sorpasso ap-
pare ancora oggi come un film profetico. È l’ombra della morte,
che incombe su quelle frenetiche esperienze di quel week-end di
mezza estate, si protende rivelatrice su un’intera società tesa a
bruciare le proprie illusioni in un eterno presente, lasciandosi
dietro una lunga scia di rimorsi. Ma Il sorpasso non può essere ri-
dotto a contenitore sociologico. Il cinema di Risi non ammette
catene ideologiche, in poche inquadrature sa tratteggiare un am-
biente, una situazione o un personaggio e, soprattutto, sa sem-
pre offrire vitale realtà a un quotidiano che poi fa esplodere in
commedia, per mezzo della straordinaria ricchezza di una sce-
neggiatura e di una regia quanto mai inventive.

Aldo Viganò, Commedia all’italiana in cento film, Le Mani, Genova 1995.


94 DINO RISI. IL SORPASSO

Il sorpasso […] titolo emblematico nel duplice senso materiale


e, appunto, morale. Il termine squisitamente automobilistico
mette in primo piano la macchina […] come la vera protagonista
della vicenda. Questa guizzante spider bianca, questa Lancia
sport dalla ripresa favolosa, questa Aurelia decappottabile e su-
percompressa, insomma questa macchina da sogno […] compie
nella calura del ferragosto il suo itinerario dal deserto di Roma
al mare di Toscana […]. Al volante l’uomo, «lo splendido qua-
rantenne» accattivante e fanfarone, per cui l’auto è un prolunga-
mento, una protesi meccanica incorporata al suo vitalismo e alla
sua vanagloria. Non è nemmeno, propriamente, uno status-sym-
bol personale: semmai è il simbolo di uno status che sembra esse-
re a portata di tutti, ma che ad ogni buon conto il rombante Bru-
no non ha ancora raggiunto. […] Per il giovannottaccio impuni-
to, il romanaccio d’assalto, quella vettura di rappresentanza non
rappresenta in effetti un benessere costituito, ma un privilegio
estemporaneo. A che gli serve, personalmente, un oggetto così al
di sopra delle sue condizioni, e che si apre al vento esattamente
come il suo carattere, se non a ben figurare nel vuoto spinto del-
la sua coscienza, a millantare una presunta libertà […], a «rimor-
chiare» prendendo al volo ragazze di passaggio? Nella sua fun-
zione più nobile, l’Aurelia sprint è soltanto il veicolo che gli per-
mette, diciamo così, di far propaganda al boom. […] Nei riguar-
di del grande fenomeno economico e di costume egli si sente un
commesso viaggiatore spavaldamente alle prese con l’inventario
dei beni che il Miracolo squaderna alla vista dell’italiano rapito.
Il sorpasso è lo specchio di quest’Italia da sballo, che ironizza sul
centrosinistra appena lanciato, che prende in giro Antonioni con
tutta la sua alienazione, e che si butta a corpo perduto a compra-
re tutto il comprabile. Un paese che sta irresistibilmente cam-
biando i propri connotati. […] Ed ecco il significato morale del ti-
ANTOLOGIA CRITICA 95

tolo, l’arte del «sorpasso» è quella di irridere gli altri, di piazzar-


si con disinvoltura al posto giusto, di carpire alla vita ciò che si
può afferrare sul momento, cullati e divertiti da un’ondata di al-
legro cinismo. Il cinismo diventa vita, e quel mentore affascinan-
te e devastante, attraverso il vortice degli occasionali incontri
gustati con intrepida facciatosta, guida il suo povero allievo alla
morte.

Ugo Casiraghi, Il cinema in edicola. Un anno di film con L’Unità, L’Unità


Iniziative Editoriali, Roma 1995.

I due protagonisti […] compiono un percorso speculare: par-


tono da poli opposti, s’incontrano, si sorpassano, e tendono ri-
spettivamente l’uno al punto di partenza dell’altro. Se infatti Ro-
berto da una situazione esistenziale tutta risolta nel pensiero […]
intraprende una strada che lo porterà ad un massimo di iniziati-
va, nel momento culminante in cui inciterà l’amico al sorpasso,
l’esuberante Bruno si muoverà da uno stato di minima riflessi-
vità […] a un grado di coscienza, che per lui coincide con il mas-
simo della meditazione sulla vita, ovvero con lo sguardo sulla fi-
ne dell’amico. […] Il racconto della commedia con Il sorpasso mu-
ta d’aspetto. È proprio il suo articolarsi secondo la logica della
specularità […] può suggerircelo. Nel racconto infatti […] è in-
scritta una regola di circolarità degli elementi che vede ritornare
l’esistente su se stesso, che ne inibisce una risoluzione in qualco-
sa d’altro, radicalmente mutato. In questo senso il film di Risi ri-
sulta emblematico di quella fase transitoria del genere comme-
dia da semplicemente italiana a decisamente all’italiana, laddo-
ve quest’ultima è proprio vista alla luce di una sclerotizzazione
di tipi e di figure, che portano lontano il racconto dal consueto
happy end, reale mutamento di stato delle cose, proprio della
commedia anni Cinquanta.
96 DINO RISI. IL SORPASSO

Federica Villa, L’inventio del quotidiano, in Leonardo Quaresima (a cura


di), Il cinema e le altre arti, Marsilio, Venezia 1996.

La natura problematica della normalità e dell’adesione ai va-


lori della società […] è il soggetto del maggior numero delle
commedie di Risi. […] Il suo Sorpasso, impiega una struttura nar-
rativa libera e picaresca – un automobile va da Roma a Viareg-
gio – per esplorare i valori dell’Italia che cambia durante gli an-
ni del boom del primo dopoguerra. Contrapponendo due tipi di
caratteri – Bruno […], il superficiale estroverso ossessionato dal-
la propria macchina, e Roberto […], un pensoso, introverso intel-
lettuale – Risi segue la coppia in quello che è stato acutamente
definito l’equivalente italiano di Easy Rider. Il film finisce brutal-
mente con un incidente d’auto, di cui resta vittima Roberto. Il di-
sastro aleggia sotto l’apparenza della recente prosperità italiana
rappresentata dall’automobile.

Peter Bondanella, Italian Cinema. From Neorealism to the Present, New Ex-
panded Edition, New York 1997.

Il sorpasso, il migliore risultato della pur densa filmografia ri-


siana e, forse, in assoluto la più bella «commedia all’italiana»
[…] del decennio. Qui, due personaggi contrapposti, Roberto e
Bruno, sono rispettivamente un introverso e un estroverso, un
pensoso e un superficiale, ma anche un problematico e un cini-
co, uno che si fa la vita «difficile» e uno che se la fa oltremodo
«facile». La commedia, alla fine, si piega amaramente in dram-
ma; ma non è in questa conclusione, forse alquanto posticcia (co-
sì come lo era quella del film precedente), che sta la morale del-
la favola. L’interesse del film, che ha nel complesso una splendi-
ANTOLOGIA CRITICA 97

da tenuta ed è confortato da una duplice buona interpretazione


di Trintignant e di Gassman (quest’ultimo soltanto a tratti ecces-
sivo), sta nella intelligenza del confronto Roberto/Bruno che,
per quanto sovente diluito in una episodica costruita attorno al-
la battuta divertente e non sempre con il necessario senso della
misura, assume il rilievo abbastanza corposo di un contrasto esi-
stenziale: ma non tanto, o non soltanto, tra psicologie diverse,
quanto fra scelte opposte e opposte tendenze dei tempi e della
società.

Lino Miccichè, Cinema italiano: gli anni ’60 e oltre, Marsilio, Venezia 1998.

Il sorpasso è essenzialmente l’unione di due caratteri diversis-


simi in un contesto ben definito a livello sociale, tanto da far ri-
sultare le azioni e gli avvenimenti che si susseguono nella narra-
zione come dei precisi riferimenti allegorici che forniscono con
precisione l’immagine di un dato periodo della storia e della so-
cietà italiana. […] Bruno vive pienamente l’ottimismo che la pe-
nisola sta attraversando […] Roberto, di contro, è l’emblema di
chi non riesce ad allinearsi con l’ottimismo esasperato presente
nella società, il simbolo di coloro che non riescono a vivere pie-
namente l’ottimismo del periodo cogliendo i tempi giusti per l’a-
zione. […] Bruno è l’azione, Roberto l’indecisione; Bruno è la
tensione vitalistica ammantata di facile progresso, Roberto è il
quieto vivere e l’incapacità di approfittare degli eventi. […] La
mancanza di allineamento alla mentalità a lui contemporanea
pone Roberto fuori da ogni contesto, emarginato dalla sua indo-
lenza caratteriale e quindi corpo morto in una collettività in con-
tinuo movimento. […] Così l’auto, che nella prima inquadratura
del film veniva mostrata in pieno movimento ed attività sulla
strada, trova il suo annullamento (e triste capovolgimento, visto
il suo cappottamento) nell’ultima immagine del film, fuori dalla
98 DINO RISI. IL SORPASSO

striscia d’asfalto, sugli scogli toscani, mentre le onde che mesta-


mente vanno sulle rocce sottolineano connotativamente la deri-
va esistenziale degli individui vittime dell’incidente. Il sorpasso
concentra sulla strada l’emblema del suo assunto: l’attenzione
non è posta sul vuoto tragitto (le decisioni sono sempre frutto di
umori estemporanei) o sulle relazioni con il contesto spaziale,
bensì sulla relazione simbolica che si instaura tra l’Aurelia sport
di Bruno e le altre automobili, le quali diventano, sul piano de-
notativo, semplicemente un ostacolo alla piena velocità dell’au-
to, mentre, ad un livello più profondo, dimostrano il bisogno di
eliminare gli intoppi che si frappongono sulla via che conduce al
raggiungimento del totale benessere.

Giampiero Frasca, Road movie. Immaginario, genesi, struttura e forma del ci-
nema americano on the road, UTET, Torino 2001.
Bibliografia

Le critiche dell’epoca
[s.n.], «Fiera del Cinema», 1 gennaio 1963.
[s.n.], «Fotogramas», n. 779, 1-11-1963.
ARGENTIERI M., «Cinema 60», gennaio 1963.
CATTIVELLI G., «Cinema Nuovo», n. 161, febbraio 1963.
CESAREO G., Le commedie del «boom», in Vittorio Spinazzola (a cura di),
Film 1964, Feltrinelli, Milano 1964.
DELAHAYE M., «Cahiers du cinéma», n. 147, settembre 1963.
GAMBETTI G., «Bianco & Nero», 1/2, febbraio 1963.
GRAZZINI G., «Corriere della Sera», 9 dicembre 1962.
KEZICH T., «Sipario», gennaio 1963.
RONDI G.L., «Rotosei», 17 dicembre 1962.
SAVIOLI A., «L’Unità», 9 dicembre 1962.
SOLMI A., «Oggi», 3 marzo 1963.

Saggi e monografie su «Il sorpasso»


DE FORNARI O., Il sorpasso: 1962-1992. I filobus sono pieni di gente onesta,
Edizioni Carte Segrete, Roma 1992.
VILLA F., L’inventio del quotidiano in QUARESIMA L. (a cura di), Il cinema e
le altre arti, Marsilio, Venezia 1996.

Saggi e monografie su Dino Risi


AA. VV., Dino Risi-Un’Italia allo specchio, ANCCI, Assisi 1992.
BELLUMORI C., Dino Risi, ANICA, CIES, 1981.
100 DINO RISI. IL SORPASSO

CAPRARA V., Dino Risi. Maestro per caso, Gremese, Roma 1993.
CAPRARA V. (a cura di), Mordi e fuggi. La commedia secondo Dini Risi, Mar-
silio, Venezia 1993.
CODELLI L., Dino Risi, Pungolo, Torino 1974-75.
D’AGOSTINI P., Dino Risi, Il Castoro, Roma 1995.
DEL BUONO O. (a cura di), Le persone che hanno fatto grande Milano-Dino
Risi, Catalogo della mostra omonima, Milano 1985.
PARIGI S. (a cura di), I film di Dino Risi, Ente Nazionale del Nuovo Cine-
ma, Pesaro 1993.
PRUDENZI A., SCOGNAMILLO C. (a cura di), Dino Risi. Maestro dell’equilibrio
e della leggerezza, Fondazione Scuola Nazionale di Cinema, Roma 2002.
TURIGLIATTO R., I film di Dino Risi, Marsilio, Venezia 1993.
VIGANÒ A., Dino Risi, Moizzi, Milano 1977.

Sulla commedia all’italiana


ATTOLINI G., Il cinema italiano degli anni Sessanta. Tra commedia e impegno,
Graphiservice, Bari 1998.
D’AMICO M., La commedia all’italiana, Mondadori, Milano 1985.
GIACOVELLI E., La commedia all’italiana, Gremese, Roma 1990.
GILI J.-A., Arrivano i mostri. I volti della commedia all’italiana, Cappelli, Bo-
logna 1980.
GILI J.-A., La comédie italienne, Henry Veyrier, Paris 1983.
GRANDE M., Abiti nuziali e biglietti di banca, Bulzoni, Roma 1986.
NAPOLITANO R. (a cura di), Commedia all’italiana, angolazioni controcampi,
Gangemi, Roma 1985.
PINTUS P. (a cura di), Commedia all’Italiana, parlano i protagonisti, Gange-
mi, Roma 1985.
VIGANÒ A., Commedia all’italiana in cento film, Le Mani, Genova 1995.

Sul periodo cinematografico


AA. VV., Viaggio in Italia. Gli anni ’60 al cinema, Edizione Carte Segrete,
Roma 1991.
BONDANELLA P., Italian Cinema. From Neorealism to the Present, New Ex-
panded Edition, New York 1997.
BRUNETTA G.P., Storia del cinema italiano. Dal miracolo economico agli anni
novanta. 1960-1993, vol. 4, Editori Riuniti, Roma 1993.
BIBLIOGRAFIA 101

BRUNETTA G.P., Cent’anni di cinema italiano, Laterza, Bari 1995.


BRUNETTA G.P. (a cura di), Storia del cinema mondiale. L’Europa, le cinema-
tografie nazionali, vol. 3, Einaudi, Torino 2000.
FALDINI F., FOFI G. (a cura di), L’avventurosa storia del cinema italiano rac-
contata dai suoi protagonisti, 1960-1969, Feltrinelli, Milano 1981.
GIACOVELLI E., Un secolo di cinema italiano, 1900-1999. I. Dalle origini agli
anni Sessanta, Lindau, Torino 2002.
GRAZZINI G., Gli anni Sessanta in cento film, Laterza, Bari 1988.
MICCICHÈ L., Cinema italiano: gli anni ’60 e oltre, Marsilio, Venezia 1998.

Altri volumi citati


BARONI M., Platea in piedi: manifesti, numeri e dati statistici del cinema ita-
liano 1959-1968, Bolelli, Roma 1995.
BERTINI A., Ettore Scola. Il cinema e io, Officina Edizioni, Roma 1996.
BURCH N., Praxis du cinéma, Gallimard, Paris 1969 (trad. it. Prassi del ci-
nema, Il Castoro, Milano 2000).
CASETTI F., Dentro lo sguardo. Il film e il suo spettatore, Bompiani, Milano
1986.
CASETTI F., DI CHIO F., Analisi del film, Bompiani, Milano 1990.
CHION M., L’audio-vision. Son et image au cinéma, Natha, Paris 1990 (trad.
it. L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Lindau, Torino 1997).
FRASCA G., Road movie. Immaginario, genesi, struttura e forma del cinema
americano on the road, UTET, Torino 2001.
METZ C., Le signifiant imaginaire, UGE, Paris 1977 (trad. it. Cinema e psi-
canalisi, Marsilio, Venezia 1980).
POPPI R., PECORARI M., Dizionario del cinema italiano. I film. Dal 1960 al
1969, vol. 3, Gremese, Roma 1992.
PROPP V.J., Morfologija skazi, coll. Voprosi poetiki, n. 12, Gosudarstvennij
Insitut Istorii Iskusstva, Leningrad 1928 (trad. it., Morfologia della fiaba,
Torino, Einaudi 1966).
SANGUINETI T., (a cura di), Il cinema secondo Sonego, Transeuropa, Bologna
2000.
SIMONELLI G., TAGGI P. (a cura di), L’altrove perduto. Il viaggio nel cinema e
nei mass media, Gremese, Roma 1987.
VILLA F., Il narratore essenziale della commedia cinematografica italiana degli
anni Cinquanta, ETS, Pisa 1999.

Potrebbero piacerti anche