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Aldo Torrebruno

Storia e critica del Cinema


Analisi storico-critica del film Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone

Cabiria, il più lungo e il più costoso film dei suoi tempi è sicuramente una delle pietre
miliari della storia del cinema e al contempo affonda le sue radici nella tradizione sia del
teatro di prosa sia del teatro lirico italiano.

Il film esce nelle sale nel 1914, dopo la guerra


di Libia, in unʼepoca in cui in Italia da più parti
viene celebrata la grandezza di Roma come
modello cui la relativamente giovane nazione
deve tendere, anche alla luce dellʼimpulso
colonialista. Sono gli anni dellʼirredentismo,
che chiede lʼintegrazione nel regno italiano di
tutti i territori considerati geograficamente o
culturalmente italiani e allo scoppio della
prima guerra mondiale - che segue lʼuscita del
film di pochi mesi - dellʼinterventismo. Negli
anni che precedono lo scoppio della guerra la grandezza di Roma diviene un mito
nazionalistico anche grazie al sapiente utilizzo che verrà fatto dei mass media.
Cabiria celebra questa grandezza in forma cinematografica, vero e proprio specchio dei
tempi e della cultura dellʼepoca: a ciò contribuiscono in maniera decisiva le auliche
didascalie dannunziane. Di difficile comprensione per lo spettatore odierno a causa del
linguaggio solenne, ma sicuramente immaginifiche, didascalie come “Dio scettrato, che
fondasti il tuo seggio nella tenebra, tu che serri le radici terrestri tu che rapisti già la figlia di
Demetra sul prato siciliano per lei tratte alle porte dellʼAde, o demone dai mille nomi, ti
invoco nella liberazione santa! Placa il furore del fuoco, sii clemente a chi sacrifica”, la
preghiera che i Catanesi rivolgono al dio Plutone durante lʼeruzione dellʼEtna, sono ben
rappresentative della solennità che permea lʼintero film.
È opportuno ricordare che il Vate allʼepoca era una vera star della letteratura in particolare
e della cultura in generale in Italia, e che la sua figura - sebbene nel 1914 fosse in Francia
per fuggire ai debitori - esercitava grande fascino in maniera trasversale su una larga parte
della popolazione italiana ed aveva grande notorietà anche allʼestero. La sua presenza
conferisce legittimità artistica e culturale al film intero.
Oltre alle didascalie, DʼAnnunzio - che allʼepoca apparve come autore del film, come si
può vedere nella locandina qui riportata e nei titoli di testa - inventò anche i nomi dei
protagonisti, alcuni dei quali hanno poi avuto molta fortuna cinematografica: si pensi ad
esempio a Maciste, interpretato da Bartolomeo Pagano, che sarà protagonista di molti film
a lui dedicati, dapprima con il medesimo Pagano ad interpretarlo, ed in seguito con altri
attori succedutisi nelle sue vesti, fino agli anni ʻ70.
Maciste è una delle figure chiave del film (nonostante la contraddizione che sia uno
schiavo nero a risolvere con la sua forza e la sua astuzia le situazioni più complesse – in
tal senso si può considerare lʼerede dello schiavo furbo delle commedie di Plauto) e ben
rappresenta quella distorsione dannunziana prima e nazi-fascista poi del concetto
nietzscheano di superuomo, dotato di una sovrabbondanza di potenza che lo rende
capace di imprese apparentemente impossibili, o meglio, impossibili allʼuomo comune. Si
pensi al coup de théâtre con cui Maciste rapisce Cabiria, sotto gli occhi del grande
sacerdote e riesce a fuggire, assieme a Fulvio Axilla da una folla di cartaginesi infuriati.
Proprio in questa scena è possibile riscontrare come il modello di messa in scena
proposto in Cabiria sia molto teatrale e operistico, non a caso le musiche vengono affidate
ad un maestro di musica lirica, Ildebrando Pizzetti. Anche scenografia e iconografia
rispecchiano i modelli teatrali, la recitazione è molto operistica, lirica. Si veda ad esempio
la figura del grande sacerdote, la sua veste e persino lʼeffetto di illuminazione dal basso
che lo rende più temibile, e la sua recitazione nel momento in cui i fanciulli vengono
sacrificati: la sua figura appare accostabile a quella del gran sacerdote Ramfis nelle
spettacolari messe in scena dellʼAida.

Il film, che per lʼepoca fu un vero kolossal si avvale anche di innovazioni tecniche
importantissime, grazie alla collaborazione di Segundo de Chomon, che introduce
innovazioni tecniche e di linguaggio cinematografico: si veda lʼutilizzo, in più momenti sia
della carrellata sia di campi ravvicinati e di qualche piano a figura intera o mezza figura
che permette di riconoscere le emozioni sui volti dei personaggi. Lo stesso de Chomon
cura anche gli effetti speciali: è possibile ravvisare, nella riproduzione di eventi naturali di
enorme portata, come lʼeruzione dellʼEtna quella volontà di governare la natura che
affonda le sue radici nel positivismo e che è una delle cifre distintive del nascente
futurismo. Gli effetti speciali dellʼeruzione del vulcano e della conseguente distruzione
della casa di Batto appaiono allo spettatore moderno piuttosto ingenui, ma se
contestualizzati allʼepoca dovevano apparire come un prodigio di tecnica.

Cabiria avrà una straordinaria fortuna cinematografica: non solo viene ripreso da Griffith,
che in Intolerance gli rende omaggio, ma viene identificato come lʼapice del film storico e
lʼispiratore di un vero e proprio genere, il peplum che conoscerà grande fortuna negli anni
ʻ50 e ʼ60.

In conclusione, si può senza dubbio affermare che Cabiria è figlio del suo tempo e del
contesto storico italiano dellʼepoca ma al contempo è una vera pietra miliare della storia
del cinema: contiene, in nuce, molti characters - alcuni dei quali provenienti dalla
tradizione teatrale - che il cinema italiano esplorerà a lungo negli anni a venire, e introduce
novità tecniche e registiche di straordinaria portata.

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