1993
Letto da Giovanni Lancellotti
Eugenio Barba inizia il suo libro di antropologia teatrale con una riflessione di natura
filosofico-esistenziale: la vita viene vista come un viaggio e le transizioni all'interno della
coordinata temporale individuale vengono interpretate come tappe.
E' insita in questa visione l'idea di sviluppo, accompagnata da quella di apprendimento.
Esistono cerimonie (riti di passaggio) che segnano le transizioni (tutte, eccetto la vecchiaia,
o meglio l'invecchiamento).
Il viaggio individuale riveste di importanza all'interno di una cornice di natura collettiva.
Risorgono, a tale proposito, dei ricordi particolari dell'infanzia, come la cultura religiosa
(della fede) nella natia Gallipoli, con le cerimonie ad essa legate (soprattutto le cerimonie
pasquali del nascondimento e della scoperta delle immagini sacre) e la visione della nonna
con i capelli lunghi (i primi passaggi infantili sono molto legati ai ricordi sotto forma di
immagini).
Prendendo spunto dalla scoperta del Cristo nel momento della resurrezione, nella mattina
di Pasqua (immagine rimasta coperta per tutto il periodo della Quaresima), c'è una prima
ricostruzione di una verità, da un punto di vista di esistenza individuale ed anche come
prodromo di antropologia teatrale: il momento della verità è quando gli opposti si
abbracciano, come morte e resurrezione (pag. 13).
In questo abbraccio di opposti le prime immagini sono della nonna come donna-bambina e
una memoria fisica infantile in cui si alternano dolore e tepore.
Oltre alle immagini visive, come riporto degli originali rapporti con la realtà, i primi che
ricordano sono i sensi.
Profonda impressione ha rivestito per Barba l'agonia del padre.
Una seconda fase della vita di Eugenio Barba ha riguardato la scuola militare, per la
scoperta della cultura della corrosione (pag.14).
Mentre nell'infanzia sentire e agire corrispondono ecco invece che nella scuola militare tra
pensare e fare ci sono le mediazioni di furbizia, spregiudicatezza e indifferenza.
Mentre il credente che prega contiene in unità la tensione fra "interno" ed "esterno", il volo
fra immobilità e slancio, la dualità fra intenzione e azione, l' "attenti militare" è tutta
scenografia, facciata, meccanicità, lo spirito è sempre altrove.
Esiste quindi un'immobilità che trasporta e fa volare e una che è prigionia e affondamento.
In questo ambiente matura la cultura della rivolta contro la cultura della corrosione.
Da un desiderio di estraneità matura il viaggio in Norvegia (Hosterbo) e la conseguente
perdita della lingua materna come elemento di comunicazione quotidiana e come lingua
teatrale. E' materia di apprendimento, se così impropriamente si può chiamare questo
processo, l'orientamento nella fisicità delle reazioni (soprattutto nei volti). Nasce una sorta
di coscienza semplice di una accettazione o rifiuto su basi pre-espressive (cioè pre-verbali).
Incomincia la fase in cui Eugenio Barba da emigrante diventa regista teatrale, inteso come
qualcuno che sta all'erta e che scruta il lavoro dell'attore (pag. 16).
Nasce l'Odin Teatret (nel periodo 1961-1964), prende vita la permanenza ad Opale, avviene
l'incontro con Jerzy Grotowski e questo è un reale momento di transizione.
Vengono scoperti Stanislavskij, Mejerchol'd, Craig, Copeau, Brecht, Grotowski come
creatori di un teatro della transizione. La transizione viene intesa come una vera e propria
cultura, un modo di vedere il mondo.
Per Barba la cultura ha tre aspetti fondamentali:
1) produzione materiale attraverso tecniche,
3) produzione di significati.
Il "soffio" dei valori nuovi ha le sue radici nella transizione, in uomini che rifiutano lo
spirito del tempo e non si lasciano possedere dalle generazioni future (pag. 17).
Il teatro ha significato se corrisponde alla scoperta di un valore personale del proprio
teatro.
Nella cultura teatrale non può essere compreso soltanto il teatro classico borghese, teatro
essenzialmente di parola e statico, ma vanno assolutamente incluse tradizioni come il
teatro di Bali, di Taiwan, dello Sri Lanka, del Giappone (un patrimonio che comprende sia
il teatro occidentale di ricerca, che il teatro asiatico e che, successivamente, prenderà il
nome di teatro eurasiano). L'attore, in questi teatri, sviluppa un insieme di competenze che
comprendono la danza, il canto, la narrazione, la mimica.
Nell'osservazione delle azioni degli attori asiatici, Eugenio Barba identifica un movimento
che viene preso come esemplare di un teatro sui generis: il così detto sats (o satz).
"Le ginocchia, appena piegate, contengono il sats, l'impulso di un' azione che ancora si
ignora e che può andare in qualsiasi direzione: saltare, accovacciarsi, fare un passo indietro
o di lato, oppure sollevare un peso" (pag. 18).
Dal privilegio di questa intuizione nasce il primo principio dell'antropologia teatrale:
l'alterazione dell'equilibrio.
Nel 1978 gli attori dell'Odin, per tre mesi, si spargono per il mondo, o meglio per i mondi
teatrali (Bali, India, Haiti, Struer - a quindici chilometri da Holstrebo -).
Gli attori sono ritornati all'Odin con specifiche formazioni derivate da contatti con i diversi
teatri.
Nel prosieguo delle riflessioni sui principi dell'antropologia teatrale Eugenio Barba, parte
dall'osservazione che, quando un attore occidentale esegue una danza balinese, entra in un
determinato scheletro-pelle, cioè in un determinato comportamento scenico, uno specifico
uso del corpo, una tecnica specifica, per poi uscirne fuori.
Cominciano ad essere fondamentali le parole entrare-uscire, vestirsi-svestirsi di tecnica.
Per dirla con le parole stesse di Barba: "…l'artificialità delle forme di teatro e di danza in
cui si passa da un comportamento quotidiano ad un comportamento stilizzato, è il
presupposto per far scattare un nuovo potenziale di energia, risultato di un'eccedenza di
forza che si scontra con una resistenza" (pag. 20).
Da questa ricerca nascono le approssimazioni successive alla definizione di antropologia
teatrale.
L'antropologia teatrale, come conseguenza di quanto detto prima, è lo studio del
comportamento scenico preespressivo, che sta alla base dei differenti generi, stili, ruoli e
delle tradizioni personali o collettive. In questo contesto, l'utilizzazione extraquotidiana del
corpo-mente è ciò che si chiama tecnica.
Perfezionando maggiormente la definizione, per antropologia teatrale si intende lo studio
del comportamento umano in situazioni di rappresentazione organizzata.
Con queste premesse, nel campo semantico e con particolare riferimento, se non quasi
unico, all'attore, rivestono particolare importanza tre aspetti del suo lavoro:
1) la personalità dell'attore, la sua sensibilità, la sua intelligenza artistica, la sua
individualità sociale, che rendono il singolo attore unico e irripetibile.
2) La particolarità della tradizione scenica e del contenuto storico-culturale attraverso cui
l'irripetibile personalità dell'attore si manifesta.
2) è il lavoro attraverso il quale l'attore incorpora il modo di pensare e le regole del genere
di teatro cui ha scelto d'appartenere;