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13 Ottobre 1991

L 'orgoglioso dilettante del pennello

Esposta a Vienna gran parte dell'opera pittorica del musicista Arnold Schönberg

Vienna - «Lei sa che io dipingo, ma non sa che i miei lavori sono stati molto lodati da
alcuni intenditori. L'anno venturo farò anche un'esposizione. E così ho pensato che forse
lei potrebbe indurre qualche suo amico mecenate a comprarmi dei quadri o a lasciarsi
fare il ritratto. (...) Lei non dovrebbe dire a questa gente che i miei quadri potranno loro
piacere. È necessario invece che faccia loro capire che i miei quadri devono piacere,
perché sono stati lodati da autorevoli competenti; e poi, soprattutto, che è molto piú
interessante farsi fare un ritratto o possedere qualcosa dipinto da un musicista della mia
fa-ma, piuttosto che rivolgersi a un qualsiasi imbrattatele del cui nome fra vent'anni non
si ricorderà nessuno, mentre il mio appartiene già da oggi alla storia della musica».
Questo passo di una lettera del 7 marzo 1910 al direttore della Universal Edition Emil
Hertzka è il motto della mostra che il Museo del XX se-colo di Vienna ha dedicato al-
l'opera pittorica di Arnold Schönberg a quarant'anni tondi dalla sua morte (fino al 17
novembre; poi a Colonia e Manchester): la raccolta piú completa (circa 300 opere) che
sia mai stata fatta finora di una produzione a cui Schönberg si dedicò con particolare
fervore tra il 1907 e il
1912 e che culminò nella partecipazione al «Cavaliere azzurro» di Monaco. Dopo di allora
Schönberg rifiutò ogni ulteriore esibizione dei suoi quadri, ma non smise mai di
dipingere nei momenti di svolta estrema della sua creazione artistica.
Che cosa dipingeva Schönberg? Soprattutto ritratti e autoritratti; se ne contano quasi
duecento fra schizzi, abbozzi e quadri finiti, di dimensioni varie: moltissimi volti, di
fronte e di profilo, qualche busto, piú raramente figure intere, con sfondi di interni molto
borghesi e decorosi. Tra questi spiccano i cinque della prima moglie Mathilde,
stranamente freddi e distaccati, e quelli di Alban Berg e della moglie Helene, dove
l'affetto per persone care si manifesta anche nell'evidente desiderio di dare un'immagine
di rispettabilità e di grandezza (non solo esteriore) alle figure. Il disegno si ingentilisce e
si sfuma invece negli ultimi ritratti della seconda moglie Gertrud e dei figli. Non solo,
quando Schönberg ritrae se stesso l'ossessione che lo guida sembra voler scrutare
attraverso lo sguardo il fondo dell'anima, per evocare ciò che sta dietro l'apparenza. In
questa direzione si muove quella serie di visioni che Kandinsky chiamò «sguardi» e che
mira a ricreare una sol., ta di delirio musicale con colori e forme. «Lo sguardo rosso» del
maggio 1910 ne è l'esempio piú caratteristico: un volto triangolare, sfigurato nei contorni
e quasi inghiottito da una lava giallastra, esibisce impudicamente occhi allucinati, vuoti,
cerchiati di macchie rosse, come di sangue fresco: una rappresentazione onirica dello
sfacelo, della malattia dell'anima e della morte, e nello stesso tempo quasi un sudario
della passione. Cosi anche il volto di Mahler, ritratto in quello stesso 1910, perde ogni
connotato realistico per rivelare un ghigno sardonico, quasi da maschera dell'orrore:
l'azzurro delle pupille è rovesciato fuori dalle orbite, gli occhi sono neri e semichiusi, e
una grottesca parrucca sormonta la testa calva, quasi un teschio, come a profanare
l'immagine sacra dell'aureola: una visione che sembra urlare al mondo l'incompresa
grandezza dell'amico. Qualcosa di assai diverso dalla rancorosa violenza con cui
Schönberg dipinge le caricature dei suoi nemici: i critici, visti come ridicoli clown, senza
neppure una luce o un barlume di coscienza, i mecenati nella loro pomposa sicurezza, gli
esecutori, saltimbanchi della musica, i potenti. Anche i bambini e i ragazzi sembrano
aver perduto l'innocenza e la speranza nella vita, e vagare sulla superficie del quadro
come riflessi alla deriva.
E poi vengono i paesaggi, i quadri in esterno. Qui Schönberg mitiga le contrapposizioni
di colori, le tensioni espressionistiche della forma per inclinare verso una
rappresentazione impressionistica di una natura non ostile. Sono quadretti d'occasione
talvolta imbarazzanti nella loro ingenuità, momenti di distensione dati dall'assenza
dell'uomo, o dalla sospensione della sua presenza nel mondo: qualcosa che proietta un
senso di attesa anche nelle dimesse nature morte. Di tutt'altro tono - la parte forse piú
interessante della mostra - la raccolta completa dei bozzetti per le scene dei suoi lavori
teatrali: perché qui è possibile farsi un'idea di quella compenetrazione fra pittura e
musica, fra suono e colore, che Schönberg vagheggiò a lungo. Se come pittore egli rimase
un autodidatta e un dilettante, come musicista seppe rifondare dalle fondamenta il
linguaggio e la tecnica superando lo stadio delle intenzioni. Non è una differenza di poco
conto, che confina ineluttabilmente la sua opera pittorica fra i documenti privati di una
grande, aspra personalità.

da "Il Giornale"

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