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GRAZIELLA SEMINARA

ALDO CLEMENTI
RITRATTI CRITICI DI CONTEMPORANEI

ESTRATTO
da

BELFAGOR
2012 N. 5

Leo S. Olschki Editore


Firenze
RITRATTI CRITICI DI CONTEMPORANEI

ALDO CLEMENTI

Il 18 aprile del 2008 Aldo Clementi (1925-2011) riceveva la laurea


honoris causa in Filologia moderna nell’Aula magna dell’Ateneo della città
natale, Catania. Le foto ufficiali lo ritraggono come smarrito, avvolto in
una toga troppo ampia per la sua ormai fragile tempra. Del resto non aveva
mai apprezzato le formalità; riflessivo, introverso, taciturno, serbava per la
parola un profondo rispetto e teneva fede a una concezione ‘etica’ del lin-
guaggio che già Karl Kraus aveva rivendicato in quella Vienna del primo
Novecento eletta dal musicista a sua ‘patria’ spirituale. La lectio magistralis
fu tanto concisa quanto densa e appassionante, ma sufficiente a rivelare la
statura intellettuale del compositore, unanimemente considerato una delle
figure piú rappresentative della musica europea nel secondo dopoguerra. La
ricostruzione del suo itinerario artistico, strettamente intrecciato al dibatti-
to contemporaneo eppure affatto singolare, è indispensabile per compren-
derne la problematica complessità.

Il cammino di formazione

Conviene allora riandare a molti anni indietro, al concerto tenuto da


Clementi il 25 novembre 1948 al Castello Ursino di Catania con il celebre
soprano russo Lydia Stix, che nella città etnea si era trasferita al seguito del
marito, docente di letteratura tedesca all’Università. Clementi era allora un
giovane pianista dalle notevoli potenzialità ma stava portando a consapevo-
lezza la propria vocazione compositiva grazie all’amicizia e al magistero di
Alfredo Sangiorgi: un compositore e didatta catanese di formazione ‘napo-
letana’, che nel 1922 aveva compiuto a Vienna una breve ma intensa espe-
rienza di studio con Arnold Schönberg. Nel 1940 Sangiorgi aveva ottenuto
la cattedra di composizione al Conservatorio di Bolzano, ma – in seguito
ai bombardamenti che avevano colpito la città altoatesina – nel 1945 era
rientrato a Catania e vi aveva proseguito la sua attività didattica, portando
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con sé testi scolastici di tradizione mittel-europea e mettendo a disposizio-


ne degli allievi spartiti e partiture di musica contemporanea, che in quegli
anni in Italia erano di difficile reperimento.
Sotto la guida di Sangiorgi, Clementi ampliò enormemente le proprie
conoscenze musicali e si orientò a un professionismo di marca piú europea
che ‘napoletana’; proprio durante quest’apprendistato compose Due poesie
per voce femminile e pianoforte su testi di Rainer Maria Rilke e Victor
Hugo, che Lydia Stix avrebbe eseguito per la prima volta a Vienna nel
1947 e che sarebbero state le sue prime composizioni date alle stampe dalla
casa editrice Suvini Zerboni. Gli studi con Sangiorgi e il sodalizio artistico
con la Stix (che nel 1949 avrebbe tenuto il ruolo della protagonista nella
prima esecuzione italiana dell’opera di Alban Berg Lulu) rafforzarono nel
giovane musicista la predilezione per la tradizione musicale austro-tedesca,
profondamente radicata nella storia familiare: il nonno, violinista dilettante,
era stato a Vienna assistente del celebre chirurgo Theodor Billroth, grande
amico di Brahms, e con lui aveva condiviso l’amore per la musica da came-
ra. Soprattutto il confronto con Sangiorgi segnò il destino di Clementi, che
– diversamente dai colleghi catanesi – non compí il tradizionale itinerario
di ‘formazione’ verso Napoli ma seguí nel 1949 il maestro a Bolzano per
completare gli studi di composizione.
Nel 1952 Clementi si spostava a Roma per perfezionarsi con Goffredo
Petrassi presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia; il grande composi-
tore romano non solo suscitò nel giovane allievo l’interesse per le arti figu-
rative (Petrassi era un collezionista di arte contemporanea e avrebbe sposato
la pittrice veneziana Rosetta Acerbi), ma soprattutto lo proiettò definitiva-
mente verso gli orizzonti dell’avanguardia. Conseguito nel 1954 il diploma
di composizione, Clementi scelse cosí di trasferirsi a Milano dove conob-
be Maderna, frequentò con lui lo Studio di Fonologia della Rai in cui si
compivano le prime esperienze elettroniche, instaurò un intenso sodalizio
con i musicisti piú impegnati della sua generazione (Berio, Bussotti, Nono,
Donatoni) e con loro partecipò agli Internationale Ferienkurse für Neue
Musik di Darmstadt, dove si stava consumando il radicale superamento del
‘passato’ a opera dello strutturalismo post-weberniano.

La concezione figurativa della musica

La convinta adesione di Clementi alla temperie darsmtadtiana è dichia-


rata in uno scritto dal titolo emblematico Dopo la dodecafonia, verso un
nuovo ordine, comparso nel 1957 sulla rivista di cultura contemporanea
«L’esperienza moderna», fondata in quello stesso anno a Roma dai pittori
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Rapsodia per soprano, contralto e orchestra
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Achille Perilli e Gastone Novelli. Il ‘nuovo ordine’ era rappresentato dal


serialismo integrale, cioè dall’estensione dei principi seriali a tutti i para-
metri della composizione; su suggerimento di Maderna, Clementi lo appli-
cava inscrivendo la serie di dodici suoni su un foglio di carta millimetrata,
che i due musicisti chiamavano ‘quadrato magico’ e nel quale la ‘rotazione’
del materiale seriale veniva ‘tradotta’ sul piano visivo. Dalla trasposizione
di progetti visuali in strutture musicali nasceva il ciclo degli Ideogrammi
(1959), che presentano significative analogie con l’astrattismo geometrico
della pittura di Achille Perilli, l’artista romano con il quale Clementi inizia-
va in quegli anni una proficua collaborazione.
Sollecitato in modi diversi dal confronto con Petrassi e con Maderna,
quest’accostamento alle arti visive scaturiva dalla convinzione clementiana
che la pittura fosse un passo ‘piú avanti’ della musica nella definizione di
nuove soluzioni tecniche; fu in particolare l’influenza dell’arte informale –
che dagli Stati Uniti si era rapidamente propagata in Europa – a permettere
al musicista di trovare un proprio linguaggio, una personale collocazione
nell’ambito del modernismo musicale. Artisti come Jackson Pollock, An-
toni Tápies, Jean Fautrier, Mark Tobery, perseguivano una pittura di tipo
‘materico’ fondata sulla cancellazione di qualsiasi residuo formale; allo stes-
so modo Clementi mirava a una soppressione della logica discorsiva pro-
pria della sintassi musicale tradizionale con il suo ‘retorico’ succedersi di
ampie arcate fatte di tensioni e risoluzioni. Sul modello dell’arte informale,
il compositore cercò di ottenere un decorso sonoro privo di articolazioni
attraverso l’applicazione di un densissimo contrappunto ai materiali dode-
cafonici; da tale ricerca scaturiva il ciclo degli Informels (1961-1963), pro-
dotto in concomitanza con un altro ciclo, quello dei Collages.
In quest’ultimo Clementi trasponeva alla musica l’idea di collage come
assemblaggio di materiali di diversa provenienza, nella quale convergevano
influenze artistiche differenti: da un lato tutta una tradizione figurativa, che
da Picasso e Braques attraverso il dadaismo era giunta fino a Kurt Schwit-
ters e alle provocatorie contaminazioni linguistiche dei suoi quadri (Merz-
bildern) e dei suoi disegni (Merzzeichnungen); dall’altro i primi esperimenti
di composizione per nastro magnetico, avviati nello Studio di Colonia dai
musicisti di Darmstadt e praticati anche presso lo Studio di Fonologia di
Milano dai giovani compositori riuniti intorno a Maderna. Alle ‘poesie so-
nore’ di Schwitters (Merzdichtungen) si ispira il brano Silben Merz (1973)
per attrice e due cantanti, interamente creato da Clementi sui fonemi della
lingua tedesca organizzati in 8 diverse modalità di emissione. Quanto ai
brani del ciclo dei Collages, il primo Collage (1961) nasceva come recupe-
ro e ri-composizione di materiali provenienti dagli Ideogrammi; Collage 2
(1962) e Collage 3 (Dies Irae) (1967) erano invece scritti per nastro magne-
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tico e dalla musica elettronica derivavano le operazioni di ‘montaggio’, ap-


plicate a sequenze sonore predefinite e poste in successione secondo criteri
svincolati da qualsivoglia principio gerarchico: ancora una volta dunque
l’impulso proveniente da una precisa tecnica pittorica si combinava con i
percorsi piú avanzati della ricerca musicale contemporanea.
Intorno alla metà degli anni ’60 Clementi rinunziava anche alle ten-
sioni ‘dinamiche’ date dai crescendo e dai diminuendo e perveniva cosí al
livellamento assoluto di tutti i parametri della composizione: era la fase
dei Reticoli, prodotti sotto l’influenza della pittura di Pietro Dorazio ma
già sensibili alle ricerche sulle ‘illusioni ottiche’ condotte da Victor Vasa-
rely e dall’optical art. Nei Reticoli la tessitura polifonica – costituita sem-
pre da materiali dodecafonici – appare soggetta soltanto a modificazioni
della densità, con raddensamenti e rarefazioni dello spessore sonoro, e a
variazioni dei valori di durata, che producono accelerazioni e decelerazioni
‘misurate’ e progressive; queste fluttuazioni del contrappunto danno luogo
a veri e propri ‘blocchi’ sonori di tipo prismatico, cangianti al loro interno
ma sostanzialmente statici, avvertiti sul piano percettivo come una sorta di
caleidoscopico continuum senza inizio né fine, del tutto privo di direziona-
lità. In tal modo Clementi indeboliva la percezione della musica come pro-
cesso temporale e affermava una concezione ‘spaziale’ del fatto sonoro, che
era complementare all’impressione di mobilità perseguita dalle coeve arti
figurative: si pensi alle sculture mobili di Alexander Calder, espressamente
evocate dal musicista, volte a far propria la dimensione della temporalità
costitutiva dell’arte dei suoni.
A inizio degli anni ’70 Clementi compiva una svolta che avrebbe se-
gnato l’ultima e piú lunga fase della sua ricerca compositiva, quella che
va sotto il nome di ‘periodo diatonico’; sostituiva infatti il materiale do-
decafonico con veri e propri ‘temi’ di impianto modale o tonale, derivati
dalle lettere dei nomi (come «BACH») o ripresi da musiche appartenenti al-
la tradizione d’arte: dall’Epitaffio di Sicilo ai canti gregoriani, dalle musi-
che trobadoriche al finale della Sinfonia ‘Jupiter’ di Mozart, dai Lieder di
Schubert al Sacre du printemps di Stravinskij. Naturalmente i temi della
tradizione – come prima i materiali dodecafonici – sono sottoposti ai pro-
cedimenti propri del contrappunto, che Clementi ereditava dalla polifonia
bachiana attraverso il filtro dello schönberghiano ‘metodo di composizione
con dodici note’: sicché l’adozione delle quattro forme speculari (Originale,
Inverso, Retrogrado e Inverso del Retrogrado) si interseca con il ricorso
alla ‘trasposizione’ su tutti i gradi della scala cromatica. Tuttavia, benché
siano in sé chiaramente riconoscibili, i profili dei temi non sono immedia-
tamente percepibili all’ascolto perché vengono occultati dalla proliferazione
delle voci polifoniche, che determina una saturazione dello spazio sonoro;
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ma laddove la texture si fa meno densa e il tempo rallenta essi si disvelano,


ritrovando la loro ‘lontana’ cantabilità. In tale gioco di ‘assorbimenti’ ed
‘evidenze’ del materiale tematico il compositore ha riconosciuto l’influenza
di tecniche pittoriche quali la ‘velatura’ e il ‘grattage’: la prima era già pra-
ticata nel Rinascimento dagli artisti fiamminghi e italiani, che stendevano
sui quadri strati leggeri di colore per lasciar trasparire le tinte sottostanti; il
‘grattage’ invece è stato introdotto nel Novecento da Max Ernst e consiste
nello scalfire lo strato superficiale del quadro per lasciar trapelare sagome
che stanno al di sotto. La trasposizione musicale di questi procedimenti
produce una fugace trasparenza delle figure sonore, che transitoriamente
affiorano dalla densissima trama contrappuntistica e si caricano di strug-
gente malinconia; e non è un caso che in concomitanza con questa svolta
stilistica Clementi ricorresse nelle partiture orchestrali all’impiego dei ca-
rillons, che – liberamente azionati da uno o piú esecutori – concorrono ai
nuovi effetti di ‘velatura’ e avvolgono la sonorità strumentale di un alone
suggestivo e incantato.
Il periodo ‘diatonico’ si caratterizza inoltre per l’approfondimento della
riflessione sulle ‘illusioni acustiche’, iniziata da Clementi al tempo dei Re-
ticoli e portata avanti alla luce della lezione dell’incisore e grafico olandese
Maurits Cornelis Escher, con il quale il musicista condivideva la tendenza a
una rigorosa ‘formalizzazione’ del linguaggio artistico: Escher, che era gran-
de ammiratore di Bach, aveva sviluppato le proprie sperimentazioni figura-
tive sulla base di accurate investigazioni logiche e geometriche; Clementi,
appassionato di scacchi e affascinato dai giochi matematici, trasferiva questi
interessi nella propria azione compositiva. Si spiegano cosí le analogie tra
le rispettive ricerche: laddove le figure geometriche di Escher sono sottopo-
ste alle quattro isometrie del piano (rotazione, riflessione, traslazione, scor-
rimento), i temi musicali di Clementi sono sottoposti alle quattro forme
speculari del contrappunto; e, come i disegni ‘periodici’ di Escher sono
costituiti da una reiterazione delle figure che potenzialmente può riprodursi
all’infinito, allo stesso modo i canoni ‘circolari’ di Clementi si fondano su
una replica dei temi che può non finire mai. Si può riscontrare una corri-
spondenza anche tra i procedimenti di ingrandimento progressivo delle fi-
gure adottati da Escher e la tecnica del rallentando ‘misurato’ impiegata da
Clementi, che ottiene cosí una graduale ‘aumentazione’ dei temi e al tempo
stesso può evocare l’estinzione della suoneria del carillon per l’esaurirsi della
carica iniziale. E ancora, se Escher aveva indagato sulle distorsioni ottiche
implicate dalle semplici reiterazioni delle figure, Clementi perseguiva effetti
‘illusionistici’ di tipo acustico con operazioni di sfasatura tra le voci o con
l’applicazione di traiettorie polifoniche divergenti (ad esempio facendo di-
scendere una o piú voci in un canone che si sposta verso l’alto).
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Deriva infine dalla sovrapposizione e dal capovolgimento di differen-


ti piani, esibita da Escher in molti suoi disegni, l’idea clementiana di so-
vrapporre o di capovolgere (per il tramite del procedimento dell’inversione)
piú blocchi polifonici, sí da realizzare canoni ‘al quadrato’ di straordinaria
maestria. Non sorprende perciò che gli esiti di questa ricerca siano di tipo
visivo con la creazione in partitura di vere e proprie figure geometriche:
come la forma del triangolo o quella piú ‘complessa’ della clessidra, otte-
nuta con la combinazione di due blocchi contrappuntistici dalle sagome
triangolari disposte simmetricamente. Ad esempio la terza e ultima sezione
della Rapsodia per soprano, contralto e orchestra (1994) è basata sul fram-
mento iniziale del Lied di Schubert Gretchen am Spinnrade; la partitura di
questa sezione è costituita da un foglio unico, che è riempito con un ca-
none a 24 voci da ripetersi per 12 volte. Il tema schubertiano è enunciato
nella sua forma originale nella parte centrale della partitura e – sottoposto
a varie trasposizioni – è replicato in tale forma nelle dodici voci superiori,
in forma inversa in quelle inferiori; al tempo stesso viene sottoposto a un
aumento proporzionale e speculare dei valori di durata ampliandosi grada-
tamente verso l’alto e verso il basso, sí da dar luogo a una forma a clessidra.
Clessidra si intitola anche un brano per orchestra da camera composto da
Clementi nel 1976 «in memoriam» del pittore statunitense Mark Tobey,
che era appena scomparso; e non mancano nel catalogo del musicista altri
omaggi ad artisti da lui ammirati.
Cosí in Blitz. Hommage à Marcel Duchamp (1973) è messo in scena un
vero torneo di scacchi (Duchamp era anche rinomato scacchista), scandito
dal ticchettio uniforme di 11 metronomi; la parte musicale è costruita su
un vasto ed eterogeneo materiale tematico, appreso dalla tradizione della
musica da camera, e interagisce con la proiezione di vari quadri del pittore
francese. For Colin Rose per soprano e 8 strumenti, del 1995, è invece dedi-
cato al pittore inglese Colin Rose, grande ammiratore di Webern, Xenakis,
Varèse e Boulez, che in Canon for Aldo Clementi (1986) ha cercato di resti-
tuire sul piano visivo le tecniche contrappuntistiche del nostro.

La musica come testimonianza della morte dell’arte

Resta da comprendere la ‘poetica’ che sta alla base di un percorso arti-


stico di tale spessore concettuale e di tale difficoltà tecnica; ci viene in soc-
corso lo stesso compositore che in un breve testo, pubblicato nel 1979 in
un volume di testimonianze dal titolo Autobiografia della musica contempo-
ranea, manifestava la «convinzione che la Musica (e l’Arte in generale) deb-
ba avere semplicemente l’umile compito di descrivere la propria fine, per lo
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meno il suo lento estinguersi». La consapevolezza del declino inarrestabile


della musica d’arte nella società moderna risentiva di certo del ‘pensiero
negativo’ di Adorno, dal quale Clementi derivava altresí la concezione del
lavoro compositivo come «attività gnoseologica»: come un «fare filosofia coi
suoni» – per impiegare le sue stesse parole – vissuto al tempo stesso quale
lucida testimonianza del proprio tempo. Ma una tale tragica considerazione
del comporre come «riflesso ed emanazione della dissoluzione del mondo»
– un mondo irrimediabilmente sconfitto dalla Storia – rivela altresí la di-
stanza del musicista dalla fede nel progresso e dalle tensioni utopiche che,
con declinazioni diverse, improntava la ricerca di compositori riconduci-
bili allo strutturalismo post-weberniano come Nono o Boulez; invero l’at-
tribuzione alle proprie composizioni del compito di «annunciare la morte
della musica» ha le sue radici nell’idea tutta novecentesca del tramonto di
una civiltà, in quel sentimento della ‘crisi’ che ha profondamente segnato
la cultura europea della Decadenza. Ne sono testimonianza le predilezioni
musicali di Clementi, il suo amore per Schubert e Brahms, ma anche le
ascendenze letterarie e filosofiche, che si manifestano pienamente nelle ope-
re di teatro musicale.
Le prime sperimentazioni teatrali di Clementi risalgono agli anni Ses-
santa. In Collage e Collage 3, «azioni visive» ideate su materiale figurativo di
Achille Perilli, il musicista aveva progettato un teatro di tipo nuovo, inteso
come puro gioco di luci e di forme in movimento che si interseca con il
gioco sonoro; d’altra parte con Blitz egli si ricollegava in maniera perso-
nalissima a talune sperimentazioni di teatro da camera realizzate a Darm-
stadt: il pubblico deve attraversare in silenzio lo spazio in cui si svolgono
le partite di scacchi ed ‘entra’ perciò nell’evento scenico come accade negli
happenings introdotti in Europa da John Cage, ma senza i riflessi dissacran-
ti e provocatori propri delle performances americane. Nondimeno sin dal
saggio comparso nel 1964 sulla rivista letteraria «Il Verri», Alcune idee per
un nuovo tipo di teatro musicale contemporaneo, Clementi aveva cominciato
a interrogarsi sulla possibilità di superare le resistenze dell’avanguardia nei
confronti della teatralità e di recuperare la traccia di un testo e con essa
l’ombra di una situazione drammatica. Il suo approdo al genere dell’opera
è avvenuto nella piena maturità artistica e a compimento di una lunga e
travagliata riflessione, strettamente intrecciata con il percorso compositivo:
ES e Carillon sono state completate rispettivamente nel 1980 e nel 1992
e sul piano musicale sono pertanto riconducibili al periodo ‘diatonico’ del
compositore.
Le due opere rimandano entrambe alla ‘Vienna di Karl Kraus’: la pri-
ma, scritta su un testo tratto dall’omonima commedia di Nello Sàito, al-
lude già nel titolo alla rivoluzionaria scoperta freudiana dell’inconscio; la
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seconda è concepita a partire dall’ironica e amara commedia Der Schwierige


di Hugo von Hofmannsthal, raffinato interprete del clima decadente della
finis Austriae. In ES protagoniste sono tre donne, rappresentate nell’atto di
prendere e riordinare nevroticamente oggetti che continuamente sfuggono
loro di mano, nel disperato tentativo di sottrarsi all’insensatezza della pro-
pria esistenza; il protagonista di Carillon – ‘l’uomo difficile’ di Hofmann-
sthal – è un uomo ‘senza qualità’ intorno al quale si svolge un’ininterrotta
e vacua conversazione mondana, ‘sigla’ di quell’atmosfera di ‘gaia apocalisse’
che fece della Vienna fin de siècle il luogo simbolico della disgregazione
della grande tradizione occidentale.
In piú, tanto in ES che in Carillon Clementi fa riferimento al mondo
poetico di Theodor Amadeus Hoffmann e in particolare a un racconto con-
tenuto nella raccolta dei Nachtstücke (1817), che sarebbe stato analizzato da
Freud in uno dei suoi scritti piú famosi, Das Unheimliche (Il perturbante,
del 1919); si tratta di Der Sandmann, in cui compare il personaggio inquie-
tante di Olympia, una bambola meccanica che sembra un essere vivente e
che anticipa le figure dell’automa e della marionetta tanto frequentate dal
teatro del Decadentismo. In un’intervista Clementi confessò che da giovane
aveva preso in considerazione la possibilità di mettere in musica la storia di
Olympia e che aveva rinunziato perché vi aveva pensato già Jacques Hof-
fenbach nei suoi Contes d’Hoffmann (1880): deriva proprio da Hoffenbach
il costante ritmo di danza che – sotto il segno del valzer – attraversa le due
opere e conferisce loro una luce ironica e persino umoristica. Ma l’interesse
del musicista per il tema dell’automa aveva ragioni piú profonde e trova-
va le sue radici nell’intenzione di contrapporre alla concezione ‘organica’
dell’opera d’arte, avviata dalle riflessioni estetiche di Goethe e affermata
dalla tradizione classico-romantica, la dimensione ‘meccanica’ della propria
musica: le composizioni di Clementi sono ideate a partire da una «matrice
originaria», da un materiale di base la cui logica intrinseca ‘determina’ la
loro struttura, e l’azione dell’autore è concepita come mera pre-disposizione
di un sistema che contiene in sé il proprio codice e il proprio destino.
La costruzione di perfetti dispositivi musicali scaturisce dunque dall’in-
flessibile coerenza della scrittura e comporta il passaggio dall’idea di carillon
come ‘velatura’ a quella di carillon come ‘meccanismo’, che dalla musica
strumentale è trasposta al teatro musicale; anche la seduzione dell’asimme-
tria, che nel contrappunto orchestrale si traduce nella tendenza alla genera-
zione di illusioni acustiche, trova uno sbocco teatrale nella realizzazione di
strutture drammaturgiche contraddittorie. In ES ad esempio si assiste alla
messa in atto di percorsi drammatico-musicali antitetici: Clementi prescrive
che con l’avanzare dell’opera diventi sempre piú sovrastante e opprimente
– attraverso la sua ombra e i suoi molteplici riflessi – la presenza ‘immagi-
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naria’ di un personaggio maschile assente dalla scena, che allude alla figura
di Don Giovanni e che si rivela mera proiezione dei desideri e delle paure
delle tre protagoniste; questo incremento della ‘temperatura drammaturgica’
trova un contraltare nel ‘rallentando’ su vasta scala che il musicista applica
all’intera opera e che in verità è uno ‘pseudo-rallentando’, poiché la progres-
siva decelerazione agogica è attuata attraverso un ampliamento dei valori
ritmici e delle prescrizioni metronomiche. Di contro in Carillon Clementi
dà luogo alla tensione destabilizzante tra un’organizzazione complessiva di
tipo simmetrico e tragitti di natura ‘lineare’: le cinque scene dell’opera sono
scandite da tre Intermezzi, costituiti da canoni circolari e collocati tra la
prima e la seconda scena, all’interno della terza e tra la quarta e la quinta;
a tale disposizione perfettamente bilanciata degli Intermezzi si contrappone
il loro progressivo riempimento polifonico (da 12 a 36 parti), che viene a
produrre uno squilibrio nell’architettura speculare dell’opera.
Si comprende meglio allora l’interesse clementiano per la narrativa ‘fan-
tastica’ di Hoffmann, che – con la frantumazione delle coordinate spazio-
temporali e il moltiplicarsi degli angoli prospettici – aveva costituito una
straordinaria premonizione della cultura novecentesca. E dagli hoffmannia-
ni Nachtstücke il musicista riprende un altro tema cruciale: quello del ‘dop-
pio’, che produce l’irruzione ‘straniante’ del sogno e della follia nella scena
teatrale e che appare costitutivo della stessa concezione drammaturgica del
musicista. In Carillon la commedia di Hofmannsthal è ripensata in modo
da mettere in scena due gruppi speculari di sei personaggi ciascuno e da
far apparire i personaggi del secondo gruppo come Doppelgänger dei primi;
in ES invece ciascuna delle tre protagoniste viene triplicata e – in forza di
effetti visivi richiesti dal musicista nelle Note per la messa in scena – si ri-
frange in infinite proiezioni e ombre riflesse.
In verità il processo di proliferazione riguarda tutte le componenti del-
la teatralità clementiana: dagli scarni frammenti testuali, di cui constano i
libretti delle due opere e che tradiscono la svalutazione della parola quale
depositaria di significati e di valori, ai gesti e ai movimenti dei personaggi
e persino ai luoghi scenici, che vengono raddoppiati o moltiplicati. In al-
tri termini Clementi mostra di considerare gli ‘oggetti’ del suo teatro – i
personaggi, con le loro parole e le loro azioni, e gli spazi della scena – alla
stregua di ‘vere’ figure musicali, da sottoporre a rigide azioni di formalizza-
zione e da trattare con i procedimenti imitativi propri della scrittura poli-
fonica. Ciò cui si assiste è una vera e propria teatralizzazione del contrap-
punto, che produce esiti non dissimili da quelli raggiunti da Clementi nelle
composizioni strumentali: se la moltiplicazione esponenziale delle linee po-
lifoniche, destinate a cancellarsi vicendevolmente, finisce con l’invalidare la
ratio della scrittura a piú voci, la proliferazione dei personaggi e dei piani
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rappresentativi finisce con il negare il senso stesso della teatralità e le confe-


risce un’inquietante dimensione fantasmatica. ES e Carillon si trasformano
cosí in imponenti strutture drammatico-musicali di tipo circolare: in vere
e proprie ‘boîtes à musique’ trasferite sul palcoscenico, in ‘scatole musicali’
che sembrano procedere per forza propria e manifestano in sé qualcosa di
meccanico, come il congegno di un carillon.

Il teatro come perdita e come nostalgia

Con quest’operazione drammaturgica del tutto inedita Clementi pro-


cedeva a una radicale destrutturazione del modello teatrale tradizionale;
rimaneva tuttavia da affrontare un nodo critico decisivo, relativo alla di-
mensione espressiva. Dopo aver fermamente ricercato nella propria musica
strumentale la liquidazione di qualunque soggettivismo e psicologismo di
impronta romantica, nelle due opere il compositore era costretto a fare i
conti con il problema dell’espressione dei sentimenti, che ha innervato tut-
ta la storia del melodramma. Ancora una volta Clementi sceglieva di proce-
dere a un’astratta ‘formalizzazione’; approntava infatti delle tavole in cui le
disposizioni emozionali sono rigorosamente inventariate in base a sistemi di
valutazione di tipo statistico, come il modello del ‘differenziale semantico’
messo a punto da Charles Osgood nel 1957. In ES il modello di Osgood
è applicato in maniera rigorosa con l’attribuzione di tre diverse tipologie
caratteriali a ciascuna delle tre figure femminili; in Carillon il musicista si
mosse in modo piú disinvolto, adottando per ciascuna coppia di personag-
gi – costituita da uno dei sei protagonisti e dal suo alter-ego – gruppi di
attributi che vanno da tre a cinque attitudini emotive.
Questa calcolata pianificazione delle inclinazioni psichiche, rapprese in
schematici ideogrammi della teatralità, fa sí che la dimensione psicologica
dei personaggi venga frazionata e sclerotizzata in veri e propri ‘grafici’ degli
accenti espressivi, che sembrano il rispecchiamento speculare per negazione
delle tipologie ‘affettive’ del melodramma barocco. Fissati nella dimensione
di rigide e frantumate marionette, i protagonisti delle opere di Clementi
si pongono cosí come segni dispersi di un mondo irrecuperabile del quale
– in quella «musica per gli occhi» che è il suo teatro musicale – appaiono
labili ‘citazioni’, proprio come i temi musicali che affiorano e scompaio-
no nel fitto tessuto contrappuntistico. Nella loro dimensione di consunti
e inariditi objets trouvés, echi di un passato volutamente rimosso, temi e
personaggi suscitano all’ascolto uno straniante senso di ‘vertigine’ che sem-
bra rimandare al sentimento del ‘perturbante’ descritto da Freud: a quella
sensazione di spaesamento e di angoscia che si prova dinanzi a qualcosa di
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‘estraneo’, che tuttavia oscuramente si percepisce come familiare e che ci


fa risalire agli indefinibili territori dell’inconscio. Nondimeno nella musi-
ca strumentale clementiana quei temi mantengono un pur precario lega-
me con la tradizione e con le sue rifrazioni espressive e si fanno portatori
di un sempre meno celato sentimento di nostalgia; allo stesso modo nelle
opere teatrali la dolente riduzione dei personaggi a maschere di un’identità
smarrita, a luoghi del vuoto e dell’assenza, non impedisce che nell’ossessiva
reiterazione dei loro gesti e nella meccanica fissità del loro canto e dei loro
movimenti riaffiori prepotente il loro immenso carico di umanità – un ca-
rico irriducibile e, per il musicista, irrinunciabile.

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NOTA BIBLIOGRAFICA

Il pensiero di Clementi sul senso del proprio comporre è esposto com-


piutamente in Commento alla propria musica, comparso nel volume curato da
Michela Mollia Autobiografia della musica contemporanea, Milano, Lerici, 1979,
pp. 48-55. Essenziale per la comprensione della poetica del musicista è inoltre
la sua approfondita analisi della Serenata del maestro Goffredo Petrassi in A
proposito della Serenata di Petrassi, «Il Verri», V, 1, 1961, pp. 92-96.
Ai problemi del teatro musicale Clementi ha dedicato due scritti: Alcu-
ne idee per un nuovo tipo di teatro musicale contemporaneo, «Il Verri», VIII, 16,
1964, pp. 61-66; Ancora sul teatro musicale, «Musica/Realtà», 1984, pp. 157-
61. Di grande importanza sono inoltre le note di sale di mano del compositore
pubblicate in occasione della prima rappresentazione assoluta di ES al Teatro
La Fenice di Venezia il 28 aprile 1981: Note per una messa in scena di ES e Il
libretto; nello stesso volume si legge lo scritto di Enzo Restagno Clementi e il
pensiero negativo, volto ad approfondire le posizioni filosofiche del musicista.
Tra i primi contributi critici dedicati a Clementi vanno menzionati lo scrit-
to di Mario BORTOLOTTO Una poetica artigiana, inserito nel suo Fase seconda.
Studi sulla Nuova Musica, Torino, Einaudi, 1979, pp. 170-92; e la monografia
di Renzo CRESTI Aldo Clementi, Milano, Suvini Zerboni, 1979. Cresti ha de-
dicato inoltre un saggio alle Implicazioni d’arte e filosofia nella musica di Aldo
Clementi, pubblicato su «Sonus», II, 1, 1989, pp. 23-49. Ricco di intuizioni e
di spunti critici è l’articolo di David OSMOND-SMITH Au creux néant musicien:
recent works by Aldo Clementi, «Conctat», 1982, pp. 5-9; da segnalare inoltre
la voce «Aldo Clementi», a cura di Renato Zanetti, in Dizionario Enciclopedico
Universale della Musica e dei Musicisti, sez. II, vol. 2, Torino, UTET, 1985, pp.
263.
A inizio degli anni Novanta è stato pubblicato nel primo numero della
rivista «Archivio», edita a Palermo dal CIMS (Centro per le Iniziative Musicali
ALDO CLEMENTI 543

in Sicilia), un saggio monografico integrato da un’ampia intervista e da diversi


scritti inediti del compositore: Clementi, a cura di Benedetto Passannanti, «Ar-
chivio. Musiche del XX secolo», I, 1991, pp. 57-133.
Fondamentale per la comprensione del rapporto tra i procedimenti com-
positivi clementiani e le arti figurative è la monografia di Gianluigi MATTIETTI
Geometrie di musica. Il periodo diatonico di Aldo Clementi, Lucca, LIM, 2001;
da menzionare anche lo scritto di Mattietti Il teatro musicale di Aldo Clementi:
dal collage al meccanismo, pubblicato in occasione della prima rappresentazione
assoluta di Carillon al Teatro alla Scala di Milano il 16 ottobre 1998 come
programma di sala.
Alla prima composizione del ciclo dei Collages è dedicato il volume Collage
1961: un’azione dell’arte di Achille Perilli e Aldo Clementi, a cura di Simonetta
Lux e Daniela Tortora, Roma, Gangemi, 2005.
Gli atti dell’incontro di studi organizzato dalla Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Catania il 30 e 31 maggio 2005 in occasione dell’ottantesi-
mo compleanno del musicista sono stati pubblicati in Canoni, figure, carillons.
Itinerari della musica di Aldo Clementi, a cura di Maria Rosa De Luca e Gra-
ziella Seminara, Milano, Suvini Zerboni, 2008, e contengono anche la lectio
magistralis pronunciata da Clementi in occasione del conferimento della laurea
honoris causa.
Due numeri monografici della «Contemporary Music review» sono stati re-
centemente dedicati al compositore di Catania: Aldo Clementi: mirror of Time I
(XXVIII, 6, 2009) e Aldo Clementi: mirror of Time II (XXIX, 7, 2010) con contri-
buti di musicisti, musicologi ed esecutori della musica clementiana.

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