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Facoltà di Lettere
PANAGIOTIS LIAKOS
ATENE 2019
A distanza di ormai più di vent’anni dalla sua prima proiezione nelle sale
cinematografiche, potremmo definire La vita è bella di Roberto Benigni un’opera di
vita e di piena maturazione scenariografica per il suo autore, ma anche come uno dei
film che ha influenzato come pochi altri la storia del cinema internazionale dalla fine
dello scorso millennio fino ad oggi.
Nella scena successiva gli sceneggiatori ci introducono uno dei più stravaganti
personaggi dell’opera, il medico tedesco Lessing (interpretato dal leggendario Horst
Buchholtz, celebre e storica figura dei film western), il quale ha una vera e propria
mania per gli indovinelli. Durante un battibecco a colpi di reciproci enigmi (sarà bene
riservare attenzione alla comparsa della parola oscurità: prelude infatti in qualche
modo al prosieguo dell’opera), Guido apprende che, nonostante l’ora tarda, è appena
giunto al ristorante un tale dal Ministero. Il protagonista dimostra ancora una volta la
sua astuzia dappoiché, nonostante la cucina fosse ormai vuota, riesce a servire al
fascista il cibo in origine destinato al medico. Scopre inoltre che il cliente,
commissario governativo, ha in programma l’indomani un’ispezione alla scuola di
Dora. Escogita pertanto di recarvisi lui stesso presentandosi in loco al posto suo.
La figura di Guido domina anche nella scena che subito segue. Vestito da
cameriere, egli porta in mano un gigantesco uovo di struzzo dietro al quale, non
appena si accorge dell’ingresso di Amico al Grand Hotel, tenta di nascondersi.
Affatto casuale è la collocazione dell’uovo nella presente sequence: uova infatti erano
anche quelle cadute per disattenzione di Guido sulla testa di Amico nella prima unità
del film. In modo analogo si chiuderà anche la scena del ristorante. Ma Guido non è
forse tra quegli uomini che non si comportano da struzzi? Egli infatti rifiuta di
accettare il mondo così com’è. Non nasconde la testa sotto la sabbia e tenta di
cambiarlo o, se non altro, di renderlo più sopportabile per le persone che ama.
Nel momento esatto in cui lo spettatore coglie l’ironia tragica che lo volge a
un amaro sorriso, giunge sulla scena un tale, il quale informa Guido di un brutto
episodio di cui suo zio è appena caduto vittima. Eliseo si trova infatti fuori dal suo
ristorante, fortemente scosso dall’ennesimo attacco razzista ai suoi danni. Come
appare anche ai nostri occhi, alcuni fascisti hanno gettato della vernice verde su Robin
Hood, il suo splendido e candido destriero. Come se non bastasse, hanno scritto su di
esso la frase: «Achtung! Cavallo Ebreo». Guido, ancora una volta, tenta di
sdrammatizzare una situazione tragica. Tuttavia, il sempre razionale zio sente ormai
incombere il Male imminente e avvicinarsi quelle vergognose pagine per la storia
dell’Uomo che a breve verranno scritte. Facendo nuovamente ritorno al ristorante,
Guido incontra il medico Lessing, il quale sta per tornare repentinamente a Berlino,
non prima però di porre al protagonista un ultimo indovinello. Lessing parte, Guido
rimane pensoso alcuni istanti e poi dà la soluzione dell’enigma: è la parola silenzio:
ciò che caratterizzò la gran parte della borghesia dell’epoca, la reticenza della quale
favorì la salita al potere tanto di Mussolini quanto di Hitler.
38. Casa dello zio e serra – Esterno Alba – Giorno / Guido è già sceso da cavallo e ora aiuta Dora a
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venir giù dalla groppa della bestia. Sono imbrattati di verde anche loro, come Robin Hood. La prima,
dolcissima luce del sole dà toni irreali alla scena […], La vita è bella (2001, 141).
subito dopo dalla stessa inquadratura un bambino, il quale sentiamo chiamare da Dora
Giosuè. La voce maschile lo invita a non ritardare ulteriormente la mamma. Giosué
esce dalla serra giocando (si lamenta di non riuscire a trovare il suo tank giocattolo) e
si getta tra le braccia della madre. Ecco uno stratagemma semplice ed economico dal
punto di vista scenariografico per permettere a noi, gli spettatori, di capire che alla
fine Guido e Dora sono riusciti a creare la loro famiglia.
Scendendo dal treno, Guido cerca tra la folla Dora, così come l’aveva vista
salirvi all’ultimo momento nella precedente sequence. Ascoltiamo la voce innocente
di Giosuè rivolgersi al padre: «Hanno fermato il treno per far salire la mamma...».
Guido riesce finalmente ad individuarla. Quando però si rivolge a lei, non la chiama
più Principessa, ma semplicemente Dora: segno del fatto che la situazione si è ormai
fatta tesa e disperata. La donna è allontanata con la forza e Guido ritorna dal figlio,
oltremodo provato, e dallo zio. Descrive a Giosuè il difficile gioco a cui dovranno
prendere parte, il quale però prevede per il vincitore come premio un vero tank. Il
piccolo sembra non credere alle sue orecchie. I nazisti allontanano lo zio, portandolo
nella zona del campo destinata ai prigionieri più anziani.
{…}
L. (Indica lo scudo) Versaci dell’olio, servo. Nel bronzo vedo un vecchio che finirà
accusato di vigliaccheria.
D. (Indica la pizza) Versaci del miele, tu. Anche qui si vede un vecchio che manderà
al diavolo Lamaco, figlio di... Gorgaso.
L. Servo, portami la corazza da guerra.
La scena successiva ci mostra i terribili lavori forzati a cui gli Ebrei erano
costretti, talmente estenuanti da avere come scopo l’annientamento dei detenuti. Il
piano è incentrato sulla fonderia, un luogo che gli sceneggiatori descrivono come un
inferno. Tornando indietro nella stanza dei prigioneri, Guido porge al figlio il solo
tozzo di pane che gli era stato destinato. In seguito vediamo l’ala femminile del
campo, dove è rinchiusa anche Dora. Nascono in noi alcuni amari interrogativi, dal
momento che le guardie in quella sezione erano donne. Come potevano, in quanto
donne anch’esse, perpetrare tali supplizi ad altre? Domande retoriche, queste,
dinnanzi a individui senza traccia di pietà nel cuore e imbevute delle paurose idee
generate dal fanatismo di Adolf Hitler. In uno spostamento dalle celle di detenzione ai
lavori forzati, Dora ascolta per la prima volta delle camere a gas, in cui i nazisti
sterminavano gli Ebrei dopo che li avevano radunati con il pretesto di un bagno.
Ancora una volta Roberto Benigni e Vincenzo Cerami si dimostrano drammaturghi
eccellenti. Al fine di muoverci ancora di più alla commozione, nella scena successiva
dedicano grande enfasi a Giosuè, il quale trova il padre e gli dice di non voler andare
a fare il bagno con gli altri: avevamo infatti già visto all’inizio della seconda parte
come il bambino non amasse particolarmente tale procedura.
Fuori dalle camere a gas distinguiamo tra gli altri la figura dello zio Eliseo.
Malinconico, greve, si sveste con movimenti lenti. Una nazista inciampa e lui la aiuta
a rialzarsi, chiedendole se stesse bene e interessandosi sinceramente della sua salute.
Quello che però ottiene da lei è soltanto uno sguardo pieno di odio: ancora una volta
lo scenario ci commuove attraverso i suoi contrasti. Si tratta appunto di uno scenario
ricco di immagini che, soprattutto nella seconda sezione, ci dà molte informazioni
senza ricorrere alle parole. Una tale scena è anche quella in cui, nel luogo dei lavori
forzati delle donne, si distingono ammassi di oggetti personali dei morti e dei
morituri, suddivisi per categorie secondo la maniacale follia nazista. Tra quelle pile di
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Gli Acarnesi (2010, 181-183).
cose spunta anche un gatto che, secondo la descrizione dello scenario, pare cercare
qualcosa o qualcuno. Il suo padrone forse?
Di ritorno alla cella dai suoi tormenti quotidiani, Guido nota che la stanza del
microfono che trasmette gli ordini dei nazisti in tutto il campo è rimasta incostudita.
Subito gli viene un’idea: lo segue anche Giosuè, che si era nascosto all’interno di un
sacco e che era stato colto dal singhiozzo. Guido afferra il microfono e invia un
messaggio d’amore alla sua principessa, dicendole di averla pensata tutta la notte.
Dora li ascolta inizialmente impaurita, per poi abbandonarsi alla commozione e
sentirsi rassicurata nel sapere che la sua famiglia sta bene.
Subito dopo viene una scena particolarmente difficile, in cui l’allora bambino
Giorgio Cantarini fa prova di tutto il suo talento, recitando come un attore
professionista di grande esperienza. Si tratta di una scena di contrasto col padre, in cui
dapprima gli dice di aver capito che in quel campo i prigioneri diventano sapone e
bottoni, vengono inceneriti e di bambini non se ne vedono più. Guido continua però a
proteggerlo e ad essere l’unico tra i prigioneri a conservare ancora una qualche
energia. Risponde al figlio che tali informazioni gli sono giunte da avversari, i quali
vogliono accumulare più punti nel gioco e uscirne vincitori. Giosuè dice di volersene
andare e Guido, dandogli ragione, acconsente ad uscire dalla stanza, ricordando al
contempo al figlio che, con una tale pioggia, di certo si ammaleranno. Il protagonista
comincia quindi uno show circa il tank che stavano finendo di costruire, parla dei
punti acquisiti durante il gioco e del fatto che sono primi. Apre la porta e sta per
qualche istante sotto la pioggia. Il piccolo, rimasto più indietro, lo chiama: ci ha
ripensato, preferisce rimanere e, rivolgendosi al papà, usa la sua stessa
argomentazione: «Ma piove, mi viene la febbra a quaranta».
Molti aspetti sono stati analizzati nel presente lavoro. Se, tuttavia, dovessimo
definire con un sol termine il tema centrale dell’opera, tale parola sarebbe amore. È la
stessa parola a cui è ricorso proprio Roberto Benigni durante la consegna dell’Oscar
per il migliore film straniero: una premiazione spontanea, estroversa, mediterranea e
diversa da quelle tradizionali.