Dialetti lombardi
Relazione scritta
Zagabria, 2018
Introduzione
Dialetti lombardi
1. lenizione tenua > media, con successiva restaurazione della media: cua ‘coda’, vedè
‘vedere’
2. metafonia da i finale: cavii ‘capelli’, ché ‘quello’
3. ō: fōch 'fuoco', nōc 'notte', grōs 'grosso'
4. velarizzazione di i davanti l + consonante: àlter 'altro'
5. l'accumulazione dei pronomi nella coniugazione: ti te càntet 'tu canti'
Nel 1884. il Salvioni con la sua opera Fonetica del dialetto moderno della città di Milano
licenzia una delle prime ricerche di dialettologia urbana. La tradizione dialettale riflessa si
sviluppa a Milano all'insegna di una forte letterarietà. Carlo Maria Maggi, poeta del Seicento
considerto il padre della letteratura milanese mderna, si è affidato alle differenze tra "lingua
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Holtus, G., Metzeltin, M., Schmitt, C. Lexikon der Romanistischen Linguistik. Max Niemeyer Verlag.
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corrente" e il milanese popolare. Per "lingua corrente" si intendeva il milanese italianizzato e
nel contempo arcaizzante. Maggi era tra i primi a rovesciare il generico plurilinguismo
orizzontale, proprio della convenzione della commedia dell'arte, nel plurilnguismo verticale
dei diversi livelli linguistico-sociali.
- passaggio di lat. ū > ō avanti m e in sillaba chiusa : fōm ‘fumo’, brōt ‘brutto’
- lat. i tonico > é in sillaba chiusa e in fine di parola: rés ‘riccio’
- caduta di v intervocalico romanzo, sia nella parola che nella frase:
coal ‘cavallo’
- conservazione di r e l finali dopo vocale tonica : moér ‘moglie’
- caduta della nasale dopo vocale tonica: be ‘bene’, bu ‘buono’
- passaggio da eii tonico in i: sida 'seta'
Nei dialetti lombardi si mantiene l'enclisia pronominale, ad esempio: poss-ia? ‘posso io?’,
ved-iuma? ‘vediamo?’, port-iuma? ‘partiamo?’. Le risponde nella medesima parlata la
proclisia del pronome complemento o riflessivo: sa levà su ‘alzarsi’. I parlanti di certe zone
distali come la Val di Bieno hanno mantenuto fino ad oggi l’uso del possesivo senza articolo:
nòssa menèstra l’è còtta ‘la nostra minestra è cotta’. Nel bergamesco il passato remoto era
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vivo fino alla metà dell’Otocento. Il futuro del passato esce in -ess in tutta la Lombardia
tranne il Mantovano e una zona milanese-comasca che hanno –ia in tutte le persone.4 L’area
bresciana, bergamesca, valtellinese, poschiavina e in parte intelvina riccore a –i come
morfema del plurale femminile (dona, -i ‘donne’, scarsela, -i ‘tasche’). 5
Grazie alle ricerche
relative all’antico lombardo che hanno fatto alcuni linguisti tra cui troviamo Salvioni, Marri e
Stella, è possibile un approfondimento diacronico e semantico del lessico. Oggi appare che il
dialetto lombardo abbia molta influenza sugli altri dialetti come per esempio sul dialetto
trentino, mentre al dialetto lombardo influisce il dialetto catalano. Secondo le analisi recenti,
influsso catalano è maggiore del previsto soprattutto nel linguaggio amministrativo che è poco
studiato e perciò i linguisti ritengono che castiglianismi e catalanismi presenti nelle parlate
lombarde meritino un esame approfondito.
Dialetto e acculturazione
Per le necessità cui erano chiamati a rispondere e per il loro ampio articolarsi in
registri, i dialetti stavano all'incrocio di diversi fattori acculturativi. In particolare risentivano
del fenomeno, raguardevole anche se poco appariscente a prima vista, di una profonda
acculturazione relativa alla sfera astratta. La cultura alta forniva in misura consistente ai
dialettali gli strumenti concettuali e linguistici per elaborare ed esprimere la loro visione del
mondo, il loro senso dell'esistere. Forniva nozioni, modelli, scale di valori (bontà, avarizia,
accidia, iracondia) e veniva in tal modo a costituire un elemento di forte dinamicizzazione del
dialetto.6
Le voci che si rifanno a questa matrice culturale sono insospettatamente numerose. Veniva
assunta iracundia che dava origine a rogná 'mostrare scontentezza, irritazione', acediasfociava
nel comasco azidi 'repentino impeto di rabbia' e nell' onsernonese fa cedèll 'dare in
escandescenze' (letteralmente 'accidiello' come l'aretino cidelo 'noia, irritazione'). Aviritia
sembrava a momenti connotarsi in positivo come nel verzaschese varizzia 'voglia, energia,
forza'.
Il settore dei lessemi relativi agli stati d'animo mostra la presenza di un cospicuo nucleo di
termini acculturati, come quel gnègnera, gnágnera 'capriccio, voglia incostante' (incōō gh'u
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dòss na gnègnera) che come tante forme analoghe viene di solito troppo spicciativamente
etichettato di „onomatopeico“. E invece significativo accertarlo come ricezione popolare del
lat. INGENIUM 'intelletto, ingegno' (gnègnero).7
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Per un approccio globale
La dialettologia lombarda si piega sul gergo nelle sue più diverse fenomenologie.
Linguaggio sociale, spazio della parodia nel suo rovesciamento speculare alto-basso e nel
contempo una delle più compatte operazioni linguistiche della cultura marginale, il gergo
richiederebbe un lungo discorso anche solo per l’ambito lombardo.9
Il fenomeno possiede i caratteri di una cesura storica: si impone nell’oralità una lingua
che ha vissuto per secoli un’esistenza in larga misura umbratile, affidata prevalentemente alla
scrittura; si chiude la lunga storia di varianti locali di molti dialetti; vi è la regressione non
tanto di molte parlate bensì il venir meno di intere culture, che fondatesi per secoli sul trádito
e sull’esperienza soccombono oggi alla cultura del nuovo, del consumo e del cambiamento. Il
fenomeno è massiccio, coinvolgente e denso di profonde conseguenze umane e sociali.
Il pocesso della koinè appare oggi come il fenomeno di gran lunga prevalente dal punto di
vista quantitativo nella realtà dialettale (non solo) lombarda. La koinè è stata nel passato un
fenomeno di avvicinamento all’uso geograficamente più largo, al tipo più diffuso, al modello
delle città e dei centri. La koinè risultava spesso il regno della variazione libera, del
polimorfismo. La koinè si stacca oggi sempre più marcamente dal modello dialettale per
orientarsi su un modello italianizzante.
L’italiano occupa gli ampi spazi lasciati sguarniti dai dialetti in declino: ma il “prezzo” di
questa avanzata è la regionalizzazione. Nasce non l’italiano, bensì l’italiano regionale. Su
quello lombardo, tra i più studiati soprattuto nella varietà svizzero-italiana.
Lombardismi in lingua
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Sullo scorcio dell’Ottocento si sviluppa in Lombardia una terminologia industriale e
sindicale che diventerà italiana. Può fungere da esempio la denominazione di capitano
d’industria ‘creatore di imprese industriali’.
Si deve anche riconoscere in spocchia ‘boria’ appunto l’italianizzazione di questa forma
lombarda attestata dal 1606 e rimasta poi sempre viva. I parlanti avevano e hanno coscienza
delle regole di corrispondenza tra lingua e dialetto; nel caso specifico il conguaglio c- kj era
dei più facili: öc – occhio, finöcc – finocchio, mücc – mucchio, cioster- chiostro, nicia –
nicchia, ecc. Analoghe regole di corrispondenza tra lombardo e italiano dovevano favorire il
dileguo della –n-: linger ‘leggero’, lengg ‘leggere’, corengia ‘correggia, cintura’.10
La conclusione
Bibliografia
Holtus, G., Metzeltin, M., Schmitt, C. Lexikon der Romanistischen Linguistik. Max Niemeyer
Verlag. Tübingen, 1988
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