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UNIVERSITÀ DI ZAGABRIA

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA


DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA
ANNO ACCADEMICO 2017/2018

Maruša Delić, Lucija Drenški

Dialetti lombardi

Relazione scritta

Il docente: dr.sc. Vinko Kovačić

Zagabria, 2018
Introduzione

L'Ascoli e il Salvioni rappresentano l'inizio dell'indagine scientifica dei dialetti lombardi.


I linguisti che hanno fatto le ricerche nell'ambito di questi dialetti sono: R.Leydi, G.Sanga,
I.Sordi, B.Pianca. Nell'ambito della filologia dialettologica hanno fatto le analisi D.Isella e
A.Stella e nell'italiano lombardo Maurizio Vitale. La dialettologia lombarda sottolinea la
diversità tra dialetto rurale e quello urbano, esamina le differenze tra dialetofono analfabeta e
dialetofono alfabeta. Il gruppo milanese privilegia gli aspetti funzionali e sociolinguistici,
mentre nell’area bergamesca si presta l’attenzione anche alla problematica dell’italiano
regionale, nell’area valtellinese si manifesta una recente tendenza all’onomastica e
toponomastica e il settore svizzero italiano si caratterizza per gli interessi lessicografici ed
etnolinguistici.

Dialetti lombardi

Secondo la suddivisione geo-dialettale la Lombardia si divide in due sezioni maggiori:


occidentale ed orientale. I fenomeni fonetici che sono comuni ai dialetti lombardi sono
seguenti: 1

1. lenizione tenua > media, con successiva restaurazione della media: cua ‘coda’, vedè
‘vedere’
2. metafonia da i finale: cavii ‘capelli’, ché ‘quello’
3. ō: fōch 'fuoco', nōc 'notte', grōs 'grosso'
4. velarizzazione di i davanti l + consonante: àlter 'altro'
5. l'accumulazione dei pronomi nella coniugazione: ti te càntet 'tu canti'

Nel 1884. il Salvioni con la sua opera Fonetica del dialetto moderno della città di Milano
licenzia una delle prime ricerche di dialettologia urbana. La tradizione dialettale riflessa si
sviluppa a Milano all'insegna di una forte letterarietà. Carlo Maria Maggi, poeta del Seicento
considerto il padre della letteratura milanese mderna, si è affidato alle differenze tra "lingua

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Holtus, G., Metzeltin, M., Schmitt, C. Lexikon der Romanistischen Linguistik. Max Niemeyer Verlag.
Tübingen, 1988
corrente" e il milanese popolare. Per "lingua corrente" si intendeva il milanese italianizzato e
nel contempo arcaizzante. Maggi era tra i primi a rovesciare il generico plurilinguismo
orizzontale, proprio della convenzione della commedia dell'arte, nel plurilnguismo verticale
dei diversi livelli linguistico-sociali.

Le caratteristiche del lombardo occidentale:2

- lat. ū > ū in ogni posizione : ūga ‘uva’, brūt ‘brutto’


- caduta di l e r finale dopo vocale tonica: su ‘sole’, fagiōō ‘fagiolo’, miee ‘moglie’
(ma in molte zone vengono restaurate in alcuni monosillabi, per esempio per analogia
al femminile negli aggettivi: dūr ‘duro’)
- presenza della lunghezza vocalica con funzione distintiva:
andà ‘andare’, andaa ‘andato’

Le caratteristiche della sezione orientale: 3

- passaggio di lat. ū > ō avanti m e in sillaba chiusa : fōm ‘fumo’, brōt ‘brutto’
- lat. i tonico > é in sillaba chiusa e in fine di parola: rés ‘riccio’
- caduta di v intervocalico romanzo, sia nella parola che nella frase:
coal ‘cavallo’
- conservazione di r e l finali dopo vocale tonica : moér ‘moglie’
- caduta della nasale dopo vocale tonica: be ‘bene’, bu ‘buono’
- passaggio da eii tonico in i: sida 'seta'

Nei dialetti lombardi si mantiene l'enclisia pronominale, ad esempio: poss-ia? ‘posso io?’,
ved-iuma? ‘vediamo?’, port-iuma? ‘partiamo?’. Le risponde nella medesima parlata la
proclisia del pronome complemento o riflessivo: sa levà su ‘alzarsi’. I parlanti di certe zone
distali come la Val di Bieno hanno mantenuto fino ad oggi l’uso del possesivo senza articolo:
nòssa menèstra l’è còtta ‘la nostra minestra è cotta’. Nel bergamesco il passato remoto era

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Holtus, G., Metzeltin, M., Schmitt, C. Lexikon der Romanistischen Linguistik. Max Niemeyer Verlag.
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vivo fino alla metà dell’Otocento. Il futuro del passato esce in -ess in tutta la Lombardia
tranne il Mantovano e una zona milanese-comasca che hanno –ia in tutte le persone.4 L’area
bresciana, bergamesca, valtellinese, poschiavina e in parte intelvina riccore a –i come
morfema del plurale femminile (dona, -i ‘donne’, scarsela, -i ‘tasche’). 5
Grazie alle ricerche
relative all’antico lombardo che hanno fatto alcuni linguisti tra cui troviamo Salvioni, Marri e
Stella, è possibile un approfondimento diacronico e semantico del lessico. Oggi appare che il
dialetto lombardo abbia molta influenza sugli altri dialetti come per esempio sul dialetto
trentino, mentre al dialetto lombardo influisce il dialetto catalano. Secondo le analisi recenti,
influsso catalano è maggiore del previsto soprattutto nel linguaggio amministrativo che è poco
studiato e perciò i linguisti ritengono che castiglianismi e catalanismi presenti nelle parlate
lombarde meritino un esame approfondito.

Dialetto e acculturazione

Per le necessità cui erano chiamati a rispondere e per il loro ampio articolarsi in
registri, i dialetti stavano all'incrocio di diversi fattori acculturativi. In particolare risentivano
del fenomeno, raguardevole anche se poco appariscente a prima vista, di una profonda
acculturazione relativa alla sfera astratta. La cultura alta forniva in misura consistente ai
dialettali gli strumenti concettuali e linguistici per elaborare ed esprimere la loro visione del
mondo, il loro senso dell'esistere. Forniva nozioni, modelli, scale di valori (bontà, avarizia,
accidia, iracondia) e veniva in tal modo a costituire un elemento di forte dinamicizzazione del
dialetto.6
Le voci che si rifanno a questa matrice culturale sono insospettatamente numerose. Veniva
assunta iracundia che dava origine a rogná 'mostrare scontentezza, irritazione', acediasfociava
nel comasco azidi 'repentino impeto di rabbia' e nell' onsernonese fa cedèll 'dare in
escandescenze' (letteralmente 'accidiello' come l'aretino cidelo 'noia, irritazione'). Aviritia
sembrava a momenti connotarsi in positivo come nel verzaschese varizzia 'voglia, energia,
forza'.
Il settore dei lessemi relativi agli stati d'animo mostra la presenza di un cospicuo nucleo di
termini acculturati, come quel gnègnera, gnágnera 'capriccio, voglia incostante' (incōō gh'u

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Holtus, G., Metzeltin, M., Schmitt, C. Lexikon der Romanistischen Linguistik. Max Niemeyer Verlag.
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ibid.
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dòss na gnègnera) che come tante forme analoghe viene di solito troppo spicciativamente
etichettato di „onomatopeico“. E invece significativo accertarlo come ricezione popolare del
lat. INGENIUM 'intelletto, ingegno' (gnègnero).7

La denominazione medievale per 'casa' è spesso quella di domus de foco ; indicava la


casa d’abitazione (in cui si fa il fuoco) in opposizione alle altre costruzioni (stalle, depositi,
dove il fuoco non occorreva). Concorrenziata da coquina/cucina che muoveva dagli strati alti
e dai centri, l’antica denominazione fu ristrutturata nella semantica e nella geografia, Da
‘casa’ venne limitata a ‘cucina’. All’inizio del nostro secolo l’antica, un tempo corrente
denominazione di casa da fuoco non solo era ridotta al lombardo alpino, ma anche qui
sopravviveva ormai unicamente in zone appartate e marginali.
Le zone più povere (Verzasca, Onsernone) hanno mantenuto fino a ieri l’antica condizione
per cui l’unico spazio riscaldato rimaneva la cucina. Risulta l’antichità di stufa ‘locale
riscaldato’, presente quale stüva nella parte più conservativa della Svizzera italiana (cf. il ted.
Stube ‘soggiorno riscaldato’ che è termine di derivazione romanza). Nel territorio di stüva
‘soggiorno riscaldato’, lo strumento di riscaldamento è la pigna, montata in loco, fatta di lastre
di pietra ollare, caricata di regola all’esterno. Il Sottoceneri, aperto sulla pianura e sull’Italia
(Como) presenta invece un tipo più moderno sia nella saletta quale ‘locale con i mobili buoni’
sia nell accezione di stüva, che vale qui solo ‘mezzo di riscaldamento’.
Alla sfera della giuridicità e del potere si riconducono molti altri casi, come l’ossolano töm
mo piū i abìtul ‘non confondermi, non farmi perdere la testa’ e quell’ arbìtul ‘forza, energia,
capacità di fare’.
L’acculturazione religiosa ed ecclesiastica penetrò in profondità la cultura orale, sì che ne
affiorano echi e riflessi nei settori più diversi, oggi lontanissimi dal tema religioso. Il
valsesiano ferna ‘turba di gente’ si rifà ad inferno, il pavese milasignáti 'moltitudine di
persone di varia condizione, folla' è sedimento biblico mentre il milanese visibili 'frenesia e
ragazzo pieno di vita' e il cremonese vüsübili 'gran confusione, diavolo' riflettono la ricezione
popolare del visibilium omnium. 8

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Holtus, G., Metzeltin, M., Schmitt, C. Lexikon der Romanistischen Linguistik. Max Niemeyer Verlag.
Tübingen, 1988
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ibid.
Per un approccio globale

La dialettologia lombarda si piega sul gergo nelle sue più diverse fenomenologie.
Linguaggio sociale, spazio della parodia nel suo rovesciamento speculare alto-basso e nel
contempo una delle più compatte operazioni linguistiche della cultura marginale, il gergo
richiederebbe un lungo discorso anche solo per l’ambito lombardo.9

Dai dialetti all’italiano regionale

Il fenomeno possiede i caratteri di una cesura storica: si impone nell’oralità una lingua
che ha vissuto per secoli un’esistenza in larga misura umbratile, affidata prevalentemente alla
scrittura; si chiude la lunga storia di varianti locali di molti dialetti; vi è la regressione non
tanto di molte parlate bensì il venir meno di intere culture, che fondatesi per secoli sul trádito
e sull’esperienza soccombono oggi alla cultura del nuovo, del consumo e del cambiamento. Il
fenomeno è massiccio, coinvolgente e denso di profonde conseguenze umane e sociali.
Il pocesso della koinè appare oggi come il fenomeno di gran lunga prevalente dal punto di
vista quantitativo nella realtà dialettale (non solo) lombarda. La koinè è stata nel passato un
fenomeno di avvicinamento all’uso geograficamente più largo, al tipo più diffuso, al modello
delle città e dei centri. La koinè risultava spesso il regno della variazione libera, del
polimorfismo. La koinè si stacca oggi sempre più marcamente dal modello dialettale per
orientarsi su un modello italianizzante.
L’italiano occupa gli ampi spazi lasciati sguarniti dai dialetti in declino: ma il “prezzo” di
questa avanzata è la regionalizzazione. Nasce non l’italiano, bensì l’italiano regionale. Su
quello lombardo, tra i più studiati soprattuto nella varietà svizzero-italiana.

Lombardismi in lingua

Esiste il contributo di Milano e della Lombardia nel dilatare il lessico italiano e


nell’adattarlo in maniera costante alle nuove esigenze del vivere associato, dell’istruzione,
dell’evoluzione tecnica (calcestruzzo, cemento armato, cavedio). I lombardismi in lingua son
ben più significativi e “profondi” dei soliti panettone, ossobuco, mascarpone, grappa, galletta
‘bozzolo’, filanda, soffoco ‘afa’, brughiera...

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Holtus, G., Metzeltin, M., Schmitt, C. Lexikon der Romanistischen Linguistik. Max Niemeyer Verlag.
Tübingen, 1988
Sullo scorcio dell’Ottocento si sviluppa in Lombardia una terminologia industriale e
sindicale che diventerà italiana. Può fungere da esempio la denominazione di capitano
d’industria ‘creatore di imprese industriali’.
Si deve anche riconoscere in spocchia ‘boria’ appunto l’italianizzazione di questa forma
lombarda attestata dal 1606 e rimasta poi sempre viva. I parlanti avevano e hanno coscienza
delle regole di corrispondenza tra lingua e dialetto; nel caso specifico il conguaglio c- kj era
dei più facili: öc – occhio, finöcc – finocchio, mücc – mucchio, cioster- chiostro, nicia –
nicchia, ecc. Analoghe regole di corrispondenza tra lombardo e italiano dovevano favorire il
dileguo della –n-: linger ‘leggero’, lengg ‘leggere’, corengia ‘correggia, cintura’.10

La conclusione

Come si può vedere, esistono la sezione occidentale e quella orientale, ma accanto a


queste due si individuano anche il lombardo alpino e quelli dialetti pavesi, lodigiani, e della
Bassa milanese, cremonesi e mantovani. La lingua lombarda riguarda oggi una popolazione di
oltre 10 milioni di persone attive su un'area di 31.000 km2, tra cui Lombardia, Novarese,
Svizzera Italiana, Trentino occidentale. Tutti questi paesi hanno avuto l'influsso sui dialetti
lombardi, creando così la lingua lombarda di oggi che ha le caratteristiche di tutti i menzionati
paesi. Ma come si può vedere nel testo soprascritto, non era solo la lingua standard che ha
influenzato il lombardo, ma occorse anche il viceversa. Le parole lombarde hanno
chiaramente lasciato le sue impronte nell'italiano, permettendoci di concludere che la lingua
lombarda ha senza dubbio un grande ruolo nel lessico della lingua standard.

Bibliografia

Holtus, G., Metzeltin, M., Schmitt, C. Lexikon der Romanistischen Linguistik. Max Niemeyer
Verlag. Tübingen, 1988

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Holtus, G., Metzeltin, M., Schmitt, C. Lexikon der Romanistischen Linguistik. Max Niemeyer Verlag.
Tübingen, 1988

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