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Anno accademico2020/2021

ricerca di : fenomenologia delle arti contemporanee


argomento : l’arte di Luciano Fabro

«Il rapporto con le cose è sempre un rapporto , non di appropriazione ma


di partecipazione, essere parte di... essere aderente , come due persone che
si abbracciano»

Docente:Pier Luigi Capucci Discente:Carmen Errigo


Biografia
Luciano Fabro nato nel 1936 a Torino da genitori originari del Friuli, luogo della sua infanzia e adolescenza, si trasferì
nel 1959 a Milano, la città di Lucio Fontana e di Piero Manzoni, che era stata officina del Futurismo.1
Grazie a Fontana decide di abbandonare la pittura a vantaggio della creazione di oggetti fisici che si integrano in uno
spazio reale e tangibile. Nel 1963, stila un manifesto [La mia certezza: il mio senso per la mia azione (pseudo-Bacone)]
nel quale dichiara il suo interesse per la questione della percezione e l’esistenza di una realtà esteriore legata a una in-
teriore, difendendo l’idea che le opere d’arte costituiscono uno strumento per la comprensione del mondo.2
Nella milanese galleria Vismara tiene la sua prima mostra personale nel 1965, anno in cui conosce la più sensibile e
partecipe tra i giovani critici italiani, Carla Lonzi.1
In quest’occasione espone opere come Buco, Impronta, Raccordo anulare, Ruota, Struttura ortogonale assoggettata ai
quattro vertici a tensione, Tondo e rettangolo . Sono queste opere germinali che egli ritiene fondamentali per il suo la-
voro.3
E’ chiamato nel 1967 dal critico Germano Celant a parteci-
pare alla mostra “Arte povera im-spazio” alla galleria La
Bertesca di Genova.
L’espressione stessa Arte povera fu coniata da Celant in
quella occasione e stava ad indicare un tipo di ricerca artis-
tica che rifiutava il sistema di produzione capitalistico-in-
dustriale e le dinamiche culturali ad esso collegate.
Una ricerca che, nelle parole dello stesso Celant, si incen-
trasse sui “processi di pensiero” alla base della creazione e
della fruizione dell’opera d’arte e non “implicasse necessar-
iamente l’esaltazione dei prodotti di consumo”.4

Germano Celant, afferma a tal proposito che l'arte povera si manifesta essenzialmente "nel ridurre ai minimi termini,
nell'impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi".5
Non a caso l’Arte Povera è, prima di tutto, un particolare tipo di approccio metodologico e attitudinale che privilegia il
carattere performativo, dinamico e partecipativo dell’opera a scapito della fissità immortale dell’arte tradizionale.
Gli artisti che aderiscono al movimento sfruttano materiali come terra, legno, ferro, stracci, plastica, scarti industria-
li,per comunicare la propria visione del mondo sulla realtà del presente. Alla luce degli sconvolgimenti sociali e politici
degli anni 60 gli artisti sentono la necessità di espri-
mersi sul presente affrontando vari temi , che riman-
dano ad una poetica volta alla riappropriazione di va-
lori primari come il senso della terra, della natura,
dell'energia pura, della storia dell'uomo.4
Nell’ambito più ampio della contestazione anti-capita-
lista della fine degli anni’60, l’Arte Povera promuove
una sensibilità per molti versi antitetica a quella di cor-
renti come la Pop Art, opponendosi tanto all’eccesso
d’informazione quanto alla riduzione dell’opera d’arte
ad oggetto commercializzabile, disponibile al consu-
mo. Come spiega la storica dell’arte Claire Gilman,
l’Arte Povera, pur senza riconoscersi strettamente in
un’ideologia, né voltarsi alla militanza, “celebrava (…)
il ritorno alla natura e ai processi corporei come via
d’uscita dalla razionalità borghese repressiva e dal sis-
tema capitalista.6
The Knot Arte Povera, NY Ps1 1985. Germano Celant
con Luciano Fabro e Paolo De Grandis. Foto di Maria Mulas

1 Daniela Lancioni “Fabro la difficile arte di essere lucidi” Il manifesto.it https://ilmanifesto.it/fabro-la-difficile-arte-di-es-


sere-lucidi/ (ultimo accesso21.3.2015, 16:59)
2 )Biografia online ”Luciano Fabro” Palazzo Grassi.it https://www.palazzograssi.it/it/artisti/lucio-fabro/
3 ”Comunicato informativo dall’accademia di Brera riguardante la mostra-omaggio dedicata a Luciano Fabro” Arte.it

http://www.arte.it/calendario-arte/milano/mostra-luciano-fabro-1983-4116#_
4 Giuseppe Spena “Arte Povera: cinquant’anni del movimento che ha catapultato l’Italia nel contemporaneo” RACNAMA-

GAZINE http://www.racnamagazine.it/arte-povera-7308-2/
5 Germano Celant, Arte dall'Italia, Feltrinelli 1988
6 “Arte povera” Domus.it https://www.domusweb.it/it/movimenti/arte-povera.html
Con la serie delle tautologie, che avevano come obiettivo quello stimolare i sensi dell’osservatore, limitandone l’esper-
ienza visiva, invitandolo a considerare l’immagine come semplice constatazione, Fabro entra di fatto tra le file del nuo-
vo movimento artistico. Ad esempio la performance che reca il titolo pavimento- tatuologia (1967) vede l’artista inten-
to nella pulitura e lucidatura di un pavimento ,che verrà poi coperto con dei giornali . E’ un rimando alla febrilità
dell’atto artistico che cela fatica. Quella stessa fatica che viene preservata dai giornali che vengono posizionati per far si
che il pavimento non si sporchi.7

Pavimento-tautologia 1967

Nei cicli successivi, dalle italie (1968) ai piedi (1971) dagli arcobaleni (1976) agli attaccapanni (1977) fabro ribalta la
funzione simbolica comunemente accettata di forme note, la silhouette delle quali, realizzata in vari materiali, è collo-
cata nello spazio in modi inconsueti e spiazzanti. L’intento è di indurre nel fruitore una consapevole esperienza dello
spazio, compiuta con tutti i sensi e senza pregiudizi. Nei suoi lavori recupera dimensioni monumentali, una concezione
sontuosa e un lavoro artigianale memore della migliore tradizione italiana . Ricorre a materiali preziosi quali marmo,
vetro e seta e, soprattutto, al colore e alla luce, come testimonia la serie degli attaccapanni esposta alla galleria napole-
tana Framart nel 1977.

Attacapanni 1977

Con Hidetoshi Nagasawa e Jole De Sanna inizia nel 1978 un lavoro didattico e di teoria dell’arte nella casa degli artisti
di Milano, esperienza da cui nasce il volume “Regole d’arte”(Milano 1980) e la decisione d’intraprendere la carriera ac-
cademica. Alcune delle numerose mostre antologiche che dal 1980 è chiamato ad allestire nei principali musei europei
sono da lui concepite come grandi habitat. Il primo dei quali è realizzato per la mostra curata da Celant nel 1980 al Pac
di Milano. Negli habitat la dimensione ambientale assume importanza fondante. Essi sono al centro dell’idea di “città
ideale” e portano alle estreme conseguenze le ricerche di Fabro sullo spazio come campo d’azione vivo, fatto di relazio-
ni e necessarie conseguenze tra i vari elementi presenti. Dal 1984 inizia a comparire nei titoli di diversi lavori il riferi-
mento a personaggi della mitologia greca (Euclide, 1984; Efeso, Prometeo, 1986). Contemporaneamente prende avvio

7 Paolo Emilio Antognoli ”Una didascalia di Luciano Fabro e una riproduzione di pavimento-tautologia” Le parole e le
cose (ultimo accesso 26 Giugno 2020)http://www.leparoleelecose.it/?p=38679
il ciclo esprit de géometrie, esprit de finesse. Fabro intraprende una riflessione sulla storia dell’arte antica e recente
che, alla fine degli anni ottanta, lo porta a realizzare lavori come Paolo Uccello (1450-1989) (1989), in cui mette in dis-
cussione la prospettiva classica, e due nudi che scendono le scale ballando il boogie-woogie (1989), volta a rappresen-
tare il connubio tra i padri della cultura figurativa moderna, Duchamp e Mondrian.

Due nudi che scendono le scale ballando il boogie-woogie 1989

Negli anni novanta realizza opere pubbliche, dove affronta problemi inerenti il ruolo sociale e professionale dell’artista,
il decoro urbano e il consenso della collettività (contratto sociale, 1992, facciata del municipio di Breda, Olanda).
Confrontandosi con l’iconografia della città spesso utilizza la natura come strumento e materiale linguistico (giardino
all’italiana, 1994, Basilea), riflette inoltre sulla rappresentazione della natura in sé (nido, 1994, riserva naturale di Rost,
Norvegia), e su quella religiosa (izanami, izannagi, Amaterasu, 1999, Giappone) e funeraria (tumulus, 1999, Nordhorf,
Germania).

Izanami, izannagi, Amaterasu, 1999 Nido, 1994

Su invito di Eduardo Cicelyn realizza nel 2004 l’installazione “L’Italia all’asta” in piazza del plebiscito a Napoli, che ripro-
pone in maniera spettacolare uno dei temi principali del suo percorso artistico. Nell’ambito del progetto di arte pubbli-
ca invito a: Luciano fabro, Sol Lewitt, Eliseo Mattiacci, Robert Morris, Richard Serra, ideato da Claudio Parmiggiani e
promosso dal comune di Reggio Emilia, espone nel 2005 l’araba fenice. L’anno successivo, nell’ambito degli incontri
“perché non parli?” conversazioni d'arte, ospitati dallo spazio Oberdan di Milano, interviene con Daniel Soutif sul tema
della scultura. Muore il 22 giugno 2007 nella sua casa di Milano.8

8Galleria arte contemporanea Casamadre “Luciano Fabro” Casamadre arte contemporanea.it https://www.lacasa-
madre.it/arte-contemporanea/luciano-fabro.cfm
Opere germinali
La prima fase del lavoro artistico si colloca tra il 1963 e il 1966 Fabro ,quando egli produce un gruppo di opere definite elaborati ,in
cui i titoli indicano ciò che essi sono : Buco , Impronta , tubo da mettere tra i fiori , raccordo anulare ,per citare alcuni esempi ... Tec-
nicamente parlando gli elaborati sono neutri . Realizzati con materiali poco “affabili” , non sono di per sè portatori d’immagini ma
semplici supporti che attivano il fenomeno del vedere . Entusiasmano per la logica trasparente con cui sono impiegati che si risolve
formalmente con il minimo di materia e il massimo di effetto raggiunto sull’intelletto e sui sensi .9
Partendo dal tema clou dello spazio che all'inizio elabora attraverso l'uso dello specchio, come nell’opera dal titolo "Il Buco" del '63,
forse un devoto riferimento a Lucio Fontana, ma con l'arbitraria combinazione di un cristallo trasparente a interstizi specchiati, cost-
ruisce "una cornice fatta per catturare l'attenzione e mettere a fuoco situazioni diverse", come dice Silvia Fabro.10
Buco, del 1963 , è un’ opera che l’artista ha presentato alla sua prima personale del 1965 alla galleria Vismara. Essa si costituisce per
l’appunto da un’ampia lastra di vetro trasparente ad intersizi specchiati . In questo modo l’immagine di chi guarda e lo spazio posto
alle sue spalle si fondono con la scena circostante e le altre figure poste oltre lo specchio.
Il Buco, come indica il titolo dell’opera, consiste nella zona centrale dell’opera specchiata, che in un certo senso da vita a una sorta di
lacerazione paradossale. Il Buco si estende con intenzione in tutto l’ambiente che lo circonda: sulla lastra, di fronte a chi vede, le
parti a specchio e le parti di vetro, simili a pezzi di carta stracciata con una fossa al centro, disorientano l’astante. Egli non può con-
nettere la sua frontalità con le centinaia di direzioni in cui lo mandano e riprendono i pezzi di specchio e di vetro.
Da questo presupposto Jole de Sanna ha infatti notato che:
la realtà è una relazione tra le cose e lo spettatore è responsabile della relazione.
L’opera costitusce per tanto la volontà di andare oltre, ai limiti imposti dalla superficie,alla ricerca di una quarta dimensione.
Potremmo così dire che fruendo dello spazio come attraverso un buco, lo sguardo viene spinto a vedere contemporaneamente ciò
che si riflette e ciò che traspare.
In realtà, la volontà iniziale dell’artista era quella di ottenere delle lastre dove il motivo a specchio fosse visibile su entrambi i lati; in
questo modo, secondo Fabro, lo spettatore avrebbe potuto girare attorno alla scultura aumentando il rapporto singolo- spazio. Pur-
troppo però, negli anni in cui si stava approcciando all’opera, le tecniche di lavorazione erano ancora abbastanza limitate, e quindi fu
per lui impossibile realizzare questa idea.
Negli anni 2000, riprese in mano i suoi lavori degli anni Sessanta per inserirli in contesti museali; questa fu per lui l’occasione di non
fare una semplice copia delle opere, ma di attuare una rielaborazione in ottica delle nuove possibilità tecniche, al fine di compiere
la sua idea originale. Il Buco presente al Museo del Novecento è frutto di questo lavoro; realizzato in dimensioni maggiori della pri-
ma esecuzione, presenta inoltre l’intreccio segnico eseguito dall’artista al computer, a differenza del precedente intervento man-
uale.11

Luciano Fabro , Buco (Hole), 1963 Simon Lee Gallery London, 2017

9 Laura Vecere,In Assenza Appunti sull’autoritratto contemporaneo,Pisa,University press,2017 pg.43


10 LAURA LARCAN “Fabro il povero” Repubblica.it (Ultimo aggiornamento 04.01.2010 ) https://www.repubbli-
ca.it/2007/11/sezioni/arte/recensioni/fabro-povero/fabro-povero/fabro-povero.html
11 Ilaria Tolasi “pensiero artistico e produzione scultorea di Luciano Fabro:il rinnovamento a Milano negli anni 60” Lo

sbuffo.it https://losbuffo.com/2018/04/13/pensiero-artistico-e-produzione-scultorea-di-luciano-fabro-il-rinnovamento-
a-milano-negli-anni-sessanta/ ultimo accesso13/04/2018
Impronta
Consiste in un tondo di vetro trasparente opaco ,nel cui centro compare in sospensione l’impronta della mano dell’artista
registrata mentre compie un movimento circolare. In essa è catturato con leggerezza un gesto tanto elementare quanto as-
soluto: la mano che accarezza lo spazio , o la mano che si imprime nello spazio .
Un gesto che fa tornare in mente Qfwfq il protagonista di un racconto di Italo Calvino: Un segno nello spazio . E’ una pura
entità cosciente dotata di ironia. Benchè priva di arti e organi di senso , essa riesce ad apporre , non si sa come , un segno
primordiale , un siggillo di sè ,un frammento di materia ,nella lunga rotazione di frammenti caotici di un universo in forma-
zione . Anche nel caso di Fabro , l’impronta era apposta alla materia resa ,amorfa, dal caos entropico .
Fabro ha affermato che la scultura rappresentava la longevità del mondo .
Essa infatti designa un avanti e un dietro dello schermo , ma
anche un prima e poi temporale , che si sprigionano da uno
stesso atto che condivide con Qfwfq: la consapevolezza della
tensione primordiale all’esserci dell’artista . Se Buco metteva in
comunicazione un avanti e un dietro dello spazio, forandolo
,Impronta invece tocca e si impossessa dell’intangibilità imma-
teriale , imprendibile , ma fisica dell’aria , determinando
un’identificazione di luogo ,congiunta ad un appropriazione
dello spazio . L’artista non si palesa se non attraverso l’effetto
indiretto scaturito dall’atto .12
Nel 2013 la sua opera Impronta, datata tra il 1962 e il 1964,
esposta in uno spazio espositivo di Lugano, venne accidental-
mente fatta cadere a terra da un giornalista radiofonico, Salva-
tore Maria Fares. L'opera, in vetro, andò irrimediabilmente
distrutta.13 Impronta 1962-1964

Raccordo Anulare
Il titolo si riferisce ai due anelli raccordati da un ‘asta di ottone: un anello più
grande saldato in cima all’asta e l’altro ,più piccolo e più in basso ,incernierato e
dotato di mobilità rispetto al primo. Le grandezze dei pezzi sono commisurate
alle dimensioni fisiche dell’artista: il cerchio grande è vicino alla circonferenza ot-
tenuta con le braccia, il cerchio più piccolo in basso corrisponde a quello formato
dalle mani , le sezioni dei tubi di ottone sono relazionate alla grandezza del suo
pollice e dell’indice . Nell’insieme i raccordi anulari sono dei misuratori di spazio
e , anche se l’artista ha configurato lunghezze e spessori sulla sua persona ,ri-
fuggono da identificazioni di tipo antropomorfico grazie al modo in cui sono
disposti. Il primo elemento è in piedi appoggiato sul pavimento. Il secondo ,con
uno scarto rispetto al riferimento della posizione eretta dell’uomo,sporge in oriz-
zontale dalla parete . Il terzo, invece è ancorato al soffitto,quindi a testa in giù.
Queste sono posizioni per tanto impossibili da assumere per un essere umano. Il
che implica sondare lo spazio nella sua totalità essendo posizioni non riferibili
comunemente a quelle di un corpo . Fabro definisce “le nuove coordinate” che
movimentano e alterano lo spazio neutro così :<La mia ambizione era di creare
una cerniera tra me e il mondo estraneo , trovare il punto di contatto,il punto di
naturalezza nel reciproco contatto>.12
Con quest’opera da il via ai suoi studi di gravità, peso, resistenza, sopra le prime
acquisizioni dei vetri , e intorno al sovvertimento della banalità spaziale dando di-
mostrazione del fatto che ambientare e spaziare non e un’azione indifferente alla
consistenza delle cose.14

Raccordo Anulare (1963-64)

12 Laura Vecere,In Assenza Appunti sull’autoritratto contemporaneo,Pisa,University press,2017 pg.44


13 Rsi News "Impronta" distrutta: "E' stata fatalità" Rsinews.it https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insu-
bria/cronaca/Impronta-distrutta-E-stata-fatalit%C3%A0-444488.html ultimo accesso 13 maggio 2014
14 Jole de Sanna,Luciano Fabro Edizioni Essegi, Ravenna 1983
Habitat /abitante

Verso la metà degli anni 60 le opere di Fabro si dividono in più filoni o famiglie di lavori che proliferano gli uni dagli altri
,come appunto fanno gli habitat ,a cominciare da ”In cubo” .
Esso è uno spazio cubico costituito sulle misure dell’artista e realizzato in tela sostenuta da montanti di legno, facilmente
sollevabile dal pavimento su cui è poggiato .
Un parallelepipedo di legno dove è possibile entrare fisicamente, concepito dall'artista per consentire a chi lo prova di rilas-
sarsi e trovare il proprio equilibrio.
"Uno spazio isolato - avverte Silvia Fabro - in cui i rumori esterni sono attutiti, il pensiero facilitato e l'attenzione diretta
alla propria persona: alla percezione di se stessi nello spazio.
Difatto una volta dentro si è isolati dalla membrana luminosa del panno bianco che ha il compito di sottrarre il contatto vis-
ivo e amplificare l’attenzione all’ascolto della sonorità e dell’ambiente circostante. Il mondo reale viene provvisoriamente
lasciato fuori i cinque teli del cubo ,dai quali filtra una luminosità che allo stesso tempo isola e riconduce all’esterno . Lo
spettatore avverte su di sè medesimo la ricchezza delle modificazioni sensoriali a cui è affidata l’attività spaziale . Proprio
perchè privato delle cose ,lo spettatore ritrova le basi di un comportamento spaziale che è autoregolazione: < indispensa-
bile a chi ,non volendo darsi illusioni sul mondo ,accetta ed ben contento di essere unicamente quello che vale la pena che
sia>.15
Se Buco era stato realizzato da Fabro guardando alla lezione spaziale di Fontana ,l’habitat lavora nella direzione creata
dagli Ambienti spaziali dello stesso autore rielaborando e amplificando il concetto di luogo inteso come habitat , che
da vita ad un’esperienza immersiva ,amplificando i sensi del visitatore.
Ricordiamo che la definizione terminologica di habitat indica il luogo dove si hanno le condizioni più favorevoli allo svi-
luppo della vita della natura e nella natura.
Per questo ciò che emerge maggiormente nelle opere di Fabro è come lo spazio mette in moto le reazioni di orientamen-
to, di stare e di occupare.
Aver capito questa cosa servirà da indice per valutare la posizione di ogni lavoro negli ambienti di Fabro e la sua collo-
cazione nello spazio . La constatazione è, direi, clamorosa nei lavori di colore: sempre si trasformano i caratteri del luo-
go in cui sistema le cose o in cui le realizza .16

In-cubo (1966)

15 Laura Vecere,In Assenza Appunti sull’autoritratto contemporaneo,Pisa,University press,2017 pg.45


16 Jole de Sanna,Luciano Fabro Edizioni Essegi, Ravenna 1983
Ricostruzione ambiente di Aanchen ,nella sala napoleonica dell’Accademia di Brera

Nell’ambiente di Aachen quello che fa funzionare lo spazio sono tre cose: il fatto che non c’è contatto tra il soffitto e le
pareti; che attraverso il distacco penetra la luce e l’aria; che nonostante la carta sia un materiale opaco, grazie ai primi
due elementi questo materiale opaco diventa l’anello di trasmissione dell’esterno nell’interno e viceversa. Anche questo
ambiente, come In-Cubo, è trasparente. A questo punto il nostro lavoro si precisa. Abbiamo individuato una ragione
non precaria e non meramente tecnica nell’ordinamento degli spazi: la trasparenza. Cioè in sostanza, dopo un accenno
di rigore ai materiali di esecuzione e ad uno strumento tecnico come la geometria, è venuta fuori la più importante
qualità acquisita con lo spazio, la trasparenza.
La trasparenza mette in discussione sia la frontalità della visione e i caratteri connessi con la frontalità, come la simme-
tria, sia il modo di stare gravitazionale, di fronte o dentro l’opera.
Come l’ambiente di Aachen, così In-Cubo è reso trasparente dall’esserci dentro, non dal guardarlo puro e semplice
quale un oggetto. È proprio e solo esserci dentro che lo rende trasparente, solo stare nell’opera comunica la continuità:
senti quello che c’è e quello che succede, avverti i fenomeni interni ed esterni, acuisci le sensazioni. La trasparenza
dell’opera diventa la cornice dello spazio. Dunque non il fatto di essere un cubo ma la trasparenza finale nelle sensazio-
ni è ciò che dà la consistenza del lavoro: tu usi la capacità che ha l’opera di metterti in ascolto, la sua flessibilità e
adattabilità a te e alle cose. E infine il fatto che nel legame con l’opera tu diventi un essere che trasmette: è questo che
dà carattere allo spazio che chiamiamo trasparente. La trasparenza non è ottica ma di tutte le sensazioni.

La cancellazione del senso di chiuso è il paradigma della spazio.

Quindi anche se non si può visitare lo spazio dentro e fuori nello stesso momento, il lavoro fa sentire il fuori anche se
non esiste. Il risultato è di stare nello spazio espandendosi, passando attraverso. Comunque egli cancella - e questo è
nello stesso tempo un principio di fondo della teoria sua, del dentro e del fuori simultaneo - cancella sempre il senso del
chiuso. Tu puoi riconoscere un’opera di Fabro quando manca il senso di chiuso e il senso di pieno. Deve far sentire
vastità, apertura in ogni lavoro, dare la possibilità di respirare. Razionalizzando si può dire che è una ricreazione della
condizione naturale di spazio: la sensazione di sconfinare accompagna la constatazione che lo spazio non comincia e
non finisce e che non è né aperto né chiuso. La dimostrazione di questo è nei dettagli. Egli non chiude mai e non dà mai
il senso della cosa fatta, ma di una cosa che è così. Il senso delle relazioni è il più importante preso in natura, il fatto di
aprire i contatti: né in In-Cubo né mai in nessun Habitat sono segnate luci artificiali o luci apposta per l’habitat; l’habi-
tat prende luce dall’ambiente in cui è, condivide le condizioni di luce del suo luogo. È la sempre maggiore naturalezza
il coefficiente di progressione anche rispetto all’inventore dell’ambiente spaziale, Fontana (v. luci al neon, di Wood,
ecc. in Fontana). Procedendo nella scala naturale, egli asporta sempre più elementi di artificio .17

17 Jole de Sanna,Luciano Fabro Edizioni Essegi, Ravenna 1983


L’habitat/Rotterdam e Io (L’uovo)

L’habitat di Rotterdam 1981 costruito nel museo Boymans-van Beuningen ,è senza dubbio una della realizzazioni più
impegnative per inventiva progettuale e mole architettonica affrontate da Fabro. All’interno del corpo centrale del padi-
glione usato per le mostre temporanee del museo ,l’artista ha edificato ,senza giungere al soffitto quattro pareti divisorie
,come fossero risme di carta bianca, coronate alla sommità da tettucci ondulati del medesimo materiale ,producendo
nell’insieme un effetto di estrema leggerezza . I muretti di “carta erano stati progettati per suddividere visivamente lo
spazio principale in un gioco articolato e complesso di prospettive inverse ma anche allo scopo di innestare ,nello spa-
zio amorfo del salone modernista ,la sensazione di una preesistenza : quasi come se fosse un reperto archeologico affior-
ato dal nulla dove le opere ,richiamandosi l’un l’altra, vengono incontro ad un osservatore che passeggia nell’atmosfera
diafana e lievemente trasognata del luogo.

Habitat di Rotterdam 1981 Vademecum(1978)

Io(L’uovo)(1978) posto nel centro magnetico dell’esposizione,non è altro che un grande uovo di bronzo ,corrispondente
alle misure dell’artista messo in posizione fetale ,poggia su una rotativa di carta che gli fa da piedistallo ed è piazzato
quale chiave di volta all’intersezione delle traiettorie ricurve disegnate sul pavimento .
L’autoritratto Io(L’uovo) si comporta cioè come elemento cerniera che unifica due orizzonti temporali differenti : alle
sue spalle , in uno spazio più piccolo sono dislocati lavori antecedenti al 1971,mentre il lato opposto , è rivolto verso lo
spazio più ampio dove convergono le traiettorie rettilinee dei muretti centrali e delle vie in cui sono disposti i lavori
dopo quella data. Io (L’uovo) è il fulcro di uno spazio- tempo eccentrico . Il suo alfa e omega . Attrae tutto in sè e ri-
manda tutto da sè . Valutando la natura della costruzione di questo particolare habitat l’artista osserva :<ecco il luogo-
topos,ecco cosa intendo per immagine: il luogo dell’eccitazione dei sensi ,l’eccitazione da cui scaturisce la parola logos.
Questa idea di crearsi il luogo l’habitat è molto meno umana di quanto si sia abituati a credere ed altrettanto poco origi-
nale nelle soluzioni. Non esiste originalità nel topos ma piuttosto fedeltà alle sue immagini .Il luogo- immagine non è nè
sintesi nè astrazione ma solo rigenerazione >.
Io (L’uovo)aveva avuto e avrà ancora collocazioni differenti e offrirà differenti piani di lettura a seconda della sua collo-
cazione . Nel Vademecum che accompagna la mostra si trova definito il suo aspetto “camaleontico”,la sua attitudine a
prendere posto nei contesti sempre nuovi in cui è convocato a stare .
<Ho costruito quest’uovo e dirò anche perchè l’ho fatto
in bronzo . Il bronzo ha un ‘epidermide da camaleonte.
Come il camaleonte può sembrare una foglia o un fiore
,così il bronzo può tramutare la pelle senza necessaria-
mente cambiare la forma . Per rendere pieno il suo vuo-
to ,l’interno è dorato:l’oro è metafisico per definizione .
A questo punto si chiude il gioco del caso :riscontro che
Io ha il mio stesso peso ,70kg e come me ,suo prototipo
,ama i luoghi d’acqua>.
Io (L’uovo) risolve in un nuovo rapporto antropometrico
la continuità tra interno ed esterno di In cubo . Nello
stesso vademecum è affrontata la questione del luogo e
della relazione tra opera e luogo .<Ciò che determina
una società è il luogo ,la logica ,la legge ,la morale .
Nella società cui appartengo l’artista si colloca fuori dalla logica ,fuori dalla lugge ,fuori dalla morale , vive e dovrebbe
vivere in uno stato utopico (u-topos=fuori luogo), egli rappresenta o dovrebbe rappresentare l’opposto complemenntare
della società:l’individuo .Perchè mi sono messo a costruire ? Per chiudere il vuoto logico, ossia per ridare esistenza
all’artista ,per ridare senso (logos) alla società . L’artista non è un divulgatore del logos ,determina il logos costruendo il
topos o luogo di nascita del logos , l’immagine. L’immagine da seguito alla logica ,la logica al dialogo. La società che
ne consegue si riconoscerà in questa immagine tramite la morale,la difenderà attraverso la legge. Alla società cui appa-
rtengo è mancata l’immagine ,da ciò il suo vuoto logico.

Opere di Basilea
A Basilea habitat e autoritratto trovano un ultimo punto di confluenza con l’esposizione congiunta di Sisifo e la realiz-
zazione del Giardino all’Italiana (1994) in una piazza della città . Il circolo si chiude . Il giardino all’italiana, ultimo in
ordine di apparizione , specchia i piani teorici espressi nell’atto artistico e si risolve nella trasformazione di una piazza ,
non particolarmente significativa della città ,in una Biblia Pauperum:un libro leggibile da tutti . Una specie di cosmogo-
nia contemporanea ,che tutti sono in grado di vedere o ignorare . Ancora, come nel museo di Rotterdam,l’idea è quella
di costruire in uno spazio non caratterizzato ,l’immagine di una preesistenza, un’archeologia del tempo . La piazza giar-
dino di Basilea è infatti pensata come una sintesi d’impronte temporali, a cominciare dalla scelta delle essenze vegetali
,alberi da frutto non innestati ,noccioli , ciliegi, castagni che sollevano in prossimità delle radici il pavimento della piaz-
za in granito . Le stele (anch’esse in granito) attraversano lo spazio della piazza disposte a intervalli regolari alludendo
alle palificazioni di una vigna come se ne trovano ancora nelle vallate alpine. La coltivazione è il primo segno della
civiltà stanziale e il primo seme della città degli uomini. La coltura della vite ,a sua volta ,è tra le più antiche e più car-
iche di retaggio simbolico nella storia del mondo occidentale. Le luci a pavimento che si accendono di sera sono , a det-
ta dell’artista, disposte secondo le costellazioni dell’emisfero australe.

Giardino all’italiana 1994

Dal corpo del mondo passiamo al corpo di Sisifo.Sisifo allude all’uomo primordiale tanto astuto da ingannare per ben
due volte gli dei dell’ade. Poi, punitoo per aver sfruttato e diffuso un segreto di Zeus ,venne condannato alla pena di sal-
ire con un masso enorme fino in cima alla collina e a fallire ogni vota in prossimità della meta . Sisifo persevera senza
cedere o rassegnarsi :<Perchè>, dice Fabro, <se Sisifo non può mantenere il macigno in cima alla collina, neanche gli
dei possono impedirgli di riprovarci . Trovo questo molto contemporaneo>.L’opera è concepita come un macro sigillo ,
cioè un grosso cilindro in marmo Portorino sui due lati sono incise le costellazioni dei due emisferi . Come in ogni sigil-
lo , la figura incisa sul cilindro è segreta e appare solo
quando questo è impresso su un medium. Nel caso di
Sisifo , Fabro predilige ruotarlo sopra la polvere di far-
ina , dove , con l’aiuto della luceradente ,si rivela il
contorno di un nudo virile l’Artista / Priapo/Atlante.
Non signifca altro, in questo caso che la definizione
del ruolo dell’artista , di chi da la forma .Un simbolo di
vita in eterno rinnovamento .18

Sisifo1994

18 )Laura Vecere,In Assenza Appunti sull’autoritratto contemporaneo,Pisa,University press,2017 pg.48-50


Luciano Fabro nella mostra”Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960-70

La mostra vitalità del negativo nell’arte italiana 1960-70 , svolta tra il novembre del 1970 e il gennaio del 1971 a Palazzo
delle Esposizioni a Roma e curata da Achille Bonito Oliva , si pose come primo esperimento della collaborazione tra
pubblico e privato nell’allestimento di un’esposizione in Italia. Infatti l’associazione culturale incontri internazionali
dell’arte si affiancò al comune di Roma sostenendo l’istituzione pubblica in un periodo che ,per via della larga diffu-
sione delle ideologie di sinistra , non era favorevole a queste interazioni. Le mostre di arte contemporanea a Roma , si
erano infatti tenute in precedenza quasi tutte esclusivamente allesterno di un circuito istituzionale e all’interno di gall-
erie private quali l’Attico di Fabio Sargentini , La Tartaruga di Plinio De Martis e La Salita di Gian Tomaso Liverani , ed
erano dunque finanziate grazie all’iniziativa e agli investimenti dei singoli imprenditori privati . La mostra si pose come
obbiettivo di fare una rassegna di tutti quei movimenti che avevano caratterizzato l’arte italiana negli anni 60 .
Il risultato , doveva essere nelle intenzioni quello di restituire un’immagine , il più possibile fedele che ritraesse i movi-
menti e gli artisti che avevano caratterizzato il panorama italiano , la loro evoluzione e il punto d’arrivo delle loro perso-
nali ricerche artistiche alle soglie degli anni 70 . Nella mostra erano quindi presenti tendenze diverse ,tra i 33 artisti , af-
fiancati non per evidenziare le loro differenze ma per esaltare le loro analogie: new-dada ,pop art, arte processuale ,
arte cinetica e visuale ,arte concettuale e l’arte povera .
Fabro ebbe a disposizione 2 stanze per esporre le sue opere e scelse di presentarne 3 : Tondo e rettangolo(1964), In
Cubo (1966) e De Italia (1970)

In tondo e rettangolo predomina l’elemento geometrico. L’opera è formata da 2 lastre di vetro poggiate su un sostegno
metallico: una di queste è costituita da una superficie di vetro specchiante e ha forma circolare , affiacata da una lastra
rettangolare ,sempre di vetro specchiante ,al cui interno è iscritto un cerchio di vetro trasparente ,delle stesse dimen-
sioni del primo ma collocato alcuni centimtri al di sopra di esso . Entrambi i cerchi sono segnati due diametri perpendi-
colari tra loro . Questa disposizione costringe lo spettatore a ricostruire l’immagine specchiata a partire dalle immagini
riflesse nei due specchi che sono complementari tra loro - l’immagine riflessa nel cerchio specchiante completa infatti
l’immagine riflessa nella superficie rettangolare , costringendo lo spettatore a spostare dinamicamente lo sguardo da
una superficie all’altra per sovrappore l’immagine riflessa nel cerchio specchiante a quella visibile attraverso il cerchio
trasparente, misurandosi così con quella che è la propria percezione dello spazio circostante.
Fabro servendosi di materiali che riproducono il mondo circostante senza deformarlo ma rappresentandolo in una for-
ma inaspettata, costringe lo spettatore a modificare i propri schemi mentali nella contemplazione dell’opera d’arte. A
questo punto lo stimolo a un ‘attività psichico percettiva porta lo spettatore ad ampliare la propria visione del mondo
imponendo un’attenzione diversa e inconsueta. Carla Lonzi a proposito afferma :< Poichè contemplare equivale sì a ve-
dere ,ma nel senso di disporsi a ricevere, mentre in questo caso Fabro non ha da proporre alcun pronunciamento sulla
realtà: le cose sono lì nella loro immagine occasionale e lo spettatore è stimolato a scoprirle per quello che sono , dal
momento che nessuna traccia gli permette di orientarsi nella dissociazione spaziale che egli risente come vero e pro-
prio disordine psichico> .

Tondo e Rettangolo (1964) Tondo e Rettangolo Simon Lee Gallery 2017


Con In Cubo Fabro giunse ad una ulteriore riflessione sul rapporto tra visitatore e lo spazio . L’opera è realizzata da cin-
que facce chiuse : una struttura di legno e metallo sostiene una tela bianca abbastanza sottile da lasciar filtrare la luce
dall’esterno ma al contempo abbastanza spessa da non risultare trasparente . La sesta faccia,adiacente al pavimento è
aperta , in modo che il visitatore possa sollevare il cubo per poter fruire l’opera. In Cubo fu concepita in modo tale da
poter essere fruita esclusivamente dall’interno ,da qui l’importanza fondamentale della preposizione “in” del titolo a
riarcare la sensazione di entrare a far parte dell’opera. Lo stesso artista , parlando dell’opera dichiarò: < La copertura
toglie profondità all’altezza senza creare incombenze. Riuscire, allargando le braccia , a toccare i lati opposti , rassicura
del giusto contenimento . I rumori che ci giungono e il pavimento che vediamo sotto i piedi ci legano al mondo esterno
,il resto è attenzione> .
Nell’idea di Fabro il cubo avrebbe dovuto costituire uno spazio confortevole e rilassante all’interno del quale lo spetta-
tore potesse sentirsi sereno , al sicuro, egli stesso afermò : < con In Cubo la mia intenzione era porre l’individuo in una
situazione astratta che gli desse , alla fine , una sensazione di pace>.
Carla Lonzi descrive in maniera puntuale il concetto dell’opera che si distanzia in maniera sostanziale dai lavori prece-
denti con specchi e vetri trasparenti: < Anzichè presupporre lo spettatore, questa volta Fabro presuppone l’ambiente
entro cui pone , come dato da sperimentare, lo spettatore> .
Il materiale impiegato fu selezionato appositamente per fare in modo che all’interno del cubo la luce, che filtrava
dall’esterno, non generasse ombre . Inoltre le dimensioni furono concepite in modo che una persona adulta di statura
media potesse muoversi agevolmente all’interno senza godere però di un’eccessiva libertà di movimento che second-
do l’artista avrebbe potuto suscitare inquietudine nel visitatore. Secondo la testimonianza dello stesso Fabro , persino
le persone che soffrivano di claustrofobia , all’interno del cubo , non erano prese dall’ansia.
L’attività artistica si concretizza dunque nel rapporto tra la persona e l’oggetto: nessuna delle due ha valore in sè e l’op-
era d’arte si manifesta solo nel rapporto conoscitivo in cui un soggetto interagisce con un oggetto e ne fa veicolo di
conoscenza.
L’opera era stata aesposta in 2 mostre ,una personale presso la Galleria Notizie a Torino e “Lo spazio dell’Immagine” a
Foligno ,entrambe nel 1967 .

In Cubo, 1966: immagini realizzate nello studio di Giovanni Ricci, via Verdi Milano 1966, pp. 26-
28. Photo © Giovanni Ricci, Milano
Delle 3 opere presenti alla mostra “Vitalità del negativo” , De Italia fu l’unica ad esservi esposta per la prima volta. Non-
ostante ciò, l’opera è parte di una serie che Fabro iniziò già nel 1968, che prevedeva la realizzazione e la deformazione ,
del profilo della penisola . Riguardo a questa indagine , lo stesso Fabro disse: < Ho bisogno di capire come funzionano
le mie mani su una cosa che rimanga statica. La forma dell’Italia è statica, immobile, misuro la mobilità delle mie mani
su una cosa ferma > . Con la serie Italie l’artista analizzò il concetto di nazionalità.
Le italie possono essere allestite appese sul muro capovolte o si possono appoggiare a terra. Sono costituite da diversi
materiali : si trovano per esempio Italie in pelle , in piombo , in vetro , in oro che caratterizzano l’opera rendendone di
volta in volta peculiare la resa estetica , ovvero la scelta della materia da usare diviene determinante per la forma este-
tica. Egli riteneva che con la riproposta dell’oggetto in sè non ne riproponiamo l’esperienza , ma esso è importante per
il suo valore conoscitivo . Anche i titoli variano a seconda del messaggio intrinseco dell’opera .
Italia carta stradale (1969) Italia fascista (1969) L’Italia d’oro (1971) Speculum Italiae(1971) .

Per l’opera interessata afferma : < l’ho chiamata De Italia perchè mi parve si svolgesse come un argomento>
Come rivela il titolo l’opera rappresenta la sagoma della penisola . In questo caso l’opera è realizzata con una base di
ferro , fissata alla parete , che riproduce solo i profili orientali .Il foglio di piombo è ripiegato sulla lamiera di ferro in
modo da formare delle balze che separano i due profili della penisola, quello occidentale e quello orientale. La peniso-
la è ruotata di 90 gradi in senso antiorario , di conseguenza il profilo occidentale si trova in basso e quello orientale in
alto . L’idea di fondo è quella di prendere una figura che sia nota e riconoscibile , deformandola così da svuotarla dei
suoi connotati ideologici e familiari . A riguaro Celant precisò: < La spinta alla base delle Italie verte sulla preoccupa-
zione costante di Fabro per il carattere contraddittorio dell’esperienza. L’artista sceglie un’ icona “già fatta” , conosciuta
e familiare , e si lancia in essa per svuotarne il mito o il valore di immagine così da rileggerla solo in chiave di argomen-
tazione formale . Usa la retorica contro la retorica , riduce cioè una figura, ideologica e simbolica , a segno grafico , lo fa
a pezzi e usa i frammenti per argomentare sulla tecnica dell’arte> . In questo modo attraverso la deformazione della sa-
goma si ottiene così la deformazione del significato, che può essere piegato a scopo di veicolare concetti ideologici ,
come è palese nel caso dell’Italia rovesciata che ,appesa “a testa in giù” non può che richiamare la fine di Benito Mus-
solini e ,con essa,farsi portatrice di un senso polemico nei confronti del fascismo e dei valori ad esso correlati. 19

Italia di pelle 1970 L’Italia d’oro (1971)

19Luciano Fabro nella mostra Vitalità del negativo, Storia dell'arte contemporanea docsity.com https://www.docsi-
ty.com/it/luciano-fabro-nella-mostra-vitalita-del-negativo/4099413/
Bibiografia e sitografia
Daniela Lancioni “Fabro la difficile arte di essere lucidi” Il manifesto.it https://ilmanifesto.it/fabro-la-difficile-arte-di-es-
sere-lucidi/ (ultimo accesso21.3.2015, 16:59)

Biografia online ”Luciano Fabro” Palazzo Grassi.it https://www.palazzograssi.it/it/artisti/lucio-fabro/

”Comunicato informativo dall’accademia di Brera riguardante la mostra-omaggio dedicata a Luciano Fabro” Arte.it
http://www.arte.it/calendario-arte/milano/mostra-luciano-fabro-1983-4116#_

Giuseppe Spena “Arte Povera: cinquant’anni del movimento che ha catapultato l’Italia nel contemporaneo” RACNAMA-
GAZINE http://www.racnamagazine.it/arte-povera-7308-2/

Germano Celant, Arte dall'Italia, Feltrinelli 1988

“Arte povera” Domus.it https://www.domusweb.it/it/movimenti/arte-povera.html

Paolo Emilio Antognoli ”Una didascalia di Luciano Fabro e una riproduzione di pavimento-tautologia” Le parole e le
cose (ultimo accesso 26 Giugno 2020)http://www.leparoleelecose.it/?p=38679

Galleria arte contemporanea Casamadre “Luciano Fabro” Casamadre arte contemporanea.it https://www.lacasa-
madre.it/arte-contemporanea/luciano-fabro.cfm

LAURA LARCAN “Fabro il povero” Repubblica.it (Ultimo aggiornamento 04.01.2010 ) https://www.repubblica.it/2007/11/se-


zioni/arte/recensioni/fabro-povero/fabro-povero/fabro-povero.html

Ilaria Tolasi “pensiero artistico e produzione scultorea di Luciano Fabro:il rinnovamento a Milano negli anni 60” Lo sbuf-
fo.it https://losbuffo.com/2018/04/13/pensiero-artistico-e-produzione-scultorea-di-luciano-fabro-il-rinnovamento-a-
milano-negli-anni-sessanta/ ultimo accesso13/04/2018

Rsi News "Impronta" distrutta: "E' stata fatalità" Rsinews.it https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/cro-


naca/Impronta-distrutta-E-stata-fatalit%C3%A0-444488.html ultimo accesso 13 maggio 2014

Jole de Sanna,Luciano Fabro Edizioni Essegi, Ravenna 1983

Luciano Fabro nella mostra Vitalità del negativo, Storia dell'arte contemporanea docsity.com https://www.docsi-
ty.com/it/luciano-fabro-nella-mostra-vitalita-del-negativo/4099413/

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