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CITAZIONI LIBRI

MODULO 1
DEFINIZIONI
1. PROVE DI PERIODIZZAZIONE
«Ciò che è seriamente in discussione è quella concezione di una ‘storia dell'arte’ universale e
uni cata che ha così a lungo servito, in modi diversi, sia l'artista che lo storico dell'arte. Gli artisti
oggi spesso ri utano del tutto di partecipare a una storia dell'arte in corso. [...] Sia l'artista che lo
storico dell'arte hanno perso la ducia in un processo razionale e teleologico della storia dell'arte,
un processo che deve essere portato avanti dall'uno e descritto dall'altro

Hans Belting, The End of the History of Art?, 1987

“L’onda d’urto dell’arte contemporanea, travolgendo regole, abitudini, pratiche consolidate,


sembra aver innalzato un’impenetrabile barriera verso l’arte ‘antica’, comunque la si voglia
de nire. È come se questa drastica rottura con il passato dovesse necessariamente comportare
un nuovo inizio, il divorzio de nitivo dai tempi lunghi della storia in nome di un presente che
sempre si rinnova, ma non sedimenta, non ha memoria, non accetta di farsi esso stesso
“passato” con il trascorrere degli anni: o presente, o non è”.

Salvatore Settis, Incursioni, 2020

“Questo voleva dunque essere l’incompiuto Atlante: un osservatorio sismogra co, dove l’ago-
sensore che capta le onde e le registra lo stesso Warburg, mentre le tavole di Mnemosyne
corrispondono alla raccolta dei dati. [...] Le onde da registrare erano quelle delle formule di pathos
che scompaiono come in un ume carsico e tornano in luce secoli o millenni dopo grazie al fuoco
segreto del loro contenuto espressivo”.

Salvatore Settis, Incursioni, 2020

2. FORME E CONTESTI
“Il poeta o artista d'avanguardia cerca in e etti di imitare Dio nel creare qualcosa di valido
unicamente entro i propri termini, nel modo in cui è valida la natura stessa, nel modo in cui un
paesaggio – e non la sua rappresentazione – è esteticamente valido; qualcosa di ‘dato’, di
increato, di sciolto da signi cati di somiglianza o da signi cati originali. Il contenuto deve
dissolversi a tal punto nella forma che l'opera d'arte o di letteratura non può ridursi, nella sua
totalità o in una sua parte, ad altro che a se stessa”.

Clement Greenberg, Avant-Garde and Kitsch, 1939

L’arte realistica e naturalistica aveva dissimulato i mezzi espressivi, usando l’arte per celare l’arte;
il modernismo usava l’arte per richiamare l’attenzione sull’arte. Le limitazioni costitutive dei mezzi
espressivi della pittura – la super cie piatta, la forma del supporto, le proprietà del colore – erano
considerate dai Maestri del passato come fattori negativi e riconosciute solo in modo implicito o
indiretto. Nel modernismo si è pervenuti a considerare queste stesse limitazioni come fattori
postivi ed esse stesse sono state apertamente riconosciute”.

Clement Greenberg, Modernist Painting, 1960

“Da una parte, quindi, un particolare prodotto, in genere falso e sdolcinato (appunto di cattivo
gusto), che assume forme ‘stilistiche’ ben riconoscibili: dall’altra l’uomo-Kitsch, creatore e fruitore
di questo prodotto in un contesto in cui ‘artisticità’ e mito della bellezza si uniscono alle
aspirazioni etiche della società borghese più rettriva”.

Gillo Dor es, Kitsch. Antologia del cattivo gusto, 1968

“La natura istantanea del movimento dell’informazione elettronica sta decentralizzando – piuttosto
che ampliando – la famiglia umana in un nuovo stato composto da una moltitudine di esistenze
tribali”.

Marshall McLuhan, “The Playboy Interview: Marshall McLuhan”, Playboy, Marzo 1969

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«Quel che nell’industria culturale si presenta come progresso, l’incessantemente nuovo che essa
o re, si rivela il travestimento di un sempre uguale; dappertutto la varietà nasconde uno scheletro
che non è mutato più di quanto lo sia il movente del pro tto dacché ha acquisito il predominio
sulla cultura».

Theodor W. Adorno, L’industria culturale, 1963

3. FINALITÀ E SIGNIFICATI
“non si considera arte qualcosa che abbia una qualche utilità, lasciandosi alle spalle la scomoda
idea che le opere d’arte possano non avere una funzione, il che è un disperato tentativo di tener
chiusi i con ni. [...] la domanda ‘Cosa è arte?’ non è stata mai intesa nel senso di ’Quali sono le
opere d’arte?’  – domanda per la quale potevamo presumere di conoscere la risposta – ma
piuttosto ‘Quali sono le caratteristiche essenziali dell’arte?’”.

Arthur Danto, Arte e signi cato, 2000

“Ma allora, perché una era arte e gli altri no, visto che erano tanto somiglianti? [...] The
Trans guration of the Commonplace (1981) cercava di rispondere a questa domanda, giungendo
a una provvisoria formulazione della de nizione di arte. Lì sostenevo, in primo luogo, che le opere
d’arte sono sempre a-proposito-di [about] qualcosa, e che pertanto hanno un contenuto o
signi cato e, in secondo luogo, che per essere un’opera d’arte qualcosa deve incarnare [embody]
il suo signi cato [ovvero, mostrare quello a proposito-di cui è]. Non può essere tutto qui, ma se
non potessi tener ferme queste condizioni, non so quale potrebbe essere una de nizione di arte”.

Arthur Danto, Arte e signi cato, 2000

“Per Warhol nelle sue Brillo boxes del 1964 era importante riprodurre gli e etti di quel che aveva
spinto Harvey a fare quel che aveva fatto, senza essere motivato dalle stesse cause. Come entra
in gioco, allora, la critica d’arte? Entra, perché l’arte di Warhol era in qualche modo a-proposito-
dell’arte pubblicitaria. Warhol considerava esteticamente bello il mondo comune e ammirava
immensamente le cose che Harvey e i suoi eroi avrebbero ignorato o condannato. Amava la
super cie della vita di tutti i giorni, il potere nutritivo e la prevedibilità dei prodotti in scatola, le
poetiche del banale”.

Arthur Danto, Arte e signi cato, 2000

“dati due oggetti indiscernibili, uno artistico e l’altro no, cosa spiega la loro di erenza? [...] Ad ogni
modo la mia tesi è che, una volta posta la domanda, qualsiasi cosa può essere un’opera d’arte e
che, di conseguenza, la storia dell’arte intesa come ricerca dell’autocoscienza è giunta alla ne.
[...] Cosa signi ca vivere in un mondo in cui qualsiasi cosa può essere un’opera d’arte? La foto di
famiglia, il più ricercato poster, un pentolino di alluminio, una cazzuola, una sega a mano?
Bisogna, secondo me, inventare una critica d’arte adatta all’oggetto, che sia o no un’opera d’arte,
anche se, in questo secondo caso – se, ad esempio, non fosse a proposito-di qualcosa –, la
critica sarebbe vuota”.

Arthur Danto, Arte e signi cato, 2000

L’OPERA
4. MEDIUM E PRATICHE
“Nel giro di lunghi periodi storici, insieme coi modi complessivi di esistenza delle collettività
umane, si modi cano anche i modi e i generi della loro percezione sensoriale. Il modo secondo
cui si organizza la percezione sensoriale umana – il medium in cui essa ha luogo –, non è
condizionato soltanto in senso naturale, ma anche storico”.

Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936

Più in generale, per “medium” si intendono le

tecniche artistiche (per es. pittura e scultura) e i supporti tecnici (per es. fotogra a e video)
attraverso i quali l’artista visivo esprime, visivamente appunto, le proprie sensazioni, idee o
messaggi. Il modo di utilizzare questi “medium” è vincolato alle loro speci cità, i cui limiti sono
spesso messi in evidenza dall’artista per esplorare lo stesso fare artistico, ovvero i signi cati e i
modi di fare arte.

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«[I readymade di Duchamp e la pittura “all-over” di Pollock provocano] una duplice conseguenza.
Da un lato la cancellazione dell’idea stessa di medium, dal momento che l’opera d’arte
oggettivata, ridotta a condizione di oggetto reale in uno spazio reale, diventa il luogo per
operazioni su quello spazio in una mescolanza di media che de nisce la natura dello stesso
mondo reale [...] Dall’altro lato [...] il concetto di medium, ormai esploso, si è semplicemente
ricongiunto alla realtà dei media, cioè ai complessi strumenti tecnologici della pubblicità, della
comunicazione e dell’informazione. Risultato di questo spostamento semantico tra medium e
media è la perdita della speci cità presentata come conseguenza naturale. [...] e ciò comporta lo
spostamento dalla resistenza sica del medium estetico alla virtualità del mondo dell’immagine di
media”.

Rosalind Krauss, La crisi della pittura da cavalletto, 1999

5. UNICITÀ VS RIPRODUCIBILITÀ
“In linea di principio, l’opera d’arte è sempre stata riproducibile. Una cosa fatta dagli uomini ha
sempre potuto essere rifatta da uomini. Simili riproduzioni venivano realizzate dagli allievi per
esercitarsi nell’arte, dai maestri per di ondere le opere, in ne da terzi semplicemente avidi di
guadagni. La riproduzione tecnica dell’opera d’arte è invece qualcosa di nuovo, che si a erma
nella storia a intermittenza, a ondate spesso lontane l’una dall’altra, e tuttavia con una crescente
intensità”.

Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936

“Con la fotogra a, nel processo della riproduzione gurativa, la mano si vide per la prima volta
scaricata delle più importanti incombenze artistiche, che ormai venivano ad essere di spettanza
dell’occhio che guardava dentro l’obiettivo. Poiché l’occhio è più rapido ad a errare che non la
mano a disegnare, il processo della riproduzione gurativa venne accelerato al punto da essere in
grado di star dietro all’eloquio”.

Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936

“Anche nel caso di una riproduzione altamente perfezionata, manca un elemento: l’hic et nunc
dell’opera d’arte – la sua esistenza unica è irripetibile nel luogo in cui si trova. [...] L’hic et nunc
dell’originale costituisce il concetto della sua autenticità. [...] Ciò che vien meno è insomma
quanto può essere riassunto con la nozione di ‘aura’; e si può dire: ciò che vien meno nell’epoca
della riproducibilità tecnica è l’’aura’ dell’opera d’arte”.

Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936

“Rispetto alla pittura, la maggiore analizzabilità della prestazione rappresentata nel lm è


determinata dalla resa incomparabilmente più precisa della situazione. Rispetto al palcoscenico,
la maggiore analizzabilità della prestazione rappresentata nel lm condizionata dalla maggiore
isolabilità. Questa circostanza, e precisamente in ciò sta il suo signi cato principale, comporta
una tendenza a promuovere la vicendevole compenetrazione tra l’arte e la scienza”.

Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936

«La ragione per cui dipingo in questo modo è che voglio essere una macchina, e sento che
quando faccio una cosa e la faccio come se fossi una macchina ottengo il risultato che voglio».

Andy Warhol, 1963

“In qualche modo rileggiamo sempre un classico, perché ne abbiamo incontrato una precedente
incarnazione, una rifrazione, in altre storie, testi o versioni. Quali sono le molte versioni se non le
diverse prospettive di un evento mobile, se non un lungo e sperimentale assortimento di omissioni
ed enfasi?”

Oliver Laric, Versions, 2010

6. ARTE COME ESPERIENZA


“Pollock ci ha lasciato nel punto in cui dobbiamo preoccuparci e persino lasciarci colpire dallo
spazio e gli oggetti della nostra vita quotidiana, i nostri corpi, I vestiti, le stanze o, se necessario,
la vastità della Quarantaduesima strada ... Oggetti di ogni tipo sono materiali per la nuova arte:
vernice, sedie, cibo, luci elettriche e al neon, fumo, acqua, vecchi calzini, un cane, lm”.

Allan Kaprow, The Legacy of Jackson Pollock Artforum, 1958

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“La sensibilità ‘letteralista’ è teatrale perché, per cominciare, si occupa delle circostanze reali in
cui l'osservatore incontra il lavoro ‘letteralista’. [...] Mentre nell'arte precedente ‘ciò che ci si
aspetta dall'opera si trova strettamente al suo interno’, l'esperienza dell'arte letteralista è di un
oggetto in una situazione, una che, virtualmente per de nizione, include l'osservatore”.

Michael Fried, Art and Objecthood, 1967

“Le opere non si danno più come nalità quella di formare realtà immaginarie o utopiche, ma di
costruire modi d’esistenza o modelli d’azione all’interno del reale esistente, quale che sia la scala
scelta dall’artista. [...] In altri termini, non si può più considerare l’opera contemporanea come uno
spazio da percorrere [...] Si presenta ormai come una durata da sperimentare, come un’apertura
verso la discussione illimitata”.

Nicolas Bourriaud, Estetica Relazionale, 1998

“Per noi, al di là del suo carattere commerciale o del suo valore semantico, l’opera d’arte
rappresenta un interstizio sociale. Il termine interstizio fu utilizzato da Karl Marx per quali care
quelle comunità di scambio che sfuggono al quadro dell’economia capitalista, poiché sottratte
alla legge del pro tto: baratti, vendite in perdita, produzioni autarchiche... L’interstizio è uno
spazio di relazioni umane che, pur inserendosi più o meno armoniosamente e apertamente nel
sistema globale, suggerisce altre possibilità di scambio rispetto a quelle in vigore nel sistema
stesso. [...] Questa è precisamente la natura dell’esposizione d’arte contemporanea nel campo del
commercio delle rappresentazioni: crea spazi liberi e durate il cui ritmo si oppone a quelle che
ordinano la vita quotidiana; favorisce un commercio interpersonale di erente dalle ‘zone di
comunicazione’ che ci sono imposte”.

Nicolas Bourriaud, Estetica Relazionale, 1998

L’ARTISTA
7. IL MITO E L’ARTISTA
“Grandissimi doni si veggono piovere da gli in ussi celesti ne' corpi umani molte volte
naturalmente; e sopra naturali talvolta strabocchevolmente accozzarsi in un corpo solo bellezza,
grazia e virtú, in una maniera che dovunque si volge quel tale, ciascuna sua azzione è tanto
divina, che lasciandosi dietro tutti gli altri uomini, manifestamente si fa conoscere per cosa (come
ella è) largita da Dio, e non acquistata per arte umana. Questo lo videro gli uomini in Lionardo da
Vinci”.

Giorgio Vasari, Le vite dé più eccellenti pittori, scultori e architettori, 1550

“E cos'è un autentico pazzo? È un uomo che ha preferito diventare ciò che è socialmente inteso
come pazzo piuttosto che rinunciare a una certa idea superiore dell'onore umano. Nei suoi
manicomi, la società è riuscita a strangolare tutti coloro di cui ha voluto liberarsi o da cui ha voluto
difendersi, perché hanno ri utato di rendersi complici di varie agranti disonestà. Perché un pazzo
è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare, e a cui si è deciso di impedire di
pronunciare verità insopportabili”.

Antonin Artaud, Van Gogh. Il suicidato della società, 1947

“Attraverso la sua idea utopica di una ‘scultura sociale’ in base alla quale ogni essere umano è un
‘artista’ nel senso che deve diventare demiurgo della propria esistenza e, potremmo dire
plotiniamente, ‘scolpire sé stesso’, il Beuys ‘sciamano’ e ‘antropo-artista’ [...] con la sua aura
numinosa ed il suo ascetismo ecologico, si presenta come un modello sociale, politico ed estetico
per il futuro, quasi fosse un’esortazione vivente alla vita ‘liberata’”.

Massimo Carboni, Il genio è senza opera, 2017

8. DALL’AUTORE AL COLLETTIVO
“L’autore è un personaggio moderno, prodotto dalla nostra società quando, alla ne del
Medioevo, scopre [...] il prestigio del singolo o, per dirla più nobilmente, della ‘persona umana’.
[...] un testo [però] è fatto di scritture molteplici, provenienti da culture diverse e che intrattengono
reciprocamente rapporti di dialogo, parodia o contestazione; esiste però un luogo in cui tale
molteplicità si riunisce, e tale luogo non è l’autore, come sinora è stati a ermato, bensì il lettore
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[...] il lettore è un uomo senza storia, senza biogra a, senza psicologia; è soltanto quel qualcuno
che tiene unite in uno stesso campo tutte le tracce di cui uno scritto è costituito”.

Roland Barthes, La morte dell’autore, 1968

“non tracceremo qui la genealogia delle metamorfosi avvenute nel mondo della produzione degli
oggetti d’arte, perché ciò che ci interessa è quel che è successo sul versante della produzione
degli artisti. [...] Non ci riferiamo alla riproducibilità meccanica dell’opera d’arte, ma alla
“riproducibilità degli artisti all’epoca delle singolarità qualunque”. In un’epoca che è stata
quali cata come post- fordista, dove il just in time sostituisce gli stock, gli unici beni ancora
prodotti alla catena di montaggio (del sistema educativo) senza sapere né per chi né perché, sono
i lavoratori, compresi gli artisti”.

Claire Fontaine, Artisti ready-made e sciopero umano, 2005

“Uno sciopero che sia un’interruzione di tutte le relazioni che ci identi cano e ci sottomettono ben
più di qualsiasi attività professionale [...] Questo tipo di sciopero, che interrompe la mobilitazione
totale alla quale siamo tutti e tutte sottomessi e che ci permette di cambiare noi stessi, lo
chiameremo uno “sciopero umano”, perché più generale dello sciopero generale e ha per ne la
trasformazione delle relazioni sociali informali che sono alla base della dominazione”.

Claire Fontaine, Artisti ready-made e sciopero umano, 2005

“Per molti decenni, gli artisti hanno tentato di stabilire una connessione più stretta tra arte e vita,
riferendosi ai loro interventi nei processi sociali come arte; più recentemente, tra questi gurano
esperimenti educativi. [...] Gli anni 2000 hanno visto un netto aumento di progetti pedagogici
intrapresi da artisti e curatori contemporanei. [...] [Essi] si sono sempre più impegnati in progetti
che si appropriano dei tropi dell'educazione sia come metodo che come forma: conferenze,
seminari, biblioteche, sale di lettura, pubblicazioni, workshop e persino scuole in piena regola”.

Claire Bishop, Pedagogic Projects (paragraph I and II), 2012

9. MEDOTOLOGIE DI LAVORO
“Con il ready-made l’arte spostava il proprio obiettivo dalla forma del linguaggio a quanto veniva
detto. [...] Tutta l’arte (dopo Duchamp) è concettuale (in natura) perché l’arte esiste solo
concettualmente. Il ‘valore’ di determinati artisti dopo Duchamp può essere soppesato in base a
quanto misero in questione la natura dell’arte; vale a dire ‘ciò che aggiunsero alla concezione
dell’arte’ o ciò che mancava prima che iniziassero. [...] la sostanza dell’arte è strettamente
collegata con la ‘creazione’ di nuove proposizioni”.

Joseph Kosuth, L’arte dopo la loso a, 1969

“Se uno volesse realizzare un'opera d'arte priva di signi cato, sarebbe impossibile perché
abbiamo già dato un signi cato all'opera indicando che si tratta di un'opera d'arte. [...] Le opere
d'arte sono proposizioni analitiche. Cioè, se viste nel loro contesto – come arte – non forniscono
alcuna informazione su alcun fatto. Un'opera d'arte è una tautologia in quanto è una
presentazione dell'intenzione dell'artista, cioè sta dicendo che quella particolare opera d'arte è
arte, il che signi ca che è una de nizione di arte”.

Joseph Kosuth, L’arte dopo la loso a, 1969

“La de nizione ‘più pura’ dell’arte concettuale sarebbe quella di indagine sui fondamenti del
concetto di ‘arte’, così come è giunto a essere inteso nora”.

Joseph Kosuth, L’arte dopo la loso a, 1969

“Per gli artisti che cercavano di ristrutturare la percezione e il rapporto processo/prodotto


dell'arte, l'informazione e i sistemi sostituirono le tradizionali preoccupazioni formali di
composizione, colore, tecnica e presenza sica. [...] Liste, diagrammi, misure, descrizioni neutre
ecc. erano i veicoli più comuni per preoccuparsi di questioni come la ripetizione, l'introduzione
della vita quotidiana e delle routine di lavoro, il positivismo loso co e il pragmatismo”.

Lucy Lippard, Six Years: The Dematerialization of the Art Object from 1966 to 1972, 1973

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“’Non faccio arte’ dice Richard Serra ‘sono impegnato in un’attività; se qualcuno vuole chiamarla
arte, sono a ari suoi, ma non spetta a me deciderlo. Questa è un’operazione successiva’. Serra,
quindi, appare estremamente cosciente delle implicazioni del suo lavoro. Se Serra sta
e ettivamente ‘calcolando cosa fa il piombo’ (in senso gravitazionale, molecolare, eccetera),
perché qualcuno dovrebbe pensare che è arte? [...] Perché Serra ci ha detto che è arte tramite
azioni da lui compiute dopo che la sua attività ha avuto luogo. [...] espone il residuo sico della
sua attività nei musei”.

Joseph Kosuth, L’arte dopo la loso a, 1969

IL SISTEMA
10. SPAZI, PROFESSIONI E PUBBLICO
«Oggi, curare come professione signi ca almeno quattro cose. Signi ca conservare, nel senso di
salvaguardare il patrimonio dell'arte. Signi ca essere il selezionatore di nuove opere. Signi ca
collegarsi alla storia dell'arte. E signi ca esporre o sistemare l'opera. Ma è più di questo. Prima
del 1800, poche persone andavano alle mostre. Ora centinaia di milioni di persone le visitano ogni
anno. È un mezzo di comunicazione di massa e un rituale. Il curatore fa in modo che diventi
un'esperienza straordinaria e non solo illustrazioni o libri a dimensione spaziale».

Hans Ulrich Obrist, Fare una mostra, 2014

“Non vado spesso alle viste alle mostre guidate dai curatori o dagli artisti. Per un critico è come
barare. Voglio vedere le mostre con i miei occhi, facendo i miei stessi errori, guardando le mostre
nel modo in cui le vede la maggior parte del loro pubblico”.

Jerry Saltz

11. IL VALORE ECONOMICO


“Se i galleristi con dano di poter vendere un’opera, non si sognano nemmeno di consegnarla al
primo venuto o a quello che o re di più. Redigono una lista dei clienti interessati e scelgono
quello più autorevole. Si tratta di una strategia fondamentale per conferire prestigio ai loro artisti.
A di erenza di quanto accade in altri settori, dove gli acquirenti rimangono anonimo e
intercambiabili, nel mondo dell’arte la carriera di un artista può essere favorita o al contrario
compromessa proprio da chi entra in possesso delle sue opere”.

Sarah Thornton, La era, 2008

“Un numero crescente di collezionisti ha deciso di aprire il proprio spazio espositivo. Le ragioni
u ciali sono lantropiche, ma quelle occulte hanno più a che vedere con le strategie di mercato.
Le opere di artisti viventi devono essere esposte per poter ottenere dei riconoscimenti. Inoltre, i
collezionisti d’arte contemporanea fanno di tutto per conferire prestigio alla loro collezione. In un
mondo condizionato dall’immagine, l’importanza di una collezione non deriva automaticamente
dal valore delle opere: deve essere costruita”.

Sarah Thornton, La era, 2008

“Una delle battute preferite di Baldessari è che l’artista che visita una era d’arte è come un
adolescente che irrompe nella camera dei genitori mentre questi stanno facendo sesso. [...] Gli
artisti tendono a pensare alle ere d’arte con un isto di orrore, alienazione e divertimento. Il fatto
che il loro duro lavoro si riduca a soddisfare le richieste voraci del mercato li fa sentire a disagio, e
la vista di tante belle opere in un contesto quasi esclusivamente commerciale li disgusta”.

Sarah Thornton, La era, 2008

12. LA MOSTRA
“La tradizionale divisione del lavoro all’interno del sistema dell’arte tradizionale era netta. Le opere
venivano fatte dagli artisti, mentre i curatori si occupavano di selezionarle e allestirle. [...] Oggi non
esiste più alcuna di erenza ‘ontologica’ fra il fare arte ed esibirla: nel contesto dell’arte
contemporanea, fare arte signi ca mostrare cose come se fossero arte. [...] Io ritengo che una
distinzione sia ancora possibile. Lo si può veri care mettendo a confronto una mostra normale e
un’installazione”.

Boris Groys, Politica dell’installazione, 2013

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“l’artista che progetta lo spazio di un’installazione è un outsider rispetto a quello spazio. E’
eterotopico. Ma l’outsider non è necessariamente qualcuno che deve essere incluso perché gli sia
conferito potere. Si tratta di un conferimento che può avvenire per esclusione e spesso per auto-
esclusione. [...] l’artista svela quella dimensione sovrana occulta dell’’ordine democratico
contemporaneo che la politica cerca quasi sempre di nascondere”.

Boris Groys, Politica dell’installazione, 2013

“L’installazione trasforma lo spazio pubblico – neutro e vuoto – in un’opera e invita il visitatore a


vivere quel luogo come spazio totalizzante e olistico di tale opera. Qualunque cosa si trovi in
quello spazio diventa elemento di quest’opera per il semplice fatto di trovarsi lì. Qualunque
di erenza fra gli oggetti artistici e oggetti comuni diventa inutile, mentre acquista importanza lo
scarto cruciale fra spazio pubblico non marcato e spazio segnato dall’installazione”.

Boris Groys, Politica dell’installazione, 2013

“Una normale mostra d’arte lascia il visitatore da solo, permettendogli di contemplare e di


confrontarsi individualmente con gli oggetti esposti. [...] L’installazione, al contrario, costruisce
una comunità di spettatori giusto in virtù del carattere olistico e uni cante dello spazio che
occupa”.

Boris Groys, Politica dell’installazione, 2013

“L’artista e il curatore incarnano con ogni evidenza queste due tipologie di libertà: quella assoluta
e senza riserve, pubblicamente irresponsabile rispetto alla creatività artistica, e quella curatoriale
istituzionale, condizionata e pubblicamente responsabile. [...] Con l’artista si permette alla folla di
visitatori di entrare nello spazio della sua opera, si può infatti assistere all’ingresso della
democrazia nella zona chiusa dell’opera”.

Boris Groys, Politica dell’installazione, 2013

“NUOVI” SGUARDI
13. ARTE FEMMINISTA
“ora come in passato, la situazione in arte e in decine di altri campi continua ad essere
spiazzante, oppressiva e deprimente per chiunque non abbia avuto la fortuna di nascere maschio
di razza bianca, preferibilmente dal ceto medio in su. Il difetto non è  nella nostra cattiva stella, nei
nostri ormoni, nei nostri cicli mestruali, o nelle cavità del nostro apparato genitale, bensì nelle
regole e nell’educazione che riceviamo; intendendo per educazione tutto ciò che ci accade dal
momento in cui, testa in avanti, entriamo in questo mondo di simboli, segnali e segni carichi di
signi cato”.

Linda Nochlin, Perché non ci sono state grandi artiste?, 1971

“La domanda ‘perché non ci sono state grandi artiste?’ ci ha quindi portati alla conclusione che
l’arte non è l’attività libera e indipendente di un individuo superdotato, ‘in uenzato’ da chi l’ha
preceduto e, in modo vago e super ciale, dalle ‘forze sociali’. Ne deriva piuttosto che l’arte, sia
per quanto riguarda l’evoluzione dell’artista sia per la natura e la qualità dell’opera in sé, è l’esito
di una situazione sociale, della cui struttura è elemento integrante, mediata e determinata da
speci che e ben de nite istituzioni, che possono essere le accademie, il mecenatismo oppure i
miti dell’artista, divino creatore, eroe o emarginato”.

Linda Nochlin, Why Have There Been No Great Women Artists?, 1971

“La mancanza di rispetto di Levine per l'autorità paterna suggerisce che la sua attività non
riguarda tanto l’appropriazione [...] quanto l’espropriazione: espropria gli appropriatori”.

Craig Owens, The Discourse of Others: Feminists and Postmodernism, 1983

“queste artiste non sono interessate principalmente a ciò che le rappresentazioni dicono delle
donne; piuttosto, indagano su ciò che la rappresentazione fa alle donne (per esempio, il modo in
cui le posiziona invariabilmente come oggetti dello sguardo maschile)”.

Craig Owens, The Discourse of Others: Feminists and Postmodernism, 1983

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«Un cyborg è un organismo cibernetico, un ibrido di macchina e organismo, una creatura che
appartiene tanto alla realtà sociale quanto alla nzione. La realtà sociale è costituita dalle relazioni
sociali vissute, è la nostra principale costruzione politica, una nzione che trasforma il mondo. I
movimenti internazionali delle donne hanno costruito l"'esperienza delle donne", svelando o
rivelando cosa sia questo cruciale oggetto collettivo: una esperienza che è al tempo stesso una
nzione e un fatto di massima rilevanza politica. La liberazione si fonda sulla costruzione della
coscienza, sull'assunzione immaginativa dell'oppressione e quindi della possibilità. Il cyborg è
una questione di nzione e di esperienza vissuta che trasforma quello che conta per esperienza
delle donne alla ne del Ventesimo secolo. È una lotta per la vita e la morte, ma il con ne tra
fantascienza e realtà sociale è un'illusione ottica».

Donna Haraway, Manifesto Cyborg, 1985

14. IDENTITÀ DI GENERE


“Nell’ottica del femminismo moderno, l’aspetto più interessante di Rosa Bonheur è la sua
capacità di conciliare la più vigorosa e arrogante protesta maschile con l’a ermazione
sfacciatamente autocontraddittoria della propria ‘sostanziale’ femminilità”.

Linda Nochlin, Perché non ci sono state grandi artiste?, 1971

“Se il genere è il signi cato culturale che i corpi sessuati assumono, allora non si può dire che un
genere derivi da un sesso in nessun modo. Portata al suo limite logico, la distinzione sesso/
genere suggerisce una radicale discontinuità tra i corpi sessuati e i generi culturalmente costruiti.
[...] anche se i sessi sembrano essere senza problemi binari nella loro morfologia e costituzione (il
che sarà una questione), non c'è motivo di assumere che anche i generi debbano rimanere come
due”.

Judith Butler, Subjects of Sex/Gender/Desire, 1990

“Il genere è la stilizzazione ripetuta del corpo, un insieme di atti ripetuti all'interno di una cornice
normativa molto rigida che si rapprendono nel tempo per produrre l'apparenza di sostanza, di un
tipo di essere naturale”.

Judith Butler, Subjects of Sex/Gender/Desire, 1990

“Quando lo status costruito del genere è teorizzato come radicalmente indipendente dal sesso, il
genere stesso diventa un arti cio uttuante, con la conseguenza che l'uomo e il maschile
possono signi care altrettanto facilmente un corpo femminile quanto uno maschile, e la donna e il
femminile un corpo maschile quanto uno femminile”.

Judith Butler, Subjects of Sex/Gender/Desire, 1990

“la verità del genere (come la purezza di sangue nel quindicesimo secolo) non esiste al di fuori di
un insieme di convenzioni sociali intersoggettive. Il genere non è una proprietà psichica o sica
del soggetto né un’identità naturale, è una reazione di potere sottomessa a un processo collettivo
costante di assoggettamento, e al contempo di sostegno e di controllo, di soggettivazione e di
sottomissione”.

Paul B. Preciado, 2018

15. POSTCOLONIALISMO E GLOBALIZZAZIONE


“Ogni singolo impero nel suo discorso u ciale ha detto che non è come tutti gli altri, che le sue
circostanze sono speciali, che ha la missione di illuminare, civilizzare, portare ordine e
democrazia, e che usa la forza solo come ultima risorsa. E, ancora più triste, c'è sempre un coro
di intellettuali disposti a dire parole tranquillizzanti sugli imperi benigni o altruisti, come se non ci si
dovesse dare dell'evidenza dei propri occhi guardando la distruzione e la miseria e la morte
portate dall'ultima missione civilizzatrice".

Edward W. Said, Orientalism, 1978

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"L'idea comunemente accettata che la creazione nelle arti visive non esiste che nel mondo
occidentale o fortemente occidentalizzato è da attribuire alla continua arroganza della nostra
cultura. Per non parlare di coloro che pensano ancora che, poiché abbiamo la tecnologia, la
nostra cultura è superiore alle altre; anche coloro che dichiarano senza mezzi termini che non vi è
alcuna di erenza tra le culture spesso trovano di cile accettare che le opere di tutto il mondo
possano essere poste su un piano di parità con quelle della nostra avanguardia”.

Jean-Hubert Martin, Les Magiciens de la terre, 1989

“La dislocazione sica e culturale caratterizza la condizione di vita quotidiana di molte persone, se
non la maggior parte, di questo mondo. Coloro che sono in una posizione di privilegio vivono
questa condizione per scelta, conducendo a ari internazionali, impegnandosi con tecnologie
avanzate o giocando con giochi di realtà virtuale; altri che sono meno privilegiati sono costretti a
vivere questo senso di dislocazione senza tregua come lavoratori migranti, immigrati, esiliati,
rifugiati e senzatetto”.

Coco Fusco, Passionate Irreverence: The Cultural Politics of Identity, 1993

“Ogni persona che conosci e che puoi in uenzare è qualcuno rispetto al quale hai delle
responsabilità. [...] La s da, quindi, è quella di prendere menti e cuori formati durante lunghi
millenni di vita in gruppi locali e dotarli di idee e istituzioni che ci permetteranno di vivere insieme
come la tribù globale che siamo diventati”.

Kwame Anthony Appiah, Cosmopolitanism, 2006

“Molti degli artisti che hanno operato in contesti internazionali hanno cercato, con i loro lavori, di
denunciare i limiti e le incongruità della situazione in cui sono stati chiamati ad agire.
Parallelamente, però, il mercato ha assorbito anche queste espressioni critiche e di dissidenza
trattando le opere d’arte come qualsiasi altra merce e, in un certo senso, sfruttando la diversità
culturale espressa nelle mostre internazionali proprio per la loro capacità di rispecchiare la nuova
situazione economica che si era andata creando. In altre parole, le opere d’arte stesse, in modo
sottile quanto e cace, si sono trasformate, loro malgrado, in una sorta di pubblicità degli aspetti
positivi della globalizzazione”.

Roberto Pinto, Un mondo diverso è possibile?, 2012

MODULO 2

ARTE POLITICA
1. CRITICA ISTITUZIONALE
“Sia che il luogo in cui l'opera viene mostrata imprima e caratterizzi quest'opera, qualunque essa
sia, o se l'opera stessa è direttamente – consapevolmente o meno – prodotta per il Museo,
qualsiasi opera presentata in quel contesto, se non esamina esplicitamente l'in uenza del
contesto su se stessa, cade nell'illusione dell'autosu cienza o dell'idealismo. Questo idealismo
(che potrebbe essere paragonato a un’idea dell’arte in quanto tale) protegge e impedisce
qualsiasi tipo di rottura”.

Daniel Buren, Function of the Museum, 1970

“dopo la rivoluzione, chi andrà a buttare la spazzatura lunedì mattina? [...] Ora, mi limiterò a
compiere una serie di azioni quotidiane di manutenzione [...] le mostrerò come Arte. Vivrò nel
museo come faccio abitualmente a casa con mio marito e mio glio per tutta la durata della
mostra [...] spazzerò i pavimenti e darò la cera, spolvererò tutto, laverò le pareti, cucinerò, inviterò
delle persone a mangiare, e raccoglierò i ri uti in modo che possano essere riciclati”.

Mierle Laderman Ukeles, Maintenance Art Manifesto 1969! Proposal for an Exhibition “CARE”,
1969

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2. SOTTOCULTURE E CONTROCULTURE
“Lo spettacolo è il capitale a un tal grado d’accumulazione da divenire immagine”.

Guy Debord, La società dello spettacolo, 1967

“Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all'occupazione totale della vita sociale.
Non solo il rapporto con la merce è visibile, ma non si vede altro che quello: il mondo che si vede 
è il suo mondo”.

Guy Debord, La società dello spettacolo, 1967

“L'arte nell'epoca della sua dissoluzione, in quanto movimento negativo teso al superamento
dell'arte in una società storica in cui la storia non è ancora vissuta, è allo stesso tempo un'arte del
cambiamento e l'espressione pura del cambiamento impossibile. Più la sua esigenza è grandiosa,
più la sua vera realizzazione è al di là di essa. Quest'arte è necessariamente d'avanguardia, e non
lo è. La sua avanguardia è la sua scomparsa”.

Guy Debord, La società dello spettacolo, 1967

“A ronteremo le case automobilistiche globali, le aziende chimiche, le industrie alimentari, le


corporation della moda e i commercianti della cultura pop in un ambiente di libera informazione.
[...] Vogliamo che i dirigenti delle auto si sentano schiacciati e assediati come i dirigenti del
tabacco. Vogliamo che abbiano di coltà a guardare i loro gli negli occhi e spiegare loro
esattamente cosa fanno per vivere”.

Kalle Lasn, Culture Jam, 2000

“Le sue trasformazioni vanno ‘contro natura’, interrompendo il processo di ‘normalizzazione’.


Come tali, sono gesti, mosse verso una parola che o ende la ‘maggioranza silenziosa’, che s da
il principio di unità e di coesione, che contraddice il mito del consenso”.

Dick Hebdige, Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale, 1979

“Il détournement è il contrario della citazione, dell'autorità teorica sempre falsi cata per il solo
fatto che è divenuta citazione; frammento strappato dal suo contesto, dal suo movimento e in ne
dalla sua epoca, come riferimento globale, e dall'opzione precisa che essa era all'interno di tale
riferimento, esattamente riconosciuto o erroneo. Il détournement è il linguaggio uido
dell'antideologia”.

Guy Debord, La società dello spettacolo, 1967

“È questo lo slang del Duemila, il gergo privato e indecifrabile coniato da gruppi eccentrici di
cultura che legittimano le loro violazioni di minoranza sulla proprietà largamente garantita di una
consolidata lingua di maggioranza: la lingua dei mass-media, la lingua della economia e della
produzione, la lingua degli armamenti militari, la lingua della colonizzazione dello spazio, la lingua
dei computer e dell’informatica. [...] I kids hanno coniato slang personali che confondono i sistemi
della comunicazione attuale, perché provengono loro stessi da una personale condizione di
confusione naturale e culturale”.

Francesca Alinovi, Lo slang del duemila, 1983

3. ARTE POLITICA
“Per molti artisti e curatori di sinistra, la critica di Debord centra perfettamente il motivo per cui la
partecipazione è importante in quanto progetto: essa ri-umanizza una società resa inebetita e
frammentata dagli strumenti repressivi della produzione capitalista. Considerata la quasi totale
saturazione da parte del mercato del nostro repertorio di immagini, così procede
l’argomentazione, la pratica artistica non può più ruotare attorno alla costruzione di oggetti che
vengono consumati da uno spettatore passivo. Deve esserci, al contrario, un’arte dell’azione che
si interfaccia con la realtà e si muove – anche se a piccoli passi – per ricostruire il legame sociale”.

Claire Bishop, La svolta sociale, 2006

“Invece di approvvigionare il mercato di merci, l’arte partecipativa è percepita come una forza che
incanala il capitale simbolico dell’arte verso un costruttivo cambiamento sociale”.

Claire Bishop, La svolta sociale, 2006

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“è cruciale discutere, analizzare e confrontare questo lavoro criticamente come arte, poiché è
l’arte il campo istituzionale in cui le pratiche partecipative sono promosse e divulgate, sebbene la
categoria dell’arte rimanga esclusa nei dibattiti su tali progetti”.

Claire Bishop, La svolta sociale, 2006

“L’Europa del nord ha vissuto una trasformazione rispetto al dibattito degli anni Sessanta sulla
partecipazione, sulla creatività e sulla comunità; questi termini non hanno più una forza sovversiva
e antiautoritaria, ma sono diventati il caposaldo della politica economica post-industriale. [...]
Attraverso la retorica sulla creatività, l’attività elitaria dell’arte è democratizzata, sebbene oggi
questo porti agli a ari più che a Beuys. [...] la pratica artistica possiede un elemento di negazione
critica e una capacità di sostenere la contraddizione che non possono conciliarsi con gli
imperativi di un’economia basata sui risultati quantitativi”.

Claire Bishop, La svolta sociale, 2006

“Media tattici sono quello che succede quando i media a basso costo e ‘fai da te’ resi possibili
dalla rivoluzione che c’e’ stata nell’elettronica di consumo e da estese forme di distribuzione
(dall’accesso pubblico al cavo all’Internet), vengono sfruttati da gruppi e individui che si sentono
danneggiati o esclusi dalla cultura dominante. I media tattici non solo riportano gli eventi, ma non
sono mai imparziali, dato che partecipano ed è questa più di ogni altra cosa che li separa dai
media u ciali/tradizionali”.

David Garcia e Geert Lovink, L’ABC dei Media Tattici, 1996

“Sembra che il lavoro contenga un elemento terapeutico contorto (alcuni dei minatori e poliziotti
coinvolti nella lotta del 1984 hanno partecipato all’evento di Deller scambiandosi i ruoli),
nonostante ciò The Battle of Orgreave non sembra guarire una ferita, piuttosto riaprirla. L’evento
di Deller è stato politicamente leggibile ma anche del tutto inutile: invoca la potenza esperienziale
di una manifestazione politica, ma solo per mostrare il torto fatto ai minatori diciassette anni dopo,
ormai troppo tardi”.

Claire Bishop, La svolta sociale: la collaborazione e i suoi dissensi, 2006

CINEMA E VIDEO
4. CINEMA SPERIMENTALE E UNDERGROUND
“Il cinema è il migliore trampolino dal quale il mondo moderno può tu arsi nelle acque
magnetiche e brillantemente nere dell'inconscio".

André Breton, anni Venti

5. ARTE VIDEO
“La presenza del presente, equivalente alla testimonianza dell’esserci, al di là dell’opera,
dell’evento e dell’autore. Il tempo dell’opera è l’intervallo necessario a compiere un’azione, non è
predeterminato da istanze testuali, ma viene delegato a necessità extrartistiche”.

Valentina Valentini, Il clamore e la voce, 1988

“Negli anni ’70 i nuovi ready-made sono gli artisti stessi, che usano come oggetto trovato il
proprio corpo. Duchamp con i suoi ready-made

discorreva con il sistema dell’arte, s dandolo in un titanismo disperatamente ironico; Beuys o Vito
Acconci si armano ancora più ferocemente, eliminando la mediazione dell’opera-oggetto e
avocando lo spettatore come testimone dell’atto che rimane solo nella sua coscienza”.

Valentina Valentini, Il clamore e la voce, 1988

“Il video dipende da una serie di meccanismi sici [...] la maggior parte del lavoro prodotto nel
breve periodo di esistenza della video arte ha utilizzato il corpo umano come strumento centrale.
Nel caso del lavoro su nastro, questo è stato spesso il corpo dell'artista-professionista. Nel caso
delle installazioni video, di solito è stato il corpo del visualizzatore rispondente. [...] A di erenza
delle altre arti visive, il video è in grado di registrare e trasmettere allo stesso tempo – producendo
un feedback immediato”.

Rosalind Krauss, Video: The Aesthetics of Narcissism, 1976

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“Il doppio che appare sul monitor non può essere chiamato un vero oggetto esterno. Piuttosto è
uno spostamento del sé che ha l'e etto di trasformare la soggettività dell'attore in un altro,
specchio, oggetto”.

Rosalind Krauss, Video: The Aesthetics of Narcissism, 1976

“nelle opere video degli anni ’80, mentre l’oggetto assume un corpo lucido e pingue, la gura
umana si assottiglia, mangiata dalla luce, resa diafana e de gurata. Oggetto e corpo umano
agiscono indipendentemente l’uno dall’altro, disancorati in uno spazio-tempo senza direttrici e
senza gerarchie: l’uomo non è più importante dell’oggetto”.

Valentina Valentini, Il clamore e la voce, 1988

6. IL CINEMA COME OGGETTO E L’ARTISA COME REGISTA


“Un lm che si sposta ai dispositivi video e al digitale, spesso rivisitato, modi cato, smontato e
ricomposto, reinventato, o materializzato ed esibito in quanto supporto pellicolare. Si pensi alle
nozioni di cinema ‘esposto’, di cinema ‘installato’, in varie declinazioni di convegni e studi degli
ultimi anni, no al cinema ‘rilocato’”.

Sandra Lischi, Installarsi nel lm, 2019

“Al cinema esposto, installato, rilocato corrisponde però anche un fenomeno assai meno studiato,
che mostra un altro in usso della videoarte sui modi odierni di fare cinema, che potremmo
chiamare della installazione cinematografata, a indicare un percorso opposto: se il cinema migra
verso l’arte contemporanea, nelle varie forme che molti studiosi hanno evidenziato, accade infatti
che la forma installativa migri a sua volta verso il lm, lo abiti, o lo punteggi, o lo generi, o lo ispiri,
in vari modi”.

Sandra Lischi, Installarsi nel lm, 2019

“Il passato è presente. È successo qualcosa: un incidente, una catastrofe, un evento tragico.
L'opera si sviluppa come un processo di valutazione e di elaborazione - un processo di lutto che
consiste in frammenti di narrazione incapaci di presentare un resoconto globale e coerente”.

Daniel Birnbaum, Crystals, 2004

“l’ormai consolidata pratica videoartistica ha pre gurato, con decenni di anticipo, una condizione
spettatoriale frammentata e caratterizzata da vari punti di vista, vari centri di attenzione, spazi non
canonici di visione, alludendo a quello spettatore divagante, delocalizzato, a quello sguardo
multicentrico che è una delle caratteristiche dell’attuale panorama mediatico. Si tratta di un
cinema espanso, appunto; ed esposto, rilocato. Un cinema instabile, che migra, si trasforma, si
reinventa”.

Sandra Lischi, Installarsi nel lm, 2019

“Avviene così che un lm o un video, abbiano vite multiple, dalla forma monocanale (o della
proiezione su un solo schermo) a quella installativa a quella fotogra ca; e a queste vite multiple
corrispondono diversi spazi espositivi e diversi circuiti (ed esiti) commerciali: dalla sala alla galleria
d’arte”.

Sandra Lischi, Installarsi nel lm, 2019

“Alla temporalità imposta dallo scorrimento immodi cabile della pellicola in sala si sostituisce una
anerie dai tempi personali, caratterizzata da un ventaglio di posture spettatoriali, dal caso
estremo e spesso impraticabile di una visione in continuità [...] no all’assaggio di
microframmenti”.

Sandra Lischi, Installarsi nel lm, 2019

ARTE E MUSICA POP


7. IDENTITÀ VISIVA DELLA MUSICA POP
“In questo mondo di consumo le star - le star del cinema negli anni '30, le pop star oggi - sono
gli 'esperti' da cui apprendiamo le nostre tecniche performative. È in questa gestione del nostro io
'pubblico' e 'privato' che si rivela il vero potere delle merci: ci producono come soggetti sessuati,
de niscono la mascolinità e la femminilità, le codi cano lungo linee di possesso e desiderio”.

Simon Frith & Howard Horne, Art Into Pop, 1987

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8. L’ARTE DEL VIDEOCLIP
“OCCORRE LIBERARE IL CINEMATOGRAFO COME MEZZO DI ESPRESSIONE per farne lo
strumento ideale di UNA NUOVA ARTE immensamente più vasta e più agile di tutte quelle
esistenti. I nostri lm saranno [...] 4. RICERCHE MUSICALI CINEMATOGRAFATE (dissonanze,
accordi, sinfonie di gesti, fatti, colori, linee, ecc.)”.

Manifesto della cinematogra a futurista, 1916

“Se la storia di qualunque arte è legata all’evoluzione tecnologica, tale correlazione è ancora più
stretta nel caso del video, i cui sviluppi tecnici avvengono con una rapidità sorprendente. Gli
e etti di solarizzazione o di intarsio elettronico degli anni ’80, hanno lasciato il posto al morphing
(la trasformazione di un’immagine in un’altra) procedimento estremamente di uso negli anni ’90.
In generale vi è sempre stata nel videoclip sperimentale una netta tendenza a ‘impastare’ il corpo
del cantante nella tessitura dell’inquadratura, di incastonarlo in un mosaico di luci e colori”.

Bruno Di Marino, Il piccolo schermo espanso, 2018

“Quel che abbiamo de nito videoclip concettuale, coincide – nella maggior parte dei casi – con
un approccio all’immagine di natura ‘sperimentale’, per quanto questo termine, soprattutto oggi,
resta ambiguo e parziale. Parliamo di videoclip che non ricorrono a strutture narrative o non si
basano sulla performance coreogra ca, oppure che, pur non escludendo a priori questi elementi,
eventualmente li ricombinano secondo modalità diverse e in contesti del tutto nuovi. Ci riferiamo a
video musicali fondati sull’immagine in sé o su una loro libera e non-logica concatenazione,
oppure a clip frutto di un alto grado di elaborazione visiva, mediante l’applicazione di
procedimenti tecnici, e etti di post-produzione, interventi di animazione (tradizionale o al
computer)”.

Bruno Di Marino, Il piccolo schermo espanso, 2018

“La cosa che più assomiglia alla simultaneità polifonica del suono o della musica a livello visivo è
la rapida successione di singole immagini. Vedendo un montaggio veloce, la memoria dello
spettatore funziona come un mixer ideale - di gran lunga superiore a una macchina - di
impressioni visive interconnesse nel tempo”.

Michel Chion, Audio-Vision: Sound on Screen, 1994

“[Il videoclip] è consapevole del suo ruolo, della sua posizione nel contesto musicale e
audiovisivo e non perde l'occasione di esporre le sue proprie modalità di comunicazione”.

Gianni Sibilla, Musica da vedere, 1999

“Tutti insieme, per-formano una sorta di balletto- girotondo (“intorno al mondo”, appunto, è il
titolo del brano) al ritmo della musica elettrofunky come se fossero in un coloratissimo show
televisivo, dove l’iconogra a della vita si mescola a quella della morte, secondo una estetica
straordinariamente vicina all’idea di musica cromatica”.

Bruno Di Marino, Il piccolo schermo espanso, 2018

9. ARTISTA COME MUSICISTA E PRODUTTORE


“Abbiamo iniziato come un'anti-band, mettendo in discussione la minestrina insensata prodotta
dall'industria culturale per il mercato giovanile, adottando la forma della rock band e prendendola
in giro. Anche se una tale posizione non è più sostenibile nell'ambiente attuale, dove la musica
noise è semplicemente un'altra forma di musica pop, ci sforziamo ancora, come artisti, di
esaminare la cultura pop attraverso una mentalità critica e analitica – anche se con un senso
dell'umorismo”.

Mike Kelley, 2001

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“I Sonic Youth sono una band che non si de nisce solo in quanto gruppo di musicisti che fanno
musica, ma con la consapevolezza di essere una specie di forza culturale con varie estensioni.
Questa idea è parte integrante dell'intero progetto, è una questione artistica piuttosto che solo
musicale. È un'arte che incorpora diverse forme di espressione in cui la musica funge da ombrello
per tutto il resto. Tra i valori fondanti della band, e della loro stessa educazione culturale, c'è il
desiderio di essere artisti che scelgono la musica, ma capaci ancora di parlare con l'arte o
comunque nell‘ambito culturale”.

Jutta Koether in Alan Licht e Jutta Koether, On Sonic Youth, 2008

“In linea con le teorie riduttive del periodo, il disco contribuisce all’isolamento di una componente
dell’opera d’arte – il suono – mentre da un altro lato arricchisce la gamma degli strumenti
linguistici predisposti a far esplodere lo speci camente visivo, e spingere i limiti del processo
artistico”

Germano Celant, The Record as Artwork, 1977

LE INDUSTRIE CREATIVE
10. ARCHITETTURA E DESIGN
“Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo
rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente”.

Giacomo Balla e Fortunato Depero, Ricostruzione futurista dell’universo, 1915

“Il ri uto, così interpretato, non era dunque la negazione di un ruolo ma piuttosto una riscoperta
di questo, un’inversione di termini, una maniera di riscoprire l’architettura attraverso la sua
ideazione e concettualizzazione più che attraverso la sua realizzazione”.

Gianni Pettena, Le ragioni di un’utopia, 2017

“Gli oggetti di design prodotti in quegli anni dai Radicali orentini in seguito anche all’esempio di
Sottsass, intendevano dunque suggerire la possibilità di un nuovo ambiente domestico in cui i
riferimenti culturali e comportamentali prevalessero sulle funzioni, ma il disagio nei confronti della
disciplina e la s ducia nello strumento progettuale si manifestarono in maniera provocatoria anche
in altre forme, le più diverse: happening, scritti, interventi da perseguirsi con strumenti che, ormai
liberi da ogni vincolo di funzione, potenzialmente potevano ampliarsi no a comprendere ogni
attività espressiva e a sperimentare ogni linguaggio di ‘progetto’, legittimando anche azioni
dichiaratamente provocatorie”.

Gianni Pettena, Le ragioni di un’utopia, 2017

“Solo oggi, dopo le molte recenti indagini e le evidenti tracce nell’architettura costruita di questi
recenti anni, possiamo a ermare che il ‘radicale’ è stato utopia. [...] Un processo di rinnovamento
dunque che ha permesso e tuttora permette a chi proviene dal mondo delle arti visive di
strutturare la propria ricerca spaziale usando strumenti dell’architettura e, viceversa, di usare gli
strumenti dell’arte a chi è stato educato come architetto”.

Gianni Pettena, Le ragioni di un’utopia, 2017

“Ciò che è più importante non è tanto ciò che la gente vede nella galleria o nel museo, ma ciò che
la gente vede dopo aver guardato queste cose, come si confronta di nuovo con la realtà”

Gabriel Orozco

“Il design oggi si occupa principalmente di attività commerciali e di marketing, ma potrebbe


operare a un livello più intellettuale. Potrebbe collocare nuovi sviluppi tecnologici all'interno di
situazioni quotidiane immaginarie ma credibili che ci permetterebbero di discutere le implicazioni
di diversi futuri tecnologici prima che accadano”.

Anthony Dunne & Fiona Raby, Speculative Everything, 2013

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11. ARTE VS TV
«Noi spaziali trasmettiamo, per la prima volta nel mondo, attraverso la televisione, le nostre nuove
forme d’arte, basate sui concetti dello spazio [...] La televisione è per noi un mezzo che
attendavamo come integrativo dei nostri concetti. [...] E’ vero che l’arte è eterna, ma fu sempre
legata alla materia, mentre noi vogliamo che essa ne sia svincolata, e che attraverso lo spazio,
possa durare un millennio, anche nella trasmissione di un minuto».

Lucio Fontana e altri, Manifesto del movimento spaziale per la televisione, 1952

12. FORME DI DIVULGAZIONE


“Non vado spesso alle viste alle mostre guidate dai curatori o dagli artisti. Per un critico è come
barare. Voglio vedere le mostre con i miei occhi, facendo i miei stessi errori, guardando le mostre
nel modo in cui le vede la maggior parte del loro pubblico”.

Jerry Saltz

«Un museo virtuale è una raccolta di manufatti elettronici e risorse informative. Praticamente tutto
ciò che può essere digitalizzato. La collezione può includere dipinti, disegni, fotogra e,
diagrammi, gra ci, registrazioni, video, articoli di giornali, trascrizioni di interviste, database
numerici e una miriade di altri oggetti che possono essere salvati sul le server del museo virtuale.
Potrebbe anche o rire indicazioni su grandi risorse in tutto il mondo rilevanti per l'obiettivo
principale del museo».

Jamie McKenzie

TECNOLOGIA E CULTURA VISUALE


13. ARTE E TECNOLOGIA
“Oggi le direttive appropriazioniste sono state completamente assorbite. La massi cazione e
l’accessibilità delle immagini fa sí che l’appropriazione appaia talmente ‘naturale’ e di usa da
nire con l’essere sprovvista di radicalità critica e spirito trasgressivo. È un’operazione spontanea
che arriviamo a fare senza rendercene conto: le immagini sono troppo facilmente alla nostra
portata. L’ecosistema iconico ci spinge al riciclo e al remix”.

Joan Fontcuberta, L’opera d’arte nell’epoca dell’adozione digitale, 2018

“In qualche modo rileggiamo sempre un classico, perché ne abbiamo incontrato una precedente
incarnazione, una rifrazione, in altre storie, testi o versioni. Quali sono le molte versioni se non le
diverse prospettive di un evento mobile, se non un lungo e sperimentale assortimento di omissioni
ed enfasi?”

Oliver Laric, Versions, 2010

“Il circolazionismo non riguarda l'arte di creare un'immagine, ma di postprodurla, lanciarla e


accelerarla. [...] Si tratta delle relazioni pubbliche delle immagini attraverso i social network, della
pubblicità e dell'alienazione, e dell'essere il più soavemente vacuo possibile”.

Hito Steyerl, Internet è morta?, 2013

14. IBRIDAZIONI E IMMERSIONI


Gesamtkunstwerk o “opera d‘arte totale” > “la scena diventa la verità artistica intera; il suo
disegno, il suo colore, l’uso che egli fa della luce, fanno nascere un’espressione tanto viva e calda
da far servire la natura alla sua suprema intenzione artistica. [...] Quel che poteva solo abbozzare
col pennello mescolando i colori più complicati per dare un’illusione, lo renderà tangibile con un
sapiente impiego artistico di tutti i procedimenti dell’ottica di cui può disporre”.

Richard Wagner, Arte e rivoluzione, 1849

“Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo
rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente”.

Giacomo Balla e Fortunato Depero, Ricostruzione futurista dell’universo, 1915

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“segnato da una spinta quasi mistica verso il puro movimento, il colore, la luce, l'esperienza. Ha
molto a che fare con le altre arti, pittura, scultura, happening, ambiente, musica, ma l'aspetto
cinematogra co della luce, dello schermo (in diverse forme), dell'immagine ( lmata o prodotta con
altri mezzi), del movimento dominano queste opere”.

Jonas Mekas, 1965

“Una normale mostra d’arte lascia il visitatore da solo, permettendogli di contemplare e di


confrontarsi individualmente con gli oggetti esposti. [...] L’installazione, al contrario, costruisce
una comunità di spettatori giusto in virtù del carattere olistico e uni cante dello spazio che
occupa”.

Boris Groys, Politica dell’installazione, 2013

“3D spaces in the metaverse will let you socialize, learn, collaborate and play in ways that go
beyond what we can imagine”.

Mark Zuckerberg, 2021

15. CULTURA VISUALE


“Cosa, dopo tutto, può rientrare nel dominio dei visual studies? Non solo la storia dell'arte e
l'estetica, ma l'imaging scienti co e tecnico, il cinema, la televisione e i media digitali, così come
le indagini loso che sull'epistemologia della visione, gli studi semiotici delle immagini e dei segni
visivi, l'indagine psicoanalitica della pulsione scopica, gli studi fenomenologici, siologici e
cognitivi del processo visivo, gli studi sociologici della spettatorialità e del display, l'antropologia
visiva, l'ottica sica e la visione animale, e così via”.

W.J.T. Mitchell, Showing Seeing, 2002

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