Sei sulla pagina 1di 16

NUOVA INFORMAZIONE BIBLIOGRAFICA 2/09

Maria Antonietta Trasforini

Le domande giuste
A proposito di artiste

1. Le domande giuste
1. Le domande giuste. –2. Arte, genere e moder-
nità. – 3. Reti sociali, relazioni e creatività. – 4. - Non sa perché l’ha uccisa?
- Non direi questo.
Efetti di genere e battaglie mnemoniche. – 5. - Cosa direbbe allora?
Genere, arte e innovazione. – 6. L’esperienza di - Dipende dalle domande che mi
genere dell’artista: le generazioni. – 7. Eteroto- fanno.
- Non le hanno mai fatto la domanda
pie e nuove geograie teoriche e spaziali. – 7. giusta in questo delitto?
Eterotopie e nuove geograie teoriche e spaziali. - No. Dico la verità. Se mi avessero
– 8. After the revolution…– 9. Conclusioni. – 10. posto le domanda giusta, avrei trova-
to cosa rispondere…Mi hanno fatto
I Libri. sfilare davanti domande su domande
e non ne ho riconosciuta nessuna al
passaggio…

Così Marguerite Duras (1973, p. 121) racconta l’interrogatorio di una strava-


gante assassina in un suo romanzo breve del 1967 intitolato L’amante anglaise.
Se riuscire a fare le domande giuste fa trovare le risposte, va anche detto che
rassegne
la domanda giusta è spesso quella inattesa, che fa vedere le questioni sotto
una nuova luce, che aiuta a trovare e vedere nuovi «oggetti». L’introduzio-
ne del concetto di genere nelle scienze umane e non solo, ha svolto questa
funzione di «ri-costruzione» ( per non parlare di de-costruzione), aiutando a
formulare le «domande giuste», svolgendo il ruolo di messa a fuoco di nuovi
panorami cognitivi e aprendo orizzonti inattesi. Nel caso della storia dell’arte,
che qui ci interessa, le numerose ricerche svolte a partire dagli anni ’70 nel
novecento (ad esempio Nochlin e Sutherland-Harris, 1979; Parker e Pollock,
1981; Gaze, 1997 solo per citarne alcune) hanno contribuito a porre nuove
domande, fino a ridefinire il modo di interrogarsi su quello che da più parti è
stato anche definito una sorta di «giallo» dei mondi dell’arte, ovvero la scom-

NUOVA INFORMAZIONE BIBLIOGRAFICA, ANNO VI, N. 2 / Aprile-Giugno 2009


MARIA ANTONIETTA TRASFORINI

parsa o cancellazione delle artiste (Nochlin, 2007; Dumont e Sofio, 2007). Le


artiste c’erano e c’erano state. Si trattava di andarle a cercare.
Interrogarsi su arte e genere non significa tuttavia «aggiungere qualcosa»
al bagaglio investigativo, obbliga piuttosto a ri-posizionare lo sguardo, per
interrogare strumenti disciplinari e conoscenze date per acquisite. Come ha
scritto Griselda Pollock (2000, p. 21) «…sessualità e...modernità non possono
essere fra loro disgiunte e prese come categorie non modificabili, alle quali
si aggiungono le donne... Sono invece organizzate dalla differenza sessuale
e sono organizzazioni della stessa». Gli effetti di genere nei mondi dell’arte
– come altrove – sono infatti pervasivi sia nel tempo che nelle relazioni so-
ciali, aggrovigliati come sono in una matassa che la modernità ha fittamente
intrecciato fino a costruire «oggetti sociali» con la caratteristica di ingannevoli
forme «naturali».

2. Arte, genere e modernità

La donna artista che si affaccia sul palcoscenico della moderna metropoli, è


un’ospite inattesa e poco gradita, che porta scompiglio. Rappresenta infatti
una figura di New Woman della nascente cultura di massa, in sintonia con le
libertà promesse dalla modernità, ma in contrasto con le restrizioni di una
società che, spazialmente e moralmente, sta ridisegnando i confini dei generi.
Mentre dissolve ciò che la precede, la modernità produce per le donne anche
nuove opportunità – e nuove contraddizioni se non restrizioni. Infatti, nel
momento in cui – per parafrasare Marx – «tutto ciò che è solido si dissolve
rassegne

nell’aria», anche molto di ciò che stava nell’aria si consolida e acquista una
consistenza prima impensabile. Nella seconda metà dell’800, cresce infatti il
numero di donne di talento, che con l’arte si mantengono e vi si dedicano in
modo professionale e non più dilettantistico. Ma questa nuova attività – così
estesa da non aver paragoni con le epoche precedenti – richiede forme di
insegnamento nelle scuole private o pubbliche, con un accesso libero alle
donne come agli uomini, che dà luogo a scontri, dibattiti e polemiche. Il mo-
tivo non è solo morale, di temuta promiscuità, ma anche più prosaicamente
materiale. I processi di professionalizzazione investono infatti sia l’artista che
i nuovi professionisti della cultura e, con la nascita del mercato, essi sono
alla base di nuove forme di competizione basate sul genere. Ciò significa che
le artiste sono sempre più numerose su un mercato dell’arte che produce
reddito e tenerle fuori dalle scuole d’arte significa limitarne l’ingresso nella

2
A PROPOSITO DI ARTISTE

formazione professionale, e dunque controllare un monopolio e l’offerta di


risorse simboliche limitate (Trasforini, 2007). In effetti le donne competono, e
in più di un mercato culturale di fine ’800: a Parigi ad esempio, le pittrici sono
sempre più numerose, e sono qui attirate dalla fama e dalle risorse culturali e
formative della città (White e White, 1965); oppure in Inghilterra, il sorpasso
compiuto dai romanzieri rispetto alle romanziere è il risultato di una vera e
propria ri-classificazione del genere romanzo, passato da uno status minore
(perché praticato soprattutto da donne) ad uno socialmente più elevato, a
quel punto ambito anche da uomini (Tuchman e Fortin, 1989).
Analizzare dunque la donna artista come straordinario e contraddittorio
prodotto dell’intreccio fra genere e modernità, porta ad interrogare in pro-
fondità la «costruzione stessa della storia dell’arte» (Mainardi e Ferrer, 2007,
p. 79), ovvero di una disciplina che dalla fine dell’800 sino agli anni ’70 del
’900, ha espunto, ignorato, cancellato il racconto sulle artiste e sulla loro
rilevante presenza sia ottocentesca che novecentesca, e che ha fatto calare il
silenzio sui secoli precedenti. Avendo come sfondo il lavoro di «ri-costruzione»
che va da quella moderna ospite inattesa – l‘artista ottocentesca – sino alla
pluralità di presenze e pratiche dell’arte contemporanea (Pollock, 1999,
2007a) – limitando dunque l’arco temporale – ho individuato alcuni «luoghi
teorici sensibili», che restituiscono alcune delle «domande giuste» che recenti
studi e ricerche della «nuova» storia dell’arte hanno formulato a proposito
dell’intreccio «arte e genere».

3. Reti sociali, relazioni e creatività

Nella storia dell’arte come grande narrazione che struttura con la moderni-
rassegne
tà, il mito eroico dell’artista geniale e solitario ha reso un pessimo servizio
alla posterità. Ha finito infatti per nascondere quanto il lavoro artistico si
sviluppi all’interno dei mondi sociali dell’arte e quanto il lavoro creativo sia
invece debitore di molti supporti, incontri e relazioni affettive e amicali, reti
sociali formali e informali (Battersby 1989; Chatwick e De Courtivron 1993;
Becker, 2004).
Nel suo romanzo storico Rinascimento privato , Maria Bellonci (1989, p.
85) fa esclamare a Isabella d’Este, marchesa di Mantova: «Noi che teniamo
principato, abbiamo reti di parentela: e guai a non averle» ; e anche per gli
artisti si può dire «guai a non avere rete sociale!». Nel passato come oggi, le
reti sociali sono e sono state fondamentali. Se il riconoscimento passa attra-

3
MARIA ANTONIETTA TRASFORINI

verso la comunità degli artisti, chi è invisibile ai colleghi, è spesso destinato


a restare invisibile. Ed è quanto è successo a molte artiste del passato. La
visibilità passa quasi sempre attraverso quella rete di rapporti, relazioni,
contatti, che la sociologia ha definito circoli sociali, e che nel mondo dell’arte,
oltre ad identificare – ma non sempre – un canone estetico, rispondono anche
ad altre funzioni più materiali: come trovare spazi espositivi ed organizzare
le vendite.
L’appartenenza a reti sociali influenti, come i salotti settecenteschi, era
alla base della visibilità delle artiste di quel periodo (artiste come Rosalba
Carriera, Angelica Kauffmann, Elisabeth Vigèe-Lebrun e Adeläide Labille-
Guiard); i circoli sociali borghesi dell’800, come luoghi in cui si rappresentava
una prevalente identità di genere (maschile), crearono invece una progres-
siva esclusione delle borghesi, con ripercussioni negative anche sulle artiste
come nuove figure sociali che avevano un vitale bisogno di accessi agli spazi
pubblici. Lo capirono bene le pittrici e scultrici della Union des Peintres et
Sculpteurs, associazione creatasi a Parigi alla fine dell’800, con l’intenzione
di creare spazi di visibilità quale un vero e proprio Salon separatista annuale
(Sofio 2007; Gonnard, 2008), così come le iscritte alle decine di altre associa-
zioni professionali di artiste che sorgono un po’ ovunque in Europa e negli
Stati Uniti a fine ’800 e inizio ’900 (Trasforini 2007, p. 108). Lo capì altrettanto
bene l’attrice americana Charlotte Cushman, fondatrice a Roma negli anni
50-70 dell’800, di una comunità composta da scrittrici, pittrici, scultrici, attrici
e cantanti, legate da amicizia, interdipendenza, codici e spazi sociali e pro-
fessionali centrati sull’autonomia delle donne, convinta come era che «non
rassegne

solo era desiderabile ma era possibile per le donne guadagnare la propria


felicità attraverso il successo professionale» (Foose Parrott, 1988 ).
Lo sguardo di genere ha oggi evidenziato nuove cornici teoriche in cui
collocare anche la creatività individuale, sottolineando l’importanza dei
gruppi, delle interazioni, delle amicizie e delle reciproche influenze non solo
sul piano meramente professionale ed economico, ma anche a supporto della
stessa creatività. Un esempio viene dallo studio di alcune classiche coppie
etero o omosessuali di artisti (Chadwick e de Courtivron, 1993), che mette
in luce come nel mondo dell’arte a due, nelle coppie d’arte insomma, l’iden-
tità individuale e artistica sembra essere stata più il risultato di continue e
faticose negoziazioni, di conferma e negazione degli stereotipi del maschile
e del femminile, che non l’assunzione statica o prevaricante di ruoli sociali
precodificati. Dell’evento artistico si sottolinea insomma la forte dimensione

4
A PROPOSITO DI ARTISTE

relazionale: «La soggettività come incontro» fa da sfondo anche alle più recenti
teorizzazioni «femministe» e a numerose pratiche artistiche. Come afferma de
Zengher (2006, xviii): «questa visione, che sfida il canone esistente, sostiene
una idea basata non sulla essenza o la negazione ma su una idea di artista
che lavora attraverso le tracce che derivano da altri, cui esso o essa è border-
linked». Insomma il fare arte si colloca lungo una sequenza «genealogica» di
relazioni e non nella solitudine eroica.

4. Efetti di genere e battaglie mnemoniche

Le reti e le relazioni sociali – così come il loro riconoscimento – sono im-


portanti non solo in vita ma anche per la posterità. Come in un campo di
battaglia, l’emergere delle artiste, il loro essere visibili e diventare famose,
l’essere infine ricordate ed entrare nella storia, è (stato) il risultato di molti
fattori conflittuali. Di questo molto si è detto e scritto. Non vanno però sotto-
valutati eventi apparentemente meno conflittuali e anche solo casuali, dentro
cui comunque si rintraccia una quota di genere con un effetto cumulativo
negativo. Nelle battaglie mnemoniche (Zerubavel, 2005) ad esempio, effetti
di genere si annidano anche in luoghi biografici insospettabili, coperti di
apparente naturalità. Come hanno mostrato due sociologi americani in una
ricerca sulle incisore dell’800 cancellate dalla storia dell’arte (Lang e Lang,
1990), il lavoro di queste artiste è stato perso o dimenticato perché non c’era
rete sociale – alta o bassa – familiare o istituzionale, che sopravvivesse loro
e che – per usare una metafora pertinente – incidesse nella memoria. Le
incisore si sposavano meno degli uomini (incisori) e meno di questi avevano
figli; e anche quando si sposavano erano spesso loro a sopravvivere al mari-
rassegne
to: così «non c’era marito o figlio che facesse le cose che andavano fatte per
preservare il lavoro dell’artista e tenerne viva la memoria». Insomma anche
questa configurazione familiare finì per ripercuotersi negativamente sulla
sopravvivenza postuma delle incisore.
La presenza di figlie e figli non significa però salvaguardia della memo-
ria delle artiste. Anzi. L’ambivalenza del ricordo nei confronti di una madre
artista può a sua volta produrre forti rimozioni come è accaduto alla pittrice
futurista italiana Rosa Rosà (Salaris, 2001): alla sua morte (negli anni ’70) i
figli fecero rapidamente sparire ogni traccia del suo lavoro artistico, ritenendo
l’infatuazione futurista della madre un ricordo da rimuovere, considerandola
responsabile della rottura della armonia familiare.

5
MARIA ANTONIETTA TRASFORINI

Insomma la costruzione del ricordo e la trasmissione della memoria


sono faccende complicate, processi selettivi, non ad una sola direzione. E lo
svantaggio di genere funziona spesso come un meccanismo cumulativo e
stratificato, la cui persistente distribuzione nel tempo rischia di far perdere
di vista quanto le asimmetrie di potere si riproducano in modi subdoli e poco
appariscenti, fino a trasformarsi con lentezza inesorabile in eventi apparen-
temente naturali, su cui non ci si interroga più.

5. Genere, arte e innovazione

Un altro elemento di apparente naturalità è il rapporto delle artiste con l’in-


novazione, un tema che in Francia ha registrato di recente un episodio di
un certo clamore. Le artiste sono state «accusate» di non essere innovative.
In occasione di una mostra nel 2005 al Centre Pompidou di Parigi intitolata
Dionisiac, in cui non compariva neanche una donna, l’artista francese Jean-
Marc Bustamante giustificava questa assenza sostenendo che le artiste, dopo
un primo momento di creatività, sono costituzionalmente e culturalmente
portate a non produrre nulla di nuovo, a non osare, a non procedere come
gli artisti, e ad essere alla fine ripetitive su formule già sperimentate. Una
performer francese, Cécile Proust in una sua recente performance intitolata
femmeusesaction #18, les femmes ont du mal à tenir la distance (2007), ha
messo ironicamente in scena proprio questa accusa in un dialogo apparen-
temente surreale, smascherando stereotipi e luoghi comuni così facili da
evocare quando si tratta di genere.
rassegne

L’accusa di non produrre novità e di incapacità ad innovarsi, non è infatti


nuova e invoca in modo quasi ottocentesco pretestuose forme di biologismo.
Nei due esempi che seguono – pur diversi fra loro - si vedrà come anche certe
‘innovazioni’ contengano in realtà una quota di genere non piccola: il primo
riguarda i generi artistici del ritratto e del romanzo, il secondo il modo di
suonare il piano al tempo di Beethoven.
Due fra i principali e redditizi generi che le donne avevano frequentato
durante l’800, vale a dire il ritratto e il romanzo – il cui esercizio consentiva
loro di mantenersi – subirono col modernismo destini contraddittori: il primo
fu svalutato dalla critica modernista, il secondo, quando fu ridefinito e social-
mente apprezzato, collocò le donne ai margini (come accadde in Inghilterra a
fine 800 inizio ’900 (Dunford, 1989). Questa svalutazione/rivalutazione coin-
ciderà col privilegiare generi più disinteressati al mercato, generi innovativi

6
A PROPOSITO DI ARTISTE

ispirati all’art pour l’art, come la pittura astratta e la poesia di avanguardia,


creando così una bizzarra polarizzazione di genere e innovazione: con le
donne votate a forme d’arte di tipo tradizionale, non innovativa, e gli uomini
orientati a forme d’arte d’avanguardia e di progresso. Se questo è vero, ciò
non ha però impedito che molte – e spesso dimenticate – siano state le artiste
innovative e inventive presenti nelle avanguardie novecentesche.
Tale polarità di genere è rintracciabile nel caso della Vienna di fine
‘700-inizio ’800, trasformata dalla nuova musica di Beethoven e dal suo modo
di suonare, studiata da Tia de Nora (2000). Le pianiste viennesi, pur molto
attive fino a quel momento sulla scena musicale «...non suonavano la musica
di Beethoven, perché essa era in contrasto con radicate norme circa gli usi
che le donne potevano fare dei loro corpi al servizio della vita musicale… Le
donne pianisticamente competenti divennero per reazione le depositarie di
un insieme di pratiche esecutive e di opere precedenti e meno importanti in
termini professionali, mentre i loro colleghi maschi diventarono gli interpreti
del «progresso» e di nuove forme di «mascolinità» musicale (De Nora , pp.
182-185). Ancora una volta insomma ragioni culturali e sociali smentiscono
le pigre e rassicuranti motivazioni cosiddette biologiche, mostrando come
gli effetti di genere siano in realtà sempre in agguato.

6. L’esperienza di genere dell’artista: le generazioni

Le costruzioni, le rappresentazioni, i rapporti di forza fra i generi plasmano


quello che Baxandall (2000, p. 74) ha definito l’artista culturale. Molti, e talvolta
imponderabili e insospettati, sono i fattori culturali, economici, tecnologici,
sociali che contribuiscono a dare forme, ritmi, accelerazioni all’esperienza
rassegne
di genere dell’artista: che è sempre nurture not nature (Pollock, 2000), fatta
cioè delle circostanze storiche e sociali che costituiscono i vincoli e le risorse
del campo sociale dell’arte (Bourdieu 1976). Uno di tali fattori è certamente
quello generazionale. Che cosa lo definisce? per dirla con Karl Mannheim
(1975), ciò che fonda una generazione è la condivisione di uno spazio sociale,
ovvero di una comune esperienza storico-sociale che incide sulle scelte e sui
comportamenti di chi vi partecipa. In ambito artistico ad esempio essa si tra-
duce nella condivisione dei vincoli e delle risorse materiali e simboliche che
vanno dall’accesso alla formazione, alle tecniche, al mercato, fino a tutto ciò
che simbolicamente concorre a costruire identità, per produrre effetti espliciti
o impliciti sulla esperienza artistica. Più è pervasiva l’esperienza storica, più

7
MARIA ANTONIETTA TRASFORINI

è ampio il numero di persone della stessa età che la condivide, più si può
parlare di identità collettiva (Spitzer, 1987). Ad esempio per le donne della
seconda metà dell’800 che intendevano intraprendere una strada nei mondi
dell’arte, nonostante le forti difficoltà di entrare in scuole pubbliche, si può
probabilmente parlare di una generazione caratterizzata dalla condivisione
dell’esperienza della modernità, come esperienza di cambiamento che finì
per incidere sulle loro scelte e sui loro comportamenti.
Ri-costruire il campo della generazione significa dunque individuare
quali elementi siano caratteristici di una «coorte di età» o di più coorti: ad
esempio il femminismo, una guerra, la condivisione di lotte legate all’identità.
É in altri termini una ricerca delle storie e delle geografie (al plurale) che
stanno alla base di una generazione. In un recente testo intitolato After the
Revolution. Women who transformed Contemporary Art, le autrici Eleanor
Heartney, Helaine Posner, Nancy Princenthal e Sue Scott (2007), hanno usato
il criterio generazionale proprio in questa chiave: sia sotto il profilo dell’età,
ma soprattutto sotto il profilo dell’esperienza condivisa di un evento come
il femminismo e le risorse simboliche, relazionali e materiali che esso ha
messo in campo: la «teoria femminista e l’arte contemporanea - sostengono
le autrici - sono state legate in un processo di continua evoluzione» . E il
femminismo – ha osservato de Zegher (2007, xvi-xvii) – «...ha consentito di
vedere ciò che era (o è ancora) nascosto: ciò che non è allineato con tutto
ciò che è considerato importante in un determinato momento, o che richiede
differenti condizioni di percezione...(Molte artiste – ma anche alcuni artisti)…
hanno riconosciuto il grande potenziale contenuto nella nozione di relazione
rassegne

e connessione per capire ciò che l’arte può essere».


Per almeno tre generazioni di artiste il femminismo si è intrecciato esplici-
tamente o implicitamente alle loro vite e al loro lavoro: le proto-attiviste come
Louise Bourgeois e Nancy Spero, con una lunga esperienza di marginalità,
(e oggi figure di prima grandezza nel panorama dell’arte contemporanea); la
generazione militante da Cindy Sherman a Kiki Smith, da Annette Messager a
Jana Sterbak per le quali il femminismo diventò uno strumento di consapevole
costruzione di identità sia personale che artistica; sino ad una più recente e
più contraddittoria generazione di artiste, alcune delle quali dichiarano debiti
espliciti e riconosciuti, mentre altre dal femminismo prendono le distanze
con disagio e ambivalenza.
Il panorama teorico e narrativo dell’arte contemporanea, ampiamente
segnato da quella che possiamo definire in senso ampio la «teoria delle dif-

8
A PROPOSITO DI ARTISTE

ferenze» con la sua attenzione alle storie, alle geografie e alle generazioni,
non riguarda più solo chi fa arte, e dunque le artiste e gli artisti, ma anche
di chi l’arte la racconta, la cura, la divulga: e dunque storiche/i dell’arte e
studiose/i, curatrici/curatori, fino ad investire i luoghi in cui le azioni, le
opere, gli interventi d’arte prendono forma.

7. Eterotopie e nuove geograie teoriche e spaziali

Proprio le storie e le geografie delle artiste sono oggi sempre più rilevanti nel
ridisegnare quello che una recente mostra al Brooklyn Museum di New York
ha definito il panorama dei Femminismi globali (Relly e Nochlin, 2007), non
più circoscrivibili all’occidente europeo o statunitense (Dimitrakaki, 2004).
In realtà gli altri luoghi, gli altrove teorici, geografici e culturali hanno spesso
caratterizzato anche in passato l’arte delle donne, evocando quelle che Michel
Foucault (1998) ha definito eterotopie : vale a dire quei ‘luoghi altri’ capaci di
creare movimenti anche contraddittori e di mettere in comunicazione molti
luoghi reali e metaforici fra di loro.
Sul piano della teoria culturale è «eterotopia» il virtual museum proposto
da Griselda Pollock (2007a; 2007b), come luogo di incontro fra le opere e chi
le osserva, inventando nuove forme di nomadismo culturale nello spazio,
nel tempo e nella memoria, in un ambizioso e affascinante progetto femmi-
nista di differenziazione del canone (dell’arte), che evoca esplicitamente la
Mnemosyne di Aby Warburg.
«Eterotopia» è anche l’altrove biografico di molte artiste, spesso rappre-
sentato da una patria d’origine diversa da quella attuale, dal bilinguismo o
plurilinguismo, da una storia di viaggiatrice «non sempre volontaria», come
rassegne
peraltro indica la lunga tradizione di migrazioni artistiche: nel passato gli
spostamenti erano risorse di emancipazione (Benstock, 1987; Foose Par-
rot, 1988; Green, 1991; Leed, 1992), e oggi sono insostituibili passaggi di
formazione o fughe da luoghi culturalmente o politicamente insostenibili.
Le eterotopie delle artiste sembrano fornire nuove forme di autoriflessione
culturale, e per molte, nel passato come oggi, sembrano aver funzionato come
strade per uscire e come luogo da cui costruire nuove identità. Le migrazioni
artistiche di un tempo assumono oggi nuovi caratteri, che la globalizzazione
con la sua dimensione transculturale trasforma in congiunture diasporiche e
cosmopolitismi discrepanti (Clifford, 1997; Hall, 2003). Artiste «nomadi» – da
Marina Abramovic a Maya Bajevic, da Mona Hatoum a Shirin Neshat, solo

9
MARIA ANTONIETTA TRASFORINI

per fare alcuni nomi – producono nuovi sguardi a partire dalle loro identità
culturalmente ibride, ritornano in luoghi da cui erano partite o dovute partire,
interrogano patrie e culture di origine trasformate dalle guerre o da cambi di
regimi. La loro è un’arte che «tiene conto dei luoghi» e delle relazioni che li
segnano, che spesso prende posizione politica, che si trasforma di frequente
in indagine culturale, usando forme e strumenti che spesso confinano con la
ricerca antropologica. Mettendo in atto forme di ri-territorializzazione della
cultura, o di ri–culturizzazione del territorio (Wang e Yueh-yu, 2005), esse
«inventano» un nuovo rapporto fra cultura e luogo, operando nuove commi-
stioni fra cultura alta e cultura bassa (Trasforini, 2008).
Con le loro odissee artistiche e concettuali sembrano dunque svolgere
un radicale lavoro «culturale» (Pollock, 2007b; Bal, 2007) che è molto simile
a ciò che in tutte le culture i riti hanno svolto nei momenti liminali, ovvero
dare un contributo ad «elaborare l’esperienza lacerante del cambiamento
temporale» (Canclini, 1998).

8. After the revolution…

Dal gesto iconoclasta di Mary Richardson, che nel 1914, alla National Gallery
di Londra, con una lama sfregiò la Venere di Velàzquez, per richiamare l’atten-
zione dell’opinione pubblica sul voto alle donne; al manifesto con l’Odalisca
di Ingres col volto di gorilla con cui le Guerrilla Girls denunciavano a New
York negli anni ‘80 le poche artiste presenti al Metropolitan Museum; fino al
gesto delle anonime cinque artiste danesi che nel 2001 hanno segretamente
rassegne

seppellito le loro opere nelle fondamenta del museo della città danese di
Aarhus, per propiziare una migliore accoglienza dell’arte delle donne (Mura,
2005), nell’odierno panorama del mondo dell’arte molte cose sono certo
cambiate. Non sono più, per fortuna, gli anni oscuri dell’invisibilità di molte,
dell’epoca in cui Louise Bourgeois – come lei stessa ha raccontato – «lavorava
e teneva il suo lavoro nascosto» (Landau, 1989, p. 33). Oggi molte artiste – fra
cui la stessa Bourgeois – sono diventate delle artistars, guadagnando fama,
prestigio e quotazioni elevate sul mercato dell’arte (Diez, 2009).
Ma accanto a questi exploit quali eventi più lenti si registrano? Cosa è
ad esempio successo nei musei, nelle gallerie dopo gli anni ’90 sino ad oggi?
Alcuni dati non sono così incoraggianti. Le già citate autrici di After the Re-
volution, riferendosi ad esempio al mondo dell’arte statunitense, indicano
ad esempio che la presenza delle artiste in termini di mostre personali in

10
A PROPOSITO DI ARTISTE

gallerie private e in musei pubblici, così come nelle pubblicazioni di mono-


grafie e cataloghi, è certamente aumentato in termini assoluti dagli anni ’70
sino ai primi anni del nuovo millennio. Percentualmente però – e dunque in
termini di rapporti genere – l’andamento ha subito una flessione significativa
proprio nel corso degli anni ’90 (Heartney, Posner, Princenthal e Scott, 2007,
pp. 22-24). Le ragioni sono certo complesse. Ma una domanda sorge ingenua
forse, – ma forse è la «domanda giusta» – così come ingenua può essere la
risposta: non è che fino all’inizio degli anni ’90 si è sentita la grande forza
d’urto del femminismo? E che in seguito questa forza è venuta a mancare?
I rapporti di genere sono infatti sensori veloci e sensibili di cambiamenti,
e anche nel mondo dell’arte, come abbiamo visto fino ad ora, gli effetti si
propagano e rapidamente.

9. Conclusioni

Al termine di questa breve rassegna le cui conclusioni restano comunque


aperte, ricordo l’opera provocatoria e monumentale che l’artista portoghese
Joana Vasconcelo ha presentato alla Biennale di Venezia del 2005, nei gi-
ganteschi locali dell’Arsenale: un enorme lampadario di forma classica fatto
di tamponi igienici invece che di gocce di cristallo. Quell’opera metteva in
scena in modo paradossale e ironico proprio il biologismo cui sempre è stata
ricondotta e ridotta l’identità della donna artista nei secoli passati, insieme
alla variabilità e precarietà storica del femminile. Proprio perché socialmente
costruito, e dunque variato e variabile, il femminile cambia ed è cambiato: le
storie si inframmezzano con le geografie e le culture di nuove generazioni
di artiste e anche di artisti, così che i vincoli, le opportunità, le risorse mate-
rassegne
riali e simboliche che caratterizzano l’esperienza artistica di un determinato
momento storico, cambiano nei vari punti del globo (Dimitrakaki, 2004; Am-
strong e de Zegher, 2007; Relly e Nochlin, 2007). Nella nuova Europa, come
negli Stati Uniti, nei paesi post-coloniali come in quelli un tempo periferici
ai tradizionali mondi dell’arte e oggi al centro delle nuove geografie dell’arte,
le artiste lo sperimentano con nuove forme e gradi di libertà, prima fra tutte
la libertà dal mito, europeo e occidentale, di una creatività legata ad un’idea
narcisista e grandiosa dell’artista (Tickner, 2002), che ha le sue radici nell’im-
magine eroica e sessualizzata dell’artista ottocentesco. I nuovi profili sono
quelli ibridi di pratiche e figure prismatiche in cui il genere pure restando
«determinante» si mescola tuttavia alle molte dimensioni della «modernità

11
MARIA ANTONIETTA TRASFORINI

liquida»: identità, appartenenza, contesto di origine, generazioni, tradizione,


genealogie – culturali, familiari, artistiche.

10. Libri

AMSTRONG, CAROL e DE ZEGHER CATHERINE (a cura di), Women Artists at the


Millennium, Cambridge (MA), The MIT Press, 2006
BAL, MIEKE, Working with Concepts, in Pollock, Griselda (a cura di), Concep-
tual Odysseys. Passages to cultural analysis, London-New York,
I.B.Tauris, pp. 1-10, 2007
BATTERSBY, CHRISTINE, Gender and Genius, London, The Women Press, 1989
BAXANDALL, MICHEL, Le forme dell’intenzione. Sulla spiegazione storica delle
opere d’arte, Torino, Einaudi, 2000 (1985)
BECKER, HOWARD S., I mondi dell’arte, Bologna, Il Mulino, 2004 (1982)
BELLONCI, MARIA, Rinascimento privato, Milano, Mondadori, 1989
BENTSTOCK, SHARI, Women of the left Bank, London, Virago Press, 1987
BOURDIEU, PIERRE, Quelques propriétés des champs, in Questions de Sociologie,
Paris, Editions de Minuit, 1976, pp. 113-120
CANCLINI, NESTOR GARCIA, Culture ibride. Strategie per entrare e uscire dalla
modernità, Milano, Guerini Studio, 1998 (1989)
CHADWICH, WHITNEY e DE COURTIVRON ISABELLE (a cura di), Significant Others.
Creativity and Intimate Partnership, New York, Thames and
rassegne

Hudson, 1993
DE ZEGHER, CATHERINE, Introduction, in Amstrong, Carol e de Zegher Cathe-
rine, (a cura di), Women Artists at the Millennium, Cambridge
(MA), The MIT Press, 2006, pp. xv-xx
DIEZ, R., Le regine dell’arte, in «Arte», gennaio (2009), pp.82-89
DUNFORD, PENNY, A Biographical Dictionary of Women Artists in Europe and
America Since 1830, Philadelphia, Univ. of Pennsylvania Press
1989
DURAS, MARGUERITE, L’amante inglese, Torino, Einaudi, 1973 (1967)
CLIFFORD, JAMES, Routes: Travel and Translation in the Late Twentieth Cen-
tury, Cambridge (Mass.), Harvard, Harvard University Press,
1997

12
A PROPOSITO DI ARTISTE

DE CECCO, EMANUELA, Artiste nel contesto. Narrazioni a margine di una mo-


stra, in Trasforini Maria Antonietta (a cura di) Donne d’arte.
Storie e generazioni, Roma, Meltemi (2006) pp. 199-220
DE NORA, TIA, Corpo e genere al piano. Repertorio, tecnologia e comportamen-
to nella Vienna di Beethoven, in «Rassegna Italiana di Sociolo-
gia», 2 (2000), pp.165-188
DIMITRAKAKI, ANGELA, Researching Culture/s and the Omitted Footnote: Que-
stions on the Practice of Feminist Art History, in Mosquera, Ge-
rardo e Fisher Jean (a cura di), Over Here. International Per-
spectives on Art and Culture, New Museum of Contemporary
Art, New York, The Mit Press, Cambridge (MA), (2004), pp.
348-362
DUMONT, FABIENNE e SOFIO, SÉVERINE, Esquisse d’une épistémologie de la théori-
sation féministe en art, in «Cahiers du Genre» Genre, féminisme
et valeur de l’art, 43 (2007), pp. 17- 44
FOOSE PARROTT, SARA, Networking in Italy: Charlotte Cushman and ‘The Whi-
te Marmorean Flock’, in «Women’s Studies», vol.14, (1988), pp.
305-338
FOUCAULT, MICHEL, Eterotopie, in Archivio Foucault.Interventi, colloqui, inter-
viste, 1978-1985, Milano, Feltrinelli, pp. 307- 316, 1998, (1967)
GAZE, DELIA (a cura di), Dictionary of Women Artists, London and Chicago,
Fitzroy Dearborn Publishers,1997
GONNARD, CATHERINE, Les paradoxes des expositions d’artistes femmes, entre
féminisme et art féminin, Paper presentato al seminario Quelles
rassegne
politiques d’exposition pour les plasticiennes?, Fondation Har-
tung/Bergman, Antibes, Settembre 2008
GREEN, NANCY, L’emigration comme emancipation: les Femmes Juives d’Euro-
pe de l’Est à Paris, 1881-1914, in «Pluriel», 27, (1981), pp. 51-59
HALL, STUARD, Creolization, Diaspora, and Hybridity in the Context of Globa-
lisation, in Enwezor, O. et alii (a cura di) Créolité and Creoliza-
tion: Documenta 11_Platform 3, Kassel: Hatje Cantz Publishers,
2003, pp. 185-198
HEARTNEY ELEONOR, POSNER HELAINE, PRINCENTHAL NANCY e SCOTT SUE, After the
Revolution. Women who transformed Contemporary Art, New
York, Prestel, 2007

13
MARIA ANTONIETTA TRASFORINI

LANG, GLADYS ENGEL e LANG, KURT, Etched in Memory: the building and sur-
vival of artistic reputation, Chapel Hill/London, University of
North Carolina Press, 1990
LANDAU, ELLEN G., Tough Choices: Becoming a Woman Artist, 1900-1970, in
Making Their Mark. Women Artist Move into the Mainstream,
a cura di R. Rosen e C. Brawer Catherine, New York, Abbeville
Press Publisher, pp. 27-44. (1989)
LEED, ERIC J., La mente del viaggiatore. Dall’Odissea al turismo globale, Bo-
logna, Il Mulino, 1992 (1991)
MAINARDI, PATRICIA e FERRER MATHILDE, De chaque coté de l’Atlantique, deux
parcours féministes en art, in «Cahiers du Genre» Dossier Gen-
re, féminisme et valeur de l’art, n. 43 (2007), pp. 71-94
MANNHEIM, KARL, Sociologia della conoscenza, Bari, Dedalo, 1975
MURA, GIANNINA, La protesta delle artiste danesi. Aros, un gesto di disobbedien-
za civile per dare visibilità alle loro opere, in «Il Manifesto», 13
marzo (2005), p.15
NOCHLIN, LINDA e SUTHERLAND-HARRIS ANN, Le grandi pittrici, 1550-1590,
Milano,Feltrinelli,1979
NOCHLIN, LINDA, Women Artist Then and Now : Painting, Sculpture, and the
Image of the Self, in Relly, Maura e Nochlin, Linda, (a cura di),
Global Feminism. New Direction in Contemporary Art, London-
New York, Merrel, 2007, pp. 47-69
rassegne

PARKER, ROZSIKA e POLLOCK, GRISELDA, Old Mistresses, N.Y. Pantheon Boo-


ks,1981
PERRY, GILL, Introduction: Visibility, Difference and Excess, in Difference and
Excess in Contemporary Art. The visibility of Women’s Practice,
a cura di G. Perry, London, Blackwell, pp. 1-21 (2004)
POLLOCK, GRISELDA , Modernità e spazi del femminile, in Arte a parte. Donne
artiste fra margini e centro, a cura di M.A.Trasforini, Milano,
FrancoAngeli, pp.17- 48, 2001 (1988)
POLLOCK, GRISELDA, Differencing the Canon. Feminist Desire and the Writing of
Art’s Histories, London and New York, Routledge, 1999
POLLOCK, GRISELDA, Encounters in the Virtual Feminist Museum. Time, Space
and the Archive, London, Routledge, 2007a

14
A PROPOSITO DI ARTISTE

POLLOCK, GRISELDA (a cura di), Conceptual Odysseys. Passages to cultural


analysis, London-New York, I.B.Tauris, 2007b
PROUST, CÉCILE, femmeusesaction #18, les femmes ont du mal à tenir la distan-
ce, sito: www.femmeuses.org., 2007
RELLY, MAURA e NOCHLIN, LINDA, (a cura di), Global Feminism. New Direction
in Contemporary Art, London-New York, Merrel, 2007
SALARIS, CLAUDIA, Incontri con le futuriste, in Iamurri, Laura e Spinazzè, Sa-
brina (a cura di) L’arte delle donne nell’Italia del Novecento,
Roma, Meltemi, (2001), pp. 50-66, 2001
SOFIO, SEVERINE, Pour en finir avec l’exception. Genre et pratique profession-
nelle de l’art dans la première moitié du XIX siècle, Paper pre-
sentato al seminario Penser les relations historiques et actuelles
entre arts et féminisme en France, Fondation Hartung/Bergman,
Antibes, Settembre 2007
SPITZER, ALAN B., The French Generation of 1820, Princeton, Princeton Uni-
versity Press, 1987
TICKNER, LISA, Mediating Generation: the mother-daughter plot, in «Art Histo-
ry», XXV, 1 (2002), pp. 23-46
TRASFORINI, MARIA ANTONIETTA, Nel segno delle artiste. Donne, professioni d’arte
e modernità, Bologna, Il Mulino, 2007
TRASFORINI, MARIA ANTONIETTA, The Nomadic Artist. How to think historically
in the present, paper presentato all’ Esa Conference Arts, Cul-
ture and Public Sphere, Venezia, novembre 2008
TUCHMAN, GAYLE e FORTIN NINA, Edging Women Out, London, Routledge, 1989
rassegne
WANG G. and YUEH-YU Y., 2005, Globalization and Hybridization in cultural
products, in «International Journal of Cultural Studies», vol. 8
(2), pp.175-193
WHITE, HARRISON C. e WHITE, CINTHIA, Canvases and Careers: Institutional
Change in the France Painting World, New York, John Wiley &
Sons, 1965
ZERUBAVEL, EVIATAR, Mappe del tempo. Memoria collettiva e costruzione socia-
le del passato, Bologna, Il Mulino, 2005 (2003)

15

Potrebbero piacerti anche