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Le domande giuste
A proposito di artiste
1. Le domande giuste
1. Le domande giuste. –2. Arte, genere e moder-
nità. – 3. Reti sociali, relazioni e creatività. – 4. - Non sa perché l’ha uccisa?
- Non direi questo.
Efetti di genere e battaglie mnemoniche. – 5. - Cosa direbbe allora?
Genere, arte e innovazione. – 6. L’esperienza di - Dipende dalle domande che mi
genere dell’artista: le generazioni. – 7. Eteroto- fanno.
- Non le hanno mai fatto la domanda
pie e nuove geograie teoriche e spaziali. – 7. giusta in questo delitto?
Eterotopie e nuove geograie teoriche e spaziali. - No. Dico la verità. Se mi avessero
– 8. After the revolution…– 9. Conclusioni. – 10. posto le domanda giusta, avrei trova-
to cosa rispondere…Mi hanno fatto
I Libri. sfilare davanti domande su domande
e non ne ho riconosciuta nessuna al
passaggio…
nell’aria», anche molto di ciò che stava nell’aria si consolida e acquista una
consistenza prima impensabile. Nella seconda metà dell’800, cresce infatti il
numero di donne di talento, che con l’arte si mantengono e vi si dedicano in
modo professionale e non più dilettantistico. Ma questa nuova attività – così
estesa da non aver paragoni con le epoche precedenti – richiede forme di
insegnamento nelle scuole private o pubbliche, con un accesso libero alle
donne come agli uomini, che dà luogo a scontri, dibattiti e polemiche. Il mo-
tivo non è solo morale, di temuta promiscuità, ma anche più prosaicamente
materiale. I processi di professionalizzazione investono infatti sia l’artista che
i nuovi professionisti della cultura e, con la nascita del mercato, essi sono
alla base di nuove forme di competizione basate sul genere. Ciò significa che
le artiste sono sempre più numerose su un mercato dell’arte che produce
reddito e tenerle fuori dalle scuole d’arte significa limitarne l’ingresso nella
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A PROPOSITO DI ARTISTE
Nella storia dell’arte come grande narrazione che struttura con la moderni-
rassegne
tà, il mito eroico dell’artista geniale e solitario ha reso un pessimo servizio
alla posterità. Ha finito infatti per nascondere quanto il lavoro artistico si
sviluppi all’interno dei mondi sociali dell’arte e quanto il lavoro creativo sia
invece debitore di molti supporti, incontri e relazioni affettive e amicali, reti
sociali formali e informali (Battersby 1989; Chatwick e De Courtivron 1993;
Becker, 2004).
Nel suo romanzo storico Rinascimento privato , Maria Bellonci (1989, p.
85) fa esclamare a Isabella d’Este, marchesa di Mantova: «Noi che teniamo
principato, abbiamo reti di parentela: e guai a non averle» ; e anche per gli
artisti si può dire «guai a non avere rete sociale!». Nel passato come oggi, le
reti sociali sono e sono state fondamentali. Se il riconoscimento passa attra-
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A PROPOSITO DI ARTISTE
relazionale: «La soggettività come incontro» fa da sfondo anche alle più recenti
teorizzazioni «femministe» e a numerose pratiche artistiche. Come afferma de
Zengher (2006, xviii): «questa visione, che sfida il canone esistente, sostiene
una idea basata non sulla essenza o la negazione ma su una idea di artista
che lavora attraverso le tracce che derivano da altri, cui esso o essa è border-
linked». Insomma il fare arte si colloca lungo una sequenza «genealogica» di
relazioni e non nella solitudine eroica.
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A PROPOSITO DI ARTISTE
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è ampio il numero di persone della stessa età che la condivide, più si può
parlare di identità collettiva (Spitzer, 1987). Ad esempio per le donne della
seconda metà dell’800 che intendevano intraprendere una strada nei mondi
dell’arte, nonostante le forti difficoltà di entrare in scuole pubbliche, si può
probabilmente parlare di una generazione caratterizzata dalla condivisione
dell’esperienza della modernità, come esperienza di cambiamento che finì
per incidere sulle loro scelte e sui loro comportamenti.
Ri-costruire il campo della generazione significa dunque individuare
quali elementi siano caratteristici di una «coorte di età» o di più coorti: ad
esempio il femminismo, una guerra, la condivisione di lotte legate all’identità.
É in altri termini una ricerca delle storie e delle geografie (al plurale) che
stanno alla base di una generazione. In un recente testo intitolato After the
Revolution. Women who transformed Contemporary Art, le autrici Eleanor
Heartney, Helaine Posner, Nancy Princenthal e Sue Scott (2007), hanno usato
il criterio generazionale proprio in questa chiave: sia sotto il profilo dell’età,
ma soprattutto sotto il profilo dell’esperienza condivisa di un evento come
il femminismo e le risorse simboliche, relazionali e materiali che esso ha
messo in campo: la «teoria femminista e l’arte contemporanea - sostengono
le autrici - sono state legate in un processo di continua evoluzione» . E il
femminismo – ha osservato de Zegher (2007, xvi-xvii) – «...ha consentito di
vedere ciò che era (o è ancora) nascosto: ciò che non è allineato con tutto
ciò che è considerato importante in un determinato momento, o che richiede
differenti condizioni di percezione...(Molte artiste – ma anche alcuni artisti)…
hanno riconosciuto il grande potenziale contenuto nella nozione di relazione
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A PROPOSITO DI ARTISTE
ferenze» con la sua attenzione alle storie, alle geografie e alle generazioni,
non riguarda più solo chi fa arte, e dunque le artiste e gli artisti, ma anche
di chi l’arte la racconta, la cura, la divulga: e dunque storiche/i dell’arte e
studiose/i, curatrici/curatori, fino ad investire i luoghi in cui le azioni, le
opere, gli interventi d’arte prendono forma.
Proprio le storie e le geografie delle artiste sono oggi sempre più rilevanti nel
ridisegnare quello che una recente mostra al Brooklyn Museum di New York
ha definito il panorama dei Femminismi globali (Relly e Nochlin, 2007), non
più circoscrivibili all’occidente europeo o statunitense (Dimitrakaki, 2004).
In realtà gli altri luoghi, gli altrove teorici, geografici e culturali hanno spesso
caratterizzato anche in passato l’arte delle donne, evocando quelle che Michel
Foucault (1998) ha definito eterotopie : vale a dire quei ‘luoghi altri’ capaci di
creare movimenti anche contraddittori e di mettere in comunicazione molti
luoghi reali e metaforici fra di loro.
Sul piano della teoria culturale è «eterotopia» il virtual museum proposto
da Griselda Pollock (2007a; 2007b), come luogo di incontro fra le opere e chi
le osserva, inventando nuove forme di nomadismo culturale nello spazio,
nel tempo e nella memoria, in un ambizioso e affascinante progetto femmi-
nista di differenziazione del canone (dell’arte), che evoca esplicitamente la
Mnemosyne di Aby Warburg.
«Eterotopia» è anche l’altrove biografico di molte artiste, spesso rappre-
sentato da una patria d’origine diversa da quella attuale, dal bilinguismo o
plurilinguismo, da una storia di viaggiatrice «non sempre volontaria», come
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peraltro indica la lunga tradizione di migrazioni artistiche: nel passato gli
spostamenti erano risorse di emancipazione (Benstock, 1987; Foose Par-
rot, 1988; Green, 1991; Leed, 1992), e oggi sono insostituibili passaggi di
formazione o fughe da luoghi culturalmente o politicamente insostenibili.
Le eterotopie delle artiste sembrano fornire nuove forme di autoriflessione
culturale, e per molte, nel passato come oggi, sembrano aver funzionato come
strade per uscire e come luogo da cui costruire nuove identità. Le migrazioni
artistiche di un tempo assumono oggi nuovi caratteri, che la globalizzazione
con la sua dimensione transculturale trasforma in congiunture diasporiche e
cosmopolitismi discrepanti (Clifford, 1997; Hall, 2003). Artiste «nomadi» – da
Marina Abramovic a Maya Bajevic, da Mona Hatoum a Shirin Neshat, solo
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per fare alcuni nomi – producono nuovi sguardi a partire dalle loro identità
culturalmente ibride, ritornano in luoghi da cui erano partite o dovute partire,
interrogano patrie e culture di origine trasformate dalle guerre o da cambi di
regimi. La loro è un’arte che «tiene conto dei luoghi» e delle relazioni che li
segnano, che spesso prende posizione politica, che si trasforma di frequente
in indagine culturale, usando forme e strumenti che spesso confinano con la
ricerca antropologica. Mettendo in atto forme di ri-territorializzazione della
cultura, o di ri–culturizzazione del territorio (Wang e Yueh-yu, 2005), esse
«inventano» un nuovo rapporto fra cultura e luogo, operando nuove commi-
stioni fra cultura alta e cultura bassa (Trasforini, 2008).
Con le loro odissee artistiche e concettuali sembrano dunque svolgere
un radicale lavoro «culturale» (Pollock, 2007b; Bal, 2007) che è molto simile
a ciò che in tutte le culture i riti hanno svolto nei momenti liminali, ovvero
dare un contributo ad «elaborare l’esperienza lacerante del cambiamento
temporale» (Canclini, 1998).
Dal gesto iconoclasta di Mary Richardson, che nel 1914, alla National Gallery
di Londra, con una lama sfregiò la Venere di Velàzquez, per richiamare l’atten-
zione dell’opinione pubblica sul voto alle donne; al manifesto con l’Odalisca
di Ingres col volto di gorilla con cui le Guerrilla Girls denunciavano a New
York negli anni ‘80 le poche artiste presenti al Metropolitan Museum; fino al
gesto delle anonime cinque artiste danesi che nel 2001 hanno segretamente
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seppellito le loro opere nelle fondamenta del museo della città danese di
Aarhus, per propiziare una migliore accoglienza dell’arte delle donne (Mura,
2005), nell’odierno panorama del mondo dell’arte molte cose sono certo
cambiate. Non sono più, per fortuna, gli anni oscuri dell’invisibilità di molte,
dell’epoca in cui Louise Bourgeois – come lei stessa ha raccontato – «lavorava
e teneva il suo lavoro nascosto» (Landau, 1989, p. 33). Oggi molte artiste – fra
cui la stessa Bourgeois – sono diventate delle artistars, guadagnando fama,
prestigio e quotazioni elevate sul mercato dell’arte (Diez, 2009).
Ma accanto a questi exploit quali eventi più lenti si registrano? Cosa è
ad esempio successo nei musei, nelle gallerie dopo gli anni ’90 sino ad oggi?
Alcuni dati non sono così incoraggianti. Le già citate autrici di After the Re-
volution, riferendosi ad esempio al mondo dell’arte statunitense, indicano
ad esempio che la presenza delle artiste in termini di mostre personali in
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9. Conclusioni
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10. Libri
Hudson, 1993
DE ZEGHER, CATHERINE, Introduction, in Amstrong, Carol e de Zegher Cathe-
rine, (a cura di), Women Artists at the Millennium, Cambridge
(MA), The MIT Press, 2006, pp. xv-xx
DIEZ, R., Le regine dell’arte, in «Arte», gennaio (2009), pp.82-89
DUNFORD, PENNY, A Biographical Dictionary of Women Artists in Europe and
America Since 1830, Philadelphia, Univ. of Pennsylvania Press
1989
DURAS, MARGUERITE, L’amante inglese, Torino, Einaudi, 1973 (1967)
CLIFFORD, JAMES, Routes: Travel and Translation in the Late Twentieth Cen-
tury, Cambridge (Mass.), Harvard, Harvard University Press,
1997
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LANG, GLADYS ENGEL e LANG, KURT, Etched in Memory: the building and sur-
vival of artistic reputation, Chapel Hill/London, University of
North Carolina Press, 1990
LANDAU, ELLEN G., Tough Choices: Becoming a Woman Artist, 1900-1970, in
Making Their Mark. Women Artist Move into the Mainstream,
a cura di R. Rosen e C. Brawer Catherine, New York, Abbeville
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MANNHEIM, KARL, Sociologia della conoscenza, Bari, Dedalo, 1975
MURA, GIANNINA, La protesta delle artiste danesi. Aros, un gesto di disobbedien-
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NOCHLIN, LINDA e SUTHERLAND-HARRIS ANN, Le grandi pittrici, 1550-1590,
Milano,Feltrinelli,1979
NOCHLIN, LINDA, Women Artist Then and Now : Painting, Sculpture, and the
Image of the Self, in Relly, Maura e Nochlin, Linda, (a cura di),
Global Feminism. New Direction in Contemporary Art, London-
New York, Merrel, 2007, pp. 47-69
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