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Claudia Salaris

IL MOVIMENTO DEL SETTANTASETTE


Linguaggi e scritture dellala creativa
pp. 144 cm. 14x21 (prima edizione: Gennaio 1997)
Questo studio mette in luce la continuit tra le espressioni delle avanguardie
artistiche e i modi comunicativi di indiani metropolitani, maodadaisti,
trasversalisti e cani sciolti del movimento del 77. Lautrice unesperta in
storia e letteratura del futurismo e delle avanguardie artistiche.

RASSEGNA STAMPA:
Millenovecentosettantasette, Attraversare lavanguardia, Futurismo, Gioco/Impegno, Cento fogli,
Dipingersi il volto, La Festa, Fine del lavoro. Titoli (parlanti) di questo bel saggio di una studiosa
expertissima di lettere e arti davanguardia. E si capisce che la Salaris interessata allaspetto creativo,
allanima futur-dada del (primo) Movimento del 77 (indiani metropolitani e dintorni): do you remember
Roma - prima di Lama!, prima! -, universit, scritta gigantesca Asor Rosa sei un palindromo? Ventanni
fa. Gabriella Urbani, Avvenimenti, 26 Febbraio 1997
In primo piano Claudia Salaris - che una raffinata studiosa delle avanguardie, in particolare del
futurismo - porta le fiammate effimere quanto intense di quel movimento dai mille rivoli e dalle mille
anime che nacque e mor nel 77: gli sberleffi, i nonsense, il gusto del paradosso, il teatro di strada, i corteiperformances con canti, balli, volti dipinti. Liliana Madeo, La Stampa, 2 Gennaio 1997
Lautrice, esperta di avanguardie artistiche, analizza le innumerevoli pubblicazioni che in quel breve arco
di tempo nacquero e morirono, per proporre un parallelo intrigante col futurismo. Stefano Galieni,
Avvenimenti, 25 Giugno 1997
La preoccupazione che emerge nel libro della Salaris sul movimento del 77 quella di dare un supporto
storico, un riferimento culturale nobile, in quanto gi storicizzato, a un movimento che dal punto di vista
creativo ha prodotto moltissimo per scomparire poi travolto dalla damnatio memoriae degli anni del
terrorismo Carla Pagliero, LIndice, Ottobre 1997
uno studio colto e puntuale delle pratiche comunicative dellepoca, intrecciato a precisi riferimenti alle
avanguardie artistiche del Novecento e condotto sulle numerose riviste del movimento. Loredana
Lipperini, la Repubblica, 12 Febbraio 1997
No, il movimento del 77 non pu essere liquidato, rimosso, solo come lapice degli anni di piombo.
stato qualcosa dimportante per una generazione che stava cambiando pelle: stava abbandonando le divise
dellideologia marxista-leninista per liberare delle energie creative che per, purtroppo, non hanno trovato
forma. il libro di Claudia Salaris, storica delle avanguardie e del Futurismo, riesce a ricostruire i vari
frammenti di quellidentit culturale infranta. Carlo Infante, Letture, Aprile 1997
Ventanni dopo, la rilettura dellimpresa di DAnnunzio a Fiume come invenzione della festa
settantasettina appare molto meno scandalosa di allora, e inserisce questo volume nella scia delle ricerche
di Greil Marcus o Stewart Home sui legami segreti tra le rivolte di questo secolo. A. Pi., Il Manifesto, 9
Febbraio 1997
RETRO-COPERTINA:
Sulla scia dellonda lunga del Sessantotto, in Italia esplose il movimento del Settantasette, assumendo
caratteristiche nuove rispetto ai precedenti fenomeni di contestazione giovanile. Tra indiani metropolitani,
trasversalisti, maodadaisti, parodisti e cani sciolti, si manifestava infatti una componente creativa che,
recuperando la lezione delle avanguardie artistiche, metteva in discussione il gergo politico e luso
consuetudinario della lingua e della comunicazione. Come not Umberto Eco, la pratica della
manipolazione eversiva dei linguaggi e dei comportamenti era uscita dal laboratorio specialistico e dal

recinto dellarte per diventare patrimonio duna generazione di mutanti, cresciuti nella velocit
massmediatica, che si esprimevano con un linguaggio dissociato, privo di nessi logici, ironico,
immaginista. In questa tensione espressiva, subito ridotta al silenzio negli anni di piombo, si rispecchiavano
in modo sia pure confuso e caotico i segni della transizione alla societ post-industriale e lenorme sviluppo
delle tecnologie della comunicazione. Gli umori del tempo affiorano dalle riviste del movimento,
accomunate dalle stesse graffianti pratiche di scrittura e da nuovi metodi compositivi con cut-up di giornali
e impaginazione libera dalle gabbie tipografiche.
Attraverso un raffronto diretto di testi, da questo studio emerge lesistenza di una continuit tra i codici
delle avanguardie artistiche e le modalit espressive dei soggetti desideranti del movimento del
Settantasette.
Claudia Salaris unesperta della storia e della letteratura delle avanguardie artistiche. Ha pubblicato tra
laltro: Storia del Futurismo (1985); Filippo Tommaso Marinetti (1988); Marinetti Editore (1990);
Artecrazia (1992); Dizionario del futurismo (1996).
INDICE:
Millenovecentosettantasette
Attraversare l'avanguardia
Futurismo
Gioco/impegno
Cento fogli
Dipingersi il volto
La festa
Fine del lavoro
UN ESTRATTO:
Millenovecentosettantasette
Giunse all'improvviso nel mese pi corto dell'anno e presto gonfi come un fiume in piena, salutato come il
nuovo Sessantotto. Attravers la primavera fulmineo e tumultuoso, poi rallent la sua corsa con l'estate e
fin in un grande happening-convegno bolognese alla fine di settembre.
Il movimento del Settantasette come tutte le fiammate fu effimero ma intenso, tra occupazioni universitarie,
assemblee-festa, autocoscienza collettiva, improvvisazioni, ironia e teatro di strada, cortei-performance con
canti e balli, volti dipinti, ma anche una pratica di violenza in piazza come non s'era mai vista prima. La
foto del ragazzo col passamontagna calato come una celata che, a gambe divaricate, punta una pistola,
rimbalzata su tutti i giornali, disse con drammatica e icastica evidenza quale era il carattere di questa ondata
di rivolta, connotata da individualismi sconosciuti alla tradizione della sinistra "regolare", ma forse
paradossalmente non distanti dall'intenzionalit oltranzista - certo tutta teorica, metaforica e dunque non
colpevole - dell'"azione surrealista pi semplice", che "consiste, rivoltella in pugno, nell'uscire in strada e
sparare a caso, finch si pu, tra la folla" (Andr Breton, Secondo manifesto del surrealismo, 1930).
Difficile tornare, vent'anni dopo, a quella stagione che stata messa in ombra dai tragici sviluppi negli
anni di piombo. Rimosso, dimenticato spesso dagli stessi protagonisti, questo movimento ha avuto un
destino ben diverso dal suo antecedente, il Sessantotto, ampiamente recuperato e storicizzato. Gi all'epoca
qualcuno disse che rispetto a quest'ultimo il Settantasette era il figlio che aveva solo i difetti del padre
geniale; n si escluse, nelle prime analisi a caldo, che proprio per il suo spontaneismo libertario esso
avrebbe potuto sfociare verso esiti nefasti. Ma come il futurismo (a cui stato spesso paragonato) non pu
essere considerato responsabile dell'avvento del fascismo, cos questo movimento non andrebbe giudicato
col senno di poi.
A sfogliare le cronache del tempo si ha l'impressione di un periodo remoto, d'un ciclo storico concluso;
lontane da noi sono le forze in campo: da un lato il compromesso storico, il governo di solidariet nazionale
con cui il ceto politico imponeva regole allo sviluppo della societ italiana, la linea dei "sacrifici", dall'altro
un movimento molecolare che provvisoriamente riun i non-garantiti, raggruppati nei Circoli proletari
giovanili o nelle universit, femministe, organizzazioni autonome, democratico-rivoluzionari eredi del
Sessantotto, freak ecc., una composizione eterogenea che Alberto Asor Rosa defin la "seconda societ",
sradicata dalla "prima societ", produttiva e garantita (Le due societ, Einaudi, Torino 1977).
Non si trattava solo di emarginazione quanto anche di una scelta di autoemarginazione: la critica ai
comportamenti sociali, ai valori consuetudinari, alla famiglia (sperimentata gi nei centri del proletariato
giovanile, nelle comuni e nelle occupazioni di case), il rigetto dell'obbligo al lavoro fisso erano tutti
elementi che conducevano tali strati al di fuori della sinistra ufficiale. Per questo essi incontrarono

incomprensione e rifiuto, anche se dopotutto la negazione dell'etica del lavoro non era nuova (vanta illustri
antecedenti: da Virgilio a Cristo, da Rabelais a Diderot, fino a R.L.Stevenson e Paul Lafargue, genero di
Marx, che esalt il diritto all'ozio come tempo liberato dalle sordidae artes).
Scrittori, filosofi, ideologi intrecciarono sulle pagine dei giornali dialoghi a distanza sulla paura e il senso
di catastrofe che la crisi politica, culturale ed esistenziale stava alimentando. La contrapposizione tra tutori
dell'ordine e garantisti, tra consenso e dissenso, tra s e no al compromesso storico, si trascin in polemiche,
che misero l'un contro l'altro intellettuali appartenenti alla stessa area e addirittura allo stesso partito
(Leonardo Sciascia, l'"eremita" dissenziente, contro Edoardo Sanguineti, la "sentinella" in difesa del
partito). E se Eugenio Montale, dall'alto della sua et e della sua fama, espresse dubbi sulla difesa a oltranza
dello Stato - per questo dispiacque a Italo Calvino, ma trov solidariet in Sciascia - Norberto Bobbio
scrisse sulla inevitabilit di essere pessimisti e Giorgio Amendola boll invece con il termine di
"nicodemiti" tutti gli intellettuali che, non prendendo posizione, si rifiutavano di difendere le istituzioni
(dotta metafora derivata da un episodio del Nuovo Testamento, dove si narra della visita a Ges che un
certo Nicodemo fece di notte per paura).
Tutto questo avveniva mentre le principali citt erano il teatro di manifestazioni anche violente, a cui il
governo rispondeva con lo stato d'assedio e le autoblindo per le strade, e decollava l'improbabile teoria del
"complotto", in base alla quale gli eventi di piazza sarebbero stati manovrati nell'ambito di un pi generale
piano di destabilizzazione. Ma esprimevano solidariet al movimento Jean Paul Sartre, Michel Foucault,
Flix Guattari, Gilles Deleuze, Roland Barthes, Philippe Sollers e altri, firmando un appello contro la
repressione. E perfino il teorico del "villaggio globale", Marshall McLuhan, di passaggio in Italia, si
sforzava di capire quella generazione di mutanti, cresciuti di fronte alla televisione, poco inclini alla lettura
solitaria, ma protesi verso l'azione (secondo modalit per altro prefigurate da Marinetti nella sua visione
dell'"uomo moltiplicato per opera propria, nemico del libro, amico dell'esperienza personale", in "Contro i
professori", 1910).
Giungeva ad esaurimento (ma lo si sarebbe capito dopo) la spinta propulsiva del moderno e quell'intreccio
di rivolta e disperazione, creativit e rifiuto della politica, non era che l'ultimo sussulto di un'onda lunga
rivoluzionaria irrimediabilmente tramontata. Questa contestazione non si poteva inquadrare nelle categorie
dei movimenti precedenti, ma si poneva in sintonia con il nichilismo dei punk inglesi, col lugubre "no
future" dei Sex Pistols, che cantando l'impossibilit di un futuro riflettevano il clima dell'epoca, quel
tramonto dell'occidente moderno con i suoi modelli culturali, economici, politici nel passaggio all'era
postindustriale.
Le culture alternative registrarono pi o meno consapevolmente il transito verso una societ fredda, sempre
pi dominata dall'elettronica e dall'informatica. Ebbero il presentimento di una glaciazione. Venute meno le
certezze personali e collettive, l'assenza di un domani induceva a vivere l'attimo presente nella sua effimera
concretezza, il vivre sa vie del bandito anarchico Bonnot.
Negli anni '60, epoca del boom economico, la corrente di controcultura - in cui si collocavano le comuni
hippy e i movimenti studenteschi col loro carattere antagonistico - aveva espresso sicurezza e fiducia
nell'avvenire e proprio per questo essa costituiva, in un certo senso, l'altra faccia del benessere. Ma nel
decennio seguente mut radicalmente il quadro di riferimento economico e politico, con la crisi economica,
energetica, in cui si ridisegnava uno scenario con una diversa prospettiva di futuro.
I gruppi extraparlamentari storici erano andati incontro a una crisi profonda verso la met degli anni '70: si
era sviluppata l'area dell'autonomia, che, uscita dai cancelli dell'officina si allargava al territorio. In questo
clima si erano formati i Circoli proletari giovanili, che, investiti dall'urgenza di un nuovo modo di far
politica, mettevano al centro dei loro interessi la priorit dei bisogni, recuperando la festa e il concerto rock
come momenti alternativi di socializzazione e praticando nuove forme di contestazione, tra cui la riduzione
del prezzo dei biglietti del cinema o l'esproprio nei negozi di lusso e supermercati. Reclamando attraverso il
paradossale "diritto al caviale" l'accesso al superfluo, i Circoli rifiutavano la politica dei sacrifici, che
colpiva non gi le classi abbienti ma le masse popolari. L'assedio notturno del "proletariato giovanile" alla
prima della Scala, nel dicembre del '76, preceduto da un grande happening alla Statale di Milano, in cui
veniva chiamata a raccolta "tutta la giovent creativa", al grido di "abbiamo dissotterrato l'ascia di guerra"
(come si legge nel manifesto di convocazione), rappresent l'ouverture di ci che stava per nascere. A
mettere in allarme le universit fu sufficiente una circolare del ministero della pubblica istruzione, che
limitava la liberalizzazione ottenuta con le lotte del Sessantotto, bast poi un'incursione dei fascisti
nell'ateneo romano a far prender fuoco alle polveri, la mattina del 1 febbraio. La facolt di lettere venne
occupata e la rivolta si estese alle universit di molte altre citt.
Confluivano in questa ondata di ribellione le esperienze e riflessioni condotte negli anni precedenti: il
superamento della distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, avviato dal femminismo con la messa a
fuoco del "personale politico", il rigetto dell'impegno politico inteso come volontarismo alienante, la critica
delle gerarchie, il "rifiuto del lavoro" come unica dimensione dell'esistenza, e dunque la non riducibilit
della vita all'economia, il bisogno di tempi e luoghi liberati dove comunicare e creare nell'orgoglio della
propria alterit, un desiderio di comunismo fatto non solo di "pane" ma anche di "rose".

La consapevolezza che il Settantasette rappresentasse uno strappo rispetto al Sessantotto, pur derivandone,
induceva il gruppo di Radio Alice a formulare in questi termini un primo bilancio (da un volantino,
novembre 1977):
Il movimento del '77 segna una frattura, parte dal '68 e rompe col '68, segna la fine della teoria del soggetto
rivoluzionario per lasciare posto ai "mille soggetti", segna la crisi pratica della "forma partito" come forma
di organizzazione; dalla crisi dei "gruppi" riaffiora la povert della politica e la ricchezza della vita, dalla
fine della militanza emerge l'iniziativa autonoma su pratiche specifiche. Mille gruppi, mille forme di
organizzazione adeguate alle pratiche di appropriazione e, tra queste, un terreno della riappropriazione,
quello dell'informazione. Sul terreno dell'informazione il movimento scopre la possibilit di approfondire la
crisi della forma partito e inventa nuove funzioni di organizzazione.
Dopo molti anni, rimproverando alle forze politiche una sordit che imped di comprendere le potenzialit
antisistema di quella rivolta, Asor Rosa scriver ("Le due sordit", in L'Espresso, 18 gennaio 1987):
[...] i partiti si comportarono di fronte al movimento come quei selvaggi che prendono a calci l'onda che
sale sulla spiaggia, gridando: "Via, via!"; perch non hanno ancora capito che esiste un fenomeno che,
scientificamente parlando, si definisce "marea". Questo, ripeto, valse per tutti i partiti; ma in maniera, se
non pi cospicua, certo necessariamente pi grave per il Pci. [...] Scoprire che anche il Pci metteva innanzi
a tutto la difesa dell'"ordine costituito" [...] rappresent invece un trauma per molti. Rammento che la
sciagurata "teoria del complotto", con cui la condanna indiscriminata del movimento fu sanzionata, , come
tante altre cose, scomparsa lentamente nel buio, senza essere mai stata seriamente autocriticata. Il 1977,
dunque, esprime per me il momento in cui la lacerazione, gi latente nel paese, tra forze rappresentate (o
sovra-rappresentate) e forze poco rappresentate (o nient'affatto rappresentate), tra organizzazione e nonorganizzazione, tra sistema dei partiti e realt sociali marginali (o, per cos dire, tradizionalmente non
centrali), esplode in maniera clamorosa.
Nell'intreccio tra linguaggi d'avanguardia e politica, tra creativit diffusa e azione di piazza, che
caratterizz quel movimento, non pochi osservatori videro subito reincarnarsi lo spettro del futurismo
marinettiano e l'oltranzismo antiriformista della sinistra irregolare con Georges Sorel e
l'anarcosindacalismo, correnti che erano state all'origine del fascismo. Il punto debole fu proprio la politica;
infatti il movimento trascin con s molta zavorra ideologica, tanto da apparire bifronte per due modi
d'essere reciprocamente opposti, ma coesistenti: quello dell'ala dura, che introdusse un alto livello di
violenza nel tenere la piazza, e l'altro costituito dai cosiddetti creativi (Indiani metropolitani, maodadaisti,
trasversalisti, parodisti ecc.), che posero all'attenzione la questione di un nuovo linguaggio, di
comportamenti e modalit di comunicazione mai visti prima di allora nell'universo della politica.
Le pratiche sperimentali di sovversione linguistica delle avanguardie artistiche erano uscite dal laboratorio
specialistico per divenire codice del mondo giovanile politicizzato, lasciando spiazzati non solo i militanti
tradizionali, ma anche gli esperti del costume e della comunicazione, che tentarono le prime analisi, tra cui
Umberto Eco, il quale subito interpret la manipolazione linguistica che emergeva dalle espressioni
creative dei "nuovi barbari" come "l'ultimo capitolo della storia delle avanguardie" (id., Sette anni di
desiderio, Bompiani, Milano 1983).
Ma come era avvenuto il travaso di linguaggi dall'alto in basso? Per quali vie e infiltrazioni misteriose si
era realizzato il passaggio del codice, per cui le giovani generazioni, allevate nella velocit massmediatica e
tecnologica, si esprimevano pi o meno consapevolmente secondo le indicazioni di Marinetti, Tzara e
Breton, ovvero con illogicit, sintesi, corti circuiti analogici, automatismi e spontaneit? Maurizio Calvesi
disse che era nata un'"avanguardia di massa" (Avanguardia di massa, Feltrinelli, Milano 1978),
sottolineando che se da un lato l'arte stava diventando un genere di largo consumo, dall'altro la protesta
giovanile si intrecciava con il bisogno di una creativit diffusa a livello basso. Proprio laddove massima era
la distanza dal mondo produttivo, nelle sacche della disoccupazione giovanile o del precariato intellettuale,
montava un fronte del rifiuto, che, esaltando la propria separatezza, recuperava pi o meno
consapevolmente gli stilemi avanguardistici per farne i modelli di una prassi esistenziale alternativa e da
questo punto di vista era evidente la sintonia con l'estremo fine delle avanguardie, quello
dell'autosuperamento, dell'annullamento dell'opera nel vivere e nel fare quotidiano.
utile dunque chiedersi se dopo vent'anni l'ipotesi di una continuit, da intendersi non tanto come identit,
che sarebbe assurda, ma come diversit nell'ambito di fenomeni storico-politici certamente dissimili e con
matrici e finalit diverse, possa essere confermata, e al tempo stesso verificare come quella logica del
superamento dell'arte, tipica delle avanguardie artistiche, a un certo punto sia fuoriuscita dalle secche del
mercato, investendo i movimenti giovanili.
La tendenza al superamento rivoluzionario dell'arte, presente nel futurismo, nel Dada e nel surrealismo,
viene portata alle estreme conseguenze dal situazionismo, che riprende alcune tecniche creative delle
avanguardie storiche per adattarle alla realt della metropoli globale (deriva, dtournement, gioco,

psicogeografia). Il futurismo voleva gli "artisti al potere", il surrealismo ha poi indicato la via
dell'"immaginazione al potere" e il situazionismo traduce questa rivendicazione nella logica dei movimenti,
svolgendo per altro un ruolo significativo nel '68 e influenzando, attraverso la mediazione della cultura
underground e del "negazionismo", il movimento del '77, dove questo pensiero, fino a quel momento
sotterraneo e minoritario, si manifesta in atteggiamenti di massa, negli slogan ironici degli Indiani
metropolitani, nel gusto per il paradosso, nel denunciare il mondo illusionistico dei mass-media, nel leggere
i meccanismi del consenso.
Da questo punto di vista l'esplosione creativa del '77 pu essere considerata come l'ultimo fal
dell'avanguardia. Dopo tale data, infatti, le avanguardie (in alto) diverranno piuttosto la meta per
rivisitazioni nostalgiche e recuperi citazionistici, ponendosi come un evento lontano e inevitabilmente
concluso, da riattraversare con la fascinazione della memoria, e (in basso) filtreranno come revival
nell'universo giovanile (dalla musica al fumetto), nella pubblicit, nel design e nella moda.
Le espressioni creative del Settantasette rappresentano l'estremo tentativo di superare quella separazione
tra piano della creativit e livello dell'esistenza sul fronte della trasformazione sociale.
Attore di questo mutamento, sostenevano i teorici dello stesso movimento, era il nuovo proletariato della
creativit e dell'intelligenza, che sentiva come centrale la liberazione del tempo umano dalla necessit del
lavoro industriale, resa possibile dallo sviluppo dell'automazione. L'analisi aveva non pochi punti di
contatto con analoghe ipotesi avanzate da Marinetti, che aveva scritto in "Al di l del Comunismo" (1920,
in id., Teoria e invenzione futurista, Mondadori, Milano 1968, p. 422):
Il proletariato dei geniali, collaborando collo sviluppo del macchinario industriale, raggiunger quel
massimo di salario e quel minimo di lavoro manuale che, senza diminuire la produzione, potranno dare a
tutte le intelligenze la libert di pensare, di creare, di godere artisticamente.
Pensare, creare, godere, termini tornati d'uso nella rivoluzione desiderante del '77, assieme allo slogan
"lavorare meno lavorare tutti", un'idea che nella lunga durata non risultata poi cos velleitaria (come
invece all'epoca sembrava), dato che oggi viene recuperata dagli economisti tra le soluzioni possibili per
bilanciare sul piano sociale i rischi dello sviluppo.
Le radici culturali del movimento affondavano in un amalgama di marxismo rivisitato con le teorie espresse
da Guattari e Deleuze ne L'anti-Edipo, tra recuperi del pensiero negativo (anche attraverso la rilettura di
Nietzsche fatta dallo stesso Deleuze), l'aggancio al dada-surrealismo e al futurismo, nella interpretazione di
Majakovskij, che rappresent il tentativo di superamento dell'arte nell'ottica rivoluzionaria, represso dallo
stalinismo. Scriveva Bifo (Franco Berardi) nell'articolo "Dalla masse alle masse" (in A/traverso, febbraio
1977):
Il dadaismo voleva rompere la separazione fra linguaggio e rivoluzione, fra arte e vita. Rimase
un'intenzione perch Dada non era dentro il movimento proletario, e il movimento proletario non era dentro
Dada. [...] Il maoismo ci indica il percorso dell'organizzazione non come ipostatizzazione del soggettoavanguardia, ma come capacit di sintetizzare i bisogni e le tendenze presenti nella realt materiale.
Lo sviluppo dell'informazione, la diffusione delle reti di comunicazione, che allora trovava nelle radio
libere un primo esempio d'applicazione sperimentale, sembravano i mezzi atti a rendere possibile la vecchia
utopia dell'avanguardia di abolire la separazione tra arte e vita quotidiana. Lo noter Bifo a dieci anni da
quella esperienza (Dell'innocenza. Interpretazione del settantasette, Agalev edizioni, Bologna 1989, p. 64):
Secondo l'ipotesi maodada, dunque, lo sviluppo delle forme di comunicazione, lo sviluppo delle tecnologie
postindustriali e la diffusione delle reti di comunicazione [...] rende possibile l'inverarsi della vecchia utopia
dadaista: abolire l'arte/abolire la vita quotidiana, abolire la separazione tra arte e vita quotidiana. Tramite la
diffusione di tecnologie comunicative pervasive e policentriche, questo progetto diveniva realizzabile,
praticabile da parte di soggetti proliferanti di base. Un vasto movimento fece propria questa intuizione, ed
in maniera forse troppo spontaneista cominci a tradurla in realt.

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