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Franco Vaccari. Fotografia e inconscio tecnologico. Introduzione.

2011

Più di trent’anni sono passati dalla prima edizione di Fotografia e inconscio tecnologico (1979) e più di
quindici dalla seconda (1994) (1). Con questa terza edizione della preziosa raccolta di scritti di Franco
Vaccari, così sapiente e influente sulla cultura fotografica italiana, siamo alla terza puntata di quella che mi
è sempre parsa una appassionante storia in progress, un percorso che procede coerente negli anni come
verso un suo destino, sempre arricchendosi lungo la strada di nuove stringenti riflessioni, spesso capaci di
preveggenza. Vaccari, artista generoso nella scrittura, ha costantemente pubblicato testi di carattere
teorico in varie occasioni e in varie sedi, ma nel tempo ha finito per destinarne alcuni alla costruzione
progressiva di questa particolare storia dedicata alla fotografia, un’arte tecnologica che grazie alla sua forza
di rottura e alla sua complessità si è trovata al centro della scena delle arti, della comunicazione e anche del
comportamento contemporaneo. Il procedere di Vaccari nel tempo è confermato dal fatto che la seconda
edizione del libro già presentava quattro scritti in più rispetto alla prima (Esposizione in tempo reale n. 4:
lascia su queste pareti una traccia del tuo passaggio, 1985, La discarica di rifiuti: un modello dell’attuale
situazione dell’informazione, 1986, La fotografia: un incunabolo, 1992, La fotografia tra teologia e
tecnologia, 1993), e in questa terza edizione altri tre scritti si sono aggiunti a quelli presenti nella seconda
(Apollo e Dafne: un mito per la fotografia, 1995, Su un episodio di identità elastica, 1996, Maschere,
fotoritratti, identikit, 1996).
Vaccari elabora l’idea di inconscio tecnologico a partire dalla fine degli anni Sessanta: nel suo libro di
fotografie Le tracce pubblicato nel 1966 (2) già emerge il suo interesse verso il superamento dell’idea
tradizionale di “autore” a favore della “anonimità” e in un certo senso l’“automatismo” dei graffiti lasciati
dalla collettività sui muri dello spazio urbano. E’ molto importante a questo proposito leggere ancora una
volta con attenzione la breve introduzione che egli premette ai suoi scritti: in essa egli mette in evidenza
l’impegno da parte degli artisti di quel periodo nell’indagare i propri strumenti di lavoro, allo scopo di
evitarne un utilizzo spontaneo e non meditato, foriero di limitazioni e condizionamenti: “Si era fatta strada
l’idea che, in fondo, si vede solo quello che si sa; ma quello che si sapeva era diventato sospetto. (…) Il
problema, insomma, era quello della difesa dall’eccesso di condizionamenti, attraverso tecniche che
fossero capaci di mettere in cortocircuito la presenza ingombrante dell’Io (3). Con il concetto di “inconscio
tecnologico” applicato al mezzo fotografico avevo visto la possibilità di scardinare i miei condizionamenti
visivi e arrivare così a vedere quello che non sapevo”.
Vaccari si riferisce al clima culturale delle neoavanguardie, ultimo vero momento di autocoscienza e
autointerrogazione dell’arte, espressione di una fase storica segnata da straordinarie tensioni al
rinnovamento in campo sociale, politico e di costume. In uno scritto del 1967 che oggi è utile rileggere,
L’estetica del silenzio, Susan Sontag ricorda la necessità per l’uomo contemporaneo di vivere l’arte come
“qualcosa da sovvertire quando non da abolire (4)”. Già qualche anno prima, nel 1962, una riflessione
profonda era emersa in Opera aperta, testo fondamentale nel quale Umberto Eco definisce l’arte un
processo mobile, con struttura aperta e proprie leggi autonome, ambiguo nei molti significati che originano
soprattutto al momento della fruizione (5). Le scelte artistiche compiute a partire da quegli anni aspirano
sempre meno alla compiutezza del prodotto artistico a favore di una progressiva e irreversibile“apertura”,
che agisce a più livelli: il passaggio dal concetto di “opera” a quelli di “situazione” e “azione” (il compimento
del processo avviato da Duchamp), con la conseguente individuazione di luoghi e canali per l’arte inediti e
spesso sintonizzati sulla comunicazione di massa; lo spostamento dell’azione artistica all’interno di
esperienze collettive, che tendono ad annullare, almeno su un piano ideale, la differenza tra artista e
pubblico, conferendo a quest’ultimo un ruolo attivo e portatore di senso; il rifiuto del processo di
mercificazione dell’arte, la sottolineatura del binomio arte-vita e la ricerca di un possibile ruolo sociale
dell’artista, che diventa “operatore culturale”, oltre che di una rigenerata funzione della comunicazione
all’interno di una società ormai completamente plasmata dalle regole del capitalismo maturo. “Col ’68 –
scrive Lea Vergine – , i valori che sembravano scontati vacillarono, la situazione parve violentemente scossa
(…). Tutti scoprimmo (…) che avanguardia non significava sostituire alle forme (e alle formule) di ieri quelle
dell’oggi, ma alle idee correnti di oggi progetti per un domani cambiato (6)”.
Le posizioni radicali degli anni Sessanta sono la base sulla quale gli artisti maturano il loro lavoro nel
decennio successivo, qualunque siano gli strumenti e i contesti individuati, dalla fotografia alla grafica, dal
design al cinema, dal video al teatro alla performance, discipline ugualmente coinvolte in un sistematico
processo di discussione e destrutturazione dei codici.
In particolare, la fotografia, trovatasi al centro della grande trasformazione che investe sia l’arte sia la
comunicazione, cambia pelle: diventa indispensabile elemento di interazione nelle performance e nelle
azioni di Body Art e di Land Art, si fa elemento costitutivo nell’Arte Concettuale e nella Narrative Art, va
oltre il suo storico legame con la pittura e agisce non più come forma di “rappresentazione”, ma come
forma di relazione e di esperienza nei riguardi del reale, sia questo di natura sociale o privata. La nuova
progettualità della fotografia è anche sorretta dall’interesse crescente che studiosi di varie discipline le
rivolgono conferendole legittimità e, in un certo senso, necessità. Infatti all’intensificarsi degli studi di
carattere generale sui mass media e delle teorie semiologiche, antropologiche, sociologiche, fa seguito, tra
anni Sessanta e Settanta, una pioggia di importanti contributi specifici sulla fotografia.
Vaccari intuisce l’enorme potenzialità della macchina fotografica quando essa non venga utilizzata e
guidata in modo forzatamente “artistico”, deliberatamente “creativo” (in ultima analisi pittorico), ma, più
liberamente, lasciata agire come strumento in grado di produrre registrazioni e memorie autonome
rispetto alle intenzioni e alle capacità dell’operatore, dunque assai potente nel mettere in scacco (uso
questo termine pensando a Duchamp) regole, abitudini visive e comportamentali, sia private sia collettive,
sia derivate da storie individuali sia da condizionamenti indotti dai media e dai poteri. Egli non è per nulla
interessato a discutere il rapporto tra arte e fotografia, poiché come artista e come teorico si sente
radicalmente oltre questo problema trascinatosi troppo a lungo quando non sterilmente nella cultura
italiana e non solo: egli dà per scontato che la fotografia è entrata dritta nel cuore dell’arte fin dal
momento delle avanguardie storiche, sa che la fotografia, al pari del ready made duchampiano, ha
definitivamente scardinato i meccanismi dell’arte (si veda, a questo proposito, il suo scritto Fotografia e
Ready made – 7), e la considera non una immagine da ammirare nei suoi aspetti estetici, ma un’occasione
pragmatica di natura tecnologica per il manifestarsi di azioni, reazioni, comportamenti, tutti colti sul
terreno del quotidiano e dell’ordinario, e per il sorgere di significati imprevisti e insondati (“Io uso la
fotografia come azione e non come contemplazione e questo comporta una negazione dello spazio ottico a
favore dello spazio delle relazioni”, scrive in Esposizione in tempo reale n. 4: lascia su queste pareti una
traccia fotografica del tuo passaggio – 8).
L’idea di “inconscio tecnologico” si intreccia negli anni e, potremo dire, viene messa in pratica ed
esemplificata, con quel particolare congegno artistico che Vaccari chiama “esposizione in tempo reale” e
che, diverso dall’happening e dalla performance poiché basato su un meccanismo di feedback, percorre
pressoché tutta la sua opera. Spiega Vaccari in modo chiaro e perentorio: “Rispetto all’inconscio plastico,
attivo dell’uomo, è possibile vedere in azione, là dove l’uomo è passato e ha delegato agli strumenti la
propria attività, un inconscio bloccato, un inconscio duro”; esso “non deve essere interpretato come pura
estensione e potenziamento delle facoltà umane, ma bisogna vedere nello strumento una capacità di
azione autonoma; tutto avviene come se la macchina fosse un frammento di inconscio in attività” (9). Da
questo discende una posizione molto importante e molto provocatoria nei riguardi delle molte scelte di
tipo formale attuate dai fotografi al fine di rendere “soggettiva” e “autoriale” la fotografia: “L’immagine
fotografica ha (…) sempre un senso anche e forse soprattutto in assenza di un soggetto cosciente. Il che
equivale a dire che non è importante che il fotografo sappia vedere, perché la macchina fotografica vede
per lui” (10).
Nato dunque in seno alle problematiche dell’arte degli anni Sessanta, Fotografia e inconscio tecnologico
diventa un vero e proprio libro nel mondo della fotografia nel 1979. Questo è un anno particolare per la
fotografia in Italia, storicamente considerato un anno di svolta. Un grande evento coinvolge operatori e
pubblico ponendo improvvisamente il nostro paese in rapporto con la scena fotografica internazionale: la
imponente rassegna Venezia ’79. La fotografia, la prima in Italia di dimensioni così importanti, con
prestigiose mostre internazionali, workshop, conferenze, che, pur tra le polemiche, carica di entusiasmo
l’ambiente fotografico italiano, dà impulso ad attività espositive in gallerie pubbliche e private e a nuove
produzioni editoriali, fino a quel momento assai modeste (11). Quell’anno è anche segnato da un evento
editoriale molto importante: l’uscita dei due volumi degli annali della Storia d’Italia Einaudi dedicati alla
fotografia, L’immagine fotografica. 1845-1945, con scritti di Carlo Bertelli e Giulio Bollati (12). Inoltre, grazie
a un convegno dal titolo La fotografia come bene culturale tenutosi a Modena, che impegna storici, critici e
amministratori pubblici, viene posta per la prima volta la questione della fotografia come bene culturale,
oggetto degno di essere studiato, conservato, catalogato (13). A Modena, che è la città di Vaccari , ha anche
sede la piccola casa editrice Punto e Virgola, specializzata in fotografia, fondata dal grande fotografo Luigi
Ghirri, che pubblica appunto Fotografia e inconscio tecnologico (14).
Alcuni libri usciti tra fine anni Settanta e primi anni Ottanta, tutti impegnati nell’indagare l’identità
profonda della fotografia, possono essere considerati “compagni di strada” dell’Inconscio tecnologico di
Vaccari. Di essi alcuni entrano subito nel dibattito italiano sulla fotografia, altri no. Del 1978 è l’edizione
italiana di Sulla fotografia di Susan Sontag (15) e del 1980 è l’altrettanto noto e amato La camera chiara di
Roland Barthes (16). Del 1983 è L’acte photographique di Philippe Dubois, che però, tradotto in Italia solo
nel 1996 (17), non entra a far parte del dibattito di quegli anni. Vi è un altro volume importante uscito a
Londra nel 1982 e a tutt’oggi non tradotto in italiano, ed è Thinking Photography, nel quale l’artista
concettuale e teorico inglese Victor Burgin raccoglie tre suoi importanti saggi e alcuni scritti di altri teorici
come Umberto Eco, Allan Sekula, John Tag, Simon Watney (18). E vi è, infine, il testo del filosofo Vilém
Flusser Per una filosofia della fotografia, uscito in edizione tedesca nel 1983 e tradotto in italiano nel 1987
(19).
In precedenza, tra anni Sessanta e primi anni Settanta, i riferimenti teorici più ricorrenti per lo studio della
fotografia in Italia erano stati lo storico e irrinunciabile L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità
tecnica, scritto da Walter Benjamin nel 1936 e tradotto in italiano nel 1966 (20), Film: ritorno alla realtà
fisica di Siegfried Kracauer, uscito in Italia nel 1962 (21), il corposo e per molti aspetti insuperato La
fotografia. Usi e funzioni sociali di un’arte media del sociologo Pierre Bourdieu, uscito nel 1965 ma tradotto
in italiano nel 1972 (22), Gli strumenti del comunicare di Herbert Marshall McLuhan, in edizione italiana nel
1967 (23). Ma già del 1961 era la pubblicazione in Italia del precoce Il messaggio fotografico di Barthes (24),
del 1967 il numero speciale della rivista “Ulisse” tutto dedicato, con impostazione interdisciplinare, alla
fotografia, con contributi di Dorfles, Brandi, Fulchignoni, Servadio tra gli altri (25), mentre nel 1971 usciva a
Parigi Elements pour une sémiotique de la photographie di René Lindekens, pubblicato in italiano quasi dieci
anni dopo, nel 1980 (26), e nel 1973 veniva tradotto in italiano il saggio del 1958 di André Bazin Ontologia
dell’immagine fotografica (27). Il dibattito sulla fotografia nel nostro paese era però in quegli anni ancora
molto disarticolato, se non acerbo, diviso in ambiti tra loro scollegati e sganciato dal contesto artistico. E
infatti Vaccari nel suo Inconscio tecnologico fa puntualmente riferimento ai fondamentali e più saldamente
acquisiti Benjamin, Bourdieu, Kracauer, oltre che ad autori di ambito non fotografico, come Levi-Strauss,
Lacan, De Saussure, Chomsky, McLuhan, Canetti, al Baudrillard di Per una critica dell’economia politica del
segno (28) e al profetico Guy Debord della Società dello spettacolo (29).
Per la densa elaborazione teorica e per la libertà di una sintesi che, con franco spirito postmoderno, fa
confluire sull’idea di fotografia riflessioni provenienti da discipline diverse, dalla sociologia all’antropologia,
dalla psicoanalisi alla semiologia, i saggi di Vaccari si configurano nella scena culturale italiana, fin dalla
prima uscita del libro, come un contributo raro per complessità e assai sintonizzato sul dibattito
internazionale. Essi toccano temi svariati, da questioni riguardanti la storia e gli “stili” della fotografia (per
esempio il pittorialismo oppure il bressoniano “momento decisivo” e l’epica del reportage tradizionale) o le
origini della visione fotografica (molto significative le sue osservazioni sulla prospettiva rinascimentale), al
rapporto cruciale tra fotografia e avanguardie, dall’arte di Duchamp e dopo Duchamp (30) ai meccanismi
del mercato dell’arte, dal rapporto fotografia-politica-potere al costume e alla pornografia, fino alla
questione di una società completamente mercificata, alle allucinazioni di quella che disinvoltamente
abbiamo preso a chiamare “civiltà dell’immagine”.
Nel formulare e nell’articolare la nozione di “inconscio tecnologico” Vaccari è significativamente vicino al
Vilém Flusser di Per una filosofia della fotografia. In particolare, l’idea di un’azione profonda della macchina
generatrice di inconscio appare molto vicina al concetto flusseriano di “apparato” come potente condizione
strutturante l’atto fotografico stesso. Sia Vaccari che Flusser danno un colpo di spugna all’esistenzialistico
“momento decisivo” definito da Henri Cartier Bresson come l’essenza della fotografia e radicatosi così
profondamente nella cultura fotografica del Novecento, secondo il quale il fotografo è in grado di
padroneggiare completamente la macchina piegandola espressivamente alla sua visione. Possiamo definire
quella di “inconscio tecnologico” e quella di “apparato” nozioni postindustriali (e postumanistiche) che
caricano di complessità lo status della fotografia all’interno della nostra civiltà, sottolineando non più la
“naturalezza” del rapporto uomo-macchina di classica derivazione umanistica ma, al contrario, la durezza e
l’ambiguità di questo rapporto, visto nella sua eventualità, forse nella sua impossibilità. Un problema,
quello dell’autonomia della macchina nei riguardi dell’uomo, che già veniva annunciato da Walter Benjamin
fin dagli anni Trenta con la importante definizione di “inconscio ottico”, dalla quale Vaccari prende le mosse
per elaborare la sua idea di “inconscio tecnologico”.
Per quanto invece concerne la ricchezza delle discipline coinvolte nella ricerca del senso della fotografia e la
fedeltà nel tempo a un forte impegno sul piano teorico, Franco Vaccari è accostabile a Victor Burgin, grande
artista della stagione concettuale e raffinato studioso che, nell’intrecciare costantemente pratica artistica e
riflessione teorica, ha tratto ispirazione da grandi pensatori, tra i quali Karl Marx, Sigmund Freud, Michel
Foucault e Roland Barthes, utilizzando, come Vaccari, elementi provenienti da campi esperienziali diversi,
dalla pubblicità alla moda ai giornali, dalla storia dell’arte alla psicoanalisi, agli ambiti della società
mediatica, dando al suo lavoro la forma di una continua riflessione metalinguistica. Burgin non solo è
autore degli scritti Photographic Practice and Art Theory, Looking at Photographs e Photography, Phantasy,
Function pubblicati nel 1982 in Thinking Photography di cui si diceva più sopra, ma, negli anni e come
Vaccari, di molte ulteriori riflessioni teoriche sulla fotografia, il cinema, il video, sempre intrecciate alle sue
produzioni artistiche (31).
Come è stato spesso messo in evidenza (32), a partire dal periodo delle neoavanguardie molti artisti si sono
programmaticamente impegnati nella scrittura e hanno contribuito in modo importante con le loro
riflessioni all’approfondimento delle poetiche, delle procedure e dei codici della fotografia (si pensi, per
esempio, a Robert Smithson, Joseph Kosuth, John Hilliard, ma anche Bernd e Hilla Becher, Robert Adams o
Jeff Wall, ai nostri Giulio Paolini, Adriano Altamira, Ugo Mulas, Luigi Ghirri – 33), ma nel caso di figure come
Burgin (e anche Sekula) e Vaccari, l’artista e il teorico sono, in un certo senso, la stessa cosa, l’azione
artistica e il pensiero si muovono alla stessa altezza, e i due percorsi vanno sempre avanti nel tempo, senza
fermarsi. E torniamo così al tema del procedere di Vaccari lungo la strada dell’inconscio tecnologico, dagli
anni Settanta in poi.
Nei quattro saggi aggiunti nell’edizione del 1994 confluiscono dunque altri grandi temi più precisamente
sintonizzati sui disagi della civiltà postmoderna: il rapporto con il sacro, il denaro, o meglio l’oro, la legge e
la giustizia, il senso di caos che segna la sensibilità contemporanea, la presenza coprente dell’elettronica, la
fine della storia. Spazia liberamente, Vaccari, in anni nei quali la fotografia diviene con crescente evidenza,
come anche sostiene Paul Virilio in La macchina che vede (34), una delle molte forme di una comunicazione
che si fa sempre più volante, allucinatoria, nell’avanzare tumultuoso delle tecnologie dentro il tessuto della
società e dentro le esistenze umane, questione che sta anche al centro delle riflessioni del Baudrillard di
L’America e L’illusione della fine (35). il discorso di Vaccari va dilatandosi, ma la fotografia, dominante
presenza simbolica, anzi a volte metaforica, rimane un riferimento irrinunciabile al quale è sempre
necessario fare ritorno. Se in uno dei saggi pubblicati nell’edizione del 1979 egli collocava la fotografia al
centro della “catastrofe semantica” che investe ogni linguaggio (si veda La fotografia e lo sfruttamento
delle ottiche storiche – 36), anche in seguito, nei testi scritti tra anni Ottanta e Novanta, pur nella maggior
rarefazione e intreccio dei temi, tale centralità rimane.
Figura costantemente presente in tanti momenti di studio e di discussione sulla fotografia, Vaccari ha poi
seguito le vicende del “fotografico” come atteggiamento che l’arte contemporanea assume anche quando
non si esprime in forme fotografiche, un concetto messo in evidenza da Rosalind Krauss e presto accolto
dalla cultura fotografica italiana (37), ha accolto l’uscita tardiva in lingua italiana dell’Atto fotografico di
Dubois di cui si diceva, e la ancor più tardiva uscita di L’immagine precaria. Sul dispositivo fotografico di
Jean-Marie Schaeffer, un testo scritto nel 1987 ma tradotto in Italia quasi vent’anni dopo, nel 2006 (38).
Spesso coinvolto in seminari, lezioni, progetti editoriali (oltre che, naturalmente, espositivi) che lo hanno
visto nel ruolo di docente e di “recensore” di questi testi sulla fotografia entrati nel dibattito italiano, nei
suoi scritti degli anni Novanta (ora confluiti nel contenitore dell’inconscio tecnologico in occasione
dell’attuale edizione del libro) Vaccari si è fatto però più intimo, come intento a ricercare le ragioni della
fotografia in cose più piccole e particolari, nei comportamenti più semplici, quotidiani e radicati, nei
costumi più antichi, nelle pieghe nascoste dei linguaggi, nelle radici più lontane e insospettate delle storie
umane, fin nella lontananza del mito (si veda, per esempio, lo scritto Apollo e Dafne: un mito per la
fotografia). Ancora una volta, Vaccari cerca di scardinare i condizionamenti altrui e propri per arrivare a
vedere “quello che non sa”.

Note

(1) Franco Vaccari, Fotografia e inconscio tecnologico, Punto e Virgola, Modena 1979. Due anni più tardi
viene pubblicata l’edizione francese del libro: Photographie et l’inconscient technologique, Creatis, Paris
1981. L’edizione italiana del 1979 è stata preceduta da un lungo scritto di Franco Vaccari dal titolo
L’inconscio tecnologico e la fotografia, pubblicato dalla rivista “Studio Marconi”, n. 4/5, Milano, aprile
1978. Il testo era corredato dalla stessa immagine di un cane con maschera anti-gas che sarebbe apparsa,
un anno dopo, sulla copertina del libro. Ma l’idea di inconscio tecnologico si trova anche in scritti
precedenti, tra i quali: Il buco nella lingua. Conversazione tra Franco Vaccari e Pietro Bonfiglioli, in “G7
Studio”, n. 11, aprile 1977, pag. 6, poi in: Nicoletta Leonardi (a cura di), Feedback. Scritti su e di Franco
Vaccari, Postmediabooks, Milano 2007, pag. 114-118; Fotografia, in: “Studio Marconi”, n. 10, 27 gennaio
1977, pag. 14. Dopo quindici anni dalla prima edizione, l’Editrice Agorà di Torino nel 1994 ripubblica il libro,
con l’aggiunta di quattro saggi e la prefazione di Roberta Valtorta, e nel 2006 una nuova edizione.

(2) Franco Vaccari, Le tracce, Sampietro editore, Bologna 1966.

(3) Franco Vaccari, Fotografia e inconscio tecnologico. Introduzione, in questo libro, pag. XXVI.
(4) Lo scritto è pubblicato in: Susan Sontag, Styles of Radical Will, Farrar Straus and Giroux, New York 1969;
ed. it. L’estetica del silenzio, in: Stili di volontà radicale, Mondadori, Milano 1999, pag. 22-23.

(5) Umberto Eco, Opera aperta, Bompiani, Milano 1962.

(6) Lea Vergine, Attraverso l’arte. Pratica politica/pagare il ’68, Arcana Editrice, Roma 1976, pag. VIII.

(7) Franco Vaccari, Fotografia e ready made, in questo libro pag. 61.

(8) Franco Vaccari, Esposizione in tempo reale n. 4: lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo
passaggio. XXXVI Biennale di Venezia, 1972, scritto intorno al 1985, ora in questo libro, pag. 78; Franco
Vaccari, Analisi dell’Esposizione in tempo reale Lascia su queste pareti una traccia del tuo passaggio,
autointervista in “Data”, n. 14, inverno 1974, pag. 94, poi in: Nicoletta Leonardi (a cura di), Feedback. Scriti
su e di Franco Vaccari, citato, pag. 110-112.

(9) Franco Vaccari, L’inconscio tecnologico, in questo libro pag. 3.

(10) Franco Vaccari, Struttura dell’immagine fotografica, in questo libro pag. 9.

(11) AA.VV., Venezia ’79. La fotografia, Electa, Milano 1979.

(12) Carlo Bertelli, Giulio Bollati, L’immagine fotografica 1845-1945, Storia d’Italia – Annali 2, Einaudi
Editore, Torino 1979.

(13) Il convegno La fotografia come bene culturale si svolge a Modena dall’1 al 10 novembre 1979,
organizzato da Comune di Modena, dall’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturalistici della Regione
Emilia Romagna, dalla Regione Toscana, dal Comitato per le Manifestazioni Espositive Firenze-Prato, dal
Comune di Venezia. Per la legge italiana, la fotografia diventerà bene culturale solo nel 1999, vent’anni
dopo.

(14) Luigi Ghirri entra in contatto con Franco Vaccari (e con altri artisti come Carlo Cremaschi, Giuliano della
Casa, Claudio Pamiggiani) attraverso Franco Guerzoni. La casa editrice Punto e Virgola viene fondata a
Modena nel 1977 da Luigi Ghirri, con Paola Borgonzoni, Giovanni Chiaramonte, Ernesto Tuliozi, Ornella
Corradini e Sussetta Sirotti. Pubblica i seguenti volumi: Luigi Ghirri, Kodachrome, 1978; Roberto Salbitani, La
città invasa, 1978; Italo Zannier, Settant’anni di fotografia in Italia, 1978; Franco Bonilauri, Nino Squarza (a
cura), Paolo Monti. Trent’anni di fotografie. 1948-1978, 1979; Claude Nori, La fotografia francese dalle
origini ai nostri giorni, 1979; Franco Fontana, Skyline, 1979; Franco Vaccari, Fotografia e inconscio
tecnologico, 1979. La casa editrice chiude nel 1980 e Punto e Virgola diventa, fino al 1990, una collana
diretta da Giovanni Chiaramonte della casa editrice Jaca Book.

(15) Susan Sontag, On Photography, Farrar , Straus and Giroux, New York 1977; ed. it. Sulla fotografia,
Einaudi, Torino 1978.

(16) Roland Barthes, La chamber claire. Note sur la photographie, Editions du Seuil, Paris 1980; ed. it. La
camera Chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi, Torino 1980.

(17) Philippe Dubois, L’acte photographique, Editions Labor, Bruxelles 1983. Il saggio è stato poi
ripubblicato insieme ad altri scritti dell’autore in: Philippe Dubois, L’acte photographique et autres essais,
Editions Labor, Bruxelles 1990; ed. it. L’atto fotografico, QuattroVenti, Urbino 1996.

(18) Victor Burgin (a cura di), Thinking Photography, MacMillan Press, London 1982.
(19) Vilém Flusser, Fur eine Philosophie der Fotografie, European Photography, Göttingen 1983; ed. it. Per
una filosofia della fotografia, Agorà, Torino 1987 (lo stesso editore che ripubblica Fotografia e inconscio
tecnologico nel 1994).

(20) Walter Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seine technischen Reproduzierbarkeit (1936), in: Schriften,
Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1955, trad. it. L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibiltà
tecnica, Einaudi, Torino 1966.

(21) Siegfried Kracauer, Theory of Film, Oxford University Press, New York 1960, trad. it. Film ritorno alla
realtà fisica, Il Saggiatore, Milano 1962.

(22) Pierre Bourdieu, Un art moyen. Essais sur les usages sociaux de la photographie, Les Editions du Minuit,
Paris 1965; ed. it. La fotografia. Usi e funzioni sociali di un’arte media, Guaraldi, Rimini 1972.

(23) Herbert Marshall McLuhan, Understanding Media, McGraw-Hill, New York 1964, trad. it. Gli strumenti
del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1967.

(24) Roland Barthes, Le message photographique, in “Communications” n. 1, Paris 1961, trad. it. Il
messaggio fotografico, in Almanacco Letterario Bompiani, Milano 1961, poi in: Roland Barthes, L’ovvio e
l’ottuso. Saggi critici III, Torino, Einaudi 198“ (ed. or. L‘0bvie et l’obtus. Essais critiques III, Editions du Seuil,
Paris, 1982).

(25) “Ulisse” – Cento anni di fotografia, Firenze, novembre 1967.

(26) René Lindekens, Elements pour une sémiotique de la photographie, Didier, Paris 1971; ed. it. Semiotica
della fotografia, Il Laboratorio Edizioni, Napoli 1980.

(27) André Bazin, Ontologie de l’image photographique, in: Qu’est ce que le cinema?, Les Editions du Cerf,
Paris 1958; ed. it. Ontologia dell’immagine fotografica, in: che cos’è il cinema?, Garzanti, Milano 1973.

(28) Jean Baudrillard, Pour une critique de l’économie politique du signe, Gallimard, Paris 1972; ed. it. Per
una critica dell’economi a politica del segno, Mazzotta, Milano 1974.

(29) Guy Debord, La société du spectacle, Editions Buchet-Chastel, Paris 1967; ed. it. La società dello
spettacolo, De Donato, Bari 1968.

(30) Vaccari affronta Duchamp già nello scritto Duchamp e l’occultamento del lavoro, auto edizione,
Modena 1978, poi in: Renato Barilli (a cura di), Francio Vaccari. Opere 1966-1986, Edizioni Cooptip, Modena
1987, catalogo della mostra alla Galleria Civica di Modena, e successivamente in: Nicoletta Leonardo (a cura
di), Feedback. Scritti su e di Franco Vaccari, citato, pag. 119-123. Su Duchamp torna nell’intervista con
Emanuela De Cecco dal titolo Franco Vaccari. La possibilità di tenere i discorsi aperti, in: “Flash Art”, n. 173,
Milano, maggio 1993. Inoltre nella recente pubblicazione: Franco Vaccari, Duchamp messo a nudo. Dal
ready-made alla finanza creativa, Gli Ori, Pistoia 2009.

(31) Victor Burgin, Components of a Practise, Skira, Milano 2008.

(32) David Campany, Art and Photography, Phaidon Press, London 2003; ed. it. Arte e fotografia, Phaidon
Press, London 2006. Douglas Fogle, The Last Picture Show. Artists Using Photography 1960-1982, Walker
Art Center, Minneapolis 2003. Adriano Altamira, La vera storia della fotografia concettuale, Area Imaging,
Milano 2007.
(33) Douglas Fogle, The Last Picture Show, citato; Roberta Valtorta, Il pensiero dei fotografi. Un percorso
nella storia della fotografia dalle origini a oggi, Bruno Mondadori, Milano 2008; Robert Adams, Beauty in
Photography, Aperture, New York 1981; ed. it. La bellezza in fotografia, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Jeff
Wall, Selected Essays and Interviews, The Museum of Modern Art, New York 2007; Ugo Mulas, La
fotografia, Einaudi, Torino 197; Paolo Costantini, Giovanni Chiaramonte (a cura di), Luigi Ghirri. Niente di
antico sotto il sole, SEI, Torino 1997.

(34) Paul Virilio, La machine de vision, Editions Galilée, Paris 1988; ed. it. La macchina che vede, SugarCo,
Milano 1989.

(35) Jean Baudrillard, Amérique, Editions Grasset & Fasquelle, Paris 1986; ed. it. L’America, Feltrinelli,
Milano 1987; L’illusion de la fin, Editions Galilée, Paris 1992; ed. it. L’illusione della fine, Anabasi, Milano
1993.

(36) La fotografia e lo sfruttamento delle ottiche storiche, in questo libro pag 20. Mi piace ricordare che con
il titolo Al centro di una catastrofe semantica avevo recensito Fotografia e inconscio tecnologico alla sua
prima uscita, in “Progresso Fotografico” n. 5, Milano, maggio 1980, pag. 63, ora in: Nicoletta Leonardi (a
cura di), Feedback. Scritti su e di Franco Vaccari, citato, pag. 46-47.

(37) Rosalind Krauss, Le photographique, Editions Macula, Paris 1990; ed. it. Teoria e storia della fotografia,
Bruno Mondadori, Milano 1996. Roberto Signorini ha indagato il concetto di “fotografico” in molte
importanti teorie della fotografia in: Arte del fotografico,C.R.T., Pistoia 2001.

(38) Jean-Marie Schaeffer, L’image precaire. Du dispositif photographique, Editions du Seuil, Paris 1987; ed.
it. L’immagine precaria. Sul dispositivo fotografico, CLUEB, Bologna 2006.

Pubblicato in Roberta Valtorta (a cura di), Franco Vaccari. Fotografia e inconscio tecnologico, Einaudi,
Torino 2011.

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