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SULLA FOTOGRAFIA di Susan Sontag

1. NELLA GROTTA DI PLATONE.


l’umanità si attarda nella grotta di Platone, continuando a dilettarsi, per abitudine secolare, di semplici
immagini della verità

MA esser stati educati dalle fotografie non è come esser stati educati da immagini più antiche e
più artigianali:
 oggi sono molto più numerose le immagini che richiedono la nostra attenzione; l’inventario è cominciato
nel 1839 e da allora è stato fotografato quasi tutto, o almeno così pare
 questa insaziabilità dell’occhio fotografico modifica le condizioni di prigionia in quella grotta che è il
nostro mondo; insegnandoci un nuovo codice visivo, le fotografie alterano e ampliano le nostre nozioni di ciò
che val la pena guardare e di ciò che abbiamo il diritto di osservare
 la conseguenza più grandiosa della fotografia è che ci dà la sensazione di poter avere in testa il mondo
intero, come antologia di immagini

nelle fotografie l’immagine è anche un oggetto, leggero, poco costoso, facile da portarsi appresso, da
accumulare, da conservare

fotografare significa infatti appropriarsi della cosa che si fotografa

significa stabilire con il mondo una relazione particolare che dà una sensazione di conoscenza, e quindi di
potere

come strumento per filtrare il mondo e trasformarlo in oggetto mentale, la stampa sembra meno pericolosa
delle immagini fotografiche, che sono oggi le fonti principali di ciò che noi sappiamo sull’aspetto del passato
o sulla gamma del presente

le immagini fotografiche invece non sembrano tanto rendiconti del mondo, ma pezzi di esso, miniature di
realtà che chiunque può produrre o acquisire

le fotografie, che impacchettano il mondo, sembrano sollecitare l’impacchettamento



per molti decenni è stato il libro il modo più diffuso di mettere in ordine (di solito miniaturizzandole) le
fotografie, garantendo loro in questo modo se non l’immortalità, la longevità e insieme un pubblico più
vasto; in un libro la fotografia è, ovviamente, l’immagine di un’immagine; ma poiché, già in partenza, è un
oggetto liscio e stampato, riprodotta in un libro, perde la sua qualità essenziale molto meno di un quadro

tuttavia il libro non è un sistema del tutto soddisfacente per assicurare una larga diffusione ad un gruppo di
fotografie: la sequenza nella quale le fotografie devono essere guardate è proposta dall’ordine delle pagine,
ma niente impone al lettore l’ordine raccomandato o indica la quantità di tempo da dedicare ad ogni
fotografia

trascritte in un film, le fotografie smettono di essere oggetti collezionabili, mentre rimangono tali se
riprodotte in un libro

§§§

le fotografie forniscono testimonianze: una cosa di cui abbiamo sentito parlare, ma di cui dubitiamo, ci
sembra provata quando ce ne mostrano una fotografia

 in una versione della sua utilità, il documento fotografico incrimina: le fotografie sono diventate un
utile strumento degli stati moderni per sorvegliare e controllare popolazioni sempre più mobili
 in un’altra versione della sua utilità, il documento fotografico comprova: una fotografia è
considerata dimostrazione incontestabile che una data cosa è effettivamente accaduta; può deformare, ma si
presume sempre che esista, o sia esistito, qualcosa che assomiglia a ciò che si vede nella foto

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quali che siano i limiti (per dilettantismo) o le pretese (per ambizioni artistiche) del singolo fotografo, una
fotografia sembra avere con la realtà visibile un rapporto più puro, e quindi più preciso, di altri
oggetti imitativi  se un quadro o una descrizione in prosa non può mai essere altro che un’interpretazione
strettamente selettiva, una fotografia può essere considerata una trasparenza strettamente selettiva

MA, nel decidere quale aspetto dovrebbe avere una fotografia, nello scegliere una posa piuttosto che
un’altra, i fotografi impongono sempre ai loro soggetti determinati criteri; anche se, in un certo senso, la
macchina fotografica coglie effettivamente la realtà, e non si limita ad interpretarla, le fotografie sono
un’interpretazione del mondo esattamente quanto i quadri e i disegni

ed è proprio questa passività (e onnipresenza) del documento fotografico il messaggio della fotografia, la
sua aggressione

sin dall’inizio le motivazioni dei fotografi erano del tutto differenti dalle finalità dei pittori:
 sin dall’inizio, la fotografia ha comportato la cattura del maggior numero possibile di soggetti
 e la successiva industrializzazione della tecnologia fotografica non ha fatto che dar corpo ad una
promessa insita nella fotografia sin dagli esordi: quella di democratizzare tutte le esperienze, traducendole in
immagini

i primi apparecchi fotografici, fabbricati in Francia e in Inghilterra poco dopo il 1840, potevano essere
adoperati soltanto da inventori e da maniaci  e poiché allora non esistevano fotografi professionisti,
non potevano esistere neanche i dilettanti e la fotografia non aveva una funzione sociale ben
precisa; era un’attività inutile, vale a dire artistica, anche se con poche pretese di essere
considerata arte

fu solo quando si industrializzò che acquisì una sua autonomia artistica

negli ultimi tempi, la fotografia è diventata una forma di divertimento diffusa, il che significa che, come
quasi tutte le forme d’arte di massa, non è esercitata dai più come arte; è soprattutto un rito
sociale, una difesa dall’angoscia e uno strumento di potere

conservare il ricordo delle gesta di singoli individui, intesi come membri di una famiglia o di qualche altro
gruppo, è la più antica utilizzazione popolare della fotografia

le macchine fotografiche accompagnano la vita della famiglia: attraverso le fotografie, ogni famiglia si
costruisce una cronaca illustrata di se stessa, un corredo portatile di immagini che attestano la sua
compattezza; non ha molta importanza quali attività vengano fotografate

mentre da un aggregato familiare molto più vasto veniva tagliata via quella piccola unità che è la famiglia
nucleare, arrivò la fotografia a tramandare nel tempo e a riaffermare in termini simbolici la continuità messa
in pericolo e la declinante estensione dell’organizzazione familiare  quelle tracce spettrali che sono le
fotografie ci danno la presenza simbolica dei parenti dispersi

le fotografie, oltre a dare all’individuo il possesso immaginario di un passato reale, lo aiutano ad impadronirsi
di uno spazio nel quale vive insicuro  di conseguenza, lo sviluppo della fotografia si accompagna a quello di
una delle più antiche attività moderne, il turismo: per la prima volta nella storia, grandi masse di persone
abbandonano regolarmente, per brevi periodi, il loro ambiente abituale  le fotografie dimostreranno in
modo indiscutibile che il viaggio è stato fatto, che il programma è stato attuato, che il divertimento è stato
raggiunto

fare fotografie soddisfa un bisogno di tutti

l’attività stessa del fotografare è calmante e placa quella sensazione generale di disorientamento
che i viaggi rischiano di intensificare

quasi tutti i turisti si sentono costretti a mettere la macchina fotografica tra se stessi e tutto ciò che di
notevole incontrano

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i popoli derubati del loro passato sembrano esprimere i più ferventi fotografi in patria e all’estero 
chiunque viva in una società industrializzata è a poco a poco costretto a rinunciare al proprio passato, ma in
alcuni paesi, per esempio negli Stati Uniti e in Giappone, questa rottura è stata traumatica

il fotografare ha instaurato con il mondo un rapporto voyeuristico che livella il significato di tutti gli
eventi

ma una fotografia non è solo il frutto di un incontro tra un evento e un fotografo; è un evento in sé, e con
diritti sempre più rigidi, di interferire, di invadere o di ignorare quello che succede

una volta concluso un evento continuerà ad esistere la sua immagine, conferendo all’evento stesso una sorta
di immortalità (e di importanza) che altrimenti non avrebbe avuto

mentre nel mondo persone reali uccidono se stesse o altre persone reali, il fotografo, dietro il suo
apparecchio, crea un nuovo minuscolo elemento di un altro mondo: il mondo delle immagini, che
promette di sopravvivere a tutti noi

fotografare è un atto di non intervento: l’orrore di certi colpi memorabili del fotogiornalismo
contemporaneo, deriva in parte dalla tollerabilità che ha assunto, nelle situazioni in cui il fotografo può
scegliere tra una fotografia e una vita, la scelta della fotografia  chi interviene non può registrare, chi
registra non può intervenire

§§§

l’attività del fotografo professionista può essere considerata sconveniente, se il fotografo cerca soggetti che
si ritengono malfamati, tabù o marginali  MA oggi è sempre più difficile trovare un soggetto
sconveniente

se i fotografi professionisti, quando stanno dietro la macchina, hanno spesso fantasie sessuali, la perversione
consiste forse nel fatto che queste fantasie sono insieme accettabili e assolutamente scorrette

la macchina non stupra, e neanche possiede, anche se può intromettersi, invadere, trasgredire, distorcere,
sfruttare e, spingendo la metafora all’estremo, assassinare, tutte attività che, a differenza dell’atto sessuale,
possono essere svolte anche da lontano, e con un certo distacco

la macchina fotografia di un tempo era molto ingombrante e difficile da ricaricare; oggi, i fabbricanti
garantiscono alla loro clientela che fotografare non richiede né capacità particolari né conoscenze
approfondite, che la macchina sa far tutto da sola e risponde alla più piccola pressione della volontà

l’atto di fare una fotografia ha qualcosa di predatorio: fotografare una persona equivale a violarla,
vedendola come essa non può mai vedersi, avendone una conoscenza che essa non può mai avere; equivale
a trasformarla in oggetto che può essere simbolicamente posseduto

come la macchina fotografica è un’idealizzazione della pistola, fotografare qualcuno è un omicidio idealizzato,
un omicidio in sordina, proprio di un’epoca triste, spaventata (una delle situazioni in cui già si sta passando
dalle pallottole alla pellicola è il safari fotografico che sostituisce il safari con i fucili)

la nostra è un’epoca nostalgica e i fotografi sono promotori attivi della nostalgia; la fotografia è
un’arte triste, un’arte crepuscolare; quasi tutti i suoi soggetti, per il solo fatto di essere fotografati,
sono tinti di sentimento; anche un soggetto brutto o ridicolo può diventare commovente, se nobilitato
dall’attenzione del fotografo; e un bel soggetto può suscitare sentimenti melanconici, se è invecchiato o si è
deteriorato o non esiste più

fare una fotografia significa partecipare della mortalità, della vulnerabilità e della mutabilità di un’altra
persona (o di un’altra cosa)

le macchine fotografiche cominciarono a duplicare il mondo nel momento stesso in cui il


paesaggio umano cominciava a cambiare ad un ritmo vertiginoso; mentre in un breve spazio di

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tempo viene distrutta una quantità incalcolabile di forme di vita biologica e sociale, diventa disponibile un
congegno per registrare ciò che sta scomparendo

una fotografia è insieme una pseudopresenza e l’indicazione di un’assenza

le fotografie (soprattutto quelle di persone o luoghi lontani, di città remote, di un passato svanito) sono
incitamenti al fantasticare

§§§

le fotografie possono favorire il desiderio nel modo più diretto e più utilitario, per esempio nel caso di chi
raccoglie immagini di anonimi esempi di desiderabilità come aiuto alla masturbazione

ma la questione diventa più complessa quando si usano le fotografie come stimolo dell’impulso
morale

le immagini che mobilitano le coscienze sono sempre legate ad una determinata situazione storica: quanto
più sono generiche, tanto meno è probabile che risultino efficaci

le fotografie, dunque, non possono creare una posizione morale, ma possono rafforzarla, e
anche contribuire a consolidarne una già in via di formazione

le fotografie possono essere ricordate più facilmente delle immagini in movimento, perché sono una precisa
fetta di tempo anziché un flusso: la televisione è un susseguirsi ininterrotto di immagini, ognuna delle quali
cancella quella che la precede  ogni fotografia è invece un momento privilegiato, trasformato in un piccolo
oggetto che possiamo conservare e rivedere

anche se un evento si definisce ormai esattamente come qualcosa che val la pena fotografare, è ancora
l’ideologia a determinare che cosa costituisca evento; non è mai la documentazione fotografica che può
costituire (o più esattamente identificare) gli eventi; essa dà sempre il proprio contributo solo quando
l’evento ha già un nome

il tipo di reazione, sdegno morale compreso, che una persona può avere di fronte a fotografie di oppressi, di
sfruttati, di affamati e di massacrati, dipende anche dal suo grado di familiarità con queste immagini: si avrà
un impatto inferiore quando le immagini diventano banali, una ripetizione insopportabile di atrocità ormai
familiari  le fotografie sconvolgono nella misura in cui mostrano qualcosa di nuovo

purtroppo si continua ad aumentare la posta, anche mediante l’aumento stesso di queste immagini di orrore

un evento noto attraverso le fotografie diventa palesemente più reale di quanto lo sarebbe stato se le
fotografie non le avessimo mai viste

MA quando si è stati ripetutamente esposti alle immagini, esse diventano anche meno reali: il
trauma delle atrocità fotografate svanisce vedendole ripetutamente (come la sorpresa e lo sconcerto che
proviamo assistendo per la prima volta ad un film pornografico si attenuano sino a sparire se se ne vanno a
vedere altri)

l’enorme catalogo fotografico della miseria e dell’ingiustizia nel mondo ha dato a tutti una certa
consuetudine con l’atrocità, facendo apparire più normale l’orribile, rendendolo familiare, lontano
("è soltanto una fotografia"), inevitabile

con la possibile eccezione delle immagini di certi orrori, come i Lager nazisti, che hanno raggiunto lo status
di punti di riferimento morale, le fotografie in genere non conservano la loro carica emotiva: una fotografia
del 1900, che emozionava allora per il suo soggetto, è oggi più probabile che ci commuova perché è stata
fatta nel 1900  le qualità e le intenzioni delle singole fotografie tendono a scomparire nel sentimento
generale del passato  e il tempo finisce col portare quasi tutte le fotografie, comprese le più
dilettantesche, ad un livello d’arte

§§§

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l’industrializzazione della fotografia ne ha permesso un rapido assorbimento nei modi razionali (cioè
burocratici) di gestire la società  vennero così poste al servizio di importanti istituzioni di controllo, prime
fra tutte la famiglia e la polizia, come oggetti simbolici e come materiali d’informazione

nella catalogazione burocratica del mondo, per esempio, molti documenti importanti non sono validi se non
contengono una fotografia rappresentativa del volto del cittadino

le fotografie sono preziose perché danno informazioni  le informazioni che le fotografie possono dare
incominciano a sembrare molto importanti in quel momento della storia culturale in cui si ritiene che tutti
hanno diritto ad un qualcosa che si chiama notizie: le fotografie furono allora considerate un modo di
fornire informazioni a persone non molto disposte alla lettura

attraverso le fotografie, il mondo diventa una serie di particelle isolate e a sé stanti  è una visione del
mondo che nega la connessione e la continuità, ma che conferisce ad ogni momento il carattere di un
mistero

ogni fotografia ha una molteplicità di significati  la suprema saggezza dell’immagine fotografica


consiste nel dire: "questa è la superficie; pensa adesso (o meglio intuisci) che cosa c’è di là da
essa, che cosa dev’essere la realtà se questo è il suo aspetto"

le fotografie, che in quanto tali non possono spiegare niente, sono inviti inesauribili alla deduzione, alla
speculazione e alla fantasia  il limite della conoscenza fotografica del mondo è che, se può spronare le
coscienze, non può mai essere, alla lunga, conoscenza politica o etica; la conoscenza raggiunta attraverso le
fotografie sarà sempre una forma di sentimentalismo, indifferente o umanistico

sarà un’apparenza di conoscenza, un’apparenza di saggezza; come l’atto di fare una fotografia è
un’apparenza di appropriazione, un’apparenza di stupro

è proprio il mutismo di ciò che è in esse, ipoteticamente, comprensibile che rende le fotografie affascinanti e
stimolanti

le società industriali trasformano i loro cittadini in drogati di immagini

in definitiva, avere un’esperienza si identifica col farne una fotografia e partecipare ad un pubblico evento
equivale sempre più a guardarlo in forma fotografata

il più logico degli esteti ottocenteschi, Mallarmé, diceva che al mondo tutto esiste per finire in un libro; oggi
tutto esiste per finire in una fotografia

2. OGGETTI MELANCONICI.
la fotografia ha la dubbia fama di essere la più realistica, e quindi la più superficiale, delle arti
imitative

in realtà è l’unica arte che sia riuscita ad attuare la grandiosa secolare minaccia di una conquista surrealista
della sensibilità moderna, dopo che molti dei candidati più quotati si erano ritirati dalla gara:
 la pittura era impedita sin dall’inizio dall’essere una bella arte, dove ogni oggetto è un originale unico
fatto a mano; un altro svantaggio era l’eccezionale virtuosismo tecnico dei pittori solitamente inclusi nel
canone surrealista, i quali raramente immaginavano la tela in termini non figurativi; essi si tenevano a lunga
e prudente distanza dalla polemica idea surrealista di sfumare i confini tra l’arte e la cosiddetta
vita, tra gli oggetti e gli eventi, tra il voluto e il non intenzionale, tra i professionisti e i dilettanti, tra il nobile
e il pacchiano, tra la bravura artigiana e gli sbagli fortunati  il risultato fu che in pittura il surrealismo
significò poco di più che i contenuti di un mondo di sogni modestamente attrezzato (solo quando la sua
retorica libertaria contribuì a spingere Pollock e altri ad un nuovo tipo di irriverente astrazione, il messaggio
surrealista ai pittori cominciò finalmente ad acquistare un ampio senso creativo)
 la poesia, cioè l’altra arte alla quale i primi surrealisti erano particolarmente dediti, ha dato risultati
quasi altrettanto deludenti
 le arti nelle quali il surrealismo è giunto a piena espressione sono invece la narrativa in prosa, il
teatro, le arti dell’assemblage e, in forma particolarmente trionfale, la fotografia

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che la fotografia sia la sola arte naturalmente surreale non significa però che condivida il cammino
del movimento surrealista ufficiale

persino le più amabili soluzioni degli anni 20 (le fotografie polarizzate e i Rayogrammi di Ray, i fotogrammi
di Moholy-Nagy, gli studi di esposizione multipla di Bragaglia, i fotomontaggi di Heartfield e
Rodčenko) sono considerate audacie marginali nella storia della fotografia

i fotografi che si sforzarono di combattere l’apparente realismo superficiale del mezzo furono quelli che ne
trasmisero in modo più limitato le proprietà surreali

l’eredità surrealista nella fotografia finì per apparire banale quando il repertorio surrealista di fantasie e di
oggetti venne rapidamente assorbito dall’alta moda degli anni 30, e la fotografia surrealista fu soprattutto
uno stile artificioso di ritrattistica, riconoscibile dall’uso delle medesime convenzioni decorative introdotte dal
surrealismo in altre arti, soprattutto in pittura, in teatro e nella pubblicità

la linea principale dell’attività fotografica ha dimostrato che una manipolazione surrealista, o


teatralizzazione del reale, è superflua se non addirittura ridondante

il surrealismo è al centro della disciplina fotografica: nella creazione stessa di un mondo
duplicato, di una realtà di secondo grado, più limitata ma più drammatica di quella percepita dalla visione
naturale  quanto meno la fotografia era elaborata e palesemente costruita, quanto più ingenua appariva,
tanto maggiore era spesso alla lunga il suo prestigio

il surrealismo ha sempre cercato gli incidenti, ha accolto con piacere i non invitati, ha applaudito le presenze
turbolente

MA non c’è nulla di più surreale di un oggetto che in pratica produce se stesso e con un minimo
sforzo

a differenza degli oggetti artistici delle ere predemocratiche, le fotografie non sembrano profondamente
determinate dalle intenzioni dell’artista  devono piuttosto la loro esistenza ad una libera cooperazione
(quasi magica, quasi accidentale) tra fotografo e soggetto, mediata da una macchina sempre più
semplice e automatizzata che, anche quando fa i capricci, può produrre risultati interessanti, e
comunque mai del tutto sbagliati

§§§

le prime fotografie surreali risalgono agli anni dopo il 1850, quando i fotografi andarono per la
prima volta ad esplorare le strade di Londra, Parigi e New York cercandovi tranches de vie (=
spezzoni di vita vissuta) da non mettere in posa

queste fotografie, concrete, particolari, aneddotiche, momenti di tempo perduto, di usanze svanite, ci
sembrano oggi molto più surreali di una qualunque immagine resa astratta o poetica mediante
sovrapposizione, sottoesposizione, solarizzazione e simili accorgimenti

convinti che le immagini di cui andavano in cerca venissero dall’inconscio, i surrealisti non capirono la
cosa più brutalmente triste, più irrazionale, più inassimilabile, più misteriosa, vale a dire il tempo

ciò che rende surreale una fotografia è il suo incontestabile sentimento, in quanto messaggio
del passato, e la concretezza delle sue indicazioni sulle classi sociali

come estetica che tende a diventare politica, il surrealismo punta sui diseredati, sui diritti di una realtà
emarginata o non ufficiale  ma gli scandali cari all’estetica surrealista erano generalmente proprio quei
misteri casalinghi tenuti nascosti dall’ordine sociale borghese: il sesso e la miseria

mentre il sesso pareva fiorire lussureggiante ai 2 estremi della scala, proletariato e nobiltà erano infatti
considerati ugualmente libertini, le classi medie dovevano faticare per compiere la loro rivoluzione sessuale

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la classe era il mistero più profondo: il fascino inesauribile dei ricchi e dei potenti, l’opaca degradazione dei
poveri e degli emarginati

la fotografia è sempre stata affascinata dalle vette sociali e dai bassifondi; i documentaristi preferiscono
questi ultimi

la miseria sociale ha dato ai benestanti lo stimolo a fare fotografie, che è il più garbato degli atti predatori, al
fine di documentare una realtà nascosta, vale a dire una realtà nascosta a loro  osservando la realtà altrui
con curiosità, con distacco, con professionalità, l’onnipresente fotografo agisce come se la sua attività
trascendesse gli interessi di classe, come se la sua prospettiva fosse universale

il fotografo è una versione armata del viandante solitario che perlustra, esplora, percorre l’inferno
urbano, del bighellone-voyeur che scopre la città come paesaggio di estremità sensuali

le scoperte del flâneur baudelairiano (= passeggiatore svagato e curioso) sono illustrate:


 dalle istantanee scattate alla fine dell’800 da Martin nelle strade di Londra e in riva al mare e da
Genthe nella Chinatown di San Francisco (entrambi con una macchina nascosta)
 dalla Parigi crepuscolare di Atget, fatta di strade squallide e di botteghe in rovina
 dai drammi del sesso e della solitudine raffigurati nel libro Paris de nuit (1933) di Brassaï
 dall’immagine della città come teatro del disastro in Naked City (1945) di Weegee

il flâneur non è attratto dalle realtà ufficiali della città ma dai suoi brutti angoli bui, dalla sua
popolazione trascurata: una realtà non ufficiale che sta dietro la facciata della vita borghese e che il
fotografo cattura  l’eterno soggetto surreale è Come vive l’altra metà, per citare il titolo,
innocentemente esplicito, che Riis diede al suo libro di fotografie dei poveri di New York pubblicato nel 1890

la fotografia, intesa come documentazione sociale, era uno strumento di quell’atteggiamento


essenzialmente borghese, insieme missionario soltanto tollerante, curioso e indifferente che va sotto il
nome di umanesimo, e che vedeva nei bassifondi il più affascinante degli ambienti

i fotografi contemporanei hanno imparato ad approfondire e limitare il loro soggetto: al posto dell’insalata
dell’altra metà, abbiamo oggi, per esempio, East IIOth Street (il libro di fotografie di Harlem di Davinson
pubblicato nel 1970)

ma la giustificazione è sempre la stessa: fare fotografie serve ad un nobile scopo: scoprire una realtà
nascosta, conservare un passato che sta scomparendo

nati come artisti della sensibilità urbana, i fotografi si accorsero in fretta che la natura è esotica quanto la
città e che i campagnoli sono pittoreschi quanto gli abitanti dei bassifondi metropolitani: nel 1897 sir Stone,
ricco industriale e deputato conservatore di Birmingham, fondò la National Photographic Record Association,
al fine di documentare le tradizionali cerimonie inglesi e le feste rurali che andavano scomparendo

la macchina fotografica fa essenzialmente di una persona un turista nella realtà altrui e alla
lunga anche nella propria  forse il modello più antico di visione prolungata dall’alto è nelle fotografie di
Street Life in London (1877-78), fatte dal viaggiatore e fotografo inglese Thomson; per ogni fotografo che
si specializza nei poveri, ce ne sono molti che perseguono una gamma più vasta di realtà esotiche: Thomson
ebbe in questo senso una carriera modello

fin dall’inizio, la fotografia professionale coincise tipicamente con il tipo più generico di turismo di classe, in
quanto quasi tutti i fotografi alternavano indagini sull’ambientazione sociale a ritratti di celebrità e di oggetti
d’uso (alta moda, pubblicità) e a studi di nudo  molte delle carriere fotografiche esemplari dell’800 (come
quelle di Steichen, Brandt, Cartier-Bresson, Avedon) passano per bruschi cambiamenti del livello sociale e
dell’importanza etica dei soggetti (forse il salto più spettacoloso è quello di Brandt da prima a dopo la
guerra)

fare la spola tra realtà degradante e realtà fascinose è parte integrante dell’impeto stesso
dell’iniziativa fotografica, a meno che il fotografo non sia prigioniero di ossessioni estremamente
personali (come quelle di Carroll per le bambine)  la povertà non è più surreale della ricchezza

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quella che è surreale è la distanza imposta, e superata, dal fotografo: la distanza sociale e la
distanza nel tempo

i fotografi non devono necessariamente avere un atteggiamento ironico e intelligente verso il loro materiale
stereotipato; può andare altrettanto bene un’attrazione devota e rispettosa, specie per i soggetti più
convenzionali

§§§

 alcuni fotografi si pongono come scienziati  fanno un inventario del mondo


 altri come moralisti  si concentrano sui casi difficili

un esempio di fotografia come scienza è il progetto varato da Sander nel 1911: un catalogo
fotografico del popolo tedesco; le sue immagini comportano una neutralità pseudoscientifica simile a quella
affermata dalle scienze nascostamente di parte che sorsero nell’800, come la psichiatria, la criminologia e
l’eugenetica; non tanto perché Sander aveva scelto gli individui per la loro rappresentatività, quanto perché
partiva dal corretto presupposto che la macchina fotografica non può fare a meno di rivelare i visi come
maschere sociali

ogni persona fotografata indicava un particolare mestiere, una classe o una professione; la visione di Sander
non è crudele: è comprensiva, non intende giudicare; non cercava segreti: osservava ciò che era tipico

come Muybridge, i cui studi fotografici degli anni 80 servirono ad eliminare idee sbagliate su ciò che tutti
avevano sempre visto (come galoppano i cavalli, come camminano gli uomini), suddividendo i movimenti del
soggetto in una sequenza precisa e sufficientemente lunga di istantanee, Sander tendeva a far luce
sull’ordine sociale scomponendolo minutamente in un numero infinito di tipi

alcuni anni dopo la sua pubblicazione, i nazisti sequestrarono le copie invendute del libro di Sander e
distrussero le matrici, interrompendo così bruscamente il suo progetto di un ritratto della nazione  ciò che
poteva benissimo sembrare antisociale ai nazisti era la sua idea del fotografo come raccoglitore impassibile
di dati, che con la loro completezza avrebbero reso superflui tutti i commenti, o anche i giudizi

a differenza di quasi tutte le fotografie a fini documentari, affascinate dal povero e dall’inconsueto, come
soggetti eminentemente fotografabili, o dalle celebrità, il campionario sociale di Sander è insolitamente e
coscienziosamente vasto; senza rendersene conto, Sander adattava il suo stile al rango sociale della persona
che fotografava:
 i professionisti e i ricchi sono generalmente ritratti in casa, senza scenografia
 manovali e derelitti vengono fotografati di solito in un ambiente (spesso all’aperto) che li definisce, che
parla per loro, come se non fosse possibile riconoscergli quel tipo di identità personale che è invece normale
tra i membri della classe media o superiore

nell’opera di Sander ognuno viene fotografato con la stessa imparzialità

è difficile immaginare un americano che tenti un equivalente dell’esauriente tassonomia di


Sander  i grandi ritratti fotografici dell’America (come American Photographs (1938) di Evans e
The Americans (1959) di Frank) sono volutamente casuali e continuano nello stesso tempo a riflettere la
tradizionale predilezione della fotografia documentaria per i poveri e i diseredati, cittadini dimenticati
della nazione

il più ambizioso progetto fotografico collettivo che sia mai stato intrapreso in questo paese, dalla Farm
Security Administration nel 1935, con la direzione di Stryker, si occupava esclusivamente dei gruppi a
basso reddito

il progetto della Fsa, concepito come documentazione pittorica delle aree rurali e dei problemi rurali, era
dichiaratamente propagandistico, con Stryker che spiegava ai suoi collaboratori l’atteggiamento con il quale
dovevano affrontare il problema posto dal loro soggetto  si definiva così implicitamente il punto di vista:
quello di borghesi che avevano bisogno di convincersi che i poveri erano veramente poveri e che
i poveri erano dignitosi

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neanche in queste fotografie i poveri mancano di dignità, ma non perché siano visti con simpatia; hanno
dignità per accostamento, perché sono visti con lo stesso distacco di tutti gli altri

per trovare un atteggiamento simile a quello di Sander, bisogna rivolgersi a chi ha documentato una parte
morente o superata dell’America, per esempio a Vroman, che fotografò gli indiani dell’Arizona e del Nuovo
Mexico tra il 1895 e il 1904  le sue fotografie sono inespressive, non comprensive e per niente
sentimentali; il loro tono è esattamente all’opposto di quello delle fotografie dell’Fsa:
 non commuovono, non sollecitano simpatie
 non fanno propaganda (per gli indiani)

Sander non sapeva di fotografare un mondo in via di sparizione; Vroman sì

Sander (tedesco): popolo tedesco ~ Vroman (americano): indiani d’America

≠ grandi ritratti dell’America (solo poveri, come quello intrapreso dalla Fsa)

§§§

in Europa la fotografia è stata in buona parte guidata dai concetti del pittoresco (il povero, lo straniero, il
vecchio), dell’importante (il ricco, il famoso) e del bello; le fotografie tendevano all’esaltazione o alla
neutralità

gli americani, meno convinti della permanenza di una qualsiasi organizzazione sociale, ed esperti della
realtà e dell’inevitabilità del cambiamento, hanno fatto più spesso della fotografia di parte  si fanno foto
non solo per mostrare ciò che bisognerebbe ammirare, ma per rivelare ciò che occorre affrontare, lamentare
.. e correggere

la fotografia americana comporta una connessione più generale e meno stabile con la storia; e un
rapporto, insieme più ottimistico e più predatorio, con la realtà geografica e sociale

l’aspetto ottimistico è esemplificato dal frequente uso che si fa della fotografia in America per
destare le coscienze:
 all’inizio del 900 Hine venne nominato fotografo ufficiale del National Child Labor Committee e le sue
fotografie dei bambini che lavoravano nei cotonifici, nei campi di barbabietole e nelle miniere di carbone
influirono sulla decisione dei legislatori di proibire il lavoro infantile
 il progetto Fsa di Stryker (che era un allievo di Hine) fece arrivare a Washington informazioni sugli
operai stagionali e sui mezzadri, aiutando i burocrati a trovare il modo di aiutarli

ma anche al massimo del suo moralismo, la fotografia documentaria riflette il desiderio di


appropriarsi di una realtà estranea  l’aspetto predatorio della fotografia è alla base
dell’alleanza, evidente negli Stati Uniti prima che altrove, tra fotografia e turismo: fu dopo
l’apertura del West, avvenuta nel 1869, che cominciò la colonizzazione fotografica; il caso più brutale è
quello degli indiani

dilettanti seri e discreti, come Vroman furono l’avanguardia di un esercito di turisti che arrivarono alla fine
dell’800 impazienti di fare delle belle foto sulla vita indiana: i turisti invasero le riserve, fotografando
oggetti, danze e luoghi sacri, pagando, se necessario, gli indiani perché si mettessero in posa e
convincendoli a riprendere le loro cerimonie per disporre di un materiale più fotogenetico

ma la cerimonia indigena che cambia quando irrompono le orde dei turisti non è poi tanto differente dallo
scandalo cittadino al quale si pone rimedio dopo che qualcuno lo ha fotografato; il rischio era poi che il
cambiamento fosse soltanto simbolico, limitato alla lettura superficiale del soggetto della fotografia: un
particolare bassofondo di New York, Mulberry Bend, fotografato da Riis alla fine degli anni 80, venne poi
abbattuto, fornendo nuovi alloggi ai suoi abitanti, per ordine di Roosevelt, allora governatore dello stato, ma
altri bassifondi, egualmente orrendi, rimasero in piedi

il fotografo saccheggia e insieme conserva, denuncia e insieme consacra

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posti di fronte alla spaventosa vastità ed estraneità di un continente da poco colonizzato, gli
americani si servivano della macchina fotografica per prendere possesso dei luoghi che
visitavano: i fotografi americani invece sono spesso in viaggio, sopraffatti da un’irrispettosa meraviglia
davanti a ciò che il loro paese gli offre in fatto di sorprese surreali

essi prendono appunti su cose che stanno scomparendo, e spesso ne affrettano, fotografandole, la
sparizione

i fotografi europei partivano dal presupposto che la società ha, in un certo qual modo, la stabilità della
natura  gli americani considerano la realtà del loro paese talmente enorme e mutevole che riterrebbero
pura presunzione affrontarla con un metodo scientifico, classificatorio  ci si può arrivare indirettamente,
per vie traverse, spezzandola in strani frammenti che potrebbero in qualche modo, per sineddoche, essere
scambiati per il tutto

per la grande tradizione della fotografia americana, il tono prevalente è la tristezza; vi è una lugubre
visione di morte

tornata da Parigi nel 1929, dopo gli anni di apprendistato con Ray e la scoperta (e il salvataggio) dell’opera,
allora quasi sconosciuta, di Atget, Berenice Abbott cominciò a registrare New York; l’obiettivo della Abbott
("volevo registrarla prima che cambiasse completamente") assomiglia a quello di Atget, che dedicò
gli anni tra il 1898 ed il 1927, quando morì, a registrare pazientemente e furtivamente una vecchia e minuta
Parigi che stava scomparendo

ma la Abbott fissa qualcosa di ancor più fantastico: l’incessante sostituzione del nuovo; la fotografia
non vuole tanto commemorare il passato quanto documentare 10 anni di cronica autodistruzione
dell’esperienza americana, nella quale anche il passato recente viene continuamente consumato,
eliminato, abbattuto, gettato via  così si sostituisce il passato con dei fantasmi di carta

§§§
le fotografie, che fanno del passato un oggetto consumabile, sono una scorciatoia; qualsiasi collezione di
fotografie è un esercizio di montaggio e di abbreviazione della storia

l’America, paese surreale, è piena di oggetti trovati: le cianfrusaglie sono diventate arte; sono diventate
storia

le fotografie sono, ovviamente, manufatti; ma il loro fascino è anche che, in un mondo cosparso di relitti
fotografici, sembrano avere uno status di oggetti trovati, di fette di mondo non premeditate; di conseguenza
approfittano contemporaneamente del prestigio dell’arte e della magia del reale

la fotografia è diventata l’arte fondamentale delle società ricche, sperperatrici e irrequiete, uno
strumento indispensabile della nuova cultura di massa che prese forma da noi (America) dopo la
guerra civile e conquistò l’Europa solo dopo il secondo conflitto mondiale, anche se i suoi valori
avevano cominciato a diffondersi tra i benestanti sin dalla metà dell’800 quando, secondo la
definizione di Baudelaire, la nostra immonda società si era lasciata narcisisticamente affascinare da Daguerre
e dal suo mezzo a buon mercato di spandere il disgusto per la storia

agli albori della fotografia, verso la fine del 1840, Talbot notava la particolare attitudine della
macchina a registrare le offese del tempo: Talbot alludeva a ciò che accade agli edifici e ai monumenti
 per noi, invece, le abrasioni più interessanti sono quelle della carne, non della pietra

attraverso le fotografie seguiamo, nel modo più intimo e più conturbante, la realtà di come la gente
invecchia

la fotografia è l’inventario della mortalità: le fotografie mostrano persone che sono indiscutibilmente lì
e ad un’età specifica della loro vita; raggruppano individui e cose che un attimo dopo si sono già dispersi,
sono cambiati, hanno continuato a seguire i loro singoli destini

le fotografie proclamano l’innocenza e la vulnerabilità di vite che si avviano alla distruzione, e questo legame
tra fotografia e morte passa attraverso tutti i ritratti fotografici

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il fascino che le fotografie esercitano, oltre che un avvertimento della morte, è anche un invito
al sentimentalismo: le fotografie trasformano il passato in un oggetto da guardare con tenerezza,
sopprimendo le distinzioni morali e indebolendo i giudizi storici con il sentimento generico del passato

una fotografia è solo un frammento e, con il trascorrere del tempo, i suoi ormeggi si staccano; va allora alla
deriva in un dolce e astratto passato, aperta ad ogni sorta di lettura (o di accompagnamento con altre
fotografie)

una fotografia potrebbe anche essere definita una citazione, e ciò fa assomigliare un libro di
fotografie ad un libro di citazioni; e un modo sempre più diffuso di presentare le fotografie in forma di libro è
quello di accompagnarle con citazioni:
 un esempio: Down Home (1972) di Adelman, che è il ritratto di una contea rurale dell’Alabama, una
delle più povere del paese, realizzato negli anni 60; dimostrazione della permanente predilezione della
fotografia documentaria per gli sconfitti; tipico del progressismo di questo libro è il fatto che esso non tenti
di esprimere alcun punto di vista, che voglia essere una visione interamente imparziale dei suoi soggetti (si
potrebbe per questo considerarla una versione in miniatura, a livello di una sola contea, del progetto di
Sander); ma questi campioni parlano, e ciò conferisce a queste fotografie senza pretese un peso che da sole
non avrebbero
 un altro esempio è Wisconsin Death Trip (1973) di Lesy, che tenta anch’esso il ritratto, attraverso le
fotografie, di una contea rurale; solo che il tempo è al passato, tra il 1890 ed il 1910, anni di grave
recessione e di difficoltà economiche, e la contea di Jackson viene ricostruita mediante oggetti trovati che
risalgono a quei decenni; questi oggetti sono una scelta delle fotografie di Van Schaick, il principale
fotografo commerciale della capitale della contea; nonché citazioni tratte da fonti dell’epoca, soprattutto
giornali locali e atti del manicomio di contea, e brani narrativi sul Middle West  le citazioni non hanno
niente a che fare con le fotografie, ma stabiliscono con loro un rapporto aleatorio e intuitivo; le persone
fotografate in Down Home sono gli autori delle dichiarazioni che leggiamo nelle pagine accanto

ma mentre le dichiarazioni che accompagnano le fotografie di Adelman si contraddicono a


vicenda, i testi raccolti da Lesy ripetono tutti la stessa cosa: che nell’America di fine 800 una
quantità stupefacente di persone era disperata

nell’eventualità che qualcuno ritenesse che solo il Vietnam, unito alle paure e ai pericoli dell’ultimo decennio,
ha fatto dell’America un paese dalle prospettive sempre più buie, Lesy sostiene che il sogno si era già
dissolto alla fine dell’800, e non nelle città disumane ma nelle comunità agricole

alle conturbanti fotografie di Van Schaick, finemente corrose dal tempo, Lesy avrebbe potuto accompagnare
altri documenti dell’epoca (lettere d’amore, diari) suscitando così un’impressione diversa, forse meno
disperata; ma il suo libro è un atto polemico, provocatorio e pessimistico, come esige la moda
attuale, mentre è del tutto fantasioso come opera storica

oggi opere di foto-finzione come Wisconsin Death Trip, pur spiegando meno di tanti racconti e romanzi,
persuadono di più, perché hanno l’autorità di un documento: le fotografie (e le citazioni) essendo
considerate frammenti di realtà, sembrano più autentiche delle narrazioni letterarie

c’è in America un’avversa diffidenza per tutto ciò che sa di letterario, per non parlare della crescente
riluttanza dei giovani a leggere qualsiasi cosa, che spiega in parte l’attuale richiesta di libri con poche parole
e molte fotografie

§§§
in un mondo che sta diventando un immenso mucchio di pietre, il collezionista diventa un individuo
impegnato in una pia opera di salvataggio

il passato stesso, con la continua accelerazione del cambiamento storico, rende possibile il vedere una
nuova bellezza in ciò che sta scomparendo

sin dall’inizio i fotografi non solo si dedicarono al compito di registrare un mondo in via di
sparizione, ma furono assunti per farlo da quegli stessi che ne affrettavano la scomparsa

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ma rinnovare il vecchio mondo non è possibile, ed è questo l’aspetto melanconico della
disciplina fotografica

vale la pena citare le idee di Benjamin perché


 è stato il più originale ed il più importante dei critici di fotografia
 il suo progetto ideale sembra una versione idealizzata dell’attività fotografica

questo progetto era un’opera di critica letteraria fatta totalmente di citazioni, e quindi priva di qualsiasi cosa
che potesse indicare un’empatia

la storia della fotografia rivela una lunga tradizione di ambivalenza per quanto concerne la sua capacità di
parzialità

come il collezionista, il fotografo è mosso da una passione che, anche quando ha come
apparente oggetto il presente, è legata ad un senso del passato

ma mentre le arti tradizionali tendono a mettere ordine nel passato, distinguendo l’innovatore dal
retrogrado, il fondamentale dal marginale, il rilevante dall’irrilevante o da ciò che è solo interessante,
l’approccio del fotografo (come quello del collezionista) è asistematico, anzi antisistematico  lo sguardo
del fotografo professionista non solo si oppone alla classificazione e alla valutazione tradizionale dei
soggetti, ma cerca consapevolmente di contestarle e di sovvertirle

sostanzialmente la fotografia attua l’imperativo surrealista di adottare un atteggiamento inflessibilmente


egualitario di fronte a qualsiasi soggetto; e ha di fatto manifestato (come il gusto surrealista vero e
proprio) una predilezione radicata per le cianfrusaglie, il pugno in un occhio, i rifiuti, le superfici
scrostate, il kitsch

l’acutezza dello straccivendolo surrealista mirava a trovare bello ciò che altri ritenevano brutto
o privo d’interesse e rilevanza

le fotografie infatti soddisfano molti dei criteri sanciti dai surrealisti, essendo oggetti
onnipresenti, poco costosi e poco attraenti  un quadro bisogna commissionarlo o comprarlo; una
fotografia la troviamo (in un album o in un cassetto), la ritagliamo (da un giornale o da una rivista) o ce la
facciamo facilmente da soli; e gli oggetti fotografati non soltanto proliferano come non potrebbe mai un
quadro, ma sono, in un certo senso esteticamente indistruttibili

le fotografie, anche se annerite, macchiate, spiegazzate o sbiadite continuano ad essere belle: spesso anzi lo
sono ancora di più (in questo, come in altri sensi, l’arte a cui la fotografia assomiglia di più è l’architettura)

ciò che vale per le fotografie, vale anche per il mondo visto fotograficamente: la fotografia trasforma la
scoperta della bellezza delle rovine in autentico gusto di massa

il carattere casuale delle fotografie conferma che tutto è provvisorio; l’arbitrarietà della documentazione
fotografica indica che la realtà è sostanzialmente inclassificabile  essa si riassume in uno spiegamento di
frammenti casuali, in un modo di misurarsi con il mondo che è insieme infinitamente allettante e
intensamente riduttivo

esemplificando questo rapporto con la realtà, che è il punto di raccolta del surrealismo, il fatto che il
fotografo insista nel sostenere che tutto è reale significa che il reale non basta

nel passato l’insoddisfazione per la realtà si esprimeva come aspirazione ad un altro mondo  nella società
moderna si esprime vigorosamente e ossessivamente come aspirazione a riprodurre questo

quasi che soltanto guardandola in forma di oggetto (attraverso la droga della fotografia) la
realtà diventi realmente reale, cioè surreale

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un fotogramma isolato, che permette di indugiare quanto si vuole su un unico momento, contraddice la
forma stessa del film, come una serie di fotografie che congelano momenti di una vita o di una
società contraddice la loro forma, che è un processo, un fluire nel tempo

il mondo fotografato ha con il mondo reale il medesimo rapporto, sostanzialmente impreciso,


che hanno i fotogrammi con i film

la vita non è fatta di particolari significanti, non è illuminata da un flash, non è fissata per
sempre; le fotografie sì

anche se certe fotografie, considerate come oggetti individuali, hanno la presa e la dolce austerità di
importanti opere d’arte, la proliferazione delle fotografie è alla lunga un’affermazione del kitsch

3. L’EROISMO DELLA VISIONE.


a parte le situazioni nelle quali la macchina viene usata per documentare, o per registrare riti sociali, ciò che
induce la gente a fare fotografie è l’aver trovato qualcosa di bello (il nome con il quale Talbot
brevettò la fotografia nel 1841 era calotipo, da kalós che significa appunto bello)

e il successo della macchina fotografica nell’abbellire il mondo è stato tale che ora sono le fotografie, e
non il mondo, il modello della bellezza

impariamo anche a vedere fotograficamente noi stessi: considerarsi attraenti significa infatti ritenere che si
riuscirebbe bene in fotografia

le fotografie creano il bello e, dopo alcune generazioni di fotografi, lo consumano  sazi di immagini,
rischiano di trovare noiosi i tramonti: disgraziatamente assomigliano ormai troppo a fotografie

un decennio dopo che, intorno al 1845, il processo negativo-positivo di Talbot aveva cominciato a sostituire il
dagherrotipo (il primo procedimento fotografico pratico), un fotografo tedesco inventò la prima tecnica per
ritoccare il negativo  l’annuncio che la macchina poteva mentire rese molto più popolare il farsi fotografare

le conseguenze della menzogna sono necessariamente più importanti per la fotografia di quanto potrebbero
mai esserlo per la pittura, perché le fotografie avanzano pretese di veridicità che non potrebbe mai avanzare
un quadro: un quadro falso (cioè un quadro con un’attribuzione sbagliata) falsifica la storia dell’arte  una
fotografia falsa (cioè un fotografia ritoccata o manomessa, o accompagnata da una falsa didascalia)
falsifica la realtà

la storia della fotografia potrebbe essere letta come la storia della lotta tra 2 differenti
imperativi:
 quello di abbellire, che proviene dalle belle arti
 e quello di dire la verità, misurabile non solo in base ad una nozione di verità trascurante qualsiasi
valore, derivata dalle scienze, ma secondo un’ideale moralistico, tratto da modelli letterari ottocenteschi e
dalla professione (allora) nuova del giornalismo indipendente

liberati dalla necessità di dover fare scelte limitate (come i pittori) sulle immagini degne di contemplazione,
grazie alla rapidità con la quale le macchine registravano qualsiasi cosa, i fotografi fecero del vedere un’arma
di tipo nuovo: come se il vedere in sé, perseguito con sufficiente avidità e determinazione, potesse
effettivamente conciliare le esigenze di verità e il bisogno di trovare bello il mondo

dopo esser stata un tempo oggetto di meraviglia per la sua capacità di riprodurre fedelmente la realtà, e
insieme di disprezzo per la sua volgare precisione, la macchina fotografica ha finito per far aumentare in
misura straordinaria il valore delle apparenze  invece di accontentarsi di registrare la realtà, le fotografie
sono diventate il modello di come ci appaiono le cose, modificando così il concetto stesso di
realtà, e di realismo

§§§
i primi fotografi parlavano come se la macchina fotografica fosse stata soltanto una copiatrice;
come se, anche se erano persone che la facevano funzionare, fosse la macchina stessa a vedere

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la macchina fotografica si proponeva a Talbot come una nuova forma di notazione, la cui attrattiva era
appunto l’impersonalità, in quanto registrava un’immagine naturale, cioè un’immagine che
prende vita "per opera della sola Luce, senza alcun aiuto del pennello dell’artista"

ma quando la gente scoprì, e non le ci volle molto, che nessuno fotografa nello stesso modo una
stessa cosa, l’ipotesi che le macchine fornissero un’immagine impersonale e oggettiva dovette cedere al
fatto che le fotografie non attestano soltanto ciò che c’è, ma ciò che un individuo ci vede, che non
sono soltanto un documento, ma una valutazione del mondo

divenne allora chiaro che non si trattava di un’attività semplice e unitaria chiamata vedere (registrata e
aiutata dalle macchine fotografiche), ma di una visione fotografica che era insieme un nuovo modo di
vedere e una nuova attività da svolgere

ben presto i turisti armati di macchina fotografica presero ad affrontare una tematica non più limitata alle
località e alle opere d’arte famose  per visione fotografica si cominciò ad intendere la capacità di
scoprire la bellezza in ciò che ognuno vede ma trascura, ritenendolo troppo banale

si chiedeva ai fotografi di non limitarsi a vedere il mondo così come è, comprese le sue meraviglie
riconosciute: loro compito era suscitare interesse con nuove decisioni visive; vedere le cose
(soprattutto quelle che tutti hanno già visto) in modo nuovo

da quando sono state inventate le macchine fotografiche, esiste nel mondo un particolare eroismo:
l’eroismo della visione  negli anni 20 il fotografo era diventato un eroe moderno

la fotografia ha aperto una nuova forma di libera attività, dando modo a ciascuno di manifestare la propria
avida sensibilità personale

la celebrazione della vita quotidiana e il tipo di bellezza che solo la macchina può rivelare (un
angolo di realtà materiale che l’occhio non vede o non riesce normalmente ad isolare; o anche la visione
dall’alto, per esempio da un aereo) sono i principali obiettivi dei fotografi

i fotografi avevano scoperto che, quando riuscivano a rifilare maggiormente la realtà, comparivano forme
splendide

subito dopo il 1840 Talbot non soltanto componeva fotografie nei generi propri della pittura, ma puntava la
macchina anche su una conchiglia marina, sulle ali di una farfalla, su una porzione di 2 file di libri nel suo
studio  MA questi soggetti sono ancora riconoscibili come una conchiglia, le ali di una farfalla, dei
libri

 quando venne ulteriormente violata la visibilità consueta (e si isolò l’oggetto dal suo contesto,
rendendolo astratto) entrarono in vigore nuove convenzioni su ciò che si considera bello  bello
divenne ciò che l’occhio non può vedere (o non vede): quella visione frantumata e dislocata che solo
la macchina può dare

la nuova procedura (che ebbe il suo periodo di massimo splendore tra il 1920 ed il 1935) pareva promettere
illimitate delizie visive; funzionava, con effetti egualmente sbalorditivi, su oggetti familiari, sul nudo
(soggetto che si sarebbe potuto ritenere praticamente esaurito dai pittori), sulle minuscole cosmologie della
natura  Bauhaus

la fotografia sembrava aver trovato una sua grandiosa funzione, come ponte tra arte e scienza; la pittura
non aveva mai promesso così spudoratamente di rivelare la bellezza del mondo

nonostante i vari modi nei quali, a partire dal 1840, pittori e fotografi si sono reciprocamente influenzati e
hanno rubato gli uni dagli altri, le loro procedure restano sostanzialmente opposte: il pittore costruisce, il
fotografo rivela

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quando Thoreau diceva "non puoi dire più di quello che vedi", dava per scontato che la vista avesse una
posizione di preminenza tra i sensi  ma quando, alcune generazioni dopo, la frase di Thoreau viene citata
da Strand per esaltare la fotografia, assume un significato del tutto diverso: le macchine fotografiche
non si limitano a rendere possibile un maggiore apprendimento attraverso la visione: hanno cambiato la
visione in sé, favorendo l’idea del vedere fine a se stesso  coltivazione didattica della percezione,
indipendentemente da qualsiasi concetto su ciò che val la pena percepire

la versione più autorevole di questo atteggiamento la troviamo in pittura, cioè nell’arte che la fotografia violò
sin dagli inizi senza rimorsi e plagiò con entusiasmo, e con la quale coesiste tuttora in una febbrile rivalità

ciò che la fotografia fece fu di appropriarsi del compito del pittore di fornire immagini che trascrivessero
accuratamente la realtà; di questo dovrebbe essere profondamente grata, dal momento che questa
appropriazione è stata di fatto una liberazione: assumendosi il compito della rappresentazione realistica, sino
allora monopolio della pittura, la fotografia lasciò libera quest’arte di seguire la sua grande vocazione
modernista, cioè l’astrazione

ma l’impatto della fotografia sulla pittura non è stato soltanto questo (il territorio dalla rappresentazione
realistica che la fotografia andò ad occupare sarebbe stato probabilmente abbandonato dalla pittura in
qualunque caso): le frontiere del nuovo territorio conquistato dalla fotografia cominciarono immediatamente
ad allargarsi

così, dei 2 famosi inventori della fotografia, se Daguerre non pensò mai di spingersi oltre la gamma
rappresentativa del pittore naturalista, Talbot si accorse immediatamente della capacità della
macchina fotografia di isolare forme che sfuggono normalmente all’occhio nudo e che la pittura
non aveva mai registrato

a poco a poco i fotografi parteciparono alla ricerca di immagini sempre più astratte  MA è insita
nella natura di una fotografia l’impossibilità di trascendere del tutto il soggetto, come invece può
fare un quadro

il fine della fotografia (quello di educarci ad una visione intensiva) sembra più vicino a quello della
poesia modernista che a quello della pittura: la dedizione della poesia alla concretezza e all’autonomia del
linguaggio poetico è parallela alla descrizione del fotografo alla pura visualità

§§§
mentre la maggior parte della gente che fa fotografie si limita a perpetuare i propri concetti sul bello, i
professionisti ambiziosi ritengono solitamente di contestarli

secondo eroici modernisti come Weston, la disciplina fotografica è elitista, profetica, sovversiva,
rivelatrice  i fotografi sostenevano di svolgere il compito di purificare i sensi, rivelando ad altri il
mondo vivo che li circonda, mostrandogli ciò che è sfuggito ai loro occhi ciechi

importanza della terapia di shock visivo che i fotografi stavano somministrando

il fotografo insiste necessariamente sulla preminenza di un unico senso, la vista

l’abitudine alla visione fotografica (al vedere nella realtà uno schieramento di fotografie potenziali)
provoca un distacco dalla natura, anziché un’unione con essa

la visione fotografica si rivela soprattutto come l’esercizio di una sorta di visione dissociativa, come
un’abitudine soggettiva rafforzata dalle differenze oggettive tra il modo in cui la macchina e l’occhio umano
mettono a fuoco e valutano la prospettiva

queste differenze saltavano agli occhi di tutti già agli albori della fotografia  MA quando
cominciò a pensare fotograficamente, la gente non parlò più della deformazione fotografica
(adesso poi, si cerca proprio questa deformazione)

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così, uno dei perenni successi della fotografia, è stato la sua capacità di trasformare gli esseri viventi in cose
e le cose in esseri viventi  fu la bellezza delle forme della fotografia industriale e scientifica che colpì i
designer del Bauhaus, e in effetti la macchina fotografia ha registrato poche immagini formalmente più
interessanti di quelle scattate da metallurgisti e cristallografi; MA l’approccio del Bauhaus alla fotografia non
è prevalso

secondo la tradizione principale del bello fotografico, la bellezza richiede l’impronta di una
decisione umana: il fatto che proprio questo permetterebbe di fare una buona fotografia e che la buona
fotografia esprimerebbe un punto di vista (è più importante rivelare la forma elegante di una tazza del water
che la poetica grandiosità di un fiocco di neve o di un pezzo di carbone)

per Weston, la bellezza in sé era sovversiva, e parve dargli ragione il fatto che alcuni si scandalizzarono
dei suoi ambiziosi nudi

oggi è più facile che i fotografi pongano l’accento sull’umanità ordinaria delle loro rivelazioni; certo non
hanno cessato di cercare la bellezza, ma non credono più che la fotografia debba provocare, sotto lo scudo
della bellezza, uno sconvolgimento psichico

modernisti ambiziosi, come Weston e Cartier-Bresson, che considerano la fotografia un modo di vedere
autenticamente nuovo, sono stati contestati da fotografi di una generazione successiva che
vogliono un occhio fotografico non penetrante ma democratico, e che non pretendono di fissare nuove
regole per la visione  l’affermazione di Weston sembra tipica delle troppo ottimistiche
speranze del modernismo artistico in genere del primo terzo del secolo, speranze che sono state in
seguito abbandonate

la macchina fotografica ha certamente prodotto una rivoluzione psichica, ma non certo nel senso
preannunciato da Weston  la fotografia, in quanto scrosta i secchi involucri della visione abituale, crea un
altro modo di vedere: intensa e insieme lucida, partecipe e insieme distaccata; affascinata dal particolare
insignificante, dedita alla bizzarria

ma perché la visione fotografica dia l’impressione di contravvenire alla visione ordinaria,
bisogna che sia costantemente rinnovata da nuovi shock, di soggetto o di tecnica

la visione tende infatti ad adattarsi alle fotografie: la visione d’avanguardia di Strand negli anni 20 e
di Weston alla fine di quel decennio e all’inizio del successivo, è stata rapidamente assimilata  i loro
rigorosi primi piani di piante, conchiglie, foglie, alberi avvizziti dal tempo sono diventati luoghi comuni di
un modo di vedere puramente fotografico; ciò che un tempo era visibile soltanto da un occhio molto
intelligente, ora lo vede chiunque

ma un’accresciuta familiarità non basta a spiegare perché certe convenzioni della bellezza si consumino e
altre rimangano

difficilmente Strand e Weston potevano immaginare che le loro idee di bellezza sarebbero diventate così
banali, e tuttavia sembra inevitabile che ciò avvenga quando si insiste su un così molle ideale
della bellezza come perfezione

il fotografo ha dimostrato che la natura offre un numero infinito di composizioni perfette, un ordine
onnipresente  ma il rivelare la perfezione del mondo era un’idea di bellezza troppo sentimentale
e troppo astorica per poter sottendere la fotografia

l’idea secondo cui le fotografie dovrebbero essere anzitutto belle, vale a dire perfettamente composte,
sembra oggi poco persuasiva, troppo insensibile alla verità del disordine

le immagini di Weston, per quanto belle e ammirevoli, sono diventate per molti meno interessanti, mentre
affascinano più che mai quelle riprese dai fotografi primitivi inglesi e francesi della metà 800, per esempio da
Atget

il giudizio di Weston su Atget è che egli non era un buon tecnico, giudizio che rispecchia perfettamente
la coerenza delle sue idee e la sua lontananza dal gusto contemporaneo

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il gusto contemporaneo critica Weston, per la sua devozione alla perfezione della stampa, più che non
Atget e gli altri maestri della tradizione popolare della fotografia

l’imperfezione tecnica viene oggi apprezzata proprio perché spezza la pacata equazione tra Natura e
Bellezza

la natura è diventata un soggetto di nostalgia e di disprezzo più che un oggetto di


contemplazione

come questi ideali estetici formalisti sembrano legati ad un certo clima storico, cioè all’ottimismo sull’epoca
moderna, così il declino delle norme della purezza fotografica, rappresentata da Weston e dalla scuola del
Bauhaus, ha coinciso con la delusione morale vissuta negli ultimi decenni

nell’attuale clima storico di disillusione, è sempre più difficile trovare un senso nell’idea
formalistica di una bellezza eterna

hanno acquistato invece importanza determinante modelli di bellezza più cupi e più transitori, ispirando una
rivalutazione della fotografia del passato: e, in un’evidente rivolta contro il Bello, le più recenti
generazioni di fotografi preferiscono mostrare il disordine

MA nonostante la finalità dichiarata da parte di una fotografia indiscreta, estranea dal mettere in posa e
spesso sgradevole, di rivelare la verità anziché la bellezza, la fotografia continua ad abbellire  anzi, il
suo trionfo più duraturo è stata la capacità di scoprire il bello nell’umile, nel banale, nel decrepito

PRIMA: la bellezza è frutto di abilità e gusto  DOPO: la bellezza è frutto del dilettantismo o
dell’inavvertenza

inizialmente giudicati secondo le norme della pittura, si considerarono, sino a poco tempo fa, successi tipici
della visione fotografica le opere di quel numero relativamente ristretto di fotografi che, attraverso sforzi e
riflessioni, riuscivano a trascendere la meccanicità della macchina fotografica per soddisfare le norme
dell’arte

oggi invece è evidente che non esiste un contrasto intrinseco tra un uso meccanico o ingenuo della
macchina e una bellezza formale di primissimo ordine, e neanche un tipo di fotografia nel quale non possa
rivelarsi questa bellezza: un’istantanea funzionale e priva di pretese può essere visivamente
interessante, eloquente e bella quanto le fotografie artistiche più acclamate

questa democratizzazione dei criteri formali è il logico complemento della democratizzazione dell’idea di
bellezza che la fotografia ha prodotto

tradizionalmente associata a modelli esemplari, la bellezza, come hanno dimostrato le fotografie,


esiste invece dappertutto

la funzione tradizionale della ritrattistica, quella di abbellire o idealizzare il soggetto, è ancora l’obiettivo
della fotografia quotidiana e di quella commerciale, ma ha uno spazio molto più limitato nella
fotografia intesa come arte

come veicolo di una certa reazione alla bellezza convenzionale, la fotografia ha contribuito a dilatare
enormemente la nostra idea di ciò che è esteticamente gradevole

persino il fotogiornalismo più partecipe è sollecitato a soddisfare contemporaneamente 2 tipi di


aspettative:
 quelle derivanti dal nostro modo, in gran parte surrealista, di guardare tutte le fotografie
 e quelle create dalla convinzione che certe immagini forniscano informazioni reali e importanti sul mondo

le fotografie fatte da Smith, alla fine degli anni 60 a Minamata, un villaggio di pescatori giapponese i cui
abitanti sono in massima parte paralizzati e stanno lentamente morendo avvelenati dal mercurio, ci
commuovono perché documentano una sofferenza che suscita la nostra indignazione, ma ci tengono anche a
distanza perché sono splendide immagini dello Strazio secondo i criteri surrealisti della bellezza

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il peso morale ed emotivo di ogni fotografia dipende dal contesto in cui viene inserita (galleria,
manifestazione politica, dossier della polizia, rivista di fotografia, periodico illustrato)  ognuna di queste
situazioni suggerisce un uso diverso delle fotografie ed è proprio l’uso diverso che ne fissa il significato

è in questo modo che la presenza e la proliferazione delle fotografie contribuiscono all’erosione del concetto
stesso di significato, a quella suddivisione della verità in tante verità relative

i fotografi socialmente impegnati presumono che la loro opera possa trasmettere un qualche significato
permanente e rivelare la verità  MA, anche perché una fotografia è sempre un oggetto in un contesto,
questo significato è destinato a consumarsi; al contesto che determina i possibili usi immediati della
fotografia succedono inevitabilmente altri contesti nei quali questi stessi usi perdono in concretezza e
diventano a poco a poco meno rilevanti

una delle caratteristiche fondamentali della fotografia è quel processo mediante il quale gli usi
originali vengono modificati e successivamente sostituiti da altri

le didascalie tendono a sovrapporsi alla testimonianza dei nostri occhi, ma non esiste didascalia che
possa limitare o fissare permanentemente il significato di un’immagine

anche una didascalia perfettamente esatta è solo una possibile interpretazione, necessariamente
limitativa, della fotografia alla quale è unita

tale è la tendenza estetizzante della fotografia che il medium che trasmette l’angoscia finisce anche per
neutralizzarla

il realismo delle fotografie produce una confusione sul reale che è (alla lunga) moralmente calmante e nello
stesso tempo (a breve e a lunga scadenza) sensorialmente stimolante; di conseguenza ci libera gli occhi: è
questa la nuova visione di cui tutti parlano

§§§
qualunque siano le pretese morali avanzate in nome della fotografia, la sua conseguenza principale è
quella di trasformare il mondo in un grande magazzino, o in un museo senza pareti, dove ogni
soggetto è degradato ad articolo di consumo e promosso ad oggetto d’ammirazione estetica

grazie alla macchina fotografica, diventiamo tutti clienti o turisti della realtà (intesa al plurale)

avvicinando l’esotico e rendendo esotico il familiare e il consueto, le fotografie mettono a disposizione il


mondo intero come oggetto d’apprezzamento

per i fotografi ci sono ovunque momenti avvincenti e bei soggetti

l’impulso a fotografare è sostanzialmente indifferenziato, perché l’esercizio della fotografia si identifica ormai
con la tesi secondo la quale tutto al mondo può essere reso interessante dalla macchina

l’invasione fotografica del mondo, con la sua produzione illimitata di appunti sulla realtà,
omologa ogni cosa

per produrre un documento contemporaneo autentico, l’impatto visivo dovrebbe essere tale da
annullare qualunque spiegazione

se le fotografie sono messaggi, il messaggio è insieme trasparente e misterioso

nonostante l’illusione di favorire la comprensione ciò che la visione fotografica realmente sollecita è un
rapporto acquisitivo con il mondo che alimenta la consapevolezza estetica e incoraggia il distacco emotivo

la forza di una fotografia è nel conservare passibili di indagine momenti che il normale fluire del tempo
sostituisce immediatamente

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