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Storia della Stampa e dell’Editoria (2022/23) | Rosa Ginevra

STORIA DELLA STAMPA E DELL’EDITORIA


Circolazione del libro, librai, editori e lettori (XV-XVIII sec.)
(prof. Braida Lodovica)

LEZIONE 1 (19-09-22)
PRESENTAZIONE DEL CORSO
PRIMA UNITÀ: TRASFORMAZIONI CULTURALI CHE HANNO PORTATO ALLA NASCITA DELLA STAMPA
Storia del libro = storia della comunicazione, in cui tutti gli attori sociali che lavorano per trasformare i testi in libri lavorano in
relazione tra di loro. Questo circuito è chiamato “circuito della comunicazione”, è un orientamento metodologico che non sempre è
stato pensato così: non tutti gli storici del libro considerano questo mestiere un circuito in cui tutte le figure sono fondamentali 
per molto tempo la centralità si è posta sugli autori, mentre tutti gli altri anelli della catena sono rimasti in ombra, in quanto era
considerato importante solo il “prodotto libro” finito. Nel passaggio da testo a libro ci sono invece molte figure importanti, che
spesso non ci sono restituite dalla storia della letteratura anche se sono fondamentali per capire la storia di un libro. Uno studioso
americano disse che gli autori non scrivono libri ma testi, che poi si trasformano in libri nelle stamperie o nelle case editrici: noi
quindi studiamo questo processo di transizione, che ha molte implicazioni di diversa natura, in base agli attori sociali che vi
lavorano. In questo processo sono coinvolte più professioni che richiedono diverse competenze.
Vedremo come si è evoluta la professione editoriale nel corso del tempo e tutte le figure professionali legate a questo mondo. Ad es.
in passato lo stampatore dava i fogli sciolti al libraio/cartolaio, che non lo rilegava subito: lo avrebbe rilegato nel momento in cui
fosse arrivato un acquirente interessato, accordandosi con lui sul tipo di rilegatura e di decorazione. Significa che inizialmente il
libro che si trovava dal libraio era un prodotto non finito: lo sarebbe diventato in seguito alle richieste precise dell’acquirente,
accordate col libraio in base alle sue possibilità economiche. Tutti questi sono momenti di frattura tra passato e presente; tuttavia
non esistono solo differenze ma anche continuità col passato, che vedremo nel corso delle lezioni. Ci concentreremo soprattutto
sullo scenario europeo tra la metà del 400 e la fine del 700: la storia della stampa ci mostra un’Europa che si muove con velocità e
specificità diverse in base al luogo preso in esame.
Momento fondamentale nella storia della stampa è la nascita delle università, che determina la presa di consapevolezza
dell’importanza di avere molte copie di un testo a disposizione ed è anche per questo che c’è la necessità di stampare velocemente
più copie.

SECONDA UNITÀ: TIPOLOGIE DI LIBRI, MERCATI, LETTORI, LA STORIA DELLA LETTURA E DELLA CENSURA
Vedremo le trasformazioni che avvengono nella storia della stampa e del libro, dovute a diversi fattori, primo tra tutti
l’alfabetizzazione che aumenta.
Ci concentreremo anche sulla storia della lettura, che è quella più difficile da studiare all’interno del circuito della comunicazione,
poiché condizionata da tanti elementi, ad es. nel 1542 nasce il processo dell’inquisizione: vedremo il passaggio dalla stampa libera
alla stampa trasformata dal mondo cattolico, che impone una forte censura ecclesiastica. Vedremo come la censura incide sui
professionisti del settore ed anche sui lettori.

TERZA UNITÀ: I MESTIERI DELLA CIRCOLAZIONE DEL LIBRO


Parleremo dei librai, che non sono tutti uguali, anzi quello delle librerie è un mondo vastissimo. Analizzeremo tutte le tipologie di
commercio del libro.

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Modulo A: Continuità e trasformazioni nella storia del libro tra manoscritto e libro a
stampa (XV e XVI secolo)
INTRODUZIONE
Perché è importante occuparci del passato? Dobbiamo prendere in considerazione la trasformazione del libro, che è stata ed è
graduale: oggi, anche se esistono i libri digitali, non sono del tutto scomparsi quelli cartacei. Se guardiamo al passato e a quello che
gli uomini di metà 400 hanno vissuto, per molti aspetti proviamo una situazione analoga: arriva la stampa ma per molto tempo
continuano a essere prodotti e venduti anche i libri manoscritti. Tuttavia, noi oggi viviamo una trasformazione molto più forte e
radicale, in quanto è completamente cambiato il supporto per i libri digitali. Cambia anche la modalità di fruizione del testo e
l’attenzione che i lettori dedicano alle varie sezioni dei libri; cambiano anche le professioni, perché chi lavora con i libri digitali deve
avere competenze nuove e diverse (questo in realtà accadde anche in passato). Quindi parliamo di passaggi tecnologici, sociali,
economici/commerciali, giuridici (oggi il diritto d’autore è quanto mai fluido, perché è più facile plagiare i libri altrui online: si
parla di pirateria editoriale, che in realtà oggi riguarda settori diversi, anche il cinema, la musica, ecc.). Significa che dobbiamo
avere uno sguardo di lunga durata, per capire che noi non siamo i primi a vivere una rivoluzione per quanto riguarda la
comunicazione scritta: prenderemo in considerazione le riflessioni di coloro che videro comparire la stampa, in particolare ciò che
colpì la maggioranza delle persone fu constatare la velocità di produzione dei libri stampati rispetto a quelli manoscritti; di contro,
altri non apprezzarono fin da subito questa trasformazione poiché erano troppo legati al lusso dei libri manoscritti. In seguito, però,
tutti iniziarono a capire l’importanza di questa nuova tecnologia, anch’essa in grado di produrre bellissimi libri di lusso. Si iniziò a
percepire la rilevanza di questa trasformazione anche in campo scientifico, perché favorì la comunicazione tra scienziati a distanza,
in grado di consultare lo stesso libro grazie alle copie stampate: la scienza riesce a progredire anche per questo motivo.

Inizialmente i libri a stampa erano imitazioni dei libri manoscritti, in quanto i lettori sarebbero stati ancora i fedeli dei manoscritti:
se i libri a stampa fossero stati troppo diversi sarebbero rimasti invenduti. Capiamo che la lettura è un elemento che ha a che fare
con l’abitudine consolidata: bisogna aspettare il passaggio di una generazione affinché i libri manoscritti vengano abbandonati.
Questo vale anche oggi per quanto riguarda i libri digitali.

Ci sono due atteggiamenti diversi per quanto riguarda lo studio della stampa:
 Chi ha guardato sul lungo periodo e ha visto nella stampa una rivoluzione per il mondo della comunicazione e della cultura.
I due più importanti sostenitori di questa idea sono stati Marshall McLuhan, che nel ’62 scrisse il libro The Gutenberg
galaxy, ed Elizabeth Eisenstein, che nel ’79 scrisse The printing press as an agent of change (in italiano La rivoluzione
inavvertita  l’autrice dice che gli studiosi non han dato abbastanza importanza ai cambiamenti portati dalla stampa, si
tratta quindi di un’accusa nei confronti degli studiosi che non hanno tenuto conto della grande rivoluzione sociale e
scientifica causata dalla stampa).
 Chi ha guardato sul breve periodo, cioè si concentra sul passaggio dal libro manoscritto al libro a stampa, sottolineandone
le continuità: sono importanti soprattutto i paleografi, tra gli italiani in particolare Armando Petrucci, padre della nuova
storia del libro che si fa in Italia. Egli, lavorando sulla storia della scrittura, ha studiato il modo in cui i tipografi del 400
imitavano le modalità del manoscritto: i suoi studi hanno riorientato lo sguardo degli studiosi sul breve periodo, in modo
che essi si concentrassero sulle continuità tra libro manoscritto e libro a stampa. Quindi, questi paleografi hanno portato
l’attenzione sullo studio della scrittura manoscritta, che è stata imitata dai tipografi per i nuovi caratteri.
Nel nostro corso terremo in considerazione entrambe le prospettive.

LEZIONE 2 (20-09-22)
LE CONTINUITÀ TRA LIBRO MANOSCRITTO E LIBRO A STAMPA
Per quanto riguarda le continuità tra manoscritto e libro a stampa possiamo considerare le “professioni della continuità”:
 Librai, cartolai
 Gli artisti che nelle librerie miniavano e decoravano i libri manoscritti, che successivamente rimasero a decorare anche i
libri a stampa.
Ci sono poi dei processi imitativi che fanno parlare di continuità tra manoscritto e stampa, cioè le stamperie dovevano fondere dei
caratteri che imitassero perfettamente quelli manoscritti, in modo da riuscire a vendere. Altro elemento fondamentale parlando di
imitazione sta nella tradizione libraria manoscritta, tema sottolineato dal paleografo Petrucci, che analizza le fondamentali
tipologie di manoscritti 400eschi e scopre che esse vengono perfettamente imitate dagli stampatori; ad es. i giuristi usavano codici
giuridici manoscritti di formato molto grande (in-folio), poiché doveva esserci lo spazio disponibile per la legge e per i commenti,
quindi gli stampatori producevano libri giuridici a stampa di quella stessa dimensione  altro processo di imitazione, perché un
libro giuridico a stampa più piccolo del solito non sarebbe stato preso sul serio dai giuristi. Ciò denota l’esistenza di una connessione
tra tipologia testuale e forma del libro, infatti i libri medici, giuridici, universitari, ecc. erano sempre in formato grande: questo va
avanti per molto tempo, quindi l’innovazione era molto lenta e rischiosa, perché si andava incontro a un insuccesso quasi certo.

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Nella tradizione italiana, i libri di cultura umanistica latina e greca erano in formato medio, quindi anche gli stampatori cercavano
di mantenere questo formato affinché i libri classici a stampa fossero apprezzati dagli umanisti; tuttavia, i primi stampatori che
arrivarono in Italia erano tedeschi, e in Germania la tradizione umanistica era tramandata su codici di formato grande: questi
tedeschi stamparono allora libri grandi che ebbero poco successo  capiamo che il passaggio da libro manoscritto a libro a stampa
pose molti problemi anche dovuti alla diversità delle tradizioni dei vari luoghi europei.

I primi libri a stampa, prodotti entro la fine del 400, vengono definiti dai bibliografi “incunaboli”, cioè “agli esordi”: si vogliono
distinguere da quelli successivi proprio perché imitano molto i manoscritti e sono diversi dai libri a stampa che conosciamo oggi.
Ad es. i libri che conosciamo oggi hanno all’inizio il frontespizio (o “carta d’identità” del libro, comparso per la prima volta a fine
400 – inizio 500, ad es. in Italia il primo fu nel 1499 a Venezia), inesistente invece nei primi libri stampati a fine 400, che iniziavano
direttamente col testo: gli studiosi dell’IGI (Indice Generale degli Incunaboli), per descrivere questi libri nelle schede, non avendo
le indicazioni disponibili per via della mancanza del frontespizio, ragionano allora sugli incipit (prime righe di testo), sul materiale
(carta o pergamena), sulla presenza o meno di illustrazioni/incisioni, sugli explicit (ultime righe), sui colophon (parte, non sempre
presente, in cui lo stampatore scrive le sue informazioni e l’anno di stampa). Quindi, le schede degli incunaboli sono diverse da
quelle degli altri libri a stampa.
L’incunabolistica è stata una vera e propria scienza a partire dal 700; si iniziarono a produrre gli annali, a partire dal tedesco
Panzer, che si realizzavano per ogni città, indicando quanti e quali libri erano stati stampati in un determinato anno in quel luogo.
Nello studio degli incunaboli, dall’800, è incluso anche lo studio chimico degli inchiostri, abbastanza complicato perché spesso le
formule per produrre l’inchiostro erano tenute segrete; dall’800, si inizia a studiare anche la composizione dei caratteri: sono studi
importanti perché grazie ad essi si può capire a quale bottega appartiene un dato libro, infatti inizialmente gli stampatori fondevano
i loro propri caratteri; man mano che la stampa si diffonde, però, gli stampatori non compivano più questa azione, ma nascono dei
centri specializzati in questa area “meccanica” di produzione dei caratteri. L’incunabolistica ha consentito di fare una “geografia”
del libro europea, per capire come fossero diffusi i primi libri a stampa nel continente: al primo posto risulta la Germania, seguita
dall’Italia.

L’arte tipografica nasce come un’arte molto segreta, cioè i tipografi non rivelavano le loro tecniche e competenze: non è un caso che
i primi manuali di tecnica della stampa vennero pubblicati solo nel 700.

Se lavoriamo sui cataloghi delle grandi biblioteche europee troviamo sia libri prodotti in quel determinato Paese e sia libri importati:
ad es. la British Library ha creato una sezione apposita per i libri italiani. Per questo sono stati creati anche dei cataloghi virtuali: in
Italia abbiamo il Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), diviso in Libri antichi e Libri moderni.

Quando compare il colophon, sui libri antichi spesso si trova l’indicazione dei nomi dello stampatore e dell’editore-libraio che ne
ha commissionato la stampa, finanziandolo: significa che c’è una figura che ha un ruolo editoriale e di scelta del libro, diversa dalla
figura dello stampatore. Nel caso degli stampatori più prestigiosi, essi erano al contempo anche editori-librai.

Altro elemento di continuità riguarda le biblioteche antiche e i bibliotecari che redigevano i cataloghi  ad es. il bibliotecario inglese
Thomas James redige il catalogo della Bodleian Library di Oxford a inizio 600, parlando di libri manoscritti e libri a stampa spesso
usando gli stessi termini, come liber, volumen, codex: questo perché nella sua mente non c’era distinzione tra manoscritto e
stampato, erano tutti libri uguali  questo ancora una volta indica la continuità tra manoscritto e libro stampato, che coesistevano
vicini nelle biblioteche.

Un elemento dei libri antichi ma che in realtà si è protratto fino a 900 inoltrato è l’elenco degli errori (errata corrige): in fondo al
libro spesso compariva un foglietto non rilegato scritto dallo stampatore per il lettore, in cui erano elencati gli errori di stampa, e si
invitavano i lettori a correggerli di mano propria.
Quando si usavano i caratteri mobili, era possibile trovare due copie differenti di una stessa edizione: in una copia si poteva trovare
un errore e in un’altra no, questo perché i caratteri potevano essere sostituiti in corso d’opera correggendo così l’errore (questa cosa
si chiama “variante di stato”). Quindi le copie di una stessa edizione non erano sempre tutte identiche.

Fichet, professore della Sorbona di Parigi, nel 1470 vorrebbe dare ai suoi studenti dei testi umanistici ma quelli manoscritti erano
ricchi di errori, quindi chiama all’università due tipografi: paradossalmente, in Francia la stampa nasce nel luogo europeo di
maggiore produzione manoscritta, appunto la Sorbona. Fichet sottolinea il potere di conservazione che la stampa porta con sé, in
quanto permette di avere potenzialmente copie infinite di uno stesso testo: associa la stampa alla memoria.

I lettori di fine 400 si rendono conto che i libri stampati hanno guadagnato in leggibilità; fino a quel momento, il concetto di
leggibilità era connesso al libro manoscritto. Anche qui troviamo continuità: ad es. Manuzio chiederà la protezione per i suoi
caratteri di greco, dicendo che sono talmente belli (cioè leggibili) da sembrare scritti a mano.

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LEZIONE 3 (21-09-22)
LA PRODUZIONE DEI LIBRI MANOSCRITTI IN EUROPA PRIMA DELLA STAMPA
I CENTRI DI COPIATURA (STAZIONARIATI)
Da quali tipologie di produzioni del libro manoscritto è stata preceduta la stampa? C’era già la volontà di produrre più copie di uno
stesso testo, e dove ciò avveniva? Le città più interessanti sono quelle in cui erano nate delle importanti università in Europa tra
XIII e XIV secolo, cioè Parigi, Bologna, Oxford, Cambridge, Napoli, Valencia, Salamanca, Montpellier, ecc. Accanto agli atenei,
erano nati centri di copiatura, controllati dalle università stesse e affidati a dei librai, denominati stazionari: essi avevano alle loro
dipendenze persone che copiavano i testi a seconda della domanda. Non erano solo i centri di copiatura a produrre manoscritti,
infatti c’erano anche cartolai laici indipendenti nei centri urbani, che lavoravano sempre sotto richiesta; questi ultimi avevano una
clientela selezionata e quindi solitamente si specializzavano nella produzione di manoscritti di determinate tipologie, mentre i centri
associati alle università erano più complessi e producevano libri di vario genere.

L’organizzazione degli stazionariati


Il professore universitario, all’inizio dell’anno, affidava al centro la sua copia originale, l’exempla, da lui firmata. La vendita del
manoscritto avveniva per fascicoli e ciò faceva sì che ci fosse un frazionamento del lavoro tra i vari copisti; inoltre, per produrre un
unico libro uno studente poteva rivolgersi a più copisti, uno per ogni fascicolo.
L’organizzazione degli stazionariati ci fa capire che già prima dell’invenzione della stampa c’era stato un primordiale processo di
standardizzazione della produzione, poi ovviamente reso più rapido dalla stampa.

L’ARRIVO DELLA CARTA IN EUROPA


La carta, originariamente, era stata importata dall’oriente grazie agli arabi, inizialmente in Spagna nel XII secolo. La carta si
diffonde poi con varie difficoltà. In quell’epoca, tutta la documentazione amministrativa non era tenuta sulla carta ma sulla
pergamena, ottenuta dalla pelle animale con un procedimento costoso; anche la carta richiedeva un procedimento costoso per essere
ottenuta, tramite la raccolta di stracci e poi la macerazione presso i mulini per la carta.
La carta non fu vista positivamente fin da subito, perché era considerato un materiale deperibile e poco resistente, non adatto a
ospitare testi che richiedessero una conservazione permanente: per molto tempo, nelle sedi governative per gli atti ufficiali si
continuò a usare la pergamena. A partire dall’inizio del 400, poi, la carta inizia a guadagnare terreno e a diffondersi in occidente,
ovviamente in modo lento e graduale, soprattutto per la mentalità delle persone che temevano la labilità di questo supporto 
importanza del tema della memoria, che attraversa moltissime riflessioni perché si teme che essa non venga conservata sulla carta:
abbiamo questa associazione tra memoria e scrittura.
Dunque gli stazionari gradualmente accettarono la carta, ma per molto tempo vari clienti continuarono a chiedere la pergamena,
quindi i due materiali convissero molto a lungo.

I CARTOLAI LAICI
Molti cartolai laici aprivano le loro botteghe in città, chiamando a lavoro dei grandi artisti che realizzavano le miniature e le
decorazioni. L’uso di scrivere a mano, miniandola, la prima lettera di un capitolo o paragrafo rimase in uso a lungo anche nei libri
a stampa: venivano stampati i libri lasciando uno spazio bianco affinché la prima lettera venisse miniata dai decoratori  se oggi
troviamo un libro stampato con questo spazio bianco, questa è la prova che esso rimase invenduto, perché nessuno ha mai
commissionato la miniatura della prima lettera dopo l’acquisto.
Normalmente le decorazioni erano svolte con inchiostri colorati, spesso anche lussuosi. Normalmente, nella parte bassa della
pagina, le grandi famiglie nobili facevano disegnare lo stemma della loro casata.
Molti cartolai, sapendo che le decorazioni erano molto apprezzate, si erano inventati un tariffario pensato in base al servizio
richiesto: ad es. il costo era differente se le lettere iniziali e i titoli erano solo rubricati oppure anche miniati  rubricare significa
scrivere semplicemente in rosso titoli e lettere inziali (lavoro fatto dal rubricatore).
Quindi, i libri manoscritti potevano essere di diverse tipologie, potevano essere prodotti poveri oppure di lusso.
Il commercio del codice di lusso era importante a livello europeo, diversi cartolai vi si specializzavano, in particolare ciò accadde a
Venezia. I più raffinati cartolai laici avranno poi un futuro anche nel libro a stampa: significa che l’avvento della stampa non spazza
via le figure professionali del libro manoscritto, perché spesso queste ultime si adattavano alla nuova realtà, rispecializzandosi. Dove
si producevano manoscritti di lusso, dopo l’arrivo della stampa, anche i nuovi stampatori dovevano adattarsi a questa tradizione e
produrre libri stampati di lusso.

I MONASTERI
Nei monasteri benedettini inizialmente i monaci pensavano a produrre libri per se stessi, mentre successivamente si resero conto
che essi avrebbero potuto contribuire significativamente alle entrate del monastero: accettano quindi di produrre libri per gli altri,
e ciò fa sì che i monasteri diventino centri di copiatura importanti e ben integrati con i luoghi che commissionavano loro le opere.

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L’AUTOPRODUZIONE
Nessun umanista avrebbe mai affidato certe opere da copiare ad uno scriba qualunque, quindi li autoproducevano, fidandosi
solamente di se stessi e degli altri colleghi. Tutto ciò non è collegato ad una logica di mercato, in quanto questi libri non dovevano
essere venduti ma studiati: era l’unico modo che gli umanisti avessero per assicurarsi una copia corretta di un testo importante, in
quanto non avrebbero sostenuto i costi presso copisti famosi e affidabili.
Gli studi sulle biblioteche private 300 e 400esche ci fanno capire che in molti ceti sociali aumenta il numero di libri presenti,
soprattutto nelle professioni mercantili, artigianali, liberali  capiamo come stesse maturando l’idea di avere un sistema produttivo
più rapido: ecco perché nel 400 diverse figure stavano cercando di ideare dei sistemi del genere.  Guardando ai secoli che
precedono Gutenberg, ci rendiamo conto che probabilmente molti stavano pensando al fatto che sarebbe stato opportuno un sistema
più rapido che consentisse di avere più copie di uno stesso testo nel minor tempo possibile. In alcune città, come Firenze, ricche di
mercanti con livelli di alfabetizzazione buoni, anche da parte delle professioni emerge il desiderio di poter accedere più facilmente
ai testi di quanto non fosse consentito dai manoscritti.  l’aumento dell’alfabetizzazione fa aumentare nella gente il desiderio di
avere i libri.
Delle nuove tecniche di produzione avrebbero richiesto delle nuove competenze, come la fondazione dei caratteri, quindi all’interno
delle nuove tipografie ci saranno competenze molto diverse rispetto al passato  la tecnica di produzione del libro stampato rompe
con la tradizione del manoscritto, il nuovo tipografo non ha la stessa formazione dello scriba, ecco perché era raro che uno scriba si
trasformasse in uno stampatore.

LA PROLIFERAZIONE DEGLI ERRORI NEI MANOSCRITTI


Soprattutto gli umanisti temevano moltissimo gli errori fatti dai copisti, ritenuti ignoranti e interessati solo al profitto e non alla
cura dei manoscritti  lamentela proveniente ad es. da Petrarca, che parla di corruzione del testo e che consiglia agli autori di non
fidarsi degli scribi e di farsi i propri manoscritti da sé. Le persone colte, quindi, ritenevano che i manoscritti provenienti dai copisti
fossero inaffidabili.

L’ELEMENTO PALEOGRAFICO
Quegli stessi umanisti che leggevano i libri provenienti dalle università, copiati dagli scribi, consideravano le loro scritture rozze e
illeggibili, inadatte a copiare i testi classici, soprattutto latini. Secondo gli umanisti, quindi, bisognava usare una scrittura più adatta,
che potesse discostarsi dalla rozzezza del carattere gotico dei copisti: questa sarà una scrittura di tipo arrotondato e in realtà di età
carolingia, nonostante gli umanisti del tempo pensassero che fosse di provenienza romana classica, non avendo gli strumenti
adeguati per datarla correttamente  gli umanisti chiamavano questa scrittura littera antiqua, mentre oggi sappiamo essere
scrittura carolina: i testi classici dovevano quindi essere ricopiati usando la littera antiqua. Gli umanisti credono inoltre che questa
scrittura sia più leggibile: la leggibilità è connessa con la comprensibilità, e si crede quindi che una scrittura leggibile sia l’unica in
grado di onorare i testi classici. I tipografi, successivamente, dovranno adeguarsi a questa usanza e continuare a scrivere i testi
classici con un carattere simile alla littera antiqua, che verrà chiamato carattere romano.
Prima di arrivare a Gutenberg, quindi, siamo di fronte a un mondo che usa due tipi di scrittura: la littera antiqua, usata per i classici
e per i libri scritti dagli umanisti, e il gotico, per le altre opere.

LE XILOGRAFIE
La xilografia è una tavoletta di legno su cui un esperto di intaglio del legno produceva delle illustrazioni; le xilografie erano usate
ad es. per i calendari, per i santini, per le carte da gioco, per testi brevi su fogli unici, ecc. Quando arriva l’invenzione di Gutenberg,
questa tecnica di incisione del legno venne usata per le illustrazioni. Inizialmente, si era pensato di produrre in legno anche i
caratteri ma l’idea venne scartata in favore del metallo. I libri a stampa ebbero successo anche grazie a queste illustrazioni create
con le xilografie.

L’ARRIVO DI GUTENBERG
Si è soliti dire che la stampa è stata inventata da Gutenberg, anche se si sanno poche cose su di lui: è nato a Magonza, forse figlio di
un orafo trasferitosi a Strasburgo. Ciò è deducibile da soli due documenti, cioè due atti processuali in cui egli è l’accusato; come si
fa allora a sapere le info sull’invenzione della stampa?  gli storici hanno preso questi due documenti e hanno cercato di collegarli
a quello che viene considerato il primo libro a stampa in assoluto, cioè la Bibbia a 42 linee o Bibbia Mazzarina: si è risaliti alla
tecnica di Gutenberg studiando i caratteri di questo libro  si tratterebbe dell’evoluzione del carattere D-K (donatus-kalender),
probabilmente il primo da lui prodotto. Come si può attribuire la Bibbia a 42 linee proprio a Gutenberg?  Nel secondo documento
processuale, si trova un’accusa nei confronti di Gutenberg da parte dei suoi soci, che si lamentavano del fatto che egli non avesse
insegnato loro “l’opera dei libri”, quindi si capisce che si parlava dell’arte della stampa.

I primi stampatori dovevano avere due caratteristiche fondamentali: conoscere i metalli e avere disponibilità a viaggiare per
l’Europa. Inizialmente, i più importanti nello scenario della stampa erano i tipografi tedeschi. Nei primi tempi, i tipografi stavano
lontani dalle città dove sorgevano importanti università, poiché temevano la concorrenza degli stazionariati, mentre erano attratti
soprattutto da 3 tipologie di città:
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 Quelle dove c’erano vescovati


 Quelle dove c’erano parlamenti e tribunali
 Quelle dove c’erano reti commerciali molto sviluppate, soprattutto Venezia, subito sostenitrice del libro a stampa (poiché
vi erano moltissime cartiere importanti), di cui diverrà capitale europea, e Lione. In generale, l’Italia è uno dei Paesi che
attrae maggiormente gli stampatori.
Le prime tipografie spesso nascono in società con le cartiere, in quanto la carta era il materiale più costoso per le stamperie e quindi
in questo modo si poteva avere la materia prima assicurata.

LEZIONE 4 (28-09-22)
CONFERENZA “LIBRERIE E LIBRAI. UN MONDO IN TRASFORMAZIONE”

“Storia dei librai e della libreria dall’antichità ai giorni nostri” di J. Mollier


Tematiche trattate nel volume: Mollier ci racconta il mestiere del libraio guardando sul lungo periodo, mestiere che ha subito grandi
trasformazioni. Si sofferma sui passaggi epocali vissuti dal libro in tutte le sue forme. Per tempo, la vendita del libro è stata connessa
alla sua produzione: nelle botteghe dei cartolai, prima dell’arrivo della stampa, erano gli stessi cartolai a produrre i libri attraverso
gli scribi alle loro dipendenze. Proprio questi cartolai-librai portarono al successo del libro a stampa, che ancora non disponeva di
una propria rete commerciale efficace. La storia dei librai narrata nel volume parte da lontano individuando sia elementi di
continuità, sia grandi differenze.
Si coglie, sia nella parte di Mollier che nel saggio di Marazzi, che nell’antico regime tipografico c’erano differenze grandi tra i librai,
che potevano essere importantissimi nella loro corporazione oppure essere piccoli commercianti ambulanti. A lungo, il mestiere di
libraio è stato associato a quello dello stampatore o dell’editore: l’autonomizzazione del ruolo dell’editore, in Italia, giunge solo nel
corso del ‘900.
L’800, per il commercio del libro, conosce grandi trasformazioni: Mollier parla di “terza rete delle librerie”, cioè, verso la metà
dell’800, alle grandi librerie e ai commercianti ambulanti si aggiungono i chioschi (o biblioteche di stazione)  in Francia, a fine
‘800, ci sono più di mille chioschi e ciò contribuisce all’incremento dell’offerta dei libri a prezzo più basso rispetto a quello delle
librerie. Lo scenario rimane simile fino alla metà del ‘900, quando nascono le principali catene di vendite di libri. Dal libro emerge
la grande importanza della diversificazione del commercio librario.

INTERVENTO DI LAURA LEPRI


Venezia, tra fine 400 e inizio 500: a ridosso dell’invenzione di Gutenberg, si vira verso la modernità, quando Venezia diventa
repentinamente una stamperia a cielo aperto e il cuore della città ospita alcune decine di librerie. A fine 400, a Venezia si stampava
ben oltre la metà di tutti i titoli italiani: la città pullulava di stampatori e librai, i cui ruoli, spesso, si sovrapponevano, non essendo
ancora nati i marchi editoriali. Manuzio, insieme al socio finanziatore Torresani e ai fratelli Giunti, aveva una propria libreria. Si
stava delineando la nascita del marchio editoriale e con esso la necessità di promuoverlo e imporlo.

Di fronte alla nascita della stampa ci furono spinte e controspinte, quindi reazioni positive e reazioni contrarie: in ogni caso, essa
allargò il mercato dei libri e portò alle stelle “la perfida e rabbiosa concorrentia”: storici della lingua e filologi segnalano che le
prime testimonianze del termine concorrenza risalgono all’ambito editoriale, probabilmente proprio nella speranza di avere delle
misure di protezione per il mercato librario veneziano.

Le prime operazioni di pubblicità e promozione dei libri avvenivano nelle fiere di paese (una delle prime e più importanti è quella
di Francoforte), occasioni in cui i librai fornivano i loro dipendenti di volantini riportanti i cataloghi editoriali delle librerie, da
distribuire tra le persone.

Le librerie avevano all’esterno delle bancarelle in cui si esponevano i fascicoli in vendita, che sarebbero stati rilegati nel momento
in cui un acquirente avesse espresso interesse.

Storia del libraio e stampatore Moretto: era attivo in città come uomo di cultura e mercante nel campo della carta, nonché
libraio. In quanto libraio, doveva scegliere il catalogo editoriale, e questo lo faceva in collaborazione con un correttore di bozze o
editor, Squarzafico. Moretto si spostò poi a Brescia e Milano, dove aprì delle attività di tipo più commerciale e meno culturale.

INTERVENTO DI ALBERTO CADIOLI


Asse temporale e spaziale: questioni specifiche riguardo alla prima metà del XIX secolo a Milano, capitale della cultura e dell’editoria
italiana. Riflettiamo soprattutto sulla relazione che si instaura tra librai, letterati e collezionisti.
A Milano, a inizio ‘800, era usuale per gli impiegati del Regno di Italia avere dei libri: si sviluppano le attività degli stampatori e dei
librai, che si rivolgono a lettori colti interessati a possedere soprattutto i libri classici.
Per molte librerie milanesi, le vendite non riguardavano solo libri appena pubblicati ma erano molto richieste anche le edizioni
antiche: Milano era la migliore città italiana per chi volesse conoscere delle pregiate collezioni di libri.
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Nelle librerie erano importanti i cataloghi di vendita e le bibliografie, che permettevano agli acquirenti di sapere cosa avrebbero
trovato in negozio. Le migliori bibliografie davano informazioni riguardo agli autori, ai prezzi, ecc.

In questi anni, inizia la distinzione tra il libraio, lo stampatore e l’editore: molti continuano ad essere librai-editori, ma si va sempre
più definendo un’identità specifica. Chi sceglieva di fare il libraio iniziò a riflettere sulla propria professione: nel 1833, due librai
della stessa libreria di Milano decidono di scrivere un catalogo, nel quale c’era una precisazione: “Tipografo è quello che attende
esclusivamente e materialmente alla stampa. Editore è quello che pubblica o che fa stampare […] un’opera di cui non è autore.
Libraio è quello che attende allo spaccio dei libri”. Questo catalogo di 100 pagine era intitolato Cenni elementari di bibliografia e
voleva spiegare ai librai novelli come svolgere la professione. La strada del libraio richiedeva competenze, capacità e cultura, oltre
ad abilità commerciali.

Uno di questi due librai, Carlo Branca, ripubblicherà anni dopo un testo simile, intitolato Brevi cenni bibliografici.
Nell’introduzione si tratta della storia della stampa e della tipografia; ci sono poi un capitolo dedicato all’origine della stampa e altri
dedicati all’arte tipografica compresa tra il XV e il XVII secolo. Importanti gli aspetti culturali forniti.
Il libraio doveva essere conscio del fatto che il libro fosse un oggetto materiale, e bisognava dare importanza anche alla sua estetica.
Il libraio non doveva solo trascrivere un catalogo di commercio, ma doveva riportare anche la materialità dell’edizione che presenta,
per non esser solo classificatore di libri ma loro pieno conoscitore, e per poter esser definito bibliografo.
In una sezione intitolata Avvenimenti e dialoghetti per il novello libraio, Branca afferma che un libraio deve essere onesto nella
trattazione, diligente, scrupoloso, gentile coi clienti, obbediente alle leggi, attivo studioso: queste le caratteristiche del libraio ideale.
L’esempio del catalogo di Branca mostra il ruolo di mediatore del libraio, attribuitogli anche da Mollier: il libraio è al centro del
sistema. È un ruolo che deve nascere dalla consapevolezza dell’esistenza di un sistema integrato, nel quale si trova chi scrive,
pubblica, vende, acquista libri. Il libraio offre ciò che è necessario per conoscere il tempo presente e quello passato.

INTERVENTO DI IRENE PIAZZONI


A inizio 900, nonostante l’alto analfabetismo, è affermata anche in Italia una concezione industriale dell’editoria. La libreria è
diventata luogo per eccellenza della distribuzione libraria e la sua vetrina è una cartina al tornasole della salute dell’editoria del
Paese. Serra, alla vigilia della 1GM, scrive che la produzione letteraria è una parte notevole della vita nazionale, basta sostare di
fronte alla vetrina di un librario: Serra dice che prima erano pochissimi i nomi che comparivano in vetrina, di fianco a piccoli libretti,
libri scolastici e libri francesi, mentre nel momento in cui scrive c’è una grande varietà di prodotti. La vetrina era indizio del
commercio dei libri, era palcoscenico dei libri, intesi nella loro materialità (pov dei formati, dei colori, degli spessori, ecc.)  la
vetrina come indice del rapporto tra la vita dei libri e la vita pubblica. Le vetrine potevano parlare anche delle trasformazioni
culturali e politiche del Paese.

Il libro di Mollier porta grande attenzione sulle mappe del circuito librario. Nel ‘900, la distribuzione del libro in Italia non era
omogenea: in alcune province era difficile trovare librerie, specialmente al Sud Italia. I libri seguivano le strade degli ambulanti e
delle bancarelle, ma essi vendevano perlopiù libri di bassa cultura ed erano lo specchio della città, quindi non vi finiva di certo il
libro contemporaneo. Gli editori che vogliono vendere non puntavano perciò alle bancarelle.

La distribuzione rarefatta delle librerie in Italia è un ostacolo anche alla diffusione della lettura: ancora leggeva solo un pubblico
aristocratico. Nel 1939, Petroni scrive un articolo su Panorama in cui descrive i diversi tipi di clienti: il cliente occasionale, quello
abituale, le belle signore, quelli che cercano rarità, quelli che vanno a colpo sicuro, bibliografi, critici e scrittori  siamo ancora di
fronte a un pubblico colto o borghese.

Mondadori e Rizzoli, per sfondare, punteranno all’edicola, dove portano prodotti moderni e a basso prezzo, come i rotocalchi,
raggiungendo anche fasce più basse della popolazione: tra gli anni 30 e 60 sono le edicole e le cartolibrerie a portare alla
democratizzazione della lettura. L’edicola diventa la libreria di tutti. Così le librerie tradizionali sono spinte ad aggiornarsi e, negli
anni ’60, si perde la loro sacralizzazione: le librerie che diventano sempre più accessibili a tutti.

Qual è il nesso tra libreria e libertà? Mollier dedica molte pagine alle vetrine infernali: i libri proibiti/clandestini (per ragioni
politiche e non) circolavano grazie alle librerie, che, durante il fascismo, li vendevano di nascosto, diventando potenti centri
antifascisti.
E qual è il nesso tra libreria ed emancipazione? È sempre più crescente la femminilizzazione del mestiere del libraio. A Milano, nel
1975, nasce la Libreria delle donne, luogo di circolazione di libri delle donne, luogo di condivisione, incontro e cultura. Il libro
stesso sarà luogo di espressione della pratica politica delle donne.

INTERVENTO DI ELISA MARAZZI


La funzione sociale del libraio: i librai hanno smentito e stanno smentendo le previsioni catastrofiche sulla fine del libro a stampa.
La pandemia e il commercio online hanno messo a dura prova i librai, ma essi come persone e le librerie come luoghi hanno
caratteristiche che consentiranno un futuro a questa realtà. Non si tratta solo della materialità del libro, ma anche dello spazio della
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libreria, che è un’occasione di dialogo, sia tra intellettuali sia con il libraio stesso. Il confronto in presenza tra cliente e libraio è
qualcosa che è sempre avvenuto e che continuerà ad avvenire.

LEZIONE 5 (29-09-22)
JOHANN GUTENBERG (1394/1400 CIRCA – 1468)
Gutenberg nasce e cresce a Magonza (Germania) intorno alla fine del 300 e l’inizio del 400; veniva da una famiglia prestigiosa a
Magonza, infatti il padre era importante tra gli orafi della città: probabilmente, proprio per questo Johann conosceva bene il mondo
dei metalli e si pensa che abbia fatto l’apprendistato di orafo presto la bottega del padre. Quest’ultimo era importante anche nelle
istituzioni amministrative della città, infatti si sa che ebbe una carica politica, a causa della quale si fece dei nemici: quindi la famiglia
fu costretta a lasciare Magonza e si trasferì a Strasburgo, luogo importante per Gutenberg.
Negli anni in cui egli iniziò a pensare ad un’invenzione che producesse rapidamente i libri, sappiamo che non era il solo avente
questo intento, infatti in Europa diverse persone, le quali non si conoscevano tra di loro, avvertivano questa esigenza: possiamo
affermarlo ad es. grazie ad un documento che ci parla di un uomo di Praga, Waldfogel, che negli anni ’40 avrebbe voluto fondere il
metallo in piccoli pezzi destinati alla produzione dei libri, anche se non si sa se poi egli abbia effettivamente realizzato questi suoi
progetti.
Abbiamo poi dei documenti risalenti agli anni post-invenzione, riportanti come delle “leggende” nate intorno a Gutenberg e alla sua
creazione: ad es. conosciamo una storia di origine olandese, in cui si dice che l’inventore della stampa sarebbe in realtà l’olandese
Coster, il quale aveva alle sue dipendenze un delinquente che fuggì in Germania (chiaro riferimento a Gutenberg) dopo avergli
rubato l’invenzione.  c’era tutta una serie di rivendicazioni per appropriarsi di questa invenzione.
Tutto ciò dimostra che negli anni ’40 del 400, in più parti d’Europa, si stava lavorando nella stessa direzione, verso un’invenzione
che partiva sempre dalla lavorazione dei metalli.

GLI ATTI PROCESSUALI RIGUARDANTI GUTENBERG


Il primo documento
Riguardo a Gutenberg abbiamo solamente 2 atti processuali che fotografano la sua esistenza in due città diverse, Strasburgo e
Magonza, città natale in cui tornò prima della morte.
A Strasburgo, Gutenberg costruì una società: lo sappiamo grazie al primo documento processuale, che tuttavia è molto difficile da
utilizzare da parte degli storici  gli atti processuali, infatti, comprendono i motivi per cui tali persone si trovano lì, la sintesi di ciò
che tali persone hanno detto (anche se spesso non sono veritiere in quanto gli stenografi potrebbero cambiare le parole
effettivamente dette secondo la loro interpretazione), ecc. quindi non sono documenti facili da analizzare. In questo atto troviamo
un processo avvenuto a Strasburgo nel 1439, che coinvolge i tre fratelli Dritzehn, aventi una società insieme a Gutenberg: furono
proprio loro a denunciarlo per dei problemi societari. Questa società sarebbe nata nel 1436, quindi il documento ci dice che in tale
data Gutenberg si trovava a Strasburgo; l’atto ci dice inoltre che, nel corso del tempo, si erano aggiunti alla società anche due
produttori di panni di lana  questo ci dice che persone di Strasburgo professioniste in tutt’altro ambito credono in questa
invenzione e nel genio di Gutenberg, pensando di trovare grandi ricchezze in questo nuovo campo. Nell’atto societario, Gutenberg
avrebbe promesso ai soci, in cambio di denaro, di insegnare loro alcune tecniche segrete, le quali apparentemente non hanno a che
fare con l’invenzione della stampa: la levigazione delle pietre, la produzione degli specchi e una cosiddetta “arte nuova”, che
prevedeva l’uso di un torchio, di forme di piombo e di “pezzi e altri strumenti relativi all’azione di pressare”. Tutte queste indicazioni
creano un’aura di mistero intorno a Gutenberg e alla sua invenzione.
Il primo libro stampato a Strasburgo è del 1460, quindi possiamo affermare che Gutenberg non abbia inventato la stampa a
Strasburgo: qui avrebbe iniziato soltanto a pensare alla tecnica e a ideare la produzione dei caratteri, quindi sarebbe per questo che
i suoi soci lo denunciarono, perché in effetti Gutenberg non insegnò loro l’arte nuova.

Il secondo documento e la Bibbia a 42 linee


Il secondo documento, altro atto processuale, si riferisce a Magonza ed è del 1454, dove Gutenberg costruì un’ulteriore società nel
1448. Egli venne denunciato dai suoi soci, il banchiere e finanziatore Fust e il produttore di libri manoscritti Schöffer, il quale mise
a disposizione la sua preesistente sede di produzione. Fust e Schöffer affermano che Gutenberg avrebbe dovuto realizzare
“un’attrezzatura particolare” e “fare l’opera dei libri”.
Si sa che dalla collaborazione di questi soci emerse uno dei primi libri a stampa, cioè la Bibbia a 42 linee, scritta in un carattere
diverso dal primo inventato da Gutenberg, cioè il carattere D-K, che era stato invece usato per stampare il Donatus e il Kalender.
La Bibbia a 42 linee è il primo libro a stampa intero, sprovvisto di colophon, per cui non abbiamo prove inconfutabili del suo anno
di stampa; tuttavia, esiste una lettera dell’umanista Piccolomini, che tra il 1454 e il ’55 si trovava a Francoforte, città importante
per il commercio del libro manoscritto: la lettera, del marzo ’55, ci dice che Piccolomini era rimasto in questi due anni a Francoforte,
dove vide una Bibbia in vendita, sottoforma di fascicoli non rilegati. L’autore scrive ad un cardinale spagnolo, suo amico, che gli
aveva chiesto di cercare dei bei manoscritti di Bibbie a Francoforte: Piccolomini dice al destinatario di aver trovato dei fascicoli
composti in una scrittura molto ben leggibile, che sarebbe stata decifrabile senza fatica  capiamo che Piccolomini non si accorge

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del fatto che fosse un libro stampato e questo ci dice come Gutenberg abbia imitato fin nei minimi dettagli la scrittura gotica
manoscritta.
Questa Bibbia era costituita da 2 volumi in formato in-folio (non si tratta del primissimo libro a stampa, in quanto troppo imponente
e ben fatto, quindi è sicuramente stato realizzato dopo altri tentativi ed esperimenti); inizialmente, Gutenberg avrebbe voluto
realizzarla con i colori rosso e nero, come si faceva nei manoscritti, ma non riesce in questo intento per via dell’inesperienza ancora
presente nel campo. Dalla rilegatura e dalle decorazioni capiamo che il libro venne venduto.
Probabilmente, Gutenberg fu denunciato dai soci poiché essi avevano investito molte risorse e molto denaro in quanto pensavano
che sarebbero stati prodotti molti più libri, invece lo denunciarono poiché non adempì ai doveri di socio.
Ci sono diverse ipotesi sul numero di copie prodotte dalla società della Bibbia a 42 linee, tra le quali la più probabile si attesta
intorno alle 200, enorme numero per l’epoca.
Altra incertezza dovuta all’inesperienza nella produzione della Bibbia, oltre ai colori rosso e nero, sta nel numero di linee che
Gutenberg avrebbe voluto inserire in ogni pagina: inizialmente, avrebbe voluto inserirne 40, per avere un’interlinea maggiore e
quindi una migliore leggibilità. Tuttavia, in questo modo sarebbero serviti più fogli, che avrebbero comportato un alto costo, e
quindi Gutenberg andò a inserire 41 o 42 linee per ogni pagina.  capiamo come ancora non ci fosse sicurezza ed esperienza
nell’impaginazione.
L’atto precisa inoltre che i due soci chiedevano a Gutenberg di chiudere la società e di restituire loro non solo il capitale non ancora
speso, ma anche quello già speso (con gli interessi). Dopo la chiusura della società, Schöffer continuerà a lavorare insieme a Fust,
producendo libri a stampa con il carattere della Bibbia a 42 linee; Gutenberg, invece, continuò poi a lavorare coi suoi allievi,
formatisi precedentemente nella società, stampando invece nel carattere D-K  quindi, con l’atto processuale, i soci si divisero in
questo modo i due tipi di carattere: lo sappiamo perché esistono diversi documenti, risalenti ad anni posteriori la chiusura della
società, prodotti da Gutenberg e scritti con carattere D-K (ad es. la Bibbia a 36 linee o Bibbia di Bamberga). Gutenberg continuò
quindi l’attività anche in seguito, seppure in realtà non firmò mai nessun libro: l’unico legame col suo nome sta nella presenza del
carattere D-K ritrovato in questi documenti, quindi la storia di Gutenberg è sostanzialmente costruita su delle supposizioni. Inoltre,
tre anni prima della sua morte, Gutenberg venne ospitato dall’arcivescovo di Magonza, quindi capiamo come abbia continuato la
sua attività e come essa fosse ben vista da una tale personalità benemerita.

IL LAVORO IN STAMPERIA
IL TORCHIO TIPOGRAFICO E LE FIGURE PROFESSIONALI
Nella stamperia troviamo:
 Torcoliere: aveva delle competenze pratiche e tecniche e non doveva essere per forza un intellettuale, avviava il torchio e
aveva compiti tecnici
 Compositore: figura intellettuale che doveva comporre sapientemente i testi, quindi spesso doveva sapere il latino.
Nella stamperia si dovevano avere uomini diversi con varie competenze, infatti la produzione di un libro a stampa è sempre il frutto
di un lavoro collettivo. Si dice che i primi scioperi nella storia del lavoro in Europa avvennero a Lione proprio nelle tipografie, in
quanto esse raccoglievano i lavoratori più colti e quindi più consapevoli: gli scioperi avvenivano perché questi operai lavoravano
fino a 14h al giorno in condizioni faticose.
La tecnica di produzione dei libri stampati rimarrà poi nel tempo molto simile, ma verranno perfezionati gli strumenti, primo fra
tutti il torchio.  se parliamo di antico regime tipografico indichiamo il periodo compreso tra il momento in cui Gutenberg inventò
il primo torchio e il momento in cui esso verrà modernizzato, intorno ai primi decenni del 1800.

LA FUSIONE DEI METALLI PER I CARATTERI


Per produrre i caratteri serviva una lega di metalli, composta da piombo + stagno + antimonio. Dopo l’affermazione della stampa,
la fusione dei metalli per produrre i caratteri non venne più fatta dai tipografi stessi ma da figure professionali apposite.

LEZIONE 6 (03-10-22)
IL MONDO DELLE STAMPERIE
In generale, come già detto, la stampa crea nuovi mestieri, tra cui i più importanti sono torcoliere e compositore. La tecnica inventata
da Gutenberg resisterà con poche variazioni tecnologiche fino ai primi decenni dell’800. Ad oggi servono sicuramente delle
competenze nuove rispetto al passato.
Nelle tipografie, i ruoli sono gerarchizzati e fissi, vanno rispettati sempre per ottenere buoni risultati. Il compositore doveva essere
rapido per non rallentare il lavoro del torcoliere e dello stampatore. Il torcoliere, a sua volta, doveva inchiostrare sapientemente la
forma, per non lasciare macchie di inchiostro sui fogli. Nei primi esperimenti di stampa, l’inchiostro era molto liquido e quindi
asciugava in modo lento e lasciava delle macchie: i bravi stampatori saranno in grado di produrre inchiostri più solidi. Anche la
preparazione degli inchiostri aveva delle formule segrete: quando un dipendente veniva assunto, gli si faceva giurare di non rivelare
mai questi segreti al di fuori della tipografia. Solo nel ‘700 si diffonderanno i manuali di tipografia.

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Il fatto che i compositori lavorassero molto velocemente comportava spesso un alto numero di errori nelle copie. C’era quindi l’idea
che la stampa fosse positiva per il numero alto di copie prodotte per uno stesso testo, ma che fosse negativa perché uno stesso errore
veniva riprodotto in centinaia di copie, essendo un processo meccanico.
Come detto, le tipografie sono i luoghi di lavoro che ospitarono i primi scioperi: gli operai si ribellavano al proto, cioè il direttore
della stamperia.
La produzione di un libro a stampa è il frutto di un lavoro collettivo e complesso: il risultato dipende da molte persone diverse;
Chartier dice che la trasformazione di un testo in libro è un processo collettivo e mai solitario, che spesso coinvolge anche l’autore
stesso.

I caratteri tipografici & gli strumenti dei lavoratori


Lo studio dei caratteri tipografici è una vera e propria disciplina, di ambito più tecnico rispetto alla storia della stampa in generale.
Per produrre un carattere metallico, si usava un punzone con la lettera incisa e lo si premeva su una matrice in rame per imprimere
tale lettera; da qui si otteneva il carattere che veniva poi costruito con la forma in legno. I primi tipografi, quando ancora fondevano
i caratteri, tenevano i punzoni per poter rifare il procedimento quando i caratteri si usuravano. I caratteri venivano conservati nelle
casse tipografiche.
Il compositore usava lo strumento detto compositoio per comporre lettera per lettera le parole da stampare. Altro strumento è il
vantaggio, forma di legno su cui poi venivano inserite le varie righe di testo composte. I caratteri venivano tenuti insieme alla base
con lo spago o il fil di ferro sottile in modo che non scivolassero. Altro strumento era la pinza tipografica, usata soprattutto con i
caratteri molto piccoli da comporre. L’inchiostro veniva steso sulla forma di stampa con un rullo.
I libri a stampa che uscivano coi bordi bianchi per poter essere decorati una volta acquistati iniziarono a essere troppi per poter
essere gestiti dai cartolai: si iniziarono allora a usare delle forme di legno per imprimere le decorazioni sui libri, anche se poi
dovevano essere colorate manualmente  le decorazioni iniziano a non essere più 100% manuali (si parla di decorazioni
xilografiche).

LA DIFFUSIONE DELLA STAMPA IN EUROPA


GLI ESORDI
Inizialmente, esisteva solo il gruppo Gutenberg-Fust-Schöffer: come detto, dopo lo scioglimento dell’attività, i tre soci si
suddividono le risorse della società  Gutenberg si porta via il carattere D-K e i suoi ex soci si portano via il carattere usato per la
Bibbia a 42 linee.
Ci sono degli studi sul modo in cui i lavoratori del mondo del libro manoscritto trasformarono la loro attività per adattarsi alla
comparsa della stampa. Furono pochi gli scribi che diventarono stampatori, o comunque stampatori molto importanti: tra questi
ricordiamo Schöffer, Verard e Mansion. Alcuni fecero la scelta di mettersi in attività con cartolai.
La prima difficoltà di coloro che producevano manoscritti di lusso sta nella loro idea del libro visto come oggetto unico e pregiato:
essi pensavano che la stampa non fosse adeguata a produrre pezzi unici di lusso. Il procedimento di stampa era quindi visto come
troppo standardizzato e meccanico per poter produrre esemplari unici ed “opere d’arte”. Dietro questi ragionamenti stavano
soprattutto i grandi e ricchi signori, i principi, che erano interessati a possedere dei libri che fossero esemplari unici e molto belli
esteticamente.  Questo ci dice perché gli scriptoria continuarono a esistere per molti anni dopo l’invenzione della stampa: ciò,
tuttavia, non blocca la nuova attività tipografica, che si diffonderà in tutta Europa partendo dalla Germania. Per i primi tipografi si
parla di cultura dell’itineranza, perché dovevano essere disponibili a viaggiare molto per andare ad esercitare il mestiere in vari
luoghi.
Di fronte a tutte queste difficoltà, molti tipografi fallirono, soprattutto per 2 motivi:
 Si stanziavano in città già ricche di tipografi = troppa concorrenza
 Arrivando da altre città e culture, non producevano libri che incontrassero il favore dei lettori di quel determinato luogo e
quindi i loro prodotti rimanevano invenduti.
I primi Paesi dove arrivarono i tipografi dopo la Germania sono stati la Francia e l’Italia. La prima tipografia francese venne aperta
alla Sorbona, dove sorgeva un grande stazionariato, su richiesta di un docente non soddisfatto del lavoro degli scribi del luogo: in
particolare, egli voleva dei libri di materie umanistiche in latino che non venivano prodotti dallo stazionariato, più concentrato sulle
materie scientifiche. Il docente fece quindi arrivare un tipografo tedesco e gli affidò la produzione di questi libri umanistici. Nel
1469, sarà sempre un tedesco a giungere a Venezia e ad aprire una delle prime tipografie italiane; la prima in assoluto fu a Subiaco,
aperta da due tipografi sempre tedeschi.  Negli studi bibliografici degli ultimi 50 anni si è individuata la Germania come Paese
principe della produzione a stampa, seguita immediatamente dall’Italia e dalla Francia; gli altri Paesi saranno più in ritardo rispetto
a queste ultime: nelle Province unite si stampava di meno e in Spagna, Portogallo e UK si stampava pochissimo. Questi studi sono
stati possibili perché ogni Paese europeo ha realizzato degli indici degli incunaboli  in Italia si parla di IGI (Indice Generale
Incunaboli).

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Storia della Stampa e dell’Editoria (2022/23) | Rosa Ginevra

IL CINQUECENTO
Nel ‘500, alcuni Paesi, come la Francia, che aveva avuto un buon posizionamento nel ‘400, crescono ancora di più. La Germania
tornerà ad essere al primo posto, dopo essere stata superata dall’Italia; quest’ultima verrà superata anche dalla Francia. Nel corso
del ‘500 ci saranno quindi grandi trasformazioni.
Capiamo quindi che la stampa non è diffusa in modo omogeneo in tutta Europa, per via di vari fattori:
 La richiesta o meno, da parte delle istituzioni locali, ecclesiastiche e civili, della presenza di stampatori  nelle città in cui
le istituzioni mantengono più a lungo il rapporto con i manoscritti, la stampa si diffonderà in modo più lento
 I rapporti economici delle varie città, i traffici commerciali
 L’importanza di medici, giuristi, scienziati ecc. che avevano la necessità di avere più copie in modo breve.
In ogni caso, la stampa viene accolta come uno strumento per avere più libri e in modo più rapido, ma che sicuramente non permette
di avere libri belli come quelli manoscritti.

I TRE MODELLI DI DIFFUSIONE DELLA STAMPA IN EUROPA


Questa geografia del libro a stampa, nella sua varietà di realizzazione in Europa, è stata studiata e modellizzata dallo studioso belga
Gilmont: egli fece una sorta di mappa della tipologie di distribuzione della stampa in Europa, individuandone 3 modelli:
1. Nel primo modello la stampa è diffusa omogeneamente su tutto il territorio, anche in centri dalla minor importanza
strategica. Questo avviene in Germania, perché è il luogo di nascita della stampa, e quindi i tipografi tedeschi si diffusero
inizialmente sul loro territorio. I centri più importanti erano Magonza, Colonia, Basilea, Francoforte, Strasburgo,
Wittenberg, Augusta, Norimberga, ecc.  qui, nessuna città supera l’11% della produzione totale, quindi la stampa è molto
ben distribuita.
2. Nel secondo modello la stampa è diffusa in numerose città, ma sono presenti uno o due centri in cui ci sono più tipografie
che negli altri luoghi. Questo avviene in Italia, dove sono tanti i centri in cui si afferma la stampa, come Subiaco, Venezia,
Roma, Milano, Firenze, ecc. ma la maggior parte dell’attività si concentra sicuramente a Venezia, capitale dell’editoria
italiana fino alla fine del ‘700. Questo perché la città aveva già buone reti commerciali e inoltre molti patrizi veneziani,
proprietari di cartiere, videro nel libro a stampa un’occasione florida per le loro attività. Anche i Paesi Bassi rientrano in
questo modello: la città più importante era Anversa, che non casualmente aveva un grande porto che consentiva buone reti
commerciali.
3. Nel terzo modello la stampa è concentrata in una o massimo due città, questo avviene ad es. in Francia e UK. In Francia,
nel ‘400 e ‘500, sono importanti Parigi e Lione; in UK troviamo l’es. della massima concentrazione europea: più del 90%
dei libri a stampa inglesi sono realizzati a Londra.
LEZIONE 7 (04-10-22)
Nell’Europa orientale la stampa arriva molto lentamente, nonostante siano presenti centri interessanti e sedi di università. Questo
accade perché, nella maggior parte dei casi, erano moltissimi coloro che richiedevano la presenza di stampatori in Occidente, sia tra
gli ecclesiastici e sia nell’amministrazione statale. Nell’est Europa, la stampa fa più fatica ad emergere, soprattutto nella zona dell’ex
Jugoslavia e il motivo è il potere di Venezia: queste città affacciate sull’Adriatico facevano prima ad acquistare da Venezia piuttosto
che ad aprire delle stamperie proprie.

IL SISTEMA DI VALORI DEGLI STAMPATORI


Quali sono i motivi che spingono i giovani stampatori seguaci di Gutenberg a lasciare la Germania e ad intraprendere lunghi viaggi?
Gli stampatori che ebbero maggiore fortuna furono quelli che scelsero sapientemente il centro di stanziamento, in particolare dove
sorgevano Parlamenti, porti, università, vescovati, centri commerciali, ecc.
Come si arriva ad una storia del libro che tiene conto dei mestieri e non solo dei prodotti a stampa? Il primo libro in assoluto che si
è occupato del mestiere risale al 1958 ed è dei francesi Febvre e Martin, La nascita del libro: esso è innovativo perché per la prima
volta parla della nascita del libro dal pov europeo; inoltre, mentre gli studi precedenti erano molto eruditi e riguardavano le edizioni
di lusso, questo libro tiene invece conto di un’ottica generale, quindi si occupa anche dei libri popolari. I libri non sono visti solo
come veicoli di idee, ma come vere e proprie merci: c’è per la prima volta un’ottica di storia sociale, in cui vengono ricostruiti prima
i mestieri e poi gli aspetti commerciali. Si vede che ci sono delle dinamiche europee interessanti, cioè i libri facevano certi percorsi
grazie ai rapporti tra i diversi Paesi. L’attenzione è su tre aspetti: quello sociale, quello culturale e quello economico. Tutto ciò
cambia il modo in cui viene studiata la storia del libro, la quale, nella sua accezione moderna, deve moltissimo al libro francese
sopracitato.
Capiamo che il successo dei tipografi dipende non solo dalla loro predisposizione e intraprendenza, ma anche dal terreno sociale su
cui costruiscono la loro attività.
Per l’Italia, contano molto le attenzioni del clero riservate alla stampa: il primo nucleo di stampa, come detto, sorge a Subiaco in un
monastero benedettino, con l’arrivo di due tipografi tedeschi.
Non sempre gli ecclesiastici e i mecenati laici possono garantire stabilità ad una stamperia: questo porta a tutta una serie di
dinamiche sul breve periodo nella stampa, poiché spesso i tipografi, dopo aver stampato poche copie, si trasferivano.

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Storia della Stampa e dell’Editoria (2022/23) | Rosa Ginevra

L’Italia era uno dei luoghi di maggior attrazione per i tipografi tedeschi. Ad es. Numeister, a Foligno, si mise in società con un orafo,
che gli garantiva i caratteri. Qui, egli si mise a stampare classici latini, pensando agli interessi dei lettori colti del luogo, anche sotto
indicazione del socio orafo: si parla ad es. dei classici di Cicerone e della Divina Commedia, la cui prima edizione esce nel 1472
proprio a Foligno. Dopo aver ottenuto un buon successo a Foligno, Numeister tornerà in Germania, ma si renderà conto che ormai
lì non c’era più posto per lui: spaventato da questo, ripartì per Basilea, per Lione e per Tolosa; per gli ultimi anni della sua vita si
stabilì a Lione, dopo aver accumulato diversi debiti e fallimenti.
Ratdolt sarà invece uno stampatore tedesco fortunato; aprì una sua tipografia ad Augusta ma si rese conto che questo era un centro
troppo piccolo ed andò quindi in Italia, a Venezia, dove ebbe grande successo. Negli ultimi suoi anni, tornò ad Augusta su richiesta
di un vescovo, che gli commissionò di stampare vari libri ecclesiastici. Nella sua produzione veneziana stampò libri originali per il
tempo, in particolare di materie matematiche e astronomiche. Questa fu una scelta azzeccata, di fronte a uno scenario in cui quasi
tutti i tipografi che lavoravano in Italia stampavano libri umanistici, i grandi classici latini: proprio per questo, molti andarono in
fallimento, perché non riuscivano a vendere i troppi libri prodotti. Questa crisi fa comprendere ai tipografi che, per differenziarsi,
dovevano proporre libri originali, ad es. in lingua volgare, per riuscire a vendere anche ai meno eruditi che non sapevano il latino.
Fino a fine ‘400, l’80% dei libri prodotti in Europa erano in lingua latina, poi si inizierà a differenziare di più la produzione.

LE CITTÀ SEDI DI UNIVERSITÀ


Sarebbe spontaneo pensare che i centri in cui sorgevano università pullulassero di tipografie, mentre in realtà non è così, almeno
fino al 1475: questo perché in tali città c’erano importanti stazionariati, con scribi che producevano i libri universitari. I tipografi
temevano quindi la loro spietata concorrenza e si tenevano alla larga da questi centri. Sono stati studiati ad es. i dati di Colonia,
sede di un’università specializzata in teologia e diritto: uno stampatore andò in questa città e cercò di mettersi in concorrenza con
lo stazionariato locale, stampando i suoi stessi libri. Accanto a questi ultimi, egli stampava anche libri ecclesiastici che potessero
essere letti anche da coloro che non erano professori universitari, nonché classici latini e opere umanistiche, ad es. di Petrarca e di
Piccolomini: in questo modo ottenne molto successo. Cosa simile abbiamo detto essere accaduta alla Sorbona di Parigi.
Ancora una volta serve considerare due logiche, una di insieme che studia l’Europa in generale e una più specifica che studia dei
casi particolari: la storia del libro è molto frammentata, quindi ciò che accade in una data città potrebbe essere molto diverso da ciò
che accade nelle città limitrofe. Abbiamo tutta una serie di dinamiche complesse.
Dopo l’affermazione dei libri in latino, molti tipografi sperimentarono la produzione di libri in volgare, oppure ancora in latino ma
più semplici e con illustrazioni (ad es. La nave dei folli, che presenta il testo in latino e anche in tedesco, accanto a delle illustrazioni
realizzate con le xilografie). Ad Augusta, lo stampatore Zeiner fa uscire una Bibbia in volgare con illustrazioni xilografiche, realizzate
da degli intagliatori di legno specializzati nella produzione di carte da gioco.
Ci sono poi città in cui si affermano grandi figure di stampatori: in Germania vediamo l’importanza di Norimberga, dove nel 1470
si afferma Koberger, la cui stamperia produce tantissimi libri soprattutto su commissione, fra il 1473 e il 1513. In questo arco
cronologico, pubblicò circa 250 opere in latino, alcune abbastanza particolari, ad es. testi di filosofia, testi di diritto, ecc. Opera più
interessante il Liber Chronicarum, ricco di illustrazioni e realizzata in società con altri tipografi di Norimberga: è uno dei primi es.
di collaborazione tra colleghi stampatori. In particolare, Koberger si fidava molto di Amerbach, stampatore di Basilea: entrambi,
con strategie diverse, sono stati fondamentali per la stampa tedesca.

L’ESPERIENZA ITALIANA
Sweynheym e Pannartz
Perché questi due monaci benedettini decidono di spostarsi dalla Germania all’Italia per aprire una stamperia? Per rispondere a
tale quesito ci sono solo delle ipotesi, infatti non si capisce come mai si siano trasferiti in un luogo così isolato come Subiaco. Si
pensa che siano stati invitati a trasferirsi lì da un cardinale europeo, il quale gli avrebbe garantito buon successo. Probabilmente, in
questo monastero di Subiaco già abitavano dei monaci tedeschi, con cui i due tipografi sarebbero già stati in contatto. Qui, i due
tipografi si misero a stampare classici latini, riuscendo a stampare 200-300 copie, numerosissime per l’epoca. Per queste opere, i
due si fecero fondere un carattere, detto romano, che imitava quello dei manoscritti umanistici (usato anche da Petrarca, che parlava
di scrittura “castigata e chiara”): capiamo come i due tipografi vedessero l’Italia come un Paese di umanisti, ecco perché volevano
imitare il più possibile i manoscritti della tradizione nostrana.  Capiamo quanto fosse necessario adattarsi al sistema culturale del
luogo ospitante.

Roma
Dopo un paio di anni, però, i due tipografi compresero che il vero cuore degli umanisti era Roma, dove si trasferirono; qui trovarono
la collaborazione del clero colto, tra cui troviamo un vescovo importantissimo, Bussi, paragonabile nella sua funzione al ruolo
dell’editor moderno: egli consigliava quali libri pubblicare, curandone anche le edizioni. A Roma, i due non solo pubblicavano i
classici latini e della cristianità, ma questi venivano accompagnati da prefazioni ed introduzioni di Bussi, con cui si volevano spiegare
le loro ragioni e con cui si volevano far conoscere tali opere al vasto pubblico. Bussi fece sì che collaborassero con i due tipografi
varie figure importanti nella Roma dell’epoca: in poco tempo, egli e questi collaboratori portarono alla luce varie opere di Cicerone,
Ovidio, Lucano, ecc. portandole per la prima volta nella versione a stampa. In particolare, interessante la scelta di portare le edizioni
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a stampa delle opere di S. Girolamo. Capiamo come sia stata giocata a Roma la trasformazione della stamperia di questi due monaci
benedettini. Negli anni successivi, però, essi andranno in crisi, per via soprattutto del formato in cui erano pubblicati i loro libri;
non si capisce come mai Bussi non sia stato in grado di consigliare più sapientemente in questa direzione. Infatti, nella tradizione
italiana, i libri umanistici erano stampati in formato medio (in quarto), mentre i codici umanistici tedeschi erano in formato più
grande: i due tipografi, quindi, seguivano la loro propria tradizione, non apprezzata invece dagli umanisti italiani. A ciò si unisca il
surplus di libri latini, che non si riuscivano a vendere al di fuori dell’Italia.

Venezia
Oltre a Roma, altra città fondamentale è Venezia, dove la stampa arriva grazie a Giovanni da Spira. Egli, temendo la concorrenza
dei veneziani, chiese alla Repubblica di Venezia una protezione (prima volta che viene fatta questa operazione): cioè chiese che le
sue opere fossero protette con un privilegio di 5 anni  nessuno stampatore avrebbe potuto stampare, a Venezia, quelle sue stesse
opere per almeno 5 anni. Anche Giovanni da Spira pubblica classici latini e della cristianità. Il privilegio della protezione gli venne
dato, ma Giovanni da Spira morì dopo un solo anno e quindi il privilegio dei 5 anni decadde. Gli successe il fratello, Vindelino da
Spira, che non chiese nessun privilegio e che seguì la tipologia di produzione di Giovanni, portando libri latini, della cristianità e
anche in volgare (ad es. la Divina Commedia e il Canzoniere): egli pensava che i veneziani fossero ormai pronti ad accogliere sia
opere latine e sia opere volgari.

Dopo poco tempo, a Venezia arrivò un francese, Jenson, proveniente dal mondo dell’incisione (realizzava le monete alla zecca di
stato francese): arrivato in Italia, si cimentò subito nella produzione di caratteri romani bellissimi e si dedicò alla produzione di
libri latini. Messo a confronto con il carattere di Giovanni da Spira, quello di Jenson era molto più bello e leggibile, in quanto molto
più esperto nella lavorazione dei metalli. Egli si affermerà così come uno dei più grandi stampatori europei.

A fine anni ’90 del ‘400 Venezia pullulava già di tipografie: coloro che si erano formati dai fratelli da Spira e da Jenson rimasero poi
nella stessa città, aprendo a loro volta delle attività tipografiche.

A Venezia, i patrizi erano molto attenti alle novità e quindi erano favorevoli alla stampa, tanto più che molti di loro erano
imprenditori nel mondo della carta. La voce di spesa più rilevante per i tipografi era infatti quella della carta, e quindi spesso ci si
metteva in società con i proprietari di cartiere, per avere la materia prima assicurata.

Le altre città
Altre città italiane in cui si diffonde molto la stampa saranno poi Milano, Bologna, Firenze, Napoli, Pavia e Padova.
 Milano: è la terza città dopo Venezia e Roma per numero di stamperie. Qui, la stampa arriva per opera del medico Castaldi,
il quale, probabilmente con l’aiuto di un tipografo, apre un’attività di stamperia, la quale verrà poi ceduta a Zarotto. La sua
stamperia sarà la prima importante a Milano.
 Bologna: qui la situazione è simile a quella parigina, cioè sono due professori universitari a richiedere la presenza di una
stamperia. Chiesero per questo l’aiuto di un banchiere, grazie al quale venne aperta la società tipografica. I due professori
erano editor, quindi preparavano e curavano i testi. Le opere pubblicate a Bologna, città universitaria per eccellenza, sono
sicuramente legate a tale realtà: inoltre, anche dopo la nascita della tipografia, continuerà ad essere operante per molto
tempo lo stazionariato bolognese. La produzione degli stampatori riguarda in particolare i libri che non sono realizzati
dagli scribi, ad es. quelli di ambito scientifico, astronomico, ecc.

L’ESPERIENZA FRANCESE
Qui abbiamo i due grandi centri di Parigi e Lione. Di Parigi abbiamo già parlato.
A Lione, la stampa nasce grazie ad un mercante, Bullier, che chiamò uno stampatore straniero, con il quale costruì la prima
stamperia. L’abilità di Lione sta nel differenziarsi dai colleghi parigini: a Parigi si producevano molte opere latine di lusso, mentre
a Lione si sceglie di stampare soprattutto opere in francese. Non si rinuncia ai testi umanistici, infatti arrivano a Lione molti
umanisti, tra cui Bade, che iniziò a collaborare con uno stampatore lionese.

L’ESPERIENZA OLANDESE
In Olanda, c’è una grande concentrazione urbana e una grande tradizione di libri manoscritti. Molti tipografi olandesi si erano
formati a Colonia, in Germania, tornando poi in patria e costruendo le prime tipografie olandesi. Città importanti erano Utrecht,
Bruxelles, Anversa (ma dal ‘500), ecc. In Olanda si diffonde molto la stampa soprattutto perché c’era un’alta alfabetizzazione rispetto
al resto d’Europa, per via del grande livello di urbanizzazione.

L’ESPERIENZA INGLESE
In UK, la stampa arriva grazie al mercante Caxton, che apprese l’arte della stampa probabilmente dai tedeschi. In UK, Caxton
ottenne diversi rapporti diplomatici con la corte e quindi riuscì ad affermarsi a Londra. Caxton è interessante anche perché egli
stesso elaborava i progetti dei suoi libri, essendo anzitutto un raffinato calligrafo; stampava opere molto innovative, ad es. un’opera
sul gioco degli scacchi, che interessava molto l’aristocrazia inglese e non. Traduceva poi opere letterarie: il suo primo libro del 1475
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si intitola La raccolta della storia di Troia, ed è un insieme di poemi cavallereschi tradotti in prosa. Pubblicò inoltre I detti e le
massime dei filosofi, opera in cui raccoglie le varie tradizioni filosofiche sintetizzandole in inglese. Grazie alle sue conoscenze, riuscì
ad attrarre vari prof universitari che divennero suoi collaboratori. Pubblicava gli autori classici latini in inglese. Tiene quindi insieme
classicità latina, tradizione letteraria europea, ecc. diventando subito un personaggio innovativo nel mondo della stampa. La sua è
una vera e propria operazione europea.

LE COMPAGNIE DI COMMERCIO INTERNAZIONALI


Nascono le compagnie di commercio internazionali: soprattutto i tipografi tedeschi, avendo paura di non riuscire a vendere in
Germania tutti i libri prodotti, realizzano reti di commercio coi colleghi degli altri Paesi, in modo da distribuire i prodotti in modo
più vasto. Il commercio del libro, sempre più, non è di tipo locale, ma di tipo internazionale: tutto ciò va visto secondo l’ottica
europea e non quella delle singole città, altrimenti non si comprenderebbe fino in fondo la diffusione della stampa in Europa.

LEZIONE 8 (05-10-22)
COLOPHON & FRONTESPIZIO – I CARATTERI & I FORMATI
L’AFFERMAZIONE DEL COLOPHON E DEL FRONTESPIZIO
Il primo colophon compare nel Psalterium di Magonza, stampato da Schöffer nel 1457: alla fine del libro inserisce le informazioni
tipiche del colophon, quindi anno e luogo di stampa e nome dello stampatore. Dal pov del testo, questo libro è come un manoscritto,
cioè senza frontespizio.
Il primo frontespizio apparirà a Venezia nel 1476, nel Calendario del Regiomontano, stampato da Ratdolt; le decorazioni di questo
frontespizio non sono manuali ma sono fatte con la tecnica della xilografia. Dopo il ’76, non tutti i libri avranno colophon e
frontespizio ma comunque si inizierà a usare questi strumenti. Il loro scopo era soprattutto quello di garantire la riconoscibilità dei
produttori, anche per tutelare il loro lavoro (motivi commerciali). Il frontespizio è la sezione del libro che ospita i suoi dati essenziali:
titolo, anno, nome dei lavoratori (incisore, stampatore, ecc.). La tendenza, per molto tempo, è stata duplice: chi faceva titoli
brevissimi e chi faceva una sorta di sommario, quindi titoli lunghi. Nel primo frontespizio di Venezia ciò che manca è il nome
dell’autore: in questo caso, il motivo sta nel fatto che si tratta di un prodotto popolare, e su questi ultimi gli autori non apponevano
solitamente il loro nome. In ogni caso, il nome dell’autore sarà l’ultima informazione ad apparire nei frontespizi.

LE MARCHE EDITORIALI
Col tempo, il frontespizio si stabilizza: tra la fine ‘400 e l’inizio del ‘500 il suo uso si diffonde tra la maggior parte dei tipografi.
Questo avviene soprattutto nelle grandi città produttrici di libri, in quanto c’era la necessità di pubblicizzarsi maggiormente.
Per quest’ultimo motivo sarà necessaria anche la nascita dei loghi delle case editrici  La storia di questi loghi nasce proprio fra
‘400 e ‘500, quando i tipografi avevano bisogno di una certa identità visiva per venir riconosciuti. Nel frontespizio inizierà a essere
disegnato anche il logo editoriale, che viene chiamato in gergo marca tipografica. Esistono tanti tipi di marche tipografiche, ad es.
le marche parlanti, le quali riportano nel disegno il nome stesso del tipografo (ad es. il tipografo Michelle Le Noir aveva come
simbolo una testa di colore nero). Altre marche si ispirano alla mitologia antica: ad es. il simbolo di Aldo Manuzio era un delfino
con un’ancora, e ciò richiama un detto latino, cioè “Festina Lente” = “affrettati lentamente”. Questo verso viene dal filosofo
Aristofane, usato per indicare un sistema di pensiero atto a riuscire bene nello studio: affrettarsi ma lentamente, dando il tempo
alla mente di introiettare quanto imparato  questo diventa un modo anche per indicare il lavoro di Manuzio, che voleva svolgere
i suoi compiti in modo veloce ma molto curato: quindi fa suo questo simbolo che viene dall’antichità greca e latina. Si diffonde
quindi questo uso di associare loghi disegnati e motti.

I CARATTERI
Guardiamo ancora una volta la continuità tra scrittura manoscritta e caratteri mobili, infatti abbiamo detto che inizialmente i
tipografi volevano imitare la scrittura manoscritta. Prendendo ad es. Manuzio egli non userà mai il carattere gotico, ma solo quello
romano, in quanto pubblicava solo libri di tipo umanistico. I libri umanistici erano di due tipologie, cioè i classici latini/greci e le
opere degli umanisti del tempo, come Petrarca, Piccolomini, Poliziano (Poliziano era stimatissimo da Manuzio - alla sua morte, per
omaggiarlo, pubblicherà tutte le sue opere), ecc. C’è quindi un legame tra il libro prodotto e il carattere usato per esso: un libro
umanistico non sarebbe mai stato stampato col carattere gotico.
Nel mondo inglese, dove era diffusa la scrittura gotica, tutti i libri fino a fine ‘400 saranno stampati in tale carattere; solo nel 1509
verrà prodotto un libro inglese stampato col carattere romano, anche se solo nella sua parte latina, mentre la traduzione in lingua
inglese è stampata col gotico.

I FORMATI & L’IMPAGINAZIONE


Il primo a lavorare su questi temi fu il paleografo Petrucci. Per ragionare sui formati, Petrucci aveva sempre di fronte sia i libri
manoscritti e sia i libri a stampa: confrontandoli, nota che i libri stampati seguono nella forma i libri manoscritti; nota inoltre che

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c’è una connessione tra contenuto del libro e suo formato. Nella tradizione manoscritta c’erano 3 formati, che nel complesso
verranno imitati da vicino dagli stampatori del ‘400:
1. Libri da banco: erano formati molto grandi, che spesso si posavano in un luogo e non venivano più spostati. Sono
soprattutto libri teologici, giuridici e medici. Il libro da banco nasce in area universitaria, negli stazionariati, dove i copisti
dovevano copiare grandi volumi e sceglievano quindi il formato grande perché conteneva più testo. Si usava il carattere
gotico.
2. Libri umanistici: erano formati medi, che nascono appunto in ambito umanistico. Si usava il carattere romano. Gli
umanisti vogliono questo formato anche per differenziarsi dai libri da banco.
3. Libri popolari: erano formati piccoli/tascabili, prodotti in ambienti poveri, da scribi non professionisti ed occasionali,
con bassi livelli di alfabetizzazione. Sono ad es. libri di ricette, libri di preghiere, libri professionali, ecc. Normalmente,
non sono in latino ma in volgare, e spesso sono su supporto cartaceo residuale. È il libro più fluido, può essere scritto sia
in gotico che in romano, ciò dipende soprattutto dall’influenza maggiormente presente nella città di produzione: ad es. se
il libro popolare viene prodotto in una città dove sono importanti gli umanisti, allora sarà stampato col carattere romano.
I libri a stampa imitano i manoscritti anche nell’impaginazione: ad es. i libri religiosi erano solitamente stampati su 2 colonne, e
ciò è quello che fa Gutenberg nella Bibbia a 42 linee. Allo stesso modo, si segue la stessa impaginazione ad es. per i codici giuridici:
grande formato, in cui al centro della pagina compare la legge e ai lati vengono lasciati i bordi bianchi atti ad ospitare commenti ed
annotazioni.
Inizialmente, nei libri a stampa non si indicava il numero delle pagine ma il numero delle carte (cioè il foglio fisico, che risulta come
1, mentre le pagine risultano come 2 per ogni carta): il primo libro che riporta la paginazione sarà stampato da Manuzio nel 1499.

I LIBRI STAMPATI NEL ‘400 E IL PENSIERO DEGLI UMANISTI


CHE LIBRI STAMPAVANO I TIPOGRAFI?
Si stampavano sia libri “vecchi”, cioè già esistenti in formato manoscritto, sia, successivamente, libri originali/inediti, mai stati
scritti a mano. Inizialmente, questi ultimi erano pochissimi, in quanto si voleva andare sul sicuro per riuscire a vendere; però, più
gli stampatori guadagneranno, più ci sarà spazio nella loro attività per l’innovazione. Al contrario, i tipografi che vendevano meno
stavano di più sulle opere vecchie, paradossalmente sbagliando, in quanto era ciò che facevano tutti. Sicuramente i più fortunati
saranno coloro che sceglieranno entrambe le strade, perché portano innovazione ma al contempo si assicurano la fedeltà di quei
lettori dei manoscritti curiosi di avere gli stessi libri anche in formato a stampa.  si tratta di un rischio che potevano permettersi
solo gli stampatori che avevano alle spalle delle attività già floride.

COSA PENSANO GLI UMANISTI DELLA STAMPA?


In linea di massima, dopo qualche anno gli umanisti accetteranno la stampa, soprattutto per 2 motivi:
1. La rapidità della produzione e l’aumento della disponibilità dei testi
2. L’illusione della diminuzione del prezzo dei libri: sarà così solo nel lungo periodo, ma non nel breve periodo, perché, come
detto, i primi libri a stampa dovevano comunque essere rilegati, decorati e rifiniti con spese aggiuntive dell’acquirente. Il
prezzo diminuisce quando si standardizza la produzione e quando l’unica cosa aggiuntiva da fare rimarrà la rilegatura,
questo ancora nel ‘700. Aspetto interessante dovuto al fatto che l’acquirente dovesse far rifinire da sé il libro  dalle
decorazioni si può spesso risalire alla famiglia/casata acquirente, in quanto nei fregi veniva fatto realizzare anche lo
stemma della famiglia (personalizzazione dei volumi).
Nel pensiero degli umanisti, i libri più belli erano quelli scritti a mano, quindi, per fare un complimento a un libro a stampa, si
diceva che fosse “bello come se fosse stato scritto a mano”  questo si collega alla nozione della leggibilità, in quanto la scrittura
più leggibile era ritenuta quella manuale. Per questo si tentava di imitare il più possibile i libri manoscritti. Per studiare la storia del
libro e della stampa dobbiamo quindi tener conto anche dell’estetica dei prodotti.
Fichet dice che la stampa è fondamentale perché conserva le parole degli uomini più dei manoscritti.

LE TIPOLOGIE DI LIBRI STAMPATI NEL ‘400


Riconosciamo 3 tipologie di opere maggiormente stampate nel ‘400:
1. Le bibbie (il più grande affare in assoluto degli stampatori europei, in quanto tutti volevano avere una bibbia in casa, sia
le persone più erudite sia quelle meno colte, e proprio per questo si stampavano sia in latino e sia in volgare) e i libri
teologici, filosofici e giuridici della tradizione medievale.
2. I libri umanistici, sia i classici e sia i contemporanei: questi sono associati perché sono gli stessi umanisti contemporanei
a curare le edizioni dei classici antichi.
3. I libri di vasta circolazione: poemi cavallereschi, opere religiose/devozionali, libri scolastici di prima alfabetizzazione
(abecedari), ecc.
Nel complesso, nel ‘400 si trovavano libri che già esistevano nella tradizione manoscritta, con poche eccezioni (vedi Manuzio).
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LEZIONE 9 (10-10-22)
ALDO MANUZIO & LA SUA STRATEGIA EDITORIALE
ERASMO DA ROTTERDAM & IL SUO LAVORO CON MANUZIO
Erasmo da Rotterdam è stato un umanista e autore importantissimo tra 400 e 500. All’inizio del ‘500 si reca a Venezia, per
conoscere Aldo Manuzio (che in poco tempo era diventato famosissimo in tutta Europa), scrivendogli preventivamente una lettera
spiegando le sue ragioni: in questa, Erasmo elogia Manuzio, attribuendogli il merito di aver portato il latino e il greco alla portata
di tutti.  Erasmo riteneva quindi Manuzio il tipografo europeo più importante. Si voleva recare a Venezia per ristampare gli
Adagia (raccolta di proverbi latini e greci con loro spiegazione): per fare questo lavoro, infatti, aveva bisogno di una ricca biblioteca,
che sarà quella privata di Manuzio. Gli Adagia erano già stati pubblicati a Parigi nel 1500 e poi ancora nel 1507; l’edizione più
importante sarà quella veneziana del 1508, in cui Erasmo inserisce anche vari elogi in favore di Manuzio, la sua biblioteca privata e
la sua attività. Per gli umanisti era importante studiare queste lingue antiche perché ci si voleva avvicinare al passato dei greci e dei
latini.
Manuzio, arrivando a Venezia, aveva dovuto mettersi in contatto con i patrizi della città per accedere alle loro biblioteche. Qui
conosce uno stampatore molto importante, Torresani, che stava cercando un intellettuale umanista a cui affidare la scelta dei libri
da pubblicare: nel 1494, Manuzio entra allora in società con lui e con un ricco patrizio veneziano che finanzierà l’attività, Barbarigo.
Erasmo arriva a Venezia alla fine del 1507, quando Manuzio aveva già acquisito molto successo, e qui spenderà un anno per studiare
e ampliare la sua opera, che verrà poi pubblicata nel 1508.
A Venezia, oltre agli Adagia, Erasmo vuole tradurre in latino alcune opere greche.

GLI ESORDI DI MANUZIO


Manuzio è originario di un paese vicino a Roma e quindi il suo ingresso a Venezia non deve essere stato semplice. Prima del suo
arrivo, c’era già stato qualcuno in Italia che aveva provato a stampare i testi greci, ma furono pochi esperimenti riguardanti pochi
autori, cioè Esopo, Isocrate, Teocrito e Omero: tutto il resto - scienza, filosofia, gran parte della letteratura - era sconosciuto. Il
sogno degli umanisti era quello di riportare in vita le opere greche in lingua originale.
Manuzio comincia nel 1494, con una grammatica greca, gli Erotémata: come tutte le sue altre opere, anche questa era preceduta
da una sua prefazione, in cui spiega il motivo della pubblicazione. Qui, Manuzio dice di aver voluto offrire un servizio agli umanisti,
perché era utile stampare opere in lingua originale per far imparare il greco agli umanisti che ancora non lo conoscevano. Per
Manuzio, la grammatica era fondamentale nel catalogo di ogni umanista, e nel corso della sua attività stampò 3 grammatiche, un
dizionario e una raccolta di antichi testi grammaticali.
I soci di Manuzio, Torresani e Barbarigo, si fidavano moltissimo di lui, basti pensare che dal ’94 al ’99 stampò solo testi greci,
nonostante questo fosse un mercato molto ristretto. In questi 6 anni, gli investimenti erano stati altissimi, infatti, per stampare in
greco, Manuzio si era dovuto far realizzare un carattere greco: scelse il più abile lavoratore di metalli dell’epoca, cioè Griffo; su
questo carattere chiese al Governo di Venezia la privativa, in quanto già pensava che esso sarebbe stato copiato dagli altri tipografi.
Si farà successivamente produrre anche un carattere romano per le opere latine e un carattere corsivo che imitava la scrittura di
certi umanisti.  ancora logica di imitazione dei caratteri manuali a cui erano abituati gli umanisti.

LE OPERE PUBBLICATE TRA IL 1494 E IL ‘99


La prima opera pubblicata da Manuzio dopo gli Erotemata fu l’opera omnia di Aristotele, composta da 5 volumi, pubblicati tra il
’95 e il ’98. Nelle prefazioni Manuzio dà sempre varie indicazioni, come i nomi dei suoi collaboratori, le biblioteche da cui ha tratto
i codici, ecc., e spesso le usa anche con scopo commerciale, per pubblicizzare le sue opere future (usi del paratesto).  Nella
prefazione dell’opera omnia di Aristotele, Manuzio dice che vuole pubblicare anche i vari commentatori di Aristotele (sia greci
contemporanei dell’autore, sia commentatori più moderni): voleva fidelizzare i suoi lettori, preannunciando le sue opere future.
Delle opere greche, a Manuzio non interessavano solo le opere letterarie, ma anche quelle scientifiche, matematiche, filosofiche,
ecc.: era convinto che tutta questa tradizione avesse tantissimo da insegnare e avesse permeato/influenzato il mondo latino, anche
se molti non se ne rendevano conto.
Manuzio pubblicò anche le commedie teatrali di Aristofane, scrivendo anche qui una prefazione con scopo esplicativo e
commerciale; in tale prefazione, inoltre, parla anche della necessità di pubblicare le opere scientifiche greche in lingua originale:
ritiene infatti che queste siano state tradotte in latino in modo pessimo.  solo con delle ripubblicazioni in greco gli studiosi di
scienza avrebbero potuto avere a disposizione quelle opere in edizione integrale e corretta. Ad es. nel ’99 pubblica l’opera di
Dioscoride, un importante medico greco.
Importantissimo per Manuzio era Poliziano, da lui considerato il più grande umanista italiano del suo tempo: Poliziano era molto
polemico nei confronti degli umanisti che non conoscevano il greco, e quindi il tipografo vi si richiamava molto. Alla sua morte,
avvenuta nel ‘98, Manuzio pubblicò tutte le sue opere.  Capiamo come non fosse interessato solo alle opere dell’antichità, ma
anche a quelle di suoi contemporanei: ricordiamo come per “opere umanistiche” si intendessero sia quelle antiche e sia quelle
contemporanee.

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IL CAMBIAMENTO DI FINE SECOLO: I TESTI LATINI


Verso la fine del secolo, poi, Manuzio decide di ampliare la sua offerta e di cambiare strategia editoriale, pubblicando anche libri
che rientrassero in un mercato più vasto: sceglie di pubblicare, quindi, anche opere in latino, sia i classici e sia i contemporanei.
Questo veniva fatto da tutti in Italia, ma Manuzio decise di portare un’innovazione: di fronte a uno scenario che vedeva tutti i testi
umanistici pubblicati in formato in quarto, Manuzio osa portandoli in formato tascabile (in ottavo). Essendo così legato al mondo
greco, inizia con un’opera particolare, il De rerum natura di Lucrezio, ovvero l’esposizione latina del filosofo greco Epicuro.
Oltre alla novità del formato tascabile, Manuzio porta un nuovo carattere, il corsivo: si tratta di un carattere romano leggermente
inclinato, con cui gli umanisti scrivevano i codici più utilizzati (scrittura più rapida).
Soprattutto in questo ambito latino, bisogna ragionare in 2 direzioni parlando di Manuzio:
1. La scelta dei testi: oltre a scegliere delle opere originali, i testi latini di Manuzio non avevano mai una parola di commento
o delle note, erano solamente i testi puri dell’autore.  questo a differenza degli altri stampatori, che invece inserivano
sempre commenti. Anche per questo le edizioni di Manuzio potevano permettersi di essere più piccole, in quanto non
avevano l’apparato del commento.
2. La scelta materiale: questione del formato.
Ci sono alcune testimonianze dei lettori di Manuzio, i quali lo ringraziano della possibilità loro offerta di leggere queste opere che
prima non erano accessibili a tutti.
Nella collezione di opere umanistiche in formato in ottavo pubblicate da Manuzio verranno inseriti Petrarca e Dante, quindi si parla
non solo di libri in latino ma anche in volgare – anche questi senza commento. Pubblica anche opere di suoi contemporanei, tra cui
Pietro Bembo (la cui famiglia aveva prestato a Manuzio molti codici, possedendo una delle biblioteche più ricche della Venezia
dell’epoca).

LEZIONE 10 (11-10-22)
LE OPERE DI INIZIO ‘500
Il fatto di aver iniziato a pubblicare opere latine e in volgare non significa che Manuzio si sia discostato dalla sua idea originale,
infatti continuerà nel contempo a pubblicare anche i greci. Darà alle stampe le opere degli storici greci, ad es. Erodoto; pubblicherà
le tragedie di Sofocle ed Euripide, ecc. continuando il suo progetto di portare in formato a stampa tutte le tipologie di letteratura
greca. Riporterà in stampa anche Omero, già pubblicato in precedenza da altri in formato grande, riproponendolo invece in formato
tascabile.
Ricordiamo poi gli Adagia di Erasmo del 1508: in questa edizione abbiamo una breve introduzione di Manuzio, in cui si rivolge
agli studiosi, dicendo loro di trovarsi di fronte a un’opera preziosa, esempio di “onesta moralità”. Erasmo, nell’opera, parla anche
delle sue tempistiche di stesura, che si aggirano intorno ai 9 mesi: l’autore parla di una grande intesa avuta con lo stampatore, infatti
l’opera sarebbe il frutto del loro impegno condiviso. In questi 9 mesi, Erasmo cercò di dare anche dei consigli a Manuzio: ad es. gli
suggerì di pubblicare le opere di Seneca, Terenzio e Plauto, le quali poi saranno stampate dopo la morte del tipografo (1515).

L’anno più drammatico per Manuzio fu il 1509, nel momento in cui scoppiò la guerra tra Venezia e le potenze legate ai francesi, che
vedrà la sconfitta dei veneziani: questo porterà anche al crollo delle attività commerciali, tra cui quella editoriale, per cui la maggior
parte delle stamperie dovette chiudere. Manuzio riuscì a riprendere l’attività solo nel 1512, pubblicando di nuovo la sua primissima
opera, cioè una grammatica greca: voleva rilanciare ulteriormente l’idea della necessità di non abbandonare il greco. Intanto,
Venezia si era ripresa, grazie ad un’abile azione diplomatica, entrando nella Lega Santa con la Spagna e gli altri nemici della Francia.
 Tutto ciò significa che dal 1509 al ’12 cambiano gli assetti politici e militari, e questo si ripercuote sicuramente su tutti i settori
dell’economia.

Manuzio continuerà sulla doppia strada dei latini e dei greci, andando a pubblicare nel 1513 uno dei suoi lavori più importanti, cioè
l’opera omnia di Platone, autore che ancora non era mai stato pubblicato. Nella dedica di quest’opera, Manuzio si rivolge al nuovo
Papa Leone X, andando a redigere un testo dalla chiara funzione politica: Manuzio si augurava che il nuovo Papa, dopo anni di
guerra, portasse la pace e “riformasse i costumi degli uomini di tutto il mondo” (moralizzazione)  è come se lo stampatore
avvertisse la necessità di una riforma da parte della Chiesa, quasi andando a prevedere quello che accadrà con Lutero nel 1517.
Manuzio parlava dell’esigenza di una nuova moralità: il suo progetto non aveva solo una funzione didattica fine a se stessa, ma aveva
lo scopo di formare una comunità universale di cristiani educati, studiosi, onesti e ortodossi. È qui che troviamo il maggior punto
di connessione con Erasmo, infatti entrambi ritenevano che l’amore per le lettere e per la cultura umanistica dovesse sempre
accompagnarsi al rispetto della moralità.  sarebbe quindi stato inutile educare i giovani in modo erudito senza accompagnare ciò
ad una missione educativa ed etica.

I CARATTERI USATI DA MANUZIO


 Carattere romano tondo, quello con cui pubblica la maggior parte delle opere latine
 Carattere corsivo aldino, quello usato per la maggior parte dei codici in ottavo: si tratta di un carattere romano inclinato
che consentiva di scrivere in modo più compresso (ecco perché lo usa sui formati piccoli). Questo sarà usato dal 1502, dopo

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Storia della Stampa e dell’Editoria (2022/23) | Rosa Ginevra

un’anticipazione inserita nelle Epistole di Santa Caterina, dove troviamo un’illustrazione in cui la Santa è raffigurata con
in mano un libriccino su cui compaiono delle scritte in questo carattere: è come se fosse un’anticipazione per preannunciare
ai lettori il suo futuro utilizzo.

DOPO LA MORTE DI MANUZIO (1515)


Manuzio muore nel febbraio 1515: seguiranno vari documenti ed elogi, primo fra tutti quello di Erasmo. Egli diceva che Manuzio
aveva superato tutti gli umanisti del suo tempo, poiché aveva immaginato una biblioteca che non avesse confini se non “quelli del
mondo”, quindi una biblioteca il più vasta possibile, pur partendo da zero. Manuzio fece passare il messaggio che i libri e la stampa
potessero promettere all’umanità un mondo migliore, idea sostenuta anche da altri umanisti, tra cui soprattutto Froben, editore di
Basilea (che collaborerà anche con Erasmo, pubblicando una nuova edizione degli Adagia).
Dopo la sua morte, l’attività di Manuzio continuerà con i suoi figli e con Torresani: nel 1515, essi pubblicheranno l’Elogio della
follia di Erasmo e poi altre sue opere, tra cui il Nuovo Testamento (1518), ecc.  capiamo come Erasmo continuò ad affidarsi
ancora agli eredi di Manuzio, anche dopo la sua morte.

LA LETTERATURA SU MANUZIO
Su Manuzio sono state scritte diverse opere, in alcune delle quali compaiono anche degli errori, ad es. molti dicono che abbia
inventato il formato in ottavo: non è vero perché si sa che il primo a produrre questi piccoli libri fu Torresani, mentre la novità di
Manuzio sta solo nel fatto che usò questo formato per i libri umanistici.
Lowry disse che il progetto di Manuzio non era solo quello di una stamperia umanistica, ma si trattava di un vero centro culturale,
in cui il sapere tecnico e quello filologico trovavano un punto di incontro.
Si dice che Manuzio abbia fondato un’accademia, in quanto la sua stamperia diventò un centro che attirava umanisti da tutta
l’Europa.  si costituisce una sorta di comunità, i cui membri ottengono fama in qualità di autori, di collaboratori, ecc. Ciò lo
capiamo anche dalle parole di Erasmo da Rotterdam, in particolare nei due proverbi – contenuti negli Adagia – Le fatiche di Ercole
e il Festina Lente, in cui si parla della capacità di Manuzio di accogliere attorno a sé uomini colti di varia provenienza, tutti uniti dal
sogno umanistico di restaurazione dei testi antichi. Tutto ciò traspare nelle prefazioni, nelle dediche (usate in modo politico, infatti
dedicando le opere a vari personaggi importanti Manuzio si assicura il loro appoggio), ecc.

Ci sono due opere essenziali da considerare per studiare l’attività di Manuzio:


 Il mondo di Aldo Manuzio di Lowry: ha messo in discussione i luoghi comuni che si erano creati intorno all’attività del
tipografo, ad es. il fatto che avesse inventato il formato in ottavo. Altra questione importante riguarda il fatto che molti
studi precedenti quello di Lowry sostenevano che i libri di Manuzio costassero poco: in realtà, i suoi tascabili erano
piuttosto cari, in quanto doveva riguadagnare quanto speso per il carattere corsivo.  Infatti, Manuzio non aveva portato
il formato tascabile per ridurre il prezzo dei libri, ma per introdurre un’innovazione nel settore. Lowry chiarirà inoltre che
non esisteva realmente una vera e propria accademia di Manuzio.
 Aldo Manuzio di Dionisotti: lo storico lavora a tutto tondo sulla strategia editoriale di Manuzio, chiedendosi in
particolare quali fossero gli umanisti che lo ispirarono maggiormente. Dionisotti individua in Poliziano la figura più
importante per il tipografo, in quanto era stato il primo a ritenere fondamentale prendere in considerazione la totalità
dell’opera greca – non solo la letteratura, ma anche la scienza, la matematica, ecc. La fedeltà al greco di Manuzio, secondo
Dionisotti, è denotata dalla prima opera latina da lui pubblicata, come detto il De rerum natura di Lucrezio.

I CATALOGHI DI MANUZIO & IL PROGETTO DELLA BIBBIA IN EBRAICO


Si conoscono 3 cataloghi realizzati da Manuzio: uno del 1498, uno del 1503 e uno del 1513. Sono importanti perché riflettono
l’importanza delle lingue; nei cataloghi, inoltre, divide i libri greci, i libri latini e i libri in ottavo (da lui chiamati “libri portatili”).
 quindi abbiamo una distinzione per lingua e una distinzione per materialità.
Manuzio avrebbe voluto pubblicare una Bibbia nelle 3 lingue greco, latino ed ebraico, progetto che non andò in porto. Ne siamo a
conoscenza perché è stata ritrovata una prova di stampa della Genesi in lingua ebraica.

Sappiamo che nella sua attività, in totale, Manuzio ha pubblicato 124 opere diverse, di cui un terzo sono di contemporanei: è quindi
errato pensare che abbia pubblicato solo opere antiche.

LEZIONE 11 (12-10-22)
I LIBRI POPOLARI O DI LARGA CIRCOLAZIONE
I LIBRI DI LARGA CIRCOLAZIONE
Questo è l’ambito in cui gli stampatori europei pubblicavano di più; si tratta di libri di piccolo formato, economici, non preziosi e
non colti, e per questi motivi sono stati poco conservati dalle biblioteche. Paradossalmente, più un libro è popolare e meno viene
conservato dalle biblioteche.
Fino agli anni ’60-’70 tutte queste tipologie di libri erano chiamate “libri popolari”; dopodiché, ci sono stati molti studi, soprattutto
francesi, che hanno scoperto che molti di questi libri “poveri” erano spesso presenti anche presso i nobili/l’alto clero: più che
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popolari, sono quindi libri di larga circolazione, così come vengono chiamati oggi. Sono ad es. romanzi cavallereschi, libri dei
segreti, storie di brigantaggio, ecc.

IN FRANCIA: LA BIBLIOTHÈQUE BLEUE


Questi libri sono stati studiati in modo diverso in base al contesto in cui avviene lo studio; ad es. per alcuni Paesi è più semplice
condurre questi studi, soprattutto per la Francia, dove la produzione di tali libriccini si concentrava soprattutto a Croix. Questi libri
erano spesso realizzati con rilegature blu/azzurre, ed ecco perché ci si riferisce ad essi con il termine di Bibliothèque bleue.
Quest’ultima è un “contenitore” di generi editoriali ed argomenti, non si può dire che sia una collana, ma i libri che comprende
hanno tutti degli elementi in comune: carta di scarso valore, semplificazione degli argomenti, uso delle illustrazioni, ecc.
Il primo studio riguardo alla Bibliothèque bleue venne condotto da Mandrou nel 1964: egli dice che questi libriccini della cultura
popolare francese non cambiarono mai dal medioevo fino al ‘700, cioè i francesi avevano sempre ripubblicato gli stessi titoli nei vari
secoli. Chartier, andando a studiare la biblioteca di Croix, però, notò che la tesi di Mandrou non è del tutto vera: infatti, nel corso
degli anni, le edizioni erano cambiate, con aggiunta di nuovi elementi paratestuali, nuove illustrazioni, linguaggi aggiornati, ecc. 
conducendo un lavoro filologico sulle edizioni, Chartier dice che è necessario rivedere le tesi di Mandrou. Quest’ultimo diceva
inoltre che questi libriccini non erano venduti in città, ma nelle campagne, da parte dei venditori ambulanti; successivamente, si è
però dimostrato che i libriccini venivano venduti anche nelle librerie cittadine: questo si scopre soprattutto grazie ai cataloghi di
tali librerie.  Si passa quindi per due livelli di studio: quello sulle biblioteche private e quello sui cataloghi.
Chartier conduce degli studi in 3 direzioni:
1. Analisi filologica: Chartier dice che, pur essendo vero che compaiono più volte gli stessi titoli, ciò che cambia sono le
edizioni
2. Modalità della distribuzione: Chartier afferma che si vendevano prettamente in campagna solo i libri più brutti o mal
prodotti, mentre il resto dei libri di larga circolazione si trovavano anche nelle librerie cittadine
3. Il pubblico: non si trattava solo del pubblico analfabeta delle campagne, come ritenuto da Mandrou, ma anche del
pubblico cittadino. Mandrou, infatti, sosteneva che questi libriccini potessero offrire agli studiosi la mentalità del popolo
medievale, in quanto si trattava di una letteratura di scarso valore e di cultura becera, la quale era direttamente specchio
dei suoi lettori. Tuttavia, Chartier scoprirà che ad es. molti romanzi cavallereschi provenivano dalla tradizione epica (ad
es. dai racconti dei Cavalieri della Tavola rotonda), e quindi non tutti erano racconti di origine popolare (anche se, in ogni
caso, le storie venivano quasi sempre semplificate, per poter essere comprese anche dal pubblico meno colto).  Chartier
arriva a dire che è difficile separare ciò che è popolare da ciò che non lo è; l’unica cosa fattibile dallo studioso è andare a
confrontare le edizioni per vedere le trasformazioni nel tempo: la volontà di Chartier non sta nel separare il popolare dal
non-popolare, ma nell’andare a studiare la logica editoriale dei tipografi che stampavano tali libri.

IN ITALIA
Questo tipo di studio è stato poi condotto anche sugli altri Paesi europei. Abbiamo detto che, in base al contesto, ci troviamo di
fronte a realtà diverse: ad es. in Italia esistevano vari centri in cui si stampavano autonomamente libriccini di larga circolazione –
non come in Francia, dove, come detto, il maggior centro in questo ambito era Croix. Il caso italiano viene studiato in 2 direzioni:
 Individuare gli stampatori che avevano puntato sui libri di larga circolazione: tuttavia, ciò è difficile perché la
maggior parte dei tipografi non ha conservato un proprio archivio.
 Studiare i generi editoriali: ad es. negli anni ’80 sono state fatte ricerche su almanacchi e calendari (i generi più popolari
di tutti), su libri di prima alfabetizzazione, su libri religiosi.

Un caso italiano importante è quello dei Remondini di Bassano del Grappa, di cui conosciamo l’unico archivio sopravvissuto. I
Remondini erano degli stampatori che iniziarono la loro attività tipografica proprio a Bassano, paese vicino al quale sorgevano delle
cartiere; riuscirono poi a cimentarsi in ogni fase della produzione del libro di larga circolazione, arrivando fino alla vendita –
aprirono infatti diverse librerie soprattutto a Venezia. Essi stampavano di tutto oltre ai libriccini, come giochi, santini, stampe da
decorazione, ecc. I loro libri non erano rilegati e si vendevano a risme.

L’ELEMENTO DELL’ORALITÀ E DELLA MEMORIA COLLETTIVA – IL LAVORO SUL PUBBLICO


I libri di larga circolazione ci permettono di fare una riflessione anche sui temi dell’oralità e della memoria collettiva, importanti
soprattutto presso il pubblico povero e perlopiù analfabeta: infatti, spesso, coloro che non avevano grandi competenze di lettura
imparavano a memoria i testi ascoltandoli e ripetendoli varie volte.
In questo ambito abbiamo una testimonianza di Ungaretti, che racconta di un viaggio fatto in Corsica, dove fu invitato in un villaggio
di pastori; qui, il pastore più vecchio prese un libretto sgualcito e recitò a memoria un canto della Gerusalemme liberata di Tasso,
seguito poi dagli altri pastori.  Testimonia l’oralità e la memoria collettiva.

Per lungo tempo, l’apprendimento di lettura e scrittura (alfabetizzazione) è stato molto frammentato, erano considerate delle
competenze separate e che non sempre si apprendevano insieme: spesso, si imparava solo a scrivere la propria firma, ritenuta una
competenza fondamentale, mentre il resto dell’apprendimento era diversificato a seconda delle possibilità economiche e sociali. 
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Significa che, all’interno di chi aveva una base minima di alfabetizzazione, c’erano poi livelli diversi: varie ricerche sottolineano
quindi la necessità di distinguere tra alfabetizzazione vera e propria e semplice capacità di firmare/leggere. Capiamo come sia quindi
difficile lavorare sul pubblico.

LEZIONE 12 (17-10-22)
LA FIGURA DEL CORRETTORE
IL CORRETTORE O SCONTRATORE
Il vecchio scontratore o correttore è oggi paragonabile alla figura dell’editor o redattore, che controlla il testo e tutte le sue parti
prima della pubblicazione (anche il paratesto). Un correttore importante è stato ad es. il vescovo Bussi, che lavorò con Sweynheym
e Pannartz. Il correttore è stato un intellettuale fondamentale fin dall’inizio dell’attività tipografica: sceglie i testi, corregge le bozze,
cura le edizioni, ecc.
Il correttore diventa man mano così importante che quasi tutti i tipografi cercheranno di averne uno o più. Avere un correttore in
tipografia è un surplus che viene anche fatto notare nel frontespizio: si pubblicizza la presenza del correttore per far passare i libri
come migliori e più accurati (viene scritto “con ogni diligenza corretto”).  presenza del correttore = fattore di prestigio per la
tipografia. Questo vale soprattutto per le città che diventano dei grandi centri di stampa europei, come Venezia: la Repubblica
veneziana, addirittura, emana dei decreti che impongono ai tipografi di far controllare sempre dai correttori i propri prodotti. 
Abbiamo un documento del 1516: il governo veneziano si rende conto che il libro sta avendo un successo commerciale enorme e
che la concorrenza tra i tipografi è in aumento: questo non è però un elemento positivo, perché i tipografi, per aumentare il numero
dei loro prodotti, spesso stampano male e in modo frettoloso. Il governo è quindi preoccupato che la città possa perdere la sua
posizione di prestigio nel panorama tipografico: viene quindi emanato questo decreto del 1516, che riguarda in particolare “le opere
di umanità” (= opere greche e latine), le quali dovranno sempre essere sottoposte al controllo dei correttori, per non rischiare di
mandare in giro per l’Europa, da Venezia, dei libri scorretti. Le stamperie, quindi, dovranno sempre più assumere dei correttori che
svolgano questo lavoro.

LA QUESTIONE DELLA LINGUA


Coloro che più hanno studiato il lavoro dei correttori sono stati i linguisti e gli storici della lingua: questo perché, studiando tale
lavoro, si vede il modo in cui evolve la lingua dalla fine del ‘400 e per tutto il ‘500, e si vede anche la differenza di approccio alla
lingua dei diversi correttori in base al loro luogo di provenienza. Ad es. quando si afferma il volgare fiorentino, molte tipografie
tenteranno di assumere correttori toscani, per omologare tutti i libri nella direzione del fiorentino. In area italiana, ad esempio,
sono state confrontate le varie stampe delle opere di Dante e di Petrarca, per analizzare il modo in cui varia il volgare tra di esse. 
Diventa fondamentale, per il buon nome di una stamperia, presentare i propri libri con una sorta di “uniformazione linguistica”: si
rende necessario avere dei correttori fidati che siano vicini al volgare fiorentino, i quali diventeranno delle figure centrali nelle
tipografie del ‘500.

L’ERRATA CORRIGE
I correttori avevano anche il compito di osservare attentamente i fogli appena stampati, per fermare in corso d’opera il lavoro in
caso di eventuali errori: in questo caso, si possono allora trovare due copie diverse di una stessa edizione, una con l’errore e l’altra
senza errore. Se il correttore non si accorgeva in tempo dell’errore e quindi tutte le copie venivano stampate con esso, si stilava il
cosiddetto errata corrige, ovvero un foglietto con l’elenco di tutti gli errori presenti nel libro, che veniva inserito alla fine del volume
affinché il lettore potesse correggerli da sé.

ALCUNI STRUMENTI DI PUBBLICIZZAZIONE DELLE TIPOGRAFIE


 Indicare la presenza del correttore
 Sottolineare il fatto che si tratta di una nuova edizione, con aggiunte di nuovi elementi che la arricchiscono
 Le lettere dedicatorie, scritte dallo stampatore stesso o dai suoi collaboratori, verso figure politiche locali o europee,
membri importanti del clero, ecc. Era fondamentale che ci fossero delle connessioni tra il libro e la persona a cui lo si voleva
dedicare. Nella dedica bisognava inserire degli elogi al destinatario, le motivazioni per le quali si è scelto tale destinatario,
l’indicazione delle pubblicazioni future dello stampatore, ecc. Inoltre, le lettere dedicatorie sono importanti perché
venivano pagate e servivano perciò per supportare il lavoro del tipografo: la lettera rappresentava un omaggio al
dedicatario, il quale, in cambio, dava un compenso allo stampatore. Tutto ciò è utile anche per riguadagnare i grandi costi
che si investivano nella produzione del libro antico.

GLI STUDI SUL LAVORO DEL CORRETTORE – PAOLO TROVATO


Uno degli studi più interessanti sul lavoro dei correttori è del linguista Paolo Trovato e risale al 1990: egli ha cercato di capire da
dove provenissero i correttori e che cosa facessero precisamente. Studiare i correttori è più semplice quando si tratta di quelli delle
opere greche e latine, in quanto quasi sempre erano personaggi intellettuali famosi; la questione si fa più complicata quando si tratta
di correttori di opere volgari, in quanto spesso erano figure ecclesiastiche non famose, in particolare degli ordini francescani e

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domenicani. I correttori di opere volgari, spesso, lavoravano sia su queste e sia sui grandi classici, andando poi a specializzarsi in
uno dei due ambiti.
Perché è importante soffermarsi sul lavoro e la personalità del correttore? Perché in base all’abilità di quest’ultimo troveremo
edizioni migliori o peggiori. Trovato ha sottolineato come diversi studi non abbiano mai tenuto conto del grande lavoro dei
correttori, concentrandosi solo sul ruolo dell’autore, come se egli facesse tutto da solo.
Quali sono le fonti per verificare le abilità e la cultura dei correttori? Come detto, sono state studiate edizioni diverse di importanti
autori italiani del ‘500: in questo modo, si confrontano vari elementi testuali, come la divisione in paragrafi, l’uso delle maiuscole,
ecc. Importanti poi gli studi sugli errata corrige: quando questi sono molto curati, significa che il correttore è molto abile ed è stato
in grado di guidare il lettore nell’individuazione degli errori prima che egli li notasse da solo.
Inoltre, Trovato dice che la personalità del correttore è fondamentale anche per capire quanto l’edizione risenta della sua
provenienza geografica.
In particolare, per studiare il lavoro dei correttori, sono state analizzate le edizioni a stampa di Dante, Petrarca e Boccaccio,
pubblicate tra il 1470 e la fine del ‘500.

ALCUNI CORRETTORI IMPORTANTI & LE LORO IDEE FILOLOGICHE


Dolce, Sansovino e Ruscelli sono stati tre correttori di spicco, che dagli anni ’30 agli anni ’50 del ‘500 pubblicano le più
importanti edizioni letterarie che escono a Venezia in questo arco cronologico, spesso essendo anche in contrasto tra di loro, per via
di visioni diverse riguardo alla grammatica, all’interpunzione, ecc. Hanno tutti stili correttivi diversi e ciò lo si evince andando a
confrontare le varie edizioni: le diverse idee dei correttori vengono inserite soprattutto nelle introduzioni dei libri, dove spesso
troviamo anche degli “attacchi” nei confronti degli altri correttori e delle loro idee.
È qui che si sviluppano anche le teorie filologiche dei correttori. Ad es. Ruscelli si chiede se un correttore del ‘500, lavorando su un
libro del ‘300, debba creare un’edizione che rispetti la lingua del ‘300, così che sia più fedele all’originale ma meno comprensibile
ai contemporanei, oppure se debba adattare la lingua a quella del ‘500, quasi snaturando l’opera ma rendendola più moderna. Dolce
sarà dell’idea di dover modernizzare il più possibile: ad es. curando delle edizioni dell’Iliade e dell’Odissea, Dolce le trasformò in
opere in ottava rima, ispirandosi all’Orlando furioso, che era molto apprezzato dai lettori del ‘500  voleva attualizzare le opere
classiche rendendole adatte anche ai lettori suoi contemporanei.
Tutto ciò ha una grande vitalità fino agli anni ’50, dopodiché cambierà tutto anche per via della rigida censura ecclesiastica: tutta
questa grande libertà della letteratura verrà frenata e cambieranno molte cose. Ciò che è molto interessante è vedere come le diverse
idee di grammatica siano state fondamentali anche per l’evoluzione della lingua.

LE ANTOLOGIE DI LETTERE
Sono molto importanti i “libri di lettere”, cioè delle antologie di lettere composte proprio dai correttori. Si tratta di lettere che
venivano scritte dagli autori per insegnare come scrivere correttamente in volgare: nelle antologie sono sicuramente importanti
autore e stampatore, ma la figura più centrale è il correttore, che, a seconda della sua sensibilità e del suo gusto del volgare, va a
comporre tali opere. Queste edizioni sono importanti anche perché raccolgono testi che sono molto brevi: nel momento in cui
subentrerà la censura, il correttore potrà andare a modificare facilmente l’antologia togliendo le lettere più “problematiche” e
sostituendole con altre.

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LEZIONE 13 (18-10-22)
Modulo B: Testi, censura e lettura
LA RIFORMA PROTESTANTE & LE SUE CONSEGUENZE SULLA STAMPA
LUTERO & LA RIFORMA PROTESTANTE
La riforma protestante segna la prima volta nella storia in cui un religioso si trova a poter diffondere le sue idee tramite la stampa.
In uno dei suoi scritti più famosi, Lutero dichiara quanto gli sia stata utile la stampa, ritenuta un mezzo creato da Dio per far
conoscere la religione “fino ai confini del mondo”.
La riforma parte con un atto preciso: Lutero inizia con la pubblicazione delle sue 95 Tesi, che prendono di mira il papato e il
commercio delle indulgenze, attraverso cui, pagando una quota alla Chiesa, si diceva che ci si liberasse dai peccati.  Questo sistema
e la questione dell’immoralità della Chiesa sono dei punti fermi nelle tesi di Lutero. Si dice che queste tesi siano state affisse a
Wittenberg, città dove iniziò la predicazione di Lutero: da qui inizia la spaccatura del mondo religioso cristiano, che si dividerà in
cattolico e protestante nel 1517. In realtà, le critiche verso lo sfarzo del papato iniziarono già in precedenza, ad es. da parte di
Erasmo da Rotterdam: questo elemento di critica nei confronti della Chiesa romana, infatti, era implicito in tutto il panorama
umanistico.

La stampa come mezzo di diffusione delle idee protestanti


Tutti gli studi degli ultimi 50-60 anni ritengono che, se non ci fosse stata la stampa e Lutero avesse potuto solo contare sui
manoscritti e sull’oralità, probabilmente la riforma non si sarebbe diffusa così vastamente e rapidamente. La domanda che si sono
posti gli studiosi della storia della riforma è la seguente: quanto la diffusione delle idee di Lutero è stata affidata alla stampa?
Esistono migliaia di pubblicazioni in tedesco delle tesi luterane: le prime pubblicazioni erano dei “fogli volanti” ( in tedesco
“flugschriften”) riportanti frasi critiche nei confronti della Chiesa e xilografie. Questi fogli venivano stampati velocemente in
migliaia di copie e diffusi tra la gente, affissi alle porte, ecc.: quando si parla di diffusione della riforma, è proprio per questo motivo
che è importante tener conto del ruolo della stampa. Come ritenuto da diversi studiosi, però, non bisogna esagerare nell’assegnare
importanza alla stampa, infatti contò moltissimo anche l’oralità: soprattutto per i totali analfabeti, la predicazione era affidata alla
lettura ad alta voce di tali testi, svolta nei luoghi privati e pubblici. La Chiesa romana rispose con ritardo alla diffusione della riforma,
solo dopo molte esitazioni; inoltre, usava il latino, a differenza dei protestanti che usavano il volgare per raggiungere più persone:
infatti, i riformatori si rendono subito conto della necessità di diffondere rapidamente le loro idee, e per farlo non esitano a
rinunciare al latino, anche se per religiosi come Lutero non fu facile, in quanto esso era la lingua teologica per eccellenza.  Per
questi motivi, la riforma si diffonde molto rapidamente e Lutero ha moltissimo successo in buona parte di Germania e Svizzera; così
come altri riformatori, in particolare Calvino (partendo da Ginevra).

Il lavoro di Lutero in Germania


Wittenberg, nel ‘400, era una città molto piccola, ma nel 1502 nacque l’Università, che portò al raddoppiamento della popolazione.
Qui, gli stampatori, tra cui Grunenberg, si specializzarono per stampare libri universitari, sia in latino sia in volgare. Lutero stampò
qui le sue prime opere, pubblicandole e vendendole a migliaia proprio presso Grunenberg; tuttavia, all’aumento della sua
popolarità, si rese conto che aveva bisogno di uno stampatore più abile: si spostò allora a Lipsia, dove si mise in collaborazione con
Lotter, che diventò il suo tipografo di fiducia. Dal 1520, presso Lotter uscirono tutte le più importanti opere di Lutero, tra cui la
traduzione del Nuovo Testamento nelle due edizioni del basso e alto tedesco. Lutero diventò così un grande affare per le tipografie
tedesche, tanto che neanche Lotter, da solo, gli basterà più: verrà allora stampato anche da altri tipografi, che però dovevano sempre
chiedere il permesso a Lotter.  Ciò, tuttavia, non significa che tutta la Germania diventò luterana, ad es. al sud molte città rimasero
cattoliche e lontane dalle tesi protestanti.

Il fulcro della protesta di Lutero è sicuramente la critica verso il sistema delle indulgenze, problema in realtà sentito da tutti, anche
dal popolo e dalla gente comune: migliaia di fogli volanti riguardanti questa guerra invadono le città tedesche, come in una vera e
propria campagna. Vengono usate anche xilografie molto semplicistiche ma di grande effetto (ad es. il Papa rappresentato come il
demonio / Lutero rappresentato come un profeta), che riescono a semplificare anche dei concetti complicati, in modo da renderli
comprensibili al popolo.

Il rapporto di Lutero con le istituzioni e con il popolo


Tutto ciò aveva dei lati preoccupanti per le istituzioni pubbliche: i principi elettori, che governavano gli staterelli tedeschi, temevano
che si giungesse ad un conflitto con Roma. A un certo punto, inoltre, la protesta luterana venne sentita dai più poveri anche come
un richiamo alla protesta sociale: a metà anni ’20, tra i contadini ancora servi della gleba nacquero delle rivolte (“guerra dei
contadini”)  i contadini insorgevano contro i loro principi, e a questo punto Lutero si rese conto di dover fare un passo indietro,
per evitare la rottura coi principi elettori: richiamò all’ordine i contadini e ricercò un accordo con i principi, che saranno poi dalla
sua parte.
L’imperatore Carlo V era contrario a Lutero, tant’è che nel 1521 lo richiamò, chiedendogli di rimangiarsi le critiche nei confronti
del papato: Lutero si rifiutò di presentarsi al cospetto dell’imperatore e venne quindi bandito dall’impero. Inizierà allora a
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nascondersi e a venir protetto da vari principi elettori. I suoi scritti erano quindi proibiti, ma venivano comunque pubblicati e
venduti, grazie alla protezione garantita dai principi: è così che le città tedesche diventarono centri di diffusione del luteranesimo.
Quando Lutero uscì dal suo ritiro, venne accolto come un vero rivoluzionario, inneggiato, come detto, dai contadini.

La diffusione delle idee protestanti


La diffusione delle idee protestanti non si ferma alla Germania, ma arriva in Francia, nelle Province unite e in Italia (soprattutto le
opere in latino). La stessa cosa si può dire delle idee di Calvino, proveniente da Ginevra, uno dei grandi centri tipografici europei,
dove si parlava il francese: per questo le idee di Calvino si diffusero ancor più di quelle di Lutero, poiché il francese era più conosciuto
del tedesco.

L’ITALIA & L’INQUISIZIONE


Il tribunale dell’Inquisizione
In Italia, tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40 del ‘500, la Chiesa romana cercava ancora dei modi per dialogare coi
protestanti: infatti, almeno fino al ’42, diversi cattolici ritenevano necessario trovare un dialogo, soprattutto perché erano d’accordo
con varie proteste luterane (contro le indulgenze, il lusso del papato, ecc.), nonostante non potessero esprimerlo liberamente 
cercavano allora di dialogare con coloro che potevano far ragionare le alte istituzioni della Chiesa, quindi alcuni vescovi cercavano
di dialogare con alcuni cardinali, che a loro volta cercavano di dialogare con il Papa. Tutto ciò lo vediamo prima di tutto nei libri:
ad es. Paolo Manuzio pubblicò vari libri di lettere che raccolgono le testimonianze di alcuni vescovi che si recavano in Germania per
cercare di ricomporre la frattura che si era creata (queste lettere “proibite” venivano inserite quasi segretamente in mezzo agli altri
testi brevi). Finita la stagione del tentativo dei dialoghi, dopo gli anni ’40, quando “vinse” la parte più intransigente della Chiesa,
tali vescovi vennero ritenuti filo-eretici e saranno anch’essi processati ed eventualmente condannati a morte.
Dal 1542 in poi, la Chiesa cattolica vorrà “delimitare la peste riformata”, per proteggere il cattolicesimo: venne così istituita
l’Inquisizione, cioè un tribunale centralizzato (controllato dalla Chiesa stessa), che aveva lo scopo di scovare gli eretici (= i
protestanti), per processarli ed eventualmente condannarli a morte. Si parla inoltre del controllo di tutta la produzione libraria
proveniente sia dall’estero, sia dall’Italia stessa: cioè la censura ecclesiastica vuole fermare sia i libri protestanti provenienti
dall’estero, sia i tipografi italiani avvicinatisi spiritualmente al protestantesimo.

I libri proibiti
Tutto questo costituisce una storia drammatica, in cui i libri sono in realtà un solo tassello: i libri sono ritenuti parte del “mondo
pericoloso” che veniva temuto dai cattolici. Dal 1558 in poi, la Chiesa iniziò a preparare gli indici dei libri proibiti, che venivano
poi distribuiti tra gli inquisitori locali. Il libro era visto essenzialmente come un pericolo, in particolare il libro a stampa, che
permetteva la diffusione rapida delle idee eretiche; soprattutto, la Chiesa romana era contraria al fatto che i lettori che non
conoscevano il latino potessero leggere la Bibbia in volgare: temevano la libera interpretazione delle Sacre scritture da parte del
popolo.  Venne quindi proibita la diffusione delle Bibbie in volgare. Questo a differenza di Lutero, che invece riteneva che tutti
dovessero avere il diritto di avvicinarsi autonomamente alle Sacre scritture: ciò fa anche sì che in Germania ci siano livelli di
alfabetizzazione più alti che in Italia, in quanto si incoraggiava la popolazione ad imparare a leggere per potersi approcciare alla
Bibbia. Per l’Italia ciò è paradossale, in quanto fino ad allora era stato il Paese che aveva prodotto più Bibbie in volgare; dopo il
sistema dell’Inquisizione, si potranno trovare Bibbie in italiano solo a partire dalla metà del ‘700.

L’organizzazione dell’Inquisizione
I cardinali del tribunale dell’Inquisizione, per svolgere i loro compiti al meglio, si dislocano nelle città più importanti d’Italia: si
creano come delle “succursali” della sede romana principale. I cardinali dovevano controllare tutti i libri che circolavano sul
territorio italiano, provenienti sia dalle stamperie nostrane e sia dalle stamperie straniere. Abbiamo quindi un’organizzazione
centralizzata ma ramificata: ogni volta che un cardinale, in qualsiasi città, trova un libro proibito, deve informarne la sede romana.
Il sistema viene organizzato in questo modo perché l’Italia era divisa in staterelli ed era quindi difficile, per Roma, riuscire a
controllare tutto il territorio italiano.
Tutto questo porta ovviamente alla nascita di un clima di tensione e paura, nel quale ricadono moltissimi stampatori. Abbiamo ad
es. delle testimonianze di stampatori lombardi, che chiedono agli inquisitori locali di poter avere degli elenchi dei libri che non si
possono più vendere: si instaura un clima di dubbio, perché i tipografi non sanno più cosa possono o non possono produrre. Altre
testimonianze ci parlano di alcune prediche pronunciate durante le messe, in cui i preti invitavano i fedeli a controllare le proprie
biblioteche private, per accertarsi che non vi comparissero libri tedeschi o svizzeri (religiosi e non).

La struttura censoria
Gli inquisitori pensavano che le idee eretiche si diffondessero in due modi:
1. Attraverso l’oralità
2. Attraverso i libri manoscritti e a stampa.
La Chiesa romana cercava di controllare queste due forme di diffusione, e ciò lo capiamo dagli interrogatori e dai processi fatti
contro i sospettati. Si organizzò una struttura censoria complessa, che prevedeva:
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 Al vertice il Papa, che emanava raramente delle bolle proibitive


 L’Inquisizione o Congregazione del Sant’Uffizio, tribunale come detto istituito nel ’42, con l’obiettivo di individuare e
processare gli eretici, per salvaguardare il dogma della religione. Il tribunale era formato da cardinali che rispondevano
direttamente al Papa e si riuniva una volta alla settimana in sua presenza; è questa Congregazione che procedette
all’istituzione del primo indice dei libri proibiti, redatto nel ’58 ed entrato in vigore nel ’59.
 Il Maestro di Sacro Palazzo, cioè il teologo al servizio del Papa, che lo aiutava nelle questioni dogmatiche più difficili; egli
decideva anche in materia di inquisizione su tutto il territorio romano e di provincia. Questo Maestro aveva molti poteri,
ad es. poteva emanare dei divieti, prendere decisioni indipendenti dai voleri dell’Inquisizione, ecc.
 La Congregazione dell’indice, nata nel ’71 con lo scopo di aggiornare l’indice dei libri proibiti, anch’essa formata da
cardinali che si riunivano varie volte al mese. Aveva un’unica sede a Roma senza ramificazioni e si doveva quindi servire
dell’aiuto dell’Inquisizione, con la quale spesso era in disaccordo. Alla segnalazione da parte dell’inquisitore, la
Congregazione dell’indice doveva affidare ad un esperto (chiamato consultore) il libro in questione, per fargli esprimere
un parere finale: questo sistema era però molto lento e inefficace, e spesso venivano ritirati dal mercato dei libri che magari
non erano stati dichiarati esplicitamente proibiti.  capiamo la confusione presso i librai, dovuta al malfunzionamento
generale di questa struttura.

GLI INDICI DEI LIBRI PROIBITI


I tre indici & la Congregazione dell’indice
L’Inquisizione stilerà 3 indici dei libri proibiti:
 Indice del 1558, detto Indice Paolino
 Indice del 1564, detto Indice Tridentino
 Indice del 1596, detto Indice Clementino
La Chiesa, con gli indici, vuole riuscire a proibire il più largo numero possibile di libri: per riuscire a coprire questo vasto numero,
la Chiesa ragiona per generi. Il problema degli indici è che, nell’idea dell’Inquisizione, essi avrebbero dovuto essere sempre
aggiornati: tuttavia, l’indice del ’58 rimane in vigore fino al ’64, e in questi sei anni la Chiesa non riuscì ad aggiornarlo. Da un indice
all’altro, la Chiesa agisce allora con i “pizzini”, cioè dei foglietti che aggiornavano gli elenchi e che venivano inviati per lettera a tutti
gli inquisitori. Il motivo della difficoltà degli aggiornamenti è da ricercare nelle scelte che verranno attuate dalla Chiesa in questi
anni, le quali si rivelano confusionarie: il criterio con cui si stabiliva quali libri fossero proibiti non era chiaro e inoltre il numero
degli inquisitori era scarso. Si palesano vari problemi di controllo da parte della Chiesa, che vorrebbe controllare tutta la produzione
libraria ma non riesce in questo intento.

Nel 1571, l’Inquisizione crea la Congregazione dell’indice, altra istituzione con il compito di stilare ed aggiornare gli indici, in modo
da sgravare da questo lavoro il tribunale principale. Tuttavia, i cardinali dell’Inquisizione e quelli della Congregazione sono spesso
in contrasto tra loro, e quindi l’istituzione non sarà funzionale per via della mancanza di un dialogo efficace fra i vari cardinali.

L’indice del 1558 o Indice Paolino


Questo indice è diviso in 3 “classi”, le quali sono il frutto di una riflessione degli inquisitori, che stilano una sorta di “scala della
pericolosità”. Le classi in ordine di pericolosità sono:
1. Gli autori di cui è proibita tutta l’opera, ad es. Erasmo da Rotterdam, reo di aver richiesto una maggiore affidabilità dei
testi sacri, di aver ritenuto necessaria la diffusione in volgare dei testi sacri, ecc.
2. Gli autori di cui sono proibite solo alcune opere, ma ancora considerati cattolici, ad es. Machiavelli, Aretino, ecc.
3. Gli autori anonimi: se un autore non indica il suo nome, allora egli stesso ritiene la sua opera pericolosa e quindi verrà
proibita.
L’indice del ’58 stila anche un elenco di luoghi proibiti, presso i quali non si possono più acquistare libri: quindi città tedesche,
svizzere, olandesi.

LEZIONE 14 (19-10-22)
L’indice del 1564 o Indice Tridentino & l’espurgazione
Questo secondo indice venne preparato durante il Concilio di Trento, tra il ’45 e il ’64: con esso si voleva tentare di rendere meno
aspro l’indice preesistente, ma in realtà si vennero a creare vari problemi.
Anzitutto, si rividero gli autori che erano stati inseriti nella prima classe, ad es. Erasmo venne fatto slittare nella seconda classe, per
cui sue opere come gli Adagia vennero rimesse in circolazione, ma previa espurgazione  questa procedura (chiamata così per
richiamare il “Purgatorio”) prevedeva che l’opera potesse circolare nuovamente solo dopo essere stata rivista e corretta dai censori;
le opere in attesa di espurgazione erano indicate con la dicitura “libro proibito fino a quando non sarà espurgato”. Autori che
subirono l’espurgazione furono Erasmo, Petrarca, Machiavelli, Boccaccio, ecc.
Questa procedura poneva un problema: molte opere vennero ritirate dal mercato in attesa di espurgazione e l’Inquisizione doveva
incaricare qualcuno per correggere i testi (solitamente erano dei religiosi domenicani), e si trattava perciò di una procedura molto
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Storia della Stampa e dell’Editoria (2022/23) | Rosa Ginevra

lunga e laboriosa. In questo modo, moltissimi testi italiani vennero stravolti e “spiritualizzati”: ad es. in varie opere di Petrarca si
trasformò la figura di Laura nella Madonna, e si passò così da tematiche amorose/oscene a tematiche religiose (si parla ad es. di
Canzoniere “spirituale”)  l’opera di Petrarca venne modificata, soprattutto dal consultore Malipiero, sui tre livelli di Laura,
dell’amore e della Chiesa romana (questo avvenne ad es. per il sonetto L’avara Babilonia à colmo il sacco). Molti stampatori, di
fronte a questi stravolgimenti, si rifiutarono di stampare ancora Petrarca. La stessa cosa si tentò di fare per altre opere come il
Decameron e l’Orlando furioso, anche se quest’ultimo era piuttosto difficile da proibire, in quanto moltissime persone lo
conoscevano a memoria.
Si iniziò a pensare alla creazione di un Indice espurgatorio, cioè un elenco di libri già espurgati e modificati  verrà pubblicato un
solo volume nel 1607, quasi tutto costituito da testi giuridici: infatti, i consultori davano la precedenza ai libri ritenuti importanti,
cioè quelli legati alle professioni giuridiche e mediche. Ciò significa che la letteratura era considerata inutile e che poteva quindi
aspettare.

L’indice del 1596 o Indice Clementino


I 32 anni che passano tra il secondo e il terzo indice ci rendono conto delle enormi difficoltà che sorgevano nella redazione di questi
elenchi. Nel ’96 si voleva idealmente tornare al primo indice, perché si considerava quello del ’64 troppo poco rigido: nel frattempo,
infatti, l’ala intransigente dell’Inquisizione aveva preso sempre più importanza. Rimase in vigore l’espurgazione.

Quando un libro veniva proibito, come si diffondeva la notizia?


Dopo l’istituzione della Congregazione dell’indice nel ’71, quando il segretario della congregazione riceveva delle segnalazioni,
aspettava circa un mese per poi informarne le inquisizioni locali, tramite dei fogli volanti, con l’idea che questi sarebbero poi serviti
per aggiornare l’indice  si aspettava circa un mese per avere più segnalazioni da riportare tutte insieme. Questo sistema era quindi
molto lento e allora, l’inquisitore locale, che temeva di essere ritenuto negligente, spesso ritirava preventivamente anche dei libri
che poi non erano considerati realmente proibiti.

LE RIPERCUSSIONI DELL’INQUISIZIONE SUL MERCATO LIBRARIO


Sicuramente, il sistema censorio porterà dei grandi problemi anche a livello commerciale. Ad es. Venezia, che era stata la capitale
dell’editoria fino ad allora, si ritrovò costretta a togliere dal mercato moltissimi libri. Prendiamo l’es. di Giolito, il più grande
tipografo veneziano del ‘500, che si trovò costretto a eliminare dal suo catalogo vari libri in attesa di espurgazione. Venezia, tuttavia,
si trovava ancora in una posizione privilegiata, infatti si tratta dell’unico Stato italiano in cui esisteva anche la censura laica e non
solo quella religiosa: questo perché la stampa era ritenuta uno strumento fondamentale per il commercio e il Governo veneziano
non voleva che venisse frenata troppo dalla Chiesa.

LA “BIBLIOTECA UNIVERSALE” DI GESSNER


Si tratta dell’ultimo tentativo di redigere una bibliografia universale, che voleva tenere insieme tutta la storia letteraria d’Europa.
L’opera venne pubblicata a Zurigo nel 1545 da parte di Gessner, il quale a quest’altezza ancora non credeva che Roma potesse
chiudere del tutto la comunicazione tra mondo cattolico e mondo protestante: cercò allora di costruire questa enorme bibliografia,
comprendente le opere europee in latino, greco ed ebraico (vennero escluse le lingue volgari proprio per rendere la bibliografia
universale) di tutte le discipline: è una sorta di specchio del mondo umanistico così come appariva prima della frattura del mondo
cristiano.

LEZIONE 15 (24-10-22)
Parziale sulle prime 14 lezioni

LEZIONE 16 (25-10-22)
Conferenza per il ventennale di Centro Apice

LEZIONE 17 (26-10-22)
Lezione su invito di Marco Francalanci
“STAMPA E COMUNICAZIONE. I FOGLI VOLANTI TIPOGRAFICI NELLA PRIMA ETÀ MODERNA”

I testi scritti sono sempre degli atti comunicativi; certe tipologie di testi sono caratterizzate da un più forte afflato comunicativo, in
particolare parliamo dei fogli volanti manoscritti o tipografici, che, pur essendo nati in precedenza, ebbero una diffusione capillare
nell’età moderna – e sono diffusi ancora oggi.

I fogli volanti sono definibili attraverso la loro struttura materiale, il loro contenuto, i loro produttori e i loro fruitori:

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 Struttura: Questi fogli non venivano legati insieme ad altri per formare dei fascicoli e quindi venivano fatti circolare
singolarmente; spesso, proprio perché venivano affissi, erano scritti solo sul recto.
 Contenuto: Potevano contenere documenti di tutti i tipi, soprattutto religiosi (vite dei santi, preghiere, ecc.) e giuridici
(leggi, decreti, editti, ecc.), ma potevano ospitare anche testi di larga circolazione (racconti, barzellette, ecc.), nonché
immagini xilografiche ed avvisi pubblicitari. Questi sono tutti usi che anche oggi sono comuni.
 Produttori: Al variare dei produttori – termine con cui si intendono sia gli autori e sia gli stampatori –, varia ovviamente
anche il livello culturale dei fogli: le variabili relative ai produttori sono numerosissime e spesso difficili da analizzare.
 Fruitori: Parlando di fruitori, si prende in considerazione un vario numero di possibilità: la società, nell’età moderna, era
infatti formata da persone alfabetizzate in modo diverso. Bisogna quindi studiare l’argomento caso per caso.

Questi 4 punti non sono del tutti divisi, ma c’è una relazione che li lega. Ricordiamo il bibliografo McKenzie, che afferma che la
forma e la materialità influenzano il contenuto: non si tratta di un’idea nuova, ma egli ha il merito di averla teorizzata ed esplicitata.
Ricordiamo anche Chartier, importante per gli studi sulla Bibliothèque bleue, che hanno portato a delle riflessioni riguardo alla
relazione tra formato del libro e pubblico fruitore. La materialità influenza anche la conservazione dei documenti: un foglio non
legato e fascicolato ha sicuramente meno possibilità di conservarsi nei secoli. Queste scritture sono importanti da studiare perché
non riguardano solo lettori di élite, ma tutto il popolo.
Ricordiamo Baxandall, storico dell’arte, che ha scritto Pittura ed esperienza sociale nel ‘400 e Forme dell’intenzione: quest’ultimo
concetto ha anticipato la teoria di McKenzie e ha permesso a Baxandall di riflettere sul ruolo dell’artista nella trasmissione delle
volontà dell’autore. Chiunque si trovi a produrre un artefatto, si trova di fronte a un problema e l’artefatto gli permette di risolverlo:
quando un tipografo stampa un testo, si trova di fronte al problema di come diffondere quel messaggio, e stampare il testo costituisce
un modo per farlo. Siamo sempre di fronte alla sfida di dover aumentare la capacità comunicativa. Questo è l’apporto di Baxandall
nello studio della ricezione dei contenuti.

GLI STUDI STORIOGRAFICI SUI FOGLI VOLANTI


Come detto, la materialità di questi fogli ha influito sulla loro conservazione. Uno dei primi studiosi italiani che ha riflettuto su
questo tema è stato Rozzo, che ha studiato la relazione che sussiste fra la materialità dei prodotti e la loro sopravvivenza. Rozzo è
stato un bibliografo le cui ricerche sono state importantissime nel mettere in luce questo problema che non era stato considerato in
precedenza, trattato in opere come La strage ignorata e La strage degli innocenti.

Secondo nome importante in questi studi è quello del paleografo Petrucci, che si è occupato di fogli volanti ad es. nel saggio
introduttivo da lui scritto per La nascita del libro di Febvre e Martin, intitolato Per una nuova storia del libro:
 Incentivo per la nascita della stampa da parte dei fogli volanti.
 Importanza dei fogli volanti nell’economia dei primi stampatori: gran parte del lavoro delle prime stamperie era
costituito dalla produzione di questi fogli.
 Definizione delle “scritture esposte”: qualsiasi tipo di scrittura concepita per essere usata in spazi aperti o chiusi, per
permettere una lettura plurima e a distanza di un testo scritto su una superficie esposta; condizione necessaria perché la
fruizione avvenga è che la scrittura esposta sia abbastanza grande e presente in modo sufficientemente evidente, e che il
messaggio veicolato sia chiaro.

UNA TIPOLOGIA SPECIFICA DI FOGLI VOLANTI: LE GRIDE


Le gride venivano affisse in luoghi altamente significativi dal pov del valore simbolico e contingente, quindi luoghi molto
frequentati, come piazze, mercati, chiese, ecc. Le gride venivano affisse per 2 motivi:
1. Offrivano la più ampia circolazione possibile a tali documenti, che ospitavano solitamente regole, norme, leggi nuove
2. Esprimevano il valore politico dell’occupazione dello spazio pubblico.

Gride manoscritte & Gride tipografiche


Quando si passa dalle gride manoscritte alle gride tipografiche, gli stampatori si trovano di fronte al problema di dover rendere
queste scritture il più facilmente intellegibili possibile, in quanto riportavano leggi importanti che dovevano essere comprese da
tutti. Cambia quindi ad es. la struttura dell’impaginazione:
 Struttura delle gride manoscritte – struttura tripartita:
 Troviamo in cima l’intestazione
 Troviamo nel piè di pagina la nota di pubblicazione
 Troviamo al centro il testo, le firme dei sottoscrittori e il sigillo (che certifica la veridicità del documento).
 Struttura delle gride tipografiche:
 Raddoppia l’intestazione, con l’inserimento di una stringa che chiarisce il contenuto
 Viene inserito lo stemma, che aiuta gli analfabeti a comprendere subito l’area di appartenenza del documento
 Troviamo poi il testo della norma, le firme (ancora manoscritte)

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 Infine le note tipografiche, che permettevano ai tipografi di farsi pubblicità e di dichiarare il loro schieramento in
favore del potere civile.

Spesso, la stampa di questi documenti veniva affidata a dei tipografi attraverso lo strumento della privativa o privilegio.

Quando si facevano circolare gride manoscritte, queste erano scritte da mani diverse. La variabile dei produttori è quindi
fondamentale in questo contesto, perché vari copisti potevano avere competenze diverse: ad es. non era formalizzato l’uso della
punteggiatura e degli accenti, oppure alcuni usavano delle abbreviazioni nelle scritture latine ed altri no, ecc.

In alcuni casi, anche dopo l’arrivo della stampa, le gride erano mantenute manoscritte: ad es. talvolta la stampa era ritenuta non
necessaria oppure ancora si realizzavano le gride a mano per diversificare i prodotti. Spesso, i prodotti manoscritti sono utilizzati
come base per la resa tipografica.

LEZIONE 18 (02-11-22)
PRESENTAZIONE DEL LIBRO “LIBRI DI LETTERE” di LODOVICA BRAIDA
ORIGINE E FUNZIONE DEI LIBRI DI LETTERE IN ITALIA
Nel ‘500 ebbe molto successo il genere letterario dei libri di lettere, in cui le lettere di persone illustri venivano raccolte e pubblicate
dagli stampatori.
Montaigne, filosofo francese, recatosi in Italia, scrisse nel suo diario che “gli italiani sono grandi stampatori di lettere”: questo,
infatti, è un fenomeno prettamente italiano, derivante dalla tradizione classica: esistevano infatti, già in epoca romana, epistolari
di uomini importanti, come quelli di Seneca e Cicerone. Verranno poi pubblicati libri di lettere in volgare. Perché?  Si pensa che
la lettera possa essere uno strumento per insegnare a chi legge a scrivere con un buon volgare italiano: per questo motivo, vengono
scelte lettere di personaggi ai vertici della cultura, come grandi autori, diplomatici, segretari di Stato, ecc. Queste lettere sono quindi
considerate dei modelli per ben scrivere e ben parlare un volgare “elegante”.
Le lettere sono una rappresentazione delle gerarchie sociali, in quanto, a seconda del destinatario, si utilizzano intestazioni, forme
verbali, forme di saluto, ecc. differenti. Proprio per questo motivo, le raccolte epistolari servivano per essere imitate dal popolo, per
imparare a parlare e scrivere in volgare, affinché quest’ultima smettesse di essere una lingua “di secondo piano” rispetto al latino.

LE EDIZIONI CINQUECENTESCHE E LE TIPOLOGIE DI LIBRI DI LETTERE


A partire dal 1538 e fino alla fine del secolo, vengono stampate più di 500 edizioni di libri di lettere. Proprio il 1538 è l’anno in cui
Pietro Aretino pubblica il suo primo libro di lettere, in cui raccoglie le epistole da lui scritte ai suoi amici. Nel 1539, Aretino avrà
già pubblicato 10 edizioni e verrà imitato dagli altri stampatori, che cercavano di seguire il suo successo.  Aretino, ed anche Nicolò
Franco che pubblicò un libro di lettere in volgare nel 1539, fecero da “apripista” agli altri stampatori, che si cimentarono poi nel
genere.
Le raccolte di lettere non erano tutte uguali: vi sono ad es. raccolte d’autore (come quelle di Aretino), il quale vuole mettersi in
mostra pubblicando le proprie lettere; vi sono poi le antologie di lettere, in cui gli stampatori-editori mettono insieme varie lettere
di autori diversi (tutti comunque provenienti dagli alti ceti della società); terza tipologia è quella delle lettere di segretari per i
segretari (sottogenere che si afferma dal 1564, di tipo professionalizzante, in quanto i segretari vogliono insegnare come scrivere
agli altri segretari).  tra le 500 edizioni del 1500 rientrano tutte e tre le tipologie.
Questi sottogeneri nascono perché gli stampatori volevano diversificare la produzione dei libri di lettere, per aumentare al massimo
i loro profitti. Studiando le varie edizioni, si può vedere l’evoluzione del genere.

IL PROBLEMA DEL DIRITTO D’AUTORE E L’AUTOPUBBLICAZIONE


Durante il 1500 non esisteva il diritto d’autore (arriverà in Italia solo nel 1861), quindi non era necessario chiedere il permesso agli
autori delle lettere affinché queste potessero venir stampate: nasce così un mercato delle lettere basato sul furto. Proprio per questo
motivo, molti autori cercarono di proteggersi anticipando loro stessi la pubblicazione delle proprie lettere. Abbiamo ad es. il caso
di Claudio Tolomei, autore di numerosissime lettere: quando venne a sapere che alcune sue lettere erano state rubate e date agli
stampatori, egli stesso curò un’edizione delle sue lettere prima che potessero farlo gli stampatori.
Per questo stesso motivo, molti autori denunciavano anche una perdita di naturalezza: il timore di vedere le proprie lettere
pubblicate comportava un maggior controllo da parte degli autori nella fase di scrittura.
In quest’operazione, chi ci guadagnava erano soprattutto tanti piccoli giovani autori, che si recavano appositamente a Venezia per
collaborare con stampatori di prestigio, a cui affidavano il compito di raccogliere lettere altrui per pubblicarle in antologie,
all’interno delle quali aggiungere delle proprie lettere: questo dava loro la possibilità di elevare la propria figura.

LE ANTOLOGIE DI LETTERE E IL LAVORO DEGLI STAMPATORI


Le raccolte, solitamente, comprendevano circa 140-150 lettere delle più svariate tipologie: quindi lettere di gioia, di dolore, di
condoglianze, di paura, ecc. Perciò comprendevano raccolte d’autore, antologie e lettere per i segretari: fra queste, le antologie sono
le più ricche ed interessanti, in quanto, avendo più voci al loro interno, risultavano essere più eterogenee. Inoltre, studiando le
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Storia della Stampa e dell’Editoria (2022/23) | Rosa Ginevra

antologie, si possono anche cogliere la volontà e il pensiero dello stampatore che le ha composte. Lo stampatore, infatti, doveva
scegliere le lettere e poi ordinarle, e solitamente questo veniva fatto più per tematica che per autore. Lo stampatore, poi, se
necessario, ritoccava le lettere, per sistemare o cancellare qualche frase: questo si sa grazie a quelle poche lettere originali rimaste
in seguito alla stampa, con le quali si possono confrontare le edizioni stampate per vederne le differenze (gli originali rimasti sono
pochi perché tendenzialmente venivano buttati dopo che la lettera era data alla stampa).
Nelle antologie troviamo delle introduzioni degli stampatori, in cui essi spiegano il motivo di tale raccolta. Ad es. Paolo Manuzio,
nel 1542, anno in cui viene fondata l’inquisizione, pubblicò Lettere volgari – Libro primo, nel quale scrive di aver voluto pubblicare
una “genere breve” (la lettera, appunto, lunga circa 4-5 pagine), meno impegnativo e avente tematiche varie (temi politici, culturali
e religiosi).
Talvolta, in queste lettere dedicatorie in apertura delle antologie, si fa riferimento al pubblico a cui ci si rivolge. Ad es. Paolo Manuzio
dice di voler fare un’antologia per tutti, in quanto il volgare stava diventando la lingua di tutti i giorni.

I LIBRI DI LETTERE DI PAOLO MANUZIO


Paolo Manuzio pubblicò tre volumi di epistole, intitolati Lettere volgari (Libro primo, Libro secondo, Libro terzo), che avranno
diverse edizioni (il primo 14, il secondo 12, il terzo 2). La fortuna di questi volumi è data da tre fattori:
 L’utilizzo di un linguaggio alto, quindi troviamo solo lettere di personaggi di spicco
 Il controllo linguistico, cioè il volgare utilizzato nelle lettere è un volgare colto
 L’utilizzo dell’informazione, cioè nelle raccolte compaiono anche alcune lettere che parlano della riforma protestante.
Tuttavia, inizialmente, la censura ecclesiastica considerava queste raccolte come opere letterarie, e dunque non venivano
controllate.
Cosa possiamo osservare di diverso da un’edizione all’altra?  Nel passaggio tra le edizioni, complice la crescente censura
ecclesiastica, si nota che Manuzio sostituisce le lettere che parlano di temi religiosi con lettere di altre tipologie: si parla dunque di
autocensura. Infatti, nelle prime edizioni delle antologie di Manuzio erano presenti alcune lettere che parlavano della riforma
protestante, questo però prima che nascesse l’Inquisizione. Nell’edizione del 1542, ad es., troviamo 15 lettere del vescovo Vergerio:
successivamente, nell’edizione del 1544, ne troviamo solo 10 e, in quella del 1545, anno in cui il vescovo verrà dichiarato eretico,
ne troviamo solamente 3.  Capiamo come queste antologie, essendo costituite da testi brevi, potessero, più facilmente di altri
generi editoriali, essere sottoposte all’autocensura.
Particolari autori pubblicati da Manuzio erano i cosiddetti “spirituali”, ovvero un gruppo di persone né protestanti né cattoliche che
criticavano entrambe le Chiese: quella di Roma perché eticamente inaccettabile, quella protestante (sia di Lutero, sia di Calvino)
per via della spaccatura che aveva provocato. Quindi Manuzio, amico di vari “spirituali”, pubblicò le loro lettere a tema religioso.
Come ha fatto allora Paolo Manuzio a salvarsi dall’accusa di eresia?  Per non venir accusato dalla censura ecclesiastica, Manuzio
sposterà la propria stamperia a Roma per diventare il tipografo del Papa.

LE LETTERE DEI SEGRETARI PER I SEGRETARI


Per via della censura, quindi, le antologie di lettere non potranno più essere così ricche di argomenti. Ecco che nel 1564 esce il
volume Lettere del segretario, prima antologia di lettere per i segretari: si tratta di una strategia atta a salvare questo genere di
grande successo, facendo capire come esso non fosse “pericoloso” in quanto non trattava di temi religiosi.

IL PROBLEMA DELLA CENSURA


Studiando questi libri, possiamo lavorare su tre livelli:
 Il problema della censura
 Il problema dell’autocensura
 Il problema dell’espurgazione.

Espurgazione dei libri di lettere


Ricordiamo che l’espurgazione venne introdotta con l’Indice Tridentino del 1564 per far sì che un libro proibito potesse tornare a
circolare. Anche i libri di lettere potevano subire l’espurgazione: ad es. Orazio Brunetto, medico veneziano, aveva pubblicato una
raccolta delle proprie lettere nel 1548, trattando anche di temi religiosi; l’opera venne censurata e nel 1597 venne pubblicata la
versione espurgata: nell’intestazione si specifica come il libro sia ora a disposizione di chiunque volesse scrivere in modo “polito”
(= pulito), termine che fa riferimento alla purificazione subita dal testo.
La maggior parte delle opere messe da parte per l’espurgazione, però, non verrà più fatta circolare, poiché nessuno si voleva
prendere la responsabilità di “purificare” i testi.
Con l’espurgazione, venivano cancellate tutte le parole che rimandavano al mondo degli ecclesiastici; tutti i termini che si riferiscono
al fato, al destino, ecc.; tutte le espressioni dell’astrologia giudiziaria, ossia l’oroscopo (quindi non si potevano fare previsioni sul
futuro individuale), ma non quelle dell’astrologia naturale (previsioni sulla natura, sul clima, ecc.).

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Censura & Libro manoscritto


La censura permise al libro manoscritto di sopravvivere più a lungo: dopo l’invenzione della stampa, il manoscritto stava sempre
più scomparendo, ma con la censura e il divieto di stampare certi libri, il manoscritto torna segretamente in auge  alcuni generi
non scompaiono perché sopravvivono in edizioni manoscritte, come i libri di astrologia giudiziaria, i libri di magia, i libri sui sogni,
sulle canzoni erotiche, ecc.

Censura, Libri di lettere & Loci communes


Il genere dei libri di lettere diventa sempre più debole, poiché, per aggirare la censura, gli stampatori decidono di eliminare date,
luoghi e nomi dalle epistole: si perde così ogni legame storico e tali libri sono ridotti a mere raccolte di modelli da imitare. Si
diffondono, in questa fase, anche i loci communes, ossia libri di citazioni di autori importanti, divise per argomento ma
completamente decontestualizzate, che quindi non destavano preoccupazione negli inquisitori. Erano usati come formulari per
arricchire le proprie lettere, ma si perdeva così ogni legame con la Storia.

LEZIONE 19 (07-11-22)
RIPERCUSSIONI DELL’INQUISIZIONE SULLA LETTERATURA
L’istituto censorio cambia completamente il volto della letteratura, ritirandola dal mercato oppure espurgandola. Ricordiamo i roghi
dei libri. Tutto ciò restituisce ai lettori l’idea di diffidenza nei confronti dei libri e perciò la pratica della lettura diminuirà, in quanto
percepita come peccaminosa.
Perché la Chiesa temeva i testi religiosi (in primis Bibbia e Vangelo)?
 Paura del contagio con la riforma protestante
 Paura della contaminazione tra sacro e profano.
La Chiesa temeva anche le cosiddette scritture minori, cioè tutti quei generi di poche pagine, ad es. gli avvisi, le critiche anticlericali
manoscritte (dette pasquinate), le forme di proto-giornalismo, le poesie satiriche, ecc. La Chiesa temeva anche l’oralità e la
memorizzazione.
Tutto questo vale fino al ‘700, infatti in seguito gli Stati italiani si daranno delle regole per gestire la censura. Nel 1743 abbiamo
l’Editto del Granduca di Toscana, che dice che tutto ciò che avviene nella giurisdizione del suo Stato lo avrebbe deciso lui, quindi
ciò comprendeva anche la censura e la letteratura che poteva circolare  gli autori dovranno da allora inviare il loro materiale non
al censore ecclesiastico ma al censore laico, e questo valeva per la letteratura, i libri di filosofia, di storia, ecc. Capiamo come nel
XVIII secolo si sentisse la necessità di sottrarsi alla potenza e all’invadenza della Chiesa.
La Chiesa, perciò, non riuscirà più a controllare tutti i libri che vorrebbe condannare (ad es. quelli giurisdizionalisti, cioè libri in
cui gli autori difendono i diritti degli Stati laici contro il potere della Chiesa, prendendo posizione giuridica in difesa degli Stati), o
perché passano sotto il controllo della censura laica o perché si riesce a ricorrere a stratagemmi per farli circolare comunque.
Quest’ultimo è ad es. il caso dei libri sotto falsa data, ovvero libri che vengono fatti uscire con indicati dei luoghi di stampatura
falsi, per cercare di eludere la censura.
Altri libri condannati dalla Chiesa erano i libri di svago, ma anche in questo caso a partire dal ‘700 gli stampatori riuscirono a
portare alla luce tali prodotti, dando come giustificazione il fatto che fossero letture che non rimanevano nella memoria e perciò
non erano pericolose. Ad es. a Venezia lo stampatore-editore più importante che riuscì a portare alla stampa vari romanzi fu
Pasinelli: secondo lui il romanzo era un genere fondamentale che avrebbe potuto svecchiare l’editoria; sapeva tuttavia di avere due
nemici, ossia la censura ecclesiastica e i letterati tradizionalisti, che si erano formati sulla poesia e che erano sfavorevoli alla
diffusione del nuovo genere del romanzo. Pasinelli era conscio della necessità di far percepire al lettore di non star commettendo
una colpa nel leggere i romanzi: lo stampatore dirà quindi che i romanzi non fanno sprecare tempo ed energia preziosi ai lettori, che
in questo modo non si colpevolizzavano.
Perché nel ‘700 era ancora necessario che lo stampatore difendesse apertamente il romanzo?  Si diceva che i “lettori
disobbedienti”, cioè che non leggevano le opere della Chiesa, si “contaminavano il cuore”, perdendone la purezza. Si invitava quindi
a bruciare i libri peccaminosi, affinché non si rischiasse di intaccare, con essi, la propria moralità. La lettura era quindi ancora
considerata una pratica peccaminosa, quando non era rivolta alle opere “del buon cristiano”: tutti questi aspetti erano inseriti in
veri e propri “manuali del buon cristiano”. I generi più condannati erano il romanzo e il poema epico-cavalleresco, ritenuto
comparabile al primo per il grande successo presso il pubblico, soprattutto per via della trattazione dei temi amorosi. Nei manuali
si esprimeva la paura che i lettori, leggendo i romanzi e i poemi cavallereschi, potessero immergersi così tanto nelle vicende da
comportarsi poi allo stesso modo dei personaggi, lasciandosi quindi vincere dalle passioni amorose.

LEZIONE 20 (08-11-22)
Lezione su invito di Aurelio Bosi & Giorgio Caravale
PRESENTAZIONE DEL LIBRO “LIBRI PERICOLOSI” di GIORGIO CARAVALE

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Storia della Stampa e dell’Editoria (2022/23) | Rosa Ginevra

LEZIONE 21 (09-11-22)
Modulo C: I mestieri della circolazione del libro (XV-XVIII secolo)
IL ROMANZO ITALIANO NEL ‘700
LE STRATEGIE DI CONTROLLO PERSUASIVE
La Chiesa, nel ‘700, continua ad esercitare il controllo attraverso i manuali di comportamento, l’oralità, le encicliche e il catechismo.
Nelle encicliche si fa spesso riferimento ai nuovi pericoli verso cui vanno incontro i fedeli, tra cui i “libri licenziosi”, cioè i romanzi.
Si riteneva che il pubblico più in pericolo fosse quello delle donne, poiché considerate persone più fragili e tendenti ad assumere i
comportamenti licenziosi che andavano a leggere nei romanzi. Si diceva che questi ultimi operassero delle “trasformazioni
diaboliche” sulle donne, che si identificavano con i loro personaggi e tendevano quindi a comportarsi come loro. Questi erano i
maggiori timori dei cattolici, che venivano espressi nei manuali di comportamento, in cui si mettevano in guardia i genitori e gli
uomini, affinché i bambini e le donne non entrassero in contatto con certi libri; si invitavano inoltre i parroci a controllare di più i
fedeli. Queste sono le strategie di controllo persuasive che venivano attuate in sostituzione delle strategie repressive e oppressive
degli anni precedenti.

LE DIFFICOLTÀ DEL ROMANZO IN ITALIA NEL ‘700


Tutto ciò spiega come mai in Italia il romanzo faccia più fatica ad emergere e ad esprimersi rispetto a quanto poteva fare in altri
Paesi; i romanzi iniziano a comparire frequentemente nei cataloghi dei librai a partire dalla metà del ‘700, in particolare titoli inglesi
e francesi, sia in lingua sia tradotti in italiano. Di fronte a questa difficoltà di emersione del romanzo, però, i lettori ne facevano
grande richiesta. Per lungo tempo, il romanzo e il teatro si influenzarono moltissimo a vicenda, sia per i temi sia per i personaggi;
ricordiamo ad es. Goldoni e soprattutto Chiari, che scriveva sia commedie sia romanzi sia poesie.
Nel ‘700 i romanzi italiani erano pochi e di basso livello letterario: si riteneva che fosse un genere di infimo livello, al quale i grandi
autori colti non si sarebbero dovuti abbassare (ad es. ci furono grandi critiche anche nei confronti di Manzoni quando scrisse i
Promessi sposi, da parte di Tommaseo, che disse che l’autore si era “abbassato” a scrivere un romanzo)  il romanzo italiano ha
dovuto scontrarsi con due nemici: la censura ecclesiastica da un lato e la posizione degli uomini colti formatisi sulla poesia dall’altro.
È per questo motivo che abbiamo una sorta di “oblio” intorno al romanzo italiano 700esco, poiché gli studiosi non si sono
concentrati su di esso, e farlo sarebbe anche complicato in quanto si sono conservati pochi esemplari.
I due più importanti romanzieri del ‘700 italiano furono Pietro Chiari (in grande rivalità con Goldoni, che però non scriveva
romanzi) e Antonio Piazza.
La storia del romanzo italiano è stata completamente riscritta negli ultimi 30 anni, in particolare con le ricerche di Asor Rosa,
Clerici, Madrignani.

I GIUDIZI SUL ROMANZO E LA QUESTIONE DELL’ANONIMATO


Tra i giudizi negativi sul romanzo da parte dei cattolici troviamo in particolare il fatto che esso piaceva a tutti: questo è negativo
perché alcuni lo ritenevano il segno che il ‘700 fosse un secolo corrotto, un secolo in cui erano scomparsi tutti i principi morali, e
questo si rifletteva appunto nei romanzi. Possiamo però osservare due posizioni antitetiche, infatti c’erano anche coloro che
credevano che il romanzo fosse uno strumento utile per rieducare la popolazione della nuova società 700esca. Inoltre, alcuni
ritenevano che i romanzi non fossero rivolti solo alle donne, ma anche agli uomini che volevano un po’ di svago e di divertimento.
 Queste considerazioni si trovano ad es. nel romanzo Narcisa di Piazza, sul quale però non compare il suo nome e inoltre viene
detto che si tratta della traduzione di un romanzo inglese: questo viene fatto per tutelare la sua produzione, per non far sapere che
aveva scritto un romanzo e per evitargli le critiche, in quanto non si sarebbe criticato un romanzo inglese come uno italiano.
Interessante il fatto che quando iniziarono a emergere romanzi di autrici donne, queste non mettevano il loro nome in copertina e
usavano invece degli pseudonimi maschili. In generale, spesso si manteneva l’anonimato sui romanzi, perché ancora si temeva la
censura e inoltre non si voleva essere additati come autori di romanzi.  Lavorare sull’anonimato è molto complicato, soprattutto
perché ne esistono diverse forme: ad es. casi in cui l’autore stesso vuole rimanere anonimo, casi in cui è l’editore a volere
l’anonimato, ecc. Ricordiamo 3 strategie messe in atto dall’editore per fidelizzare i lettori sfruttando l’anonimato:
1. Dicitura “by a lady” nel frontespizio: spesso si inseriva questa frase ad inizio libro per attirare le lettrici donne, che
credevano così che il libro fosse stato scritto da una donna. Questo poteva essere vero e serviva quindi per nascondere il
nome dell’autrice, ma poteva anche essere falso e solo un espediente editoriale.
2. Dicitura “by the author of”: anche non indicando il nome dell’autore, spesso si esplicitava il fatto che un libro x fosse stato
scritto dallo stesso autore di un altro libro che magari aveva avuto successo in precedenza  era un modo per portare
affiliazione tra i romanzi e per attirare i lettori.
3. L’attribuzione di certi titoli ad un autore x anche se questi non erano effettivamente suoi.
Spesso, oltre che anonime le opere uscivano anche “sotto falsa data”, cioè con l’indicazione di un luogo di stampatura falso.

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PIETRO CHIARI
Prendendo ad es. un autore come Chiari, egli scriveva commedie, romanzi e poesie: notiamo che inseriva il suo nome nelle poesie e
nelle commedie ma non nei romanzi.
Guardiamo lo studio di Madrignani sulla Filosofessa italiana di Chiari, ritenuto il suo romanzo capolavoro; questo aveva due difetti:
in primis era un romanzo e quindi era ritenuto un prodotto scadente, in secondo luogo la protagonista era una donna ed era ritenuto
inaccettabile che una donna venisse considerata in grado di pensare tanto quanto un uomo  per questi due motivi Chiari non
inserì il suo nome e quindi l’opera uscì anonima. L’editore era Pasinelli, che scrisse l’introduzione, in cui si dice che la Filosofessa
italiana è la traduzione di un romanzo francese (ancora strategia falsa per tutelare il romanzo). Questa opera venne piratata
dall’editore-ladro napoletano Vinaccia, che cambiò leggermente il nome per cercare di non fare sgami, e sarà quindi la Filosofante
italiana. Il nome di Chiari non comparirà nemmeno sui suoi romanzi futuri, ma quando inizierà ad avere molto successo tenterà di
unire le sue opere con un filo rosso per non creare confusione tra di esse: nel romanzo La commediante in fortuna, la protagonista
Rosaura dice di aver avuto la fortuna di poter scrivere guardando gli esempi di altri romanzi italiani, e farà un elenco delle altre
opere di Chiari: in questo modo si capisce come questi libri fossero stati scritti tutti dalla stessa penna di Chiari. Nel 1761, poi,
Chiari pubblicherà l’elenco delle sue opere, per prendere le distanze dai titoli che gli venivano attribuiti pur non essendo suoi. A un
certo punto inizieranno a comparire delle opere con il nome di Chiari, che però non si presentava esplicitamente come “autore”,
bensì veniva scritto nell’introduzione “pubblicato da Pietro Chiari”: egli non si prendeva la responsabilità di essere l’autore ma solo
il “curatore”, e in questo modo falsificava ancora una volta la genitorialità dell’opera.

ANTONIO PIAZZA
Piazza fece un passo in più rispetto a Chiari: nelle prefazioni dei suoi libri parlava di sé senza dire esplicitamente il suo nome,
facendo come delle presentazioni in terza persona di se stesso. Nelle introduzioni va in qualche modo a denunciare le edizioni pirata
delle sue opere. Prima di morire, realizzò la sua autobiografia (questa firmata) in cui porta delle critiche verso la pirateria editoriale
italiana.  Abbiamo una differenza con Chiari, che non entrava mai nei romanzi con il suo vissuto e faceva dire le cose alle donne
protagoniste, mentre Piazza inseriva il suo vissuto nei paratesti.

I VALORI CHE SI ESPRIMEVANO NEI ROMANZI SETTECENTESCHI


Guardiamo il romanzo di Chiari La francese in Italia  La protagonista parla in prima persona dicendo “sono oppressa ma non
avvilita, se la fortuna mi ha fatto un torto io non voglio fare ulteriori torti a me stessa” (= è una donna forte che lavora e pensa per
se stessa): nei romanzi di Chiari emergono figure femminili forti e indipendenti, anche se questa non era una realtà propria
dell’Italia. Chiari costruiva questi personaggi perché si ispirava ai romanzi inglesi, e infatti in Inghilterra la donna aveva un ruolo
sociale più importante rispetto che in Italia. Capiamo quindi come questi romanzi portassero dei valori nuovi e sconosciuti per
l’Italia, soprattutto per quanto riguarda il mondo femminile: troviamo infatti donne emancipate che lavoravano come gli uomini e
che ricercavano la propria indipedenza.

L’AMBITO DELLE TRADUZIONI


Guardiamo ad es. l’operato di Goldoni, che tradusse La storia di miss Jenny dell’autrice francese Riccoboni: nell’introduzione si
dice “traduzione arbitraria di Goldoni”. Vediamo come Goldoni porta una versione teatralizzata e moralizzata del romanzo
originale: ad es. il termine “passione d’amore” viene tradotto come “ardore del cuore”  se guardiamo le scelte traduttive di
Goldoni, notiamo come egli abbia voluto adattare il linguaggio per renderlo consono alla tradizione italiana, andando a cambiare
dei termini appunto per rendere il tutto più moraleggiante.

LEZIONE 22 (14-11-22)
PRESENTAZIONE DEL LIBRO “L’AUTORE ASSENTE” di LODOVICA BRAIDA
LA CORSA CONTRO L’ANONIMATO
Nell’800 verranno redatti molti dizionari volti a smascherare l’anonimato; il motivo di questa volontà viene ben spiegato dai
bibliografi francesi: Barbier dice che è inconcepibile che una Nazione possegga dei prodotti culturali di alto livello ma non sappia a
chi attribuirli.
Spesso le opere letterarie venivano pubblicate in forma anonima poiché erano scritte da ecclesiastici, ed essi credevano che produrre
letteratura significasse essere in cerca di attenzioni: per questo motivo non volevano che il loro nome venisse associato a tali opere.
Un esempio di genere letterario che veniva pubblicato anonimo è quello dei libri di viaggio, i cui contenuti spesso confinano con il
giudizio politico, in quanto vi si trovano osservazioni riguardo ai sistemi di governo dei Paesi visitati – ad es. Algarotti nel 1760
pubblicò Lettere sopra la Russia (sotto falsa data) in cui parla di un “governo dispotico”. Altro esempio è Lettere sulla Germania
di Bianconi (1763), pubblicato anonimo in quanto, riferendosi a Dresda e Monaco, l’autore spiegava di aver capito come in realtà
cattolici e protestanti potessero convivere pacificamente.
Un altro genere in cui spesso veniva mantenuto l’anonimato era quello dei libri di larga circolazione: ad es. Goldoni scrisse diversi
almanacchi ma non vi appose mai il suo nome, in quanto riteneva che gli autori di almanacchi “corressero dietro ad inutili fantasie”
e non voleva quindi che tali prodotti gli venissero attribuiti. In generale, non è facile condurre studi sugli almanacchi popolari perché
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le biblioteche non li conservavano, a differenza di quanto facevano invece con gli almanacchi di corte. Stesso discorso può essere
fatto per i libri dei segreti o libri delle professioni, tutti di grande fortuna e di lunga data, ma quasi nessuno con l’indicazione
dell’autore.  Nell’idea dell’anonimato rientra anche la concezione di non mettere il nome su prodotti che non siano di alto livello
culturale.
Altro genere intaccato dall’anonimato è quello dei libri filosofici, soprattutto quelli che criticavano i sistemi politici vigenti, i sistemi
giuridici, ecc. Ad es. ricordiamo Le memorie sulla Bastiglia di Linguet, che riguarda i soprusi vissuti dall’autore nelle carceri
francesi con critiche nei confronti di questo sistema e che ovviamente viene pubblicato anonimo.

IL FENOMENO DELL’ANONIMATO
L’anonimato è un fenomeno fondamentale che ha attraversato diversi secoli, ma nell’editoria è sempre stato trascurato, in quanto
la letteratura si basa soprattutto sugli autori, ritenuti essenziali per dare autorità ai testi: nella storia della letteratura sono sempre
stati centrali gli autori.

Gli autori che volevano rimanere anonimi: Parini


Diversi autori non volevano in alcun modo che il loro nome comparisse nei testi pubblicati. È il caso di Parini: egli pubblicò Il
Mattino (1763) e Il Mezzogiorno (1765) in modo anonimo (probabilmente per via della satira nei confronti del giovane principe
protagonista), anche se in realtà tutti conoscevano la sua identità, ed essi ebbero un enorme successo, per cui gli stampatori
veneziani iniziarono a pubblicarli senza chiedere il permesso e abbassandone anche il prezzo  Venezia si appropriò dei poemetti
milanesi di Parini ed egli non poté protestare, perché le opere erano anonime e inoltre non esisteva ancora il diritto d’autore.
Interessante il fatto che Il Giorno non venne mai propriamente pubblicato da Parini in persona, infatti Il Vespro e La Notte vennero
aggiunti ai due poemetti precedenti solo dopo la morte dell’autore da parte di suoi allievi: solo a questo punto, uscirà l’opera
completa del Giorno con l’indicazione del nome di Parini sul frontespizio.

Gli autori che volevano esplicitare il loro nome: Goldoni


Dall’altro lato, troviamo anche autori che volevano assolutamente esplicitare il loro nome, per acquisire fama con la letteratura: è il
caso di Goldoni, grande difensore dell’autorialità e critico nei confronti della pirateria editoriale. Egli difese la sua autorialità in due
modi: scrivendo sempre delle prefazioni e inserendo sempre un suo ritratto in ogni edizione da lui curata (“edizioni con ritratto
d’autore”). Attraverso queste strategie, Goldoni entra in dialogo con i suoi lettori, rappresentandosi esplicitamente come autore
delle opere: egli pensava che il lettore potesse entrare meglio nell’opera conoscendo il volto dell’autore. Il comportamento di
Goldoni, però, è stato in qualche modo scorretto, vediamo perché  egli pubblicò la prima edizione delle sue commedie nel 1750,
dopo aver firmato, in quanto autore di teatro, un contratto col teatro veneziano Sant’Angelo: un autore di teatro ha un doppio
problema quando si parla di difesa dell’autorialità, cioè da un lato il problema dei testi stampati che hanno tutti gli autori e dall’altro
il problema dell’uso dei testi fatto dal direttore teatrale; senza poi contare il problema delle cosiddette stampe di rappresentazione,
ovvero i casi di pirateria editoriale teatrale, dovuti a persone che andavano ad assistere a pezzi teatrali e che ne facevano poi delle
edizioni-pirata trascrivendo quanto sentito e visto: questi furti erano all’ordine del giorno e sono stati il motivo per cui i testi teatrali,
nati in origine solo per la rappresentazione, a un certo punto iniziarono ad uscire anche come testi a stampa. Goldoni fece quindi
uscire l’edizione a stampa delle sue commedie insieme all’editore Bettinelli e al direttore del Sant’Angelo Medebach, con cui
sottoscrisse un contratto che prevedeva la pubblicazione di tali opere negli anni successivi: successe però che i rapporti tra Goldoni
e Medebach si incrinarono (poiché il direttore gli metteva fretta e voleva pubblicare i testi in forma teatrale, senza lasciare il tempo
all’autore di correggerli) e quindi l’autore agì contro ogni regola dell’antico regime tipografico (= se un testo veniva consegnato ad
uno stampatore, poi esso non poteva venire consegnato anche ad un altro stampatore), andando a Firenze nel 1753 e prendendo
accordi con la stamperia Paperini, a cui vennero consegnate tutte le commedie (leggermente modificate e corrette) già date al
Sant’Angelo. Successe a questo punto il finimondo, poiché Goldoni scrisse nell’edizione Paperini (1758) un attacco contro
Medebach, dicendo di essere stato costretto a lasciare Venezia poiché egli non pubblicava le sue commedie nel modo da lui voluto.
L’editore Bettinelli denunciò Goldoni, il quale poi si auto-scrisse il testo della difesa (ricordiamo infatti che egli nasce come avvocato
e laureato in Legge), che toccava un punto fondamentale: il diritto dell’autore di scegliere i testi che vuole pubblicare e il modo in
cui questi si presenteranno al pubblico (questo perché il testo verrà poi associato all’autore, il quale ha quindi il diritto di voler
difendere il proprio nome e la propria immagine tramite la scelta dei testi pubblicati). Goldoni perse questa causa, ma il suo testo
di difesa rimase una pietra miliare, anche per via del linguaggio usato: ad es. diceva che Medebach e Bettinelli gli avevano “usurpato
un diritto”. Goldoni venne condannato a consegnare 4 testi nuovi a Bettinelli e a comprarne poi mille copie.

LEZIONE 23 (15-11-22)
Lezione su invito di Pierfilippo Saviotti
GIAMBATTISTA BODONI

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Storia della Stampa e dell’Editoria (2022/23) | Rosa Ginevra

LEZIONE 24 (16-11-22)
Lezione su invito di Marina Roggero
PRESENTAZIONE DEL LIBRO “LE VIE DEI LIBRI” di MARINA ROGGERO
In questo libro, Roggero cerca di capire in che modo è stato facilitato l’accesso ai libri per gli italiani, ponendosi varie domande sul
perché spesso gli italiani siano distanti dai libri e dalla lettura. Per farlo, prende in considerazione come grande causa di questo
fenomeno la censura ecclesiastica; considera inoltre il fatto che le classi sociali basse sono arrivate tardi all’alfabetizzazione, con
due conseguenze: la difficoltà di accesso ai libri e la difficoltà nell’uso corretto della lingua italiana (ricordiamo che per lungo tempo
permane la tradizione dell’oralità, in particolare dei dialetti). A monte di questo problema, Roggero parla anche del fatto che gli
italiani non venivano incoraggiati a leggere, se non opere utili per la propria professione o letture devozionali, e mai le letture fatte
per svago. Altro elemento del libro è l’analisi linguistica: Roggero dice che il popolo italiano conquista l’italiano in modo molto
lento.
L’autrice analizza poi le opere che componevano l’universo delle letture popolari, cioè quelle opere rimaste nonostante le
proibizioni, in quanto memorizzate oralmente dalle persone.
L’ultima parte del libro riguarda le trasformazioni del ‘700: durante il secolo, infatti, la censura ecclesiastica diventa sempre meno
rigida e non riesce più a controllare tutte le opere, e di conseguenza il commercio diventa più libero. Cambiano anche le strategie
editoriali degli stampatori italiani, attenti a produrre libri che possano interessare anche i non-colti e i semi-colti: cambiano quindi
i lettori e questo porta ad una modernizzazione dell’editoria.

LEZIONE 25 (21-11-22)
PRESENTAZIONE DEL LIBRO “UN TOUR DE FRANCE LETTERARIO” di ROBERT DARNTON
Darnton è stato uno studioso del commercio del libro in Francia prima della Rivoluzione francese, che ha lavorato su tali temi non
solo tramite gli archivi francesi ma anche tramite quelli delle case editrici produttrici di libri “pirata” per la Francia, che sorgevano
tutte al di fuori del Paese, in particolare nelle città svizzere Neuchatel (sotto il dominio della Prussia ma abbastanza lontana da essa
per poter essere libera di stampare vari libri) e Ginevra:
 A Neuchatel ricordiamo l’importanza della Società tipografica di Neuchatel, una grande tipografia che stampava libri per
tutta Europa: si è conservato quasi del tutto intatto l’archivio della società, in cui compaiono tutte le lettere dei librai
europei che scrivevano a Neuchatel per farsi mandare dei libri; esistono ancora, inoltre, i grandi registri tenuti dalla società
in cui si annotavano tutti i libri inviati. La Società tipografica di Neuchatel, ad oggi, rappresenta l’archivio più grande e
completo del ‘700.
 Per quanto riguarda Ginevra, ricordiamo la famiglia Gosse, composta da importanti stampatori che riuscivano a smerciare
i loro libri in varie zone d’Europa.
Per eseguire le sue ricerche, Darnton si è avvalso anche degli archivi della polizia francese, tra i quali compaiono le carte delle
persone fermate alle frontiere: se esse trasportavano dei libri, questi venivano controllati ed eventualmente sequestrati. Mettendo
insieme tutte le varie fonti, Darnton è riuscito a ricostruire il corpus dei libri più sequestrati del ‘700.
Studiando questi archivi, Darnton è riuscito anche a ricostruire la storia di tutte quelle persone che contribuivano al commercio dei
libri: ad es. venditori ambulanti, uomini “senza radici” e con scarsi mezzi, ecc.  Perché erano soprattutto uomini così marginali
ad occuparsi del commercio? L’editoria, in Francia, era in mano a pochi editori ricchi, i quali possedevano quasi tutte le privative
delle opere più redditizie; i librai di provincia, in questo modo, si trovavano spesso in difficoltà e detestavano quelli ricchi, cercando
in ogni modo di danneggiarli, ad es. consigliando alle società tipografiche “pirata” di Neuchatel e Ginevra quali libri piratare.

Questi studi hanno consentito a Darnton di analizzare anche il linguaggio dei librai che scrivevano alle società tipografiche pirata:
lo studioso ha così scoperto che essi usavano parole molto diverse da quelle odierne  ad es. per parlare di libri proibiti, spesso
usavano il termine “libri filosofici”, che in realtà includeva tutti i libri di cui era proibita la vendita: si parla quindi di libri
effettivamente filosofici, ma anche di libri “scandalosi” (= cronache scandalose che imitavano il linguaggio giornalistico e che
raccontavano solitamente le storie di corte) e di romanzi (sia romanzi tradizionali senza particolari critiche al clero, sia romanzi al
limite della pornografia in cui spesso i personaggi nobili erano immorali). Dietro la pratica di chiamare tutte queste tre tipologie col
termine “libri filosofici” stava una logica di tipo commerciale. Darnton scopre che, per poter vendere tali libri proibiti, questi
dovevano venir venduti insieme a libri leciti: ricordiamo che i libri venivano venduti non ancora rilegati e quindi, in questo modo,
si potevano “mischiare” i fogli per nascondere quelli proibiti.

Lavorando sugli archivi di polizia, Darnton ha potuto incrociare i dati, osservando quali libri acquistati dalla Francia presso
Neuchatel fossero i più sequestrati.  Ha individuato così circa 700 titoli, da lui raggruppati sotto il termine “corpus dei libri
proibiti del ‘700”: si tratta soprattutto di romanzi filosofico-pornografici e di cronache scandalose. Gli studi di Darnton hanno
quindi rivelato una letteratura “scandalosa” che alimentava i vizi proibiti del clero e dei nobili, una letteratura denigratoria che ha
contribuito a minare l’idea della sacralità dei sovrani francesi.

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Storia della Stampa e dell’Editoria (2022/23) | Rosa Ginevra

Al centro del libro Un tour de France letterario troviamo quindi il tema del commercio del libro in Francia nel ‘700 e
l’approfondimento del tema della pirateria editoriale, fenomeno esistente sia per i libri leciti (per cui i tipografi pagavano le privative
al Governo) e sia per i libri proibiti. Darnton dice che la pirateria editoriale è una conseguenza dello strapotere dei ricchissimi
tipografi parigini, che non lasciava alcuno spazio ai librai minori di provincia, i quali di conseguenza cercavano profitto nelle attività
clandestine.
La Società tipografica di Neuchatel spesso si alleava per fare affari sui libri proibiti con altre tipografie, in quanto il materiale da
piratare era così tanto da non dare la possibilità di gestirlo ad una singola stamperia.

L’attenzione di Darnton si concentra su 3 aspetti:


1. Le regole su cui si basa il commercio del libro in Francia
2. Il mondo della pirateria editoriale
3. Le reti di relazioni che la Società tipografica di Neuchatel aveva intessuto coi librai di provincia francesi.

Attraverso le carte della Società tipografica di Neuchatel, Darnton scopre che, prima di piratare i libri, la società cercava di capire
quali fossero i più convenienti da produrre: si trattava di alcuni rappresentanti della società che viaggiavano nella capitale e nelle
province francesi parlando con gli autori, gli editori, ecc. e che poi riportavano le informazioni a Neuchatel. Nel corso del tempo,
però, questo sistema fallirà: sia perché dal 1783 i controlli francesi sulla produzione estera diventeranno più rigidi, sia perché con
gli anni crescerà moltissimo la concorrenza tra le stamperie pirata (= venivano stampate troppe copie pirata di una stessa opera e
quindi ci si trovava con un surplus di materiali che causava la crisi).

Darnton si pone diversi interrogativi sulle tipografie pirata, affermando che esse sono riuscite a fare arrivare in Francia tanti libri a
prezzo basso che altrimenti non si sarebbero diffusi presso il largo pubblico. Tutto sommato, perciò, i pirati dei libri escono dal
libro di Darnton in modo quasi positivo, perché hanno permesso una certa democratizzazione della cultura (in particolare di quella
illuminista): gli editori pirati diventano protagonisti di una modernizzazione dell’editoria, anticipando diversi caratteri distintivi
dell’editoria 800esca.

LEZIONE 26 (22-11-22)
IL COMMERCIO LIBRARIO IN ITALIA FRA ‘500 E ‘700
Anche in Italia c’erano moltissimi librai che acquistavano i prodotti da Neuchatel, in particolare libri di ambito filosofico. La rete
del commercio clandestino che dalla Svizzera giungeva in Italia funzionava in questo modo: i librai di Neuchatel e di Ginevra
consigliavano di ordinare, insieme alle opere proibite, anche opere lecite, per poterle mescolare, e quindi i librai italiani dovevano
fare delle ordinazioni molto ampie (stesso meccanismo che avveniva in Francia). In Italia, però, c’era un panorama molto
diversificato: in alcuni Staterelli, infatti, nel ‘700 si impose una censura laica, che permetteva di far arrivare dall’estero libri
normalmente proibiti dalla censura ecclesiastica, come opere filosofiche francesi, opere giuridiche, ecc. Gli Stati in cui si impose la
censura laica erano Venezia, Granducato di Toscana e Regno sabaudo. Dunque la circolazione del libro aumentò e di conseguenza
anche il pubblico lettore.
Dalla prima scoperta degli archivi di Neuchatel, gli studi sul commercio librario sono stati ampiamente rivoluzionati: ad es. prima
di allora non si conoscevano i suddetti consigli di Neuchatel per i librai acquirenti, ecc. A partire da queste ricerche è stato possibile
lavorare sul commercio dal pov europeo, infatti i libri facevano spesso lunghi viaggi prima di giungere a destinazione.  è
importante studiare il commercio non tanto a livello locale e nazionale, quanto più a livello europeo.
Lavorando sul commercio librario, bisogna lavorare su 2 elementi: la grande rete europea da un lato e i circuiti commerciali locali
dall’altro. Questi ultimi hanno varie caratteristiche diverse, che dipendono dalle regole di ogni Stato, dagli attori che agiscono nel
commercio, ecc.
Altro elemento essenziale sono i cataloghi dei librai italiani, i quali sono molto diversi tra loro in base soprattutto all’importanza
che ogni libraio-editore-stampatore rivestiva nella sua città. I cataloghi ci restituiscono il mondo che circondava i librai. Questi
cataloghi venivano poi inviati a tutti i librai, per far conoscere la propria offerta (costituita sia dai libri che effettivamente
possedevano, sia dai libri di cui erano editori, sia da tutti i titoli che si sarebbero potuti procurare in qualche modo – si parla di
“cataloghi di assortimento”). I cataloghi sono difficili da analizzare.

I LIBRAI BRIANSONESI
Anche in Italia si sono portati avanti degli studi sui librai-editori, in particolari su quelli definiti “briansonesi” (da Briançon, al
confine tra Francia e Piemonte), che nel corso del ‘600 si trasferirono in Paesi come Italia, Spagna e Portogallo per dedicarsi alla
produzione di oggetti di carta, tra cui i libri. Il maggior numero di famiglie briansonesi si trasferì proprio in Italia, soprattutto a
Torino, Milano, Bologna, Genova, Roma e Napoli: manca Venezia perché qui vi era una fortissima corporazione degli stampatori,
che non avrebbe ben accolto questa concorrenza. I briansonesi erano ben accetti perché, non essendo stampatori, davano lavoro
agli stampatori delle città ospitanti.

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Storia della Stampa e dell’Editoria (2022/23) | Rosa Ginevra

La capacità dei briansonesi nel commercio librario era nota in tutta Europa. Gli archivi notarili di ogni città rendono conto delle
loro mosse: le società dei briansonesi cambiavano e si rinnovavano velocemente e quindi gli archivi notarili sono ricchi di atti che
le riguardano – in particolare di atti di chiusura, di testamenti, di inventari post-mortem. Questi ultimi fanno intendere la ricchezza
dei briansonesi e ci dicono che la maggior parte di essi, dopo aver fatto fortuna in Italia, tornava a morire a Briançon (per far
giungere le ricchezze guadagnate nella loro terra d’origine). Diversi studi hanno sottolineato che i briansonesi, oltre alla cultura
dell’itineranza, avevano una grande disponibilità ad adattarsi alla cultura del Paese ospitante: sono queste le ragioni del loro grande
successo. Tutti questi librai avevano relazioni con Ginevra e con Neuchatel.
Con quale logica sceglievano i libri da pubblicare? Per capirlo bisogna selezionare i cataloghi da studiare, e una volta osservato quali
libri essi pubblicavano, questi vanno cercati e, nel caso di ritrovamento, bisogna studiarne le varie edizioni, analizzandone gli scritti
paratestuali. La maggior parte delle opere dei briansonesi era stampata a:
 Genova: importante per i commerci soprattutto grazie ai porti
 Roma: qui si pubblicavano soprattutto opere di carattere artistico
 Napoli: qui vi era maggiore libertà e venivano quindi pubblicate diverse opere proibite, soprattutto francesi, anche a
prezzo economico.

LEZIONE 27 (23-11-22)
LE PROFESSIONI DEL LIBRO NELL’800
“EDITORI ITALIANI DELL’OTTOCENTO”
Per studiare le professioni librarie dell’800 possiamo concentrarci sul repertorio Editori italiani dell’Ottocento, pubblicato in due
volumi nel 2004 da un gruppo di ricercatori; riporta circa 9000 schede o voci bibliografiche, che ci consentono di seguire le attività
degli editori dell’800 e tutti i loro spostamenti, nonché le loro strategie editoriali.
L’800 è stato un periodo di profondo mutamento, durante il quale Milano prese il posto di Venezia come capitale italiana del libro:
moltissimi editori e autori vi si trasferirono, poiché il mercato al nord era molto più attivo. Fare l’editore, nell’800, non era quasi
mai un’attività esclusiva, quindi si doveva essere anche libraio (professione commerciale) oppure stampatore (professione
produttiva): per avere degli editori puri si dovrà aspettare almeno fino alla fine del secolo. Quindi, si tratta di un periodo in cui le
professioni del libro erano ancora fluide e in via di consolidamento: negli anni ’30 dell’800, c’era ancora incertezza intorno alla
funzione dell’editore, ad es. nei dizionari veniva definito come “colui che ha cura di rivedere e dare alle stampe le opere altrui” 
questa definizione fa pensare più che altro al ruolo del curatore, cioè colui che, all’interno della casa editrice, ha il compito di curare
le opere ad essa associate, ma non quello di scegliere i libri o gli autori da pubblicare.

Due esempi di editori inseriti nel repertorio Editori italiani dell’Ottocento:


 Niccolò Bettoni  Bettoni era uno stampatore, che iniziò a Brescia nel 1806 aprendo una tipografia molto moderna,
poiché voleva essere tecnologicamente avanzato. In seguito, si trasferì a Padova e a Venezia, per poi stabilirsi, nel 1819, a
Milano, dove comprò 16 torchi e diede lavoro a 115 dipendenti in un’azienda modernissima: l’idea che si era fatto era che
molti librai milanesi gli avrebbero dato vario lavoro, ma successe che i prodotti che realizzava non ricoprivano le spese
della sua grande azienda e dei moltissimi impiegati. Questo accadde perché non esisteva ancora l’ampio pubblico lettore
che avrebbe fatto riguadagnare a Bettoni i suoi investimenti: nel 1834, quindi, l’azienda chiuse. Bettoni pensava all’800
come a un momento felice per l’editoria e la stampa, ma in realtà i suoi pensieri erano ancora prematuri per la società sua
contemporanea, tanto che lo studioso Berengo lo definisce in “eccessivo anticipo sui tempi”.
 Antonio Fortunato Stella  Gli ostacoli che trovò Bettoni potevano essere superati da quei librai che aprivano librerie
a Milano e che talvolta riuscivano anche ad essere editori: uno di questi fu il veneziano Stella, che si trasferì a Milano stando
più attento rispetto a Bettoni e rischiando di meno. L’innovazione più moderata di Stella stava nelle sue scelte editoriali:
fu il primo editore ad aprire una collana dedicata al pubblico di lettrici donne, negli anni ’20 dell’800, chiamata Biblioteca
amena ed istruttiva per le donne. Stella percepì la presenza di una maggiore ricerca di libri da leggere da parte delle donne
e questo gli fu possibile in quanto libraio, poiché poteva fisicamente vedere quali fossero le persone che si recavano nelle
librerie. La collana ebbe grande successo: raccoglieva ad es. manuali di comportamento, opere letterarie, ecc. quindi era
bilanciata con libri antichi della tradizione umanistica e libri contemporanei, riuscendo a catturare gusti diversi. Stella fece
comprendere anche agli altri librai milanesi l’importanza di agganciare il pubblico femminile; divenne poi così importante
da diventare l’editore di Leopardi.

NOVITÀ NELLA SECONDA METÀ DELL’800


Dalla metà dell’800 in poi, furono sempre di più gli editori che si concentravano su due nuovi pubblici emergenti, cioè le donne e i
bambini. Guardando le voci del repertorio riguardanti la fine degli anni ’60, troviamo editori sempre più numerosi, molti dei quali
erano in grado di stampare sia libri e sia giornali (ad es. Treves e Sonzogno, case entrambe nate nel 1861), seguendo la cosiddetta
“strategia integrata”. Avere giornali era importante per gli editori perché con essi anticipavano, a puntate, i romanzi che poi
sarebbero stati pubblicati, in caso di successo, sottoforma di libri (romanzo a puntate o feuilleton). I periodici di Treves e Sonzogno
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erano sia per pubblici generalisti e sia per il pubblico specifico delle donne: in base al gusto dei lettori destinatari, erano pubblicati
su ogni periodico diversi tipi di feuilleton. Avere un giornale non era una cosa che potevano permettersi tutti gli editori, perché
comportava costi molto alti, e coloro che potevano permetterselo avevano ovviamente molto più potere sulla scena culturale. Treves
e Sonzogno ci danno l’idea di una prima forma di editoria moderna.
La scolarizzazione e l’alfabetizzazione erano molto più avanzate al nord: sarà nelle città di Milano, Torino e Firenze che si svilupperà
moltissimo l’editoria scolastica. Ricordiamo le due leggi che imposero l’obbligo di frequentare le elementari, la prima del 1859 e la
seconda del 1877.
Notiamo l’aumento della domanda dei libri e la crescita del numero di lettori, con la comparsa di figure nuove, come detto le donne
e i bambini  sono tutte trasformazioni culturali ma anche sociali.
Permane comunque una generale difficoltà degli editori nell’essere editori puri.
Con l’Unità d’Italia (1861), cambiò la geografia del libro vigente in precedenza, che vedeva quasi tutte le città del nord e del centro
che avevano sviluppato una loro editoria e al sud la predominanza di Napoli, che raccoglieva la maggior parte delle stamperie
meridionali: al sud ci volle poi moltissimo tempo per recuperare il tempo perduto, con l’apertura di tipografie anche nelle altre città,
le quali però rimasero piccole e locali.  Attraverso le 9000 voci del repertorio vediamo un’Italia a “due velocità”: da un lato la
grande vivacità editoriale delle maggiori città del nord e del centro, e dall’altro lato la lentezza delle città del sud.

“TESEO”
Oltre al repertorio Editori italiani dell’Ottocento, nel 2004 uscì anche un altro volume, Teseo (Tipografi e Editori Scolastico-
Educativi dell’Ottocento), che contiene 601 voci. Teseo raccoglie delle biografie già presenti nel precedente repertorio, ma molto
più dettagliate e curate; inoltre, in questo repertorio rientrano tutti gli editori che avevano lo scopo di sviluppare dei progetti
educativi e scolastici: in essi rientravano manuali di comportamento per le donne, libri scolastici per bambini e ragazzi, edizioni di
classici per le scuole, libri di istruzione popolare (scuole serali), manuali e giornali per i maestri. Teseo ci dà l’idea di quanto fosse
diventata importante la prospettiva educativa nell’800, tanto da giustificare l’esistenza di un repertorio interamente dedicato. 
Dopo gli anni ’60 dell’800, diversi editori si specializzarono nel campo dei libri scolastico-educativi; questo arrivò spesso a casi
estremi, come quello dell’editore Vallardi, che iniziò a occuparsi non solo dei libri ma di tutto il mondo circostante la scuola, ad es.
producendo anche i banchi, l’arredamento scolastico, ecc. Nell’800, sarà il libro scolastico a trainare poi la nascita dei libri di svago
per bambini e ragazzi.
Le schede di Teseo danno spazio anche a collaboratori e collaboratrici degli editori: questo è stato un ambito in cui le donne poterono
avere ampia visibilità, in quanto erano considerate più atte ad occuparsi della psiche e dell’educazione dei bambini.
Altra tipologia di editori che rientra in Teseo è quella dei “self-helpisti” (dal filone inaugurato dal libro Self-help di Smiles), che
stampavano libri dedicati agli operai e alle operaie, per insegnare loro delle strategie per migliorarsi: in particolare perseguire
l’istruzione, l’esercizio della volontà e il risparmio.
Come detto, gli editori più forti erano quelli che usavano la strategia integrata: la stessa tecnica del feuilleton era usata anche per i
libri per bambini: l’es. tipico è quello di Pinocchio di Collodi, pubblicato a puntate sul Giornale per i bambini e successivamente
edito come libro da Paggi.  è interessante vedere come la tecnica per fidelizzare i lettori adulti venne usata per fidelizzare anche i
lettori bambini.
Casi particolari di libri per bambini erano i “libri di premio”, cioè libri ritenuti talmente educativi da risultare adatti anche a letture
estive, da fare anche dopo la fine della scuola.
Ci sono varie interferenze tra i libri per bambini, persone ancora da educare, e i libri per operai, persone non educate: quindi,
spesso, nei libri per bambini e nei libri self-helpisti troviamo gli stessi temi.

LEZIONE 28 (28-11-22)
L’EVOLUZIONE DELL’EDITORIA NELL’800
Guardiamo soprattutto alla situazione della Francia, in quanto gli editori italiani dell’800 avevano come punto di riferimento
l’editoria francese, più avanzata rispetto alla nostra, anche perché in Francia le leggi sull’alfabetizzazione primaria obbligatoria
risalgono agli anni ’30 del XIX secolo (in Italia, invece, anni ’50 -’70).

L’EUROPA DEL LIBRO


Nel corso del XIX secolo, ci furono grandi trasformazioni sia dal pov socio-culturale sia dal pov tecnologico: la tecnologia si
trasforma e consente di pubblicare molte più copie di un’opera in tempi brevi (ciò è essenziale soprattutto per i giornali, i quali
spesso facevano da cassa di risonanza della letteratura, pubblicando i feuilleton). Aumentò l’offerta di libri in piccolo formato e
sempre di più i librai-editori facevano ricorso alle collane: queste erano utili per fidelizzare i lettori e per costruire una forte identità
delle case editrici. La strategia integrata (= stampare libri e giornali) delle case editrici si sviluppò sempre di più nel corso dell’800.

PARIGI
I grandi librai-editori parigini del XIX secolo erano in parte eredi di grandi famiglie di editori, ad es. i Didot. Accanto ad essi, però,
troviamo anche molti nuovi volti, che sfruttavano le suddette trasformazioni sociali, ad es. la presenza di nuovi pubblici, tra cui i
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bambini (libri scolastici + libri di svago per bambini), le donne e gli operai; tra di essi ricordiamo: Hachette (che ebbe la geniale
idea di porre un chiosco di libri in ogni stazione ferroviaria, divenendo il più grande editore francese negli anni ’20 dell’800), Lévy,
Hetzel, Charpentier, Garnier.

L’EDITORIA E IL RUOLO EDITORIALE


In questo contesto, assume sempre più importanza la “funzione editoriale” e dunque il ruolo dell’editore, considerato come un
“nuovo mecenate”. Nella voce del dizionario di Regnault, l’editore è colui che capisce il gusto del pubblico e che capta il talento negli
autori: nel suo rapporto con l’autore, l’editore non deve essere maestro, servo, tiranno o vittima, ma deve essere colui che vi dialoga
insieme, consigliandolo per assecondare le volontà del pubblico. L’editore può in qualche modo decidere del successo o meno
dell’autore, in base alle modalità in cui viene pubblicato: ad es. se di un autore venivano pubblicati i romanzi a puntate sui giornali,
il suo nome veniva visto moltissime volte e di conseguenza il suo successo si costruiva più ampiamente.

Rapporto autore-editore
Nel 1839, un autore come Sainte-Beuve dice di temere la nascita della “letteratura industriale” e quindi dell’editoria industriale,
questo perché in essa l’editore aveva molto più potere decisionale degli autori. In effetti, l’apparizione del romanzo nel feuilleton
dei giornali dà sempre più peso agli editori, che decidono come costruire la fama degli autori. Il ruolo dell’editore produce
cambiamenti notevoli nella produzione letteraria, tant’è che viene definito come una figura “potente” nel panorama letterario.

Dalla pluri-edizione alla mono-edizione


Le trasformazioni editoriali cambiano anche il potere che avevano certi autori di realizzare varie edizioni dello stesso libro con
editori diversi: questo sistema delle pluri-edizioni entrerà sempre più in crisi con il rafforzamento del ruolo dell’editore, che imporrà
all’autore la fedeltà ad un’unica casa editrice (mono-edizione).

HACHETTE
Hachette è stato uno degli editori francesi più significativi nel panorama di queste trasformazioni sociali, economiche, tecnologiche,
culturali. La sua prima operazione fu il lavoro nel campo dei libri scolastici, a cui poi aggiunse i libri di svago per ragazzi.
Hachette era molto abile nel tenere in considerazione l’editoria inglese, tanto che intuì il grande successo di Dickens, dovuto al fatto
che l’UK stava vivendo la grande rivoluzione industriale, di cui l’autore parlava molto: Dickens era considerato un autore che
avrebbe portato a Hachette molto successo, e quindi egli fu il suo primo traduttore in Francia.
Di Hachette ricordiamo la collana La biblioteca della ferrovia: diventò infatti distributore esclusivo di libri e giornali in tutte le
stazioni ferroviarie francesi. In pochi anni, grazie a questa trovata, la sua libreria diventò una potente impresa editoriale, al punto
che dovette nominare vari direttori per le sue collane. Mollier scrive che, con Hachette, l’editoria francese passa dallo stadio della
casa editrice a quello della grande impresa di comunicazione.
Fondò poi diverse riviste scolastiche dedicate ai maestri, come la Rivista dell’istruzione pubblica e il Manuale generale
dell’istruzione primaria.

IL ROMANZO
Il romanzo, nell’800, si rivela un vero fenomeno sociale, dal momento che si afferma come il genere letterario dominante e raggiunge
un numero sempre più alto di lettori.

I GIORNALI
Il principale strumento di promozione dei romanzi erano i giornali, utili per fidelizzare i lettori: a questo proposito, vennero
diminuiti i prezzi dei loro abbonamenti. Sempre di più, tra le pagine dei giornali venivano inseriti degli annunci pubblicitari, in cui
si promuovevano soprattutto i libri in corso di produzione. Ricordiamo poi il sistema dei romanzi a puntate.

Emile Zola e il roman-feuilleton


Emile Zola, per un certo periodo, collaborò con Hachette, interessandosi da vicino al commercio editoriale. Egli capiva l’importanza
di sfruttare il roman-feuilleton per catturare sempre più lettori e per aumentare le vendite dei suoi libri in libreria: per questo,
pubblicò quasi tutti i suoi romanzi sui feuilleton dei giornali.

LO SVILUPPO DELL’EDITORIA PER RAGAZZI


Accanto a grandi editori interessati a quasi tutti i settori, troviamo anche editori che si specializzavano in un solo ambito: la
specializzazione si può fare nel momento in cui il pubblico destinatario di quell’ambito è già abbastanza sviluppato e ampio da poter
permettere la sopravvivenza dell’editore. Nel momento in cui in Francia, nel 1833, l’insegnamento elementare diventa gratuito, ciò
favorisce la crescita di una nuova fascia di lettori: si sviluppa un ambito dell’editoria di grande importanza, cioè quello dei libri
scolastici e dei libri per bambini/ragazzi. Per un libro di questo tipo è fondamentale avere le illustrazioni; le principali categorie
di libri illustrati erano: opere di intento morale-educativo, abecedari illustrati, atlanti, enciclopedie per ragazzi. Tuttavia, i libri
riccamente illustrati avevano dei prezzi più elevati: esistevano quindi anche numerosi libri con poche illustrazioni, per poter tenere
i prezzi più bassi. L’editore francese che più sfruttò questo ambito fu Hetzel, editore di Jules Verne.
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Hetzel
Hetzel cominciò nel 1837 con i sei volumi del Livre des enfants, che ebbero un successo tale da fargli decidere di continuare sulla
strada dell’editoria per bambini/ragazzi, in cui si specializzò, diventando il primo libraio-editore francese ad avere una vera e
propria strategia editoriale nel campo della letteratura per ragazzi. Una delle ambizioni maggiori di Hetzel era quella di affidare la
scrittura di testi per bambini a grandi autori contemporanei per adulti, come Dumas, Balzac, Hugo, ecc. (anche lui stesso ne scriverà,
con lo pseudonimo di Stahl). Il suo scopo era quello di realizzare libri divertenti ed istruttivi, in cui l’illustrazione aveva un ruolo
centrale.  quindi Hetzel è innovativo perché, di fronte a un panorama in cui si offrivano ai bambini storie tradizionali, cercava di
portare una produzione originale.

IN ITALIA: SONZOGNO E TREVES


Nell’800, in Italia, vediamo una grande trasformazione dell’editoria, ma con un certo ritardo rispetto alla Francia, solo intorno agli
anni ’60. Anche in Italia inizia a prendere sempre più importanza la figura dell’editore. I due casi italiani comparabili con il francese
Hachette sono Sonzogno e Treves, entrambi orientati verso la strategia integrata (ad es. Sonzogno fu l’editore del primo
quotidiano italiano, Il Secolo, nato nel 1866).

Sonzogno
L’emporio pittoresco è una rivista fondata nel 1864 da Edoardo Sonzogno: era un giornale illustrato di 8 pagine, con varie incisioni,
giochi, articoli vari (di politica, scienza, musica, arte, letteratura, ecc.), racconti, bibliografie, ecc. al prezzo di soli 5 centesimi
(l’editore lo chiama “magazzino di istruzione e divertimento”).  non si tratta di una rivista per tutti, in quanto vi rientrano diversi
articoli non alla portata di chiunque, tuttavia il prezzo è basso: Sonzogno voleva far capire al pubblico quanto fosse ampia la sua
produzione, la quale cercava di agganciarsi a diversi tipi di pubblico, sempre tentando di coniugare l’istruzione e il divertimento.
L’attenzione rivolta ai periodici è la caratteristica principale di Sonzogno: altra sua rivista era Lo spirito folletto, di ispirazione
anticlericale, sul quale pubblicava romanzi a puntate; questi ultimi avevano però maggiore importanza sulla rivista Il romanziere
illustrato. Sonzogno era inoltre interessato alle riviste su cui pubblicare racconti di viaggio, ad es. Il giornale illustrato dei viaggi
e delle avventure di terra e di mare.
Nel 1869, fondò a Parigi una piccola casa editrice: ciò aveva un enorme valore culturale, perché con essa poteva contattare la Société
des gens de lettres, presieduta da Balzac.  Sonzogno voleva diventare il rappresentante italiano degli autori francesi, ma sapeva
di non poter entrare in contatto con ogni autore uno per uno, e quindi tentò di annettersi alla società. In questo modo, Sonzogno
aveva il diritto di scegliere quali autori francesi pubblicare in Italia: essi verranno pubblicati nella sua collana più famosa, La
biblioteca romantica (vi rientrano ad es. Balzac, Dumas, Baudelaire, Hugo, ecc.)  tutti questi autori venivano anticipati con
romanzi a puntate sul Secolo.
Con la Biblioteca romantica, volendo raggiungere un pubblico più ampio possibile, compì un’operazione di marketing molto
innovativa per i suoi tempi: faceva uscire lo stesso testo in due edizioni diverse (anche se questo non veniva fatto per tutte le opere),
una economica e con poche illustrazioni e una più sofisticata e costosa, con illustrazioni, rilegatura, carta di qualità migliore, ecc.
Inoltre, i suoi testi non erano ridotti, bensì in formato integrale.
La strategia comunicativa e pubblicitaria di Sonzogno era quindi molto complessa. Per fidelizzare ancora di più i suoi lettori, egli
inserì i gadget: ad es. a chi si abbonava al Secolo venivano regalati dei romanzi, a chi si abbonava all’Emporio pittoresco venivano
regalate delle stampe dei protagonisti delle opere musicali trattate, ecc.
Sonzogno diventò anche editore musicale, entrando in concorrenza con la fondamentale casa editrice musicale milanese Ricordi,
sempre passando attraverso i compositori francesi, mai tradotti in italiano prima di allora, ad es. Bizet, Tomas, ecc. Portò però
anche degli italiani, ad es. Ascanio, Leoncavallo, ecc.
Sonzogno portò un rinnovamento del canone: negli anni ’60 e ’70 immaginava di realizzare una collana che riunisse gli autori
italiani, dal titolo Biblioteca classica economica. Fece in essa delle operazioni innovative, ad es. vi introdusse le opere degli storici,
che non erano mai state messe in collane di classici da parte degli editori italiani. Rivalutò poi i testi dei comici rinascimentali e di
alcuni autori che erano stati precedentemente messi all’Indice, ad es. l’Aretino. Da un lato, quindi, Sonzogno rinnova il canone, e
dall’altro eleva a classici dei testi che prima non erano considerati tali.

LEZIONE 29 (29-11-22)
Treves
A Milano, Sonzogno aveva un grande competitor, altro editore che voleva fare le cose in grande, cioè Treves. Anch’essa nacque nel
1861, come casa editrice orientata sulla stessa strategia integrata di Sonzogno (libri e periodici + giornali). È importante studiare
contemporaneamente queste due case perché, pur usando le stesse strategie, avranno poi dei risultati diversi: Sonzogno era più
vicino ai socialisti e alle istanze degli operai (ad es. produsse delle collane attente ai problemi sociali, in cui vendeva dei volumetti a
prezzo bassissimo riguardanti i sapere base che tutti dovrebbero avere), mentre Treves era più rivolto al gusto della borghesia
italiana (ad es. producendo delle riviste per donne, come Eleganza, Margherita, Il corriere delle signore).
Treves era inoltre molto attento al mondo dei bambini, a differenza di Sonzogno, pubblicando ad es. Il giornale dei fanciulli, in cui
erano pubblicati romanzi a puntate; fu inoltre il primo editore del libro Cuore, assoluto bestseller nella letteratura per ragazzi, del
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quale realizzò diverse edizioni, insieme a vari artisti, pubblicizzandolo e investendovi moltissimo. Cuore venne pubblicizzato come
un libro patriottico, che doveva essere letto da tutti i ragazzi. Uscì subito sottoforma di libro, senza passare attraverso il feuilleton.
Treves, comunque, non era sordo alle istanze sociali, e realizzò ad es. la collana Biblioteca Utile, in cui inseriva manuali di vario
genere (tecnici, scientifici, chimici, ecc.) destinati ai lettori meno colti; fu il traduttore dell’opera self-helpista per eccellenza, cioè il
Self-help di Smiles, in italiano Chi si aiuta Dio l’aiuta. Oltre a quest’ultimo, Treves traduceva anche vari self-helpisti francesi, ad
es. di Macé, autore del più importante bestseller scientifico, Storia di un boccone di pane, che descrive il processo digestivo del
corpo umano. Interessante che il Self-help di Smiles sia stato inserito anche nel Giornale dei fanciulli: ricordiamo infatti che, spesso,
venivano destinati gli stessi temi e toni agli operai, ai bambini e alle donne, considerati tutti sullo stesso livello di istruzione e di
capacità di comprensione.
A differenza di Sonzogno, più attento alla letteratura francese, Treves diventò l’editore dei grandi autori italiani, come Verga,
Pirandello, Capuana, D’Annunzio, De Amicis, ecc.
Treves raccoglieva intorno a sé uno stuolo di collaboratori e collaboratrici, soprattutto per i giornali, ad es. Virginia Tedeschi,
giornalista e autrice di libri per bambini, pubblicati con lo pseudonimo di Cordelia: sarà la prima donna a investire tantissimo nel
suo ruolo editoriale, tanto che Treves le affidò diversi compiti, ad es. la scrittura sul Giornale dei fanciulli. In generale, le donne
avevano più spazio nella letteratura per bambini, in quanto ritenute più vicine alla sensibilità necessaria alla loro educazione.

Il mondo dell’editoria, nell’800, è quindi in grande trasformazione: si richiede sempre di più la presenza di editori molto capaci ed
anche di illustratori, soprattutto vista l’importanza assunta in questi anni dalla letteratura per ragazzi.

GLI ALTRI EDITORI ITALIANI


Oltre a Sonzogno e Treves, troviamo a Milano altri editori minori, i quali, come detto, si specializzavano in alcuni ambiti. Esempi:
 Agnelli  Agnelli si specializzò nei libri self-helpisti, che venivano spacciati, da un lato, come racconti o aneddoti
divertenti, destinati a operai, bambini e donne con il fine di portar loro degli insegnamenti; dall’altro lato, troviamo il
filone dei manuali di insegnamento, dedicati a coloro che dovevano costruirsi una carriera in ambiti specifici. Altro filone
importante per Agnelli era quello delle biografie storiche di personaggi importanti, che fu quello che ottenne più successo.
Agnelli segue quindi le tre strade della narrativa, della manualistica e del biografismo storico.
 Hoepli  Uno degli editori più importanti per la divulgazione scientifica in Italia fu Hoepli, proveniente dalla Svizzera
tedesca e giunto a Milano negli anni ’60 dell’800, in quanto comprese l’esistenza di un vuoto ancora presente nell’editoria
italiana, rappresentato appunto dalla divulgazione scientifica. I suoi libri scientifici erano dedicati a persone colte e aventi
già una conoscenza dell’ambito trattato, cioè a coloro che stavano contribuendo alla crescente industrializzazione del Paese.
Una delle sue collane era la Biblioteca tecnica, destinata in particolar modo alla categoria degli ingegneri; oltre a questa
operazione, Hoepli pensò anche alle figure professionali meno preparate degli ingegneri, ad es. geometri e artigiani, per i
quali costruì la collana dei Manuali. Hoepli riuscì a sfondare in Italia prendendo diversi contatti con i direttori e i docenti
delle alte istituzioni accademiche milanesi, ad es. l’Osservatorio astronomico, l’Accademia di Brera, l’Accademia
scientifico-letteraria, il nascente Politecnico, ecc.: l’editore chiedeva a ognuna di queste persone di scrivere un manuale nel
proprio ambito di competenza (ad es. il fondatore del Politecnico, Giuseppe Colombo, scrisse il Manuale dell’ingegnere).
Nei Manuali, man mano che si confermò la collana, Hoepli iniziò a inserire anche dei testi giuridici, linguistici, letterari,
storici, anche se in minoranza rispetto alla preponderante parte scientifica. L’obiettivo di Hoepli era di tipo enciclopedico.
Spesso, Hoepli ricercava i testi da inserire nella collana anche all’estero, in quanto riteneva che l’Italia fosse ancora indietro
nell’ambito della divulgazione scientifica. Attraverso i suoi libri, Hoepli dichiarava la sua sensibilità ai problemi legati
all’industrializzazione.
 Touring Club Italiano  Questa casa editrice nasce nel 1894 come Touring Club Ciclistico: si trattava infatti di un
editore dedicato alle guide di viaggio, e in particolare voleva tutelare gli interessi dei ciclisti viaggiatori. L’obiettivo era
quello di dare un grande impulso al turismo, fornendo informazioni utili ai ciclisti. La prima operazione della casa fu la
pubblicazione di una rivista mensile, su cui comparivano le cartine delle strade, brevi descrizioni degli iter possibili con i
monumenti visitabili, ecc. Dato il suo successo, la casa iniziò ad affiancarvi delle guide e degli itinerari dei paesi italiani.
Dopo pochi anni, alla comparsa dell’automobile, il Touring Club era già pronto a rivolgersi anche a questo nuovo tipo di
viabilità. In generale, il genere dei libri di viaggio era molto apprezzato da tutti gli editori, tra cui anche Treves e Sonzogno.

LEZIONE 30 (30-11-22)
LE COPERTINE
Le copertine fanno parte del lavoro di progettazione dell’editore; sono elementi difficili da studiare, perché, nell’800 e ‘900, quando
le copertine dei libri si rovinavano, venivano buttate via e sostituite con altre. La progettazione della copertina è spesso affidata ai
grafici, collaboratori delle case editrici, ed è un’attività fondamentale, ad es. per distinguere l’appartenenza di un libro ad una certa
collana: infatti, i libri di una stessa collana avevano lo stesso stile, e ciò significa che solitamente gli autori non avevano diritto di

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parola nelle illustrazioni che comparivano in copertina (con poche eccezioni, ad es. l’edizione del Notturno di D’Annunzio edita da
Treves, sulla quale compare un’immagine suggerita dallo stesso autore, rimasto colpito dallo stile dell’illustratore De Carolis).
La prima difficoltà, nel studiare le copertine, è il luogo in cui trovarle: spesso, esse non si trovano nelle biblioteche pubbliche, bensì
nei centri o associazioni che conservano la memoria editoriale (ad es. Apice). Le copertine sono elementi fondamentali, perché sono
la prima parte del libro che i lettori possono vedere entrando nelle librerie: dalla loro veste grafica, possiamo subito capire se i libri
sono stati realizzati bene. Le copertine distinguono sicuramente gli editori: quanto più l’editore cura l’aspetto grafico, tanto più egli
sarà riconoscibile nel panorama librario.
È grave che non ci sia stata sensibilità per questo aspetto fondamentale dell’editoria: gli elementi materiali del libro sono essenziali,
anche se spesso sono stati trascurati.
Oltre alla copertina, alcuni libri hanno anche la sovracoperta, che è frutto di un lavoro grafico e di un dialogo con l’editore.
Studiando le copertine, bisogna prestare attenzione a quanto il grafico curatore sia vicino alle correnti artistiche del suo tempo: ad
es. a inizio ‘900 le copertine erano influenzate dallo stile liberty o art nouveau; negli anni ’20 e ’30 del ‘900 risentiranno moltissimo
delle avanguardie, come futurismo, dadaismo, Bauhaus; negli anni ’60, invece si risentirà della pop art.  dimostrazione di come
le correnti artistiche influenzassero le copertine dei libri. Per studiare le copertine, quindi, bisogna essere anche esperti di arte.
Quando abbiamo la fortuna di conoscere l’identità di chi propone le copertine, disponiamo di informazioni importanti. Vediamo il
caso del Libro delle vergini di D’Annunzio, pubblicato presso Sommaruga, il quale aveva scelto di mettere in copertina l’immagine
di donne nude: l’autore non apprezzò e denunciò Sommaruga per aver messo delle oscenità sulla copertina del suo romanzo.
Studiare le copertine è importante per capire in che modo l’editore volesse mostrare i suoi libri al pubblico.
Ci sono poi degli editori che erano essi stessi degli artisti, ad es. Valentino Bompiani, il quale spesso auto-progettava le copertine
dei suoi libri; in generale, egli era sempre molto attento a curare la veste grafica dei suoi prodotti: ad es. per la collana per bambini
Libri d’acciaio, Bompiani parlerà di “libri moderni anche nell’aspetto”, essi infatti avevano una copertina color grigio acciaio,
materiale simbolo della modernità.
Spesso, la percezione di un testo che ha un editore è diversa da quella inizialmente concepita dall’autore  ad es. l’editore Stella
consigliò a Leopardi di inserire le Operette morali nella Biblioteca amena ed istruttiva per le donne, ma egli si disse contrario, in
quanto si trattava di scritti filosofici secondo lui non adatti al pubblico femminile.

I PIONIERI DELLA GRAFICA ITALIANA NEGLI ANNI ’50


 Bruno Munari  Munari, dadaista e surrealista, trasformò le copertine della casa editrice Einaudi, nata nel 1933 a
Torino. Einaudi chiamò Munari a realizzare le copertine della Piccola Biblioteca Einaudi, una collana di saggistica nata
nel ’60. In esse, Munari attuò la scelta di usare vuoti bianchi isolando l’immagine, frazionata in 4 quadrati; egli voleva
ricercare sempre nuovi codici visivi con l’intento di comunicare un messaggio chiaro e comprensibile a un pubblico
eterogeneo. Altra collana Einaudi per cui venne chiamato Munari è la Nuova Universale Einaudi (questa letteraria), nata
nel ’62: le copertine, ancora con sfondo bianco, sono qui caratterizzate da bande rosse orizzontali e in più hanno
l’indicazione della casa editrice con tanto di marca editoriale. Si tratta di vesti serie ed eleganti che rimangono impresse
nella mente dell’autore, grazie alle informazioni minime ma essenziali riportate in copertina. Ulteriore collana Einaudi
illustrata da Munari è il Nuovo Politecnico Einaudi, nata nel ’65, quando ormai lo stile dell’illustratore era noto e ben
riconoscibile (non a caso si parlava ormai di “bianco Einaudi” poiché il colore era associato a tale editore). Ultima collana
progettata da Munari è la Collezione di Poesia, progettata nel ’64: nelle copertine, venivano anticipati dei versi delle poesie
contenute nel libro, scritti in nero sullo sfondo bianco (voleva dare l’idea di lasciare spazio al testo, che viene messo al
centro della copertina, mentre titolo, editore e marca stanno in cima). Tutto questo dà vita a un progetto ordinato e pulito,
non appesantito da troppi elementi e subito riconoscibile.
 Max Huber  Huber è stato un designer svizzero che, in Italia, collaborò con varie case editrici e con la Triennale di
Milano. Anche lui era influenzato dalla geometria delle arti tedesche degli anni ’20. Huber lavorò ad es. per l’Istituto
Geografico De Agostini, illustrando la collana Il Timone, usando forme geometriche provenienti dalla tradizione
costruttivista. Lavorò poi per Einaudi, alla collana del Politecnico, illustrando varie copertine.
 Albe Steiner  Steiner venne chiamato da Vittorini per la grafica del suo giornale Il Politecnico, per il quale usò in modo
innovativo il colore rosso, la fotografia e un carattere ispirato al grande stampatore italiano 700esco Bodoni. Steiner, poi,
fu il responsabile delle collane della Feltrinelli, ad es. dell’Universale Economica (saggistica); collaborò anche con la
Einaudi, per la collana di Vittorini dei Gettoni, nata negli anni ’50. Steiner faceva un uso interessante dei colori, portando
delle copertine molto diverse da quelle di Munari.

COME INFLUENZARE IL LETTORE CON LE COPERTINE


I grandi classici possono venir pubblicati da diversi editori, in quanto il diritto d’autore decade dopo 70 anni, trascorsi i quali un
libro può essere pubblicato da chiunque. Quindi, possiamo trovare lo stesso libro presso più case editrici, ogni edizione costruita
con una veste grafica differente. Inoltre, uno stesso editore può produrre diverse edizioni di uno stesso libro, andando ogni volta ad
aggiornare la veste grafica: questo soprattutto per avvicinarsi al gusto dei lettori contemporanei.

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Storia della Stampa e dell’Editoria (2022/23) | Rosa Ginevra

Il grafico dovrebbe sempre interrogarsi su quello che vorrebbe vedere il lettore, per riuscire a identificarsi con esso e a interpretare
i suoi gusti, in modo da realizzare delle copertine che possano incontrare le aspettative del pubblico. In generale, se guardiamo le
copertine di oggi e degli ultimi anni, sicuramente sono molto diverse rispetto a quelle di inizio ‘900: ad es. non possiamo paragonare
le copertine Einaudi di Munari con le copertine della collana Einaudi attualmente più importante, cioè Stile Libero, illustrate da
Falcinelli.

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