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Elena Peli

Interculturalità e didattica dell'arte


in Italia

eBook per l'arte

un'iniziativa
© 2011 eBook per l'Arte – Elena Peli
Prima Edizione 2011

Licenza
Creative Commons 3.0 – Attribuzione - Non commerciale – No opere
derivate
http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/

In copertina
Benozzo Gozzoli, La scuola di Tagaste
San Gimignano, chiesa di Sant'Agostino

I titoli di opere d'arte sottolineati e colorati in blu sono cliccabili: si aprirà


l'immagine dell'opera (necessaria connessione a internet).
Introduzione

Il presente lavoro è strutturato in tre parti, ciascuna delle quali


tratta una tematica differente, ma strettamente connessa alle altre.
Nel primo capitolo si è deciso di trattare l’interculturalità intesa
come visione del mondo contemporaneo, come progetto per un rin-
novamento della società odierna, in cui le differenze culturali riesca-
no non solo a convivere, ma anche e soprattutto a dialogare tra loro.
Vengono analizzate la cause, legate ai fenomeni dell’immigrazione e
della globalizzazione, che rendono questo progetto estremamente ne-
cessario, nonché gli obiettivi che ci si pone lavorando in questa pro-
spettiva. Viene messo in luce il forte legame che esiste tra la cultura e
il potere, legame che spesso causa discriminazioni e disuguaglianze
sociali.
Si rende quindi necessaria una riformulazione di quei concetti,
come “cultura” e “straniero”, che sono portatori di divisioni (intese
come confini rigidi e insuperabili). Grazie alla loro nuova enunciazio-
ne, tali concetti possono condurre a una valorizzazione delle differen-
ze (intese come ricchezze e confini in continuo mutamento) che per-
metta una corretta apertura al mondo e alla sua varietà e un adeguato
approccio a ciò che ci è straniero. Questo mutamento deve necessa-
riamente passare attraverso lo sviluppo di competenze relazionali e
cognitive, che consentano di avere flessibilità mentale e disponibilità
al dialogo. Tale è il compito della pedagogia interculturale, che si ri-
volge non solo agli stranieri, ma a tutti i soggetti che vivono in un
contesto multiculturale. Vengono analizzati i tre principali approcci
utilizzati, individuandone pregi e difetti, e indicando il modello plura-
lista/integrazionista come quello più corretto. La finalità di tale ap-
proccio è la costruzione dell’identità personale, attraverso l’ascolto e
la comunicazione che portano alla valorizzazione delle differenze,
nonché al superamento di pregiudizi e stereotipi mediante il decen-
tramento culturale.
Il secondo capitolo tratta della didattica interculturale dell’arte e
della sua utilità sia per lo studio dell’arte, sia per la pedagogia, sia per
il dialogo interculturale. La complessità del mondo artistico, infatti,

4
permette lo sviluppo di capacità cognitive indispensabili alla pedago-
gia interculturale. Viceversa, l’interculturalità apporta nuove letture e
nuovi punti di vista allo studio dell’arte. Vengono inoltre analizzati i
quattro metodi utili a costruire un percorso che, a partire dalla nostra
stessa cultura, permetta, a stranieri e autoctoni insieme, di raggiun-
gere quella che è la finalità ultima di questa didattica: l’acquisizione
di competenze che permettano di vivere nel mondo multiculturale in
cui ci troviamo. Il primo metodo, quello ludico-laboratoriale, permet-
te un approccio iniziale all’opera di tipo emotivo, creando un terreno
comune a tutti e consentendo di mettere in campo sensazioni ed
emozioni, per scoprire affinità e differenze con quelle degli altri. Il se-
condo metodo, quello autobiografico, consente di collegare queste
sensazioni a esperienze vissute e conoscenze pregresse, aiutando così
a sviluppare capacità comunicative e di ascolto, portando alla consa-
pevolezza della limitatezza di ogni singolo punto di vista e della ne-
cessità di aprirsi agli altri e alle loro culture personali. Infine, il meto-
do comparativo consente di utilizzare le competenze acquisite per ac-
costarsi alle forme artistiche delle culture straniere.
Nel terzo e ultimo capitolo, viene analizzato il rapporto tra patri-
monio culturale e interculturalità. Anche in questo caso si tratta di un
legame positivo e produttivo per entrambi: il patrimonio ha l’occasio-
ne di rinnovarsi (diventando più aperto, dialogico, dinamico) attra-
verso la nuova lettura datagli dall’interculturalità, mentre quest’ulti-
ma riceve nuovi linguaggi e nuovi materiali.
Occorre quindi partire dalla consapevolezza del ruolo sociale del
museo e di come esso debba rendersi accessibile e fruibile da tutti.
Vengono poi analizzate le iniziative sviluppate dai musei in questo
ambito, differenziando quelle che intendono l’interculturalità come
fine dell’attività didattica museale (attraverso progetti di sviluppo al-
l’accesso, di integrazione delle culture immigrate e di programmazio-
ne culturalmente specifica) da quelle che invece la considerano un
mezzo (attraverso la promozione di una partecipazione attiva di ogni
tipo di pubblico, sia nella fruizione che nella produzione della cultu-
ra). È quest’ultima categoria quella che risulta più utile dal punto di
vista dell’interculturalità. I progetti appartenenti a quest’ultima sono
contraddistinti da alcune caratteristiche comuni: la formazione di

5
mediatori culturali per la rilettura del nostro patrimonio attraverso la
loro esperienza personale e la loro cultura d’origine, il coinvolgimen-
to attivo di gruppi misti, la sperimentazione di nuovi metodi, la colla-
borazione con artisti contemporanei e l’attivazione di collaborazioni
interistituzionali.
Un accenno viene infine riservato alla pedagogia del territorio,
come strumento per aiutare la coesione sociale attraverso la condivi-
sione degli spazi e dei beni culturali che vi si trovano.
A conclusione della trattazione ho incluso un'appendice con le
schede di analisi di alcuni musei d’arte italiani, ognuna con i relativi
progetti legati all’interculturalità, che sono risultati di fondamentale
importanza per lo sviluppo del terzo capitolo.

6
Indice

I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale 11

1.1 L'interculturalità 11
Obiettivi e cause dell'interculturalità 13
Il concetto di cultura 17
Cultura e potere 21
Il concetto di straniero 24
Immigrati e minoranze 25
I tre modelli di incontro con lo stato straniero 29

1.2 Pedagogia interculturale 34


Modelli pedagogici 37
La valorizzazione delle differenze
e la pedagogia dell'ascolto 45
Accoglienza e inserimento degli stranieri 48
Comunicazione interculturale 50
Costruzione dell'identità 51
Superamento di pregiudizi e stereotipi e decentramento
culturale 53
Tematiche 55
La situazione in Italia 56

II. Didattica interculturale dell'arte 58

2.1 Aspetti interculturali dell'arte 59

2.2 Importanza dell'interculturalità per l'arte 65


Comprensione dell'arte straniera 69

2.3 Importanza dell'arte per l'interculturalità 71


Conoscere attraverso le emozioni 72

2.4 Approcci e metodi didattici 76

7
Il gioco come metodo 78
Il metodo autobiografico 83
Il metodo comparativo 87
La Ricerca-Azione 93

2.5 Ipotesi di laboratorio interculturale 94

III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia 101

3.1 Il Patrimonio 101

3.2 Patrimonio e inclusione sociale 104


Il modello di sviluppo all’accesso 106

3.3 Il dialogo 110

3.4 Vecchi approcci 111

3.5 Nuove sperimentazioni 113


I mediatori culturali 114
Il coinvolgimento di gruppi misti 118
La sperimentazione di nuovi metodi 119
La collaborazione con artisti contemporanei 120
L'attivazione di collaborazioni interistituzionali 121
Percorsi didattici che danno molta importanza alla
formazione degli insegnanti 123

3.6 Quale cultura? 124

3.7 Valutazione dei progetti interculturali 125

3.8 Pedagogia del territorio 128


Conclusione 133

Esperienze di didattica interculturale


nei musei d'arte italiani 136

8
Castello di Rivoli (Rivoli, Torino) 136
Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo 136
Sul Tappeto Volante 136
PROGETTO ABI-TANTI.
La moltitudine migrante 147

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino) 150


Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo 150
A vision of my own 157
City Telling 162

Galleria d'arte moderna (Gallarate) 168


Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo 168

Galleria d'Arte Moderna (Torino) 173


Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo 173

GAMeC (BERGAMO) 176


PROGETTO OspitiDONOre 177
Corso di formazione per mediatori museali 181

MAMbo (BOLOGNA) 186


Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo 186

Museo Pecci (Prato) 193


Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo 193

Pinacoteca di Brera (Milano) 199


Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo 200

Istituzioni e progetti legati all'interculturalità 207


Patrimonio e Intercultura – Fondazione ISMU 207
ECCOM 208
ERICarts 208
Museums Tell Many Stories 209

9
MAP for ID 210
Educard 211

Bibliografia 212

Bibliografia generale 212


Bibliografia specifica 213
Documenti giuridici 216
Riviste 217
Sitografia 217

10
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

1.1 L'interculturalità

Nel mondo sempre più globalizzato in cui viviamo, caratterizzato


da un’accelerazione continua delle comunicazioni, delle informazioni
e delle trasformazioni, in cui lo spazio sembra restringersi a livello
planetario, sempre più spesso sentiamo parlare di multiculturalità e
interculturalità, termini dal sapore un po’ esotico e “alternativo”, che
sembrano usciti dal manifesto programmatico di qualche gruppo pa-
cifista, ma che invece toccano da vicino ognuno di noi.
I termini multiculturalità e interculturalità spesso vengono usati
come sinonimi, ma in realtà essi rimandano a significati e a modelli
educativi diversi.
Multiculturale è un aggettivo usato per descrivere le situazioni di
coesistenza tra diverse culture. È quindi un termine neutro, descrive
una realtà “senza alcun riferimento al modo in cui s’intende interve-
nire per favorire l’incontro..”. 1
Nell’ambito della pedagogia, descrive la posizione di chi opera per
favorire la coesistenza dei gruppi e delle culture le une accanto alle al-
tre come in un mosaico. Benché abbia come scopo la convivenza paci-
fica e quindi appaia a prima vista un modello positivo, corre però il
rischio di trasformare la coesistenza in separazione. È comunque la
situazione più frequente, riscontrabile nella maggior parte delle gran-
di città, nelle quali si trovano inevitabilmente persone di provenienze
diverse, che cercano di coesistere in comunità le une accanto alle al-
tre. È inevitabile che ciò accada, in quanto i nuovi arrivati cercano i
propri “conterranei” o connazionali, coi quali stabilire dei forti rap-
porti che consentano di inserirsi nella vita della città. È ciò che acca-
de per esempio a Milano, città in cui la comunità cinese, stabilitasi
nella zona di via Paolo Sarpi, e le comunità latino-americana, rumena
1
D. Bobisut, (a cura di), Interarte, laboratori di civiltà europea e identità nazio-
nale alla sfida della multiculturalità, PensaMultimedia, Lecce, 2008, p. 57.

11
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

e medio-orientale (per citare quelle più numerose), vivono fianco a


fianco con la popolazione autoctona (che in realtà è essa stessa costi-
tuita da italiani provenienti da regioni diverse), riuscendo però rara-
mente a stabilire dei contatti e degli scambi duraturi e profondi.
Una società multiculturale può evolversi in due direzioni: optare
per un mantenimento delle differenze, oppure svilupparsi nella dire-
zione dell’interculturalità.2
Il termine interculturale ha una connotazione progettuale: è scam-
bio e arricchimento reciproco. “Nel progetto interculturale è insita
l’intenzione di creare occasioni di incontro assumendo consapevol-
mente il ‘rischio’ che scambio e incontro comportino contaminazio-
ne”.3
È un termine dinamico che rimanda a un progetto e denota la vo-
lontà di rivolgersi verso gli altri, verso ciò che è sconosciuto. 4 Non si
vuole solamente convivere pacificamente, ma ci si vuole arricchire
dall’incontro col vicino. Con tutti i rischi che tale confronto può por-
tare.
L’interculturalità è tema di studio e di analisi anche da parte delle
istituzioni che ne hanno percepito l’importanza, soprattutto a livello
internazionale.
Per esempio l’Unesco ne ha dato una definizione molto chiara: “chi
dice interculturale dice necessariamente- se dà tutto il significato al
prefisso inter – interazione, scambio, apertura, reciprocità, solida-
rietà obiettiva. Dice anche, dando pieno valore al termine cultura,
riconoscimento dei valori, dei modi di vita, delle rappresentazioni
simboliche alle quali si riferiscono gli esseri umani, individui e so-
cietà, nelle loro relazioni con l’altro e nella loro comprensione del
mondo, riconoscimento delle loro diversità, riconoscimento delle in-
terazioni che intervengono di volta in volta tra i molteplici registri
di una stessa cultura e fra differenti culture, nello spazio e nel tem-
po".5

2
A. Aluffi Pentini, Laboratorio interculturale. Accoglienza, comunicazione e confronto in
contesti educativi multiculturali, Junior ed., Azzano San Paolo (BG), 2002, p. 9.
3
Ibidem.
4
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 57.
5
Ibidem.

12
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

Ecco quindi emergere i due concetti fondamentali dell’intercultu-


ralità: l’interazione e la cultura, ai quali fanno riferimento gli obiettivi
fondamentali di questa pratica.

Obiettivi e cause dell'interculturalità

“Il tuo Cristo è ebreo e la tua democrazia è greca. La tua scrittura


è latina e i tuoi numeri sono arabi. La tua auto è giapponese e il tuo
caffè è brasiliano. Il tuo orologio è svizzero e il tuo walkman è co-
reano. La tua pizza è italiana e la tua camicia hawaiana. Le tue va-
canze sono turche, tunisine o marocchine… Cittadino del mondo,
non rimproverare al tuo vicino di essere straniero”. (Anonimo)

Secondo i due studiosi Antonio Genovese 6 e Francesca Gobbo7,


l’interculturalità persegue i seguenti obiettivi:
- la relazione tra le diverse culture;
- la convivenza e il reciproco rapporto fra punti di vista diversi;
- la collaborazione solidale, ma rispettosa fra le culture e le perso-
ne;
- la riduzione dei possibili conflitti e il loro superamento in direzio-
ne della negoziazione e non della deflagrazione violenta;
- una visione critica del “pregiudizio economicistico e tecnologico”
caratterizzante le politiche dei paesi cosiddetti avanzati;
- la promozione di una sempre più inclusiva partecipazione dei
nuovi venuti e delle minoranze interne alla vita sociale, culturale e
politica del paese che li accoglie.
Questi obiettivi non riguardano esclusivamente i “nuovi venuti”, in
quanto tutti gli sforzi, gli studi e i progetti sull’interculturalità parto-
no dalla convinzione della sua importanza sia per gli autoctoni, cioè
per gli appartenenti alla cosiddetta “cultura dominante”, sia per gli

6
A. Genovese, Modulo di pedagogia interculturale, Scuola di specializzazione
per l’insegnamento secondario, Università di Bologna, a.a. 2002/03, p. 6.
7
F. Gobbo, Pedagogia interculturale, il progetto educativo nelle società com-
plesse, Carocci, Roma, 2000, pp. 9-10.

13
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

alloctoni, cioè coloro che, provenienti da un’altra cultura, si inserisco-


no in quella dominante.
Da un lato, quindi, l’approccio interculturale permette di comuni-
care, agire, stabilire relazioni con persone di origine, credenze, lin-
gua, abitudini differenti dalle nostre, permettendo così di sviluppare
nuove conoscenze, nuove competenze relazionali e perciò di arric-
chirsi; dall’altro, consente di dare il giusto riconoscimento, culturale
e politico, alla domanda di giustizia, di diritti, di solidarietà, prove-
niente da immigrati e da minoranze. 8
Questi due aspetti dell’interculturalità si ritrovano nella Conferen-
za dell’UE sul dialogo interculturale, svoltasi a Bruxelles nel marzo
2002, all’interno della quale, nella dichiarazione che tratta della poli-
tica del dialogo interculturale, si legge (punto 2.) che tale dialogo “è
uno strumento efficace per prevenire e gestire i conflitti […] e favo-
rire l’arricchimento e la comprensione reciproca”, garantendo una
“riflessione attiva e costante sul rispetto dei diritti umani, sul fun-
zionamento della democrazia e sulle radici della violenza e del ter-
rorismo”.9
Non si tratta perciò solamente di aiutare i migranti a inserirsi nelle
società di accoglimento, ma anche di mettere in discussione, rivedere
e relativizzare nozioni fondamentali e principi comuni sia alla cultura
dominante sia a quella di minoranza, in modo da costruire una nuova
cultura.
Occorre fermarsi a riflettere sul perché si parla sempre più di mul-
ticulturalità.
È sotto gli occhi di tutti che la nostra realtà si sta trasformando
sempre più in direzione multiculturale.
Una delle cause è senz’altro il fenomeno delle migrazioni, che negli
ultimi tempi sta vedendo l’arrivo in Europa di persone provenienti da
zone problematiche del mondo. In realtà la nostra preoccupazione
per questo evento è molto influenzata dall’informazione massmedia-
tica, che ne amplifica le problematiche rendendolo un’emergenza co-
stante e continua. Tale paura potrebbe invece essere attutita dalla ri-
8
Ibidem, p. 10.
9
Unione Europea, Conferenza sul dialogo interculturale, Bruxelles, 20-21 marzo
2002.

14
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

flessione su alcuni “pregiudizi” che riguardano tale fenomeno. Prima


di tutto il fenomeno migratorio non è né un fatto nuovo né totalmen-
te negativo, in quanto flussi di popolazioni migranti hanno sempre
caratterizzato, con modalità e tempi diversi, lo sviluppo dell’umanità,
portando innovazioni e idee rivoluzionare da una civiltà all’altra. In
secondo luogo il fenomeno dell’immigrazione non riguarda solo i
paesi ricchi e industrializzati, non esiste un’unica direzione del flusso
dal paese povero al paese ricco, ma anche i paesi poveri si trovano co-
stretti ad accogliere molte persone migranti, oltretutto con mezzi e in
situazioni economiche peggiori di quelle di cui dispongono gli stati
industrializzati. Non si tratta quindi di una “invasione”, come invece
spesso viene visto l’arrivo di migranti.
Nell’analisi di questo fenomeno, Antonio Genovese 10 mostra come
la migrazione sia tutt’altro che semplice sia da vivere, sia da gestire.
Le cause dei flussi migratori, infatti, sono decisamente varie e
complesse: non si emigra quasi mai per scelta soggettiva, personale,
ma molto spesso per cause oggettive che impediscono di continuare
la propria vita in un determinato luogo (cause economiche, sociali,
politiche, religiose, guerre, calamità, ecc…).
In Italia, per esempio, nel 1997 iniziarono ad arrivare in massa
profughi provenienti dall’Albania che scappavano da una situazione
insostenibile di anarchia, che aveva portato alcuni gruppi di civili a
prendere il controllo del paese con la forza. Causa di questa ribellione
violenta fu la crisi economica che investì il paese dopo la caduta nel
1989 del Muro di Berlino e del Comunismo.
Anche oggi il nostro paese vede arrivare popolazioni in fuga da si-
tuazioni economiche o politiche drammatiche: è il caso dei profughi
africani, che pur di scappare dai loro paesi martoriati da guerre e crisi
economiche, affrontano un viaggio lunghissimo, estenuante e anche
molto pericoloso, prima ammassati su camion attraverso le zone de-
sertiche del loro continente, poi stipati su gommoni e barconi per
raggiungere le coste italiane.
Il tema della multiculturalità, però, non va affrontato guardando
solo alle problematiche legate al fenomeno migratorio, benché sia
quello più evidente e “scomodo”. Ci sono infatti anche fattori che, al-
10
A. Genovese, op. cit., p. 5.

15
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

l’interno della nostra società, sviluppano processi multiculturali indi-


pendentemente dalla presenza di immigrati stranieri nel nostro pae-
se11. La globalizzazione dei mercati, con lo spostamento di merci,
mezzi di produzione, capitali e persone da un paese all’altro; la cresci-
ta del turismo e delle comunicazioni di massa, grazie allo sviluppo del
web, che ci mette in contatto con l’altro non solo fisicamente, ma so-
prattutto virtualmente; l’avanzata dei processi di integrazione econo-
mica e politica fra i diversi Stati, nel nostro caso la costruzione dell’U-
nione Europea, sono tutti fenomeni che rendono inevitabili i contatti
con culture e persone straniere. La stessa condizione di immigrato
(cioè una persona nata in un paese, ma che vive in un altro) caratte-
rizzerà in futuro un numero sempre maggiore di persone, a causa del-
la mobilità che ormai molti lavori richiedono.
È quindi chiaro che al giorno d’oggi è pressoché impossibile non
avere contatti e scambi con l’esterno e quindi con altre culture.
È sempre più difficile pensare le nostre società come caratterizzate
da una cultura omogenea e condivisa ugualmente da tutti i cittadini
in cui le culture degli immigrati farebbero “irruzione” (citando l’e-
spressione usata da Francesca Gobbo) producendo complessità e plu-
ralità culturale, questo perché la nostra stessa cultura è sempre più
variegata al proprio interno.
Non esistono più quelle che Stefano Piazza 12 definisce le culture
create dal nazionalismo: un nazionalismo che non si fondava su real-
tà comunitarie, etniche, culturali, sociali o politiche preesistenti, ma
che anzi le distruggeva per imporre una cultura omogenea e un’edu-
cazione nazionale, entrambe funzionali alla modernizzazione indu-
striale.
Questo modello generale di società nazionale e di integrazione so-
ciale non corrisponde più alla realtà sociale odierna, o meglio, la no-
stra realtà sociale non è più in grado di adattarvisi, come invece le so-
cietà investite dalla rivoluzione industriale nei secoli scorsi furono in
grado di fare.
Quali sono i vantaggi e i rischi di una prospettiva interculturale?
11
Ibidem, p. 6.
12
S. Piazza, F. Toscani, Cultura europea e diritti umani (nella società globale del
rischio), CLEUP, Padova, 2003, p. 112.

16
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

Da un lato vi è il riconoscimento positivo della diversità culturale,


il cui risvolto sta nel riconoscimento di una comune umanità.
Dall’altro la credenza che si possa fare un discorso sulla comunica-
zione, sulla comprensione, sullo scambio e sulle relazioni culturali
senza tenere conto che esiste la dimensione del potere e che esistono
non solamente le differenze culturali, ma anche differenziali di potere
tra una cultura e l’altra.13 In pratica bisogna tenere il discorso inter-
culturale saldamente ancorato alla realtà.
L’interculturalità, benché stimolata da motivi concreti, non è sol-
tanto un’esigenza pratica, dovuta a fattori economici e sociali, ma an-
che una necessità dal punto di vista culturale.
L’omogeneità culturale, infatti, oltre a essere sempre più o meno
un’imposizione, porta più svantaggi che vantaggi, in quanto, come
analizzato anche da Francesca Gobbo, una prospettiva centrata etni-
camente o culturalmente in primo luogo riduce l’esperienza umana
ed educativa, dato che non è riconosciuta l’importanza per ciascuno
di noi delle esperienze, credenze e idee delle altre persone; in secondo
luogo l’importanza data a ciò che è noto e già conosciuto porta a sot-
tovalutare l’imprevedibilità e quindi a rendere impreparati all’incon-
tro con essa; infine “lo spirito critico, la capacità di valutare e deci-
dere in maniera indipendente non sopravvivono se l’esigenza di
porre in questione e di indagare è limitata da valori e credenze”14
che per definizione non possono essere messi in discussione.

Il concetto di cultura

Prima di parlar di interculturalità occorre analizzare il concetto di


cultura, cercando di liberarci da pregiudizi e stereotipi.
Nella Pronuncia sull’Educazione Interculturale del Consiglio Na-
zionale della Pubblica Istruzione del 23 aprile 1992, si legge: “secon-
do il punto di vista interculturale, le culture non debbono essere in-
tese come corazze che impediscono la crescita né venerate come
13
F. Gobbo, op. cit., p. 15.
14
Ibidem, p. 43.

17
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

santuari intoccabili, perché esse sono pur sempre un prodotto uma-


no e la loro funzione non è solo quella di proteggere, ma anche di
sorreggere lo sforzo che ogni uomo deve fare per affrancarsi dalle
condizioni di partenza, allargando lo sguardo non solo alla varietà
dei modelli di umanità esistenti, ma anche a quelli possibili”. 15

Si tratta perciò di abbandonare l’idea di cultura come di un conte-


nitore all’interno del quale si situano le persone, come un recinto che
le delimita e le differenzia; va invece considerata come uno strumen-
to per la crescita dell’individuo, come un bagaglio di conoscenze e
competenze che egli può sfruttare a proprio piacimento per realizzar-
si pienamente come persona.
Dalle molte analisi che psicologi, sociologi e antropologi hanno svi-
luppato attorno a questo concetto apparentemente semplice emerge
la sua vasta complessità.
Occorre prima di tutto rendersi conto che ognuno di noi possiede
una cultura “stratificata”, che Aluffi Pentini divide in quattro livelli 16:
cultura privata, cultura operativa, cultura generalizzata e cultura pub-
blica.
Si intende per cultura privata una combinazione unica e indivi-
duale di standard, ovvero ciò che ha a che fare con la persona, con la
sua famiglia, con le abitudini quotidiane di vita in una dimensione
privata.
Si intende per cultura operativa quell’insieme di conoscenze e
comportamenti scelti sulla base della cultura privata che vengono uti-
lizzati per muoversi in determinate interazioni o situazioni.
Si intende per cultura generalizzata una modalità di interazio-
ne tra le persone diffusa e consolidata, che riguarda gruppi e contesti
più o meno ampi, e si configura come spazio trasversale alle diverse
modalità di agire e di essere, standardizzato e che permette loro di in-
teragire.
Si intende per cultura pubblica uno spazio di consenso più am-
pio, esplicito o implicito, sulle culture generalizzate e che allo stesso
15
Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, Pronuncia sull’Educazione Inter-
culturale, 23 aprile 1992.
16
A. Aluffi Pentini, op. cit., p. 25.

18
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

tempo sostiene o depotenzia le diverse manifestazioni di cultura ge-


neralizzata di cui sopra. Questo livello si configura come livello uffi-
ciale sovraordinato agli altri e quindi in ultima analisi prevalente, in
ambito appunto pubblico, in caso di conflitti tra i vari livelli.
Questa varietà di livelli è dovuta al fatto che la società contempora-
nea è molto segmentata e variegata, anche indipendentemente dal fe-
nomeno migratorio: interessi, professioni, idee politiche, tradizioni
fanno sì che anche all’interno di una singola “cultura pubblica” ci sia-
no moltissime altre suddivisioni. Ogni individuo deve perciò sapersi
adattare ai variegati ambiti culturali con cui viene a contatto.
È evidente che in qualsiasi fascia di età le influenze e i condiziona-
menti derivanti dai vari livelli si combinano in modo diverso e orien-
tano più o meno direttamente le scelte dei soggetti coinvolti in una
relazione interculturale. Ci appare quindi sempre più difficile dare
una definizione di cultura, così come creare delle rigide distinzioni
tra una cultura e l’altra.
È importante, quando si parla di intercultura, interrogarsi su quali
e quanti di questi livelli siano coinvolti e dove si collochi rispetto a
loro l’incontro culturale. Nella maggior parte dei casi, sottolinea Aluf-
fi Pentini, è importantissimo lavorare interculturalmente a livello
della cultura privata. Bisogna arrivare a intendere l’interculturalità in
modo più ampio e complesso, che non il semplice scambio e confron-
to tra individui di “etnie” e “culture” diverse. Va intesa anche e so-
prattutto come capacità di riconoscere le identità molteplici di cui
ciascuno di noi è portatore.
Il concetto di cultura, oltre a essere diversificato al suo interno, è
anche aperto a cambiamenti e a contaminazioni, in continuo sviluppo
e rivolto contemporaneamente al passato e al futuro. L’antropologo
Hannerz17 descrive la cultura attraverso la metafora di un flusso, in
continuo movimento e mutazione, ma anche dipendente dal processo
continuo in cui ogni azione, ogni espressione del pensiero e dei valori
dell’individuo, rimanda e si fonda su esempi antecedenti. La cultura è
quindi strettamente connessa al passato, ma in continua evoluzione
verso il futuro.
17
U. Hannerz, Cultural complexity. Studies in the Social Organization of Mean-
ing, Columbia University Press, New York, 1992, p. 4.

19
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

Francesca Gobbo, infatti, formula così la nozione di cultura:


“…essa non definisce solo ciò che si trasmette o si eredita dal pas-
sato (…) e per cui un gruppo si è un tempo distinto, bensì quello che
nel presente stimola e consente ai soggetti di costruire insieme una
prospettiva unitaria, ma sfaccettata, sul piano culturale, sociale,
politico, aperta ad ulteriori confronti e rielaborazioni”. 18
Occorre tenere sempre presente, inoltre, che nessuna cultura può
vantare un fondamento naturale e scientifico, grazie al quale legitti-
mare la propria superiorità rispetto alle altre. Francesca Gobbo mette
in evidenza tale convenzionalità della cultura, affermando che spesso
la differenza culturale non nasce da una necessità istintiva di un
gruppo, ma rappresenta una scelta di carattere sociale e/o politico,
che ha lo scopo di mantenere le differenze tra un gruppo e l’altro. 19
I gruppi, pertanto, spesso scelgono di sottolineare alcuni aspetti
della propria cultura che vengono assunti a simbolo dell’intera comu-
nità, con lo scopo di mantenere la coesione al proprio interno e diffe-
renziarsi dai gruppi vicini.
Il parere di alcuni antropologi è che la cultura sia direttamente le-
gata al processo di apprendimento, quindi non sia un’eredità ricevu-
ta, ma qualcosa che si può acquisire. Per esempio secondo l’antropo-
logo Goodenough “se con [il termine] cultura facciamo riferimento
alla comprensione delle cose e alle aspettative reciproche che i mem-
bri di una società sembrano condividere, allora una teoria della cul-
tura richiede che si considerino i processi attraverso i quali i singoli
membri giungono a tale condivisione”.20
I processi di apprendimento, appunto. All’interno di ogni cultura,
inoltre, ci sono differenti ruoli e situazioni che richiedono ciascuno
l’apprendimento di una diversa cultura.
Questa idea collega la “competenza culturale” al potere: le varie
culture vengono considerate come risorse il cui accesso può essere
utilizzato nelle relazioni di potere. E proprio la cultura e l’accesso a

18
F. Gobbo, op. cit., p. 42.
19
Ibidem, p. 37.
20
W.H. Goodenough, Multiculturalism as the Normal Human Experience, in
“Anthropology and Education Quarterly”, 1976.

20
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

essa, vengono spesso usati per escludere dal potere determinati grup-
pi (etnie, classi sociali,ecc…).

Cultura e potere

La riflessione attorno a un approccio interculturale al mondo,


quindi, non è una questione meramente teorica e filosofica, utile sol-
tanto ad antropologi e filosofi, ma ha a che fare con questioni concre-
te e spesso legate a situazioni di disagio materiale.
La diversità culturale, infatti, è spesso servita (e tuttora viene usata
in tal modo) per legittimare la presa di potere di un determinato
gruppo e l’esclusione di altri.
Piazza21 individua tre tipologie di reazione alla conflittualità etnica
e razziale, legate all’acquisizione o meno del potere sociale, politico
ed economico.
Ci possono essere situazioni di esclusione-rifiuto-espulsione, in cui
il gruppo che prende il potere, fa in modo che gli altri ne siano esclu-
si, attraverso leggi o violenza. In questi casi non sono ammissibili (né
tanto meno cercati) il dialogo e la cooperazione tra gli attori sociali,
ma solo l’aggressione e la lotta. È ciò che è accaduto in Sudafrica con
l’Apartheid, la politica di segregazione razziale che a partire dal 1948
e fino al 1994 fu messa in atto dal Governo di etnia bianca nei con-
fronti della popolazione nera. Attraverso una serie di leggi, ai neri
venne vietato l’ingresso in alcune aree urbane, l’utilizzo delle struttu-
re pubbliche riservate ai bianchi, venne ostacolato il loro accesso all'i-
struzione e infine venne tolta la cittadinanza sudafricana e i diritti a
essa connessi a tutti gli abitanti dei bantustan, i ghetti riservati alla
popolazione nera, ufficialmente indipendenti, ma in realtà sottoposti
al controllo del Governo sudafricano.
Ci sono invece situazioni di inclusione subordinata. Si tratta di una
strategia economicistica: viene offerto lavoro agli immigrati, in quan-
to necessari all’economia, ma in campo civile viene applicata “la de-
fezione, non riconoscendo lo statuto di cittadino all’immigrato lavo-

21
S. Piazza, F. Toscani, op. cit., p. 100.

21
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

ratore”22. Si tratta della situazione più ricorrente nella storia dei rap-
porti dell’occidente con il resto del mondo. Anche questa soluzione
porta spesso al conflitto, infatti quanto più gli immigrati si integrano
nel tessuto sociale grazie al loro inserimento nel mondo del lavoro,
tanto meno sono disposti ad accettare un’esclusione dalla cittadinan-
za politica.
Di recente abbiamo assistito a un caso di questo genere, nelle vi-
cende di rivolte di immigrati africani nella campagna calabrese. Da
anni essi vengono sfruttati come manodopera dalla criminalità orga-
nizzata e ormai sono così numerosi da mandare avanti il comparto
agricolo del Sud col proprio lavoro. “I migranti africani e arabi non
regolarizzati sono una presenza fondamentale per l'economia del
Sud, senza i quali fallirebbe questo comparto, affonderebbero le eco-
nomie di parecchie regioni e non vedremmo più arrivare i fondi eu-
ropei di sostegno all'agricoltura” 23 spiega lo studioso dei fenomeni
mafiosi Antonello Mangano. Le condizioni di lavoro, com’è facilmen-
te intuibile, sono al limite della schiavitù e questi lavoratori vengono
mantenuti nell’illegalità, una condizione accentuata dalle recenti nor-
me contenute nel Decreto sicurezza che rende reato la condizione di
immigrato irregolare. Sempre Mangano afferma che “le leggi razziste
volute dalla Lega non mirano a espellere gli immigrati, vogliono
mantenerli in una condizione servile, sotto ricatto. La fascia di im-
migrazione irregolare che lavora nei campi non accetterebbe mai
condizioni tanto dure in presenza di un'alternativa; inizierebbe ad
organizzarsi ed a rivendicare diritti: sanno di essere in dispensabili
e di sostenere un intero settore economico. Senza loro tante lande
del Meridione sarebbero condannate allo spopolamento. Dunque
che rimangano a lavorare, ma da schiavi”.24
Alla fine del dicembre 2009, però, un’aggressione da parte di due
teppisti (probabilmente legati alla criminalità organizzata) che hanno
sparato su un gruppo di africani, provocando la morte di due di loro,

22
Ibidem.
23
G.Ursini, Gli africani di Rosarno, in
http://it.peacereporter.net/articolo/19556/Gli+africani+di+Rosarno,
31/12/2009.
24
Ibidem.

22
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

ha fatto sì che questi immigrati si siano ribellati a una tale insosteni-


bile situazione, scatenando una serie di proteste sfociate poi, qualche
giorno dopo, in violenza. A Rosarno, in provincia di Reggio Calabria,
le ribellioni hanno portato devastazione e violenza e sono state segui-
te da una feroce ritorsione da parte dei cittadini che hanno dato vita a
una vera e propria “caccia al nero”, com’è stata definita da più giorna-
li, fomentata da agguati e aggressioni mafiose.
C’è poi una terza via, quella della “cittadinizzazione”25, forse la più
complessa da seguire, in quanto coinvolge non solo le dinamiche so-
ciali, ma anche il diritto, le scienze politiche e l’ideologia, perseguen-
do il fine di integrare i nuovi arrivati in tutti gli aspetti della vita so-
ciale e politica. Si tratta anche del più difficile da incontrare, proprio
a causa di questa sua complessità.
Per quanto riguarda il nostro Paese, la situazione italiana si pre-
senta variegata, con molte situazioni in cui in cui l’inclusione subor-
dinata è il modello dominante (si pensi alle centinaia di badanti in at-
tesa di essere regolarizzate, o ai tantissimi operai e muratori mante-
nuti nell’illegalità), alcune altre in cui la “cittadinizzazione” sta
faticosamente raggiungendo un buon livello, ma persistono ancora
occasioni di esclusione, rifiuto ed espulsione.
A questi atteggiamenti gli immigrati e le minoranze solitamente ri-
spondono in tre modi: rifiutando la propria identità etnica pur di ve-
nire accettati dalla società, accettandola ma considerandola in modo
negativo (poiché è causa della loro esclusione o parziale
integrazione), oppure accettandola in modo positivo attraverso il raf-
forzamento della propria appartenenza a un gruppo etnico. È que-
st’ultimo l’atteggiamento auspicato dalla teoria interculturale, nono-
stante sia quello che comporta i maggiori rischi, in quanto il rafforza-
mento delle identità etniche può portare più facilmente a estremismi
e quindi allo scontro con la cultura dominante. Si tratta anche del
modello più complesso da analizzare e studiare, dal momento che
l’accettazione e la riaffermazione della propria identità producono
25
Cfr. A. Bastenier, F. Dassetto, Nodi conflittuali conseguenti all’insediamento
definitivo delle popolazioni immigrate nei paesi europei, in AA. VV. Italia, Eu-
ropa e nuove immigrazioni, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Tori-
no, 1990, specialmente pp. 17-26.

23
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

una vasta gamma di risposte individuali al problema dell’integrazio-


ne.

Il concetto di straniero

Se si vuole sviluppare un positivo dialogo interculturale occorre


prima di tutto riflettere su se stessi e sull’atteggiamento che abbiamo
nei confronti di ciò che ci è straniero. L’integrazione culturale, infatti,
non è compito esclusivo dei migranti che arrivano nella nostra socie-
tà, ma si tratta di un dovere condiviso con noi autoctoni.
Innanzitutto occorre capire cos’è che rende qualcuno o qualcosa
“straniero” ai nostri occhi.
Si possono individuare due livelli di estraneità: l’estraneità intesa
come stranezza, che si trova al livello emozionale e descrive la reazio-
ne spontanea davanti a ciò che ci appare non familiare. È il caso per
esempio di manufatti, abiti tradizionali e rituali religiosi appartenenti
a culture a noi lontane e che quindi appaiono ai nostri occhi bizzarri e
insoliti, estranei appunto.
Oppure l’estraneità intesa come inaccessibilità e che si riferisce a
ciò a cui non si ha accesso, a un sistema e a un modo di vita diverso
dal proprio, che non è compatibile con le regole usuali, o almeno lo è
solo in parte. È il caso delle lingue straniere, o dei codici di comporta-
mento di altre culture.
L’estraneità culturale è distribuita su entrambi i livelli: una cultura
straniera mi stupisce perché insolita e non familiare e allo stesso tem-
po mi è inaccessibile, o lo è solo in parte.
In entrambi i casi si tratta di concetti relazionali, nel senso che
sono validi in relazione a ciò che mi è familiare e conosciuto.
È visibile quindi la doppia valenza del concetto di estraneità: nel-
l’incontro tra due culture, ciascuna risulta “straniera” per l’altra.
L’estraneità, inoltre, è prima di tutto un’impressione soggettiva,
che può essere accresciuta e addirittura creata ad arte. Ecco allora
che l’estraneità viene usata come etichetta, che viene appiccicata a chi
viene da fuori, nel tentativo di rinsaldare il gruppo a cui si appartie-
ne. Qui non è definito straniero ciò che è diverso, ma ciò che viene

24
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

reso diverso. Alcuni segni (colore della pelle, origine, razza, ecc…)
vengono caricati simbolicamente e viene loro assegnato un significato
negativo. A questo punto non si cerca certo la comprensione, ma si
vuole piuttosto aumentare la distanza esistente, fino a farla diventare
estraneità e addirittura inimicizia. Queste delimitazioni sono sintomo
di un’identità traballante, che ha bisogno di ristabilire rigidamente i
propri confini, poiché pensa di averli perduti. Al contrario “un’identi-
tà certa di se stessa accetta di aprire i confini”.26

Immigrati e minoranze

Nella società contemporanea lo straniero con cui i rapporti sono


più problematici è l’immigrato.
Poiché è visto come un intruso, un elemento estraneo che arriva a
disturbare l’equilibrio, difficilmente ci si sofferma a riflettere sulle
condizioni in cui si trova.
L’evento migratorio infatti sconvolge completamente la vita di chi
ne è protagonista, investendo la sfera emotiva, fisica e cognitiva, met-
tendo in gioco molteplici fattori. Sono quindi molte le domande da
porsi per cercare di comprendere meglio il fenomeno.
Anche la semplice definizione di chi sia l’immigrato e delle sue ca-
ratteristiche, mostra la complessità dell’argomento, dato che non ci
sono risposte univoche e nessuno ha l’autorità necessaria per dire
quale sia quella giusta.
Quando inizia l’evento migratorio? Da pedagogista, Aluffi Pentini
afferma che il viaggio inizia per il bambino tre volte: quando ne sente
parlare, quando parte da casa, quando arriva in un nuovo “mondo” e
inizia un viaggio di scoperta.
Quando si conclude la migrazione? Sempre secondo Aluffi Pentini,
l’evento migratorio può dirsi concluso quando si progetta il proprio
futuro nel luogo dove ci si trova e/o quando non ci sono più le condi -
zioni di precarietà e spaesamento dovute allo spostamento. Questo

26
T. Sundermeier, Comprendere lo straniero. Una ermeneutica interculturale,
Queriniana, Brescia, 1999, p. 161.

25
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

può anche non avvenire mai, perché non è detto che l’obiettivo del
migrante sia di stabilirsi definitivamente nel nuovo paese.
Proprio lo spaesamento è il sentimento che caratterizza l’evento
migratorio: spaesamento fisico, culturale ed emotivo. Può essere do-
vuto alle difficoltà nel trovare modalità di ambientamento e nell’inte-
grare soggettivamente i cambiamenti oggettivi che si sono verificati.
Questo spaesamento viene influenzato, in particolare, da una va-
riabile oggettiva nel rapporto col paese di arrivo, che riguarda la rego-
larità o meno dell’ingresso e le chance in senso lato di accesso a op-
portunità e servizi. Il mancato raggiungimento del benessere sperato
infatti rischia di protrarre a lungo tale spaesamento. La pedagogia in-
terculturale cerca quindi di assumersi anche l’obiettivo di facilitare la
capacità del bambino e della sua famiglia di trovare un nuovo equili-
brio, integrando soggettivamente e come nucleo familiare il vecchio e
il nuovo.27
È da tener presente che la migrazione può aver portato sì un mi-
glioramento materiale delle condizioni di vita, ma contemporanea-
mente può aver provocato un brusco e profondo peggioramento del
benessere psicologico ed emotivo. Bisogna perciò evitare che le nuove
positive condizioni materiali spingano a minimizzare la portata delle
conseguenze psicologiche di questo cambiamento di vita.
Paradossalmente, proprio queste persone, spaesate e in situazioni
precarie, fanno paura, inducono gli altri a restare a distanza. Il circolo
vizioso di diffidenze reciproche speculari è in agguato in una situazio-
ne di spaesamento.
Per questo i luoghi per i bambini sono importanti, perché se il
bambino trova un luogo in cui vivere e in cui star bene, questa dina-
mica rasserena i genitori e aiuta anche loro a vivere nel luogo in cui si
trovano. Quindi l’intervento interculturale, per Aluffi Pentini, consi-
ste inizialmente nel creare luoghi nei quali le modalità di accoglienza
rendano possibile l’instaurarsi di relazioni positive e significative.
Ovviamente non si può pretendere che l’intervento educativo in-
terculturale venga caricato della piena responsabilità del benessere
degli allievi immigrati, ma sicuramente gioca un ruolo importante.

27
A. Aluffi Pentini, op. cit., p. 22.

26
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

Le minoranze rappresentano un “problema” leggermente diverso


da quello posto dagli immigrati, in quanto si tratta di gruppi di perso-
ne presenti sul territorio da molto più tempo e solitamente in numero
maggiore.
Spesso questi gruppi etnici “si richiamano alla loro distintività
culturale non per conservatorismo o tradizionalismo, ma piuttosto
come mezzo per ottimizzare gli interessi di gruppo” 28.
Come i gruppi di immigrati, le minoranze mettono in atto varie
strategie nei loro rapporti con la cultura dominante. Esistono forme
di resistenza passiva, prodotte dalla convinzione diffusa all’interno
del gruppo minoritario di non essere in grado di modificare il proprio
status. Si ha quindi un atteggiamento prevalentemente fatalistico di
“rassegnazione” e di ripiegamento, che può portare, all’estremo, al-
l’autodissoluzione del gruppo.
Vi è poi l’accettazione del proprio stato di inferiorità; in questo
caso la distanza dalla cultura dominante viene vissuta in modo nega-
tivo, a causa dell’interiorizzazione di pregiudizi e stereotipi derivati
da essa.
Esistono invece le cosiddette forme di resistenza attiva, accomuna-
te da una valutazione positiva della propria appartenenza etnica. Al-
cuni gruppi, ritenendo immutabili i rapporti asimmetrici di potere,
tendono a limitare al massimo sia la frequenza che la qualità delle re-
lazioni coi gruppi locali; si tratta di forme attive di azione collettiva,
in quanto richiedono “la costruzione di pratiche sociali sottratte al
controllo del gruppo dominante”.29
Infine, le minoranze possono arrivare a una “mobilitazione politi-
camente organizzata, finalizzata al mutamento dei rapporti di forza
politici e agli assetti istituzionali”.30 Questi movimenti politici posso-
no assumere almeno tre forme diverse: “movimenti per l’integrazio-
ne, movimenti per l’inclusione che mantenga, però, la distinzione del
gruppo etnico di appartenenza, movimenti di rottura con le società

28
M. A. Gibson, Introduction. Anthropological Perspectives on Multi-Cultural
Education, in “Anthropology and Education Quarterly”, 1976, p. 12.
29
S. Piazza, F. Toscani, op. cit., p. 101.
30
Ibidem, p. 102.

27
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

locali”.31 Quest’ultimo è il caso dei vari movimenti indipendentisti


presenti in varie parti del mondo, la maggior parte dei quali è conno-
tato da un approccio violento e bellicoso. Per esempio nei Paesi Ba-
schi, provincia autonoma spagnola, agisce l’ETA (acronimo di “Eu-
skadi Ta Askatasuna” cioè “paese basco e libertà”), un’organizzazio-
ne indipendentista che propugna l'indipendenza politica della
comunità basca e la creazione di uno Stato socialista denominato Eu-
skal Herria. Fu creata alla fine degli anni Cinquanta come associazio-
ne studentesca clandestina, per affiancare il Partito Nazionalista Ba-
sco (PNV) nella lotta per l'indipendentismo basco e per contrastare
l’azione repressiva del regime franchista che aveva tolto ai baschi
ogni diritto di autonomia e voleva estinguerne la cultura attraverso la
chiusura delle loro scuole e il divieto di parlare la loro lingua. In quel
periodo fu addirittura vietato l’uso di nomi e cognomi baschi e parla-
re in euskera (così viene chiamata la lingua basca) in pubblico com-
portava l’arresto o l’uccisione. L’ETA si è accostata alla lotta armata
verso la metà degli anni Sessanta e da allora ha perseguito i suoi
obiettivi attraverso atti terroristici e di intimidazione nei confronti di
luoghi turistici ma anche della popolazione locale. Per quanto la mag-
gior parte della popolazione non ne approvi i metodi, ne condivide
però gli scopi. La strada politica purtroppo finora non ha portato a
molti risultati: ufficialmente i Paesi Baschi godono di un’autonomia
che ha portato alla formazione di un parlamento e un governo locali,
ma rimangono sotto un ferreo controllo dello Stato Centrale, attuato
attraverso una massiccio stanziamento di forze di polizia, spesso ac-
cusate di utilizzare metodi molto poco ortodossi, come tortura e con-
trolli provocatori, come rilevato anche da associazioni umanitarie in-
ternazionali (per esempio Amnesty International). La censura inoltre
è molto praticata, infatti anche l'unico quotidiano integralmente in
lingua basca, Egunkaria, è stato chiuso. Anche il principale partito
politico indipendentista, Batasuna, è stato messo fuori legge nel
2003, perché accusato di essere il “braccio politico” dell’ETA. Se da
una parte quindi la violenza del terrorismo è da condannare, viene da
chiedersi quale reale alternativa possa avere questo popolo, che da
decenni viene ostacolato o ignorato dallo stato spagnolo.
31
Ibidem.

28
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

Un esempio pacifico di mobilitazione per l’indipendenza è il caso


dell’Alto Adige, nel quale l’8 giugno 2006 i due movimenti “Union
für Südtirol” e “Süd-Tiroler Freiheit” hanno presentato il progetto di
legge costituzionale 592/XV32 per l'autodeterminazione del Land
Südtirol o Provincia autonoma di Bolzano. Esso richiedeva un refe-
rendum con il quale gli abitanti della provincia interessata avrebbero
potuto scegliere tra: continuare a far parte della Repubblica italiana;
costituirsi in Stato indipendente, libero e sovrano, chiedere l’annes-
sione da parte della Repubblica d’Austria o chiedere l’annessione da
parte della Repubblica federale di Germania. Assegnato alla 1ª Com-
missione permanente (Affari Costituzionali) in sede referente il 20
giugno 2006, non è ancora stato però discusso.33

I tre modelli di incontro con lo stato straniero

Una volta stabilito che è inevitabile venire a contatto con persone,


oggetti e idee “straniere”, occorre analizzare il nostro modo di porci
nei loro confronti, per individuare gli errori e le mancanze che impe-
discono un reale scambio culturale.
Theo Sundermeier, nel suo “Comprendere lo straniero” 34, indivi-
dua tre modelli di incontro con lo straniero, ricorrenti nel corso della
storia. Si tratta di tre modi differenti di vedere, considerare e giudica-
re ciò o chi è estraneo.

Il primo è il modello dell’uguaglianza. L’idea che sta alla base


di questo modello è che l’estraneità va negata, in quanto tutte le “per-
sone umane” 35 sono uguali. Può apparire un modello positivo, ma la
storia ha mostrato che non è così, dato che le sue conseguenze sono

32
Senato della Repubblica Italiana, Disegno di legge N. 592. Riconoscimento del
diritto di autodeterminazione al Land Südtyrol – Provincia Autonoma di Bol-
zano, 8 giugno 2006.
33
Parlamento Italiano, Atto Senato n. 592 XV Legislatura, in
http://www.senato.it/leg/15/BGT/Schede/Ddliter/25588.htm.
34
T. Sundermeier, op. cit.
35
Ibidem, p. 79.

29
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

state ambivalenti. Questo modello era il più diffuso all’inizio dell’era


moderna, quando i conquistatori europei si trovarono davanti a po-
polazioni totalmente sconosciute. Si posero quindi il problema di sta-
bilire se questi stranieri fossero persone umane o no. A seconda della
risposta che veniva data si aveva una di queste tre conseguenze:
Se lo straniero era una persona umana, il problema della compren-
sione non si poneva, occorreva solo trovare un accordo in senso lin-
guistico, per rispondere a esigenze pratiche.
Se era una potenziale persona umana, bisognava renderlo tale, con
la religione e la civilizzazione.
Se non era riconosciuto una persona umana, entrava a far parte
della categoria delle cose e come tale poteva essere tranquillamente
ucciso o venduto come schiavo.
Questo modello non tiene in considerazione le differenze culturali,
non le valorizza e non ne trae nessun vantaggio. È il modello di chi, a
dispetto di tutte le dichiarazioni di uguaglianza, osserva gli altri da un
“gradino più in alto”, convinto della propria superiorità, di essere au-
tosufficiente e quindi di non aver bisogno dell’altro per crescere cul-
turalmente.
Il secondo è il modello dell’alterità, speculare al precedente.
In questo caso lo straniero è considerato come totalmente altro da
me, come lo straniero sospetto, che provoca paura e inquietudine.
Contemporaneamente, però, attrae e stimola, soprattutto se appare
in veste esotica. Anche qui ci sono tre reazioni:
Lo straniero è nemico e va annientato. La comprensione sarebbe in
questo caso pericolosa perché minimizzerebbe i contrasti. Questo
modello invece vive di contrasti e non li vuole indebolire perché raf-
forzano l’identità.
Lo straniero è così attraente da indurre ad abbandonare la propria
cultura. La comprensione è necessaria, ma poi non viene più trasmes-
sa ad altri, perché i ponti con la vecchia cultura vengono demoliti.
L’incontro con lo straniero si riduce a un sottoporsi all’altro, a un
abbassarsi, in qualsiasi forma ciò accada.
Il terzo è il modello della complementarità, quello predomi-
nante nella società occidentale contemporanea.

30
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

In questo modello, l’incontro con lo straniero produce tre diversi


tipi di comportamento:
Lo straniero mi completa. L’incontro con lo straniero mi fa cono-
scere i miei limiti e serve ad arricchirmi, in quanto viene assimilato,
adattato e incorporato. Viene insomma utilizzato per “scopi persona-
li”.
L’incontro con lo straniero è un sentiero verso me stesso, non vie-
ne percepito per se stesso, ma come specchio, il tu che rinforza l’io.
La fatica del comprendere è filtrata attraverso l’egocentrismo del sog-
getto percepente. In questo modello sono da annoverare le esperienze
di alcuni artisti moderni che si sono esposti agli influssi di un’altra
cultura.
Lo straniero viene percepito per se stesso. Si arriva alla compren-
sione dello straniero, se è rispettata la permanente affinità costitutiva
di entrambi e lo straniero non viene strumentalizzato, né incasellato
entro i propri schemi, né assimilato. Sundermeier considera questo
atteggiamento il più giusto, ma constata che finora sono riconoscibili
solamente accenni di questo comportamento.
Questi tre modelli portano a differenti approcci in ambito socio-
politico (come già visto), ma anche in ambito pedagogico (come verrà
più avanti analizzato).
Sundermeier elabora poi un quarto modello, prendendo dai tre
precedenti ciò che secondo lui è irrinunciabile per una corretta “er-
meneutica dello straniero”.
Dal primo modello eredita il principio di uguaglianza: tutti godono
della stessa dignità che è intoccabile.
Dal secondo modello deriva l’idea che la diversità dell’altro dev’es-
sere rispettata, senza voler universalizzare un solo modello di vita fa-
cendo violenza agli altri. Si tratta di “percepire la molteplicità e in
essa accettare la diversità dell’altro, iniziando un processo di com-
prensione”36, senza però arrivare all’espropriazione dello straniero,
né alla perdita della propria identità.
Del terzo modello, infine, riprende il concetto che l’io non è pensa-
bile senza l’altro e che l’autocoscienza non può sorgere senza un ter-

36
Ibidem, p. 144.

31
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

reno sociale, evitando però di ridurre l’altro a un mero specchio di noi


stessi.
Da queste premesse, Sundermeier va alla ricerca di un modello di
incontro con lo straniero che porti alla comprensione, mantenendo
fermi tre aspetti: “l’identità di coloro che si incontrano, la loro inne-
gabile coappartenenza e un reciproco rimando che porta al ricono-
scimento”.37
Per sviluppare un simile modello, si rifà al disegno di Seiichi Yagi
che spiega la struttura relazionale tra sé e il mondo.

La linea p delinea il primo spazio e costituisce entrambi gli spazi A


e B. Li costituisce, separandoli e collegandoli nello stesso tempo. “Ciò
che mi costituisce mi separa dall’altro”.38 Questa parete però non è
fissa, ma può muoversi ed essendo comune a entrambi gli spazi dà
luogo a uno scambio vicendevole, ma non a una sintesi, né a un me-
scolamento. Questo scambio è definito “osmotico” e ha il potere di
rinvigorire e proteggere me stesso e l’altro. Allo stesso modo se la mia
identità è minacciata lo è anche quella dell’altro. L’ego esiste attraver-
so e con l’altro, viene spodestato, ma non annullato. La persona è qui
determinata dalla relazione, “l’altro (…) non è un casuale ornamento
della mia esistenza. Gli stranieri sono in vario modo mie parti costi-
tutive. Siamo vicendevolmente e reciprocamente dipendenti”.39. Allo
stesso tempo anche tutte le altre “pareti” sono contemporaneamente
interno ed esterno di altri spazi e in questo modo si può vedere come
gli scambi siano tantissimi, perché tantissime sono le relazioni con
cui abbiamo a che fare.
37
Ibidem, p. 146.
38
Ibidem, p. 148.
39
Ibidem, pp. 149-150.

32
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

Come scrive anche Francesca Gobbo: “i confini non rappresenta-


no una barriera alla comunicazione e alla comprensione
reciproca…”40
A questo quarto modello di incontro viene dato il nome di model-
lo omeostatico.

1.2 Pedagogia interculturale

La società contemporanea, caratterizzata da una forte multicultu-


ralità, richiede un pensiero complesso capace di interpretare e spie-
gare una realtà diversificata, articolata e multidimensionale, grazie al
quale “realizzare un’educazione all’ascolto attivo, all’autoconsape-
volezza delle proprie emozioni per poter gestire in modo creativo
anche i possibili conflitti”.41
Spesso invece ci troviamo di fronte a un pensiero semplicistico e
monodimensionale, il cosiddetto pensiero riduzionista, che ignora e
dissolve gli insiemi complessi e multidimensionali, limitando tutto al
misurabile e quantificabile.
Si delinea quindi la necessità di mettere in atto una pedagogia in-
terculturale, cioè quel settore del pensiero dell’educazione che deli-
nea le strategie migliori perché soggetti portatori di culture e origini
culturali diverse possano imparare a comunicare fra loro, indipen-
dentemente dalle differenze culturali, linguistiche e comportamenta-
li.
L’agire educativo quindi non può più essere inteso come la sempli-
ce trasmissione di valori legati esclusivamente a una cultura, a una
lingua e a una nazione, ma deve tener conto dei cambiamenti sociali
legati alla modernizzazione e alla globalizzazione.
Ciò non deve tuttavia portare a sottovalutare l’importanza della
propria cultura, ma casomai stimolare un desiderio di conoscere cri-
ticamente la propria storia e quella delle altre culture attraverso altre
prospettive.

40
F. Gobbo, op. cit., p. 37.
41
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 60.

33
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

La pedagogia interculturale non è quindi rivolta soltanto al mondo


della scuola (sebbene esso abbia un ruolo predominante) con l’acco-
glienza e l’inserimento degli alunni stranieri, ma si rivolge all’intera
società, situando i problemi riguardanti l’interculturalità in una pro-
spettiva teorica più ampia.
Questo perché la pedagogia interculturale parte dall’idea che i pro-
blemi che si generano siano dovuti non tanto, o meglio non solo, alle
difficoltà o diversità di determinati soggetti o gruppi, quanto al fatto
che l’organizzazione sociale e la cultura dei paesi di accoglimento
“non sono abituate a vedersi e ad ascoltarsi come insieme di regole,
modi, aspettative culturali” 42, non rendendosi così conto della pro-
pria rigidità e incapacità di adattarsi a nuove situazioni.
Quindi la didattica interculturale apre il discorso sulla diversità in
generale (non solo quella che caratterizza gli immigrati) e indica
quanto le stesse culture e società di accoglimento ne siano intrise. Va
però tenuto presente che “non è possibile educare al dialogo tra i po-
poli e le culture in assenza di un’educazione alla comunicazione in-
terpersonale”43, infatti chi non è in grado di relazionarsi in modo po-
sitivo con le persone che lo circondano abitualmente, non riuscirà di
certo a dialogare con chi gli è totalmente estraneo. Le culture, essen-
do costituite da persone reali, per dialogare necessitano perciò che i
propri appartenenti sappiano in primo luogo relazionarsi tra di loro.
Occorre quindi iniziare un percorso di analisi e di riflessione sulla
nostra stessa identità e diversità, sui nostri modi di rapportarci agli
altri, per arrivare poi a confrontarci con la diversità di chi ci è stranie-
ro.
Nella conferenza dell’UE sul dialogo interculturale 44, all’interno
della dichiarazione che tratta della politica del dialogo interculturale,
si individua come campo di azione prioritario l’educazione dei giova-
ni alla tolleranza, alla comprensione e rispetto reciproco, all’apertura
all’altro e alla sua scoperta, alla comprensione delle molteplici forme

42
F. Gobbo, op. cit., p. 13.
43
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 59.
44
UE, Dichiarazione della Conferenza dell’Unione Europea sul dialogo intercul-
turale, Bruxelles, 20-21 marzo 2002, punto 4-a.

34
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

della modernità, al superamento della tendenza all’assolutizzazione


delle identità collettive.
Seguendo queste linee guida, la pedagogia interculturale, secondo
Antonio Genovese45 si propone di:
- rendere più fluide e reciproche le comunicazioni fra gli individui
appartenenti a etnie eterogenee;
- favorire l’incontro tra le culture diverse, facilitando la messa in
relazione di comportamenti e valori che possono anche collocarsi su
piani non allineati o addirittura divergenti, per contrastare così ogni
forma di xenofobia e razzismo, attraverso l’abbattimento di stereotipi
e pregiudizi culturali;
- sottolineare i cambiamenti che si producono all’interno delle cul-
ture durante la loro evoluzione e portare alla luce il nuovo che nasce
dall’interazione con le altre, cioè valorizzare tutti quegli elementi che
concorrono ad arricchire le rispettive identità;
- sottolineare i meccanismi per la produzione di una nuova cultu-
ra;
- contrastare i rischi di omologazione e di massificazione;
- valorizzare le differenze;
- costruire un’identità personale aperta al pluralismo culturale e
capace di rapportarsi agli altri sulla base della reciprocità 46.
Una corretta pedagogia interculturale, secondo Aluffi Pentini, deve
tener conto di tre aspetti di uguale importanza, ma complementari:
l’unicità individuale, la diversità di gruppo e il concetto di pensiero
inclusivo. Occorre fare attenzione che l’impostazione educativa o le
attività proposte non siano squilibrate verso uno di questi tre aspetti.
Il concetto di unicità individuale fa riferimento alla centralità
della persona nella sua irripetibilità ed è quindi legato a un approccio
pedagogico di tipo generale, che si interessa dell’educazione di tutti e
di ognuno, senza particolari distinzioni legate alle appartenenze cul-
turali. Benché teoricamente questo metodo potrebbe apparire da solo
sufficiente alla realizzazione di una pedagogia interculturale, nella
pratica quotidiana questo concetto di unicità individuale rischia di
essere utilizzato per sostenere che tutti hanno esigenze identiche,
45
A. Genovese, op. cit., p. 7.
46
Ibidem, p. 17.

35
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

ignorando le differenze che invece esistono e le influenze che le varie


culture portano nella formazione di ognuno e legittimando una
“omogeneizzazione dell’offerta formativa”.47
Il concetto di diversità di gruppo consente di porre l’attenzione
sull’appartenenza delle persone a uno o più gruppi e sulle loro diffe-
renze, contrastando l’idea di una presunta omogeneità fra gli indivi-
dui. Nella pratica educativa occorre essere aperti a ciò che questa ap-
partenenza comporta, data la sua grande influenza nel processo di
formazione dell’identità personale. Bisogna perciò riconoscerne le
espressioni e non ignorarla rischiando di svalorizzarla. Questo aspet-
to è quello più strettamente legato al discorso dell’educazione inter-
culturale e benché abbia il pregio di tenere in alta considerazione le
differenze culturali, spesso rischia di “voler definire e fissare rigida-
mente appartenenze fluide”48 senza riconoscere l’importanza dell’u-
nicità dell’individuo e delle sue caratteristiche specifiche.
Il concetto di pensiero inclusivo si riferisce all’esigenza di inclu-
dere, cioè di garantire l’accesso a servizi e opportunità in modo con-
creto. La parità quindi non deve consistere solo nel riconoscimento
della cultura dello straniero, ma anche nel riconoscimento di pari di-
gnità e pari opportunità di ascesa sociale. Dal punto di vista pedago-
gico questo atteggiamento è strettamente legato alla pedagogia anti-
razzista, che ha l’obiettivo di sviluppare in ognuno le competenze e la
consapevolezza necessarie a identificare e smantellare le pratiche raz-
ziste, implicite ed esplicite, attuate sia a livello personale che dalle
istituzioni.
Anche questo aspetto però, se viene privilegiato rispetto ai prece-
denti due concetti, rischia di ridurre la pedagogia a “una arida anali-
si di responsabilità che facilmente genererebbe sensi di colpa, o co-
munque un’analisi di situazioni che rendono difficoltosa la convi-
venza tra persone di culture diverse”.49 Si perderebbe così di vista
tutto ciò che concerne le culture e i loro bagagli di significati ed emo-
tività.

47
A. Aluffi Pentini, op. cit., p. 14.
48
Ibidem, p. 15.
49
Ibidem.

36
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

Modelli pedagogici

A seconda del grado di equilibrio tra i tre concetti precedentemen-


te analizzati, si possono individuare delle tipologie di intervento nella
pratica pedagogica interculturale, tra le quali Genovese 50 identifica
due modelli principali situati ai due poli opposti della vasta gamma di
opinioni pedagogiche interculturali.
Il primo modello viene definito assimilazionista: in questo
modello il processo di socializzazione è inteso fondamentalmente
come un percorso di omologazione e di adattamento al nuovo conte-
sto sociale e culturale.
Le differenze non hanno rilievo pedagogico, anzi, si cerca di attu-
tirle e di eliminarle, in quanto la loro esistenza viene vista come un
potenziale pericolo.
Viene fuori un modello fondato sul “dover essere” in cui l’inse-
gnante ha un ruolo ispiratore: “l’azione pedagogica si basa sull’e-
sempio, sulla parola e sull’esortazione”.51
Ci si trova di fronte a una visione non interventista sul piano didat-
tico e poco flessibile dal punto di vista della programmazione: le atti-
vità non si devono modificare perché non bisogna mettere in rilievo
una presenza che potrebbe essere percepita dai bambini autoctoni
come diversa e invasiva.
Dal punto di vista pratico il problema viene affrontato prevalente-
mente sul piano degli apprendimenti linguistici e delle regole di com-
portamento, con l’obiettivo di un inserimento non conflittuale nella
società, attuando la cosiddetta pedagogia compensativa, che ha l’o-
biettivo di compensare le lacune a livello linguistico e di contenuti.
Per quanto a prima vista appaia un metodo valido, che mette tutti
sullo stesso piano, in realtà non valorizza le differenze personali,
ignorando la loro influenza nei processi di apprendimento e nello svi-
luppo dei bambini. Francesca Marianna Consonni della GAM di Gal-
larate52 mette in evidenza questo aspetto quando parla di alcuni bam-

50
A. Genovese, op. cit., p. 7.
51
Ibidem.
52
Intervista effettuata a F. M. Consonni, GAM, Gallarate, 3 dicembre 2009.

37
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

bini che hanno partecipato alle attività didattiche organizzate dal mu-
seo. Alcuni allievi provenienti dal Sud America, cresciuti nella zona
della foresta amazzonica e quindi abituati a un ambiente caratterizza-
to da forti contrasti di luce e ombra, hanno mostrato di avere una
percezione visiva diversa, più sensibile alle differenze di luminosità,
rispetto agli altri allievi più abituati a concentrasi sulle forme degli
oggetti.
Questo metodo, perciò, oltre a non trarre alcun vantaggio dalle dif-
ferenze, rischia di renderle ancora più evidenti, proprio perché le
considera un impedimento e un handicap. Si tratta inoltre di un me-
todo impositivo, in cui le conoscenze e le competenze, vengono stabi-
lite dall’alto senza tener conto delle capacità personali di chi vi è “sot-
toposto”. È lo stesso tipo di atteggiamento che Sundermeier, in quello
che definisce “modello dell’uguaglianza” 53, attribuisce ai conquistato-
ri europei che, all’inizio dell’era moderna, incontravano nuove popo-
lazioni totalmente sconosciute.
A questo modello fa riferimento la scuola prodotta dal cosiddetto
“modello repubblicano”, riscontrabile in Francia, in cui la scuola ha il
compito di formare il cittadino francese, qualunque sia la sua prove-
nienza. Questo tipo di modello ha le sue radici nel rapporto della
Francia con le sue colonie e si basa su un patto di scambio tra lo stato
laico e democratico da un lato e, dall’altro, i lavoratori migranti che,
se accettano le regole, grazie al patto diventano soggetti di diritti. 54
Questa acquisizione di diritti ovviamente non si traduce automatica-
mente in parità sociale: anzi, solitamente questi immigrati, pur otte-
nendo la cittadinanza, continuano a vivere in condizioni disagevoli e
precarie. Si viene così a creare una separazione tra cittadini di serie B
e di serie A. Questa situazione è stata messa in luce dalla rivolta delle
banlieu francesi nel 2005. Le difficoltà dei sobborghi francesi hanno
le loro radici nei piani di ricostruzione che sono stati attuati dopo la
seconda guerra mondiale. Durante il 1950 una carenza di abitazioni
portò alla creazione di baraccopoli per accogliere giovani lavoratori
provenienti dalle colonie, prevalentemente dall'Africa del Nord e del-
l'Ovest. Il paese accolse con gioia l’arrivo di queste persone, chiamate
53
T. Sundermeier, op. cit., p. 79.
54
A. Aluffi Pentini, op. cit., p. 16.

38
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

per aiutare la ricostruzione. A un’accoglienza per così dire teorica,


non corrispose però un’altrettanta accoglienza pratica, in quanto le
zone abitate dagli immigrati furono sempre più abbandonate a se
stesse, in balia del degrado e dell’illegalità, lasciando che si trasfor-
massero in ghetti. Col passare del tempo il malcontento tra la popola-
zione è cresciuto al punto da esplodere in episodi di violenza, i più
noti dei quali sono quelli del 2005. Le istituzioni, da parte loro, han-
no sempre assunto un comportamento altalenante tra il contenimen-
to della povertà e dell'isolamento sociale e il rafforzamento dei con-
trolli effettuati dalle forze dell’ordine, per ristabilire l’ordine e la lega-
lità. Spesso però questi ultimi hanno ottenuto l’effetto contrario a
quello voluto, infatti gli agenti di polizia sono frequentemente accusa-
ti di avere un atteggiamento di molestia e provocazione nei confronti
degli abitati delle periferie.
Secondo lo scrittore Amar Henni55, tra i principali fattori scatenan-
ti della rivolta non ci sono stati solo il bisogno di rispetto e dignità,
ma anche una sorta di competizione tra le zone implicate ad aggiudi-
carsi il titolo di area "più violenta" sfruttando la visibilità data dai
media, i quali sembrano quindi giocare un ruolo importante nella
propagazione delle violenze.
Henni spiega che gli scontri erano diretti verso la gente della stessa
condizione sociale, perché gli aggressori non erano né organizzati, né
politicamente educati e non sapevano come raggiungere i propri
obiettivi in maniera legale.
Il secondo modello si trova all’opposto ed è definito differen-
zialista/separatista: le differenze culturali sono ritenute non com-
patibili fra di loro e in grado di produrre un conflitto distruttivo nel
momento della loro interazione. In questo modello, mentre si cerca di
rinsaldare i legami nei gruppi etnici di appartenenza attraverso la va-
lorizzazione della cultura di origine, si mira in realtà alla creazione di
comunità che si contrappongono e che riescono a tollerarsi reciproca-
mente, ma che non comunicano fra loro. Questo modello spinge alla
separazione delle culture, ma soprattutto delle comunità e degli indi-
vidui.56
55
A. Henni, “Libération”, 5 novembre 2005.
56
A. Genovese, op. cit., p. 19.

39
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

Il modello differenzialista è quello dominante nel mondo anglosas-


sone, in cui si mira alla costituzione di comunità etniche autonome in
assenza però di qualsiasi tipo di scambio culturale. Sono esemplari i
casi della famosa Chinatown a San Francisco e della numerosa comu-
nità indiana in Inghilterra.
I limiti di questo modello (così come di quello precedente) sono
evidenti: attraverso la “valorizzazione” unilaterale e assoluta della
propria cultura si vogliono creare mondi separati e incomunicabili fra
loro. Forse più sottili, perché meno evidenti, ma ugualmente negative
per l’interculturalità, sono quelle separazioni che fanno riferimento a
realtà e dati “oggettivi”, come la non conoscenza linguistica, la diffe-
renza di comportamento, ecc… tutte separazioni che trovano spesso
la soluzione più “adeguata” nella formazione di luoghi “formativi” se-
parati, cioè di ghetti.
Un esempio non molto lontano lo si rintraccia nella pratica della
“pedagogia per stranieri” che si è concretizzata nella formazione di
scuole, classi e programmi differenziati.
In Italia la Lega Nord, attraverso una mozione proposta nell’otto-
bre del 2008, ha proposto la costituzione delle cosiddette “classi pon-
te” per l’inserimento degli alunni immigrati nel sistema scolastico ita-
liano. La mozione identifica la presenza di allievi immigrati come
causa di “difficoltà oggettive d'insegnamento per i docenti e di ap-
prendimento per gli studenti”57 e prevede l’introduzione di un test
linguistico e di una valutazione generale dello studente straniero, che
se non è reputato capace di stare al passo degli altri in una classe nor-
male va a finire in una “classe di inserimento”. Inizialmente approva-
ta, seppur con un minimo scarto tra maggioranza a opposizione, que-
sta mozione ha scatenato una moltitudine di polemiche, da parte di
esponenti di entrambi gli schieramenti politici, del mondo cattolico e
di esperti dell’educazione, che l’hanno accusata di essere uno stru-
mento di discriminazione. Il ministro Mariastella Gelmini ha assunto
alcuni dei concetti di questa mozione e li ha inseriti nella Circolare
Ministeriale n.2 dell’8 gennaio 2010, che fissa al 30 per cento il nu-

57
Camera dei Deputati, Mozione 1-00033, 14 ottobre 2008.

40
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

mero massimo di alunni con cittadinanza non italiana che sarà possi-
bile inserire nelle classi.58
Si tratta di un provvedimento che, se da un lato evita la creazione
di “classi ghetto”, crea comunque delle discriminazioni. L’errore sot-
teso a questo provvedimento sta nella frase del Ministro Gelmini che
ha dichiarato “non è certo un problema di razzismo ma un problema
soprattutto didattico: lo sanno le molte mamme che vedono la clas-
se dei loro figli procedere a due velocità di crescita formativa, con
alcuni studenti che rimangono indietro ed altri che riescono ad an-
dare avanti meglio”59. È evidente che i bambini stranieri possono
avere maggiori difficoltà, ma è fatto normalissimo che in una classe i
bambini abbiano velocità di crescita formativa differenti. Gli inse-
gnanti hanno proprio il compito di gestire queste differenze; la moti-
vazione di voler diminuire le difficoltà d’insegnamento per i docenti e
di apprendimento per gli studenti appare come un pretesto per sod-
disfare le esigenze di quei genitori che ancora non vedono di buon oc-
chio la presenza di bambini stranieri nelle scuole dei propri figli, per-
ché preoccupati che ciò li rallenti nell’apprendimento. Seguendo que-
sto ragionamento, bisognerebbe individuare le caratteristiche
dell’allievo standard (che esiste solo nella teoria) e separare tutti
quelli che vi si discostano. Dato che nella pratica la maggior parte de-
gli allievi presenta qualche “scomodità”60, si dovrebbero sviluppare
un gran numero di classi che separino i bambini a seconda delle loro
capacità, del loro livello e velocità di apprendimento, creando classi il
più possibile omogenee. Questo ragionamento però non tiene conto
del fatto che i bambini imparano moltissimo osservando anche i com-
pagni e che un ambiente omogeneo offre molti meno stimoli e di con-
seguenza non accelera lo sviluppo di un bambino con difficoltà di ap-
prendimento. Bisogna infatti ricordare che sono molte le conoscenze
(informazioni, regole, comportamenti, linguaggi) che si apprendono
dagli altri, senza che essi ne abbiano avuto l’intenzione o se ne siano
resi conto. Il comportamento dei compagni autoctoni risulta molto si-
58
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Circolare Ministeriale
n.2, 8 gennaio 2010, punto n.3.
59
S. Intravaia, “La Repubblica”, 09 gennaio 2010.
60
A. Aluffi Pentini, op. cit., p.12.

41
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

gnificativo per il bambino straniero, che impara a vivere nella nuova


società proprio osservando i compagni che vi appartengono dalla na-
scita.
Per quanto riguarda le difficoltà linguistiche, basta ricordare che il
metodo migliore per imparare una lingua è trovarvisi immersi (per
esempio grazie ai numerosi viaggi-studio), per capire come la separa-
zione non sia il metodo migliore.
Per superare queste due visioni e avvicinarsi a una prospettiva ve-
ramente interculturale, si deve guardare a un terzo modello, quello
che promuove l’integrazione delle differenze, cioè tendente alla loro
valorizzazione, ma in un’ottica di confronto. Si tratta di costruire mo-
menti d’interazione fra le diverse culture e di far emergere sia i tratti
comuni, sia i fattori portatori di diversità, senza costruire barriere in-
sormontabili e contrasti non risolvibili.
Questo modello pluralista/integrazionista è a nostro avviso il
migliore dal punto di vista interculturale. Nella pratica pedagogica
esso tenta di collegare i processi di apprendimento e di socializzazio-
ne con le diverse esperienze dei bambini e, nel caso di bambini stra-
nieri, di conciliare gli obiettivi scolastici con le aspettative familiari.
Si tratta di contemperare i percorsi formativi con il rispetto dell’iden-
tità culturale ed etnica dei diversi soggetti, anzi traendone spunti in-
teressanti per l’arricchimento di tutti.
In questo modello pluralista si trova una relativa ricchezza di pro-
poste didattiche, dovuta anche al fatto che, proprio per via di questa
attenzione ai singoli individui, non si possono stabilire a priori attivi-
tà che vadano bene in qualunque contesto, ma occorre progettare
specificatamente per la situazione in cui ci si trova.
Solitamente il modulo organizzativo che viene privilegiato nelle at-
tività che si rifanno a questo modello è il piccolo gruppo, dato che
esso permette maggiori interazioni e più coesione tra i partecipanti.
L’obiettivo principale di queste attività diventa il rispetto dell’identità
culturale del bambino migrante e autoctono, che può passare attra-
verso la memoria e la valorizzazione delle tradizioni, delle feste e dei
significati simbolici di atti e avvenimenti importanti nelle diverse cul-

42
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

ture, ma anche attraverso il confronto di fiabe, usi alimentari, modi


di abitare, di vestirsi, ecc…61
La difficoltà di attuazione di questo metodo è dovuta anche al fatto
che è necessario rivedere la programmazione didattica e mettere in
atto nuove strategie per lo sviluppo di competenze relazionali, attra-
verso metodologie che consentano la partecipazione anche dei bam-
bini che ancora non sono pienamente padroni della lingua. Gli inse-
gnanti purtroppo non sempre sono in grado (o hanno voglia) di at-
tuare questi cambiamenti, forse anche perché essi richiedono
competenze che non fanno parte del loro bagaglio culturale, acquisito
durante il loro percorso formativo. Il primo passo da fare verso una
corretta pedagogia interculturale è, quindi, proprio la formazione de-
gli insegnanti.
Genovese mette in guardia dagli approcci pedagogici che tendono
a sottovalutare le conseguenze emotive e affettive legate al cambia-
mento del contesto sociale e ambientale cui viene sottoposto il bam-
bino migrante e che, pertanto, tendono a dare scarso peso alla ricadu-
ta del processo di sradicamento culturale sul piano cognitivo. 62
In realtà, in questi processi di apprendimento che rimettono in di-
scussione non solo i contenuti, ma anche e soprattutto, il modo in cui
il soggetto organizza i contenuti stessi, ha una grossa rilevanza il rap-
porto emozione/conoscenza, perché questo cambiamento radicale è
quasi sempre imposto e porta a uno scompaginamento delle mappe
concettuali e alla perdita del contesto di riferimento. Questo “strania-
mento” non capita solo all’infanzia migrante, ma a chiunque vive in
contesti multiculturali, come succede ormai a quasi tutti i bambini.
Lo stesso apprendimento della lingua parlata nel paese di arrivo,
non è, in questo caso, il semplice studio di una lingua straniera, la
semplice acquisizione di uno strumento per comunicare con “stranie-
ri”, ma è una lingua che “veicola emozioni, che permette di dare nuo-
vi nomi ai luoghi e agli avvenimenti e che consente la partecipazio-
ne a relazioni affettive rilevanti. Si tratta cioè di apprendere una
lingua per una comunicazione piena dal punto di vista affettivo, so-

61
A. Genovese, op. cit., p. 8.
62
Ibidem.

43
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

ciale e relazionale”.63 Se dunque il problema viene affrontato a questo


livello, è chiaro che esso implica la messa in campo di percorsi forma-
tivi capaci di fare i conti con la complessità e la socialità necessarie
alla comunicazione.
È fondamentale che il modello pedagogico diventi più ampio e ac-
quisisca una valenza interattiva, perché deve permettere fluidità, fles-
sibilità e reciprocità. È quindi utile riferirsi a un modello esplicativo e
orientativo che accetti l’esistenza del pluralismo culturale e punti al-
l’integrazione (cioè alla relazione senza sradicamento) dei diversi
soggetti e delle differenti culture, un modello capace di aprirsi anche
al confronto e, soprattutto, al contrasto che non esplode in violenza.
L’educazione interculturale va quindi intesa come un unico proces-
so che va in due direzioni: da un lato, verso una socializzazione im-
prontata alla solidarietà e tesa a costruire relazioni affettive aperte
verso l’altro; dall’altro lato, verso la realizzazione di esperienze d’ap-
prendimento capaci di superare gli stereotipi culturali che tutti noi
largamente utilizziamo per la descrizione e interpretazione della real-
tà.
Per raggiungere questi obiettivi, esistono alcuni temi che assumo-
no maggiore rilevanza in una prospettiva didattica orientata all’inter-
culturalità: l’accoglienza e la valorizzazione delle differenze attraverso
l’ascolto e il dialogo, il decentramento e la conseguente costruzione
dell’identità.

La valorizzazione delle differenze e la pedagogia dell'ascolto

La nostra società, pur ricca di diversità, va altresì incontro a un


processo di omologazione culturale causata anche dai media che
esportano in tutto il mondo il cosiddetto “modello occidentale” di vita
(benché si tratti spesso di un modello di vita irreale). Risulta così dif-
ficile considerare l’alterità come un valore e la diversità delle idee
come un arricchimento reciproco. Occorre invece rendersi conto che
noi stessi siamo portatori di differenze, e abbandonare il nostro inna-

63
Ibidem, p. 21.

44
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

to egocentrismo, in quanto le differenze interessano anche gli appar-


tenenti alla cultura dominante: interessi, competenze, gusti, variano
da un individuo all’altro anche tra gli autoctoni. Lo si vede nella stes-
sa definizione di Italiani, che comprende persone provenienti da re-
gioni con tradizioni e stili di vita anche molto differenti. Il problema è
che queste differenze vengono percepite come meno “ingombranti”
rispetto a quelle che riscontriamo negli stranieri.
Assistiamo perciò a un paradosso in cui, nonostante la diversità e
la varietà delle attitudini e delle esperienze degli individui e delle col-
lettività appaiano una condizione indispensabile all’innovazione e
allo sviluppo, si è però ancora lontani dal dare il giusto valore, o
quanto meno il dovuto rispetto alle diversità e alle varietà individuali
e collettive.
Bisogna imparare a dare il giusto riconoscimento a ciò che è diver-
so da noi: “Il modello di vita altrui non [va] considerato come disor-
dine e caos, come barbarico e pericoloso, ma come ordinamento di
un altro”.64
Nella prospettiva interculturale la differenza va perciò assunta
“non come un limite ma come una ricchezza come cammino verso il
superamento delle condizioni esistenti, verso il superamento del li-
vellamento e dell’egualitarismo forzato che impoverisce dei talenti
che ognuno ha. La diversità vissuta come possibilità porta alla con-
quista della differenza”.65
Spesso tutti noi tendiamo a leggere e a interpretare le differenze
secondo uno schema “noi/loro” di tipo rigido (stranieri contro autoc-
toni) e scarsamente modificabile, per cui lo scambio culturale non
viene percepito come una componente importante della vita di tutti,
ma funzionale solo all’inserimento del bambino/ragazzo migrante.66
Secondo la pedagogia interculturale la differenza andrebbe intesa
come un criterio regolativo e riorganizzatore delle attività didattiche,
dei rapporti interpersonali, come una qualità che riguarda e investe
tutti i partecipanti al processo formativo, per cui tutti dovrebbero im-
parare a riconoscerla, a convivere con essa e a usarla positivamente.
64
Sundermeier, op. cit., p. 159.
65
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 60.
66
A. Genovese, op. cit., p. 8.

45
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

Invece ciò accade molto raramente: nelle nostre convinzioni più pro-
fonde è quasi sempre lo straniero che deve cogliere le differenze. In
questo modo lo schema “noi/loro”, diventa fisso e le differenze si cri-
stallizzano e si trasformano in diversità inconciliabili.
Al contrario, se il gioco delle differenze porta a comporre e scom-
porre continuamente i gruppi che formano il “noi” e il “loro”, appare
chiaro che le differenze non sono cristallizzate, ma cambiano in rap-
porto ai parametri che utilizziamo e, di volta in volta, ognuno di noi
può trovarsi collocato in versanti diversi e può interpretare ruoli dif-
ferenti nelle relazioni interpersonali. 67
Questo “gioco delle differenze” può portare ad acquisire la consa-
pevolezza che proprio dallo scambio e dall’interazione nascono ele-
menti innovativi accanto a ciò che permane e resiste: passato e pre-
sente, tradizione e innovazione.
Il riconoscimento delle differenze di cui ogni allievo è portatore
passa anche attraverso la scoperta delle sue capacità, grazie a una pe-
dagogia dell’ascolto, che consente di sentire e interpretare i bisogni di
ogni bambino, al fine di valorizzare le capacità di tutti loro, stranieri e
autoctoni.
Chi non è in grado o non è disposto a prestare ascolto all’altro, fini-
sce inevitabilmente col richiudersi nei propri stereotipi e nelle pro-
prie idee.
Un problema che ha bisogno di essere affrontato con una disponi-
bilità di questo genere è quello relativo all’apprendimento della se-
conda lingua per il bambino migrante. Un atteggiamento didattico
non aperto all’ascolto e alla valorizzazione dell’alunno porta a inter-
pretare, o per meglio dire a etichettare, la condizione del bambino
straniero come un “non alfabetizzato”, quando in realtà si tratta di
soggetti che non solo parlano bene la loro lingua (o addirittura anche
una seconda, come spesso accade), ma soprattutto sono già scolariz-
zati con un altro linguaggio.
Anche la diversa concezione del tempo è un fattore che spesso por-
ta l’alunno straniero ad apparire agli occhi dell’insegnante molto len-
to nell’esecuzione dei compiti assegnatigli e per questo giudicato ne-
gativamente dal punto di vista didattico, come se fosse lento perché
67
Ibidem, p. 9.

46
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

incapace di eseguire il compito, quando invece la sua lentezza molto


probabilmente deriva da una diversa concezione della temporalità.
Non in tutte le culture, infatti, il tempo viene visto come qualcosa da
“occupare” il più possibile e i compiti devono essere svolti nel minor
tempo necessario per essere giudicati positivamente. Questo frain-
tendimento in buona fede è dovuto a una scarsa capacità di mettersi
nei panni dell’altro, per cui invece di ipotizzare che un dato compor-
tamento delle persone è ragionevole per loro in quanto è motivato da
un differente sistema di norme culturali, spesso riteniamo che siano
state violate intenzionalmente delle convenzioni condivise, o che co-
munque si tratti di mancanze e incapacità.
Su questi terreni può essere utile ricorrere alle esperienze delle
pratiche nonviolente, per creare una situazione in cui vengono attiva-
ti meccanismi legati allo sviluppo della fiducia reciproca e in cui si
fanno vivere esperienze di solidarietà o di ribaltamento di ruoli, che
solitamente si presentano rigidi e prefissati. Si tratta di giochi e attivi-
tà che cercano di far nascere elementi di cambiamento non solo nel
pensiero, ma anche nel vissuto degli individui coinvolti.
Il saper ascoltare i bisogni dell’altro si misura anche nel momento
dell’accoglienza del nuovo alunno. In tale situazione viene messa in
evidenza la capacità di instaurare una relazione in profondità con l’al-
tro ed è possibile analizzare i vari rapporti che nell’ambito scolastico
s’instaurano tra l’insegnante e gli alunni e tra gli alunni stessi: se essi
sono in grado di interagire con un loro coetaneo nuovo, se sono aperti
all’accoglienza o se la loro prima reazione è la chiusura, se l’insegnan-
te è in grado di mediare tra gli alunni nuovi e quelli già presenti. Si
tratta insomma di una buona “cartina tornasole” per verificare le ca-
pacità relazionali della classe.

Accoglienza e inserimento degli stranieri

Benché rivolta a tutti, la pedagogia interculturale si occupa anche


del caso specifico di alunni (bambini o adolescenti) stranieri e del
loro inserimento nella scuola e di conseguenza nella società.

47
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

Per far ciò deve assolutamente tener conto delle difficoltà materia-
li, ma soprattutto emotive che i giovani stranieri incontrano nell’inse-
rirsi in una società nuova, a volte diversissima da quella di origine.
Molti insegnanti, inoltre, dimenticano che la scuola stessa ha una
propria cultura, formata da regole e codici di comportamento non
scritti, e che spesso questa è molto lontana dall’ambiente culturale da
cui proviene il bambino straniero. Il bambino, quindi, non solo deve
imparare una nuova lingua per apprendere nuove conoscenze disci-
plinari, ma deve anche imparare a essere un allievo.
Lo spaesamento, che viene definito anche sradicamento, è il senti-
mento che più caratterizza l’esperienza della migrazione in un paese
straniero; il termine sradicamento fa comprendere bene la situazione
di chi è stato distaccato violentemente dal proprio contesto per essere
trapiantato in un nuovo luogo, lo spaesamento mette in luce lo stato
d’animo di chi ha perso i propri punti di riferimento. Per questo i luo-
ghi sono importanti: è necessario che i bambini trovino un ambiente
rassicurante che diventi loro familiare e in cui star bene, per potersi
poi inserire mano a mano in tutti gli altri “luoghi” che costituiscono la
società. È in questo senso che l’intervento interculturale inizialmente
consiste, secondo Aluffi Pentini, nel creare luoghi nei quali gli stra-
nieri si sentano accolti e nei quali sia possibile l’instaurarsi di relazio-
ni positive e significative. Uno di questi luoghi può essere costituito
proprio dal museo e dall’arte, come verrà più avanti mostrato.
Aluffi Pentini mette inoltre in luce il fatto che “l’approccio inter-
culturale può bastare laddove gli interlocutori appartenenti a cultu-
re diverse si collocano su un piano di parità dal punto di vista socia-
le, economico e culturale” 68. Ciò significa che la parità non deve con-
sistere solo nel riconoscimento della cultura dello straniero, ma
anche nel riconoscimento di pari dignità e pari opportunità di ascesa
sociale. Significa che non vi deve essere rischio di sopraffazione, né
senso di inferiorità. Per questo occorre evitare che qualcuno diventi
“il diverso” per definizione e venga messo su un gradino più basso ri-
spetto agli altri. Inizialmente quindi l’evitare di mettere in evidenza le
differenze di cui il nuovo arrivato è portatore può essere il metodo
migliore per consentirgli di acclimatarsi nel nuovo contesto della
68
A. Aluffi Pentini, op. cit., p. 12.

48
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

classe. “É meglio non sottolineare la differenza dei bambini stranieri


perché non si sa com’è il loro rapporto con la cultura d’origine” af-
ferma Almir San Martin, mediatore museale alla GAMeC di Bergamo,
“meglio aspettare che sia il bimbo a dichiarare di essere stranie-
ro”69. Le già citate iniziative di pedagogia per stranieri evidentemente
non tengono conto di questo aspetto, etichettando subito i nuovi arri-
vati come diversi.
È inoltre di fondamentale importanza ricordare che adeguarsi ai
bisogni dei piccoli stranieri, per rispondere alle loro esigenze, non
comporta uno scadimento della qualità dell’istruzione per i coetanei,
ma anzi significa dare garanzie precise a tutti i genitori che tutti ven-
gono aiutati a raggiungere livelli ottimali70.

Comunicazione interculturale

Oltre a saper ascoltare, è necessario saper comunicare: il dialogo è


quindi un aspetto fondamentale della pedagogia interculturale.
Esso presuppone oltre a una cultura da “comunicare” soprattutto
tutta una serie di competenze relazionali, la cui acquisizione passa at-
traverso la consapevolezza delle diversità di cui ognuno di noi è por-
tatore e la conoscenza di tali diversità. La comunicazione“può contri-
buire a far nascere un nuovo ordine mondiale, basato su una sfera
pubblica costruita da individui e persone libere e responsabili.(…)
Essa può gettare le basi di quella sfera pubblica mondiale premessa
indispensabile per regolare la comunità internazionale sulla base di
significati condivisi e valori minimi unificanti” 71. La comunicazione
porta alla conoscenza dell’altro diverso da sé e alla scoperta che le di-
versità non sono muri insormontabili, ma sono “vie da percorrere al
fine di giungere a soluzioni creative…”72 che portano a una maggiore
apertura mentale e a un maggiore pensiero divergente.
69
A. San Martin, Intervento al Convegno Il patrimonio risorsa per l’educazione
interculturale. La scuola, il museo, il territorio, Milano, 4 marzo 2009.
70
A. Aluffi Pentini, op. cit., p. 13.
71
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 61.
72
Ibidem.

49
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

La comunicazione interculturale o cosmopolita “risulta essere la


valida risposta a quel tipo di comunicazione che nega l’esistenza o
l’umanità di altri modi di essere (la comunicazione monoculturale),
a quella che senza deprecare ed opporsi alle altre persegue la pro-
pria strada ignorando le altre culture (la comunicazione etnocentri-
ca), o ancora, a quella che muta perpetuamente i propri schemi cau-
sando spaesamento (come la comunicazione modernista)” 73.

73
Ibidem, p. 63.

50
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

Costruzione dell'identità

“…l’identità viene messa insieme individualmente come un tappe-


to fatto di tanti pezzi di stoffa cuciti insieme” 74

L’ascolto, il dialogo e il confronto con lo straniero non solo per-


mettono di aiutarlo nell’integrazione, ma sono una pratica fondamen-
tale per se stessi, in quanto consentono di sviluppare appieno la pro-
pria identità, uno dei compiti fondamentali dell’uomo come essere
sociale e che in una società complessa come la nostra, in cui assistia-
mo a preoccupanti fenomeni di omologazione e di massificazione, di-
venta un tema centrale. Secondo Sundermeier il problema dell’identi-
tà nella nostra società si rafforza perché “… questa non conosce più
dei limiti fissi. (…) non viene valorizzata la stabilità, la
continuità…”75
Come già accennato, Sundermeier nel suo modello omeostatico di
incontro con lo straniero afferma che nel confronto fra due persone
l’identità dell’una è legata all’identità dell’altra, in quanto ciò che co-
stituisce l’identità di un individuo è quello che allo stesso tempo lo se-
para dall’altro. Mantenere il contatto con gli altri, quindi, è di vitale
importanza e nessuno può considerarsi autosufficiente da questo
punto di vista.
Questa interdipendenza è messa in luce anche dai due processi at-
traverso i quali l’identità personale di un individuo viene acquisita:
quello dell’identificazione e quello dell’individuazione.76
Il primo è il processo che riguarda il rapporto con ciò che ci circon-
da e che attraverso la capacità di rappresentarsi gli altri mentalmente
permette di sviluppare una sana rappresentazione anche di sé. Ecco
quindi che, secondo le idee formulate dallo psicologo James, “una
persona ha tanti sé sociali quanti sono gli individui che lo riconosco-
no, ne possiedono un’immagine nella mente, sono importanti per
74
J. Breidenbach, I. Zukrigl, Danza delle culture. L’identità culturale in un mon-
do globalizzato, tr. It. Bolalti Boringhieri, Torino, 2000, p. 72.
75
T. Sundermeier, op. cit., p. 171.
76
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 64.

51
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

lui” 77. Questa idea è al centro dell’opera di Luigi Pirandello “Uno,


nessuno e centomila”78, il cui protagonista, Vitangelo Moscarda, dopo
averne preso consapevolezza, arriva alla follia cercando di distruggere
le centomila identità che gli vengono assegnate dalle persone che lo
conoscono.
“.. Come me lo prendevo io questo mio corpo, per essere a volta a
volta quale mi volevo e mi sentivo, così se lo poteva prendere qua-
lunque altro per dargli una realtà a modo suo”79.
Ovviamente la pedagogia interculturale non vuole portare a un si-
mile relativismo estremo, ma vuol ricordare che la nostra identità è
costituita anche da quelle che ci “creano” gli altri.
L’individuazione invece è quel processo di differenziazione che
rende l’individuo irripetibile, che lo differenzia dagli altri grazie a tut-
ta una serie di caratteristiche. Significa prendere coscienza che non
solo siamo individui separati, ma siamo anche diversi.
L’identità personale è quindi costituita da tre dimensioni: quella
intrapersonale (che riguarda il concetto che si ha di sé), quella inter-
personale (riguardante la rappresentazione di sé) e infine quella in-
tra/intergruppo ( che riguarda l’identità tipizzata, cioè condivisa da
un gruppo di individui).
Esiste poi l’identità sociale, che risponde all’esigenza del soggetto
di individuare diversità o somiglianze per classificare il mondo al fine
di semplificarlo, renderlo più prevedibile. È importante anche perché
permette di individuare il gruppo sociale con cui si ha più affinità, col
fine di cercare al suo interno solidarietà e legami forti. Il rischio è che
queste categorizzazioni, che consentono di porsi nella società e orga-
nizzare le proprie relazioni con gli altri, si cristallizzino e si trasformi-
no in pregiudizi.
Il rapporto con l’altro deve servire a individuare le metodologie
che ci permettono di riscrivere e progettare anche la nostra storia, in-
dividuando i punti di contatto e di differenziazione con quelle degli
altri.80
77
Ibidem, p. 65.
78
L. Pirandello, Uno, nessuno e centomila, Mondadori, Milano, 2008.
79
Ibidem, p.23.
80
A. Genovese, op. cit., p. 7.

52
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

Assumere un orientamento interculturale nella costruzione del sé


significa introdurre nella pratica educativa l’interazione, significa co-
struire esperienze basate sullo scambio, sulla reciprocità e sulla crea-
zione di nuovi vincoli di solidarietà.81
L’assunzione di tale prospettiva non porta alla distruzione delle ri-
spettive specificità e particolarità; anzi, lo scambio fra culture, se cor-
rettamente impostato dal punto di vista metodologico, risulta essere
una risorsa e una fonte di arricchimento, sia per gli stranieri sia per
gli autoctoni.
Può diventare una spinta per la ridefinizione e la costruzione delle
rispettive identità culturali, precisandone contenuti, spazi e confini. 82
Molto spesso invece, di fronte ai cambiamenti e alle ibridazioni che
avvengono quando due culture s’incontrano, si reagisce attraverso un
irrigidimento dei criteri di appartenenza, un rafforzamento dei confi-
ni e di conseguenza i conflitti si moltiplicano. La costruzione dell’i-
dentità, perciò, necessita dell’apertura all’altro, il che comporta la ca-
pacità da liberarsi di stereotipi e pregiudizi attraverso il decentra-
mento culturale.

Superamento di pregiudizi e stereotipi e decentramento culturale

L’educazione interculturale deve concorrere alla costruzione di un


circuito aperto di informazioni che possano servire per ridefinire il
modo in cui ci rappresentiamo e ci approssimiamo agli altri: non solo
informazioni riguardanti le altre culture, ma anche conoscenze sui
meccanismi che portano alla discriminazione; in particolare occorre
prendere coscienza del fenomeno della stereotipia e del pregiudizio.
Maria Letizia Bartimmo definisce gli stereotipi “credenze condivi-
se, in base a cui i membri di un particolare gruppo sociale presenta-
no determinate caratteristiche (di solito non proprio positive). In
questo modo s’ignorano ciò che distingue gli individui, in virtù della
loro semplice appartenenza ad un gruppo. Questo meccanismo può

81
Ibidem.
82
Ibidem.

53
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

diventare così diffuso e potente da influenzare automaticamente l’e-


laborazione dell’informazione, favorendo categorizzazioni senza ri-
flettere…” 83
La forza dello stereotipo è infatti proprio quella di essere recepito
distrattamente, senza che noi ci rendiamo conto dell’importanza che
assume nel determinare i nostri atteggiamenti.
Gli stereotipi, dal punto di vista educativo, ostacolano il processo
di apprendimento, bloccando ogni possibile approfondimento, per-
ché impediscono di osservare com’è veramente la realtà, rimanendo
alla superficie del luogo comune.
Lavorare sul superamento del pregiudizio non è facile, perché bi-
sogna non solo far mutare gli atteggiamenti, ma anche riuscire a de-
terminare le condizioni in grado di influire sui comportamenti indivi-
duali e di gruppo, cioè su strutture radicate in profondità e rinforzate
dal contesto familiare e sociale. Da una parte far collaborare le perso-
ne, farle stare a contatto, fare in modo che si conoscano a vicenda può
far diminuire l’influenza degli stereotipi. Dall’altra parte, risulta mol-
to utile anche la riflessione su se stessi, sui pregiudizi di cui siamo
stati vittime e sul nostro modo di categorizzare gli altri. Giocare è uno
dei sistemi più efficaci per lavorare al riconoscimento e alla denuncia
di stereotipi e pregiudizi. Essi spesso sono molto difficili da rimuove-
re con le informazioni e le conoscenze, proprio perché si rifanno al-
l’ordine del simbolico e quindi sono difficilmente permeabili a criti-
che fondate sul ragionamento. “Ridere dei propri stereotipi, invece-
almeno per un momento- può favorire un processo di ‘logoramento’
su cui bisognerebbe riflettere con maggiore convinzione”. 84
Lo strumento metodologico che può consentire di lavorare al supe-
ramento del pregiudizio è il decentramento, cioè l’acquisizione della
capacità di uscire dal proprio punto di vista per avvicinarsi al diverso
senza renderlo simile a noi, ma riconoscendone ragioni e significati
specifici e particolari.
Nella comunicazione con membri di altre culture è necessario va-
riare punto di vista, cioè “mettere in discussione quell’insieme di va-
lori, senso del tempo, della gerarchia, dello status di cui normal-
83
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 62.
84
P. D’Andretta, Il gioco nella didattica interculturale, EMI, Bologna, 1999, p. 25.

54
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

mente non siamo consapevoli”85, rendendosi conto che si tratta di vi-


sioni parziali del mondo e quindi non “assolutizzabili”. Per fare ciò
occorre costruire “esercizi di approssimazione all’altro (…) attraver-
so un ripensamento critico delle rispettive conoscenze”86, che per-
mettano quell’esperienza che Pasquale D’Andretta definisce “la verti-
gine dello spaesamento che scaturisce dal percepire come relativo
ciò che si era abituati a considerare assoluto, o nel percepire come
culturale ciò che si era abituati a considerare naturale”.87
La capacità di decentrarsi porta a considerare in maniera diversa,
più paritaria, le differenti storie di vita e così sgombrare il campo da
tutti quegli elementi ideologici e culturali che impediscono di affron-
tare il problema nella sua consistenza più vera, nella sua dimensione
umana.

Tematiche

Quanto detto finora mostra la complessità dell’approccio intercul-


turale alla pedagogia, complessità che si rispecchia nell’attività di
progettazione delle attività pedagogiche. È infatti necessario tener
presente che non esistono un modello e una tematica che vadano
bene per tutte le situazioni e siano privi di effetti collaterali indeside-
rati. Potenzialmente qualunque tema, se sviluppato nel modo giusto,
può essere utile in direzione interculturale. Anche perché è di fonda-
mentale importanza ricordare che l’interculturalità deve essere il me-
todo e non il tema, il percorso e non la meta.
Esistono, però, alcune tematiche che meglio si prestano al nostro
discorso.
Si tratta di tematiche significative per tutti i bambini, perché si ri-
collegano a esperienze della vita quotidiana: giochi, paure, sogni, abi-
tudini, feste, viaggi. Queste tematiche permettono di svilupparne al-
tre più “nascoste” come il tema della comunicazione, del dialogo, del-
l’empatia, dell’aggressione, della comprensione, della somiglianza,
85
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 63.
86
A. Genovese, op. cit., p. 22.
87
P. D’Andretta, op. cit., p. 24.

55
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

della differenza, ecc... “Mettere i bambini a parlare di ascolto non ha


senso. Meglio realizzare una dinamica che crei l’ascolto”88 afferma
Francesca Marianna Consonni, del Dipartimento Educativo della
GAM di Gallarate.
Queste tematiche permettono di lavorare sulle emozioni e sui sen-
timenti, mettendo in luce come questi siano comuni a tutte le perso-
ne, per quanto diversi a seconda della situazione e dell’individuo. Si
riesce così a creare un terreno comune.
Importantissimo è poi dare a tutti i bambini “spazi di personaliz-
zazione delle loro emozioni, come antidoto all’omologazione o all’at-
tribuzione stereotipata di sentimenti o presunti tratti culturali”.89
Anche i metodi utilizzati sono vari, si possono però individuare al-
cune caratteristiche comuni a essi:
- il gioco, che con i suoi meccanismi facilmente comprensibili dai
bambini consente di creare un momento di esperienza comune e di
trasmetter loro contenuti in modo divertente;
- la plurisensorialità e la comunicazione non verbale, che consen-
tono di far partecipare tutti ad attività educative, superando l’ostaco-
lo della lingua;
- l’autobiografia, che stimola alla narrazione di sé, alla messa in di-
scussione del proprio vissuto, al dialogo e all’ascolto;
- il metodo della Ricerca-Azione.

La situazione in Italia

“La presenza degli alunni di origine straniera, in progressivo au-


mento negli ultimi anni, è un dato strutturale del nostro sistema
scolastico. L’Italia ha scelto, fin dall’inizio, la piena integrazione di
tutti nella scuola, e l’educazione interculturale come dimensione tra-
sversale e come sfondo integratore che accomuna tutte le discipline
e tutti gli insegnanti. La scelta di questo orizzonte culturale, insieme
al ricco e variegato patrimonio di progetti organizzativi e didattici

88
Intervista effettuata a F. M. Consonni, GAM, Gallarate, 3 dicembre 2009.
89
A. Aluffi Pentini, op. cit., p. 45.

56
I. L’interculturalità e la pedagogia interculturale

costruiti e verificati sul campo dalla scuola dell’autonomia, concor-


rono a definire una possibile via italiana all’integrazione”.90

In Italia l’educazione interculturale ha fatto la sua comparsa piut-


tosto tardi rispetto ad altri paesi europei. Con la circolare ministeriale
n.205 del 26 luglio del 1990 per la prima volta viene trattato lo spino-
so tema dell’inserimento degli alunni stranieri nella scuola italiana e
dell’educazione interculturale.91 Inizialmente venne sviluppata sem-
plicemente la cosiddetta pedagogia compensativa, volta a colmare le
lacune linguistiche e culturali degli alunni immigrati, che però venne
erroneamente considerata (e ancora oggi questo equivoco è duro a
scomparire) educazione interculturale. Aluffi Pentini sottolinea che la
peculiarità dell’Italia in questo campo consiste nella capacità di crea-
re soluzioni spontanee che, nonostante singoli casi purtroppo disa-
strosi, complessivamente ha avuto esiti positivi. La normativa in ma-
teria ha, infatti, praticamente da sempre previsto l’inserimento im-
mediato del bambino immigrato nella classe corrispondente alla sua
età anagrafica, obbligando quindi i docenti a fare ampio uso di buona
volontà, spirito di iniziativa e “fai da te”. Da tutto ciò è quindi deriva-
ta tutta una serie di sperimentazioni ed esperienze, poco sistemati-
che, che vanno dalla pedagogia sociale, alla pedagogia speciale, alla
pedagogia interculturale. Molte scuole sono così diventate dei labora-
tori spontanei di intercultura. Aluffi Pentini ammira tutti questi sforzi
fatti, mettendo però in guardia da un’eccessiva improvvisazione e
consigliando agli insegnanti di progettare proposte di intercultura al-
l’interno di solide coordinate concettuali.

90
Sito del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca,
http://www.pubblica.istruzione.it/dgstudente/intercultura/intercultura.shtml.
91
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 58.

57
II. Didattica interculturale dell'arte

II. Didattica interculturale dell'arte

L’educazione interculturale è interessata all’arte per molteplici


motivi.
Prima di tutto perché l’arte stessa è interculturale, è portatrice di
linguaggi eterogenei, di temi universali, ma declinati in mille modi
differenti, comprende modalità di espressione varie e interconnesse.
L’incontro con l’arte è esso stesso un incontro con l’alterità, con l’al-
tro da sé e il suo mondo e ci dà la possibilità di sperimentare questo
avvicinamento interculturale. Si tratta di un’interculturalità non solo
tra culture contemporanee differenti, ma anche tra periodi storici dif-
ferenti.
Il secondo motivo riguarda la necessità di liberarsi di tutta una se-
rie di pregiudizi e di gerarchizzazioni riguardanti l’arte meno vicina a
noi, quella che è stata considerata nel corso della storia: “primitiva”,
“esotica”, “straniera”, ecc.
Questi stereotipi sono stati causati da un visione del mondo euro-
centrica: per la maggior parte di noi la vera arte è quella occidentale,
europea. Si spiega così l’analfabetismo su interi capitoli della storia
dell’arte universale.
La didattica interculturale vuol far comprendere che soltanto per-
ché un’opera d’arte appare a noi occidentali “primitiva” o “arretrata”,
non vuol dire che essa lo sia veramente, o per lo meno non per i para-
metri culturali della società che l’ha prodotta.
L’arte contemporanea ci sta abituando ad assumere uno sguardo
più mobile, flessibile, capace di accogliere e accettare (anche se non
sempre di comprendere) forme d’arte che fino a poco più di un secolo
fa sarebbero apparse totalmente estranee e inammissibili. Una flessi-
bilità mentale e culturale che anche la didattica interculturale insegna
a sviluppare. Come scrive Bevilacqua: “l’opera d’arte dei nostri gior-
ni evoca in sé non l’univocità, ma scambi, negoziazioni, molteplicità
dinamica di voci differenti”.92

92
G. Bevilacqua, Didattica interculturale dell’arte, in Quaderni dell’intercultura-
lità n. 22, EMI, Città di Castello (PG) 2001, pp. 8-9.

58
II. Didattica interculturale dell'arte

L’arte ha quindi una funzione interculturale poiché, secondo Bevi-


lacqua, facilita le relazioni fra gli uomini, in quanto “nell’esperienza
estetica l’arte solleva lo spettatore oltre il suo ego: le cose descritte o
rappresentate sono generalizzate, contemplate universalmente;
questo (…) è il piacere estetico e questo fa sì che l’arte educhi al su-
peramento dell’ego individuale o collettivo (cultura)”. 93
Vi è poi una motivazione che può essere definita più politica e che
consiste nella cosiddetta democratizzazione dell’arte e della cultura.
In una società sempre più multietnica, la necessaria integrazione fra
persone di provenienze diverse passa anche attraverso la possibilità
condivisa di accedere alla cultura e all’arte.
Tutte queste motivazioni, che verranno qui di seguito analizzate in
modo più ampio, permettono di affermare che una didattica intercul-
turale dell’arte è utile all’arte, alla pedagogia e all’interculturalità.

2.1 Aspetti interculturali dell'arte

“…arte è tutto ciò che nei diversi luoghi e nei diversi tempi gli uo-
mini chiamano arte” (D. Formaggio)94

Come già accennato, l’arte stessa è interculturale, è metafora e in-


dicatore della varietà culturale e sociale.
Innanzitutto l’arte è definibile come una “forza metaculturale in
cui universale e culturale si toccano”95; cioè, usando la terminologia
della globalizzazione contemporanea, globale e locale sono sempre
strettamente in contatto.
Questa considerazione porta ad analizzare il concetto di “etnico”,
spesso usato per etichettare un tipo di arte considerata meno impor-
tante, perché legata a culture minoritarie. Dal punto di vista sociolo-
gico l’etnia è definibile come “collettività di persone che condividono
consuetudini culturali interiorizzate attraverso un processo conti-
93
Ibidem, p. 8.
94
M. Dallari, C. Francucci, L’esperienza pedagogica dell’arte, La Nuova Italia, Fi-
renze, 1998, p. 37.
95
G. Bevilacqua, op. cit., p. 41.

59
II. Didattica interculturale dell'arte

nuo di socializzazione e facenti parte di una popolazione più grande


e in interazione con altre collettività nella situazione di un sistema
sociale comune”.96 Non si tratta quindi di un mondo chiuso o isolato,
ma in continuo contatto con le altre comunità, soprattutto nel mondo
contemporaneo che permette alle collettività di essere interconnesse
in modo sempre più veloce e facile.
Si ha una produzione con caratteri stilistici tipicamente etnici,
quando vi è la volontà di valorizzare un proprio carattere culturale
specifico e distintivo, cioè in funzione di un’anti-omologazione. In
questo senso l’ “arte etnica”è quella prodotta da gruppi umani che,
nell’interazione con altri gruppi contraddistinti in modo differente,
tende a valorizzare propri caratteri figurativi.
Questo “repertorio” figurativo e narrativo nato in un ristretto am-
bito, però, ha potenzialmente la capacità di attirare su di sé un’atten-
zione sempre più vasta, di diffondersi e contaminarsi con gli altri “re-
pertori”, facendo sì che il locale sia solo il punto di partenza di un fe-
nomeno che ha “la forza di suggestionare altre menti, altri individui
liberi, altre culture”.97 Quel locale perciò si espanderà fino a diventa-
re fonte di ispirazione e di contaminazione per altre menti. Come af-
ferma Ida Giannelli, gli artisti si distinguono dagli artigiani perché
“lavorano a stretto contatto con la propria cultura, ma (…) riescono
a tradurla anche nel linguaggio universale dell’arte”98.
Dunque, in realtà l’arte etnica è da un lato l’espressione di una co-
munità che vuole valorizzare le proprie differenze culturali e artisti-
che, dall’altro lato è generatrice di cambiamenti e processi globali.
Bevilacqua amplia quest’ultimo aspetto arrivando alla conclusione
che l’arte etnica è espressione di tutta l’umanità.
Queste considerazioni ci fanno capire che la nozione di “arte etni-
ca” interpella l’educazione interculturale, in quanto quelli che erano
definiti “motivi etnici”, richiamano sì a una specificità culturale, ma
la offrono all’intera umanità in nome di una anti-omologazione dav-
vero interculturale.
96
A. Cohen, La lezione dell’etnicità, in V.Mahler (a cura di), Questioni di etnicità,
Rosenberg & Sellier, Torino, 1994, p. 36.
97
G. Bevilacqua, op. cit., p. 45.
98
E. Del Drago, Il Castello di Rivoli, Luca Sossella editore, Roma, 2002, p. 66.

60
II. Didattica interculturale dell'arte

Un altro aspetto importante riguarda il fatto che “…la storia del-


l’arte è una storia di attori in continua movimentazione cosmopolita
e interculturale”.99
Si tratta di una “movimentazione” sia fisica che culturale. Fisica
perché gli artisti e le tecniche si sono sempre spostati da un paese al-
l’altro, portando con sé innovazioni e idee che hanno portato avanti
lo sviluppo delle civiltà con cui venivano a contatto. Fisica anche dal
punto di vista temporale, in quanto dietro a ogni opera d’arte c’è una
tecnica, che solitamente si rifà a un tradizione, intesa non come una
rigida serie di regole da rispettare, ma come ciò che “…viene trasmes-
so di generazione in generazione come degno di fede e di rispetto”100.
Ogni individuo nasce sempre dentro una tradizione, una cultura, cre-
sce grazie a esse e talora si fa promotore di innovazioni. La storia del-
l’arte ha visto l’avvicendarsi di tradizioni e scuole, con le conseguenti
resistenze e scontri fra gli attori coinvolti.
Sundermeier constata che: “nella storia dell’arte non si è certo
studiato a sufficienza quali tensioni si producano, quando l’arte cir-
cola tra le culture, come le varie culture vengano sfruttate, mescola-
te, ricomposte e vengano aperte nuove dimensioni della vita e della
convivenza”.101
Talora, innovazioni stilistiche sono state introdotte usando mezzi
tradizionali (come nel caso dell’impressionismo e di buona parte del-
la pittura della Avanguardie di inizio ‘900). Viceversa, tradizioni mol-
to avanzate dal punto di vista tecnico possono essere usate per solu-
zioni iconiche tradizionali (come accadde con la fotografia pittoriali-
sta di fine ‘800).
Si tratta però anche di una movimentazione culturale, in quanto
ogni artista si “muove” tra impressioni, informazioni, suggestioni de-
rivate dalle varie culture a lui contemporanee, per raccogliere “mate-
riale culturale” da mescolare e rielaborare secondo la propria sensibi-
lità.
Lo studio di queste “movimentazioni” permette di trovare tra arti-
sti e culture artistiche differenti e lontane tra loro similitudini inte-
99
Ibidem, p. 61.
100
Ibidem, p. 59.
101
T. Sundermeier, op. cit., p. 38.

61
II. Didattica interculturale dell'arte

ressanti ai fini dell’educazione interculturale. Inoltre, e forse è l’a-


spetto più importante, mette in luce la necessità di fare riferimento
alla propria cultura e tradizione, ma con la volontà di andare oltre,
aprendosi a novità, cambiamenti e influenze esterne.
Strettamente legata a quanto sopra, troviamo l’idea di evoluzione
delle culture figurative. Ogni cultura figurativa possiede una sua sto-
ria, ma occorre fare attenzione al fatto che non esiste un unico model-
lo evolutivo. Inoltre anche le culture apparentemente prive di evolu-
zione o di movimentazione, se analizzate più attentamente, rivelano
svolte e rotture. È così possibile abbandonare la concezione evoluzio-
nistica delle culture, che porta alla loro gerarchizzazione.
L’arte, o meglio, la storia dell’arte è una storia di punti di vista e di
interpretazioni: sia chi produce l’opera d’arte, sia chi la guarda ne dà
una propria “lettura”. La didattica interculturale insegna a dare ascol-
to ai punti di vista diversi, anche ai più insoliti e lontani dal proprio
modo di pensare. La storia dell’arte non può che trarre giovamento
da un atteggiamento del genere, come verrà più avanti analizzato.
Esistono inoltre nodi concettuali come “immaginario”, “pratica ar-
tistica” e “territorio” che, pur nelle loro differenti accezioni, sono stati
considerati da varie culture come capaci “di unire in un sogno di con-
divisione l’umanità diversificata”.102 Per esempio l’immaginario è co-
mune a ogni popolo, non è appannaggio di una sola cultura, in quan-
to in tutto il mondo gli esseri umani sono sempre stati impegnati a
dargli un senso e un’espressione. Esso è stato di volta in volta investi-
to di valori religiosi, o ideologici, o puramente estetici, o in un certo
modo utilitaristici. Anche il concetto di “pratica artistica” accomuna
culture di tutto il mondo, focalizzando inoltre l’attenzione sulla mate-
rialità tecnica dell’arte e dunque sulla capacità manipolatoria comune
a ogni popolo.103 Questi elementi comuni permettono di avvicinare le
varie culture artistiche e di porle tutte su un piano di parità.
Nel corso della storia ci sono stati artisti, collezionisti, correnti ar-
tistiche e mecenati attenti e interessati alla diversità culturale presen-
te nel mondo dell’arte.

102
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 21.
103
G. Bevilacqua, op. cit., p. 19.

62
II. Didattica interculturale dell'arte

È il caso dell’Orientalismo, sviluppatosi tra il XVII e il XIX secolo


soprattutto in Francia e Inghilterra, che non arrivò mai a costituire
una vera e propria scuola, ma si intersecò con il romanticismo, il po-
st-impressionismo, il classicismo, annoverando tra i suoi esponenti
artisti del calibro di Eugene Delacroix, Jean Auguste Dominique In-
gres e Jean-Léon Gérôme. L’interesse per le culture lontane, però, è
rintracciabile non solo in pittura: per esempio non vi è palazzo reale
di quel periodo che non abbia una stanza cinese, arredata cioè secon-
do lo stile, i colori e persino i materiali e mobili originali provenienti
dall'estremo oriente.
Questi atteggiamenti, però, più che interculturali, sono ascrivibili
agli ambiti del “sincretismo eclettico” e dell’esotismo.
In termini tecnici si definisce eclettismo “la tendenza a ispirarsi a
diverse fonti culturali, operando una scelta degli elementi ritenuti
migliori ”104 e mescolandoli tra loro. Fattori che contribuiscono al sin-
cretismo eclettico possono essere la presenza di maestranze straniere,
oppure un certo collezionismo privato o istituzionale, come stimolo
alla produzione artistica locale. Questo non significa che venga del
tutto meno la tradizione figurativa autoctona, ma c’è compiacimento
nel mescolarla ad altre. Bevilacqua muove una forte critica alla moda
contemporanea di mescolare gli stili, che lui definisce “sincretismo
da melting pot attuale”105. Secondo lui si tratta di qualcosa di epider-
mico, immediato, che si autocompiace della propria immediatezza,
quasi ludica. “Non c’è vaglio critico. Tutto ciò che sta bene insieme,
va bene. I contasti devono essere armonizzati, ma non troppo, per
arrivare a uno stile di maniera, che evoca esotismi frullati in un mi-
scuglio anestetico”.106
Il concetto di esotismo è in qualche modo contiguo al sincretismo.
Per esotismo si intende “l’interesse forte verso terre lontane e diver-
se [che] si sviluppa in gruppi e culture complessi, artisticamente e
intellettualmente raffinati, consapevoli della propria tradizione cul-

104
N. Zingarelli, Dizionario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2005.
105
G. Bevilacqua, op. cit., p 19.
106
Ibidem.

63
II. Didattica interculturale dell'arte

turale e dei suoi limiti, e dunque altrettanto consapevolmente rivolti


‘ad arte’ verso il lontano e diverso” 107.
Il tratto saliente dell’esotismo è il compiacimento. Non basta la
sola esposizione dell’oggetto, occorre investimento psichico, occorre
fantasticare. È il caso dei pittori cosiddetti “orientalisti”che, pur non
avendo magari mai visitato l'oriente, raffiguravano figure, ambienti,
scene di vita del mondo arabo o mediorientale, sempre carichi di fa-
scino, di esotico mistero e frequentemente anche di una certa sensua-
lità. Ciò era dovuto alla tendenza romantica a vedere nel mondo eso-
tico un ambiente libero dalle convenzioni borghesi occidentali, un
luogo che era simbolo di uno spirito avventuroso e di una vita istin-
tuale, impensabili nella troppo civilizzata Europa.
Questa partecipazione emotiva può portare al fenomeno dell’indi-
genizzazione: in questo caso il nuovo perde il carattere di alterità e
viene assimilato e integrato nella propria cultura. Di solito ciò avvie-
ne attraverso la sua decontestualizzazione e ricollocazione nel pro-
prio orizzonte culturale.
La suggestione che si trova alla base di sincretismo ed esotismo fa
sì che entrambi diventino facilmente una moda di vasto respiro.
Si tratta, però, di due concetti non molto utili dal punto di vista in-
terculturale, se non addirittura dannosi. Entrambi, infatti, sono spec-
chio di una cultura che pensa di essere superiore alle altre, convinta
della propria autosufficienza e di poter guardare allo straniero senza
il reale tentativo di comprenderlo, ma con l’atteggiamento “dispotico”
con cui un bambino guarda ai propri giocattoli: guarda, sceglie, giudi-
ca, decide, si sente padrone di quel mondo.
D’altra parte, Bevilacqua obietta che sincretismo ed esotismo pos-
sono produrre qualcosa di serio: il compiacimento che li caratterizza
può rimanere superficiale o produrre un’involuzione, ma può anche
essere “il movimento iniziale, frutto di curiosità, dell’intenzione in-
terculturale”.108

107
Ibidem, p. 68.
108
Ibidem, p. 71.

64
II. Didattica interculturale dell'arte

2.2 Importanza dell'interculturalità per l'arte

La didattica interculturale può aiutarci a guardare all’arte con oc-


chi diversi. Non solo l’arte “straniera”, ma la nostra stessa arte, quella
che siamo abituati a osservare e giudicare solo attraverso uno sguar-
do etnocentrico.
Occorre innanzitutto rivedere la nostra concezione di cultura.
Sono molti, ormai, gli studiosi che definiscono il concetto di cultu-
ra come qualcosa di dinamico e in continuo cambiamento. Nessuna
cultura perciò può definirsi superiore alle altre in nome di una sua
presunta purezza. Allo stesso modo nessuna cultura figurativa parti-
colare può rivendicare il primato dell’assoluta originalità; piuttosto si
può parlare di complementarità delle culture. Lo stesso vale per le
espressioni artistiche. È ingiustificato e anche un po’assurdo conside-
rare l’arte occidentale superiore alle altre, soltanto perché risponde
maggiormente ai nostri criteri estetici. L’interculturalità cerca pro-
prio di far comprendere questa relatività, o meglio complementarità
di valori e gusti estetici. Superato questo primo luogo comune, ci si
può dedicare alla ricerca di corrispondenze e differenze fra le varie
espressioni culturali.
Il secondo contributo importante portato dall’interculturalità è in-
fatti la scoperta che le culture e le relative espressioni artistiche sono
legate fra loro da continui scambi e contaminazioni.
Molto spesso accade che una data cultura locale prenda a prestito
qualche elemento da una più larga tradizione o addirittura attinga da
un antichissimo fondo comune (si pensi al disegno infantile, che nei
primi anni di vita prescinde dalle differenze culturali, e alle teorie
junghiane e strutturaliste che affermano l’esistenza di un solo e uni-
versale inconscio).
Sullo sfondo vi è quella che Bevilacqua definisce “cultura globale” e
che sarebbe “un orizzonte, non determinante né totalizzante, entro il
quale si muovono e agiscono individui e collettività”.109
Quindi “ogni uomo, gruppo, attore dell’immaginario, è superiore
alla propria cultura; è capace, cioè, di esplorazioni e rimescolamen-
109
Ibidem, p. 28.

65
II. Didattica interculturale dell'arte

ti e così facendo denuncia la relatività e la transitorietà delle culture


locali”.110 La cultura quindi non va intesa come un contenitore, come
un recinto che ci identifica, ci delimita e dal quale non possiamo usci-
re. Piuttosto va vista come uno strumento a nostra disposizione, che
ci permette di identificarci, ma che possiamo a nostra volta modifica-
re e sviluppare.
Tale concezione della cultura porta a rivedere altri due concetti im-
portanti nell’ambito dell’arte: il classico e la tradizione.
Occorre fare una distinzione semantica tra classico in senso stretto
e in generale; nel primo caso il termine indica una precisa stagione
dell’arte greca, nel secondo caso, invece, indica “un atteggiamento
dello spirito…addirittura un paradigma di valori spirituali e di
azioni, applicabili fuori di un tempo e di uno spazio determinati”111.
Quale fra tutta la produzione artistica mondiale possiede la dignità
per essere definita “classica”?
Giacché all’interno di una collettività indigena sussiste la distinzio-
ne fra artista e non artista, fra pezzo eseguito a regola d’arte e pezzo
malriuscito, nelle culture umane non tutto è eccellente. Di conse-
guenza ogni cultura ha un proprio repertorio “classico”, più o meno
oggettivato, venerato e codificato.
Spetterà dunque all’educazione interculturale far interagire l’idea
di “classico”con le eccellenze culturalmente determinate, cioè quelle
espressioni artistiche che all’interno di una determinata cultura ven-
gono considerate esempi di eccellenza. In altre parole si tratta di “re-
lativizzare” il concetto di classico, considerandolo un punto di parten-
za, che dunque non dobbiamo a priori censurare, ma far uscire da un
ristretto ambito cognitivo eurocentrico (cioè determinato dall’estetica
e dal senso comune occidentali).
Questa “relativizzazione” della nozione di “classico” implica uno
sguardo critico anche nei confronti della grandezza e della nobiltà del
passato, che occorre smitizzare o per lo meno rivedere in chiave criti-
ca, per evitare che diventi una presenza ingombrante di fronte alla
quale è possibile solo ripetizione e mimesi artigianale.
110
Ibidem.
111
Enciclopedia Universale dell’arte, III, Istituto Geografico De Agostini, Novara,
1980, col. 701, in G.Bevilacqua, op. cit., p.47.

66
II. Didattica interculturale dell'arte

Probabilmente c’è un bisogno psichico per cui è bene immaginare


che nel proprio passato vi sia stato qualcosa di “classico”, vi siano sta-
ti modelli insuperati. Allo stesso tempo, però, quando definiamo
un’opera eterna e classica, ne abbiamo già decretato la fine semplice-
mente perché ne fermiamo, eternizzandole, alcune forme e strutture.
Inoltre, decretando classiche quelle opere legate all’idea occidenta-
le di arte, finiamo inevitabilmente per creare categorie di discrimina-
zione negativa, improduttive dal punto di vista interculturale.
La nostra cultura eurocentrica, infatti, ci porta ad avere (spesso in-
consapevolmente) dei pregiudizi nei confronti di espressioni artisti-
che delle culture a noi meno vicine.
L’arte straniera viene spesso definita “primitiva”, “ingenua”, “non
evoluta stilisticamente”, fino ad arrivare a giudizi quali “brutto”, “an-
ti-estetico” o addirittura “non-artistico”.
Occorre innanzitutto distinguere l’arte primitiva dal primitivismo.
La prima si riferisce alla produzione artistica dell’uomo primitivo,
il secondo riguarda la tendenza di molti artisti moderni a ispirarsi al-
l’arte dei popoli considerati primitivi.
In entrambi i casi il termine “primitivo” non ha la valenza negativa
che ha assunto nel linguaggio comune. Anche l’arte primitiva, infatti,
è stata oggetto di studio e rivalutata come forma espressiva di alta
qualità, ricca di complessità e significati: niente a che vedere con le
idee di arretratezza e rozzezza che comunemente il termine “primiti-
vo” indica.
Tale rivalutazione ha permesso di liberarsi di quell’idea evoluzioni-
stica, che vedeva nella storia dell’arte una continua evoluzione, a par-
tire da un’età ingenua e rozza nell’espressione. Nell’arte non c’è pro-
gresso, non c’è un grado zero.
Alla volontà di rappresentazione dell’uomo primitivo va ricono-
sciuta una maturità e complessità per nulla inferiori a quelle dell’arte
contemporanea.
Parallelamente si è sviluppato anche lo studio delle espressioni ar-
tistiche delle culture indigene, che hanno rivelato anch’esse una gran-
de complessità estetica e simbolica, cominciando così a ricevere un
trattamento più dignitoso.

67
II. Didattica interculturale dell'arte

Come già accennato, l’aggettivo “primitivo” è rivolto anche all’arti-


sta che, pur vivendo nella società tecnologica, volontariamente regre-
disce all’ingenuità istintiva dell’uomo arcaico. Regressione che è
spesso all’insegna di un archetipo che è anche un luogo comune:
quello del “buon selvaggio”, ingenuo, primordiale, innocente. Tale ar-
tista cerca nel modello “primitivo” un modo per ridurre la complessi-
tà del reale. Proprio perché di riduzione si tratta, non c’è intercultura,
ma anzi autoriflessività. In fondo non si esce da se stessi. È quello che
Sundermeier definisce “modello di complementarità”112 nell’incontro
con lo straniero.
Sempre Sundermeier analizza le esperienze di Paul Gauguin, Pablo
Picasso, Emil Nolde e di tutti quegli artisti dell’epoca moderna che
hanno rivolto lo sguardo fuori dall’Europa.
Il viaggio di Gauguin a Tahiti non è un cammino verso gli altri,
verso gli stranieri, ma una fuga per cercare se stesso. Questo non vuol
dire che fosse completamente isolato e immune dalle influenze del-
l’ambiente culturale che lo circondava. Però, pur interagendo e viven-
do con gli autoctoni, non è diventato uno di loro, perché ha continua-
to a vederli da una prospettiva europea, cioè come “selvaggi”. Anche
la sua arte, pur subendo l’influenza degli stimoli polinesiani, rimane
un’arte europea, seppure mutata e arricchita.
Picasso ha guardato all’arte africana perché affascinato dalle sue
forme inusuali, non le ha però percepite in se stesse, né gli è interes-
sato comprenderle. Gli sono solo servite per la scomposizione e la de-
strutturazione delle leggi di forma e stile fino ad allora vigenti.
Un altro esempio è il caso di Nolde, che prese parte a una spedizio-
ne dell’ufficio coloniale imperiale in Nuova Guinea. Qui l’artista non
era interessato al contatto sociale con la popolazione locale, ma cer-
cava gli originali e immaginari “uomini primordiali”, incontaminati e
puri come la natura in cui sono immersi.
Queste autoriflessività e regressione possono dar luogo a esiti di-
versi: all’eclettismo come surrogato della complessità, all’esotismo e
infine alla “ricerca partecipante del mondo primitivo che (…) può
condurre al riconoscimento dialogico di un mondo estetico altro. In
quest’ultimo caso le contaminazioni formali si basano sull’accetta-
112
T. Sundermeier, op. cit., p. 81.

68
II. Didattica interculturale dell'arte

zione e sull’ascolto partecipato di regole, iconografie, convinzioni


estetiche profondamente diverse dalle proprie; sull’accoglienza di
vere e complesse opere d’arte (e non di semplici prodotti esotici) che
(…) favoriscono la nascita di nuovi linguaggi, di nuove soluzioni” 113 e
quindi facilitano le relazioni tra gli uomini. Si tratta di “entrare umil-
mente all’intero di un dramma estetico profondamente diverso dal
nostro”.114

Comprensione dell'arte straniera

“…la grande arte ha sempre suscitato un’impressione di estranei-


tà nell’osservatore coevo. Solo un tempo di assuefazione la rende fa-
miliare, vicina, rende ciò che è straniero qualcosa di abituale. La
prima interpretazione è essenzialmente interpretazione di qualcosa
di straniero”.115

Noi stessi siamo portatori di differenze. Ognuno di noi lo speri-


menta quotidianamente. Comprendere diventa un esercizio di tutti i
giorni: ricondurre l’ignoto al noto e spiegarlo. La comprensione non è
un semplice intendere qualcosa, ma richiede operazioni piuttosto so-
fisticate nell’economia cognitiva della nostra mente.
Vi sono manufatti o idee oscuri, opere d’arte o oggetti etnologici
che ci lasciano perplessi, perché lontani dalla nostra abituale intelli-
genza, o perché provocatori e paradossali.
Ma cosa vuol dire l’aggettivo “straniera” che viene assegnato a cer-
ta arte?
Potremmo intendere con questo termine quell’opera il cui contesto
è profondamente diverso da quello dell’osservatore e che pertanto ri-
chiede un cammino di comprensione. In questo senso anche l’arte del
passato può rientrare in questa categoria, in quanto appartenente a
un contesto molto diverso dal nostro. Spesso anzi “…le differenze con
coloro che ci hanno preceduto superano di gran lunga quelle che
113
G. Bevilacqua, op. cit., p. 55.
114
Ibidem.
115
T. Sundermeier, op. cit., p. 39.

69
II. Didattica interculturale dell'arte

oggi sembrano dividerci dai nostri vicini e concittadini appartenen-


ti a culture ‘altre’”.116
“Strana” è invece quell’opera che, pur richiedendo uno sforzo di
comprensione, rientra comunque nel contesto dell’osservatore.
Quando dunque usiamo il termine “straniera” il riferimento è conte-
nutistico, cioè riguardante la distanza dai nostri contenuti. In questo
senso anche molta dell’arte contemporanea, pur essendo prodotta da
artisti appartenenti alla nostra cultura, può essere considerata “stra-
niera” a causa della sua indecifrabilità.
La maggior parte delle opere contemporanee sono infatti caratte-
rizzate da ambiguità e mistero, sono strane e insolite, in quanto spor-
genti dal flusso percettivo, capaci di costituirsi come figure staccate
dallo sfondo culturale in cui sono inserite. 117 Richiedono poi uno sfor-
zo interpretativo notevole, in quanto non ancora storicizzate e quindi
non del tutto codificate e comprese.
L’approccio interculturale pertanto non permette soltanto di ap-
procciarsi all’arte straniera, intesa come appartenente a culture a noi
contemporanee, ma anche di comprendere meglio l’arte del passato e
quella contemporanea appartenenti alla nostra stessa cultura.
Bevilacqua indica il metodo comparativo (che verrà più avanti ana-
lizzato) come il più indicato alla comprensione dell’arte straniera.
Per facilitare questo processo di comprensione, inoltre, suggerisce
di far rivivere e rifare il processo che diede vita a quell’opera, per sti-
molare un sentimento di empatia verso l’autore. Una “osservazione
partecipante”118 che conduce non tanto a una fruizione erudita, quan-
to a un rivivere in profondità il processo creativo. Il comprendere at-
traverso il fare è una concezione dell’attività didattica e pedagogica
che annovera tra i suoi fautori e sostenitori grandi nomi della peda-
gogia, da John Dewey a Maria Montessori, ed è alla base della didat-
tica dell’arte così com’è praticata nei musei. Bruno Munari sosteneva
che comprendendo il linguaggio degli artisti si comprendono gli arti-

116
S. Bodo, E. Daffra,S. Mascheroni, A. Montalberti, M. Sozzi, P. Strada (a cura di),
A Brera Anch’io. Il museo come terreno di dialogo interculturale, Electa, Mila-
no, 2007, p. 13.
117
M. Dallari, C. Francucci, op. cit., p. 26.
118
G. Bevilacqua, op. cit., p. 37.

70
II. Didattica interculturale dell'arte

sti e le loro opere. Lo stesso può essere fatto con le opere d’arte stra-
niere, secondo l’opinione di Bevilacqua. Dallari e Francucci pongono
in risalto l’idea di comprensione rispetto a quella di spiegazione, in
quanto quest’ultima è una pratica passiva, mentre la prima è un’ope-
razione attiva e laboratoriale.
La comprensione non ha soltanto l’obiettivo di capire l’arte, in
quanto se il processo di comprensione è veramente riuscito, l’osser-
vatore “non è più lo stesso. L’incontro ha cambiato lui e i suoi crite-
ri”119, è ora consapevole dei propri limiti e i suoi canoni sono stati
messi fortemente in discussione.
Sundermeier mette in guardia da modelli di incontro che potreb-
bero portare a esiti deludenti. Per esempio il modello giocato sull’u-
guaglianza, secondo cui non ci sarebbero opere d’arte straniere per-
ché tutte le opere d’arte sono uguali: l’estraneità è così negata in
nome della pari dignità di ogni notevole creazione umana. Vi è poi il
modello inverso, che mette in primo piano la distanza: l’opera d’arte
straniera mi è totalmente estranea e la addomestico, cioè la faccio en-
trare nel mio angolo dell’esotico. Infine vi è un modello di incontro in
cui l’opera d’arte straniera è cercata perché essa è lì per completarmi.
Questi modelli negativi lasciano trapelare comunque esigenze e
stimoli autentici.
Spetta all’educatore, partendo da essi, portare il soggetto a ricono-
scere la diversità, la distanza di un’opera, prodotto di una cultura lo-
cale e nel contempo patrimonio dell’umanità.

2.3 Importanza dell'arte per l'interculturalità

“L’utopia di vivere insieme, riconoscendo non solo l’altro, ma an-


che la sua storia, può trovare nelle arti visive e nei loro prodotti un
efficace fil rouge. L’arte può essere vista come strumento, intercon-
nessione, modus operandi, chiave di lettura in linea con indirizzi pe-

119
T. Sundermeier, op. cit., p. 50.

71
II. Didattica interculturale dell'arte

dagogici interculturali per la sua insita complessità teorica ed onto-


logica” 120

Grazie alla sua varietà di stili, modalità di espressione e punti di vi-


sta, l’arte fa sì che chi vi si accosta riesca a sviluppare la flessibilità
mentale e tutte le altre competenze e capacità necessarie a vivere in
un mondo multiculturale.
Occorre infatti che l’arte non sia un luogo di chiusura e rinforzo dei
valori occidentali, ma diventi un’apertura al mondo e possa concretiz-
zarsi come luogo di incontro e di contaminazione con ogni altro da
noi.

Conoscere attraverso le emozioni

“Per Platone e Aristotele il pensiero nasce dalla meraviglia. La


meraviglia è la via alla conoscenza e la conoscenza è il superamento
della meraviglia”.121
L’arte e la sua didattica possono dare un contributo all’intercultura
per la loro capacità di mettere in moto processi emozionali forti, gli
stessi che si provano incontrando qualcosa o qualcuno di sconosciu-
to. Come già detto, infatti, l’incontro con l’opera d’arte è quasi sempre
l’incontro con qualcosa di straniero, cioè strano e inaccessibile.
Nella vita quotidiana ci si muove con disinvoltura nell’ambiente a
cui siamo abituati, col minimo dispendio di energie. In queste situa-
zioni percezione ed emozione sono in stato di inerzia.
Nell’esperienza estetica invece, così come nell’incontro con qualco-
sa o qualcuno a noi sconosciuto, “l’equilibrio emotivo si altera, i sen-
si si acuiscono, il soggetto percepisce in uno stato di rinnovata sen-
sibilità ciò che gli si presenta come nuovo”122: è lo stupore che ci co-
glie davanti a qualcosa di inaspettato o di insolito. Lo stupore mette
quindi in moto tutti i sensi e questa percezione “acuita” spinge a cer-
120
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 20.
121
F. Mariotti, La Musa stupita. Infanzia e fruizione dell’arte, Electa, Milano,
2008, p. 22.
122
Ibidem, p. 30.

72
II. Didattica interculturale dell'arte

care il senso nascosto e profondo del reale: nasce così la voglia di co-
noscenza e di andare oltre il momento dello stupore. È questo atteg-
giamento di curiosità che va stimolato, affinchè l’incontro con lo stra-
niero non venga più vissuto in modo negativo, ma come momento di
apertura al mondo e a nuove scoperte. Ovviamente si tratta di un’e-
sperienza che può destabilizzare: “l’esperienza estetica è sempre un
piccolo trauma, uno shock collegato, poco o tanto, a quelle categorie
di vertigine e di rischio che accomunano tutte le significative espe-
rienze del sentimento e dell’emozione ”123: lo stesso shock che si può
provare davanti a qualcosa di straniero. È questa paura di perdere l’o-
rientamento e l’equilibrio che scatena il timore verso l’ignoto e lo sco-
nosciuto, portando al rifiuto per tutto ciò che non è familiare.
Per Fiorenza Mariotti oggi le occasioni di stupirsi sono rare. Da
una parte l’informazione incessante e selvaggia appiattisce e omologa
ogni evento, rendendo tutto ovvio o utile solo per l’immediato consu-
mo, e quindi volatile. Dall’altra parte il sovraccarico di stimoli, per lo
più visivi e uditivi, rischia di saturare e portare al cortocircuito la per-
cezione.124
Questo appiattimento porta a una sorta di irrigidimento mentale, a
causa del quale l’incontro con ciò che è diverso viene vissuto come
qualcosa di negativo e disturbante, dal momento che non siamo abi-
tuati ad affrontarlo.
Il contatto con l’arte può quindi aiutare a mantenere in allenamen-
to questa capacità di stupirsi e di incuriosirsi.
Decentramento, pensiero critico e costruzione dell’identità.
Entrare in contatto con l’arte e la sua complessità permette lo svi-
luppo e l’ampliamento dei propri orizzonti, attraverso la comprensio-
ne di come un concetto o un’idea possano essere declinati e interpre-
tati in modi molto diversi. Il nostro punto di vista, della cui validità
eravamo così convinti, viene messo in forte discussione dall’incontro
con la testimonianza di un’opinione diversa. È per questo che a volte
un’opera d’arte ci infastidisce, perché rende palese la relatività del
nostro punto di vista.

123
M. Dallari, C. Francucci, op. cit., p. 15.
124
F. Mariotti, op. cit., p. 27.

73
II. Didattica interculturale dell'arte

Nel corso della storia dell’arte le opere del passato sono state inter-
pretate in modo differente a seconda del patrimonio di conoscenze di
chi le guardava: questo fa comprendere come le culture siano tutt’al-
tro che scienze esatte o regole immutabili e come gli avvenimenti del
passato e del presente difficilmente siano descrivibili e analizzabili in
modo totalmente oggettivo. Anzi, tutto viene interpretato alla luce
delle proprie esperienze pregresse.
Questa complessità dell’arte, inoltre, permette di imparare a rico-
noscere e valorizzare le differenze, ostacolando così l’omologazione
del pensiero a cui la nostra società tende. Se infatti da un lato la glo-
balizzazione ha portato a un mescolamento delle culture e quindi a
una maggiore varietà sociale e culturale, assistiamo contemporanea-
mente alla diffusione di un modello di vita dominante, quello occi-
dentale, che esporta i propri valori, mode, idee e prodotti in tutto il
mondo. Persone di varie parti del globo vedono gli stessi film, indos-
sano vestiti delle stesse marche, frequentano gli stessi social network.
Questo rischia di portare a un’omologazione di gusti e idee, ma so-
prattutto a un’incapacità di “muoversi nell’universo delle comunica-
zioni e dei saperi in modo critico, selettivo e autonomo”125 facendosi
trascinare dalle mode o dalle opinioni di chi si proclama più esperto o
competente.
Si tratta perciò di utilizzare l’arte per sviluppare un pensiero criti-
co, ovvero una “autonomia di giudizio e rifiuto del dogmatismo
aprioristico”126, che partendo dal campo dell’arte è poi applicabile al-
l’intera realtà circostante. Ciò significa arrivare a essere in grado di
selezionare e confrontare le informazioni per poter scegliere consape-
volmente e non per accettazione o abitudine, come invece accade
molto spesso. É quest’inclinazione ad accontentarsi della “rassicu-
rante gratificazione del riconoscimento”127 a fare la fortuna dei pub-
blicitari, che sfruttano i marchi per indurre i consumatori all’acqui-
sto.

125
M. Dallari, C. Francucci, op. cit., p. 54.
126
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 93.
127
M. Dallari, C. Francucci, op. cit., p. 54.

74
II. Didattica interculturale dell'arte

Questo stesso atteggiamento è necessario nell’incontro con chi è


straniero, in quanto porta al rifiuto di stereotipi e preconcetti, predi-
sponendo al meglio il dialogo interculturale.
Strettamente legato al pensiero critico troviamo il concetto di au-
tonomia, inteso come capacità di sviluppare e perfezionare i propri
gusti e i propri stili, per percorrere la via che conduce alla costruzione
dell’identità personale, che è il fine principale del processo educativo.
Come già precedentemente analizzato, la pedagogia interculturale,
attraverso il confronto con la diversità, offre un grande contributo a
quel processo che consiste nella messa a punto del valore della pro-
pria differenza soggettiva rispetto a ogni altro da sé e che Dallari defi-
nisce “individuazione”128.
Anche la didattica dell’arte svolge un ruolo importante, aiutando a
sviluppare la capacità critica, la possibilità di scegliere e la volontà di
autonomia di cui sopra.
Funzione sociale dell’arte
Sundermeier afferma: “i diversi sistemi di vita che si incontrano
tra gli stranieri richiedono un fondamento comune, un terzo luogo
che sia familiare e prometta sicurezza ad entrambi. Questo luogo è
lo spazio offerto dal diritto all’ospitalità”.129 Oggi non esiste più dal
punto di vista giuridico questo diritto all’ospitalità (se non per quanto
riguarda casi particolari come il diritto d’asilo politico) e abbiamo an-
che perso quello spazio dove acquisire familiarità con quanto ci è
straniero. Per questo Sundermeier afferma che dobbiamo trovare
nuovi spazi dove poter muovere i primi passi per avvicinarci allo stra-
niero.130 L’arte può avere questa funzione di spazio comune. Sia per-
ché la maggior parte delle persone, a qualunque cultura appartenga-
no, si sente “straniera” nei confronti del mondo dell’arte. Sia perché
l’arte parla solitamente di temi ad alto contenuto emotivo, cioè temi
che provocano reazioni emotive in chi vi si accosta: tematiche come la
morte, il dolore, l’amore, la paura sono comuni a ogni persona e que-
sto permette di vedere al di là delle differenze culturali.

128
Ibidem, p. 55.
129
T. Sundermeier, op. cit., p. 158.
130
Ibidem, p. 159.

75
II. Didattica interculturale dell'arte

Scoprire che una persona, proveniente da una cultura apparente-


mente inconciliabile alla nostra, prova i nostri stessi sentimenti da-
vanti a un dipinto o parlando di un determinato tema, permette di ac-
corciare la distanza che ci separa e dispone maggiormente all’ascolto,
anche di ciò che inizialmente non comprendiamo o non approviamo.
Anche i linguaggi utilizzati dall’arte (l’immagine, la gestualità)
hanno caratteristiche quasi universali e quindi favoriscono la comu-
nicazione non verbale. Ovviamente occorre tenere conto dell’ambi-
guità insita in questi linguaggi, che può portare a fraintendimenti. Le
stesse immagini infatti possono avere significati diversi a seconda del
contesto e della cultura di chi le osserva, come anche i gesti e i movi-
menti del corpo. Un esempio semplicissimo è quello del gesto che
consiste nel muovere la testa in su e in giù: in quasi tutti i paesi del
mondo vuol dire "sì", tranne in Grecia, Bulgaria, Turchia e Jugoslavia
dove significa l’esatto contrario.
L’arte poi è patrimonio di tutti, chiunque può accostarvisi se muni-
to degli “strumenti” adatti. La didattica dell’arte perciò aiuta il pro-
cesso di integrazione interculturale, fornendo strumenti uguali per
tutti, necessari a entrare quasi fisicamente nella cultura di una socie-
tà. Perché l’integrazione passa anche attraverso la condivisione della
cultura.
Infine permette lo sviluppo di una cittadinanza attiva, cioè “l’ac-
quisizione di valori utilizzabili e praticabili e la presa di posizione
sui problemi che hanno per oggetto il bene comune”.131
Questa tematica verrà affrontata in modo più approfondito in se-
guito.

2.4 Approcci e metodi didattici

Una didattica dell’arte che guarda all’interculturalità coinvolge sia


la sfera emotiva che quella delle conoscenze. Per questo motivo chi
opera nell’ambito della didattica interculturale deve innanzitutto de-
cidere quale obiettivo vuole raggiungere: la conoscenza dell’arte stra-

131
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 93.

76
II. Didattica interculturale dell'arte

niera? L’assunzione di un nuovo punto di vista sull’arte della propria


cultura? L’acquisizione di una maggiore capacità relazionale e comu-
nicativa?
La didattica interculturale dell’arte può rispondere a tutti questi
interrogativi, occorre scegliere il metodo più adatto.
È nostra opinione che un corretto percorso interculturale debba
avere come finalità ultima l’acquisizione di competenze che permet-
tano di vivere nel mondo multiculturale in cui ci troviamo. L’arte, la
sua esplorazione e il suo studio sono dei pretesti per raggiungere que-
sto scopo. Nell’analisi dei vari approcci, riportata in questo capitolo,
si è giunti alla conclusione che la scelta non debba ricadere su uno
solo di essi, ma sul loro utilizzo integrato.
Bisognerebbe quindi partire da quelle attività e quei metodi che
consentano di acquisire apertura mentale, disponibilità all’ascolto e
al dialogo, capacità di assumere vari punti di vista. Una volta ottenute
queste capacità, si può passare al tentativo di comprendere ciò e chi
ci è straniero, la sua cultura e la sua arte. Dicendo questo non si in-
tende certo sminuire l’arte e relegarla al ruolo di mero strumento, ma
al contrario valorizzarla, mettendone in luce la complessità e la capa-
cità di uscire dal proprio ambito e di rivolgersi ad altre discipline, ad
altri settori della cultura e della vita, attraverso il coinvolgimento to-
tale dell’osservatore.
L’arte è quindi uno dei mezzi fondamentali per sviluppare tutte
quelle capacità che un mondo come il nostro richiede. Come scrive
Dallari132 l’opera d’arte non è più soltanto un testo da leggere e com-
prendere, ma diventa un pretesto per sviluppare nuovi punti di vista,
nuove abilità, nuove idee, cercando di sviluppare un atteggiamento di
apertura al mondo.
Ipotizzando un possibile percorso di didattica interculturale, che
coinvolga sia autoctoni che alloctoni (questa infatti è una premessa
indispensabile allo sviluppo di una vera interculturalità), lo immagi-
niamo strutturato nel modo seguente.
Punto di partenza è la nostra cultura e l’arte da essa prodotta, con
la quale il primo approccio dovrebbe essere emotivo e legato a quei
concetti di stupore e vertigine precedentemente analizzati. Questo
132
M. Dallari, C. Francucci, op. cit., p. 24.

77
II. Didattica interculturale dell'arte

primo incontro, che potrebbe essere utile sviluppare attraverso attivi-


tà ludiche, permette di creare quel terreno comune a tutti (stranieri e
non) che, oltre a mettere i soggetti su un piano di parità (in quanto
non richiede competenze disciplinari), consente di mettere in campo
sensazioni ed emozioni per scoprire affinità e differenze con quelle
degli altri. Si crea così un’esperienza condivisa che oltretutto permet-
te di acquisire competenze e saperi in modo divertente, attraverso
l’attività pratica del gioco e del laboratorio.
In un secondo momento, attraverso il metodo autobiografico, si
collegano queste sensazioni a esperienze vissute e a conoscenze pre-
gresse, aiutando così a sviluppare capacità comunicative e di ascolto,
portando alla consapevolezza della limitatezza del punto di vista di
ognuno e della necessità di aprirsi agli altri e alle loro culture perso-
nali. Infine, una volta acquisite queste capacità e questa flessibilità
mentale, si potrà passare alla conoscenza di culture straniere utiliz-
zando il metodo comparativo, per interpretarle e relazionarle alla cul-
tura autoctona.

Il gioco come metodo

Il gioco viene definito “un’attività volontaria, senza finalità con-


tingenti, con determinate regole e valenze simboliche”133 ed è fonda-
mentale per lo sviluppo del bambino. Infatti, benché non risulti pro-
duttivo perché non produce nulla di materiale, non significa che sia
un’attività inutile. Favorisce infatti lo sviluppo armonioso di tutte le
abilità e capacità umane dal punto di vista cognitivo, emotivo e moto-
rio; educa all’adattamento alle regole, alla socializzazione ed è funzio-
nale alla creazione di modelli culturali attraverso il meccanismo della
simulazione. È in grado, insomma, di far tirare fuori al soggetto il
meglio di sé, oltretutto in modo piacevole e divertente.
Il gioco è “una delle variabili psichiche cruciali della nostra esi-
stenza”.134 Ci sono tanti tipi di gioco che rispondono a bisogni altret-

133
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 30.
134
Ibidem, p. 67.

78
II. Didattica interculturale dell'arte

tanto diversi e sottovalutarne l’importanza dal punto di vista evoluti-


vo sarebbe un grosso errore.
Il gioco è stato oggetto di studio e di analisi di molti studiosi, i qua-
li mettono in luce il suo forte legame con la società e la cultura della
civiltà all’interno della quale si trova. Secondo lo psicologo statuni-
tense Jerome Bruner135, per esempio, il gioco umano sviluppa l’abilità
di capire quale comportamento adottare in una determinata situazio-
ne e come metterlo in atto coordinando le proprie capacità mentali e
gestuali.
Secondo lo psicologo Jean Piaget136 il gioco è un elemento cruciale
nel corso di tutta l’infanzia dato che assolve, progressivamente, a va-
rie funzioni: si parte dalla semplice manipolazione, passando alla pa-
dronanza funzionale, per giungere poi al gioco di imitazione. Si tratta
di tre attività legate alla prima fase del processo evolutivo del bambi-
no, nella quale avviene l’assimilazione della realtà agli schemi della
propria attività sensoriale e motoria, attraverso la ripetizione di ciò
che si è visto fare. Proseguendo nella crescita, il bambino passa poi al
gioco simbolico (la fase definibile del “far finta che”) e ai giochi di
fantasia più complessi di tipo sociale, dove intervengono sostituzioni
più elaborate e linguaggio più complesso. Nella fase della scuola ele-
mentare il gioco simbolico di fantasia viene progressivamente sosti-
tuito dal gioco con regole. Queste attività sono legate al processo di
accomodamento delle azioni e degli oggetti appresi, attraverso il qua-
le il bambino può svolgere un'osservazione attiva sull'ambiente, ten-
tando di dominarlo.
Il gioco è un’attività importante anche dal punto di vista intercul-
turale perché permette di sviluppare le competenze necessarie a “re-
lazionarsi col mondo attraverso la sua universalità e transculturali-
tà, autoformandosi in modo divertente”137 ed è molto fruttuoso dal
punto di vista della costruzione di sentimenti d’appartenenza, nuove
amicizie, legami e solidarietà. Aiutando a conoscere meglio se stessi e

135
Cfr. J.S. Bruner, I processi di apprendimento delle due culture, Armando,
Roma, 1964.
136
Cfr. J. Piaget, Dal bambino all’adolescente, la costruzione del pensiero, Nuova
Italia, Firenze, 1968.
137
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 32.

79
II. Didattica interculturale dell'arte

gli altri, il gioco permette quindi ai bambini di appropriarsi delle abi-


lità necessarie alla vita nel proprio contesto culturale.
Il gioco sociale, per esempio, permette il riconoscimento dell’altro
come identità autonoma (molto importante dal punto di vista inter-
culturale), attraverso l’individuazione di ruoli per i vari giocatori,
ruoli che interagiscono e vengono sempre scambiati, per consentire
l’esperienza di identificazioni contrarie.
La maggior parte dei giochi poi richiede il rispetto di regole fonda-
te su un mutuo consenso: si tratta dei giochi di gruppo, che permetto-
no di comprendere l’importanza di una regolamentazione all’interno
della vita di una comunità (piccola o grande che sia), ma soprattutto
aiutano a prendere coscienza della convenzionalità delle regole. Si
tratta di obiettivi molto importanti sul piano dello sviluppo sociale e
morale e rappresentano un punto importante della didattica intercul-
turale, la quale pone attenzione alla relatività dei valori. In un mo-
mento successivo il gioco di gruppo evolve nel gioco di squadra, che è
caratterizzato dalla contrapposizione di due fazioni, favorendo così
l’identificazione attorno a un simbolo comune e sviluppando la coe-
sione e la collaborazione all’interno di un gruppo.
Il gioco è legato all’espressività del corpo che emette e riceve mes-
saggi, in modo consapevole o involontario: i giochi sono quindi una
sorta di dialogo, esigono un interlocutore, sono estroversione e con-
sentono di sviluppare le capacità comunicative del bambino. Dal pun-
to di vista didattico questa caratteristica è una splendida risorsa per
educare e comunicare, soprattutto quando la tradizionale trasmissio-
ne frontale dell’informazione non basta (come accade spesso per i
temi dell’interculturalità). Il gioco è in grado di scardinare il classico
schema comunicativo formato da emittente/messaggio/ricevente.
Nessuno di questi tre elementi è presente, esiste solo un ambiente
creato dalle regole, in cui i giocatori agiscono contemporaneamente,
“abitandolo” e conoscendolo meglio.
Dal punto di vista socio-culturale il gioco è un modo per avvicinar-
si alle altre culture scoprendo le diversità e le similitudini con la pro-
pria, poiché la tipologia dei giochi praticati da un popolo rispecchia i
valori della loro civiltà. Il gioco infatti, secondo lo storico olandese

80
II. Didattica interculturale dell'arte

Johan Huizinga138, è quasi un’invenzione di modelli ridotti di cultura,


agiti tramite la trasformazione dell’esperienza. In questo modo l’atti-
vità ludica può rendere visibile il sistema sociale attraverso la sua
“messa in scena”. Forse non è casuale che i giochi più competitivi ap-
partengano al bagaglio culturale delle società industriali, mentre i
giochi cooperativi si trovino più facilmente nelle società a carattere
tribale.
L’illusorietà ludica (come quella artistica) ha valore interculturale
anche perché “può diventare elemento coesivo di persone diverse
per comportamenti e cultura, rendendo possibili forme di incontro,
di relazione basate su esperienze comuni, accettate dal gruppo sen-
za il pericolo di essere rinnegate dalla realtà”.139 Il gioco ha la carat-
teristica di permettere un’immersione in emozioni, ruoli e dinamiche
che, prescindendo dal contenuto, possono essere analizzate come se
fossero generate da situazioni reali. Ciò è utile per favorire il cambia-
mento delle proprie abitudini attraverso la creazione delle condizioni
perché ciò accada.
Bartimmo però sottolinea che “ferme restando le conseguenze
evolutive del gioco infantile, è da ribadire che esso deve restare di-
vertimento e suscitare gioia”.140 Proprio questa componente emotiva
è il tratto fondamentale del metodo didattico basato sul gioco, molto
utilizzato nella didattica dell’arte, la quale tiene in alta considerazio-
ne, non solo le componenti cognitivistiche legate ai contenuti, ma an-
che la sfera dell’affettività.
Il gioco, che assume la duplice valenza di forma di comportamento
individuale o di gruppo e di strumento concettuale, è entrato nel
mondo della didattica con la mediazione della creatività. La formula
bambino/gioco/creatività è stata sostenuta da vari artisti ed è diven-
tata una “condizione di appartenenza”141 dell’età infantile a cui il
bambino si dedica in qualsiasi ambito della propria vita, un fatto che
ha contribuito alla sua legittimazione educativa.

138
Cfr. J.Huizinga, Homo Ludens, Einaudi, Torino, 1946.
139
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 31.
140
Ibidem, p. 69.
141
G. Agamben, La comunità che viene, Einaudi, Torino, 1990, p. 59.

81
II. Didattica interculturale dell'arte

Questo modello dà maggiore importanza allo sviluppo di compe-


tenze relazionali che non alla trasmissione di nozioni, infatti, come
scrive D’Andretta, “…la cosa più importante non è la quantità delle
informazioni che si riesce a fornire agli studenti, ma la qualità della
loro partecipazione e del loro coinvolgimento”142.
Per quanto riguarda il mondo dell’arte e la sua didattica, il gioco
ha sempre avuto un ruolo importante.
Gli artisti stessi amano mettersi in gioco e giocare, perché il gioco
simula la vita e permette in qualche modo di ricrearla e modificarla a
proprio piacimento. Paul Klee, per esempio, incarna l’artista moder-
no che gioca con l’arte come un bambino. “La sua ispirazione ludica
diventa metafora esistenziale e investe anche i campi della speri-
mentazione tecnica. L’artista gioca con l’arte in modo intimo e pri-
vato e ha capito che la relazione tra arte e mondo infantile è alla
base di molte creazioni artistiche”. 143 Forse però l’artista/giocatore
per antonomasia è Marcel Duchamp, che insieme agli artisti dadaisti
e surrealisti portò avanti il filone ludico della casualità e dell’impreve-
dibilità come espressione dell’antiarte del Novecento.
Anche l’agire dell’artista contemporaneo è molto legato al gioco
(“Il mio lavoro consiste nel giocare”144 affermava Allan Kaprow).
Un esempio italiano di artista che lavora col mondo del gioco è
Pino Pascali. Nel suo ciclo di opere dedicate alle armi trasforma que-
sti oggetti inquietanti e distruttivi in grandi sculture a forma di “gio-
cattoloni”, rifacendosi al tipico gioco dei soldatini e trasportando così
nel mondo dell'arte l'infanzia e il gioco. Nella serie degli animali, in-
vece, l'artista vuole ricostruire una nuova Arca di Noé ingigantita dal-
l'occhio di un bambino, creando grandi animali leggeri come nuvole
oppure realizzati come giochi di peluches sovradimensionati.
Scrive Bobisut: “l’artista contemporaneo oltre che essere sapiens e
faber è anche ludens, utilizza il play (il comportamento) e il game
(sistemi di regole e schemi di azione) spiazzando volutamente lo
spettatore a cui dà sempre scacco matto attraverso processi di si-
142
P. D’Andretta, op. cit., p. 18.
143
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 48.
144
F. Bonazzi, Allan Kaprow, in “Juliet” n. 85, dicembre/gennaio 1997, in
www.undo.net.

82
II. Didattica interculturale dell'arte

mulazione del reale e di illusione di normalità.(…) Ci illude di esser


nella vita di sempre ma allude a nuove dimensioni creative che de-
stano meraviglia, emozione, spiazzamento”.145
Queste riflessioni sono alla base di un metodo didattico laborato-
riale che porta i partecipanti a rendersi attori della loro formazione,
mettendosi in gioco loro stessi, tramite una produzione libera ma in-
dirizzata nei temi dal conduttore, utilizzando tecniche tipiche dell’ar-
te contemporanea, come l’happening, lo spiazzamento (usato qui
come divertimento per cambiar direzione e predisporsi al nomadi-
smo culturale), l’affabulazione, la meraviglia, l’environment.
È il caso, per esempio, dei laboratori messi in atto al Castello di Ri-
voli: molte delle attività progettate coinvolgono i partecipanti in di-
vertenti feste e giochi in piazza, attraverso la creazione di veri e pro-
pri eventi ed happenings all’aperto. Il progetto ABI-TANTI, per
esempio, ha portato alla costruzione di una moltitudine di robot-gio-
cattoli, che hanno invaso gli spazi urbani colorandoli.
Anche il travestimento e l’immedesimazione quasi teatrale in un
personaggio sono attività ludiche che possono portare contributi inte-
ressanti al discorso interculturale.
Sarebbe interessante realizzare un laboratorio in cui ogni parteci-
pante, davanti a un quadro, abbia la possibilità di interpretare uno
dei personaggi, inventando la sua storia, i suoi gusti e le sue abitudi-
ni, per passare poi a un altro personaggio e poi a un altro ancora.
Questo continuo cambio di prospettiva permetterebbe di accorgersi
della relatività e della parzialità dei punti di vista.

Il metodo autobiografico

Questo metodo viene usato spesso anche nella didattica dell’arte


non specificatamente interculturale. La scrittura di sé e della propria
storia è una pratica che ha una lunga tradizione; ha assunto però le
caratteristiche di un vero e proprio metodo educativo negli anni Ses-
santa e Settanta a opera del pedagogista brasiliano Paulo Freire, che

145
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 36.

83
II. Didattica interculturale dell'arte

l’ha utilizzato nello sviluppo di una nuova pedagogia sociale, da lui


definita “pedagogia degli oppressi”, nell’ambito del suo lavoro con i
campesinos delle favelas brasiliane.
Il metodo autobiografico parte dal presupposto che raccontare la
propria storia è una necessità che corrisponde al “bisogno umano di
essere visto”146. La stessa vita nella società comporta necessariamente
il sapersi raccontare e rappresentare attraverso i gesti, le espressioni,
gli atteggiamenti. È quindi un metodo adatto a soggetti di tutte le età:
per i bambini e i ragazzi è un modo per esprimere il bisogno di rela-
zionarsi all’altro, che attraverso il dialogo, lo scambio e il riconosci-
mento reciproco ascolta e facilita la creazione di nessi e significati tra
le esperienze vissute. Nell’adulto invece permette un dialogo con se
stesso, in un percorso di riappropriazione di sé e della propria storia,
per sentire di essere presenti “a se stessi e al mondo”.147
Dal punto di vista interculturale è un metodo molto interessante in
quanto incoraggia spiazzamento, decentramento, mobilità cognitiva e
transazione/negoziazione di significato.
Il parlare di sé, in primo luogo, crea una situazione particolare per
cui una persona è contemporaneamente sia soggetto (in quanto nar-
ratore) sia oggetto della narrazione (in quanto parla di sé), costrin-
gendo così la mente ad assumere contemporaneamente punti di vista
differenti. Si crea una sorta di dialogo tra le varie voci della “popola-
zione di io”148che compone la personalità, in cui una di esse assume il
ruolo di “io mediatore” 149, riconoscendo legittimità alle parti e favo-
rendo la negoziazione tra esse. Non si tratta però di una pericolosa
“spersonalizzazione” 150 intesa come malattia mentale, precisa Deme-
trio, ma di una sorta di terapia positiva.
Raccontare la propria esperienza permette di rivivere il proprio
vissuto, dargli forma, mettere in discussione le proprie conoscenze,
riscoprire e analizzare le emozioni provate. Le emozioni sono impor-
146
S. Bodo, E. Daffra,S. Mascheroni, A. Montalberti, M. Sozzi, P. Strada (a cura di),
op. cit., p. 23.
147
D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina
Editore, Milano, 1996, 25.
148
Ibidem, p. 28.
149
Ibidem, p. 38.
150
Ibidem, p. 55.

84
II. Didattica interculturale dell'arte

tanti perché sono il nostro mezzo per entrare in relazione con gli altri
e con l’ambiente circostante. Spesso però i bambini non sono abituati
a parlare di ciò che provano, perciò attraverso il metodo autobiografi-
co hanno la possibilità di imparare a nominare le emozioni passando
così da “una conoscenza implicita a una conoscenza esplicita”151. La
prima riguarda la semplice constatazione di ciò che si prova, la secon-
da permette di comunicarlo.
Il metodo autobiografico è un approccio mentale, che allo stesso
tempo diventa un modo di relazionarsi, “aprendo uno spazio per ac-
corciare le distanze (…) per far emergere le risonanze e la corri-
spondenza tra le storie e nel contempo portare alla luce le differenze
(…) e rispettarle”. 152
Infatti, la pratica autobiografica non inibisce le relazioni umane,
né porta a chiudersi in se stessi, come può apparire a un primo sguar-
do. Educando a distinguersi e conoscersi come individui e valorizzan-
do la visione personale delle cose, permette allo stesso modo di com-
prendere le ragioni degli altri, dei motivi in base ai quali pensano e
agiscono in una determinata maniera. Infatti prendere coscienza del
valore della propria autobiografia fa comprendere che lo stesso ri-
spetto va riservato a quella degli altri.
Si tratta di quella che Demetrio definisce educazione “all’egotismo
solidale”153.
L’autobiografia è uno scrivere per l’altro e con l’altro154, infatti da
un lato raccontare la propria storia inevitabilmente porta a narrare
anche le storie di coloro che vi sono coinvolti, e dall’altro lato il lavoro
autobiografico presuppone il dialogo e quindi ha bisogno di aprirsi
alla narrazione, all’altro, alla comunicazione.
Non si tratta però di realizzare una classica intervista; in essa i
ruoli dell’intervistatore e dell’intervistato non sono intercambiabili,
ma fissi e passivi e la relazione è priva di coinvolgimento emotivo.

151
Ibidem.
152
S. Bodo, E. Daffra,S. Mascheroni, A. Montalberti, M. Sozzi, P. Strada (a cura di),
op. cit., p. 23.
153
D. Demetrio, op. cit., p.167.
154
D. Demetrio, op. cit., pp. 133-134.

85
II. Didattica interculturale dell'arte

Nel “colloquio autobiografico”155, invece, narratore e conduttore si


confrontano e si mettono in discussione. È quindi un momento for-
mativo per entrambi e che richiede che tutt’e due siano disposti all’a-
scolto.
Nell’ambito della didattica dell’arte, così come un’immagine può
avere molteplici valenze simboliche e significati a seconda del conte-
sto, anche un racconto può “contenere” molteplici livelli di significa-
to, percepibili da ognuno in modo diverso. Questo porta alla consape-
volezza che le stesse cose possano avere significati diversi, a causa
della soggettività di ognuno, e che tali significati siano legati a espe-
rienze, pensieri, conoscenze personali. In secondo luogo si scopre che
tali “premesse implicite”156 possono essere comprese attraverso un
processo di esplicitazione, che favorisce la creazione di uno spazio
condiviso e una maggiore consapevolezza di sé. Infine viene messo in
luce il fatto che nell’ambito di un corretto dialogo (interculturale e
non) tutto ciò che si dà per scontato ci impedisce di comunicare e che
l’opinione di tutti è accettata e, in questo senso, tutti hanno ragio-
ne.157
Demetrio parla dell’autobiografia anche come “oggetto transizio-
nale”158, cioè uno di quegli oggetti rassicuranti per il soggetto che gli
permettono di superare momenti di cambiamento e di trasformazio-
ne importanti dal punto di vista psicologico. Ecco quindi che il meto-
do biografico può risultare utile anche per i piccoli immigrati, per su-
perare la fase di straniamento dovuta al grande mutamento avvenuto
nella loro vita.
Percorsi di dialogo interculturale possono venire sviluppati attra-
verso la narrazione scritta o orale, data la forte valenza educativa del-
lo scambio di pensieri ed emozioni, ma anche attraverso la mediazio-
ne di oggetti e di immagini. Questo perché le immagini sono utili “sia
come mediatori di relazione per parlare di sé, per narrarsi e narra-

155
S. Bodo, E. Daffra,S. Mascheroni, A. Montalberti, M. Sozzi, P. Strada (a cura di),
op. cit., p. 26.
156
Ibidem, p. 27.
157
Ibidem, tratto e rielaborato da M. Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili,
Bruno Mondadori, Milano, 2003
158
D. Demetrio, op. cit., p. 134.

86
II. Didattica interculturale dell'arte

re, sia come strumenti linguistici più facilmente ed universalmente


condivisibili”159. Le immagini, inoltre, possono aiutare a comprendere
che i loro significati sono molteplici, poliedrici e strettamente legati al
vissuto di chi le produce e di chi le osserva, infatti come scrive Sun-
dermeier “chi vede un’immagine, la percepisce con i propri occhi e il
proprio carico di emozioni e la lega alla propria biografia”.160
Il metodo autobiografico viene spesso usato nella didattica musea-
le. La Pinacoteca di Brera, per esempio, ha realizzato il progetto A
Brera Anch’io proprio partendo dalle riflessioni finora analizzate. Ai
bambini vengono mostrati alcuni dipinti della Pinacoteca in cui il
cibo ha un ruolo rilevante e viene chiesto loro, attraverso schede di-
dattiche, disegni e quiz, di riflettere su che ruolo e importanza abbia
esso nella loro vita. Per esempio, a partire dal dipinto Cucina (1590
circa) di Vincenzo Campi, che raffigura un’affollata cucina del perio-
do, i bambini osservando i personaggi, le loro azioni e gli utensili che
utilizzano e guidati dalle domande dell’operatore didattico, hanno
confrontato la realtà ritratta nel quadro con la propria vita quotidia-
na, raccontando abitudini e tradizioni culinarie, scoprendo così somi-
glianze con quelle degli altri o particolarità insolite. In questo metodo
l’arte diventa un pretesto per giungere all’interculturalità ed è per tale
motivo che l’approccio appare sbilanciato a favore della dimensione
emotiva, affettiva e relazionale a discapito della dimensione più lega-
ta all’arte.
Nella pratica della didattica interculturale andrebbe quindi ante-
posto al metodo comparativo, che verrà di seguito analizzato.

Il metodo comparativo

Il comparare è una componente rilevante all’interno delle stesse


scienze umane e pedagogiche, tanto che si parla di “pedagogia com-
parativa”, riferendosi a quella branca che si occupa dell'analisi delle
159
P. Canova, Narrarsi e narrare con le immagini, in R. Spadaro (a cura di), Me-
todologie interattive nel lavoro didattico interculturale, Associazione Fratelli
dell’Uomo, Milano, 1999.
160
T. Sundermeier, op. cit., p. 38.

87
II. Didattica interculturale dell'arte

pratiche educative in rapporto ai sistemi educativi e formativi di altre


nazioni e culture.
Comparare è un esercizio di rilettura e di interpretazione, che per-
mette di leggere sotto la superficie intrecci e legami profondi e signi-
ficativi.
Nella scuola, comparare la diversità è un utile esercizio didattico e
di crescita educativa, soprattutto quando si tratta di culture lontane,
in quanto porta a sviluppare la capacità di assumere il punto di vista
degli altri e auspica il coinvolgimento di testimonianze autoctone e
dirette delle realtà.
L’azione comparativa è molto vicina a quella interculturale in
quanto se non sappiamo trovare corrispondenze e corrispettivi, le di-
stanze divengono abissi e nessun esercizio di comunicazione intercul-
turale è possibile.
Nell’ambito della didattica interculturale dell’arte, Bevilacqua for-
nisce indicazioni piuttosto precise agli educatori (soprattutto agli in-
segnanti di storia dell’arte) per quanto riguarda cosa comparare.
Occorre evitare di far esercitare l’osservatore prendendo in esame
semplici spezzoni o copioni rappresentativi di una data cultura figu-
rativa, solo perché si pensa che abbiano in se stessi la forza del cam-
pione rappresentativo di un’epoca, di un’intera civiltà. “Meglio didat-
ticamente confrontare manifestazioni globali, ove ogni fenomeno si
ricollega a valori profondi e ogni singolo evento a processi storici di
lunga durata”.161
Occorre cioè “pensare in grande”: è meglio confrontare icone glo-
bali di civiltà, anziché vette solitarie. Bevilacqua considera più utile
per esempio mettere a confronto il Palazzo Ducale di Urbino, con tut-
ti i suoi giardini, le sue decorazioni, la sua raccolta di dipinti, il suo le-
game con la città e il paesaggio, con un analogo modello, piuttosto
che prendere la Dama col liocorno della Galleria Borghese e il suo
corrispettivo giapponese, analizzati isolatamente e costretti a parlare
del loro tempo.
È bene disporre un quadro sinottico, un museo virtuale che offra
in un “colpo d’occhio” una visione, appunto, d’insieme e i valori pro-
fondi che animano il tempo storico e la lunga durata di una civiltà.
161
G. Bevilacqua, op. cit., p. 87.

88
II. Didattica interculturale dell'arte

D’altro canto non dobbiamo comparare tutto: non ci interessa l’e-


lenco completo delle affinità o delle diversità; si cadrebbe nel rischio
di dover adottare modelli astratti, addirittura statistici.
C’è la necessità che l’educatore proponga alcune semplici categorie
per orientare il lavoro di comparazione. Infatti il senso di differenti
civiltà lo possiamo confrontare solo mediante categorie generali che
possiedono una loro forza euristica universale.
La risposta a ciascuna domanda chiaramente chiama in causa una
pluralità di scienze. La crescita interculturale è quindi basata su un
pensiero relazionale, interdisciplinare.
Infine, quali verifiche predisporre? “Secondo la didattica per con-
cetti, una valutazione correttamente intesa deve avere le caratteri-
stiche della diffusività (cioè non limitarsi al momento finale), della
metaconoscenza (valutare per rimettere a fuoco i propri stili cogni-
tivi), della riflessività (cioè il momento del controllo e miglioramen-
to del processo di apprendimento attivato)”. 162 Il docente avrà cura
di verificare la padronanza concettuale dell’alunno, ossia l’organizza-
zione delle informazioni raccolte, attraverso processi di gerarchizza-
zione, di definizione per affinità e diversità, di inclusione, di enume-
razione ed etichettatura di eventi, fatti e via dicendo.
Tutto questo lavoro ha come meta finale la capacità di assumere
proceduralmente il punto di vista dell’altro.
In questo approccio l’interculturalità è più un metodo per studiare
l’arte che un modo per sviluppare un nuovo modo di pensare e di re-
lazionarsi agli altri. Ovviamente la forma mentis richiesta da questo
lavoro di comparazione porta a sviluppare un’apertura mentale e una
capacità di analisi che aiutano molto nell’educazione interculturale.
L’impressione però è che manchi la parte relazionale e interpersonale
che sono fondamentali nella pratica interculturale.
Risulta inoltre un po’ difficile nella pratica “disporre una visione
d’insieme e dei valori profondi che animano il tempo storico e la lun-
ga durata di una civiltà”. Chi può ritenersi in grado di conoscere così
approfonditamente una civiltà e la sua cultura da poterla riassumere
in un “museo virtuale” che la esemplifichi alla perfezione e nella sua
totalità? Già è difficile un’operazione simile con la propria cultura di
162
Ibidem, p. 89.

89
II. Didattica interculturale dell'arte

appartenenza, ancora di più (se non impossibile) è riuscirci con una o


più culture straniere. Si potrebbe ovviare a questa mancanza interpel-
lando esperti di altre culture, ma a nostro parere la soluzione forse
sta nel cambiare l’obiettivo: non cercare di comparare per compren-
dere determinate opere o determinate culture, ma comparare per svi-
luppare nuove interpretazioni, nuove associazioni mentali e un nuovo
atteggiamento mentale.
Gabriele Bevilacqua considera il metodo iconologico il più adatto
alla pratica comparativa prima descritta. Scrive infatti: “L’iconologia
(…) rappresenta un lodevole sforzo per spiegare razionalmente il
contenuto di un’opera d’arte. Risulta infatti chiaro che l’arte non è
relegata nel campo dell’irrazionale (…) anzi, possiamo addirittura
interpretare tale razionalità in termini logici”.163
Secondo l’iconologia la forma è sempre significativa, in quanto è
sempre espressione da un lato di un contenuto psichico, dall’altro di
un protocollo di valori storici, culturali e religiosi di una civiltà. Que-
sti due elementi costituiscono il senso simbolico di un’opera, secondo
l’iconologia. Questo senso simbolico non può essere pensato per com-
parti stagni, per cui nessuna migrazione o contaminazione tra culture
sarebbe possibile. La comparazione quindi richiede una visione del-
l’intera cultura umana simile a una rete in cui si intrecciano le varie
espressioni e le varie discipline coinvolte. Non ci sono prima le cultu-
re e poi i contatti, gli scambi, i trasferimenti di significati e di cose
materiali, ma entrambi allo stesso tempo.
Sundermeier164 utilizza la teoria iconologica di Erwin Panofsky per
lo sviluppo della sua ermeneutica interculturale, cioè la pratica neces-
saria alla comprensione dello straniero. Unendo le due teorie e appli-
candole alle opere d’arte, attraverso un procedimento comparativo, è
possibile attivare un processo di lettura dell’arte in chiave intercultu-
rale.
Secondo Erwin Panofsky, l’opera presenta tre livelli iconologici.
1. Livello delle forme portatrici di significati primari, analogici. Si
tratta di quello che Sundermeier definisce un incontro “neutrale”165.
163
Ibidem, pp. 90-91.
164
T. Sundermeier, op. cit.
165
Ibidem, p. 177.

90
II. Didattica interculturale dell'arte

Sospendere il giudizio è l’atteggiamento necessario in questo primo


incontro. Qualunque preconcetto, negativo o positivo, annebbia lo
sguardo. Per prima cosa, quindi, si deve solamente registrare quanto
si vede, senza cercare di comprendere troppo alla svelta il messaggio,
altrimenti sfuggiranno importanti dettagli. A questo livello la compa-
razione metterà insieme “figure” simili. Fermarsi a tale semplice ope-
razione, però, non porta lontano perché conduce a comparazioni su-
perficiali.
2. Livello del soggetto convenzionale, cioè del contenuto iconologi-
co. Sundermeier lo definisce il piano segnico, in cui è visibile il mon-
do di segni attraverso cui una cultura si rappresenta e si presenta al
mondo. I membri di ciascuna cultura per lo più non hanno coscienza
di questi segni, mentre quelli degli altri vengono percepiti attraverso
dei filtri. Il rischio di creare stereotipi ed etichette è molto forte, quin-
di è necessaria quella che Sundermeier definisce “simpatia”166: biso-
gna cioè non intendere i segni degli altri come segni di delimitazione
contro di noi, ma come segnali di diversità. La simpatia include di-
sponibilità a imparare a comprendere l’altro nel suo contesto, a non
interpretare i suoi “segni” troppo affrettatamente a partire dalle pro-
prie abitudini e ancor meno a universalizzare le proprie esperienze.
Proseguendo nell’analisi dell’opera, a questo livello l’osservatore è
guidato a “leggere dietro” quello che vede. I segni devono essere letti
nel loro contesto, per cui una colomba viene identificata come simbo-
lo della pace e il serpente degli aborigeni si rivela essere un luogo mi-
tologico abitato da un mostro acquatico che divora uomini e cose.
L’azione didattica diventa ora più articolata e complessa, infatti ogni
segno interpretato porta alla comparazione con altre figure conven-
zionali. Quest’operazione, nota Bevilacqua, è comunque settoriale: si
attiva didatticamente una pista di ricerca interessante, ma parziale.
Occorre invece arrivare a una veduta d’insieme, che mostri la rete
globale fatta di problemi, opportunità e percorsi.167
3. Livello della definizione razionale del suo contenuto essenziale o
significato. Sundermeier lo definisce il livello simbolico, quello in cui

166
Ibidem, p. 180.
167
G. Bevilacqua, op. cit., p. 93.

91
II. Didattica interculturale dell'arte

si scopre che i segni hanno dei “sovratoni”168 che danno loro una for-
za simbolica. È qui che l’opera dovrebbe apparirci quale campo di ri-
cerca dei caratteri fondamentali di un’epoca o più in generale di un
paradigma di civiltà. Essa allora va oltre il dato figurativo immediato
o convenzionale e, collocata nel tempo della lunga durata di un popo-
lo e della sua storia collettiva, attinge e rivela i criteri di fondo di una
cultura e di una civiltà. L’opera d’arte è letta come significante di un
“contenuto essenziale razionale”.169 Tale contenuto obbliga a chiama-
re in causa anche altri saperi, e quindi a vagliare ipotesi comparative.
Scavando, un’opera infine rivela quello “zoccolo duro” della sua cul-
tura d’appartenenza di cui è testimonianza diretta. Sundermeier sug-
gerisce l’importanza dell’empatia in questa fase dell’interpretazione,
cioè della capacità di calarsi spontaneamente nel mondo diverso, sen-
za però perdersi in esso e senza necessariamente approvarne le scelte
e i comportamenti170.
Il contenuto essenziale portato alla luce dall’iconologia può avviare
l’opera in esame verso una pratica di riconoscimento e di identità.
Dal punto di vista didattico e da quello della pedagogia comparati-
va essa presenta un indubbio vantaggio: cogliendo legami di una rete
profonda, l’iconologia può davvero aiutare l’istanza comparativa e
dunque una svolta cognitiva interculturale. Ha però anche dei grossi
difetti: da un lato ha in sé il rischio di svalutare in qualche modo l’ar-
tista facendone un’inconsapevole e laboriosa “formica” che trasporta
significati impliciti più grandi di lui. Dall’altro lato irrigidisce l’ap-
proccio all’opera d’arte, come se esso fosse possibile solo all’interno
di una struttura tassonomica rigida e portasse solamente alla scoper-
ta del senso essenziale dell’opera.171
Come precedentemente detto a proposito del metodo comparativo
generale, anche nel procedimento iconologico è individuabile una
mancanza di attenzione verso lo sviluppo di capacità relazionali e co-
municative.

168
T. Sundermeier, op. cit., p. 187.
169
G. Bevilacqua, op. cit., p. 94.
170
P. D’Andretta, op. cit., p. 72.
171
M. Dallari, C. Francucci, op. cit., p. 44.

92
II. Didattica interculturale dell'arte

La Ricerca-Azione

Per Ricerca-Azione si intende una concezione della ricerca che ha


come obiettivo non tanto l’approfondimento di determinate cono-
scenze teoriche, ma l’analisi di una pratica relativa a un campo di
esperienza (come la pratica educativa) da parte di un attore sociale
con lo scopo di introdurre, nella pratica stessa, dei cambiamenti mi-
gliorativi.
Molte delle caratteristiche di quest’approccio corrispondono agli
obiettivi della didattica interculturale, quindi risulta essere un buon
metodo sia per la progettazione dei laboratori didattici, sia per la loro
realizzazione. Si tratta però di una metodologia rivolta principalmen-
te agli adulti.
È un approccio nato negli anni Quaranta e teorizzato per la prima
volta dallo studioso inglese Kurt Lewin. Alla base di questo metodo si
trovano l’idea che la ricerca non debba essere “neutrale”, ma debba
diventare agente di cambiamento e di emancipazione sociale, e l’idea
che lo scopo della ricerca-azione non sia quello di ampliare le cono-
scenze, ma di risolvere problemi che si presentano nell’ambito di un
contesto lavorativo o sociale. Tale approccio prevede un rapporto di
collaborazione e di confronto fra ricercatori e attori, sia nella fase di
definizione del problema, sia nella gestione della concreta attività di
ricerca; viene inoltre posta un’attenzione particolare al contesto am-
bientale e alle dinamiche sociali, intese sia come possibili elementi
del “problema” che come risorse per il cambiamento, nonché alla di-
mensione formativa della ricerca. É inoltre caratterizzato da una “cir-
colarità” fra teoria e pratica.
Le parole chiave della Ricerca-Azione sono:
- complessità, cioè attenzione a tutti gli aspetti di un fenomeno e a
tutte le dimensioni dell’essere umano;
- ascolto sensibile basato sull’empatia;
- ricercatore collettivo, cioè il soggetto della ricerca è costituito dal
ricercatore e da tutti gli attori implicati;
- cambiamento, infatti scopo della ricerca è l’introduzione di cam-
biamenti migliorativi;

93
II. Didattica interculturale dell'arte

- negoziazione del conflitto;


- processo;
- autorizzazione, intesa come il diventare autore di se stesso per
appropriarsi della propria esistenza.
Per quanto riguarda la metodologia, il sociologo René Barbier 172
descrive la Ricerca-Azione come un processo a spirale che tocca quat-
tro tematiche centrali: l’individuazione del problema e la contratta-
zione, la pianificazione e la realizzazione, l’utilizzo di tecniche con-
gruenti con l’approccio, la teorizzazione, valutazione e pubblicazione
dei risultati.

2.5 Ipotesi di laboratorio interculturale

I filtri magici

Contenuti
Vedere la realtà attraverso dei “filtri”, fisici e culturali. I filtri mate-
riali che vengono utilizzati in questo laboratorio rappresentano i filtri
culturali che ognuno di noi utilizza per guardare il mondo, spesso in-
consapevolmente.

Destinatari
Il progetto è pensato per bambini della scuola primaria.

Durata
Il laboratorio è diviso in tre parti, ciascuna della durata di 90 mi-
nuti circa.

Luogo
Questo laboratorio è pensato per essere realizzato in classe, o co-
munque in un luogo frequentato abitualmente dai partecipanti, in

172
R. Barbier, La ricerca – azione, Roma, Armando, 2007.

94
II. Didattica interculturale dell'arte

modo da permettere la rilettura attraverso i filtri di un ambiente fa-


miliare.

Materiali
Uno scatolone contenente vari materiali come plastiche e vetri co-
lorati e deformanti (ovviamente resi innocui), trame, textures e tutto
ciò che permetta di guardarvi attraverso. Fogli e colori (preferibil-
mente matite o pennarelli, in quanto non richiedono particolari com-
petenze tecniche).
Stampe in grande formato (50x70 cm o 70x100 cm) delle opere
d’arte prescelte.

Obiettivi
- Associare ciò che si percepisce a ciò che si prova emotivamente;
- Esprimere e raccontare le emozioni provate;
- Fare collegamenti tra l’esperienza del laboratorio e il proprio vis-
suto personale pregresso;
- Prendere coscienza che la percezione viene influenzata dal pro-
prio vissuto;
- Saper osservare un oggetto o una persona da varie angolazioni e
punti di vista;
- Comprendere la limitatezza del proprio punto di vista;
- Eliminare la convinzione che il proprio modo di vedere sia uni-
versalmente il più giusto;
- Riflettere sui concetti di “giusto” e “sbagliato”, “bello” e “brutto”;
- Riconoscere differenze e affinità fra gli oggetti e fra le persone;
- Acquisire abilità tecniche per quanto riguarda il disegno;
- Acquisire la capacità di inventare e raccontare una storia.

Finalità
- Scoprire la molteplicità dei punti di vista, per accogliere anche
quelli diversi dal proprio e sviluppare così flessibilità mentale.

Metodologia
Metodologia ludico-laboratoriale, autobiografica e comparativa.

95
II. Didattica interculturale dell'arte

Fasi di lavoro
Innanzitutto ai bambini viene raccontata una storia: Tim era pro-
prio arrabbiato. Aveva di nuovo litigato con Tom, il suo cugino prefe-
rito che, quando lo faceva arrabbiare così, non era poi così il suo pre-
ferito!...
L’aveva invitato a giocare a casa sua, come faceva spesso. Tutto era
andato a meraviglia, finché Tim non aveva proposto di giocare agli
esploratori. Suo cugino aveva risposto di no, dicendo che si trattava
di un gioco noioso. “Non è vero! È un gioco divertentissimo!” aveva
ribattuto Tim. “Macché! Lo sanno tutti che è una barba…e poi non si
può giocare qui, perché questa stanza è troppo piccola.”.. “Troppo
piccola! Ma se è grandissima! Ci stanno dentro anche tutti i miei gio-
chi!” aveva risposto Tim, sempre più arrabbiato. Così avevano inizia-
to a litigare: ogni volta che uno diceva una cosa, l’altro ribatteva affer-
mando il contrario…non c’era niente da fare: non riuscivano proprio
a mettersi d’accordo… così Tim, furibondo, si era rifugiato in soffitta,
dove non andava mai nessuno e dove avrebbe potuto starsene un po’
in pace.
Dopo un po’, gironzolando per la soffitta, Tim trovò uno scatolone
ricoperto di polvere. Sopra c’era scritto “LENTI MAGICHE”.
Incuriosito, lo prese e lo portò in cameretta per farlo vedere a Tom.
Aprirono lo scatolone e videro che era pieno di vetri colorati, pezzi di
plastica, retine e stoffe… non sembravano nulla di speciale…
Tim, un po’deluso, prese in mano un pezzo di plastica blu, lo rigirò
un po’fra le dita, poi pensò che le lenti servono a guadarci attraverso:
così chiuse un occhio e avvicinò la lente blu all’altro….
Meraviglia!!! Tutta la sua stanza era diventata blu!!! Improvvisa-
mente sembrava di essere finiti in fondo al mare! Il suo letto era uno
scoglio sommerso, l’armadio una grotta in cui dormivano dei pesci
variopinti e il lampadario un simpatico pesce palla.
Anche Tom volle provare, ma quando avvicinò il pezzo di plastica
agli occhi, la stanza diventò lo spazio pieno di stelle e pianeti, il letto
un’astronave e il lampadario il sole luminoso.
Tim Provò un’altra lente, una rosa: eccolo magicamente trasporta-
to in un dolcissimo mondo di dolci, tutto rosa, fucsia e violetto.

96
II. Didattica interculturale dell'arte

Quando invece Tom vi guardò dentro, vi vide un mondo tutto rosa,


in cui i giocattoli e i pupazzi di suo cugino erano innamorati…persino
il camioncino dei pompieri si era innamorato della Ferrari nuova
nuova che stava sullo scaffale vicino a lui!
Poi Tim guardò attraverso un pezzo di rete, simile a una zanzarie-
ra: sembrava di stare in una gabbia! Ecco allora che la stanza si tra-
sformò in un circo e lui si sentì come una tigre rinchiusa, pronta a
uscire dalla gabbia per fare il suo spettacolo tanto amato dai
bambini!!
Tom invece vide che quella retina davanti agli occhi trasformava la
stanza proprio come quando al mattino fuori dalla finestra c’è la neb-
bia, fa freddo e i rumori sembrano tutti meno forti… ci sarebbe voluta
una bella sciarpa calda calda…
Tim e Tom continuarono a giocare provando e riprovando le varie
lenti magiche e ogni volta la stanza si trasformava, diventata un nuo-
vo mondo in cui potevano immaginare storie fantastiche!
E non importava se le cose che vedevano erano diverse, se a uno la
lente grigia piaceva e all’altro invece metteva tristezza… il bello del
gioco era proprio questo: ognuno poteva vedere il mondo come piace-
va a lui!
In questa prima fase, i bambini vengono lasciati sperimentare e
giocare coi materiali messi a disposizione. Infatti, dopo la narrazione,
viene mostrato loro uno scatolone con la scritta “LENTI MAGICHE”,
contenente vari materiali come plastiche e vetri colorati e deformanti
(ovviamente resi innocui), trame, textures e tutto ciò che permetta di
guardarvi attraverso. Ogni bambino può quindi tirare fuori una “len-
te” e iniziare a osservare ciò che lo circonda, sperimentando poi an-
che gli altri “filtri”. A questo punto si passa a una fase definibile come
“autobiografica”, nella quale l’operatore chiede ai bambini di raccon-
tare quali sensazioni ed emozioni suscitano loro queste “lenti” e quali
esperienze pregresse, positive o negative, tornano loro in mente. Il
“filtro”rosa può diventare il “filtro” dell’amore, il “filtro” nero può
rappresentare la paura, o la solitudine, il giallo può far venire in men-
te un episodio positivo della propria vita, ecc…

97
II. Didattica interculturale dell'arte

Ogni bambino, poi, sceglie uno solo di questi “filtri” e disegna su


un foglio com’è la stanza in cui si trova se viene guardata attraverso
questa “lente”.
Vengono poi confrontati i disegni prodotti: sono tutti uguali? Sono
tutti diversi? Qual è quello più giusto? E quello più sbagliato? Ma ne
esiste uno giusto e uno sbagliato? Queste domande aiutano i bambini
a decentrare il proprio punto di vista e a dare maggiore considerazio-
ne a quello degli altri.
Vengono anche mostrate le riproduzioni dei dipinti scelti, raffigu-
ranti lo stesso posto o la stessa situazione in modi differenti da artisti
con sensibilità diverse. Prima vengono presentate una alla volta, de-
scrivendole e commentandole coi bambini. Successivamente vengono
affiancate, per osservare le differenze.
Per esempio si possono prendere in considerazione i vari modi in
cui è stata raffigurata la città.
Essa può essere vista come un luogo vivace e pieno di vita, se guar-
data con gli occhi di un pittore impressionista come Monet (Le
Boulevard des Capucines, 1873); oppure come luogo alienante e di
solitudine, secondo la visione del pittore americano Edward Hopper
(Sunday, 1926). Può essere considerata come luogo di successo e pro-
gresso tecnologico secondo la visione che ne ha dato il Futurismo
(per esempio Boccioni nel suo dipinto La città che sale del 1910, o
Carrà nel suo Ciò che mi ha detto il tram del 1911); oppure come luo-
go cupo e inospitale, come rappresentato dal pittore di fine Ottocento
Giovanni Sottocornola nell’opera L’alba dell’operaio (1897 circa).
Un altro tema che nel corso della storia dell’arte è stato sviluppato
in modi molto differenti è la natura morta. È interessante allora far
vedere ai bambini un dipinto di Cezanne (Mele e arance, 1895-1900)
affiancato a La canestra di frutta (1596) di Caravaggio; oppure un’o-
pera di Morandi (Natura morta, 1949) messa a confronto con un di-
pinto del seicentesco Baschenis (Piatto di mele, un rametto di rose e
una mela su uno stipo, datazione non pervenuta). Viene così messo
in evidenza come oggetti familiari e apparentemente banali possano
essere raffigurati in modi molto diversi tra loro e caricati di significati
emotivi anche contrastanti.

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II. Didattica interculturale dell'arte

Nella fase successiva, “l’oggetto” della sperimentazione è un com-


pagno. Viene osservato da vicino, da lontano, da dietro, a testa in
giù…Lo si vede sempre uguale? Cosa si vede da vicino? Cosa da lonta-
no? Viene poi osservato attraverso le “lenti”. Sembra diverso? Ogni
“filtro” lo trasforma in un personaggio. Ecco allora che ai bambini
viene chiesto di fare il ritratto del proprio compagno, visto attraverso
un “filtro” a propria scelta. A questo personaggio viene poi assegnata
una storia, un carattere e dei gusti, attraverso un testo scritto, una se-
rie di disegni o un racconto orale.
Nell’ultima fase, si può passare alla ricerca di “personaggi tipo” ri-
scontrabili nei miti e nelle fiabe di culture diverse, partendo sempre
da quelle personali dei bambini. Si potrà allora confrontare il perso-
naggio del mago nelle fiabe cinesi e in quelle africane, oppure vedere
com’è la figura del guerriero nella mitologia europea e in quella giap-
ponese. In questa fase le possibilità di sviluppo sono tantissime, oc-
corre quindi tener conto degli interessi dei bambini coinvolti, cercan-
do anche di fare collegamenti con l’immaginario contemporaneo, co-
stituito da personaggi ed eroi di film e cartoni animati.
Versione per la scuola secondaria di primo grado e secondo grado
Questo laboratorio può essere modificato e adattato a utenti un
po’più grandi.
In questo caso si salterà la parte riguardante il racconto della sto-
ria, si darà meno spazio alla sperimentazione con i “filtri”, dando più
rilevanza al discorso autobiografico e al confronto delle opere d’arte.

Bibliografia

D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raf-


faello Cortina Editore, Milano, 1996.
M. Dallari, C. Francucci, L’esperienza pedagogica dell’arte, La Nuova
Italia, Firenze, 1998.
P. D'Andretta, Il gioco nella didattica interculturale, EMI, Bolo-
gna, 1999.

99
II. Didattica interculturale dell'arte

S. Bodo, E. Daffra ,S. Mascheroni, A. Montalberti, M. Sozzi, P.


Strada (a cura di), A Brera Anch’io. Il museo come terreno di dialogo
interculturale, Electa, Milano, 2007.
F. Mariotti, La Musa stupita. Infanzia e fruizione dell’arte, Electa,
Milano, 2008.

100
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

La didattica museale si è recentemente accorta dell’importanza di


sviluppare un legame forte e duraturo tra patrimonio artistico e dia-
logo interculturale. Entrambi infatti possono stimolarsi e arricchirsi a
vicenda. Il patrimonio ha l’occasione di rinnovarsi attraverso la nuo-
va lettura datagli dall’interculturalità, mentre quest’ultima riceve
nuovi linguaggi e nuovi materiali.

3.1 Il Patrimonio

Prima di trattare di questo “incontro”, occorre soffermarci sulla ri-


lettura e sulla revisione del concetto tradizionale di patrimonio cultu-
rale auspicate da più parti del mondo museale.
L’idea di patrimonio nasce di pari passo con la creazione dei musei
nel XIX sec. Essi sorgevano col chiaro intento di riflettere i valori do-
minanti e le identità delle allora nascenti Nazioni. Per questo erano
sottesi da una forte spinta all’omologazione e all’assimilazione e ave-
vano come scopo l’affermazione e la promozione di quei valori da loro
rappresentati, promuovendo quindi indirettamente il rifiuto, o per lo
meno la subordinazione, di qualunque valore alternativo.
La definizione di patrimonio che l’Unesco diede nel 1972 ancora ri-
fletteva questa concezione: venivano annoverati nella definizione di
patrimonio culturale tutta una serie di beni materiali, statici e tangi-
bili, aventi valore universale ed eccezionale e come tali da tutelare e
da trasmettere alle generazioni future.173
Questa definizione mette in luce la tendenza a dare qualità oggetti-
va al patrimonio culturale e la concezione del patrimonio come eredi-
tà.
La prima porta a considerare il patrimonio come qualcosa di im-
mutabile, perché stabilito secondo regole scientifiche e oggettive,
nonché storicamente dato. Senza rendersi conto che in realtà esso
173
UNESCO, Convenzione per la tutela del patrimonio culturale e dei beni natu-
rali, Parigi, 1972, art.1-2.

101
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

non coincide con la storia, ma è una “costruzione culturale che (…)


coincide (…) con il passato cui individui e gruppi decidono di attri-
buire un valore al fine di soddisfare e/o legittimare esigenze attua-
li”174. Il patrimonio è quindi sempre re-interpretato alla luce del pre-
sente.
L’idea del patrimonio in quanto eredità ha come conseguenza l’o-
pinione ormai radicata che un individuo “non può ‘acquisire’ un pa-
trimonio culturale, che è un dato precostituito, determinato dalla
nascita”.175
Come afferma lo studioso François Matarasso:
“il concetto di patrimonio stabilisce una differenza essenziale,
ineliminabile, tra chi nasce in un villaggio, in un paese, o nell’ambi-
to di una fede, e chi sceglie di condurre la propria vita in quel conte-
sto sociale e culturale; e questa definizione finisce paradossalmente
per penalizzare l’individuo che ha liberamente scelto un’identità e
ha aderito coscientemente a un luogo, a un gruppo o a un insieme di
valori”.176
Seguendo queste concezioni, il museo come istituzione è stato
spesso autore di discriminazione ed esclusione.
Di solito, infatti, si ha sempre avuto la tendenza ad adattare inizia-
tive e strumenti didattici a un’utenza considerata “standard”, igno-
rando le altre tipologie di potenziale pubblico, perché considerate
troppo problematiche, o non rilevanti dal punto di vista economico, o
estranee alla cultura del museo e quindi non interessate a esso.
Il mondo multiculturale in cui viviamo e la necessità di sviluppare
un corretto dialogo interculturale richiedono la definizione di una
nuova concezione di patrimonio, più aperto, più processuale, più dia-
logico. La definizione che l’Unesco ne ha dato nel 2003 vi si avvicina
maggiormente: entrano finalmente a far parte del patrimonio anche
tutta una serie di beni intangibili (quali le lingue, le pratiche sociali,
174
S. Bodo, E. Daffra,S. Mascheroni, A. Montalberti, M. Sozzi, P. Strada (a cura di),
op. cit., p. 12.
175
Ibidem.
176
F. Matarasso, La storia sfigurata: la creazione del patrimonio culturale nel-
l’Europa contemporanea, in S.Bodo, M. R. Cifarelli (a cura di), Quando la cul-
tura fa la differenza. Patrimonio, arti e media nella società multiculturale,
Meltemi, Roma, 2006, p. 54.

102
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

le arti performative, ecc…), ma soprattutto viene dichiarato che “tale


patrimonio culturale intangibile, trasmesso di generazione in gene-
razione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi inte-
ressati in conformità al loro ambiente, alla loro interazione con la
natura e alla loro storia…”177.
Finalmente viene formulata la concezione del patrimonio come ri-
sorsa condivisa.
Di conseguenza anche la figura del museo deve mutare: da luogo
della conservazione con autorità esclusiva in campo culturale, a luogo
di incontro e relazioni, un’istituzione aperta che consulta e coinvolge
il pubblico. Come scriveva Franco Russoli 178 già negli anni Settanta, il
museo non dev’essere più considerato un tempio o una camera del te-
soro, né un deposito per oggetti di cultura, ma un crogiuolo di idee e
un produttore di cultura.179
Inizia così a delinearsi la valenza interculturale del patrimonio ar-
tistico e dei musei.
Un patrimonio che sia veramente una risorsa per ciascuno deve es-
sere prima di tutto conosciuto e compreso. Lida Branchesi a tal pro-
posito scrive: “il patrimonio esiste per l’individuo solo se egli lo rico-
nosce come tale, se ne scopre pertanto i valori per ‘sé’, per la comu-
nità. È chiaro che per ottenere questo primo, ma essenziale risultato
il ruolo dell’educazione è insostituibile e il metodo della scoperta il
più efficace. Anche i problemi relativi alla tutela e alla conservazio-
ne non possono essere risolti senza l’educazione”. 180
L’educazione è quindi un momento fondamentale, come anche
sancito dalla Carta europea dei diritti umani nella città (Barcellona
1998) art.31, nella quale si afferma il diritto dei fanciulli “di parteci-
pare pienamente alla vita culturale ed artistica” e la necessità di in-
coraggiare “l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi
appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e cul-
177
UNESCO, Convenzione sulla salvaguardia per il patrimonio immateriale, Pari-
gi, 2003.
178
F. Russoli, Il museo nella società. Analisi, proposte, interventi 1952-1977, Fel-
trinelli, Milano, 1981.
179
Ibidem, p. 7
180
L. Branchesi, Il patrimonio culturale e la sua pedagogia per l’Europa, Arman-
do, Roma, 2006, pp. 41-42.

103
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

turali”, promuovendo la loro cittadinanza attiva e dando loro la pos-


sibilità di dedicarvisi sotto la guida dei responsabili della loro educa-
zione.181
Il museo deve quindi cercare di diventare uno “strumento” per av-
vicinarsi sempre più a una società veramente interculturale.

3.2 Patrimonio e inclusione sociale

L’idea che il patrimonio possa diventare strumento interculturale


nasce dalla sua cosiddetta funzione sociale.
La concezione che dimensione culturale e dimensione sociale siano
strettamente legate e che le politiche e le istituzioni culturali possano
esercitare un impatto positivo sulla vita degli individui e delle comu-
nità, non è una novità.
È però solo da qualche anno a questa parte che sta prendendo pie-
de una tesi all’apparenza ben più radicale, ovvero che le istituzioni
culturali possano agire come veri e propri veicoli di lotta all’esclusio-
ne sociale, intendendo per esclusione ”un processo dinamico che
preclude del tutto o in parte all’individuo la possibilità di partecipa-
re a quei sistemi sociali, economici, politici e culturali che determi-
nano la sua integrazione nella società”.182 Con questo non si vuole af-
fermare che questa lotta al disagio sociale debba diventare la finalità
principale delle istituzioni culturali, ma piuttosto che esse hanno il
dovere di contribuire a questa lotta, perché è ormai ampiamente rico-
nosciuto che l’esclusione culturale possa alimentare e rafforzare pro-
cessi sociali di alienazione più ampi.
La diffusione di questa idea, peraltro, non è sinonimo di un effetti-
vo cambiamento di mentalità; infatti c’è sempre il rischio che la logi-
ca con cui le politiche e le istituzioni culturali si mobilitano su questo
fronte sia puramente indotta da fattori esterni e non il frutto di un
cambiamento di prospettiva maturato dall’interno. Una logica di que-
sto genere, per quanto opportuna, fa perdere di vista un principio
181
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 15.
182
S. Bodo, C. Da Milano, S. Mascheroni, Periferie, cultura e inclusione sociale,
Collana Quaderni dell’Osservatorio n. 1 Anno 2009, p. 9.

104
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

fondamentale, sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti del-


l’Uomo ancora prima che fosse coniato il termine stesso di “esclusio-
ne sociale”: “ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente
alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di parteci-
pare al progresso scientifico e ai suoi benefici”183.
Questa mancanza di sensibilità ha determinato nei fatti una distin-
zione tra “cultura” e “socio-cultura”184 (o, nel caso delle società mul-
tietniche, tra “cultura” e “culture”) nella formulazione delle politiche
pubbliche.
Una delle conseguenze è che i programmi e le attività considerate
appartenenti al secondo ambito sono spesso promosse da attori non
istituzionali, facilmente caratterizzate dalla non continuità, caricate
di aspettative irrealistiche (risoluzione di problematiche sociali fuori
dalla propria portata) ed escluse dai circuiti di finanziamento che ga-
rantiscono maggiori risorse e sostegno istituzionale.
Un pieno ed effettivo riconoscimento delle potenzialità inclusive
della cultura, invece, può avvenire solo nel momento in cui la promo-
zione del diritto di tutti alla partecipazione culturale, viene assunta a
pieno titolo come parte integrante della missione e del modus ope-
randi delle istituzioni culturali diffuse sul territorio.
Esistono tre principali ambiti di esclusione culturale 185. Il primo ri-
guarda l’accesso alla cultura, che viene ostacolato da barriere di vario
tipo; il secondo riguarda la partecipazione dei vari pubblici (e più in
generale delle comunità di riferimento) a un effettivo processo di
consultazione e di progettazione partecipata; il terzo riguarda la man-
cata o distorta rappresentazione di determinati gruppi e culture o
“sotto-culture” nel circuito delle istituzioni culturali, con l’affermazio-
ne e la promozione di valori sociali e culturali dominanti e quindi, sia
pure in maniera indiretta, la subordinazione o il rifiuto di valori alter-
nativi.

183
Assemblea generale delle Nazioni Unite, Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo, 1948, art.27.
184
S. Bodo, C. Da Milano, S. Mascheroni, op. cit., p. 11.
185
R. Sandell, Misurarsi con la diversità e l’uguaglianza: il ruolo dei musei, in S.
Bodo, M. R. Cifarelli (a cura di), op. cit.

105
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

Per contrastare questi tre fattori è indispensabile garantire due


condizioni di fondo: prima di tutto che gli individui e i gruppi svan-
taggiati non siano stigmatizzati come un “problema”, ma considerati
e di conseguenza coinvolti come delle vere e proprie risorse; in secon-
do luogo che queste politiche perdano il loro attuale carattere di ecce-
zionalità e non vengano più vissute, come ancora troppo spesso acca-
de, come un “corpo estraneo”, ma assimilate nel modo di pensare e di
operare degli operatori culturali.

Il modello di sviluppo all’accesso

L’accesso alla cultura e alle istituzioni che se ne occupano rappre-


senta il primo passo verso strategie più complesse e articolate di in-
clusione e dimostra come le istituzioni culturali siano tutt’altro che
soggetti neutrali. La condotta del museo nei confronti del pubblico,
infatti, è anche una questione sociale e politica. Data la sua “autorità
culturale [cioè] il potere di creare significato e quindi influenzare e
modellare le percezioni dei visitatori” 186, il museo o lavora esplicita-
mente per l’integrazione, o lavora contro (magari inconsapevolmen-
te).
Tradizionalmente, le problematiche di accesso sono state per lo
più associate alle barriere architettoniche e finanziarie, mentre solo
di recente si è prestata maggiore attenzione a tipologie più “immate-
riali”, quali le barriere sensoriali e cognitive, le barriere culturali (le-
gate agli interessi e alle esperienze di vita delle culture presenti nella
comunità), le barriere legate alle competenze e agli strumenti che il
museo possiede.
È evidente che gli immigrati rappresentano una delle categorie che
più difficilmente si avvicinano al mondo museale. Prima di tutto per-
ché la maggior parte di loro vive situazioni di disagio economico, per
cui in una famiglia in cui la preoccupazione primaria è l’ottimizzazio-
ne dei tempi di lavoro per garantirsi il sostentamento, quasi sicura-

186
S. Bodo, E. Daffra,S. Mascheroni, A. Montalberti, M. Sozzi, P. Strada (a cura di),
op. cit., p. 11.

106
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

mente la visita a un museo viene vista come un’inutile perdita di tem-


po e di soldi. In secondo luogo, ma fattore ugualmente importante, i
musei non sono preparati ad accoglierli; “perché gli stranieri dovreb-
bero venire? Non abbiamo nulla da offrir loro, non abbiamo un lin-
guaggio, non ci siamo mai chiesti cosa ci fosse dall’altra parte…” rac-
conta Giovanna Brambilla Ranise (del Dipartimento Didattico della
GAMeC di Bergamo) nel suo intervento al convegno Il patrimonio ri-
sorsa per l’educazione interculturale, svoltosi a Milano, il 4 marzo
2009. Mancano gli strumenti, i linguaggi, le competenze. Chi è stra-
niero non si sente accolto dal museo, che viene percepito come un
luogo fuori dalla propria portata. In questo modo è il museo stesso a
diventare “straniero”, nelle due accezioni che ne dà Sundermeier 187: è
allo stesso tempo sia strano sia inaccessibile.
È da queste riflessioni che nasce l’idea di una didattica museale ri-
volta all’utenza straniera, il cosiddetto “sviluppo dell’accessibilità”188,
fondato sull’idea di “democratizzazione della cultura”189. Il suo obiet-
tivo è garantire pari opportunità di accesso a un’unica cultura ritenu-
ta universalmente valida, attraverso l’individuazione di specifici
gruppi sottorappresentati e la messa a punto di attività/programmi
finalizzati a promuoverne la partecipazione e la rimozione di specifi-
che barriere (siano esse fisiche, intellettuali, culturali/attitudinali o
finanziarie).
Pur rappresentando un punto d’inizio per lo sviluppo di una vera e
propria didattica museale interculturale, questo tipo di iniziative ha
più a che fare con l’integrazione di specifiche comunità e minoranze,
che non con lo sviluppo di un’effettiva comunicazione interculturale.
Matarasso aggiunge che l’impulso all’origine di questo modello è
spesso paternalistico, se non addirittura ancora colonialistico: “ar-
mato di una fede assoluta nel valore di determinate forme ed
espressioni artistiche, esso si propone di insegnare a coloro che non
sono ancora ‘credenti’ ad apprezzare ciò che viene percepito come

187
T. Sundermeier, op. cit., pp. 156-157.
188
S. Bodo, E. Daffra,S. Mascheroni, A. Montalberti, M. Sozzi, P. Strada (a cura di),
op. cit., p. 15.
189
S. Bodo, C. Da Milano, S. Mascheroni, op. cit., p. 18.

107
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

una loro lacuna”190. Si nota qui il pregiudizio di fondo che ha sempre


caratterizzato il modo di porsi che il museo aveva nei confronti dei
pubblici considerati “problematici” perché mancanti di qualcosa. In
realtà non si tratta di un’insufficienza dei visitatori, ma del museo,
che non è in grado di accogliere e comprendere le diversità culturali
di cui essi sono portatori. È ciò che succede in pedagogia nell’ambito
della didattica compensativa, che considera gli alunni stranieri come
mancanti di qualcosa e quindi insufficientemente preparati dal punto
di vista culturale.
Nonostante queste mancanze, le iniziative di questo genere deno-
tano un nascente o crescente impegno sociale dei musei, consapevoli
della necessità di ”adeguare il progetto educativo del museo ai mu-
tamenti sociali in atto” e di “valorizzare le proprie competenze in re-
lazione a un pubblico diverso”.191
Il modello di sviluppo “socio-economico”
Il secondo modello utilizzato nei processi di inclusione sociale con-
siste nell’impiego di iniziative culturali come strumento per consegui-
re determinati obiettivi socio-economici. In questo modello, gli attori
culturali e sociali individuano specifiche situazioni di malessere so-
ciale (quali per esempio degrado urbano, criminalità, dispersione
scolastica, disoccupazione, razzismo o altre forme di discriminazione)
e sviluppano appositamente progetti per contrastarle.192
La forma più eclatante del modello di “sviluppo socio-economico”
è quella che associa la cultura e le arti ai processi di riqualificazione
urbana. In questo caso gli interventi possono assumere tre forme di-
verse193: nel caso in cui l’attività culturale sia considerata come il cata-

190
F. Matarasso, L’état, c’est nous: arte, sussidi e stato nei regimi democratici, in “Econo-
mia della Cultura”, n. 4/2004, pp. 491-498.
191
S. Bodo, sito Patrimonio e Intercultura:
http://www.ismu.org/patrimonioeintercultura/index.php?page=esperienze-
show.php&id=37, introduzione al libro di S. Bodo, K. Gibbs, M. Sani (a cura di), I
musei come luoghi per il dialogo interculturale. Esperienze dall’Europa, in cor-
so di stampa.
192
S. Bodo, C. Da Milano, S. Mascheroni, op. cit., p. 20.
193
G. Evans, P. Shaw, The contribution of culture to regeneration in the UK: a re-
view of evidence. A report to DCMS, http://www.culture.gov.uk/images/con-
sultations/ADCMSFinal1.pdf, 2004.

108
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

lizzatore e vettore del processo di rigenerazione si ha una “rigenera-


zione incentrata sulla cultura”; se l’attività culturale è integrata in
una strategia che comprende anche altre attività riguardanti la sfera
ambientale, sociale ed economica si parla di “rigenerazione
culturale”; infine nel caso in cui l’attività culturale non è parte inte-
grante della fase di sviluppo strategico, si ha un approccio di “cultura
e rigenerazione” e l’intervento in questione è spesso di scala ridotta.
Anche lo sviluppo “socio-economico”, come il modello analizzato
precedentemente, presenta alcuni rischi. Per quanto riguarda i pro-
getti legati alla riqualificazione del territorio, l’enfasi eccessiva sugli
impatti ambientali ed economici a breve termine rischia di mettere in
secondo piano quelli sociali e culturali; nel caso dei progetti legati ai
problemi di specifiche comunità, i rischi maggiori sono la mediocrità
del prodotto finale sotto il profilo artistico, l’episodicità degli inter-
venti (che difficilmente lasciano una traccia permanente sul territorio
e nel vissuto delle comunità), e un approccio dall’alto verso il basso,
non supportato da un’analisi attenta dei bisogni e delle attese dei par-
tecipanti.194
Il modello di inclusione (o democrazia) culturale.
Il modello di “inclusione o democrazia culturale”195 consiste nel-
l’ampliare l’accesso non solo al consumo culturale, come si propongo-
no i due modelli precedentemente illustrati, ma anche alla produzio-
ne e alla distribuzione
Il concetto di “democrazia culturale” è emerso ufficialmente in oc-
casione della Conferenza intergovernativa dei ministri europei della
cultura promossa dall’Unesco a Helsinki nel 1972. Nelle Raccoman-
dazioni finali della Conferenza, a una concezione elitaria di “demo-
cratizzazione (dall’alto verso il basso) di una cultura ereditata dal
passato”196, veniva infatti contrapposta l’idea di una democrazia cultu-
rale da conseguirsi dal basso verso l’alto, sostituendo a un consumo
passivo la creatività individuale. In questo modello, l’enfasi è posta
sul coinvolgimento attivo degli individui, che si traduce nella loro op-
194
S. Bodo, C. Da Milano, S. Mascheroni, op. cit., p. 22.
195
Ibidem, p. 23.
196
Unesco, Intergovernmental conference on cultural policies in Europe. Final re-
port, Parigi, 1972.

109
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

portunità di accedere non solo come “pubblico”, ma come attori in


grado di produrre cultura, intesa come strumento che stimola la crea-
tività e favorisce un senso positivo della propria identità. Al cuore del
modello di “inclusione culturale” vi è l’importante idea che per con-
tribuire realmente alla lotta alla disuguaglianza sociale, le istituzioni
culturali debbano diventare esse stesse più “inclusive”. Uno dei ban-
chi di prova decisivi sotto questo profilo è rappresentato proprio dalla
crescente diversità delle società occidentali, che impone nuova cen-
tralità alle tematiche relative alla diversità e al dialogo interculturale.

3.3 Il dialogo

Il dialogo interculturale è stato inteso dai musei in vari modi, che


hanno portato a differenti approcci.
La prima questione da porsi in proposito porta ad analizzare con
chi è stato stabilito il dialogo. Alcuni musei hanno assunto come in-
terlocutori per le proprie iniziative gli immigrati; altri si sono rivolti a
gruppi di autoctoni e immigrati insieme; altri ancora hanno focalizza-
to l’attenzione sul dialogo tra museo e destinatari.
La seconda questione riguarda la modalità del dialogo. Alcuni mu-
sei hanno colto l’occasione del dialogo interculturale per “prendere
coscienza della realtà territoriale rispetto alle dinamiche intercultu-
rali e alle politiche di integrazione”197. È il caso del MAMbo di Bolo-
gna, che attraverso il progetto City Telling ha indagato la situazione
sociale e culturale di una zona del quartiere San Donato, denominata
Pilastro, cercando di andare oltre l’immagine di zona malfamata e di-
sagiata.
In altri casi, invece, i musei hanno calato “dall’alto” i propri pro-
getti, senza che gli obiettivi e le strategie scelte fossero avvalorati da
un’analisi delle percezioni, dei vissuti e delle esigenze dei destinatari.
197
S. Bodo, sito Patrimonio e Intercultura:
http://www.ismu.org/patrimonioeintercultura/index.php?page=esperienze-
show.php&id=37, introduzione al libro di S. Bodo, K. Gibbs, M. Sani (a cura di), I mu-
sei come luoghi per il dialogo interculturale. Esperienze dall’Europa, in corso
di stampa.

110
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

Nessuno dei progetti analizzati in questa sede risulta essere apparte-


nente a tale categoria.

3.4 Vecchi approcci

Esistono tre tipi di approcci, ancora utilizzati da molti musei, che


confondono il dialogo interculturale con lo sviluppo all’accesso e con
l’integrazione nella cultura dominante.
Il primo è il cosiddetto multiculturalismo conoscitivo198.
Èl’approccio che si propone di promuovere la conoscenza, soprat-
tutto nel pubblico autoctono, delle culture straniere, che solitamente
sono poco esposte nei musei, spesso in modo distorto, o addirittura
escluse del tutto. Queste iniziative (chiamate anche “culture in mo-
stra”) si sono spesso risolte in mostre “infarcite” di stereotipi e di
semplificazioni, di distorsioni e fraintendimenti, attraverso una visio-
ne delle culture esoticheggiante, anche perché solitamente si tratta di
mostre progettate e allestite da persone non appartenenti alla cultura
esposta. Hanno inoltre il difetto di essere riservate al solo pubblico
autoctono, non consentendo così alcun confronto reale con persone
appartenenti a un’altra cultura.
Il secondo approccio mira all’integrazione delle comunità im-
migrate attraverso la loro alfabetizzazione e fa parte delle strategie
di sviluppo all’accessibilità.
Con questo approccio s’intende aiutare i nuovi cittadini a familia-
rizzare con la cultura del paese in cui si sono stabiliti. Lo sforzo di an-
dare incontro ai “nuovi arrivati” è lodevole, però, oltre al limite di es-
sere rivolto ai soli immigrati, questo metodo risente ancora dell’atteg-
giamento quasi coloniale dell’occidente che vuole istruire e assimilare
lo straniero, senza dare valore alla sua cultura. Per assimilazione s’in-
tende il processo attraverso il quale, nell’incontro di due culture, l’im-
maginario di uno dei due gruppi di contatto, precisamente il più de-
bole, dopo un periodo di decadenza cessa di esistere culturalmente.

198
S. Bodo, Intervento al Convegno Il patrimonio risorsa per l’educazione inter-
culturale. La scuola, il museo, il territorio, Milano, 4 marzo 2009.

111
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

Occorre fare attenzione a non fraintendere l’assimilazione con l’ac-


culturazione. Quest’ultima, infatti, “è un processo di contatto conti-
nuativo, diretto, strutturale, su vasta scala fra uomini e istituzioni
di culture diverse, al punto che si innescano fenomeni di trasforma-
zione rispetto alle situazioni originarie di ciascuna cultura”.199 In
questo caso perciò la trasformazione riguarda entrambe le culture a
contatto, spesso porta alla nascita di una terza, nuova cultura, frutto
di una volontà di dialogo e cooperazione che porta a nuove forme di
espressione e comunicazione visiva.
Il terzo approccio viene definito programmazione cultural-
mente specifica200.
Consiste in iniziative che si propongono di aiutare le comunità im-
migrate a mantenere il legame con la propria cultura d’origine, attra-
verso l’esposizione di oggetti e opere che hanno una specifica valenza
interculturale. Benché queste iniziative abbiano il pregio di voler va-
lorizzare le differenze di ogni cultura, presentano il grosso difetto di
tenere separato il pubblico di immigrati dal resto dei visitatori. È an-
che da notare il fatto che il dialogo interculturale è ancora visto come
una finalità e non come un processo.
Simona Bodo, nel suo intervento al convegno “Il Patrimonio risor-
sa per l’educazione interculturale. La scuola, il museo, il territorio”
tenutosi a Milano il 4 marzo 2009, precisa che, pur pieni di difetti,
questi approcci non sono da screditare o abbandonare, ma vanno in-
seriti in un processo più ampio che tenda allo sviluppo di spazi ed
espressioni culturali complessi e condivisi, in cui individui di culture
diverse possano veramente interagire su un piano di effettiva parità e
reciprocità.

199
G. Bevilacqua, op. cit., p. 73.
200
S. Bodo, Intervento al Convegno Il patrimonio risorsa per l’educazione inter-
culturale. La scuola, il museo, il territorio, Milano, 4 marzo 2009.

112
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

3.5 Nuove sperimentazioni

I musei, partendo dalla nuova definizione di patrimonio (vedi:


Unesco, Convenzione sulla salvaguardia per il patrimonio immate-
riale, Parigi, 2003), hanno dato vita a varie sperimentazioni, accomu-
nate dall’idea fondamentale di interculturalità come processo e non
come fine e dall’obiettivo di utilizzare il patrimonio artistico e le col-
lezioni come strumenti per favorire il dialogo interculturale, promuo-
vendo così una nuova o maggiore coesione tra individui portatori di
differenti sensibilità culturali. Naturalmente, non è realistico pensare
che queste iniziative da sole riescano a risolvere conflitti e criticità
presenti in una società sempre più multietnica come la nostra, ma
permettono l’acquisizione di linguaggi e modalità comunicative che
promuovono l’incontro, invece che lo scontro fra le culture. Tali con-
flitti all’interno della società, inoltre, non vanno elusi o mascherati
(per quanto la tentazione sia forte), ma vanno vissuti come opportu-
nità di crescita individuale e istituzionale.
Riprendendo Simona Bodo, queste sperimentazioni sono caratte-
rizzate da uno o più di questi aspetti:
- La formazione di mediatori culturali per la rilettura del nostro
patrimonio attraverso la loro esperienza personale e la loro cultura
d’origine;
- Il coinvolgimento attivo di gruppi misti;
- La sperimentazione di nuovi metodi;
- La collaborazione con artisti contemporanei;
- L’attivazione di collaborazioni interistituzionali.

Tutte queste esperienze, più o meno riuscite, hanno permesso di


dimostrare come il patrimonio inteso nella sua dimensione proget-
tuale e dialogica non solo muti, ma si arricchisca da individuo a indi-
viduo, da generazione a generazione, da una cultura all’altra. Il che
non implica la rinuncia al rigore scientifico tanto apprezzato nel seco-
lo scorso, né l’abbandono della qualità. Piuttosto occorre un ripensa-
mento sia del patrimonio (come uno spazio in cui tutti sono legittimi
attori e non più solo consumatori passivi), sia del museo (meno auto-

113
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

referenziale, più radicato nella vita della comunità di riferimento e


più aperto alla sperimentazione).
Come afferma Simona Bodo, “le competenze interculturali svilup-
pate dai musei grazie all’impegno encomiabile di chi al loro interno
si occupa di accessibilità, di educazione, di mediazione, non dovreb-
bero essere vissute – come purtroppo spesso accade – come un “cor-
po estraneo”, ma incardinate nel modo di pensare e di operare del
museo. […] anche il museo trae beneficio dall’integrazione di nuove
voci e narrazioni, sviluppando a sua volta nuovi approcci all’inter-
pretazione delle testimonianze che custodisce, mettendo in discus-
sione i pregiudizi e le convinzioni che ne hanno tradizionalmente in-
formato la “cultura” e la prassi, e avviando un processo di profondo
cambiamento istituzionale”. 201

I mediatori culturali

Il mediatore culturale è una figura centrale nella didattica intercul-


turale.
Come figura professionale è stata definita dal CNEL (Consiglio Na-
zionale dell'Economia e del Lavoro) nel 2000, come “un agente atti-
vo nel processo di integrazione e [che] si pone come figura “ponte”
fra gli stranieri e le istituzioni, i servizi pubblici e le strutture priva-
te, senza sostituirsi né agli uni né agli altri, per favorire invece il
raccordo fra soggetti di culture diverse”.202
Aluffi Pentini definisce alcuni punti fondamentali da tener conto
quando si parla di mediazione interculturale: innanzitutto il mediato-
re non media tra due culture immutabili e teoricamente definite, ma
tra individui o gruppi di individui concreti, con tutta la componente
psicologica, emotiva e relazionale che ciò comporta; in secondo luogo
201
S. Bodo, Sviluppare “spazi terzi”: una nuova sfida per la promozione del dialo-
go interculturale nei musei europei, Intervento al convegno “Musei e dialogo
interculturale”, Bologna, 10 giugno 2008.
202
CNEL, Organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione
sociale degli stranieri, documento Politiche per la mediazione culturale. For-
mazione ed impiego dei mediatori cultuali, Roma, 2000.

114
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

il mediatore non prende le parti di nessuno, né può risolvere perso-


nalmente problemi che emergono dall’incontro da lui “mediato”. Egli
facilita il dialogo tra le due parti, verificando che non ci siano malin-
tesi legati alla cultura e alla lingua dei partecipanti.
È evidente che il lavoro del mediatore non si ferma alla semplice
traduzione linguistica, ma egli ha il compito di “tradurre” in senso
lato, accompagnando lo straniero ad accedere efficacemente alle di-
verse istituzioni, stimolandolo a confrontarsi con gli usi e i costumi
della società in cui si trova; ha inoltre il compito di informare e ren-
dere più consapevoli gli operatori dei servizi su logiche, codici com-
portamentali, abitudini e norme a cui l'utente straniero fa riferimen-
to. Il mediatore, insomma, deve essere una persona capace di ascolta-
re e di leggere, talvolta tra le righe, le richieste delle persone di cui
interpreta le esigenze.
Anche nell’ambito del museo, il mediatore non si limita a tradurre,
ma diventa parte attiva della progettazione didattica.
A Torino, per esempio, il Museo di Antropologia ed Etnografia nel
2009 ha realizzato il progetto “Lingua contro Lingua”: un corso di
formazione per mediatori culturali, al termine del quale essi hanno
avuto il compito di realizzare percorsi legati al proprio vissuto e alla
propria cultura, strutturati però su oggetti e opere non appartenenti
al loro patrimonio culturale d’origine.
Molto importante è stata anche l’iniziativa compiuta dalla Galleria
d'Arte Moderna e Contemporanea (GAMeC) di Bergamo: è stato rea-
lizzato un corso per mediatori museali, rivolto a tutti i cittadini "mi-
granti" presenti a Bergamo e provincia che desideravano diventare
protagonisti del dialogo tra il museo e i propri connazionali. Gli unici
pre-requisiti richiesti erano la maggiore età, il permesso di soggiorno
e la buona conoscenza della lingua italiana. Non è stata pretesa alcu-
na competenza in storia dell’arte perché “questa era l’unica cosa che
potevamo offrire noi”203, racconta Brambilla Ranise del Dipartimento
Educativo del museo.
Il corso di formazione è partito mettendo in risalto l’importanza
del “punto di vista”: tutti hanno messo a disposizione le proprie cono-
203
G. Brambilla Ranise, Intervento al Convegno Il patrimonio risorsa per l’educa-
zione interculturale. La scuola, il museo, il territorio, Milano, 4 marzo 2009.

115
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

scenze, sia gli operatori didattici, sia gli aspiranti mediatori e tutti at-
traverso la propria interpretazione delle collezioni del museo hanno
contribuito ad arricchire se stessi e gli altri. C’è stato quindi un inten-
so scambio di conoscenze, competenze e riflessioni da entrambe le
parti. È accaduto qualcosa di simile a ciò che affermava il pedagogista
Freire: “nessuno educa nessuno, le persone si educano insieme”204.
A conclusione del corso di formazione, nel settembre del 2007, e
dopo il conseguimento del relativo diploma, si è passati alla fase della
progettazione condivisa. I mediatori hanno elaborato percorsi, basati
sulla collezione permanente e su mostre temporanee, rivolti alle co-
munità di immigrati loro connazionali, gratuiti e in lingua madre (o
in italiano come lingua franca). Non si è trattato dei classici percorsi
per stranieri, ma di una rilettura del patrimonio artistico attraverso lo
sguardo di persone immigrate. Questo ha permesso anche la riflessio-
ne da parte dei mediatori su alcuni aspetti della loro cultura di origi-
ne. Per esempio la mediatrice giapponese ha avviato una riflessione
sulla propria cultura e su i suoi pregiudizi a partire dell’opera di Gia-
como Manzù “La signora giapponese”. La scultura infatti ritrae una
donna con le mani sui fianchi e i gomiti verso l’esterno: una donna
giapponese non si farebbe mai ritrarre in un atteggiamento simile,
poiché considerato sinonimo di eccessiva disponibilità sessuale. Que-
sto ha permesso alla mediatrice di iniziare una serie di considerazioni
sui rigidi codici comportamentali che ancora vigono nel suo Paese e
sulle chiusure mentali che vi persistono.
Tale iniziativa ha anche avuto il vantaggio di avvicinare al museo
persone che non vi avevano mai messo piede, come nel caso della co-
munità cinese, che grazie al percorso sulla mostra dedicata all’artista
Yan Pei-Ming nel 2008, per la prima volta ha fatto il suo ingresso nel
museo.
Questi mediatori museali, inoltre, sono diventati un vero e proprio
punto di riferimento culturale, vengono visti come “paladini di possi-
bilità” dai propri connazionali; ma soprattutto hanno acquisito delle
competenze spendibili nei confronti non solo dei loro conterranei, ma
204
A tal proposito si rimanda alle teorie di P.Freire, in particolare ai testi Pedago-
gia dell'autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa, EGA, Torino,
2004 e La pedagogia degli oppressi, EGA, Torino, 2002.

116
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

di qualunque tipo di pubblico. Per esempio sono stati realizzati dei


percorsi in lingua spagnola per gli studenti di un Istituto Tecnico Tu-
ristico.
Questo progetto dimostra come gli immigrati possano dare un rea-
le contributo al mondo museale, non solo in termini pratici (avvicina-
mento di nuovo pubblico, traduzioni), ma anche, e forse soprattutto,
concettuale: attraverso il loro punto di vista e il loro bagaglio cultura-
le, portano importanti riflessioni sulla nostra cultura, sul nostro
modo di vivere l’arte e il museo. Quest’esperienza mostra come i cit-
tadini di origine immigrata sono spesso portatori di competenze pro-
fessionali che non hanno la possibilità di esprimere e utilizzare, in
quanto costretti entro una logica di “sopravvivenza quotidiana”.
L’attività interpretativa, d’altra parte, va estesa a tutti i partecipan-
ti alle attività didattiche museali. “L’interpretazione di un’opera non è
un suo snaturamento, ma un suo arricchimento” 205 afferma Giovanna
Brambilla Ranise. A ognuno quindi dovrebbero venire offerte le con-
dizioni adatte per poter essere mediatore culturale, nel senso di me-
diatore della propria cultura con quella degli altri e con quella del
museo.
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, per esempio, ha dalla
sua apertura nel 2002 un servizio permanente di mediazione cultura-
le d’arte contemporanea.
Non si tratta però di professionisti specializzati nella mediazione
tra diverse culture, come generalmente si intende questo ruolo oggi,
ma nel favorire l’approccio del pubblico alle opere d’arte contempora-
nea.
Il ruolo di questi mediatori è infatti quello di instaurare e facilitare
il contatto diretto tra il visitatore (di qualunque cultura), l’opera e la
mostra, fornendo indicazioni, sollecitando il dialogo e valorizzando le
interpretazione individuali. Per esempio, ai visitatori viene distribui-
to un piccolo opuscolo chiamato “Art Kit”, contenente nove domande
a cui ognuno può rispondere quando si trova davanti a un’opera d’ar-
te, per conoscerla e osservarla meglio.

205
G. Brambilla Ranise, Intervento al Convegno Il patrimonio risorsa per l’educazione in-
terculturale. La scuola, il museo, il territorio, Milano, 4 marzo 2009.

117
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

Il coinvolgimento di gruppi misti

Uno dei principali difetti che avevano le classiche iniziative legate


all’interculturalità, era la separazione tra stranieri e autoctoni. Oggi la
situazione fortunatamente sta cambiando.
Il coinvolgimento attivo di gruppi misti e non più pubblici separati
ha come principale pregio la creazione di “spazi terzi, ignoti a en-
trambe le parti, in cui gruppi diversi possono condividere una ana-
loga esperienza di scoperta”206, l’attivazione di strategie di comunica-
zione e la possibilità di ascoltare e sperimentare nuovi punti di vista.
Infatti “…l’incontro di diverse tipologie di utenza (…) permette alle
persone di imparare le une dalle altre, scambiarsi punti di vista e
prospettive, sviluppando tolleranza e rispetto per gli altri”.207
Questa strategia punta a sviluppare competenze relazionali e co-
municative, piuttosto che nozionistiche.
È il caso delle iniziative realizzate nell’ambito del progetto “Sul
Tappeto Volante” del Castello di Rivoli (provincia di Torino), partito
nel 1996 e ancora attivo. Questo lavoro è nato proprio dall’esigenza di
far dialogare in modo pacifico le varie comunità presenti all’interno
del quartiere San Salvario, caratterizzato da una complessità sociale
molto varia. Una delle finalità del progetto è proprio favorire la co-
municazione all’interno della scuola (ma il discorso si è poi esteso al-
l’intero quartiere) soprattutto tra i bambini di diversa provenienza
geografica, utilizzando l’arte contemporanea come dispositivo per fa-
cilitare altre forme di comunicazione. L’arte ha quindi funzionato da
terreno comune e i linguaggi e le modalità della produzione artistica
sono diventati la chiave di accesso privilegiato per la comunicazione
tra individui portatori di sensibilità culturali differenti. Gran parte
delle attività vengono svolte in gruppi anche molto numerosi, come
le feste in piazza e i wall drawings, gli enormi dipinti murali.
Il progetto non aveva ambizioni risolutive circa i conflitti presenti
nella zona, ma semplicemente avviava nuove procedure finalizzate a

206
S. Bodo, intervento al convegno Musei e dialogo interculturale, Bologna, 10 giu-
gno 2008.
207
Atti della giornata internazionale degli adulti nei musei, giugno 1999.

118
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

promuovere il senso d’identità e di appartenenza tra tutti i cittadini


del quartiere. I risultati comunque sono stati positivi, nonostante le
inevitabili criticità che un progetto così articolato e complesso pre-
senta.

La sperimentazione di nuovi metodi

Un punto importante della didattica interculturale dell’arte è la ri-


cerca di nuovi linguaggi e nuove modalità di espressione, che permet-
tano la comunicazione a persone di provenienze diverse.
Come già più volte detto, i linguaggi dell’arte sono particolarmente
adatti a questo scopo. Anche le metodologie però devono cambiare,
dal momento che la classica visita guidata non offre molti vantaggi in
questo senso.
Da un lato sono stati sviluppati metodi basati sullo sviluppo della
comunicazione non verbale (come il gioco, l’happening, la pittura, i
laboratori pluri-sensoriali). È il caso del laboratorio Identità della
GAM di Gallarate, in cui bambini di nazionalità diverse hanno realiz-
zato insieme delle pitture murali, o gli eventi in piazza di Rivoli.
Dall’altro lato rimane la comunicazione verbale, ma utilizzata in
senso narrativo e autobiografico e non più per la trasmissione di sa-
peri tecnici, che richiedono un background culturale specifico.
Sono annoverabili in questa tipologia le iniziative A Brera anch’io,
che sviluppa la tematica del cibo attraverso il racconto autobiografi-
co, e City Telling del MAMbo di Bologna, che attraverso i racconti dei
partecipanti ha stimolato la loro riappropriazione degli spazi urbani.
In entrambe le tipologie viene dato risalto alle componenti emo-
zionali e sensibili dell’arte, seguendo così la strada tracciata da stu-
diosi, artisti e pedagogisti che si sono occupati di didattica museale:
da Munari a Dallari, il laboratorio è visto come momento di appren-
dimento attraverso il fare e la sensibilità.
“…l’emozione trasforma il passivo in attivo (…) la sperimentazio-
ne nutre l’intelligenza dei sensi”208 scrive lo studioso Serge Grappin.

208
S. Grappin, Patrimonio e scuola: risveglio di passioni, in L. Branchesi (a cura

119
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

Viene fatto largo uso di mezzi multimediali, come il video e il web,


che data la loro vicinanza al linguaggio contemporaneo risultano più
familiari, in particolare per i giovani. È il caso dei progetti realizzati
dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e dal MAMbo, che hanno
portato alla realizzazione di DVD e CD-Rom che raccolgono i video e
le foto prodotte dai ragazzi partecipanti alle iniziative. Alcuni di essi
hanno così apprezzato l’uso di questi mezzi, da prendere in conside-
razione la possibilità di sviluppare tale competenza anche al di fuori
dei progetti.

La collaborazione con artisti contemporanei

La collaborazione con artisti contemporanei è un ottimo strumen-


to per sviluppare nuove prospettive su concetti legati a patrimonio e
interculturalità, per mediare tra eredità culturale e creatività contem-
poranea e per sperimentare nuove modalità di dialogo con le comuni-
tà immigrate e autoctone. Spesso inoltre si tratta di artisti che tratta-
no nelle proprie opere temi quali, per esempio, la migrazione, il viag-
gio e l’identità, consentendo così l’analisi e l’approfondimento di tali
tematiche attraverso l’osservazione dei loro lavori.
Per esempio la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino,
per il progetto A Vision of my Own del 2008, si è avvalsa della colla-
borazione della fotografa Anna Largaiolli e dell’artista e regista Gian-
luca de Serio, che hanno contribuito alla conduzione dei laboratori e
alla realizzazione dei video ideati dai ragazzi partecipanti al progetto.
Gli studenti, inoltre, hanno avuto modo di vedere una selezione dei
cortometraggi dell’artista, realizzati da Gianluca e da suo fratello
Massimiliano, che hanno come tema principale l’identità e spesso
sono ritratti di migranti a Torino. La visione è servita per dare un’i-
dea più chiara ai ragazzi di che cosa s’intenda per “video-ritratto” e di
cosa significhi raccontare una storia – la propria, quella di qualcun
altro, quella di un luogo – attraverso le immagini.

di), op. cit., p. 59.

120
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

Anche la GAMeC di Bergamo ha realizzato un’iniziativa che ha vi-


sto coinvolti i mediatori culturali e l’artista Luca Vitone, nell’ambito
della sua mostra Ovunque a casa propria. L’artista, che lavora molto
sul tema delle migrazioni e delle identità diverse, ha coinvolto le co-
munità di immigrati, chiedendo loro di riflettere e raccontare come
immaginano il proprio ritorno nella terra d’origine.
Il Castello di Rivoli, nell’ambito di Sul Tappeto Volante, nel 2006
ha realizzato Luce per raccontare l’acqua in collaborazione con l’arti-
sta palestinese Walid Maw’ed, in cui un enorme telo nero, opera del-
l’artista, ha attraversato il Po nei pressi del Castello del Valentino
come una barriera, evocazione di conflitti. Il tessuto utilizzato è poi
diventato il luogo di un’azione che ha coinvolto centinaia di bambini
e ragazzi.
Il museo Pecci nell’ambito dell’iniziativa Radici Intrecciate si è in-
vece avvalso della collaborazione dell’artista Gilberto Zorio, che ha
condotto un laboratorio sull’argilla e sulle sue potenzialità materiche
e concettuali.

L'attivazione di collaborazioni interistituzionali

Molti progetti hanno attivato nuove collaborazioni tra i musei e al-


tre istituzioni.
Il partner più frequente è la scuola, dato che è il principale luogo
di formazione. I progetti didattici vengono pensati in modo da poter
essere inseriti nel curriculum scolastico e da poter coinvolgere le va-
rie discipline scolastiche. Questo perché è importante dare continuità
alle attività didattiche vissute all’interno del museo, evitando che si
riducano a esperienze straordinarie, sporadiche e isolate da qualun-
que altro contesto, inserendole invece nel cosiddetto “sistema forma-
tivo integrato”209. Si tratta di una logica all’interno della quale “la
scuola può cogliere tutte le proposte e tutte le occasioni per dilatare
anche all’esterno delle proprie mura i luoghi e gli strumenti dell’e-

209
M. Dallari, C. Francucci, op. cit., p. 3.

121
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

ducazione e della formazione”. 210 Questo è utile anche alla formazio-


ne degli insegnanti, che attraverso la collaborazione col museo posso-
no ampliare la gamma dei propri strumenti didattici, sviluppare nuo-
ve strategie per una corretta gestione dell’inserimento di alunni stra-
nieri e dei possibili conflitti interni alle classi, acquisendo la cultura
dell’arte all’interno del proprio patrimonio di conoscenze. Nella prati-
ca reale, questa collaborazione si traduce in:
iniziative progettate da operatori didattici e insegnanti insieme.
L’insegnante, infatti, “è interprete delle esigenze formative degli
alunni, è portavoce delle capacità di apprendimento degli allievi e
delle esigenze di gradualità, sa come selezionare gli obiettivi forma-
tivi, e conosce il registro linguistico più idoneo da utilizzare nella
formulazione delle proposte”.211. Inoltre conoscendo le storie dei sin-
goli bambini e le loro problematiche, riesce a strutturare il percorso
in modo molto più adeguato rispetto all’operatore che li incontra per
la prima volta.
Iniziative svolte in parte al museo e in parte a scuola.
È il caso per esempio del progetto A Brera anch’io, che prevede at-
tività in classe prima e dopo la visita in Pinacoteca, per acquisire i
prerequisiti necessari e approfondire le tematiche toccate.
Richieste di aiuto fatte al museo da parte delle scuole, per risolvere
situazioni di disagio, o particolarmente complesse dal punto di vista
sociale e culturale, perché considerato più competente e abituato alle
questioni di diversità culturale.
È il caso per esempio della Galleria d’Arte Moderna (GAM) di Gal-
larate (provincia di Varese). Nel 2006 una scuola primaria del centro
della città ha chiesto letteralmente aiuto al museo, perché le inse-
gnanti non erano preparate al massiccio arrivo di bambini stranieri
(di ben quattordici nazionalità diverse). Alcuni edifici del centro sto-
rico, infatti, erano stati ristrutturati e convertiti in case popolari, por-
tando in quella zona della città famiglie di classi sociali più svantag-
giate, tra cui moltissime straniere.

210
Ibidem.
211
S. Bodo, E. Daffra, S. Mascheroni, A. Montalberti, M. Sozzi, P. Strada (a cura
di), op. cit., p. 20.

122
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

Percorsi didattici che danno molta importanza alla formazione


degli insegnanti

Il progetto A Brera anch’io prevede quattro incontri pomeridiani


dedicati alle insegnanti, relativi non solo al progetto e ai suoi conte-
nuti, ma anche alle metodologie prescelte. Il compito a loro assegnato
è quello di preparare i bambini alla visita nel museo, attraverso l’ac-
quisizione di prerequisiti, e di proseguire il lavoro svolto in Pinacote-
ca, attraverso attività di approfondimento e verifica.
Nell’ambito della didattica interculturale il museo ha trovato colla-
borazione anche da parte dei CTP, cioè i Centri Territoriali Perma-
nenti, ossia luoghi per l’istruzione e la formazione in età adulta (per
italiani o stranieri) gratuito o quasi. Avendo come compito principale
la diffusione della cultura nelle sue forme più differenziate, molti CTP
si sono rivolti ai musei, per far partecipare i propri iscritti a varie ini-
ziative. Soprattutto nel caso di utenze straniere (molto numerose in
questi centri) sono stati creati appositamente progetti dedicati alle
esigenze e alle richieste dei centri.
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, per esempio, ha realiz-
zato due progetti con i giovani studenti di origine immigrata del CTP
“Drovetti”.
Esistono poi casi di collaborazioni più articolate e durature com’è
il caso di Sul Tappeto Volante. In questo caso le istituzioni coinvolte
(inizialmente solo il museo del Castello di Rivoli e la scuola dell’in-
fanzia Bay) sono aumentate nel corso degli anni (il progetto è partito
nel 1996). Attualmente vi partecipano: la Divisione Servizi Educativi
della Città di Torino, la Fondazione per la Scuola - Compagnia di San
Paolo, l’Agenzia per lo Sviluppo Locale di San Salvario, il Ministero
della Pubblica Istruzione, l’Università di Torino, la Scuola dell’Infan-
zia Municipale “Bay”, l’Istituto Comprensivo Statale “Manzoni”, l’Isti-
tuto Professionale Statale “Giulio” e ovviamente il Castello di Rivoli.
Inoltre sono intervenuti numerosi Laboratori Territoriali, chiamati a
fornire competenze specifiche nelle differenti aree espressive, quali il
Laboratorio dell’Infanzia comunale “Il Trillo” (specializzato nella pro-
gettazione di attività educative rivolte alla conoscenza della musica),

123
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

il Laboratorio dell’Immagine di via Millelire - Città di Torino e il


“Gruppo Almateatro” dell’Associazione Almamater.

3.6 Quale cultura?

Una riflessione va rivolta al tipo di cultura a cui ci si riferisce quan-


do si vuole sviluppare il dialogo interculturale.
Nella società attuale alcune delle differenze culturali più forti si
trovano tra le cosiddette “alta” e “bassa” cultura.
La responsabile del Dipartimento Didattico della Galleria d’Arte
Moderna di Gallarate, Francesca Marianna Consonni, nel colloquio
che ci ha concesso ha parlato in modo scettico della didattica inter-
culturale attualmente praticata nei musei. Si tratta, a suo parere, di
una didattica che troppo spesso si riduce a una pratica d’èlite, proget-
tata da intellettuali troppo lontani dalla reale cultura delle società in
cui i musei sono immersi.
Per realizzare una buona didattica interculturale può essere più
utile, per quanto quest’idea sia avversa a molti degli “addetti ai lavo-
ri” museali, sfruttare quella che lei definisce “cultura trasversale”:
quella della TV, dei reality show, della pubblicità, dei centri commer-
ciali. Una cultura che in un certo modo unisce, anche se magari solo
superficialmente, individui di provenienze diverse: “non è difficile
trovare due bambini di culture diverse d’accordo su un argomento
tipo Grande Fratello”212, afferma.
Il problema da affrontare quindi, secondo Consonni, è quello della
frattura tra “l’iper-cultura” del museo, che vuole risolvere i problemi
culturali, e “l’ipo-cultura” di quello che lei definisce il “ceto medio”, il
quale non è interessato a questi problemi perché ne ha altri più prati-
ci. Questa riflessione si ricollega al discorso sulla necessità di utilizza-
re la didattica interculturale come strumento contro la spinta all’o-
mologazione culturale presente nella nostra società, provocata dai
mass media che esportano il modello di vita occidentale (oltretutto

212
Intervista effettuata a F. M. Consonni, GAM, Gallarate, 3 dicembre 2009.

124
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

poco corrispondente alla realtà) sotto la spinta della globalizzazione


commerciale.
A nostro parere quest’attenzione alla cosiddetta “cultura bassa”
può risultare di grande aiuto, sia per avvicinarsi ai linguaggi e agli in-
teressi del pubblico, sia per individuare i meccanismi che permettono
che individui di provenienze diverse sviluppino questi interessi co-
muni.
Dallari e Francucci213 attribuiscono la causa della diffusione di que-
sti stereotipi forniti dalla componente più bassa e superficiale della
cultura di massa alla loro alta condivisibilità e spendibilità sociocul-
turale. Si tratta cioè di saperi condivisi dalla maggior parte delle per-
sone, che permette di entrare nella rete sociale in modo diretto. Il sa-
pere scolastico e quello della cosiddetta cultura “alta”, sono invece
molto meno spendibili, anche perché spesso agiti e diffusi solo all’in-
terno dei loro ambiti di competenza.

3.7 Valutazione dei progetti interculturali

Come abbiamo visto, la situazione italiana è caratterizzata da una


forte spinta sperimentale, che spesso però si riduce a esperienze iso-
late.
Aluffi Pentini, parlando dei progetti interculturali all’interno delle
scuole italiane, mette in guardia da un’eccessiva improvvisazione e
consiglia agli insegnanti di progettare proposte di intercultura all’in-
terno di solide coordinate concettuali. Occorre mettere in atto la stes-
sa attenzione progettuale in ambito museale. Uno strumento molto
valido per progettare in modo corretto è la pratica della valutazione.
Documentare, monitorare, verificare e valutare garantiscono infatti la
sostenibilità, la continuità e la sistematicità dei progetti; è una pratica
utile anche per la formazione degli attori coinvolti, in quanto aumen-
ta la consapevolezza critica del percorso di ricerca-azione e dei suoi
esiti, sia durante che al termine dello svolgimento; favorisce inoltre

213
M. Dallari, C. Francucci, op. cit., p. 4.

125
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

l’acquisizione a livello istituzionale delle conoscenze e delle abilità


sviluppate dai singoli, nonché la diffusione delle buone pratiche.
Negli ultimi vent’anni il tema della valutazione ha assunto un’im-
portanza crescente nell’ambito del settore museale e ha sollecitato la
riflessione su metodi e strumenti, per predisporre al meglio le azioni
valutative utili a misurare l’efficacia di progetti e attività.
Non si tratta però di un momento finale ed esterno alla progetta-
zione, anzi: la stesura di ogni progetto richiede fin dall’inizio la defi-
nizione di criteri, procedure e strumenti per intraprendere l’azione di
valutazione.
Nella fase di pre-progettazione occorre mettere in atto “un’azione
valutativa ex ante”214 che consenta di indagare sulle condizioni di
praticabilità e di analizzare risorse e vincoli. Essa deve comprendere
anche gli esiti degli studi condotti sui destinatari, per conoscerne ca-
ratteristiche ed esigenze, aspettative e richieste. Si tratta di un mo-
mento molto importante nell’ambito dell’interculturalità, perché con-
sente di stabilire il dialogo con l’utenza nel modo più appropriato.
Un altro momento fondamentale è la “verifica collettiva in itine-
re”215, poiché gli aspetti e i problemi presi in esame, discussi e condi-
visi, diventano un patrimonio comune e consolidato. È un momento
utile a individuare l’emergere di nuove direzioni che possono dare
una svolta inattesa al progetto, arricchendolo. Nel caso del progetto
City Telling del MAMbo, per esempio, la verifica in itinere è stata di
fondamentale importanza, in quanto ha permesso di risolvere alcuni
problemi riguardanti il rapporto coi ragazzi coinvolti e le modalità del
loro approccio agli operatori museali.
Infine, al termine del percorso intrapreso, sulla base delle diverse
fasi strutturate, è possibile ricomporre il cammino compiuto e acqui-
sire gli elementi cruciali per un bilancio complessivo (valutazione ex
post216). Questo momento è importante per la documentazione e la
conseguente diffusione del progetto. La Fondazione Sandretto Re Re-
baudengo, per esempio, ha sottoposto un questionario agli studenti e
agli insegnanti partecipanti, per capire il loro livello di soddisfazione
214
S. Bodo, C. Da Milano, S. Mascheroni, op. cit., p. 30.
215
Ibidem.
216
Ibidem.

126
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

e di interesse, ma anche per verificare se l’attività svolta ha portato in


loro dei cambiamenti nel rapporto con la cultura e le istituzioni a essa
collegate.
Un progetto che possa venir considerato una “buona pratica” è ca-
ratterizzato da: capacità di coinvolgimento, cioè la messa in moto del-
le risorse tecniche, culturali e umane dei partecipanti; innovatività,
cioè la capacità di produrre soluzioni nuove e creative; misurabilità,
cioè la possibilità di quantificare l’impatto dell’iniziativa, ovvero di
procedere a una valutazione; riproducibilità, cioè la possibilità di es-
sere trasferito e applicato in situazioni diverse; il “valore aggiunto”,
cioè la capacità di produrre cambiamenti nel contesto in cui agisce; la
sostenibilità dal punto di vista delle risorse; la soddisfazione, capace
di generare atteggiamenti positivi nei partecipanti.217
La valutazione di una pratica interculturale, nello specifico, riguar-
da da un lato l’analisi degli elementi caratteristici del progetto utili
allo sviluppo di un’educazione interculturale, intesa come pratica dia-
logica, dall’altro lato l’analisi della capacità trasformativa dell’educa-
zione interculturale nei confronti delle pratiche didattiche e del siste-
ma di relazioni interne ed esterne.
Collegato al momento della valutazione è il momento della diffu-
sione dei progetti, attraverso la produzione di materiale informativo.
A volte questa fase risulta carente a causa di motivi sia organizzativi
che economici. Per esempio, il museo Pecci lamenta la carenza di
budget che non ha permesso la realizzazione di una pubblicazione
che raccontasse il progetto Radici intrecciate.
Una buona documentazione è invece quella prodotta per esempio
dalla Pinacoteca di Brera, che ha pubblicato il volume “A Brera an-
ch’io. Il museo come terreno di dialogo interculturale”, o dalla Fon-
dazione Sandretto Re Rebaudengo in collaborazione col MAMbo e il
Museo Nazionale del Cinema, che ha prodotto un dvd con tutti i con-
tenuti realizzati nell’ambito dei loro progetti. In quest’ultimo caso si
tratta anche di un ottimo modo per valorizzare il lavoro dei ragazzi
partecipanti.

217
M. Colombo, Guida ai progetti di educazione interculturale, Fondazione ISMU,
Milano, 2007, p. 17.

127
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

La pratica di azioni valutative coerenti, efficaci e spendibili, per


quanto riguarda il settore delle istituzioni culturali in Italia, è stata
acquisita come “linea di principio” da pochissimi anni. Va tenuto in
considerazione che solo all’inizio del decennio l’istituzione museale
ha ottenuto lo status formale di istituto culturale permanente e di
servizio pubblico. Infatti soltanto nel 2001 Il Decreto Ministeriale
Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e gli standard di fun-
zionamento e di sviluppo dei musei ha introdotto standard di qualità,
adattando alle peculiarità dei musei italiani i principi base per la ge-
stione di un museo, anche per quanto riguarda i rapporti con il pub-
blico e i relativi servizi218.
Inoltre, solo nel 2005 l’ICOM Italia, l’organismo che si occupa di
tutti i problemi strettamente connessi allo sviluppo e alla difesa della
professione museale nel nostro paese, attraverso la Carta delle pro-
fessioni museali219 per la prima volta ha compreso tra le figure cen-
trali quella del responsabile dei Servizi Educativi, che ha tra le sue
competenze professionali quella di coordinare e sviluppare i Servizi
Educativi, predisponendo attività che promuovano l’educazione per-
manente e ricorrente, l’integrazione sociale e il dialogo con le altre
culture.
Non sorprende perciò che solo in anni recenti siano state intrapre-
se indagini sui pubblici per conoscerne specificità, bisogni e attese
(verifica ex ante), nonché per accertarne il gradimento rispetto all’of-
ferta del museo (verifica ex post).

3.8 Pedagogia del territorio

La pedagogia del territorio elabora e sviluppa pratiche aventi lo


scopo di ottimizzare il rapporto tra i processi di insegnamento e ap-
prendimento e i beni culturali, che diventano oggetti, fini e strumenti
218
Ministero per i Beni e le Attività culturali, Atto di indirizzo sui criteri tecnico-
scientifici e gli standard di funzionamento e di sviluppo dei musei, 10 maggio
2001, p. 18.
219
A. Garlandini (a cura di), Carta nazionale delle professioni museali, Icom Italia,
2006.

128
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

di tale didattica attraverso l’applicazione di svariati approcci interdi-


sciplinari. È una disciplina che apporta un utile contributo al dialogo
interculturale, in quanto “tecniche multisensoriali, applicate all’e-
sperienza dei prodotti artistici presenti sul territorio, possono sti-
molare il pensiero critico ed ampliare gli orizzonti culturali degli
operatori e dei discenti”220 e attraverso la didattica del patrimonio gli
utenti sono in grado di condividere una tradizione e una memoria co-
muni, riscoprendo le radici della propria storia e della propria umani-
tà. 221
Daniela Bobisut individua due diversi approcci: quello di Ivo Mat-
tozzi (docente di Metodologia e didattica della storia all’Università di
Bologna) e quello dello studioso Argenton.
Secondo Mattozzi222 è possibile dare significati e valori ai beni cul-
turali attraverso l’organizzazione di attività che permettano di com-
prenderli anche in assenza di emozioni o reazioni affettive da parte
dei fruitori. È il caso di utenze straniere o immigrate, che inevitabil-
mente sentono un legame meno forte col nuovo territorio in cui vivo-
no, rispetto a chi vi è nato.
Argenton, invece, ha un approccio più empatico, egli infatti “ritie-
ne che far luce sull’emozione estetica potrebbe giovare di riflesso, al
miglioramento della qualità [di quell’istruzione formale], a cui dele-
ghiamo gran parte del compito di formare le nuove generazioni”. 223
La sperimentazione diretta degli oggetti del patrimonio del territorio
risveglia quindi curiosità, emozioni, immaginazione in chi ne fruisce,
indipendentemente dai sentimenti che egli nutre prima di questo in-
contro.
Vi è perciò il problema di trovare un adeguato equilibrio tra aspet-
to ludico/emozionale e aspetto pedagogico nel coinvolgimento dell’u-
tenza multietnica.

220
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 23.
221
Ibidem, pp. 24-25.
222
I.Mattozzi, La Didattica dei beni culturali, in M. Cisotto Nalon (a cura di), Il
Museo come laboratorio per la scuola, III giornata di Studio sulla Didattica
Museale, Il Poligrafo, Padova, 2000, da p. 23.
223
D. Argenton, Dal segno al simbolo al significato, in L’emozione estetica, Il Poli-
grafo, Padova 1993, pp. 13-14.

129
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

Questa pedagogia segue alcune direttrici: innanzitutto promuove


la maturazione dell’identità e della memoria storica tramite le dina-
miche e i nessi di senso spazio/temporali; sostiene la conquista della
civiltà e della cultura di appartenenza, intendendo non solo quelle en-
tro le quali si è nati, ma anche quelle che si scelgono.
In secondo luogo incoraggia la tutela dei Beni e del territorio attra-
verso la consapevolezza del bene culturale e del bisogno di custodirlo
e preservarlo; infine stimola l’esperienza emozionale, tramite l’uso
della creatività, nella sua valenza di “pensiero connotato da diver-
genza costruttiva e di funzione educabile attraverso un apprendi-
mento non ripetitivo né reduplicativo di modelli imposti”. 224
I Beni e il territorio diventano così luoghi, reali o virtuali, e allo
stesso tempo contenuti dell’agire didattico, partendo dalla lettura di
tutti quei segni presenti nel territorio che testimoniano storie e costu-
mi di ieri e di oggi. Il docente (o l’educatore) conduce lo studente a
esplorare e verificare le direzioni di senso del progetto di lavoro intra-
preso, aiutandolo a sviluppare punti di vista diversi, a “decentralizza-
re gli impianti conoscitivi” dialogando col Bene culturale presente
sul territorio “come se fosse un’entità, una presenza a cui far do-
mande e da cui farsi interrogare”. 225
Ciò crea un senso di appartenenza a una determinata cultura, ma
contemporaneamente fa prendere coscienza di essere
“cittadino del mondo perché custode dell’esistente (saperi, pro-
dotti, vissuti) che appartengono all’intera umanità e insieme testi-
mone, attore, di nuove politiche per riequilibrare il rapporto
uomo/ambiente e migliorarlo tramite la conoscenza dei rapporti
tra documenti, paesaggio urbanizzato e sistema territorio”. 226
Il soggetto in formazione percorre quindi una strada che utilizzan-
do il Bene culturale come documento, lo porta dalla meraviglia/spae-
samento alla riflessione (comprensione dopo la conoscenza), alla va-

224
L. Perla, La scuola il compito e le prospettive, in C. Laneve, D. Nardelli, R. Pa-
gano, L. Perla, Pedagogia e didattica dei beni culturali, viaggio nella memoria
e nell’arte, Editrice la Scuola, Brescia, 2000, p. 106.
225
Ibidem.
226
Ibidem, p. 27.

130
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

lorizzazione (responsabilità dell’oggetto da tutelare) alla creatività


(produzione originale e/o critica)227.
L’uscita didattica sul territorio offre la possibilità di guardare, far
maturare “istanze estetiche, etiche e sociali”228, vivendolo come un
luogo di cultura.
Alcuni esempi di didattica del territorio sono presenti nell’ambito
dei progetti A vision of my own della Fondazione Sandretto Re Re-
baudengo, City Telling del MAMbo di Bologna e Mio, tuo…nostro!
della Pinacoteca di Brera.
Nel primo caso lungo il tragitto dalla sede scolastica alla Fondazio-
ne, che si trovano nello stesso quartiere di Torino, Borgo San Paolo,
le insegnanti hanno regolarmente condotto un percorso di scoperta
delle opere d’arte contemporanea presenti sull’ex passante ferrovia-
rio, nello specifico quelle di Per Kirkeby, Mario Merz e Giuseppe Pe-
none. Gli studenti hanno inoltre visitato l’Ecomuseo della Circoscri-
zione 3 della Città, approfondendo la conoscenza di Torino e del
quartiere, attraverso un percorso storico, che idealmente trova la sua
prosecuzione nell’attività e nel ruolo della Fondazione nell’ambito
della cultura contemporanea.
Nel caso del MAMbo la finalità era proprio quella di fornire ai par-
tecipanti nuovi strumenti per conoscere il territorio in cui vivono, of-
frendo loro la possibilità di ritrarsi “in loco” e di raccontare il proprio
quartiere, costruendo un terreno comune, uno “spazio terzo” di con-
divisione culturale, linguistica ed estetica.
Nel caso di Brera gli immigrati coinvolti erano invitati a conoscere
meglio i loro luoghi di ritrovo preferiti, che in alcuni casi coincidono
con importanti complessi monumentali di rilevanza artistica (Piazza
Mercanti, Piazza Duomo, Castello Sforzesco…).
I principali metodi utilizzati nella pedagogia del territorio sono
quello ludico (principalmente usato nella scuola primaria e nei labo-
ratori museali) e quello multidimensionale (prerogativa della scuola
secondaria e della formazione degli adulti). Quest’ultimo si serve di
più linguaggi (narrativo, logico/qualitativo, filosofico/concettuale,

227
D. Bobisut (a cura di), op. cit., p. 25.
228
Ibidem, p. 26.

131
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

estetico, esperienziale) nell’incontro e nella lettura e interpretazione


del Bene culturale.
La pedagogia del territorio non è limitata all’ambito della scuola,
infatti può proseguire per tutta la vita, secondo gli obiettivi e le mo-
dalità del lifelong learning, cioè l’insieme di tutte le attività di ap-
prendimento che si svolgono al di fuori dei contesti formali (scolasti-
ci, di formazione o aggiornamento professionale, ecc.) e che corri-
spondono a circa l’80% di quanto impariamo durante la nostra
esistenza.
L’arrivo di persone provenienti da paesi con culture diverse dalla
nostra, ci mette di fronte ad atteggiamenti e stili di vita nuovi, o che
noi abbiamo perduto nel corso del tempo. È il caso dei modi di vivere
la città e i suoi spazi che questi nuovi cittadini “importano” dai loro
paesi di provenienza. “Noi abbiamo perso il senso di appropriazione
degli spazi fisici della città” 229 afferma Aurora Di Mauro (responsabile
della Direzione Cultura - servizio Beni librari e archivistici della Re-
gione Veneto). Gli immigrati invece, soprattutto quelli provenienti
dal Medio Oriente e dall’Africa, sono abituati a vivere le strade, le
piazze, i marciapiedi della città. È molto frequente trovare capannelli
di persone agli angoli della strada, gruppetti fuori da negozi e bar, che
chiacchierano e passano le ore del tempo libero. È quello che accade
per esempio nel quartiere Pilastro di Bologna, una delle zone più po-
polate da immigrati. Dalle interviste raccolte nel dvd del progetto
City Telling emerge che una delle caratteristiche che i ragazzi più ap-
prezzano del quartiere è proprio la vitalità e la possibilità di vivere gli
spazi comuni come punti di ritrovo per il proprio tempo libero; “mi
piace perché è la zona di Bologna in cui i giovani e i bambini giocano
nelle strade”230 racconta una delle operatrici del gruppo Katun.
È più difficile vedere questi atteggiamenti negli italiani, almeno
per quanto riguarda gli abitanti delle grandi città. La città non viene
più vista come un luogo che appartiene a tutti, come una sorta di
estensione di casa propria (come accade nelle culture africane e ara-
229
A. Di Mauro, Intervento al Convegno Il patrimonio risorsa per l’educazione in-
terculturale. La scuola, il museo, il territorio, Milano, 4 marzo 2009.
230
DVD MAP for ID, MAMbo, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Museo Na-
zionale del cinema, Torino, 2009.

132
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

be, ma come accadeva anche in Italia fino a cinquant’anni fa): le stra-


de e le piazze troppo spesso vengono vissute come luoghi di transizio-
ne, da attraversare per andare da un posto all’altro, quasi dei non
luoghi. Quest’atteggiamento può portare a un senso di de-responsabi-
lizzazione nei confronti del territorio e dei beni che vi si trovano, con i
conseguenti disinteresse e incuria che spesso si riscontrano nel no-
stro Paese. Il confronto costruttivo con questi modi di abitare il terri-
torio, perciò, può aiutarci a mettere in discussione le nostre abitudini,
per cercare di tornare a viverlo pienamente.
Questa rilettura del modo di vivere il territorio può anche aiutare a
superare la visione della città come un luogo pericoloso perché abita-
to da persone di culture altre. È quello che accade in molte parti d’I-
talia e che ha portato le autorità locali a prendere provvedimenti mol-
to duri, basati sulla repressione, sul controllo ferreo degli abitanti e
sul dispiegamento massiccio di forze dell’ordine. Se si cercasse invece
di intraprendere la strada del dialogo, si potrebbero trovare punti di
incontro e nuove modalità di convivenza, senza dover arrivare a solu-
zioni drastiche che portano a discriminazioni nei confronti dei citta-
dini delle fasce sociali più disagiate e a “ghettizzazioni" di intere zone
cittadine.

Conclusione

La trattazione di un argomento complesso come l’interculturalità


richiederebbe uno spazio molto più ampio rispetto a quello qui riser-
vatogli. In questo progetto si è quindi cercato di focalizzare l’attenzio-
ne sui legami che tale prospettiva ha stabilito e può stabilire con l’ar-
te, il patrimonio artistico e la loro didattica.
È stata una piacevole sorpresa scoprire come questa problematica
sia molto sentita in vari ambiti del mondo museale e culturale, ben-
ché ancora non abbia raggiunto il pieno sviluppo. Molto spesso, infat-
ti, le iniziative e le sperimentazioni messe in atto, pur interessanti e
innovative, rimangono episodi isolati, privi di seguito e di approfon-
dimento ed è difficile che entrino a pieno titolo nella normale pro-
grammazione delle attività didattiche. Risultano così poco efficaci per

133
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

lo sviluppo di un corretto dialogo interculturale, che richiede uno


scambio e una relazione continuativa e profonda tra gli interlocutori,
limitandosi invece all’ambito di quelle che vengono definite strategie
di sviluppo all’accesso. Rimane inoltre ancora presente l’equivoco di
fondo che porta a considerare l’interculturalità una finalità della di-
dattica e non un metodo. Occorre invece che i musei assumano l’ap-
proccio interculturale come metodologia di ogni loro attività didatti-
ca, intendendolo come capacità di dialogare con qualunque cultura
personale e quindi rivolto a ogni tipo di pubblico, non solo agli stra-
nieri.
Per quanto riguarda il reperimento del materiale necessario alla
nostra ricerca, come prevedibile le difficoltà maggiori hanno riguar-
dato i musei. Si è infatti deciso di contattare alcune istituzioni musea-
li presenti sul territorio italiano, chiedendo informazioni e materiale
a proposito dei loro progetti legati all’interculturalità. La grande
quantità di lavoro e la conseguente mancanza di tempo che caratte-
rizza l’attività di ogni Dipartimento Didattico hanno reso lunghi i
tempi di attesa e in alcuni casi hanno impedito ogni risposta. Dei se-
dici musei contattati, infatti, cinque hanno risposto positivamente,
attraverso l’invio di materiale o concedendo la possibilità di un collo-
quio o di un monitoraggio dei loro progetti, due hanno risposto nega-
tivamente (in quanto non hanno iniziative interessanti ai fini di que-
sta ricerca), i restanti nove non hanno dato risposta.
In alcuni casi si è riusciti ugualmente a reperire materiale informa-
tivo grazie al web.
Grazie a tutto questo materiale raccolto è stato possibile verificare
come le idee teoriche, sviluppate nei primi due capitoli della tesi, sia-
no state applicate nella realtà museale italiana. È nostra convinzione,
infatti, che un approccio interculturale all’arte e al patrimonio artisti-
co sia una necessità reale e consenta di sviluppare concretamente un
nuovo modo di vivere nella nostra società. Non si tratta di meditazio-
ni riservate ai filosofi o di fantasticherie riguardanti l’utopica visione
di un mondo privo di guerre. I conflitti esistono e non si possono eli-
minare, sono l’inevitabile conseguenza della compresenza di culture
diverse all’interno delle società umane. L’interculturalità però, intesa
come “metodo di vita”, è concretamente utile per sfruttare tali diffe-

134
III. Patrimonio culturale e interculturalità in Italia

renze e tali confronti in modo positivo, evitando che l’incontro con


l’altro diventi uno scontro. È una necessità sempre più urgente al
giorno d’oggi ed è anche la risposta più valida ai fenomeni di “mesco-
lanza” culturale, sicuramente migliore rispetto alla chiusura in se
stessi e all’isolamento. Con questi ultimi infatti non ci si arricchisce,
non ci si evolve. L’interculturalità invece permette di aprirsi al mon-
do, di progredire e migliorarsi, nella consapevolezza che si tratti di un
percorso ricco di ostacoli, di incognite e di mutamenti. L’arte è avvez-
za a questo tipo di sconvolgimenti e può quindi rappresentare il pri-
mo passo concreto verso l’altro, verso l’ignoto e il “diverso”. È nostro
parere che l’approccio all’arte consenta concretamente lo sviluppo di
competenze relazionali e capacità mentali necessarie a un corretto
approccio interculturale. Come già precedentemente analizzato, per
raggiungere questo scopo, non esiste un metodo didattico migliore
degli altri, ma è necessario un “utilizzo integrato” di tre approcci al-
l’arte. In primo luogo si crea un approccio iniziale all’opera di tipo
emotivo, utilizzando il metodo ludico-laboratoriale, creando così un
terreno comune a tutti e consentendo di mettere in campo sensazioni
ed emozioni, per scoprire affinità e differenze con quelle degli altri.
In secondo luogo, occorre collegare queste sensazioni a esperienze
vissute e conoscenze pregresse attraverso il metodo autobiografico,
aiutando così a sviluppare capacità comunicative e di ascolto, portan-
do alla consapevolezza della limitatezza di ogni singolo punto di vista
e della necessità di aprirsi agli altri e alle loro culture personali. Infi-
ne, vi è il metodo comparativo, che consente di utilizzare le compe-
tenze acquisite per accostarsi alle forme artistiche delle culture stra-
niere.
È inoltre fondamentale che tali attività coinvolgano attivamente
soggetti di provenienze e culture diverse, per far sì che si attui già du-
rante lo svolgimento delle attività didattiche quel dialogo intercultu-
rale indicato come finalità.

135
Appendice

Appendice

Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte


italiani

Castello di Rivoli (Rivoli, Torino)

Le seguenti informazioni sono state tratte dal materiale informati-


vo inviato dal museo.

Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo

Sul Tappeto Volante

Proposta di realizzazione
Compreso tra la stazione Porta Nuova e il parco del Valentino, il
quartiere San Salvario è rappresentativo di una complessità sociale
molto varia. A fianco di palazzi storici abitati dalla borghesia torinese
altri edifici danno alloggio a molti immigrati portatori innanzitutto di
diversità, e indirettamente di problemi.
In questo contesto, nel 1996, anno del maggiore conflitto, le educa-
trici della scuola Bay di via Principe Tommaso 25 (frequentata da
un’altissima percentuale di bambini stranieri, circa il 70%) e gli ope-
ratori del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli, insieme,
hanno cercato una nuova modalità comunicativa e relazionale, av-
viando una sperimentazione che utilizza come strumenti i linguaggi
artistici contemporanei.
Le educatrici della scuola avevano chiesto al Dipartimento Educa-
zione un aiuto concreto per avviare il dialogo per mezzo del percorso
formativo. Vi era una difficoltà comunicativa che interessava tre livel-
li: il primo riguardava i rapporti tra i bambini di origine immigrata e i
bambini italiani (la percezione di essere differenti gli uni dagli altri

136
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

provocava nei bambini reazioni intense legate al concetto di “etnia” e


di “patrimonio identitario” da difendere); il secondo era relativo alla
comunicazione tra bambini immigrati e adulti (operatori, educatori,
famiglie); il terzo interessava gli adulti. Da parte del Dipartimento
Educazione vi erano il desiderio e la volontà di avvicinare il pubblico
infantile all’arte del nostro tempo, in considerazione della ricchezza
semantica e simbolica contenuta nelle diverse opere.

L’équipe di progetto.
Anna Pironti, Responsabile Capo Dipartimento Educazione Castel-
lo di Rivoli;
Paola Zanini, Referente per le attività di laboratorio Castello di Ri-
voli;
Marica Marcellino, Direttrice Scuola dell’Infanzia Municipale
"Bay";
Franca Saraco, Educatrice Scuola dell’Infanzia Municipale "Bay";
Prof. Bernardo Ascoli, Dirigente Scolastico Istituto Comprensivo
Statale "Manzoni";
Claudia Bornengo, Insegnante Istituto Comprensivo Statale "Man-
zoni";
Prof. Masselli, Dirigente Scolastico Istituto Professionale Statale
"Giulio".
Agli educatori e agli insegnanti coinvolti nel progetto sono stati ri-
servati momenti di formazione articolati in:
- corsi di aggiornamento;
- attività al museo;
- seminari di formazione;
- convegni/presentazioni;
- progettazione condivisa;
- incontri di verifica.

Presenza di mediatori culturali


Dal materiale analizzato non risulta la presenza di mediatori didat-
tici.

137
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Destinatari
Educatori, insegnanti, gli allievi delle scuole del quartiere San Sal-
vario e loro famiglie.

Finalità e Obiettivi
- Ricercare e sperimentare inedite modalità comunicative e rela-
zionali mediate dai linguaggi artistici contemporanei;
- Favorire la comunicazione non verbale all’interno della scuola so-
prattutto tra i bambini di diversa provenienza geografica, utilizzando
l’arte contemporanea come dispositivo per facilitare altre forme di
comunicazione;
- Creare le migliori condizioni per esprimere il nuovo tessuto so-
ciale del quartiere San Salvario, utilizzando le metodologie didattiche
connesse alle pratiche artistiche contemporanee e alla metafora del
tappeto volante;
- Promuovere significativi rapporti sociali tra i bambini, tra i bam-
bini e gli adulti, tra gli adulti (genitori, insegnanti, abitanti del quar-
tiere);
- Favorire l’inclusione sociale attraverso la conoscenza dell’arte
contemporanea, capace di esprimere e contenere la complessità del
tempo presente a dispetto della sua apparente natura elitaria. È stata
così attuata una forma di democratizzazione della cultura: il museo è
uno spazio pubblico al servizio del pubblico, di tutti i pubblici;
- Riqualificare gli spazi del quartiere, come testimoniano i nume-
rosi wall drawings sulle facciate e nelle scuole.

Il progetto non aveva ambizioni risolutive circa i conflitti presenti


nella zona, ma semplicemente avviava nuove procedure finalizzate a
promuovere il senso d’identità e di appartenenza tra tutti i cittadini
del quartiere. Consapevoli che un’istanza culturale non può, da sola,
risolvere problematiche sociali più o meno gravi, si intendeva invece
aprire prospettive, creare occasioni d’incontro. Tutte azioni che pun-
tualmente sono state realizzate a sostegno della gente nel contesto del
Tappeto Volante.

138
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Metodologia
“Educare all’arte con l’arte” e “il sapere che passa dal saper fare”
sono le metodologie fondamentali di approccio ai linguaggi artistici
prescelte dal gruppo di lavoro: le visite periodiche al museo, le suc-
cessive attività di laboratorio (al museo, a scuola, nelle strade del
quartiere), il contatto diretto con gli artisti e le altre attività realizzate
nel corso dei tredici anni di vita del progetto hanno permesso agli al-
lievi di sperimentare in prima persona i linguaggi e le modalità della
produzione artistica, che sono diventate la chiave di accesso privile-
giato per la comunicazione tra individui portatori di sensibilità cultu-
rali differenti. Per coinvolgere i genitori sono stati organizzati labora-
tori teatrali madre-figlio e attività di pittura collettiva. La riqualifica-
zione di spazi interni ed esterni agli edifici scolastici e la
frequentazione del museo, ma anche di parchi e giardini, sono state
impiegate per affrontare in modo creativo questioni legate all’identi-
tà, alla differenza, alla convivenza.

Le fasi di lavoro
Nei primi tre anni del progetto, il tappeto – rivisto come spazio
reale e simbolico di intreccio – è stato il fil rouge delle attività teori-
co-pratiche realizzate tra scuola (a cadenza settimanale per l’intero
anno scolastico) e museo (nuclei tematici e percorsi di ricerca, una
volta al mese); al termine di ogni anno scolastico è stata allestita una
mostra con le opere dei bambini e sono state organizzate con l’Asso-
ciazione Genitori della scuola feste multietniche aperte a tutto il
quartiere.
Il progetto così strutturato è durato dal 1996 al 1999, anno in cui
comincia a definirsi un più ampio e organico impianto progettuale,
promosso dalla Divisione Servizi Educativi della Città di Torino e fi-
nanziato dalla Fondazione per la Scuola - Compagnia di San Paolo.
Rinominato “Sul Tappeto Volante”, il progetto ha incluso tra i suoi
obiettivi lo stimolo della capacità di collaborazione tra le scuole di
San Salvario per meglio corrispondere ai bisogni formativi, e l’attiva-
zione di una rete tra le agenzie e le associazioni del quartiere. Nel mo-
mento in cui il progetto è stato esteso all’intero quartiere, si è deciso

139
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

di costituire un comitato tecnico di lavoro, inizialmente composto da-


gli operatori del Castello di Rivoli, i rappresentanti delle scuole co-
munali e statali fino alla scuola secondaria di primo grado del quar-
tiere, l’Agenzia per lo Sviluppo Locale di San Salvario, un rappresen-
tate del Ministero della Pubblica Istruzione esperto in problematiche
interculturali, un rappresentante dell’Università di Torino, alcune as-
sociazioni di quartiere, l’assessore e i dirigenti delle istituzioni scola-
stiche coinvolte. È iniziato dunque un periodo di intensa collabora-
zione, fondata sulla co-progettazione e sull’analisi dell’ambito sociale,
delle difficoltà e degli elementi positivi. Il gruppo di lavoro, riunitosi
ogni due settimane per tre anni, aveva individuato tra gli obiettivi del
progetto il miglioramento della qualità del processo insegnamen-
to-apprendimento, della dimensione multiculturale dell’educazione e
dell’integrazione con il territorio.
Alla fine del 2002 la rete di progetto ha firmato un Patto territoria-
le di quartiere, che segna il passaggio definitivo dalla fase “sperimen-
tale” a quella di consolidamento del progetto, ed è finalizzato allo svi-
luppo della cittadinanza, della comunicazione e della creatività, così
come al riconoscimento della molteplicità culturale, nelle scuole di
San Salvario. Chiamati a fornire competenze specifiche nelle differen-
ti aree espressive, sono intervenuti numerosi Laboratori Territoriali,
quali il Laboratorio dell’Infanzia comunale “Il Trillo” (specializzato
nella progettazione di attività educative rivolte alla conoscenza della
musica), il Laboratorio dell’Immagine di via Millelire - Città di Torino
e il “Gruppo Almateatro” dell’Associazione Almamater.
Le attività realizzate nell’ultimo decennio, dedicate a nuclei tema-
tici e percorsi di ricerca sempre nuovi, comprendono interventi di ri-
qualificazione degli spazi comuni destinati al gioco nelle scuole del
quartiere, laboratori al museo e a scuola, produzione di spettacoli,
mostre, video e allestimenti scenografici, attivazione di collaborazioni
con artisti per realizzare veri e propri happening, feste in piazza. Ca-
ratteristica del progetto è l’annuale Festa del bianco nella Scuola del-
l’Infanzia Bay. Un percorso festoso che parte dalla trasformazione
dello spazio (si colorano le pareti, i bambini si cuciono addosso carta
candida) e si conclude con il cibo bianco: riso dolce, biscotti coperti di
zucchero a velo, meringhe, pane arabo.

140
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Tematica
Nel corso degli anni sono stati toccati vari argomenti,attraverso
molti percorsi e laboratori:
1996: Il tappeto come luogo dell’intreccio; dal corpo all’identità
(impronte, segni, forme); dai colori primari alla policromia, dalla
striscia all’intreccio, la nascita del nuovo spazio.
1997: La diversità come risorsa; materia e materiali; eco-giochi; il
suono del rifiuto.
1998: Tra oriente e occidente; maschere, identità e alterità.
1999: … e se io dico?; produzione video in collaborazione con La-
boratorio dell’Immagine di Via Millelire a Torino.
2000: Face to face, identità e differenza; la struttura e la superfi-
cie; modulo e composizione; io/tu/noi/mille.
2001: Around the world, primo percorso bilingue italiano/ingle-
se; viaggio, mappa, percorso, bagagli, storia e storie.
2002: Tra natura e artificio, secondo percorso bilingue
italiano/inglese; giardino e paesaggio tra natura e cultura.
2003: Image&color, terzo percorso bilingue italiano/inglese; im-
magini, colori, moduli, progressione.
2004: con il laboratorio Le parole della luce, per la Festa del
Bianco, si è avviato il progetto Ritratti di Famiglia, in collaborazione
con Progetto Famiglia Assessorato Sistema Educativo Città di Torino.
Il tema della famiglia è stato protagonista sia dell’allestimento che
della grande azione di pittura Paesaggi familiari, a cura del Diparti-
mento Educazione. Nato per volontà del Sistema Educativo della Cit-
tà di Torino con l’obiettivo di ridisegnare l’immagine della nuova fa-
miglia torinese, ha reso evidente il formarsi del nuovo tessuto sociale,
sempre più variegato e multietnico. Nella realtà del Tappeto Volante,
Ritratti di famiglia acquisisce ulteriori significati, offrendo al con-
tempo altri ambiti di ricerca che arricchiscono le attività pregresse,
già patrimonio delle scuole e dell’intero quartiere.
2005: Ritratti di Famiglia in un esterno.
2006: Luce per raccontare l’acqua, evento Olimpico con Walid
Maw’ed, UNIDEE Cittadellarte Fondazione Pistoletto.

141
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Un enorme telo nero, opera del palestinese Walid Maw’ed, ha at-


traversato il Po nei pressi del Castello del Valentino come una barrie-
ra, evocazione di conflitti. Il tessuto utilizzato è poi diventato il luogo
di un’azione che ha coinvolto centinaia di bambini e ragazzi, con una
forte partecipazione delle scuole di San Salvario. Ideale risposta alle
questioni sollevate dall’opera, il laboratorio ha segnato il passaggio
dal buio del telo alla luce dell’enorme tessuto intrecciato a mano dai
partecipanti, a partire da cordoni di alluminio fornito da CiAl - Con-
sorzio Nazionale Imballaggi Alluminio. Il nuovo tessuto di luce ha
completamente saturato il telo originario: i bagliori dell’alluminio
hanno reso palpabile l’allusione alla luce quale desiderio di costruire
pace attraverso l’intreccio fra le genti.
2007: Il Fiume della Poesia parole nella corrente, in collaborazio-
ne con Torino Capitale Mondiale del Libro con Roma; Art & Sound,
percorso pluridisciplinare in collaborazione con Maison Musique Ri-
voli.
2008: Saperi e sapori. Arte e cibo.

Punti di forza individuati dall’équipe di progetto


- La scuola come luogo d’incontro del quartiere;
- La sperimentazione di nuove procedure finalizzate a promuovere
il senso d’identità e di appartenenza tra tutti i cittadini del quartiere;
- L’arte contemporanea come mondo portatore a sua volta di lin-
guaggi eterogenei, utile per comprendere come nella molteplicità del-
le espressioni sia racchiusa la complessità dell’esistenza, e come l’ap-
proccio all’arte rappresenti l’incontro con l’alterità, con l’altro da sé e
il suo mondo;
- Il riconoscimento delle singole individualità, indispensabili per
declinare i concetti di identità/differenza;
- L’internazionalità;
- L’esperienza plurisensoriale dell’arte;
- Educare all’arte con l’arte: il sapere che passa attraverso il saper
fare;
- Il laboratorio come spazio della conoscenza;
- La frequentazione di musei e spazi espositivi (far incontrare i
bambini di San Salvario e le loro famiglie con l’arte contemporanea

142
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

ha rappresentato una forma di democratizzazione della cultura: il


museo è uno spazio pubblico al servizio del pubblico, di tutti i pubbli-
ci), ma anche parchi e giardini, per affrontare questioni legate all’i-
dentità, alla differenza, alla convivenza;
- L’aumento delle iscrizioni nel corso degli anni alla Scuola dell’In-
fanzia “Bay”, nonché della lista d’attesa per l’anno scolastico 2008-
2009 composta da bambini di famiglie italiane; tale dato risulta an-
cor più significativo poiché in assoluta controtendenza rispetto al
dato nazionale e cittadino riferito alle classi miste. In un’intervista la
dirigente della scuola ha affermato: “Evidentemente ormai sono in
tanti ad aver capito che la multietnicità, se trattata come un valore
aggiunto, dà i suoi frutti”.

Intorno al tappeto volante si è gradualmente trasformato in un


progetto più ampio e articolato (Sul tappeto volante) in termini sia di
destinatari, sia di partner istituzionali e di persone coinvolte, a testi-
monianza della capacità generativa dell’impianto progettuale iniziale.
Nel Patto territoriale permanente, si afferma di fatto che Sul tappeto
volante “può essere assunto come il laboratorio per la definizione di
un modello di sistema formativo in cui tutti i soggetti di un territo-
rio (ad iniziare dall’Ente locale e dalle scuole) condividono un pro-
getto di sviluppo delle risorse per il miglioramento della qualità del-
l’educazione”231.
Giunto al tredicesimo anno di vita, il progetto non solo è entrato
da tempo a far parte della programmazione ordinaria del museo, ma
ha contribuito a delineare per l’istituzione nel suo complesso uno
specifico ruolo sociale, a partire da una attenta analisi di contesto e in
concertazione con altri soggetti sul territorio. «Il punto di forza es-
senziale è stato quello di affrontare una problematica della società
con strumenti culturali, piuttosto che attraverso azioni di carattere
normativo. […] Si è trattato di lavorare a favore dell’inclusione utiliz-
zando stimoli, riflessioni, modi di fare correlati alle espressioni arti-
stiche contemporanee. Tutto ciò per avviare una re-visione del museo
inteso come un luogo inclusivo» (intervista ad Anna Pironti, 2007).
231
Patto Territoriale sulla formazione del quartiere San Salvario, Torino, 2002,
p. 1.

143
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Nel corso degli anni, il progetto ha inoltre ispirato l’ideazione di pro-


getti contigui come Tessere Arte, Abi-tanti. La moltitudine migrante
e Art & Sound, Un mondo di sapori e saperi.

Criticità individuate dall’équipe di progetto


L’estensione della rete di progetto, che ha consentito di attingere a
una pluralità di saperi e competenze e di massimizzare l’impatto so-
ciale del progetto, ha presentato anche qualche criticità. Il nucleo
“storico” di Intorno al Tappeto Volante, costituito da persone che
«per intelligenza, per vocazione, per forma mentis, per adeguatezza
ai ruoli, hanno avuto la capacità di incidere maggiormente rispetto a
progetti che hanno bisogno di strutture più ampie» (intervista ad
Anna Pironti 2007), si è ampliato in seguito all’inclusione nel proget-
to di altri istituti scolastici del quartiere, rendendo più complessa la
collaborazione e la condivisione di esperienze.
La carenza di finanziamenti negli ultimi anni ha inoltre sottratto
energia vitale all’organizzazione delle attività del museo legate al pro-
cesso di integrazione interculturale, in continua evoluzione.
Le azioni per la valorizzazione del progetto da parte delle istituzio-
ni avrebbero dovuto essere più efficaci e costanti, nonostante gli inco-
raggianti esiti dell’esperienza, ritenuta positiva dalle famiglie e dalla
comunità territoriale.

Differenza con le altre iniziative (già presenti e indirizzate agli


utenti italiani)
A differenza dei progetti proposti dal museo nella normale proget-
tazione didattica, questa iniziativa è molto più articolata sia per
quanto riguarda la durata temporale, sia per il numero delle persone
e delle istituzioni coinvolte, sia per la quantità di iniziative che com-
prende. Si tratta inoltre di un progetto pensato e realizzato per una
situazione sociale e territoriale specifica.
Credo che queste due caratteristiche siano anche due delle qualità
migliori del progetto, dal punto di vista interculturale.

144
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Riscontri (interesse, affluenza)


Come già accennato, vi è stato un riscontro molto positivo da parte
delle persone coinvolte, tanto che il progetto nel corso degli anni è
andato sviluppandosi e consolidandosi.

Legami e collaborazioni con altre istituzioni


Le istituzioni coinvolte (inizialmente solo il museo del Castello di
Rivoli e la scuola dell’infanzia Bay) sono aumentate nel corso degli
anni (il progetto è partito nel 1996). Attualmente vi partecipano: la
Divisione Servizi Educativi della Città di Torino, la Fondazione per la
Scuola - Compagnia di San Paolo, l’Agenzia per lo Sviluppo Locale di
San Salvario, il Ministero della Pubblica Istruzione, l’Università di
Torino, la Scuola dell’Infanzia Municipale "Bay", l’Istituto Compren-
sivo Statale "Manzoni", l’Istituto Professionale Statale "Giulio" e ov-
viamente il Castello di Rivoli. Inoltre sono intervenuti numerosi La-
boratori Territoriali, chiamati a fornire competenze specifiche nelle
differenti aree espressive, quali il Laboratorio dell’Infanzia comunale
“Il Trillo” (specializzato nella progettazione di attività educative rivol-
te alla conoscenza della musica), il Laboratorio dell’Immagine di via
Millelire - Città di Torino e il “Gruppo Almateatro” dell’Associazione
Almamater.

Materiali prodotti dagli utenti e dal museo


Data la vastità e la varietà delle iniziative, possono essere conside-
rati “prodotti” di questo progetto:
- attività di laboratorio con utilizzo di differenti tecniche e materia-
li eterogenei al museo e a scuola;
- interventi di riqualificazione degli spazi comuni destinati al gio-
co: cortili, giardini, terrazze;
- wall drawings realizzati sui muri dei cortili e degli atri delle
scuole;
- mostra fotografica;
- produzioni di spettacoli;
- allestimenti scenografici;
- eventi conclusivi;

145
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- feste in piazza;
- video: “Untitled (E se io dico... )”, realizzato dal laboratorio Im-
magine Millelire, Torino 1999; “Etica peretica”, realizzato da E. Data
e M. Teodoro, prodotto dai Servizi Educativi della Città di Torino e
dall’Archivio Nazionale cinematografico della Resistenza, Torino
2000; “Musica è…”, realizzato dai Centri di Documentazione dei Ser-
vizi Educativi di Torino, Torino 2000; “Face to face”, realizzato dal
laboratorio Immagine Millelire, Torino 2001;
- CD: “Cibifavolecanzoni”, realizzato dai genitori di Nido e Scuola
dell’Infanzia “Bay”, con il coordinamento di L. Carri e la supervisione
tecnica del Centro culturale Soundtown, Torino 2001.

Da parte dell’équipe di progettazione, sono state prodotte alcune


pubblicazioni con lo scopo di diffondere quest’iniziativa:

A. Pironti (2000), Les ateliers expérimentaux du Castello di Rivo-


li, atti del convegno “Mediation de l’Art Contemporain, Perspectives
Européennes”, Galerie Nationale du Jeu de Paume, Parigi.
C. Da Milano (2001), Un progetto multiculturale in un museo
d’arte contemporanea, in “Economia della Cultura”, Rivista quadri-
mestrale dell’Associazione per l’Economia della Cultura, ed. il Muli-
no, Bologna.
D. Chiesa (2003), Sul tappeto volante. Un progetto per lo svilup-
po della cittadinanza, della comunicazione e della creatività nelle
scuole del quartiere San Salvario di Torino, in Lotta alla dispersione
e orientamento. Che cosa c’è di nuovo nelle grandi città europee, atti
del convegno “Intrecci e percorsi” (Torino, 11-12 aprile 2002), Com-
pagnia di San Paolo Fondazione per la Scuola, Torino.
A. Pironti (2004), Arte come dono del presente, in Segni e disegni,
nero, bianco, colore, edizioni Junior, Bergamo.
Il tappeto volante nel quartiere San Salvario di Torino, in G.
Scardi (a cura di) (2005), Voyages croisés Dakar Milano Biella Tori-
no Roma Zingonia, 5 Continents Editions, Fondazione Pistoletto on-
lus Editore, Biella.

146
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

C. Da Milano, M. De Luca (2006), Attraverso i confini. Il patrimo-


nio culturale come strumento di integrazione sociale, Eccom – Com-
pagnia di San Paolo.
M. Criscuolo (2007), Il museo come risorsa per il dialogo con le
altre culture. Un progetto per il museo di fotografia contemporanea
di Cinisello Balsamo, tesi di laurea, Università degli Studi di Milano,
Corso di Laurea Specialistica in Storia e Critica dell’Arte, relatore
Prof. Antonello Negri; secondo relatore Prof.ssa Silvia Mascheroni,
A.A. 2006-2007.
S. Bodo, C. Da Milano, S. Mascheroni (2009), Periferie, cultura e
inclusione sociale, Fondazione Cariplo, Collana “Quaderni dell’Osser-
vatorio” n. 1, marzo 2009.

Mostre, convegni, conferenze o workshop organizzati sul tema


dell’interculturalità
Il progetto ha previsto, come momento qualificante, una forma-
zione comune. Agli educatori e agli insegnanti coinvolti sono stati ri-
servati diversi momenti formativi, articolati in corsi di aggiornamen-
to, attività al museo, seminari di approfondimento, convegni/presen-
tazioni, progettazione condivisa, incontri di verifica. Nel 2002-2003
il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli ha inoltre parteci-
pato a un percorso di formazione e ricerca-azione promosso dalla Cit-
tà di Torino e dall’IRRE Piemonte e rivolto a un gruppo ristretto di
docenti/dirigenti scolastici e direttori ed educatori dei musei di Tori-
no e dell’area metropolitana, impegnati in progetti di partenariato
educativo-culturale. Tale percorso formativo ha permesso ai referenti
del progetto Sul tappeto volante, in rappresentanza del Museo e della
Scuola dell’Infanzia “Bay”, di confrontarsi con altri operatori, di ag-
giornare le conoscenze e le competenze esperite nell’ambito dell’edu-
cazione al patrimonio culturale, mettendo a punto modalità e stru-
menti per la verifica dell’impianto progettuale.

147
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

PROGETTO ABI-TANTI. La moltitudine migrante

“Il progetto ABI-TANTI. La moltitudine migrante parte dal gioco


per rimettere in gioco i concetti di identità e differenza, io/te, singo-
lare/plurale, uno/tanti, l’incontro con l’altro, l’estraneo, strano in
quanto straniero, lo sconosciuto abitante proveniente da un altro
mondo.
La moltitudine migrante, cioè in continuo spostamento, vista nella
prospettiva storica contemporanea, allude al superamento dell’idea
di confine ed è necessaria per la ri-definizione del concetto d’apparte-
nenza.
ABI-TANTI è un grande gioco collettivo, un work in progress frut-
to di tantissime elaborazioni, pensato per la dimensione orizzontale
(fisica e metaforica) e per gli spazi aperti o la piazza intesa come ago-
rà, luogo dell’incontro e del confronto. (…)
Gli ABI-TANTI sono tanti perché non sono registrati in nessuna
anagrafe, nascono nomadi e apolidi, arrivano da luoghi lontani e
misteriosi, in silenzio invadono pacificamente, preferibilmente, gli
spazi aperti, senza però disdegnare i luoghi chiusi”.232

Proposta di realizzazione
Gli ABI-TANTI sono nati da un’idea di Manuela Corvino.

L’équipe di progetto
Il Dipartimento Educazione Castello di Rivoli.

Presenza di mediatori culturali


Non risulta la presenza di mediatori culturali.

Destinatari
Allievi e insegnanti, bambini, ragazzi, adulti che adottano il pro-
getto.

232
A. Pironti, P. Zanini, B. Rocci, B. Manzardo, A. Demma, Dipartimento Educazione.
Anno scolastico 2007/2008, Museo D’arte Contemporanea Castello di Rivoli, Torino
2007, pag. 13.

148
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Finalità e Obiettivi
- Favorire, nella dimensione pubblica, la relazione tra le persone e
la riflessione su temi etici, politici, culturali e scientifici;
- Metodologia;
- Laboratoriale-ludica.

Le fasi di lavoro
ABI-TANTI. La moltitudine migrante è un laboratorio di assem-
blaggio polimaterico che parte da una base lignea, comune, ecologica
e quindi etica, quasi un primitivo DNA.
Scarti industriali, astine, sfere e semisfere, quadrelle e cubotti (da
assemblare e rivestire con infiniti materiali, colori, segni grafici, alfa-
beti) diventano braccia, gambe, corpi, teste, piedi di giocattoli, piccoli
oggetti che assumono la forma di umanoidi/robot (h. 30 cm).
Gli ABI-TANTI si caratterizzano in tantissime varianti, a costruire
una moltitudine composita di esseri apparentati per famiglie con-
traddistinte dal differente aspetto esteriore, frutto di decori, cromie e
vari materiali organizzati in modo sempre diverso e originale. 233

Tematica
Identità/differenza, io/te, singolare/plurale, uno/tanti.

Materiali prodotti dagli utenti e dal museo


Gli ABI-TANTI. La moltitudine migrante nel suo lungo viaggio
partito da Torino nel 2000, sono diventati migliaia di esemplari e
hanno invaso innumerevoli spazi in Italia e oltralpe nell’ambito di
grandi eventi culturali:
- nel 2007: Italian Tour W i bambini, Piazza del Plebiscito, Napoli,
in collaborazione con Modidi Museo dei Bambini di Udine, SAF Au-
toservizi Udine e con Rilegno Consorzio Riciclaggio Imballaggi in Le-
gno;
- Arte Plurale, Promotrice delle Belle Arti, Torino;
- Remida Day, Centro Internazionale Loris Malaguzzi, Reggio Emi-
lia in collaborazione con Modidi Museo dei Bambini di Udine e SAF

233
Ibidem.

149
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Autoservizi Udine. Remida Day, Centro Remida, Piazza Bodoni, Tori-


no;
- Educare all’arte con l’arte, Casa del Conte Verde, Rivoli.
- Nel 2006: Exposcuola. Salone delle proposte formative dell’Euro-
pa e del Mediterraneo, Campus Baronissi, Salerno in collaborazione
con Modidi Museo dei Bambini di Udine e SAF Autoservizi Udine.
- In corriera, Piazza San Giacomo, Udine, in collaborazione con
Modidi Museo dei Bambini di Udine e SAF Autoservizi Udine.
Festival Filosofia, Mille ABI-TANTI inaugurano Piazza Garibaldi,
Sassuolo (MO).
- Arte al Centro di una Trasformazione Sociale Responsabile 2006-
IX edizione: IL GIOCO,Cittadellarte Fondazione Pistoletto, Biella.
- Nel 2004: Exposcuola. Salone delle proposte formative dell’Euro-
pa e del Mediterraneo,Campus Baronissi, Salerno.
- Nel 2003: Inaugurazione Nuovi Spazi Dipartimento Educazione
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli.
- Nel 2001: ProgettoTappeto Volante, evento conclusivo in collabo-
razione con Scuola dell’Infanzia Bay, Quartiere San Salvario, Parco
del Valentino, Torino.
- Nel 2000: BIG Scuola in collaborazione con il Corso di Decora-
zione Accademia Albertina di Belle Arti Torino e Scuola Elementare
Statale Sabin di Rivoli, Lingotto Fiere, Torino.

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino)

Le seguenti informazioni sono state tratte in parte dalle risposte


alle nostre domande inviate via e-mail dalla coordinatrice dei Servizi
Educativi Francesca Togni e in parte dalla visione del materiale invia-
to dal museo.

Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo


Negli ultimi anni il Dipartimento Educativo ha sviluppato due pro-
getti rivolti all’utenza straniera: A Vision of my Own e City Telling.

150
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Destinatari
Nei progetti realizzati fino ad ora l’utenza è stata quella dei giovani
studenti del CTP (Centro Territoriale Permanente) Drovetti di Tori-
no.
Attualmente non esistono progetti che coinvolgano italiani e stra-
nieri contemporaneamente.

Proposta di realizzazione
La creazione e lo sviluppo dei progetti di dialogo interculturale alla
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo partono dalla partecipazione,
nel biennio 2005/2007, alla formazione internazionale per operatori
museali “Museums Tell Many Stories”, finanziato dal Programma
Comunitario Socrates Grundtvig. Nasce con l'intento di sviluppare le
competenze del personale che si occupa di educazione al
patrimonio/mediazione culturale e per sostenere l'apprendimento in-
terculturale tramite l'elaborazione e lo sviluppo di metodologie con
cui si possano interpretare e rendere accessibili al pubblico le colle-
zioni e gli oggetti appartenenti ad altre culture.
In seguito a questa esperienza, è stato realizzato un primo progetto
pilota, A Vision of my Own nel 2008, e nel 2009 il Dipartimento
Educativo della Fondazione ha partecipato al progetto europeo MAP-
forID – Museums as Places for Intercultural Dialogue, con un per-
corso chiamato City Telling, progettato in collaborazione con il Di-
partimento Educativo del MAMbo di Bologna.
La realizzazione è stata voluta e sviluppata dallo staff del Diparti-
mento Educativo della Fondazione. La presidenza e l’ufficio stampa
hanno sostenuto la crescita di questi progetti, anche dal punto di vi-
sta della comunicazione e della diffusione.

L’équipe di progetto
Nel caso specifico dei progetti che abbiamo realizzato negli ultimi
anni, gli operatori sono stati:
Elena Stradiotto, responsabile dei progetti educativi, che ha una
formazione all’Accademia di Belle Arti e una specializzazione in peda-
gogia;

151
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Anna Maria Cilento e Alessia Palermo, mediatrici culturali d’arte


contemporanea e con formazione nell’ambito della storia dell’arte e
della gestione e marketing per le attività culturali.
Come già segnalato, dei professionisti esterni hanno collaborato ai
nostri progetti. In particolare, Gianluca de Serio ha messo a disposi-
zione la sua esperienza di regista, avendo affrontato spesso nel suo la-
voro le tematiche legate all’immigrazione e all’identità personale.

Presenza di mediatori culturali


La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ha dalla sua apertura nel
2002 un servizio permanente di mediazione culturale d’arte contem-
poranea.
La mediazione culturale d’arte è la forma innovativa scelta dalla
Fondazione per istituire in mostra, quotidianamente, una relazione
attiva con i pubblici adulti. Ė la modalità che sviluppa nella pratica
una delle sue missioni principali, quella cioè di avvicinare il pubblico
all’arte contemporanea. Il ruolo del mediatore è quello di instaurare e
facilitare il contatto diretto tra il visitatore, l’opera, la mostra fornen-
do indicazioni, sollecitando il dialogo e valorizzando le interpretazio-
ni individuali. La mediazione predispone il visitatore alla scoperta
delle opere e all’approfondimento delle ricerche artistiche, secondo
un approccio che pone accanto all’informazione, il dialogo, lo scam-
bio e il confronto. Rispecchia quella che si definisce modalità drop in,
ovvero dell’ “imbattersi”, designando in tal modo un museo ospitale,
sempre pronto all’accoglienza e all’offerta di opportunità conoscitive.
Non si tratta dunque di professionisti specializzati nella mediazio-
ne tra diverse culture, come generalmente si intende questo ruolo
oggi, ma nel favorire l’approccio del pubblico alle opere d’arte con-
temporanea.
Il loro ruolo nell’ambito dei progetti di dialogo interculturale è sta-
to di collaborazione con lo staff del Dipartimento Educativo nella
conduzione delle visite e delle attività direttamente in mostra – in
particolare perché due delle persone che hanno lavorato a questi pro-
getti sono sia mediatrici che operatrici del Dipartimento Educativo.

152
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Finalità
- Favorire il dialogo interculturale tra persone con differenti back-
ground culturali, producendo esperienze nuove e condivise;
- Favorire l’accesso ai luoghi della cultura e alle attività culturali,
l’incontro con l’arte e i suoi mezzi espressivi, per potenziare le capaci-
tà di orientarsi in maniera critica e personale nel mondo della comu-
nicazione e nel mondo che ci circonda.

Obiettivi
- Sviluppare le potenzialità del museo come luogo di dialogo e pro-
mozione di un impegno attivo con tutti i cittadini, utilizzando il patri-
monio come fonte di scambio interculturale;
- Favorire l’apprendimento linguistico tramite la fruizione mediata
del patrimonio (collezioni e mostre temporanee) e attraverso l’appro-
fondimento dei contenuti progettuali direttamente presso i centri
educativi territoriali, grazie alle competenze specifiche degli inse-
gnanti, mediatori e operatori referenti;
- Creare un progetto interdisciplinare, che comporta l’utilizzo e lo
sviluppo di abilità trasversali: artistica, storica, linguistica, geografi-
ca;
- Sviluppare le capacità di indagine personale, di lettura critica del
testo artistico e del dato reale, di riscoperta estetica del territorio ur-
bano di appartenenza;
- Coinvolgere gli organi direttivi e gli altri dipartimenti dei musei
nelle attività del Dipartimento Educativo, attivando un confronto e
un aggiornamento continuo sullo sviluppo del progetto.

Differenze con le altre iniziative (già presenti e indirizzate agli


utenti italiani)
I progetti dedicati al pubblico dei giovani di origine immigrata
sono generalmente molto strutturati e hanno una durata maggiore ri-
spetto a quelli dedicati, per esempio, alle scuole: questo favorisce il
dialogo e la fiducia reciproca, soprattutto perché le attività sono spes-
so legate alla narrazione e all’identità personale.
Da segnalare anche la partecipazione di professionisti esterni, che
hanno collaborato con lo staff del Dipartimento Educativo - in parti-

153
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

colare, l’artista e regista Gianluca De Serio e la fotografa Anna Larga-


iolli.
Questi progetti sono inseriti nel quadro più ampio della collabora-
zione con il Settore Educazione al Patrimonio Culturale della Città di
Torino, e, nel caso di City Telling, nel quadro di un finanziamento eu-
ropeo Lifelong Learning. Tale contesto permette non solo di avere un
sostegno e una visibilità maggiori, e dunque una maggiore possibilità
di diffondere e di accedere alle buone pratiche a livello internaziona-
le, ma favorisce anche il dialogo, il confronto, e a volte anche la colla-
borazione diretta, tra le diverse istituzioni che operano in questo am-
bito.

Riscontri (interesse, affluenza)


Ai partecipanti al progetto City Telling, è stato sottoposto un que-
stionario col fine di raccogliere dati quantitativi affinché essi servisse-
ro a valutare la realizzazione dell’intero progetto e divenissero prove
tangibili della buona riuscita. Sono stati distribuiti 17 moduli di valu-
tazione e sono stati compilati e riconsegnati tutti: questo è un dato
importante che indica l’interesse e la completa partecipazione dei ra-
gazzi. Da questo sondaggio è emerso che:
- il 100% dei partecipanti al progetto ha risposto che tornerebbe in
Fondazione per vedere una nuova mostra;
- il 94 % dei ragazzi tornerebbe in Fondazione con lo scopo di ripe-
tere un’attività simile a quella realizzata con City Telling;
- l’88% è soddisfatto dell’attività svolta in Fondazione;
- il 53% considera il progetto utile per comprendere le opere d’arte
e il modo di operare degli artisti;
- il 53% crede che il progetto sia stato utile per acquisire abilità tec-
niche;
- il 41% pensa che la partecipazione al progetto abbia migliorato
abbastanza la propria capacità di capire e di dialogare con le altre cul-
ture e tradizioni, il 30% ritiene che abbia aiutato molto.
Durante i colloqui di verifica con ragazzi e insegnanti sono emersi
gli aspetti positivi del progetto come:
- la comprensione dei linguaggi contemporanei o la possibilità di
esprimersi liberamente;

154
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- la funzione del progetto come mezzo per facilitare la socializza-


zione all’interno del gruppo;
- punti critici come la mancata partecipazione attiva da parte di
tutti i ragazzi, che a volte hanno trovato le attività noiose. Questi
aspetti negativi indicano che la futura attività dovrà cercare di coin-
volgere maggiormente l’intero gruppo, soprattutto nei momenti in
cui alcuni compagni stanno realizzando in piccoli gruppi alcuni scatti
fotografici o riprese video, durante i quali gli altri sono chiamati a as-
sistere o a proseguire autonomamente o senza l’ausilio degli artisti
coinvolti.
Molto importante è stata l’opinione delle insegnanti. Per quanto ri-
guarda i progressi dei ragazzi che le insegnanti hanno riscontrato, se-
guono le parole utilizzate da loro stesse: “Il progetto ha contribuito a
costruire un atteggiamento critico verso ciò che non si conosce. É sta-
ta un’opportunità per interagire tra loro, per stimolare un approccio
curioso all’ambiente circostante e per l’acquisizione di nuove cono-
scenze. I ragazzi sono riusciti a sviluppare un senso di appartenenza e
di cittadinanza attiva. E’ migliorata anche la capacità di ascolto di
culture ed esperienze diverse”
Gli aspetti positivi del progetto sono stati, secondo il loro parere: “
la metodologia in quanto ha sviluppato:
- la capacità di lavorare in gruppo;
- il confronto di idee ed esperienze;
- l’espressione di emotività e affettività;
- la condivisione responsabile di regole;
- una maggiore autonomia di giudizio e comportamento;
- la relazione con il territorio e la creazione di un legame affettivo
con esso”.

Legami e collaborazioni con altre istituzioni


In prima battuta, l’interlocutore del museo è stato il Settore Edu-
cazione al Patrimonio Culturale della Città di Torino, nella persona
del dirigente, Dott. Vincenzo Simone, grazie al quale la Fondazione
ha avuto accesso al bando per Museums Tell Many Stories, dal quale
si sono successivamente sviluppati gli altri progetti. Un altro impor-
tante interlocutore nell’ambito dei progetti europei è stato l’IBC –

155
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, nella per-
sona della D.ssa Margherita Sani. Entrambe le istituzioni si sono di-
mostrate presenti e hanno supportato i progetti, oltre che dal punto
di vista economico (Città di Torino), anche dal punto di vista scienti-
fico e divulgativo.
City Telling, nell’ambito di MAPforID, è stato progettato in colla-
borazione con il Dipartimento Educativo del MAMbo di Bologna, e la
piattaforma multimediale interattiva sulla quale sono visibili i risulta-
ti del progetto, è stata concepita e progettata con gli studenti del Pri-
mo Liceo Artistico di Torino e i Servizi Educativi del Museo Naziona-
le del Cinema.
Un’altra realtà che ci ha dato grande spazio e sostegno è Patrimo-
nio e Intercultura, risorsa on-line della Fondazione ISMU di Milano,
che attraverso il sito www.ismu.org/patrimonioeintercultura garanti-
sce visibilità e un costante aggiornamento a tutti i progetti, grazie a
schede approfondite, immagini e video.

Materiali prodotti dagli utenti e dal museo


Sono stati prodotti i seguenti materiali:
- Progetto Museums Tell Many Stories: un DVD che racconta e do-
cumenta il progetto, pubblicazione “Museums Tell Many Stories.
Un’esperienza di formazione alla mediazione interculturale”;
- Progetto A Vision of my Own: un DVD che contiene i 3 video rea-
lizzati, un CD con la documentazione fotografica, l’invito alla presen-
tazione, la scheda approfondita di progetto;
- Progetto City Telling: un DVD con piattaforma multimediale in-
terattiva (prodotto con MAMbo Bologna e Museo Nazionale del Cine-
ma), un CD con la documentazione fotografica, l’invito alla presenta-
zione, la scheda di progetto.

Mostre, convegni, conferenze o workshop organizzati sul tema


dell’interculturalità
Sono state organizzate le presentazioni dei risultati dei progetti A
Vision of my Own e City Telling, presso la Fondazione.

156
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Nella sede del museo non sono stati organizzati workshop o conve-
gni sul tema, ma l’équipe di progetto è stata invitata a presentare i
progetti nelle seguenti occasioni:
- Convegno “Patrimoni Plurali”, Ravenna, ottobre 2008;
- Corso sui nuovi pubblici dei musei, NABA – Nuova Accademia di
Belle Arti, Milano, aprile 2008 e febbraio 2009;
- Convegno “Occhio all’Arte”, Accademia di Belle Arti di Torino, di-
cembre 2008;
- Biennale Democrazia, Cavallerizza Reale, Torino, aprile 2009;
- Conferenza finale del progetto MAPforID, Madrid, Museo de
America, ottobre 2009;
- Presentazione del progetto “Map for Torino”, Torino, Cinema
Massimo, novembre 2009;
- Convegno “L’arte contemporanea come progetto educativo”,
LABA, Brescia, novembre 2009.

A vision of my own

Questo laboratorio si rivolge a un pubblico di giovani che in un


luogo della cultura cercano sia il rapporto diretto con il patrimonio e
gli strumenti per la lettura delle opere, sia la possibilità di partecipare
a esperienze di fruizione del museo personali e appassionanti e gli sti-
moli per mettersi in gioco con sperimentazioni creative.

L'équipe di progetto
lo staff del Dipartimento Educativo della Fondazione Sandretto Re
Rebaudengo,
le insegnanti del CTP Drovetti di Torino,
l’artista e regista Gianluca De Serio,
con la collaborazione dei mediatori culturali d’arte della Fondazio-
ne e con il supporto scientifico dello staff della Divisione Educazione
al Patrimonio Culturale della Città di Torino, in particolare nella per-
sona del dirigente, Dott. Vincenzo Simone.

157
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

La formazione degli operatori interni della Fondazione è stata fatta


per la maggior parte attraverso la condivisione e l’esperienza di chi ha
partecipato al progetto “Museums Tell Many Stories”.
Per quanto riguarda gli insegnanti si segnala un’esperienza parti-
colare avvenuta in itinere: la partecipazione al workshop “Il cono del
silenzio”, a cura del duo di artisti australiani “A Constructed World”
(Jeoff Lowe e Jacqueline Riva), presso la Fondazione Sandretto Re
Rebaudengo nel mese di febbraio 2008. Il workshop, basato su dina-
miche relazionali, ha coinvolto persone sia provenienti dal mondo
dell’arte che non, di età e ambiti professionali diversi, evidenziando
attraverso la metafora del cono del silenzio, il margine di consapevo-
lezza/non consapevolezza, detto/non detto all’interno del quale ci
muoviamo – non solo da un punto di vista sociale, culturale e politi-
co, ma anche personale e intimo. Una performance, presentata la
sera dell’inaugurazione della mostra “Greenwashing” – di cui l’opera
“Il cono del silenzio” di Riva e Lowe fa parte, ha chiuso l’esperienza.
Due insegnanti del CTP hanno partecipato e condiviso con gli studen-
ti il momento dell’inaugurazione e della performance, alla quale loro
stessi sono intervenuti, fotografandola e prendendovi parte.

Destinatari
Un gruppo di 25 giovani studenti stranieri del CTP Drovetti, tutti
tra i 16 e i 18 anni.

Durata
Il progetto ha avuto inizio nell’anno 2007, è stato concluso e pre-
sentato nel 2008.
Sia da parte della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo che del
CTP Drovetti c’è la volontà di portare avanti la collaborazione nei
prossimi anni, magari coinvolgendo più gruppi, anche di adulti e non
solo giovani e adolescenti.

Finalità e Obiettivi
- Arrivare a una piena accessibilità e fruizione del patrimonio arti-
stico da parte di persone appartenenti a diverse tradizioni culturali;

158
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- Arrivare a concepire lo spazio espositivo come luogo di dialogo,


contenitore e insieme produttore di saperi e culture, un luogo altro e
quotidiano allo stesso tempo;
- Comprendere le opere d’arte e il modo di operare degli artisti;
- Imparare a raccontare di sé e delle proprie esperienze personali;
- Imparare a utilizzare mezzi espressivi complessi anche se familia-
ri;
- Indagare e sperimentare alcune tematiche correlate agli eventi
espositivi.

Metodologia
È stato utilizzato il metodo autobiografico, che porta a raccontare
di sé e delle proprie esperienze attraverso dei mezzi espressivi tipici
dell’arte contemporanea.
Il linguaggio video, ovvero quello scelto per il percorso A Vision of
my Own, è particolarmente adatto a questo tipo di sperimentazione,
perché caratterizza la cultura contemporanea, è vicino all’utenza dei
giovani e può contribuire alla formazione di uno sguardo critico, atti-
vo, estetico.

Fasi di lavoro
Il progetto si è articolato nella sua fase iniziale in una fase di con-
fronto con gli insegnanti del CTP e con lo staff della Divisione Educa-
zione al Patrimonio Culturale della Città di Torino, che ha portato
alla stesura del progetto in forma definitiva da parte del Dipartimen-
to Educativo della Fondazione.
Scansione degli incontri:
- visita delle mostre “Stop&Go”, “Segni di Vita” e “Greenwashing”;
- laboratorio “set video”, sperimentazione sull’immagine in movi-
mento a partire dai concetti di luce, ombra, corpo e movimento;
- incontro con l’artista, presentazione del suo lavoro e della sua ri-
cerca;
- laboratorio di scrittura e narrazione, scelta della modalità di rac-
conto delle storie di ognuno (che cosa dire, che cosa nascondere e
fare solo intuire, qual è l’immagine più forte o che rimane più impres-
sa… );

159
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- riprese;
- fase di montaggio a cura dell’artista;
- presentazione ufficiale al pubblico.

Il lavoro è stato svolto all’interno della Fondazione Sandretto Re


Rebaudengo, nello specifico negli spazi espositivi e nell’aula didatti-
ca, attraverso visite alle mostre in corso e laboratori. Gli studenti
hanno acquisito grande familiarità con gli spazi della Fondazione e
disinvoltura nel viverli e nel sentirli come propri, nell’approccio alle
opere d’arte contemporanea e nella relazione con i mediatori culturali
d’arte. È interessante segnalare che, lungo il tragitto dalla sede scola-
stica alla Fondazione, che si trovano nello stesso quartiere di Torino,
Borgo San Paolo, le insegnanti hanno regolarmente condotto un per-
corso di scoperta delle opere d’arte contemporanea presenti sull’ex
passante ferroviario, nello specifico quelle di Per Kirkeby, Mario
Merz e Giuseppe Penone. Gli studenti hanno inoltre visitato l’Ecomu-
seo della Circoscrizione 3 della Città, approfondendo la conoscenza di
Torino e del quartiere, attraverso un percorso storico, che idealmente
trova la sua prosecuzione nell’attività e nel ruolo della Fondazione
nell’ambito della cultura contemporanea.
Durante il percorso, oltre alle opere video viste in mostra, gli stu-
denti hanno avuto modo di vedere anche una selezione dei cortome-
traggi di Gianluca De Serio, artista e regista che ha collaborato alla
conduzione dei laboratori e alla realizzazione dei video. Questi corto-
metraggi, realizzati da Gianluca e da suo fratello Massimiliano, han-
no come tema principale l’identità, e spesso sono ritratti di migranti a
Torino. La visione è servita per dare un’idea più chiara ai ragazzi di
che cosa si intende per “video-ritratto”, e di che cosa significa raccon-
tare una storia – la propria, quella di qualcun altro, quella di un luogo
– attraverso le immagini.

Tematiche
Uno degli obiettivi del progetto è quello di indagare e sperimenta-
re, attraverso il percorso, in mostra e in laboratorio, le seguenti tema-
tiche correlate agli eventi espositivi:
- l’identità (ritratto e autoritratto);

160
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- il viaggio;
- l’esperienza della distanza e della prossimità;
- la riflessione sul presente e sulla storia (collettiva e personale).

I punti di forza individuati dall’équipe di progetto


- Il dialogo con l’artista, la sua presenza stabile e il suo mettersi in
gioco in prima persona nel rapporto con gli studenti;
- La qualità estetica e tecnica degli elaborati video;
- La partecipazione costante e appassionata degli studenti;
- La disponibilità all’ascolto e alla sperimentazione da parte degli
insegnanti e del gruppo di lavoro;
- La possibilità data dalla Fondazione di lavorare liberamente al-
l’interno degli spazi espositivi, dove le opere sono diventate riferi-
mento per la progettazione dei video e set delle riprese.

Criticità individuate dall’équipe di progetto


- L’iniziale difficoltà degli studenti nell’esporre le proprie idee ed
esperienze personali;
- La tendenza iniziale degli studenti inseriti da poco e con una mi-
nore padronanza della lingua e delle consuetudini culturali, a non
dare sufficiente valore al proprio contributo personale.

Materiale prodotto
Il prodotto finale del percorso sono i tre video: “Sotto la neve”,
“Raccontami la tua storia” e “Il primo giorno di scuola”.
Possiamo parlare di documentazione fotografica, realizzata sia in-
ternamente dallo staff del Dipartimento Educativo , che dalla fotogra-
fa professionista e insegnante del CTP Anna Largaiolli, oltre che di
documentazione video, che sarà entro breve on-line sul sito della
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (www.fondsrr.org) e sul sito
Patrimonio e Intercultura (www.ismu.org/patrimonioeintercultura)
con alcuni estratti.

Verifiche
La verifica è avvenuta in modo periodico e costante, attraverso
confronti e valutazioni dello staff del Dipartimento Educativo con gli

161
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

insegnanti su buoni esiti e criticità, sulla partecipazione più o meno


attiva degli studenti, sulla modalità e possibilità di intervento dove ce
ne fosse necessità.
Lo staff si è inoltre confrontato costantemente con l’artista.
Alla fine del progetto e prima della presentazione ufficiale, la re-
sponsabile dei progetti educativi della Fondazione, Elena Stradiotto,
ha condotto un focus group a scuola con gli studenti coinvolti, ragio-
nando insieme a loro e agli insegnanti sugli esiti dell’intera esperien-
za e sull’imminente presentazione al pubblico dei video.
Un’ulteriore verifica è stata proprio quella della presentazione
pubblica, che ha ottenuto ottimi riscontri da parte di colleghi e pro-
fessionisti di numerose istituzioni culturali.
La presentazione al pubblico del progetto A Vision of my Own è
avvenuta il 17 aprile 2008 nell’auditorium della Fondazione Sandret-
to Re Rebaudengo, alla presenza degli studenti e delle loro famiglie,
di molti colleghi provenienti da diverse istituzioni culturali, come
HoldenArt, Museo del Cinema, Fondazione Merz, Fondazione Fitz-
carraldo, Città di Torino, Fondazione Ismu e Centro Studi Africani,
oltre che di ricercatori e professionisti nell’ambito dei progetti inter-
culturali.
Il progetto è stato finanziato dalla Divisione Educazione al Patri-
monio Culturale della Città di Torino e sostenuto internamente dalla
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.

City Telling

City Telling si pone in ideale continuità con un precedente proget-


to della Fondazione, A Vision of My Own.
L’intento del nuovo progetto è di ampliare il lavoro intrapreso,
dare continuità allo scambio con gli insegnanti del CTP “Drovetti” e
rispettare l’impegno di favorire la partecipazione culturale degli stu-
denti di origine immigrata e delle loro famiglie, fornendo ai parteci-
panti nuovi strumenti per conoscere il territorio in cui vivono e co-
struire un terreno comune di condivisione culturale, linguistica ed
estetica.

162
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

L'équipe di progetto
L’équipe di progetto è formata da:
lo staff del Dipartimento Educativo della FSRR (Elena Stradiotto,
Francesca Togni);
le insegnanti del CTP “Drovetti” (Ornella Costan, Liliana Porta);
l’artista e regista Gianluca De Serio e la fotografa Anna Largaiolli;
con la collaborazione dei mediatori culturali d’arte della Fondazio-
ne (Anna Maria Cilento, Alessia Palermo) e di studentesse in tirocinio
(Erminia Forte, Tania Labrosciano), e con il supporto scientifico dello
staff della Divisione Educazione al Patrimonio Culturale della Città di
Torino (in particolare il dirigente, Vincenzo Simone) e dell’IBC Re-
gione Emilia Romagna (in particolare Margherita Sani).

Destinatari
Due gruppi di giovani studenti di origine immigrata (14/20 anni)
del CTP “Drovetti”.

Durata
Da novembre 2008 a maggio 2009 le “passeggiate” sul territorio e
i laboratori (cfr. “Le fasi di lavoro”); nell’ultima fase del progetto (giu-
gno-settembre 2009), realizzazione di una piattaforma multimediale
che contiene i contributi fotografici, video, testuali e sonori prodotti
dai ragazzi.

Finalità e Obiettivi
- Potenziare le capacità dei destinatari di orientarsi in maniera au-
tonoma e critica nel mondo della comunicazione e nella realtà circo-
stante, e di attivare dispositivi utili per analizzare e raccontare la pro-
pria esperienza nel mondo;
- Sviluppare la capacità di indagine personale, di lettura critica del
testo artistico, di riscoperta estetica del territorio urbano;
- Promuovere esperienze nuove e condivise;
- Favorire l’apprendimento linguistico;
- Sviluppare abilità trasversali, coinvolgendo le seguenti aree disci-
plinari:

163
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- Narrazione scritta e orale;


- Narrazione per immagini (fotografia e video);
- Espressione corporea/vocale;
- Sperimentazione di modalità relazionali all’interno del gruppo;
- Comunicazione/espressione visiva.

Nel lungo termine, un obiettivo fondamentale di City Telling è di


contribuire a stabilire un legame duraturo tra la Fondazione e la fa-
scia di pubblico coinvolta, in modo da accrescerne il livello di “confi-
denza” con istituzioni e luoghi d’arte quali la FSRR.

Metodologia
È stato scelto un approccio pluralistico e interdisciplinare, in
quanto l’arte contemporanea fonde più linguaggi, nonché l’utilizzo
della narrazione, uno dei metodi maggiormente sviluppati dallo staff
del Dipartimento Educativo .

Fasi di lavoro
Le principali fasi di lavoro sono state:
- La costituzione del gruppo di lavoro;
- Il coinvolgimento dei giovani studenti del CTP (individuati e ini-
zialmente coinvolti dalle loro insegnanti) in un percorso di scoperta e
riappropriazione del territorio, a partire dalla condivisione delle pro-
venienze geo-culturali dei singoli partecipanti. Tale condivisione è av-
venuta tramite la narrazione orale, l’utilizzo di oggetti, foto, cartoline
e la fruizione di tecnologie in grado di localizzare le aree di prove-
nienza;
- Alternanza di laboratori (tecniche e pratiche di pittura, disegno,
fotografia; story-telling), uscite guidate sul territorio (in particolare
la Circoscrizione 3, quartiere Borgo San Paolo) e visite guidate ad al-
cune mostre cittadine: “Torino 011 – Biografia di una Città” allo spa-
zio OGR (Officine Grandi Riparazioni) e la selezione di “T2 – 50
Lune di Saturno” presentata alla Palazzina della Società Promotrice
delle Belle Arti;

164
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- Possibilità di lavorare liberamente negli spazi espositivi della


Fondazione, dove le opere sono diventate riferimento per la progetta-
zione degli elaborati e spunto per la riflessione e la scrittura.
- La realizzazione di due percorsi paralleli (15 incontri/laboratori)
dedicati alla narrazione video e fotografica e rispettivamente guidati
da Gianluca De Serio e Anna Largaiolli, in collaborazione con il Di-
partimento Educativo. I due gruppi di lavoro hanno elaborato un per-
sonale tragitto nello spazio urbano, individuando dei luoghi significa-
tivi (scuola, musei, biblioteca, abitazioni private, giardini, luoghi di
culto, installazioni urbane, servizi e punti d’incontro) e raccogliendo
le molteplici suggestioni in un diario di viaggio, fatto di immagini fo-
tografiche, reperti e contributi audio-video. I ragazzi e il loro vissuto,
l’ascolto delle loro esperienze e vicende personali hanno sempre co-
stituito il nucleo centrale intorno al quale lavorare;
- La realizzazione di un’interfaccia multimediale che conterrà i
contributi fotografici, video, testuali e sonori prodotti dai gruppi che
hanno lavorato non solo con la FSRR, ma anche con MAMbo (proget-
to “City Telling” Bologna) e con il Museo del Cinema (progetto “MAP
for Torino”); le caratteristiche grafiche sono state progettate da un
gruppo di studenti del Primo Liceo Artistico (Curvatura Cinema e
Arti Visive) di Torino, guidati dai Dipartimenti Educativi della Fon-
dazione e del Museo del Cinema; la realizzazione della piattaforma
informatica è a cura di Ars Media.

Tematiche
La città e il territorio.

I punti di forza individuati dall’équipe di progetto


Tra gli esiti più significativi dal punto di vista dei partecipanti:
- la creazione di un gruppo coeso;
- una maggiore confidenza con i luoghi/linguaggi dell’arte contem-
poranea;
- l’apprendimento di tecniche artistiche;
- lo sviluppo di un senso di appartenenza al territorio;
- l’opportunità di espressione di sé;
- una migliore conoscenza della lingua italiana.

165
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Il progetto è stato inoltre occasione di confronto tra operatori cul-


turali, insegnanti e artisti, di crescita delle capacità interculturali del-
lo staff del Dipartimento Educativo , e di sensibilizzazione dell’intero
personale della Fondazione. Il dialogo con gli artisti e i professionisti,
la loro presenza stabile e il loro mettersi in gioco in prima persona nel
rapporto con gli studenti, la disponibilità all’ascolto e alla sperimen-
tazione da parte degli insegnanti e del gruppo di lavoro, e la parteci-
pazione costante e appassionata degli studenti, si sono rivelati crucia-
li per la buona riuscita del progetto.
Infine, City Telling ha esercitato un significativo impatto a livello
istituzionale in termini di:
- rapporto con una tipologia di pubblico spesso distante dai luoghi
dell’arte contemporanea;
- impegno a realizzare un progetto interculturale su base annuale;
- maggiore riconoscimento del ruolo della Fondazione da parte
della comunità circostante.

Criticità individuate dall’équipe di progetto


Il partenariato tra CTP e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo,
che pure è stato un punto di forza del progetto, ha anche fatto emer-
gere la necessità di:
- definire meglio ruoli e responsabilità rispettive nell’ambito di
progetti futuri, di migliorare la comunicazione tra insegnanti e Dipar-
timento Educativo ;
- definire in modo chiaro gli obiettivi finali del progetto di modo
che i partecipanti siano più coscienti;
- rispettare maggiormente la tabella di marcia relativa allo svolgi-
mento del progetto.

Sotto il profilo logistico/organizzativo, sono state apportate modi-


fiche al numero di passeggiate sul territorio (in parte sostituite dalle
visite interattive alle mostre), a causa della difficoltà di condurre atti-
vità di laboratorio (narrazione verbale e scrittura) durante le uscite;
escludendo la fase di selezione materiale e montaggio video, sono sta-
ti necessari 5 incontri in più rispetto al calendario di inizio progetto;

166
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

il coinvolgimento del Primo Liceo Artistico nella progettazione grafi-


ca e la collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema non erano
state previste in fase progettuale, e hanno incrementato notevolmen-
te l’impegno dello staff di Dipartimento (pur arricchendo di nuovi
contenuti il progetto).
Dopo un primo momento progettuale intenso e fruttuoso, la rela-
zione con il MAMbo ha assunto un carattere episodico, a causa delle
iniziali difficoltà incontrate dal MAMbo nell’individuare e coinvolgere
i giovani destinatari (rapporto con il quartiere San Donato) e della
conseguente diversa tempistica di svolgimento delle attività.

Materiale prodotto
La produzione consiste in:
- Progetto fotografia: due strisce fotografiche, “Hello and Good-
bye” e “Doppio Risveglio”. La prima racconta il rapporto con il passa-
to, con un padre e con una vita completamente nuova; il secondo è
una riflessione a due voci sulle difficoltà della vita in una città stra-
niera e le personali prospettive sul futuro.
- Progetto video: quattro video di diversa durata, dai 5 ai 13 minu-
ti: “Tre volte nello stesso posto”, “Il Diario”, “In viaggio” e
“Città/Shahr”. Due sono stati realizzati immergendosi nel quartiere
Borgo San Paolo: le strade, i giardini, i cantieri, la fontana di Mario
Merz e anche la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo; altri due sono
stati realizzati su un tram in corsa per le strade di Torino. Nei video i
ragazzi raccontano e si raccontano: il diario che diventa dono di ad-
dio e segno di amicizia prima di una partenza; un giro in bicicletta
per ricordare la scomparsa di una persona cara; Torino che si trasfor-
ma in Teheran dai finestrini del tram; una riflessione filosofica su
presente, passato e futuro ispirata da una lettera.

Inoltre, lungo gli incontri è stata realizzata una ricca produzione


fotografica, che documenta il lavoro di ricognizione e le “passeggiate
estetiche” per il quartiere.
Un laboratorio fatto all’inizio del percorso, incentrato sull’idea di
ascolto e relazione di fiducia con l’altro, ha prodotto un grande “wall
drawing” collettivo.

167
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Verifiche
Un’azione di verifica periodica e costante è stata condotta attraver-
so confronti dello staff del Dipartimento Educativo con gli artisti
coinvolti e le insegnanti, con l’obiettivo di discutere sulla partecipa-
zione degli studenti, sullo svolgimento delle attività di laboratorio e
sulle modalità e possibilità di intervento ove ce ne fosse stata necessi-
tà.
La valutazione del progetto è stata effettuata dallo stesso Diparti-
mento Educativo della Fondazione. Sono stati utilizzati moduli di va-
lutazione compilati dai partecipanti, integrati da interviste ai ragazzi
stessi e alle insegnanti; sono stati inoltre conservati bozzetti e appun-
ti raccolti durante lo svolgimento del progetto a proposito di reazioni,
criticità e buoni esiti emersi durante gli incontri.

Galleria d'arte moderna (Gallarate)

Le seguenti informazioni sono state tratte dal colloquio con la re-


sponsabile della sezione didattica, Francesca Marianna Consonni, in
data 3 dicembre 2009.

Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo


Sono stati realizzati due progetti legati all’interculturalità: Identità
e Persepolis.

Proposta di realizzazione
Il progetto Identità è nato su richiesta della scuola primaria situata
nel centro di Gallarate. Alcuni edifici del centro storico erano stati ri-
strutturati e convertiti in case popolari, portando in quella zona della
città famiglie di strati sociali più bassi, tra cui moltissime straniere.
Nella scuola in questione erano in breve tempo arrivati alunni di 14
nazionalità diverse e la direzione scolastica ha chiesto aiuto al museo.

168
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Il progetto Persepolis è nato su richiesta di un gruppo di genitori


alla ricerca di attività da proporre alle insegnanti.

L’équipe di progetto
I due progetti sono stati ideati e realizzati dalla sezione didattica
del museo, in particolar modo dalla responsabile Francesca Marianna
Consonni.

Presenza di mediatori culturali


Non sono stati interpellati mediatori culturali.

Destinatari
Entrambe le iniziative erano rivolte ad alunni di scuole primarie,
anche se il progetto Persepolis ha avuto una consistente parte dedica-
ta ai genitori dei bambini, attraverso una serie di incontri seminariali.

Finalità
In entrambi i laboratori le finalità concernevano lo sviluppo cogni-
tivo e delle capacità comunicative dei bambini coinvolti.

Obiettivi
Identità:
- prendere coscienza del proprio corpo, delle sue forme e delle sue
linee,
- prendere coscienza del rapporto tra il proprio corpo e quello degli
altri,
- prendere coscienza del rapporto tra il proprio corpo e lo spazio,
- prendere coscienza delle differenze e dei vari punti di vista,
- imparare a trarre vantaggio dai propri errori,
- riflettere sui propri gusti,
- imparare a sintetizzare un’immagine, attraverso poche linee.
Persepolis:
- prendere coscienza del proprio corpo, attraverso l’osservazione
del colore della propria pelle,

169
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- prendere coscienza delle differenze e dei vari punti di vista,


- sviluppare l’immaginazione attraverso l’invenzione di nuovi tipi
di pelle, più funzionali ai nostri scopi.

Metodologia
Entrambi questi progetti si sono sviluppati come laboratori, che
hanno consentito ai bambini di sperimentare attivamente tecniche
artistiche per loro insolite (pittura su muro) e di “mettere in campo”
il proprio corpo.

Le fasi di lavoro
Identità
Nella prima fase i bambini hanno avuto tre incontri con un attore,
che ha sviluppato liberamente i seguenti temi: “io”; “io e l’altro”, “io e
lo spazio”.
In questi incontri hanno imparato a osservare, toccare e ascoltare
il proprio corpo e il proprio ambiente, a esprimersi attraverso il movi-
mento e a osservare e capire quello degli altri.
Nella seconda fase i bambini hanno seguito sei lezioni durante le
quali, attraverso l’utilizzo di varie tecniche espressive, hanno impara-
to a individuare le linee fondamentali di un viso, a sintetizzarle e ri-
produrle in diverse varianti.
Nella terza fase i bambini hanno ragionato sul tema del cibo, sce-
gliendo il loro alimento preferito e trasformandolo nella propria iden-
tità: il disegno stilizzato di quel cibo è diventato la loro firma ed è sta-
to “acquisito” e interiorizzato attraverso la ripetizione.
Nella quarta e ultima fase i bambini hanno partecipato a un lavoro
collettivo: hanno decorato con le loro “firme” (i loro cibi preferiti) le
pareti del corridoio che porta alla mensa scolastica.

Persepolis
Ai bambini è stato chiesto di ragionare sul concetto di pelle, attra-
verso alcune domande apparentemente banali: “che cos’è la pelle?”,

170
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

“di che colore è?”, “è sempre uguale?”, “perché c’è gente più chiara e
gente più scura?”.
Nella seconda fase ai bambini è stato chiesto di trovare il colore
adatto a rappresentare la propria pelle, utilizzando le tempere. Ecco
allora che si sono accorti di non essere rosa come dice lo stereotipo,
ma di varie tonalità di giallo, marrone, ocra…
Nella terza e ultima fase, è stato chiesto di inventare una pelle nuo-
va, più funzionale. Utilizzando materiali di recupero, i bambini si
sono sbizzarriti nell’inventare pelli con le spine, pelli infuocate, ecc…

Tematica
Nel progetto Identità i temi erano due: il corpo e il cibo.
Nel progetto Persepolis il tema era la pelle.

Punti di forza individuati dall’équipe di progetto


In entrambi i progetti il punto di forza maggiormente visibile è
l’approccio laboratoriale, che ha consentito di catturare l’attenzione
dei bambini (anche dei più irrequieti) e di mantenerla alta durante il
percorso, nonché di permettere loro di sperimentare tecniche e attivi-
tà insolite o addirittura “proibite” nella vita quotidiana (per esempio
dipingere su un muro).
I temi scelti, inoltre, permettevano di entrare in sintonia coi bam-
bini, col loro vissuto personale e di trasmettere loro alcuni temi inter-
culturali senza renderli espliciti. La convinzione di chi ha progettato
questi due laboratori, infatti, è che l’interculturalità e i suoi concetti
non debbano essere il soggetto ma il metodo della didattica museale e
della didattica in generale. È meglio creare una dinamica che crea l’a-
scolto e il dialogo, piuttosto che obbligare a ragionare su questi due
temi.

Criticità individuate dall’équipe di progetto


La principale criticità ha riguardato la gestione di un grande nu-
mero di bambini e i rapporti non sempre semplici con le insegnanti e
i genitori promotori delle iniziative.

171
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Differenza con le altre iniziative (già presenti e indirizzate agli


utenti italiani)
La differenza fondamentale con i laboratori che di solito questa se-
zione didattica progetta era il luogo della loro realizzazione: la scuola
invece che il museo, un ambiente abitato da bambini invece che da
opere d’arte. Questo ha inevitabilmente condizionato la progettazione
e il lavoro sul campo, a partire dal fatto che alcuni degli ambienti uti-
lizzati per le attività erano gli stessi usati dai bambini nei momenti di
svago e perciò utilizzati in modo totalmente libero, privo di regole.

Riscontri (interesse, affluenza)


I bambini che hanno partecipato a questi progetti hanno dimostra-
to interesse e partecipazione, pur partendo da situazioni tutt’altro che
tranquille e gestibili.
Le insegnanti della scuola in cui è stato realizzato il progetto Iden-
tità sono rimaste soddisfatte, eccezion fatta per alcune, che hanno
mosso critiche in particolar modo alle attività svolte dall’attore e alla
tematica del cibo, che non da tutti è stata percepita come utile al di-
scorso interculturale.
I genitori che sono stati coinvolti nel progetto Persepolis, sono ri-
masti soddisfatti dal laboratorio svolto dai bambini, senza forse ren-
dersi conto che il vero “lavoro” interculturale era stato svolto proprio
con loro, durante gli incontri seminariali dedicati ad alcuni stereotipi
e luoghi comuni della nostra cultura.

Materiali prodotti dagli utenti e dal museo


Il progetto Identità ha prodotto un gigantesco murales nel corrido-
io che porta alla mensa scolastica.
Il progetto Persepolis ha prodotto un video contenente le “intervi-
ste” fatte ai bambini sul tema della pelle. Gli alunni hanno invece
prodotto dei nuovi e coloratissimi guanti fatti da nuovi e funzionali
tipi di pelle.
Mostre, convegni, conferenze o workshop organizzati sul tema del-
l’interculturalità
Nell’ambito del progetto Persepolis la responsabile della sezione
didattica ha organizzato una serie di riunioni per far riflettere genito-

172
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

ri e insegnanti e per capire cosa intendessero per interculturalità.


Sono emerse idee legate all’interculturalità come qualcosa di bello e
di esotico.
Sono state quindi realizzate tre lezioni seminariali proprio per ge-
nitori e insegnanti, su temi legati alla nostra cultura e ai suoi stereoti-
pi: per esempio i brand, gli status symbol, il cattivo gusto, ecc…
Proprio questi incontri, a parere degli operatori didattici, sono ri-
sultati i più utili dal punto di vista interculturale.

Galleria d'Arte Moderna (Torino)

Le seguenti informazioni sono state tratte dal materiale reperito


sui siti internet http://www.ismu.org/patrimonioeintercultura e
http://www.mapforid.it

Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo


É stato realizzato il progetto La voce delle conchiglie: echi di po-
poli, culture, arte

Proposta di realizzazione
Nel 2007-2008 i Servizi Educativi di GAM e Palazzo Madama han-
no organizzato il corso di formazione Dialoghi interculturali e colle-
zioni civiche d’arte moderna e antica, rivolto al proprio staff, a inse-
gnanti di scuola secondaria di primo e secondo grado e a insegnanti
dei CTP cittadini. Da questa esperienza e dall’incontro con un gruppo
di insegnanti particolarmente sensibili al tema è nata l’idea di utiliz-
zare le collezioni dei musei civici per sperimentare percorsi intercul-
turali finalizzati a coinvolgere soprattutto i cittadini di origine immi-
grata residenti a Torino.

L’équipe di progetto

173
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

La Fondazione Torino Musei (FTM) raggruppa quattro musei civi-


ci in cui si conserva un patrimonio variegato, che illustra l'arte antica
dal Medioevo fino all'Ottocento (Palazzo Madama), l'arte moderna e
contemporanea (GAM - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea),
il mondo medievale e rinascimentale di Piemonte e Valle d'Aosta nel-
la ricostruzione realizzata in occasione dell'Esposizione Generale del
1884 (Borgo Medievale), e l'arte del grande continente asiatico (Mu-
seo d'Arte Orientale, recentemente aperto al pubblico).

Presenza di mediatori culturali


Dal materiale analizzato non risulta la presenza di mediatori cultu-
rali.

Destinatari
Studenti adulti (italiani e di origine immigrata) dei CTP “Drovetti”
e “Braccini”, studenti di scuola secondaria di secondo grado. Il pro-
getto ha coinvolto un totale di 6 gruppi molto eterogenei, composti da
123 persone provenienti da 20 paesi diversi.

Finalità e Obiettivi
- Adeguare il progetto educativo dei musei civici ai mutamenti so-
ciali in atto;
- promuovere la conoscenza della città e del suo patrimonio in un
nuovo pubblico;
- utilizzare il patrimonio come strumento di confronto tra indivi-
dui di nazionalità diverse e come stimolo per elaborazioni espressive
individuali e collettive;
- promuovere il dialogo interpersonale e l’integrazione sociale at-
traverso “un fare e un sentire comune”.

Metodologia
È stato utilizzato il metodo autobiografico, per permettere il rac-
conto del proprio vissuto a partire dagli oggetti contenuti nei musei.

Le fasi di lavoro

174
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Il progetto ha preso spunto dalle conchiglie della decorazione ba-


rocca di Palazzo Madama, cui hanno fatto da contrappunto le nature
morte con conchiglie del pittore Filippo de Pisis esposte alla GAM, e
lo stemma sulla facciata dell’Albergo dei Pellegrini al Borgo Medieva-
le.
Intorno a questo tema, oggetto di percorsi guidati nei musei coin-
volti, è stato avviato un confronto tra i punti di vista e i ricordi perso-
nali dei partecipanti, emersi attraverso racconti di forte impatto emo-
tivo. Il confronto autobiografico si è sviluppato nelle attività di narra-
zione orale e scritta, in una serie di giochi proiettivi, ascolti musicali,
laboratori espressivi (fotografici e pittorici) centrati sulla relazione
tra arte e persone, nella realizzazione di composizioni fotografiche
con oggetti d’affezione sul genere still life e nella creazione di pitture
policrome per un’installazione collettiva spiraliforme. Grande cura è
stata prestata agli aspetti relazionali e ai tempi di elaborazione indivi-
duale.
L’intero percorso (43 incontri per un totale di oltre 100 ore d’atti-
vità), fondato sulla stimolazione plurisensoriale e sull’interazione tra
persone e opere d’arte, è stato documentato con circa 1.500 fotografie
e 10 ore di registrazioni video. Le esperienze dei partecipanti sono
state “ricucite” in una grande installazione collettiva, presentata in
occasione di una festa finale. Una selezione delle immagini è stata ef-
fettuata per la realizzazione di un diaporama che sarà duplicato e uti-
lizzato per diffondere il progetto.

Tematica
La natura morta nelle collezioni dei musei coinvolti.

Punti di forza individuati dall’équipe di progetto


Tra i risultati più significativi per i destinatari si evidenziano la
scoperta del patrimonio, la partecipazione e il coinvolgimento, l’ela-
borazione collettiva e personale e la cooperazione creativa.
Il progetto ha avuto ricadute importanti anche per gli educatori
museali che, grazie al confronto con un pubblico eterogeneo (spesso
di provenienza extra-europea), hanno potuto sperimentare nuove
strategie di mediazione culturale. La pluralità degli sguardi dei parte-

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

cipanti è stata valorizzata per rinegoziare il significato delle collezioni


civiche e dare loro nuova vitalità.
Un altro punto di forza è stato il lavoro di condivisione con gli in-
segnanti delle scuole e dei CTP per quanto riguarda le scelte, la ge-
stione dei processi e le dinamiche avviate nel corso della sperimenta-
zione.

Criticità individuate dall’équipe di progetto


Quanto alle criticità, il proposito iniziale di far lavorare insieme
adulti e studenti afferenti a gruppi diversi è stato abbandonato a cau-
sa dell’elevato numero di iscritti, delle disparità di provenienza (20
paesi diversi) e di scolarizzazione e delle problematiche sociali che
man mano emergevano. L’équipe di progetto ha pertanto deciso di ri-
tornare a un’impostazione già collaudata nel rapporto di partenariato
scuola-museo, riservando l’incontro dei vari gruppi al momento con-
clusivo.

Differenza con le altre iniziative (già presenti e indirizzate agli


utenti italiani)
La differenza riscontrabile è il particolare pubblico a cui è rivolta
l’iniziativa.

Riscontri (interesse, affluenza)


La Fondazione Torino Musei, dato il successo dell’iniziativa, si
propone di diffondere il lavoro svolto rendendo itinerante l’installa-
zione collettiva spiraliforme, che è stata molto apprezzata. La direttri-
ce di Palazzo Madama si è resa disponibile a esporla nel Museo d’Arte
Antica e a collaborare per lo sviluppo di future iniziative nell’ambito
del dialogo interculturale.
In un’ottica di medio termine, l’auspicio della Fondazione è di dare
continuità all’esperienza sviluppando le occasioni di confronto e for-
mazione per il personale interno ai musei o con incarichi di servizi
“esternalizzati” (laboratori, visite guidate).

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

GAMeC (BERGAMO)

Le seguenti informazioni sono state tratte dall’incontro con la


Dott.ssa Brambilla del Dipartimento Didattico e dal materiale reperi-
to sui siti internet http://www.ismu.org/patrimonioeintercultura e
http://www.gamec.it

Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo


Nel 2001-2004 cinque educatori della GAMeC hanno seguito per
l’arco di tre anni scolastici cinque classi (1^, 2^, 3^, 4^, 5^) della
Scuola Primaria “Fratelli Calvi” di Bergamo, che ha più del 50% di
alunni stranieri. Il progetto, dal titolo Arte, formazione e intercultu-
ra, prevedeva interventi degli operatori su base quindicinale.
Nel 2006 è stato realizzato il progetto OspitiDONOre, sviluppatosi,
a partire dal gennaio, in sei incontri con cadenza settimanale; la mo-
stra degli elaborati ha avuto luogo dal 5 maggio al 21 maggio 2006.
Nel 2007, da febbraio a maggio, è stato realizzato un corso di for-
mazione per mediatori museali.

PROGETTO OspitiDONOre

Proposta di realizzazione
Il progetto è stato proposto dal Dipartimento Didattico del museo
e realizzato in collaborazione col Centro EDA (di educazione agli
adulti) di Redona.

L’équipe di progetto
Giovanna Brambilla Ranise, responsabile Servizi Educativi;
Sara Rubbi, educatore museale;
Giuliana Speziali, educatore museale;
Paola Nevola, stagista (Università Cattolica del Sacro Cuore di Mi-
lano, Master "Servizi Educativi del patrimonio artistico, dei musei di
storia e di arti visive");
Giusi Berardi, docente della classe del Centro EDA di Redona;

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Alfonso Modonesi, fotografo professionista.

Presenza di mediatori culturali


La prima ipotesi di creazione di un gruppo eterogeneo, basata sul-
l’adesione dei singoli al progetto, prevedeva la presenza di un media-
tore culturale. Tale ipotesi, però, è stata scartata in quanto risultava
più funzionale, per il progetto pilota, lavorare su un gruppo omoge-
neo e già formato. Si è così contattato il Centro EDA e la figura del
mediatore culturale è stata sostituita da quella dell’insegnante di ita-
liano del corso (Giusi Berardi).

Destinatari
Pubblico adulto (ma erano presenti anche due ragazzi che frequen-
tavano le scuole superiori).

Finalità
Avvicinare il pubblico adulto di origine immigrata alla GAMeC.

Obiettivi
- Avvicinare gli adulti migranti al museo (nel quale non erano mai
stati);
- trovare nel concetto di “dono” (visto che tutte le collezioni del
museo sono frutto di donazioni di cittadini) una piattaforma di dialo-
go a partire dalla quale riflettere sul senso del museo;
- utilizzare l’incontro con il museo come luogo di integrazione, di
conoscenza e di arricchimento linguistico;
- mettere in gioco i partecipanti chiedendo loro di diventare prota-
gonisti del processo creativo: questo obiettivo è stato raggiunto co-
struendo insieme a loro un “nuovo museo”; i partecipanti sono stati
invitati a scegliere degli oggetti che rappresentassero il loro rapporto
(di appartenenza/distacco, inclusione/esclusione, amore/disamore)
con la città. Questi oggetti sono stati fotografati da Alfonso Modonesi,
corredati da una didascalia che ne raccontasse il senso, scritta nella
lingua madre di ciascuno (e tradotti in tutte le lingue dei corsisti), ed
esposti in una mostra presso la GAMeC.

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Metodologia
- Interventi in museo come sostituzione di lezioni di italiano per
creare un maggior vincolo alla presenza e una maggiore motivazione
(sono persone che difficilmente seguono tutti gli interventi);
- incontri nelle sale espositive del museo;
- compresenza degli educatori museali e dell’insegnante di italia-
no;
- interventi basati sul dialogo e non sulla lectio frontalis.

Le fasi di lavoro
- Analisi della situazione dei migranti sul territorio, grazie anche
alle rilevazioni del Provveditorato e della Provincia.
- Contatti con il Centro EDA per valutare la fattibilità del coinvol-
gimento di una classe, il quale ha dato la disponibilità a sostituire una
delle due lezioni settimanali con la frequenza agli incontri del museo.
- Condivisione con l’insegnante Berardi, con gli educatori e con la
tirocinante della individuazione delle fasi di articolazione del proget-
to.
- Allestimento dello spazio museale con sedie in una sala espositi-
va per entrare nel vivo delle collezioni.
- Attivazione del percorso: il progetto si è articolato in cinque in-
contri di due ore e mezza ciascuno, che si sono svolti con cadenza set-
timanale all’interno della GAMeC. Durante il primo incontro, gli edu-
catori hanno spiegato l’origine delle collezioni Stucchi, Spajani e
Manzù, tutte e tre donate da privati alla città di Bergamo, come patri-
monio per la collettività; si è insistito molto sul concetto di dono, alla
ricerca di un significato condiviso del termine e delle sue diverse de-
clinazioni. Nella seconda e terza lezione sono state analizzate e inter-
pretate insieme ai partecipanti le opere delle collezioni, riflettendo
anche sulle diverse interpretazioni relative alle culture dei paesi di
provenienza. Negli ultimi incontri gli educatori hanno richiesto alla
classe un apporto più attivo, invitando i partecipanti a individuare un
oggetto che esprimesse il loro rapporto con la città di Bergamo e fa-
cendone dono simbolico.
- Condivisione con i partecipanti dell’idea e del significato della
mostra e scelta degli oggetti da fotografare ed esporre in museo.

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- Allestimento della mostra.

Tematica
Concetto di dono e idea delle collezioni museali come patrimonio
per la collettività.

Punti di forza individuati dall’équipe di progetto


- Lavorare con un gruppo già costituito, all’interno di un corso isti-
tuzionale di italiano (il che ha consentito di inserirsi in una iniziativa
che aveva per i migranti un marchio di credibilità).
- Avere educatori museali preparati e coinvolti.
- Fare gli incontri non in una sala conferenze ma nelle sale esposi-
tive del museo per avere un dialogo diretto con gli spazi e le opere.
- Coinvolgere i partecipanti nella valorizzazione del loro percorso
con l’ideazione, la creazione e la preparazione della mostra.

Criticità individuate dall’équipe di progetto


Del gruppo iniziale solo la metà ha portato a termine il percorso; si
tratta di una situazione genericamente diffusa nelle iniziative rivolte
ai migranti che non siano denotate da un carattere di immediata
“spendibilità”, come un titolo professionale o un posto di lavoro.
La gratuità dell’iniziativa non faceva sentire i partecipanti vincolati
a un impegno.

Materiali prodotti dagli utenti e dal museo


- Fotografie per la mostra;
- testi a corredo della mostra scritti dai partecipanti;
- resoconti degli interventi (a uso interno).

Mostre, convegni, conferenze o workshop organizzati sul tema


dell’interculturalità
Questo progetto è nato da un’esperienza del 2005, in occasione
della Giornata Mondiale dei Musei promossa dall’International
Council of Museums, dedicata al tema “Museums bridging cultures”.
In tale occasione i Servizi Educativi hanno organizzato un incontro a
porte chiuse con i referenti della cooperativa culturale Kinesis, per

180
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

valutare i possibili percorsi e collegamenti tra la GAMeC e le comuni-


tà dei migranti.

Verifiche
- Momenti di riflessione in itinere sull’andamento del percorso;
- somministrazione di un questionario di valutazione;
- riunione del gruppo di lavoro per riflettere sull’iniziativa quando
questa si è conclusa;
- stesura di relazioni di documentazione a cura della tirocinante al
termine di ogni incontro.

Corso di formazione per mediatori museali

Proposta di realizzazione
Ente promotore del progetto: Galleria d’Arte Moderna e Contem-
poranea, in collegamento con una serie di iniziative promosse dal
Teatro Donizetti di Bergamo in occasione della stagione di prosa “Al-
tri percorsi”, dedicata al tema “Tracce straniere”.

L’équipe di progetto
Giovanna Brambilla Ranise, Responsabile Servizi Educativi;
Sem Galimberti, Educatore Museale;
Giuliana Speziali, Educatore Museale;
Sabrina Tomasoni, Tirocinante (Università Cattolica del Sacro
Cuore di Brescia).

Destinatari
Pubblico adulto residente in modo stabile a Bergamo e Provincia,
con regolare permesso di lavoro/soggiorno/studio e una buona cono-
scenza della lingua italiana.

Finalità
Formare mediatori museali in grado di farsi portavoce del museo
presso le rispettive comunità e trovare nell’arte, intesa come conven-
zione, una piattaforma culturale di scambio e condivisione.

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Obiettivi
- Portare avanti un percorso che sostiene il diritto al patrimonio
culturale;
- avvicinare gli adulti migranti al museo;
- trovare nella condizione di “migrante” una ricchezza da mettere
al servizio del museo per coinvolgere connazionali nelle visite alle col-
lezioni e alle mostre; tali visite sono condotte nella lingua madre;
- utilizzare l’incontro con il museo come luogo di integrazione, di
conoscenza e di arricchimento culturale reciproco;
- sostenere la cittadinanza culturale delle persone rendendole pro-
tagoniste del processo di apertura e di accessibilità del museo.

Metodologia
- Interventi nello Spazio ParolaImmagine della GAMeC accompa-
gnati a interventi nelle sale (mostra di Soto, collezioni permanenti,
visite alla città);
- interventi basati sul dialogo e non sulla lectio frontalis; alcune le-
zioni hanno avuto una struttura laboratoriale;
- utilizzo di immagini, diapositive e videoproiezioni;
- distribuzione di materiali di studio (dispense, fotocopie, suggeri-
menti bibliografici, informazioni sulle biblioteche rionali in cui repe-
rire testi);
- promozione di interscambio tra i corsisti (attraverso la diffusione
delle e-mail dei partecipanti, dietro loro richiesta).

Le fasi di lavoro
- Analisi della situazione dei migranti sul territorio, grazie anche
alle rilevazioni del Provveditorato e della Provincia.
- Colloqui con mediatori culturali e agenzie per l’integrazione pre-
senti sul territorio per valutare la fattibilità dell’iniziativa, ritenuta
molto valida da questi interlocutori, senza nascondere le riserve sulla
effettiva adesione da parte dei migranti.
- Scelta degli educatori museali da coinvolgere e verifica della loro
disponibilità e del loro interesse.
- Stesura del bando e della domanda di iscrizione.

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- Diffusione del bando per via istituzionale (mediatori, cooperati-


ve, agenzie per l’integrazione, centri legati alle comunità del territo-
rio) e capillare (ristoranti etnici, chioschi, supermercati etnici, phone
center…).
- Raccolta delle adesioni e colloqui individuali con ogni persona
che ha presentato domanda per valutarne le competenze linguistiche,
le motivazioni, il livello di inserimento nella comunità di riferimento,
le idee relative alla possibilità reale di coinvolgere persone della stes-
sa nazionalità in visite in museo al termine del corso.
- Progettazione del corso e delle modalità di conduzione dello stes-
so.
- Selezione dei partecipanti e avvio del corso.
- Preparazione delle dispense.
- Colloquio/esame finale (maggio 2007), consegna dei diplomi (3
giugno 2007).
- Dal 3 giugno 2007 al 3 giugno 2008: anno di sperimentazione;
ogni migrante ha avuto a sua disposizione un “pacchetto” di dieci vi-
site guidate (quattro alle collezioni permanenti e sei alle mostre tem-
poranee, per le quali sono stati previsti interventi di formazione in iti-
nere condivisi con gli educatori museali), rivolte ai propri connazio-
nali e retribuite dalla GAMeC. In questo periodo, grazie all’apporto
dei mediatori, più di 500 migranti hanno varcato le soglie del museo
(molti dei quali per la prima volta).
- Revisione e riprogettazione della modalità dell’operato dei me-
diatori museali.
- A partire dal settembre 2008 una nuova fase del progetto vede i
mediatori coinvolti nelle scuole – dall’infanzia alle superiori – per
creare un contatto con le ultime generazioni e, per tramite loro, con i
genitori e i familiari.

Tematica
Museologia, storia dell’arte, italiano.

Punti di forza individuati dall’équipe di progetto


Nello svolgimento del corso di formazione:

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- impegno dei corsisti (parzialmente garantito dalla cauzione di 50


euro, che è stata restituita nel caso in cui la frequenza al corso sia sta-
ta equivalente al 75% delle lezioni);
- buona conoscenza della lingua italiana da parte dei corsisti;
- forte motivazione dei corsisti, che hanno visto nell’iniziativa la
possibilità di diventare protagonisti della vita culturale della città non
svalutando ma valorizzando la propria diversità;
- ottimo livello culturale dei corsisti (anche se non con lauree spe-
cifiche);
- avere educatori museali preparati e coinvolti;
- dialogo diretto con le opere.

Nelle visite condotte dai mediatori durante l’anno di sperimenta-


zione:
- forte impegno nella continua formazione e aggiornamento;
- attivazione di modalità di formazione condivise con quelle dedi-
cate agli educatori museali, per dare vita a una fusione tra i due grup-
pi, peraltro non senza organizzare incontri di chiarificazione e appro-
fondimento rivolti i mediatori (ma aperti anche agli educatori);
- costante contatto e scambio di informazioni, idee e suggerimenti
tra i Servizi Educativi e i mediatori;
- percezione dell’importanza culturale del ruolo rivestito, anche nei
confronti della comunità di riferimento.

Criticità individuate dall’équipe di progetto


- Difficoltà di coinvolgimento di alcuni migranti, per la diffidenza
verso la gratuità del servizio, o per il timore di controlli sui permessi
di soggiorno;
- non tutti i mediatori sono riusciti a portare i connazionali in mu-
seo, a volte per motivi di lavoro, a volte per difficoltà incontrate nel
coinvolgimento dei concittadini, a volte perché c’è stato il bisogno di
sentirsi più sicuri nella conoscenza delle opere delle collezioni e delle
mostre.

Materiali prodotti dagli utenti e dal museo

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Le attività, i prodotti, i servizi che i mediatori della GAMeC hanno


realizzato come esito dell’esperienza vissuta durante il corso di for-
mazione si articolano a più livelli.
In primo luogo vi sono i “prodotti di formazione”, ovvero le com-
petenze, gli strumenti e le abilità di mediazione acquisite dai parteci-
panti e applicate nello svolgere il ruolo di “interpreti” del patrimonio
culturale della GAMeC.
In una tesina prodotta per il colloquio finale, i partecipanti hanno
illustrato quali opere avrebbero scelto per introdurre le loro comunità
di riferimento alle collezioni della GAMeC e il perché.
Nel corso dell’anno di sperimentazione, la “produzione” è coincisa
con le visite guidate ai gruppi di connazionali e con il diretto coinvol-
gimento dei mediatori in alcuni progetti della GAMeC:
- installazione “Futuro ritorno” dell’artista Luca Vitone (nell’ambi-
to della mostra “Ovunque a casa propria”, GAMeC, aprile-maggio
2008): un collage di interviste a migranti che risiedono a Bergamo e
provincia, realizzate grazie alla collaborazione dei Mediatori Museali
della GAMeC.
- Rassegna di film in lingua originale “Sudamericana. Destinazione
cinema”, una collaborazione GAMeC, Fondazione Dalmine e Funda-
cion Proa di Buenos Aires (Bergamo, 18-21 giugno 2008): ai mediato-
ri è stato chiesto un aiuto affinché questa iniziativa possa essere vis-
suta e partecipata attivamente da tutti i cittadini provenienti dai Pae-
si dell’America Centrale e Meridionale (che formano una delle più
importanti comunità di migrazione sul territorio), attraverso la con-
divisione e la progettazione condivisa della rassegna stessa e degli
eventi collaterali.
- Proiezione per il pubblico cinese del film su Yan Pei-Ming, in lin-
gua francese ma sottotitolato in cinese dalla mediatrice museale
Anna Zhang, che ha coinvolto la comunità cinese invitandola ad assi-
stere alla proiezione e a visitare poi la mostra dell’artista, sempre in
lingua originale.

Verifiche
Durante il corso di formazione:

185
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- incontri periodici tra la Responsabile dei Servizi Educativi e gli


educatori museali per la verifica degli apprendimenti;
- questionari somministrati ai partecipanti a fine progetto per va-
lutare l’incidenza del percorso sulla loro formazione e sul loro rap-
porto con il museo;
- testo finale dei corsisti.

Durante e a conclusione dell’anno di sperimentazione:


- colloquio individuale per valutare questo primo anno di attività. Il
colloquio riguarda il rapporto dei mediatori sia con il museo che con i
connazionali, e approfondisce temi quali le difficoltà di approccio con
le comunità di riferimento, la validità della nostra formazione in iti-
nere, un bilancio delle visite guidate, una valutazione di come si è
modificato il rapporto con il territorio.

MAMbo (BOLOGNA)

Le seguenti informazioni sono state tratte in parte dal materiale


reperito sui siti http://www.ismu.org/patrimonioeintercultura e
http://www.mapforid.it e in parte dalla visione del DVD “City Tel-
ling”.

Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo


Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna ha realizzato, dal
novembre 2008 all’ottobre 2009, il progetto City Telling.

Proposta di realizzazione
Il progetto è nato su iniziativa del Museo, nell’ambito del progetto
europeo MAP for ID- Museums as Places for Intercultural Dialogue
ed è uno dei sette progetti pilota selezionati in Emilia Romagna.

L’équipe di progetto
L’équipe di progetto è stata composta da:

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Dipartimento Educativo MAMbo:


Cristina Francucci, consulenza scientifica
Anna Caratini, coordinamento generale
Ilaria Del Gaudio, educatore museale responsabile
Daniele Campagnoli, operatore video
Quartiere San Donato (Pres. Riccardo Malagoli, Micaela Guarino,
Elisabetta Zucchini)
Servizio Minori e Famiglie Poliambulatorio Pilastro (Vincenzo Sa-
vini)
Progetto Katun – Cooperativa attività Sociali (Silvia Branca, Anto-
nio Fusaro e Piero Loi)
Con la collaborazione di IBC – Istituto Beni Culturali della Regio-
ne Emilia-Romagna (Valentina Galloni, Micaela Guarino, Antonella
Salvi, Margherita Sani).

Presenza di mediatori culturali


Dal materiale analizzato non risulta la collaborazione di mediatori
culturali.

Destinatari
Giovani italiani e migranti tra i 14 e i 25 anni appartenenti ai grup-
pi giovanili Katun e Katun Party del Quartiere San Donato di Bologna
per un totale di circa 15 partecipanti.

Finalità
Sottesa al progetto City Telling vi è la convinzione che, seguendo
l’affermazione di Galimberti234 “abitare il mondo significa umanizza-
re le cose, rendersele familiari, avere nei loro confronti quella sorta
di consuetudine che sta alla base delle nostre quotidiane abitudini e
delle nostre consumate abilità”235. Il territorio diventa uno spazio
condiviso da cui partire per realizzare elaborati che ne raccontino l’i-
dentità percepita e vissuta, mappe geo-emotive che indagano il rap-

234
U. Galimberti, Il Corpo, Feltrinelli, Milano, 1983
235
Sito Patrimonio e Intercultura,
http://www.ismu.org/patrimonioeintercultura/index.php?page=esperienze-
show.php&id=52 ( 18/01/10)

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

porto tra soggetto e luogo, tra identità privata e spazio pubblico. L’in-
tento è stato quello di fornire ai partecipanti nuovi strumenti per co-
noscere il territorio in cui vivono, offrendo loro la possibilità di ritrar-
si “in loco”, costruendo un terreno comune, uno “spazio terzo” di con-
divisione culturale, linguistica ed estetica.

Obiettivi
- Favorire l’accesso ai luoghi della cultura e alle attività culturali;
- utilizzare l’incontro con l’arte e i suoi mezzi espressivi per poten-
ziare le capacità dei giovani di orientarsi in maniera critica e persona-
le nel mondo delle comunicazioni e nel mondo che ci circonda;
- sviluppare le potenzialità del museo come luogo di dialogo e pro-
muovere un impegno più attivo nei confronti di tutti i cittadini, utiliz-
zando il patrimonio come fonte di scambio interculturale;
- creare un progetto inter-museale, fondato sulla condivisione di
valori, metodi e buone pratiche.

Nel lungo termine, un obiettivo fondamentale di City Telling è di


stabilire un legame duraturo tra il MAMbo e il gruppo coinvolto nel
progetto, in modo da accrescerne il livello di “confidenza” con i luo-
ghi e i linguaggi dell’arte contemporanea.

Metodologia
La metodologia è stata oggetto di confronto e scambio dapprima
con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (per la stesura di un
progetto educativo condiviso) e in seguito con le istituzioni della città
di Bologna coinvolte.
Il progetto si è basato sul metodo autobiografico, attraverso la nar-
razione orale, scritta e per immagini (video e foto), l’espressione cor-
porea e vocale.
Sono state inoltre sperimentate varie modalità relazionali all’inter-
no del gruppo partecipante.
Il vissuto dei giovani, le loro reazioni agli stimoli ricevuti, l’ascolto
delle loro esperienze e vicende personali hanno sempre costituito il
nucleo centrale intorno al quale lavorare e riflettere.

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Le fasi di lavoro
Il progetto è durato da novembre 2008 a ottobre 2009.
Le principali fasi di lavoro sono state:
- comunicazione sul territorio del progetto, attraverso diversi in-
contri con i responsabili del territorio, con gli educatori dei gruppi
giovanili Katun e Katun Party e con i potenziali partecipanti;
- visite e laboratori all’interno del Museo con i giovani interessati
per favorire l’approccio ai linguaggi dell’arte contemporanea, consi-
derati come pretesto iniziale per un percorso in cui lo sguardo rinno-
vato e la creatività personale sono fondamentali;
- incontri dedicati a “passeggiate” nel quartiere. Utilizzando la
mappa del Quartiere Pilastro, i partecipanti hanno individuato i luo-
ghi per loro significativi (scuole, biblioteche, giardini, installazioni
urbane, punti d’incontro...), mettendo in comune suggestioni e storie
personali e raccogliendole in un diario di viaggio, fatto di contributi
fotografici, sonori e video;
- progettazione di un supporto multimediale in collaborazione con
il Dipartimento Educativo della Fondazione Sandretto Re Rebauden-
go e il Museo Nazionale del Cinema. La piattaforma, che conterrà i
contributi raccolti nel corso del progetto, è stata progettata tramite
Google Earth; l’interfaccia visualizza i luoghi mappati, sarà accessibi-
le a tutti i partecipanti al progetto, e può essere utilizzata per presen-
tare i risultati del percorso e condividere buone pratiche con altri
gruppi di lavoro e istituzioni culturali. Le caratteristiche grafiche
sono state progettate da un gruppo di studenti del Primo Liceo Arti-
stico (Curvatura Cinema e Arti Visive) di Torino, guidati dai Diparti-
menti Educativi della Fondazione Sandretto e del Museo del Cinema;
la realizzazione della piattaforma informatica è a cura di Ars Media.

Ciascun incontro (sia al MAMbo sia al Pilastro) si è svolto alla pre-


senza degli operatori sul territorio, degli educatori museali e dell’ope-
ratore video.

Tematica
È stato sviluppato il tema della ri-scoperta della città e del territo-
rio.

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Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Punti di forza individuati dall’équipe di progetto


Il progetto ha costituito un importante primo passo nell’affrontare
percorsi interculturali anche all’esterno del Museo, con un target di
pubblico difficilmente raggiungibile per età e contesto culturale. I
punti di forza individuati sono:
- lo scambio di punti di vista differenti con i partner, confronto tra
diverse metodologie operative;
- la sperimentazione e lo sviluppo delle competenze interculturali
dello staff del Dipartimento Educativo del MAMbo;
- lo sviluppo delle relazioni interpersonali che hanno portato al
proseguimento degli incontri con i partecipanti su iniziativa sponta-
nea dei ragazzi stessi e degli operatori sul territorio, sia per presenta-
re il progetto e i suoi risultati al Pilastro, sia per sviluppare nuove e
future tipologie di intervento.

Il progetto ha portato a risultati molto soddisfacenti nonostante un


forte momento di difficoltà a metà percorso. Per superare questa fase
problematica sono stati fondamentali il dialogo tra gli operatori dello
staff di lavoro e momenti d’incontro con i ragazzi, anche non stretta-
mente legati al progetto stesso. La conoscenza reciproca e lo sviluppo
delle relazioni interpersonali hanno aumentato il coinvolgimento dei
giovani all’interno del progetto e la loro disponibilità verso gli educa-
tori museali. Anche il Museo, inizialmente percepito come un “qual-
cosa che non fa per me”, è stato riconsiderato sotto una nuova luce
dai partecipanti.
Infine, City Telling ha esercitato un significativo impatto a livello
istituzionale in termini di:
- rapporto con una tipologia di pubblico spesso distante dai luoghi
dell’arte contemporanea;
- impegno a realizzare un progetto interculturale su base annuale o
a lungo termine.

Criticità individuate dall’équipe di progetto


- Iniziale difficoltà nel trovare un linguaggio comune tra educatori
museali ed educatori dei gruppi Katun e Katun Party;

190
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- iniziale difficoltà nell’adeguare la metodologia educativa del Mu-


seo a quella adottata all’interno dei gruppi; questo fattore ha avuto
tuttavia dei risvolti positivi in termini di continuo monitoraggio del
progetto, che è stato adattato alle esigenze e ai tempi dei ragazzi;
- il Gruppo Katun ha attraversato alcune difficoltà per motivazioni
esterne al progetto;
- carenza di tempo;
- diffidenza iniziale nei confronti del Museo.

Da queste criticità sono emersi alcuni importanti punti di attenzio-


ne per la progettazione di attività future:
- prevedere tempi lunghi per lo sviluppo di progetti come questo,
in modo da consentire una maggiore conoscenza del contesto e del-
l’utenza specifica a cui il museo si vuole rivolgere, nonché lo sviluppo
delle relazioni interpersonali tra i partecipanti;
- considerare l’importanza di occasioni d’incontro mirate all’inseri-
mento degli educatori esterni all’interno del gruppo di ragazzi coin-
volti;
- prevedere in tutte le fasi del progetto momenti in cui le istituzio-
ni, gli educatori e i partecipanti coinvolti possano conoscersi recipro-
camente, per stabilire un linguaggio e un sentire comuni, e instaurare
un rapporto di fiducia reciproca.

Differenza con le altre iniziative (già presenti e indirizzate agli


utenti italiani)
Le differenze riscontrabili consistono nel particolare pubblico a cui
è rivolta l’iniziativa e nel rapporto interpersonale stabilitosi coi parte-
cipanti, più complesso e continuo di quello normalmente stabilito
con le classi che partecipano alle attività didattiche del museo.

Riscontri (interesse, affluenza)


A parte l’iniziale difficoltà a dialogare nel modo corretto coi ragazzi
coinvolti, è stata poi superata la diffidenza iniziale e i partecipanti
hanno risposto in modo positivo, contribuendo con entusiasmo alla
realizzazione del progetto.

191
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Materiali prodotti dagli utenti e dal museo


La produzione del progetto è molto variegata:
- video-interviste fatte ai ragazzi e autoritratti fotografici, utilizzati
come preliminare riflessione sui concetti di identità e sulla relazione
con il quartiere;
- contributi audio-video di diversa durata (dai 2 ai 10 minuti) rea-
lizzati durante le passeggiate al Pilastro e nelle sedi di ritrovo dei
gruppi Katun e Katun Party; nei video i ragazzi raccontano e si rac-
contano attraverso i luoghi selezionati (il parco per ricordare il primo
bacio, il campetto da calcio per confidarsi o chiacchierare), attraverso
dialoghi oppure canzoni e brevi performance;
- una ricca produzione fotografica realizzata dai ragazzi e relativa
ai luoghi mappati (40 fotografie);
- appunti grafici e scritti che raccolgono suggestioni e parole chiave
suscitate dai luoghi mappati.

Come “prodotto di formazione” è opportuno segnalare la predile-


zione per la fotografia e la disinvoltura acquisita nell’utilizzo di que-
sto linguaggio da alcuni dei partecipanti, che stanno ipotizzando di
sviluppare tale competenza anche al di fuori del progetto.
Infine, i laboratori condotti al Museo all’inizio del percorso hanno
prodotto elaborati grafico-pittorici dedicati alla Collezione Perma-
nente del MAMbo e alla mostra temporanea Giorgio Morandi 1890-
1964.
Tutti i materiali prodotti sono stati raccolti nel DVD con piattafor-
ma multimediale interattiva prodotto in collaborazione con la Fonda-
zione Sandretto Re Rebaudengo e il Museo Nazionale del Cinema di
Torino.

Mostre, convegni, conferenze o workshop organizzati sul tema


dell’interculturalità
È stata organizzata una presentazione del progetto nella sala con-
ferenze del MAMbo, che ha avuto luogo il 26 giugno 2009 in occasio-
ne dell’incontro finale legato al partenariato di apprendimento
Gruntvig “European Museum Education and Young People”.
Il museo ha inoltre presentato il progetto nelle seguenti occasioni:

192
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- giovedì 17 settembre 2009, nell’auditorium della Fondazione


Sandretto Re Rebaudengo, con la partecipazione di tutte le istituzioni
partner, degli studenti e delle loro famiglie;
- 2 ottobre 2009, presso la Fondazione Querini Stampalia di Vene-
zia in occasione della XIII Giornata Regionale di Studio sulla Didatti-
ca Museale, “Fare spazio. Le relazioni educative nell’arte contempo-
ranea”;
- dal 14 al 16 ottobre 2009, durante il convegno conclusivo del pro-
getto europeo “MAP for ID”, tenutosi a Madrid presso il Museo de
Amèrica;
- 19 novembre 2009, presso il Teatro delle Muse di Ancona in oc-
casione del convegno “La città che cambia. Patrimonio culturale e
identità locali”

Museo Pecci (Prato)

Le seguenti informazioni sono state tratte dal materiale informati-


vo inviato dal museo.

Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo


Il museo ha realizzato dal dicembre 2000 al febbraio 2001, il pro-
getto Radici Intrecciate.

Proposta di realizzazione
Il progetto è stato realizzato su iniziativa del museo.

L’équipe di progetto
Il Dipartimento Didattico del museo, coordinato da Riccardo Fari-
nelli, responsabile dei servizi didattici, con la collaborazione dell’arti-
sta e calligrafo Tso Chung Kuen e dell’artista Gilberto Zorio.

Presenza di mediatori culturali


Dal materiale analizzato non risulta la presenza di mediatori cultu-
rali.

193
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Destinatari
Le conferenze erano rivolte al pubblico adulto, la parte laborato-
riale riguardava la scuola secondaria di primo grado "Ser Lapo Maz-
zei".

Finalità
Il progetto si è articolato in laboratori e conferenze sulla cultura
orientale, in particolare cinese, per favorire, attraverso la conoscenza
e la riflessione, il rispetto e l'integrazione fra popoli e culture diverse.
Obiettivi
Per quanto riguarda il laboratorio Lo spazio e le sue regole l’obiet-
tivo era considerare l’immagine quale potente possibilità comunicati-
va, ovvero come linguaggio che, nei suoi tratti caratterizzanti, può es-
sere compreso universalmente, qualunque sia la cultura di chi ne
usufruisce.
Per quanto riguarda il laboratorio Dal pittogramma al segno l’o-
biettivo era la conoscenza della scrittura cinese e la scoperta di come
nella cultura cinese non ci sia stacco concettuale tra scrittura, disegno
e pittura, ma vengono utilizzati lo stesso strumento e le stesse proce-
dure logiche.
Per quanto riguarda invece il laboratorio Energia e segno l’obietti-
vo era evidenziare come il segno sia energia e come questa sia il se-
gnale visibile di una memoria e di una volontà.

Metodologia
Conferenze e laboratori.

Le fasi di lavoro
Lo spazio e le sue regole
Il lavoro di laboratorio inizia con stimolazioni tendenti a chiarire
ed evidenziare l'importanza del formato del supporto, che diventa il
campo visivo nel quale si rende intellegibile la figurazione. La propor-
zione delle figure rispetto al formato e la loro collocazione nello spa-
zio/foglio assumono significati comunicativi diversi. Si è trattato

194
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

dunque di rendere coscienti sul significato del rapporto formato/oriz-


zonte nella comunicazione visiva e nella capacità evocativa di questa
nel momento in cui ci si accinge a costruire un'immagine. A questo
scopo l'invito era a riempire un intero foglio di linee continue, sempre
diverse, attraversando ogni volta in orizzontale lo specchio del forma-
to.
Successivamente veniva scelta una di queste linee e collocata in
formati diversi creando un orizzonte.
Le variabili date dalla diversità del formato e dalla diversa colloca-
zione dell'orizzonte suggeriscono immagini diverse, diversità resa
evidente dalla disposizione di piccole forme in cartoncino, fossero
esse casuali o no. Nel riguardare quanto fatto, risulta evidente quanto
sia potente la forza evocatrice del rapporto orizzonte/formato, anche
quando le forme collocate non fossero ben caratterizzate.
Ciò che la figurazione così costruita "pare e sembra ", viene meglio
evidenziato negli elaborati successivi dove l'invito è teso a cercare il
modo di caratterizzare meglio i singoli elementi, ridisegnandoli ope-
rando le aggiunte che ognuno ritiene opportune.
L'aggiunta finale del colore, inserisce nell'immagine ulteriori e in-
tellegibili informazioni.

Dal pittogramma al segno


Inizialmente è stata diversificata e schematizzata la scrittura cinese
in:
- pittogrammi (disegni), cioè quell'insieme di segni grafici che in
origine erano la stilizzazione di ciò che volevano rappresentare ( es. :
uomo, montagna, sole, luna)
- ideogrammi (idea), cioè quell'insieme di segni grafici i quali, at-
traverso la stilizzazione di un qualcosa di riconoscibile, intendono
esprimere un'idea che a quello si riconnette (es.: crescere=albero,di-
videre= un fiume fra due anse, casa=una capanna con all'interno un
maiale, ecc.)
- suonogrammi (suono), cioè tutti i segni di scrittura aventi ognu-
no un suo suono. Ciò si rivela utile per la traduzione di nomi non ci-
nesi, altrimenti intraducibili

195
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- concettogrammi (concetti), cioè quei segni grafici più complessi,


nei quali vengono uniti due ideogrammi diversi (es.: buono,
felice=ideogramma della donna+ideogramma di bambino,
maschio=ideogramma di un campo arato+ideogramma dell'aratro,
ecc.)
Poichè nella lingua cinese è importante la sequenza dei movimenti
e la giusta collocazione nello spazio, vengono distribuite pagine già
suddivise a questo scopo, invitando a copiare alcuni ideogrammi,
usando il pennello intinto nella china. Successivamente vengono illu-
strati i principi-base dei numeri cinesi e i grafemi a essi relativi;
ognuno è poi invitato a scrivere, sempre a pennello, il proprio nome e
la data di nascita, ripetendolo più volte.
Lo strumento del pennello viene usato anche nel disegno e nella
pittura, utilizzando le gradazioni del nero ottenute per diluizione. Per
far meglio comprendere, vengono distribuite fotocopie di immagini
così composte e, dopo aver precisato che è necessario partire dalle
parti più scure (ovvero con china senza acqua), ognuno è invitato a
copiarle utilizzando un supporto di carta robusta e assorbente di for-
mato quadrato.
Infine il colore è visto come ulteriore possibilità espressiva e co-
municativa: utilizzato molto diluito si invita a produrre delle macchie
che poi vengono rielaborate e meglio precisate con ritorni e ripassi a
china nera pura.

Energia e segno
Sono state analizzate le caratteristiche dell’argilla: poiché è un ma-
teriale elastico, può essere formato; ciò significa che è capace di regi-
strare i gesti e l'energia occorsa nell'azione, mantenendone poi la me-
moria.
Ciò che si compone con l'argilla è qualcosa di concreto, sia nel sen-
so manipolativo che in quello del risultato finale (i primi oggetti in ar-
gilla sono ciotole d'uso, oppure figure d'animali).
Insieme alla concretezza, l'argilla ci ricorda la mutevolezza (impli-
cita nel concetto di storia) ; la dimostrazione di questo è sia nel fatto
che una forma in argilla può essere modificata, sia nell'immersione di

196
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

questa nell'acqua: essa finirà per impregnarsi fino a sciogliersi com-


pletamente.
Il contatto con il fuoco ne modifica radicalmente lo stato, renden-
do permanente la forma data: la terracotta immersa nell'acqua non si
scioglie.
Ciò che si è deciso di imprimere nell'argilla, creando forme tridi-
mensionali, esprime volontà e lancia segnali comunicativi che posso-
no essere valorizzati, modificati, contraddetti dall'aggiunta del colore.
La chimica contemporanea ha creato dei colori "eccitati" (ovvero
gridati, sopra le righe) che si valorizzano o addirittura si rendono vi-
sibili in situazioni estreme, come per esempio i colori al fosforo che
brillano al buio, oppure sotto l'azione di una luce particolare, come
per esempio il chinino contenuto nelle bottiglie di schwepps sotto la
lampada di wood. Entrambi i casi contraddicono la "visione
naturale", valorizzando però aspetti altrimenti nascosti o poco rileva-
ti.
Lavorando su questi principi, le forme tridimensionali in argilla
possono essere colorate in modo diverso, sia cromaticamente che per
composizione chimica (es. l'interno di una forma concava può essere
valorizzato usando per l'interno un colore al fosforo, brillante al
buio).

Tematica
Lo spazio e le sue regole
Sono stati presi in considerazione alcuni degli elementi propri del
linguaggio iconico, attinti prevalentemente dai grandi capitoli della
composizione e della percezione, introducendo, per esempio, la no-
zione di spazio inteso come campo visivo, sia nella sua estensione in
piano che in profondità. Il piano di lavoro dei due incontri può dun-
que essere schematizzato nel modo seguente:
- lo spazio: elementi compositivi e percettivi;
- il formato: estensione in piano;
- l'orizzonte: variabili, sue collocazioni nel formato;
- uso adeguato di strumenti, forme, segni: estensione in profondi-
tà.

197
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Dal pittogramma al segno


Analisi e sperimentazione della scrittura cinese.

Energia e segno
L’argilla intesa come materiale “primario”, cioè frutto di una lunga
sedimentazione, che è la risultante di azioni ripetute nel tempo ( terre
che si uniscono e impastano ad altri elementi organici, quali legno,
foglie e altro che subiscono la compressione degli strati superiori e
l'azione “infiltrativa” delle acque) utilizzare per stimolare una rifles-
sione su quanto si definisce "atto creativo".

Punti di forza individuati dall’équipe di progetto


I punti di forza sono stati quelli legati alla scelta di "mirare" il pro-
getto su un target preciso (studenti scuola secondaria di primo
grado), e in particolare su una scuola che è collocata in un quartiere
di Prato a forte concentrazione di orientali (cinesi in particolare);
come pure la scelta di privilegiare la parte operativa su quella teorica
(che invece è stata privilegiata per gli adulti con conferenze pomeri-
diane). Conseguentemente, un altro punto di forza è stato quello di
considerare l'immagine artistica come codice comunicativo universa-
le così come è stato dimostrato nei diversi appuntamenti di laborato-
rio, infine l'aver chiamato a trattarne persone fortemente competenti,
presentando ciascuna un angolo di visuale di quel codice comunicati-
vo. E' chiaro che il successo è stato dato anche dalla chiarezza degli
obiettivi che erano quelli di fornire informazioni utili sulle due cultu-
re senza insistere sul come queste dovessero essere fruite e assimila-
te, favorendo il cammino verso l'abbattimento delle barriere culturali.

Criticità individuate dall’équipe di progetto


Il punto di debolezza è riferibile alla non continuità, per cui l'espe-
rienza pur positiva non ha avuto seguito e dunque è mancata la ripre-
sa delle positive indicazioni e stimolazioni, anche all'interno della
scuola; e anche l'aver trovato poca eco, scambiando il tutto per una
delle tante iniziative, oltre naturalmente al poco badget che non ha
permesso, per esempio, una pubblicazione che ne testimoniasse il
contributo.

198
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Differenza con le altre iniziative (già presenti e indirizzate agli


utenti italiani)
Dal materiale analizzato non risultano particolari differenze con il
resto della programmazione didattica.

Riscontri (interesse, affluenza)


Il riscontro relativamente agli studenti è stato decisamente positi-
vo, più tiepida invece l'accoglienza degli adulti, tranne che per quella
parte (minoritaria) specialista di settore già interessata all'argomen-
to.

Materiali prodotti dagli utenti e dal museo


Gli utenti hanno prodotto oggetti in ceramica e disegni. Alcuni di
questi ultimi sono stati utilizzati dal museo per creare dei pannelli
esplicativi.

Mostre, convegni, conferenze o workshop organizzati sul tema


dell’interculturalità
All’interno del progetto è stato realizzato un ciclo di conferenze
(sei in tutto) rivolte agli adulti e trattavano vari aspetti della cultura
cinese, anche contemporanea.

Pinacoteca di Brera (Milano)

Le seguenti informazioni sono state tratte in parte dal libro volume


“A Brera anch’io. Il museo come terreno di dialogo interculturale”
edito da Electa e in parte dalla partecipazione al percorso in Pinaco-
teca con una classe quarta della scuola primaria Tommaso Grossi, in
data 16 dicembre 2009.

199
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Iniziative legate all’interculturalità presenti nel museo


La Pinacoteca di Brera ha sviluppato il progetto A Brera Anch’io.

Proposta di realizzazione
Il progetto A Brera anch’io nasce nel novembre 2002, promosso
dalla Soprintendenza per il Patrimonio Artistico ed Etnoantropologi-
co di Milano e dall’Associazione Amici di Brera.
L’idea del progetto nasce da tre assunti fondamentali:
L’importanza del ruolo sociale del museo, legato alla sua “autorità
culturale”236 (cioè il suo potere di creare significato e influenzare la
percezione dei visitatori) che fa sì che esso sia fondamentale in quei
processi che determinano l’integrazione di individui e gruppi nella
società. Il museo viene visto come “veicolo di coesione sociale”237,
mentre spesso le più importanti istituzioni pubbliche hanno funzio-
nato come “dispositivi di differenziazione”, collocando le diverse cul-
ture in gerarchie secondo criteri etnici. Il museo quindi non è mai
neutro: o lavora esplicitamente per l’integrazione, o lavora contro.
L’importanza di rivedere il concetto di patrimonio. Non più da
identificare con la storia, ma come una “costruzione culturale che
(…)coincide (…) con il passato cui individui e gruppi decidono di at-
tribuire un valore al fine di soddisfare e/o legittimare esigenze at-
tuali”.238 Occorre anche abbandonare la concezione del patrimonio
come un dato precostituito, determinato dalla nascita, che non si può
acquisire. Queste due concezioni trasformano il patrimonio in un
pretesto di esclusione e segregazione. Occorre invece viverlo in modo
“mobile”, interrogandolo e rileggendolo alla luce del tempo presente
e dei vissuti quotidiani.
Il valore interculturale del patrimonio artistico, “…in quanto abi-
tua e sensibilizza al riconoscimento delle molteplici diversità di cui
esso è portatore”.239 Molte opere infatti sono l’espressione dell’incon-
236
S. Bodo, E. Daffra,S. Mascheroni, A. Montalberti, M. Sozzi, P. Strada (a cura
di), op. cit., p. 11.
237
Ibidem.
238
Ibidem, p. 12.
239
L. Branchesi, La Pedagogia del Patrimonio in Europa, in M. Costantino (a cura di,)
Mnemosyne a scuola. Per una didattica dei beni culturali, Franco Angeli, Milano 2001,

200
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

tro tra culture diverse e il museo permette quindi di “accostarsi alla


‘differenza’ come a una parte vitale (…)del nostro patrimonio inter-
culturale e del nostro vissuto quotidiano, riconoscendola come fonte
indispensabile di crescita e mutamento”.240

L’équipe di progetto
Il progetto è stato ideato e sviluppato da un gruppo comprendente
figure professionali diverse:
Emanuela Daffra (Responsabile Servizi Educativi, Pinacoteca di
Brera);
Rosa Giorgi, Alessandra Montalbetti (storiche dell’arte, esperte in
educazione museale);
Simona Bodo, Silvia Mascheroni (esperte in pedagogia del patri-
monio e problematiche di diversità culturale e inclusione sociale nei
musei);
Anna Laysa Di Lernia, Giovanna Mochi, Milena Sozzi, Luigia Ver-
solatti (insegnanti).
A questo nucleo operativo si sono di volta in volta affiancati con
compiti specifici (formazione, verifica, confronto) esperti di singole
tematiche, mediatori culturali, pedagogisti.

Presenza di mediatori culturali


Ci si è avvalsi della collaborazione di mediatori museali soprattutto
nella fase progettuale.

Destinatari
Si tratta di un progetto di educazione al patrimonio in chiave inter-
culturale, rivolto alle classi quarte e quinte della scuola Primaria e
alle classi prime e seconde della scuola secondaria di primo grado.
Il progetto A Brera anch’io, non si rivolge solamente agli alunni
immigrati o di origine immigrata. Questo perché occorre che tutti,
italiani e stranieri, sviluppino un’effettiva comunicazione intercultu-
rale. Si tratta perciò di far acquisire agli alunni una sensibilità mag-
p. 115.
240
S. Bodo, E. Daffra,S. Mascheroni, A. Montalberti, M. Sozzi, P. Strada (a cura
di), op. cit., p. 14.

201
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

giore verso il proprio ambito personale, rendendosi conto di quanto


sia parziale e ristretto, invitandoli a iniziare la ricerca di un legame
con l’altro da sé.
Un progetto pilota precedente, chiamato Mio, tuo…nostro! ed ela-
borato dall’Associazione Amici di Brera, nell’autunno del 2000, era
invece rivolto ai cittadini di origine immigrata di Milano. In questo
progetto, essi erano invitati a conoscere meglio i loro luoghi di ritrovo
preferiti, che in alcuni casi coincidono con importanti complessi mo-
numentali di rilevanza artistica (piazza Mercanti, piazza Duomo, Ca-
stello Sforzesco…). Oggi questi percorsi vengono realizzati solo dietro
specifiche richieste da parte di gruppi organizzati e legati a scuole di
italiano per stranieri.

Finalità
Le finalità di questo progetto sono:
Educare i cittadini in formazione alla conoscenza e all’uso consa-
pevole del patrimonio culturale;
esplorare il museo e il patrimonio quali possibili terreni di dialogo
e confronto interculturale.

Obiettivi
- Conoscere un museo e alcune delle opere in esso custodite, per
imparare a comprenderli;
- educare all’ascolto e al dialogo come occasione non solo per co-
noscere gli altri, ma anche per avvicinarsi, o ritornare, ad alcuni tratti
connotativi della cultura di appartenenza;
- far apprendere conoscenze, competenze e comportamenti trasfe-
ribili anche in altri contesti e in altri musei;
- offrire agli insegnanti uno stimolo a rileggere la prassi didattica.

Metodologia
A Brera anch’io segue due direzioni: da un lato l’esplorazione del
museo e del patrimonio quali possibili terreni di dialogo e confronto
interculturale, dall’altro la sperimentazione del metodo autobiografi-
co nell’incontro con l’opera.

202
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Si tratta di un metodo attraverso il quale, parlando di sé, è possibi-


le “ripercorrere e mettere in questione le nostre esperienze, la nostra
vicenda di apprendimento”.241 Il lavoro autobiografico presuppone il
dialogo e quindi ha bisogno di aprirsi alla narrazione, all’altro, alla
comunicazione.
Grazie a questo metodo si possono perciò sviluppare:
- il meticciamento di prospettive diverse;
- lo spiazzamento e la mobilità cognitiva;
- la problematizzazione del nostro punto di vista;
l’acquisizione di consapevolezza sulle rappresentazioni proprie di
ciascuno, che spesso si fossilizzano in stereotipi.

In questo processo di auto-narrazione le immagini sono utili “sia


come mediatori di relazione per parlare di sé, per narrarsi e narra-
re, sia come strumenti linguistici più facilmente ed universalmente
condivisibili”242. Le immagini, inoltre, possono aiutare a comprende-
re che i loro significati sono molteplici, poliedrici e strettamente lega-
ti al vissuto di chi le produce e di chi le osserva.
Viene qui messa in evidenza l’importanza dell’aspetto relazionale.

Le fasi di lavoro
Questo progetto si sviluppa in cinque fasi, oltre ai tre incontri che
coinvolgono solo le insegnanti e i responsabili del progetto (all’inizio,
a metà progetto, al termine).
- a scuola: acquisizione di prerequisiti attraverso attività progettate
e realizzate dalle insegnanti, a partire da argomenti e temi definiti dai
responsabili di progetto;
- prima visita in Pinacoteca: presentazione di due opere con ani-
mazione e attività su schede;
- a scuola: rielaborazione di ciò che è stato fatto in Pinacoteca e
consolidamento di ciò che è stato appreso. Preparazione alla seconda
visita.
- seconda visita in Pinacoteca: presentazione di altre due opere,
sempre attraverso l’animazione e le attività su schede;
241
Ibidem, p. 24.
242
P. Canova, Narrarsi e narrare con le immagini, in R. Spadaro (a cura di), op. cit.

203
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- a scuola: rielaborazione di ciò che è stato fatto in Pinacoteca e


consolidamento di ciò che è stato appreso.

È previsto poi un momento finale, nel quale i bambini accompa-


gnano le proprie famiglie a visitare la Pinacoteca, facendo loro da gui-
de.

Tematica
Viene sviluppato il tema del cibo, inteso come valore e come sim-
bolo, non solo come prodotto. Questo permette di “entrare in riso-
nanza col vissuto personale e affettivo degli alunni”.243
Si parte dal cibo presente in alcune opere della Pinacoteca, per far
riflettere i bambini su che ruolo e importanza abbia esso nella loro
vita.
Osservando i personaggi, le loro azioni, gli utensili che utilizzando,
i bambini, guidati dalle domande dell’operatore didattico, parlano
delle proprie abitudini familiari, dei piccoli riti quotidiani legati al
cibo, dei propri gusti.
Qui viene messa in risalto la differenza tra la cultura attuale e quel-
la passata: una differenza che è maggiore rispetto a quella con i nostri
contemporanei appartenenti a culture a noi estranee. Il passato di-
venta quindi “terra straniera” davanti al quale siamo tutti allo stesso
livello.

Punti di forza individuati dall’équipe di progetto


Nel volume “A Brera anch’io. Il museo come terreno di dialogo in-
terculturale” vengono messi in evidenza quegli aspetti che sono stati
individuati come punti di forza del progetto e che sono poi stati as-
sunti come condizioni necessarie per la buona riuscita del progetto
stesso.
- La proposta progettuale risulta organica rispetto al curriculum
scolastico.
243
S. Bodo, E. Daffra,S. Mascheroni, A. Montalberti, M. Sozzi, P. Strada (a cura
di), op. cit., p. 44.

204
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- La possibilità di ricorrere a modelli di apprendimento informale


e non legati esclusivamente alle abilità di lettura/scrittura non pena-
lizza gli alunni meno attrezzati culturalmente.
- Affrontare la sfida all’educazione interculturale attraverso un
percorso non dedicato in modo specifico agli alunni di cittadinanza
non italiana.
- La scelta di un particolare tema (il cibo) che permette di collegar-
si col vissuto personale e affettivo degli alunni.
- La possibilità di contrapporre agli elementi dinamici e frenetici,
che caratterizzano l’esperienza quotidiana degli alunni, occasioni di
incontro con la “staticità”, sia nella lettura delle immagini, sia nella
relazione con il sé e con gli altri.

Criticità individuate dall’équipe di progetto


L’aspetto più critico è risultato il coinvolgimento delle famiglie.
Nel corso delle verifiche coi docenti sono emerse le seguenti consi-
derazioni244:
Alcune famiglie di origine immigrata mostrano scarsa partecipa-
zione alla vita scolastica in generale, probabilmente anche per ragioni
culturali (nei Paesi di provenienza scuola e famiglia sono ambiti sepa-
rati);
Per realtà familiari in cui la preoccupazione primaria è l’ottimizza-
zione dei tempi di lavoro, la visita in Pinacoteca concettualmente po-
trebbe essere vista come un lusso da non potersi permettere o come
una perdita di tempo;
La richiesta di coinvolgimento potrebbe essere fraintesa e vista
come un’intrusione nella vita privata della famiglia, oppure come
troppo impegnativa o troppo difficile per le proprie capacità.

Differenza con le altre iniziative (già presenti e indirizzate agli


utenti italiani)
Non si riscontrano grandi differenze con gli altri progetti dedicati
alle scuole: la metodologia e le fasi di lavoro sono le stesse utilizzate
nel percorso “Alla scoperta di Brera”.

244
Ibidem, p. 45 .

205
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

Le differenze sono rintracciabili nella maggiore attenzione all’in-


terculturalità che viene dichiarata negli obiettivi.

Riscontri (interesse, affluenza)


Da parte delle insegnanti si ha un generale entusiasmo. Da parte
dei bambini, la curiosità e le attività svolte riescono a tenere alta la
loro attenzione, soddisfacendo le loro aspettative. Per quanto riguar-
da le famiglie coinvolte il risultato è stato deludente, data la scarsa
partecipazione, soprattutto delle famiglie non italiane.

Materiali prodotti per queste iniziative (depliant, pannelli didat-


tici, ecc…)
Per ogni alunno partecipante sono state realizzate alcune schede,
che permettono l’osservazione e l’analisi dei dipinti e la riflessione sul
proprio vissuto, attraverso quiz, domande aperte e disegni da com-
pletare.

Materiali prodotti dagli utenti e dal museo


Tutto il progetto è ben illustrato nel volume “A Brera anch’io. Il
museo come terreno di dialogo interculturale” edito da Electa.

Conclusioni e commenti
Dalla partecipazione diretta al percorso sono emerse alcune discre-
panze tra i propositi teorici e la pratica reale di questo progetto, so-
prattutto per quanto riguarda i punti di forza individuati dall’équipe
di progetto. Per esempio, l’organicità del progetto rispetto al curricu-
lum scolastico, se da un lato è apprezzata dagli insegnanti, dall’altro a
volte finisce col trasformarsi in un punto critico, in quanto il lavoro in
classe legato al progetto, risulta “rubare” un po’ troppo tempo alle
classiche attività didattiche.
Un secondo aspetto critico riguarda l’intenzione, a livello teorico,
di utilizzare modelli di apprendimento informale e non legati esclusi-
vamente alle abilità di lettura/scrittura. In realtà, però, buona parte
dell’attività, soprattutto in Pinacoteca, consiste nella compilazione di
schede, che inevitabilmente richiedono la capacità di leggere e scrive-
re in italiano. All’interno della classe con la quale è stato seguito il

206
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

percorso, alcuni bambini hanno avuto bisogno dell’aiuto dell’inse-


gnante per poter svolgere queste attività.
Tra i punti di forza viene individuata la possibilità di contrapporre
agli elementi dinamici e frenetici, che caratterizzano l’esperienza
quotidiana degli alunni, occasioni di incontro con la “staticità”, sia
nella lettura delle immagini, sia nella relazione con il sé e con gli altri.
Questo punto però non sempre è percepito in modo positivo dai bam-
bini, i quali a volte si annoiano, davanti all’insolita lentezza (rispetto
alla velocità a cui sono abituati) delle attività proposte in Pinacoteca.

Istituzioni e progetti legati all'interculturalità

Patrimonio e Intercultura – Fondazione ISMU


Patrimonio e Intercultura è una risorsa on-line che la Fondazione
ISMU - Iniziative e Studi sulla Multietnicità dedica all'ambito dell'e-
ducazione al patrimonio in chiave interculturale.
Attraverso la riflessione sulle più recenti acquisizioni della ricerca
in questo ambito, la diffusione delle buone pratiche, la segnalazione
di risorse e strumenti, il sito si propone di contribuire alla costituzio-
ne sul territorio italiano di una comunità di riferimento sempre più
ampia e aggiornata riguardo a tutte le tematiche connesse alla cono-
scenza e all'uso responsabile del patrimonio in una società multicul-
turale.
Il progetto è stato ideato e coordinato da Simona Bodo, Silvia Ma-
scheroni e Silvana Cantù.

Gli obiettivi del progetto sono:


- promuovere il diritto alla cultura come fattore strategico di citta-
dinanza e di integrazione sociale;
- indagare in che modo le istituzioni deputate alla tutela e alla va-
lorizzazione del patrimonio (in particolar modo i musei, ma non solo)
si stanno attivando al fine di contribuire ai processi d’integrazione
delle comunità immigrate;

207
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- creare opportunità di scambio e di confronto tra i diversi attori


impegnati in questo ambito;
- proporre modalità e strumenti innovativi per la progettazione e la
valutazione di iniziative in partenariato interistituzionale scuola-mu-
seo-territorio nell'ambito dell'educazione al patrimonio in chiave in-
terculturale.
All’interno del sito si possono trovare:
- le schede di progetto di molte iniziative legate all’interculturalità
provenienti da musei i istituzioni italiane;
- bibliografia, novità editoriali, documenti, risorse in rete, utili per
la ricerca e l'operatività;
- approfondimenti e testimonianze di esperti;
- informazioni riguardanti la formazione: seminari, stage, work-
shop, ecc…
- Materiale da scaricare: foto e video.
I musei possono inviare materiale e informazioni riguardanti le
proprie attività, così da contribuire ad ampliare il sito.

ECCOM
Il Centro Europeo per l’Organizzazione e il Management Culturale
è stato costituito nel 1995 da un gruppo di professionisti con l’intento
di “promuovere un approccio interdisciplinare alla gestione delle
imprese e delle organizzazioni che operano nel settore culturale”.245
Nel 2003, Eccom ha realizzato un progetto di ricerca intitolato “Il
patrimonio culturale come strumento di integrazione sociale”. Tra le
numerose iniziative censite in tre regioni campione (Piemonte, Lazio,
Campania) rientrano diversi progetti di didattica museale e di educa-
zione al patrimonio in chiave interculturale. Il rapporto di ricerca è
stato pubblicato nel 2006 a cura di C. Da Milano e M. De Luca: At-
traverso i confini. il patrimonio culturale come strumento di inte-
grazione sociale.

245
ECCOM, home page del sito http://www.eccom.it/it/index.html

208
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

ERICarts
ERICarts - European Institute for Comparative Cultural Research
ha realizzato nel corso del 2007 lo studio “Sharing diversity. Natio-
nal approaches to intercultural dialogue in Europe”. La ricerca ha
messo sotto lente di ingrandimento i diversi approcci dei 27 membri
UE alla promozione del dialogo interculturale come strategia per pro-
muovere la diversità culturale e la coesione sociale in Europa, con
una particolare attenzione ai seguenti ambiti: cultura, educazione,
sport e giovani. Da questo studio è nato il sito web interculturaldialo-
gue.eu dal quale sono consultabili il rapporto finale di ricerca, i
“challenge papers” prodotti dagli esperti coinvolti nel progetto sui di-
versi ambiti presi in esame (patrimonio culturale e musei inclusi),
una selezione di casi esemplari, tavole sinottiche sulle politiche di
promozione del dialogo interculturale nei contesti nazionali, e altri
materiali.

Museums Tell Many Stories


Il Progetto "Museums tell many stories", finanziato dal Program-
ma Comunitario Socrates Grundtvig 2 per il biennio 2006- 2007, è
inteso a promuovere l'accesso ai luoghi della cultura e alle attività
culturali a un numero crescente di pubblici appartenenti a diversi
gruppi etnici o con background culturali diversi.
Coordinato dall'Istituto per i Beni Culturali dell'Emilia Romagna,
partner del Progetto sono: Engage (UK), Imagine IC (NL), Città di
Torino, Chester Beatty Library, Dublino (IR).
E' stato costituito un gruppo di lavoro formato dai rappresentanti
delle istituzioni partner e da operatori dei Servizi Educativi presenti
presso i musei per avviare un processo di apprendimento, di scambio
e di crescita professionale.
Il progetto quindi era rivolto agli operatori museali e non al pub-
blico dei musei coinvolti.
Il progetto, infatti, aveva la finalità di sviluppare le competenze del
personale di istituzioni culturali che si occupa di educazione al patri-
monio e di mediazione culturale per sostenere l'apprendimento inter-

209
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

culturale tramite l'elaborazione e lo sviluppo di metodologie con cui


si possano interpretare e rendere accessibili al pubblico le collezioni e
gli oggetti appartenenti ad altre culture (narrazione, story-telling, ...).

MAP for ID
“MAP for ID – Museums as Places for Intercultural Dialogue” è
un progetto europeo biennale, nato dal partenariato di apprendimen-
to “Museums Tell Many Stories” (2007-2009) e finanziato dal “Life-
long Learning Programme” dell’Unione Europea.
La sua finalità consiste nello sviluppare le potenzialità dei musei
come luoghi di dialogo interculturale, esplorando e sperimentando
nuove forme di mediazione inclusiva delle collezioni, attraverso la ri-
cerca e la sperimentazione nei seguenti campi:
- l’apprendimento delle lingue nei musei;
- l’interpretazione e l’utilizzo delle collezioni come portatori di di-
versi significati;
- gli approcci pluralistici, che presentino altre prospettive e punti
di vista;
- le narrazioni attraverso la raccolta di storie di vita in quanto pa-
trimonio intangibile;
- lo sviluppo delle competenze e delle professionalità interculturali
dello staff.

Nel suo ambito, trenta progetti pilota sono stati finanziati e realiz-
zati nei musei dei Paesi partner (Italia, Paesi Bassi, Spagna e Unghe-
ria), molti dei quali alle prime armi sul fronte dell’educazione al pa-
trimonio in chiave interculturale.
I musei italiani che hanno partecipato sono:
- MAMbo di Bologna;
- Museo Civico Archeologico di Modena;
- Museo Storia Naturale Università di Parma;
- Musei Civici di Reggio Emilia;
- Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino;
- Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino;

210
Esperienze di didattica interculturale nei musei d'arte italiani

- Museo di Antropologia ed Etnografia dell’ Università degli Studi


di Torino;
- Museo Nazionale del Cinema – Fondazione Maria Adriana Prolo;
- La Venaria Reale;
- Fondazione Torino Musei: GAM – Galleria Civica d’Arte Moder-
na e Contemporanea;
– Palazzo Madama –Museo Civico d’Arte Antica e Borgo Medie-
vale.

Educard
Il progetto “Educard”, partito nel 2001, è un’iniziativa organizzata
dalla Regione del Veneto-Direzione Beni Culturali e l’Ufficio Scolasti-
co Regionale del Veneto, che ha come finalità favorire il rapporto
scuola-museo facendo interagire le rispettive comunità professionali.
Per l’anno scolastico 2008-09 è stato realizzato il progetto “Un pa-
trimonio di culture” avente come obiettivi:
Favorire il rapporto scuola-museo attraverso l’interazione delle
due comunità professionali
Conoscere nuove modalità di lettura delle collezioni museali in
chiave interculturale
Favorire occasioni di progettazione interistituzionale mediante
una consapevolezza interculturale

211
Bibliografia

Bibliografia

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