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Mario SIRONI

Mario Sironi nasce nel 1885 a Sassari, ma quasi subito la famiglia si sposta a Roma, dove il padre lavorava
come ingegnere. Sironi soffre per tutta la vita di dolorose e profonde crisi depressive, tanto che in alcuni
periodi gli impedivano di lavorare. Si ipotizza che fosse segnato nell'inconscio proprio per l'aver scelto di fare
il pittore, una via di ricerca, un lavoro potremmo dire, a cui il padre era ostile con tutte le sue forze (il padre
voleva che fosse ingegnere, lavoro più sicuro). Questo fatto è comune agli artisti moderni, nell'età moderna
l'artista non ha più uno status preciso, come nelle botteghe del rinascimento, è un rischio, una camminata in
solitaria, che certamente spaventa chiunque. Per questo motivo quasi tutti gli artisti moderni del '900
hanno subito i contrasti da parte della famiglia. Allora come mai Sironi? il padre morì quando aveva 15 anni,
e quindi questo divieto passa nell'inconscio e non più nel cervello razionale, e dunque poi si vendica e crea delle
inibizioni, cerca di contrastare quello che razionalmente è stato scelto. Comunque sia Sironi è stato
un'artista tra i più fecondi, quando stava bene disegnava incessantemente. A 18 anni, siamo circa nel 1903
disegna un ex libris*, un "logo" diremmo oggi, della biblioteca della madre, Giulia Sironi. La madre era a sua
volta figlia di un architetto e scultore (Ignazio Villa) di grande per quanto non riconosciuto valore. Basti
pensare che in punto di morte, solo al Comune di Milano destinò circa 25.000 disegni. Questo per dire il tipo
di lavoro, un po' come quello di Picasso. Sironi è figlio d'arte per via materna, il nonno era un architetto. Ma
era anche nipote di Eugenio Sironi, fratellastro del padre, architetto che fece soltanto un'opera, il palazzo di
Sassari, uno dei più eleganti esempi di architettura della prima unità d'Italia. Dunque Sironi ha alla base
della sua formazione questi architetti, ma anche una formazione musicale. la sorella era concertista e lui
stesso impara la musica, appassionandosi in particolare a Wagner. Intorno ai primi anni del secolo, al 1903,
abbandona la facoltà di Ingegneria, che aveva intrapreso per volere del padre, anche se morto da tempo.
Costretto a lasciare gli studi per via di una forte crisi depressiva che lo attanaglia, si rivolge alla pittura,
iniziando a frequentare lo studio di Giacomo Valla, il pittore futurista. Da lui, che aveva come allievi anche
Boccioni e Severini, impara il metodo divisionista (divisionismo)*, che però declina a suo modo. Passati circa
7/8 anni, Sironi passa al futurismo. In realtà Sironi aveva conosciuto Boccioni già dai tempi in cui aveva
lasciato gli studi di Ingegneria. Sironi era stato a Parigi nel 1906, in primavera, e ci rimase per tutto il
periodo estivo. Sironi quindi non fa grandi incontri, anzi non incontra nessuno e non vede mostre che lo
entusiasmano poichè la stagione stava finendo e gli artisti parigini lasciavano la città per recarsi in luoghi
più freschi. ma frequenta invece molto il Louvre, dove vede la Venere genitrice, opera che ispira la sua
"Venere". Sironi non aderisce subito al futurismo (che nasce nel 1910), ma tre anni dopo. Sia per via delle
crisi depressive, sia soprattutto perchè si assenta dall'Italia tra il 1910 e il 1911 passando molto tempo
nella parte settentrionale delle Germania, dove tra l'altro ha modo di conoscere l'espressionismo tedesco. Nel
1913 però, a Roma vede una mostra futurista e viene conquistato soprattutto dall'opera di Boccioni. Nel
1915 si trasferisce a Milano ed inizia a collaborare con la rivista "Gli avvenimenti", aperta al futurismo
diretta da Alberto Notari, entrando nel gruppo dirigente futurista. Conosce a Milano Marinetti, capo del
futurismo, frequenta Boccioni e Russolo (Carrà in questo momento si è un po' staccato da futurismo). Nel
1915 arriva però anche la guerra, e Sironi come anche Boccioni e molti altri partono come volontari nel
battaglione volontario ciclisti. Al termine della guerra, che comporta per Sironi anche la perdita dell'amico
più caro Boccioni, l'artista torna a Roma dove nel frattempo si era fidanzato. A Roma oltre a vedere la
fidanzata Matilde che sposa nel 1919, vede anche la rivista "Valori Plastici", rivista che pubblicava per la
prima volta i manichini di De Chirico e di Carrà. Dopo aver avuto uno schock dopo la vista della rivista,
anche Sironi si misura con il proprio manichino. Negli anni trenta, improvvisamente, Sironi smette di
dipingere al cavalletto per dedicarsi all'affresco, passione che coltivava da sempre. L’idea, che era un’idea
che Sironi coltivava già dagli anni dieci (quindi di molto precedentemente al fascismo per intenderci) è quella
di realizzare una pittura che non sia in vendita, che non passi attraversi il mercato, l’idea di un’arte che sia
asociale a tutti. Sironi aderisce profondamente al fascismo, dalle origini fino alla fine, ma il fascismo di Sironi
era un fascismo a sfondo sociale, riprendeva cioè dalla dottrina di Mussolini soltanto ciò che di sociale aveva
(non aderisce completamente, anzi, dopo il 25 Aprile rischierà di essere fucilato, mentre non aderirà MAI
alle leggi razziali). Dunque quando negli anni trenta pensa di passare all'affresco, poichè definisce il quadro
"insufficiente", lo fa per vari motivi. Il primo, sente il bisogno di una grandezza di tipo fisico, delle grandi
dimensioni che la parete offriva come anche un tema che riesca a suscitare movimento e commozione, senso
eroico della vita. Questo senso eroico era legato al fascismo. Egli vuole suggerire dei temi forti, dei temi che
ci tolgano da tram tram quotidiano e che suscitino commozione, che diano l'idea di una vita che non sia
soltanto "vissuta al 5%". Nelle sue opere monumentali non vedremo il viso di Mussolini o fasci littori, ma
l'idea che la vita andasse vissuta in modo grandioso ed eroico. Dopo la caduta del Fascismo, l’Italia, nello
sfacelo del dopoguerra non aveva più nessuna possibilità di “essere committente di opere d’arte” e quindi
Sironi torna al cavalletto. Torna con figure che sono molto più pessimiste di quelle degli anni venti, in cui
c’era sì un senso doloroso dell’esistenza, ma anche il sogno e l’ambizione di costruire un’arte nuova.

*ex libris= che in latino sta "dai libri", si riferisce a un'etichetta, solitamente ornata di un motto e di uno
stemma (o altra rappresentazione grafica), che si applica su un libro per indicare il proprietario. può
fungere anche come contrassegno apposto nella parte interna della prima pagina di copertina.

*divisionismo= il divisionismo è la versione italiana del puntinismo di Serat e Signaq, è una corrente che si
sviluppa a partire dal 1886 a Parigi e che viene anche chiamata "neoimpressionismo" perchè muove
dall'impressionismo, dalla pennellata rapida degli impressionisti trasformandola in una punteggiatura
regolare. il divisionismo in realtà non aveva nulla a che fare con l'impressionismo, perchè nel puntinismo la
stesura del quadro era una punteggiatura ordinata mentre nell'impressionismo la pennellata era
un'impressione. Sironi però non fa nulla di tutto questo.

*Platone= aveva riflettuto su ciò di cui riflettono molti poeti lirici, cioè la brevità del tempo, l'effimero in cui
siamo tutti inscritti. Egli aveva teorizzato che se l'uomo passa, se le cose hanno una vita breve, se tutto
nella scena del mondo è destinato a finire c'è però qualche cosa che non finisce. E prima dell'intuizione
religiosa del paradiso (quello che noi chiamiamo "l'aldilà") Platone aveva teorizzato che ci fosse un mondo
oltre i cieli visibili, chiamato da lui "Iperuranio" in cui vivono delle forme (Eidos) che sono come la matrice, le
forme originarie, di cui noi siamo una fotocopia. E' un mondo oltre il tempo, un mondo eterno.

Ex Libris per la biblioteca della madre (1903): la figura di una ragazza che scrive sul muro il binomio
arte/amore come programma di vita. che però è contrastato dalla brevità del tempo. le rose che porta nella
mano simboleggiano come la vita sia sottomessa alla legge del tempo e in alto, sopra al muro, immerso nella
notte simboleggia il lato oscuro dell'amore e dell'arte. Sironi muove quindi i primi passi in ambito simbolista,
parallelamente a Beardsley e ad altri disegnatori del tempo.

La madre che cuce (1905/6): Sironi arriva a Milano ospite del cugino Torquato. Rappresenta la madre che
cuce nel tinello di casa mentre rammenda i panni. La
pennellata è molto divisa, non c'è una campitura uniforme, ma
le pennellate sono date uniformemente. Troviamo però subito
il senso del volume, nonostante le pennellate siano ben distinte
l'una dall'altra. La sua arte sarà sempre guidata dalla
volontà di costruire, costruire qualcosa di grandioso che
esprima solidità e potenza. E' proprio questa l'arte di Sironi,
costruire con una volumetria idealmente imponente (anche se
magari piccola come quest'opera).

Ballerina (1915): è dei primi mesi dell'anno (Domenica 3 Gennaio


1915). tutta l'opera è un inno all'interventismo, cioè all'entrare in
guerra. Tutti i futuristi erano interventisti e a favore dell'entrare in
guerra dell'Italia, alcuni di loro non tornarono, come Boccioni.
Soprattutto si può dire che non sapevano cosa fosse realmente la
guerra. Ma in quest'opera Sironi vuole rappresentare un invito ad
entrare in guerra, guerra futurista. Vediamo una ballerina del caffè
chantan, allora il massimo sex simbol dell'epoca, che come tutte le
ballerine del caffè non ballava ma faceva l'equilibrista. Vediamo infatti
il filo, la diagonale tra il rosa e l'arancio sullo sfondo. Sotto leggiamo
delle parole tratte da un manifesto di Marinetti "passatismo"
(contrario di futurismo), insulti all'Austria e ai critici. Quindi la
ballerina calpesta con la grazia dei tacchi a spillo e la sensualità della
figura i nemici del futurismo, inneggiando all'entrata in guerra.
La musa metafisica - Carrà: è un interno di Carrà. una specie di manichino
che ha in mano una racchetta da tennis. ma è una racchetta di marmo, come
inutilizzabile è la sfera di marmo che ha nella mano sinistra. intorno vediamo
dei segni dell'assurdo: una mappa geografica immaginaria che sembrerebbe
quella dell'Istria, delle case che però non sono un paesaggio esterno ma sono
dentro a un quadro, l'esterno non esiste. Questa stanza è circondata dal buio,
le porte sono aperte ma nere, aperte nel vuoto tenebroso. Infondo troviamo
una specie di trapezio, di costruzione che non ha nè capo nè coda, senza
nessuna funzionalità. Ecco in questo luogo apparentemente familiare ma
abitato da cose che non hanno senso, si gioca la pittura metafisica di Carrà,
dal quale Sironi è affascinato.

Giovane con palla rossa (1923): giovane pensoso improntato in maniera Picassiana. notiamo in questo
quadro la sintesi della poetica del 900 italiano: filtrare la forma attraverso una geometria ed eliminare i
particolari non importanti. c'è poi qualcosa di singolare: il piatto
che apparentemente sembrerebbe un vassoio della colazione ha
invece un cubo, una sfera e una scodella (che è più una semisfera).
perchè ci sono queste forme strane? perchè c'è un ricordo della
metafisica, di Carrà in particolare, che (imitando de Chirico,
Carrà) spargeva nelle sue composizioni sfere e cubi. MA in Sironi
abbiamo qualcosa di diverso che non è solo il ricordo della
metafisica. L'uomo sta guardando le forme e sta pensando che
forse non ci è dato saperlo. ma tutta la costruzione di Sironi è
molto vicina al pensiero di Platone*, molto ammirato in quell'epoca.
Quest'opera che vediamo sembra uscire dalla vita quotidiana a cui
sembra appartenere, il giovane sta riflettendo sull'eternità, sullo
scarto che c'è tra quello che noi vediamo e l'essere, quella forma
che non finisce. Che cosa sta pensando realmente? Che abbiamo un
tempo limitato? Come sembrerebbe dall'espressione drammatica,
o sta pensando che invece c'è un'aspirazione dell'uomo a fermare il
tempo, a superarlo? Questo non lo sappiamo, ma tutta la costruzione di Sironi, queste forme così solide,
potenti e anche durature, esprimono il pensiero di Platone, cercano di avvicinarsi al mondo delle cose eterne.
L'allieva (1923): Ritroviamo anche qui delle forme che richiamano la filosofia di Platone, come la piramide
sullo sfondo, il vaso che è una specie di cilindro (anche se piuttosto
abbozzato), la squadra in primo piano. In tutte queste figure c'è un
dialogo con l'idea dell'eternità. Qui vediamo un condottiero a cavallo
che da alcuni è stato identificato come Mussolini altri come
D'Annunzio o da altri condottieri famosi, ma nessuno è corretto
poichè il condottiero è un condottiero qualsiasi. Un condottiero
sprezzante delle circostanze, in questo deserto di pietra. E' l'idea di
tentare una scommessa, una risposta a una sfida che è la vita.
Abbiamo quindi questo senso di solidità e di forza, dunque quando
guardiamo i paesaggi urbani di Sironi notiamo che sono paesaggi
drammatici, ma hanno dentro di sè qualcosa che l'impressionismo, con
la sua "dolcezza del vivere" non ha, poichè l'impressionismo dipinge
l'istante, figure e cose come scintille che appaiono e poi scompaiono.
Sironi dipinge paesaggi privi di qualsiasi genere di conforto o
particolari, che hanno però forza costruttiva.

La Venere (1923/24): un'altra opera influenzata da Picasso e dalla


Venere genitrice che vede al Louvre. Boccioni riprende qui lo stesso gesto
del braccio alzato e fermo, riprendendolo nel disegno ma sintetizzandolo,
niente scanalature del peplo, niente anatomia disegnata nei particolari
(qualcuno diceva che Sironi dipingeva come con un'accetta, a colpi di scure).
Qua troviamo però qualcosa di incongruo, che cosa significa quel gesto a
mezz'aria? se guardiamo questa Venere si immobilizza, e diventa una
statua come la statua sullo sfondo. Non sappiamo più se siamo di fronte
all'immagine di una donna, o all'immagine di una statua.

Il viandante (1925): qui vediamo una figura enorme, che


cammina in mezzo alle strade di una città, molto più grande
delle case che lo circondano. Si trova di fronte a una realtà
incomprensibile, in questa architettura in cui ci sono dei muri e
degli elementi architettonici che non sono spiegabili (un arco che
non finisce da nessuna parte, un colonnato sotto a cui non si può
passare). In questi anni nasce il Surrealismo, corrente che
Sironi non accoglierà mai, sebbene troviamo alcune cadenze
enigmatiche anche nei suoi quadri.
Donna e albero (1929/30): è un'opera che s'ispira alla Niobide, una statua ellenistica che Sironi aveva visto
molte volte al museo nazionale di arte romana. La Niobide è un
mito, e come tutti i miti rivela una profonda verità. Niobide
significa figlia di Niobe. Niobe era una dea greca che aveva
sfidato Minerva (madre di Apollo e Diana). Deridendola poichè
aveva 14 figli e Minerva soltanto due. Ma poichè bisogna
rispettare la natura, cioè gli dei, Minerva si vendica e manda
Apollo e Diana a uccidere tutti i figli di Niobe con le loro frecce. La
statua di Niobide è colta nell'atto di togliersi la freccia che l'ha
colpita mentre esala l'ultimo respiro. Il mito insegnava il rispetto
che si deve agli dèi, simbolo della natura. Sironi, che riprende la
stessa posa della scultura greca, s'ispira soltanto alla scultura
greca, poichè la Niobide sembra scolpita a colpi di accetta. Sironi
mette vicino figura e natura e ce li mostra in uno stesso
momento di sofferenza, con quella grande forza d'animo e
intellettuale per cui guardano quest'opera non si ha un senso di
agonia ma piuttosto un senso di forza e grandiosità. sempre in questi anni dipinge una serie di famiglie,
famiglie del mito greco.

“L’architettura o il lavoro in città” per il palazzo delle poste di Bergamo (1932-1934): La sua prima opera
di arte monumentale che è in realtà una tela che trova posto nel palazzo delle poste di Bergamo. Quando
dipinge queste cose vuole suggerire dei temi forti, dei temi che ci tolgano dal tram tram quotidiano, che
diano un’idea di una vita che non sia soltanto “vissuta al 5%”. In questo senso considerava che l’affresco
fosse un’arte fascista, non perché ci fossero
simboli o richiami, ma era l’idea eroica della vita
che anche il Fascismo trasmetteva.
Quest’opera è un’esaltazione della fatica del
lavoro come grandiosità e nobiltà spirituale che
porta a costruire qualcosa. Qui vediamo una
serie di persone che vogliono costruire la città
del futuro, dunque vediamo il progettista in
primo piano (quasi non si vede) ma vicino alla
donna in bianco sulla sinistra (nella realtà il
quadro è molto più chiaro con dominanti
azzurre) vediamo una figura piegata che sta
disegnando con il compasso. Con questa sua
fisicità indica la dimensione collettiva, sociale
dell’architetto che disegna il progetto della
città. Sull’estrema destra c’è invece un
manovale che porta un secchio di malta. Quindi
la progettazione ed il fare concreto (architetto
e muratore) hanno la stessa importanza. Al centro, bianca con un peplo romano è l’architettura stessa,
rappresentata come donna perché riprende un’idea del Filarete “l’architettura è femmina” ed è il principe
(la committenza) che rende possibile l’arte dell’architettura. Sostanzialmente dice che quando lo stato non
ha i mezzi per promuovere opere di architettura, essa non può esistere. Nell’immagine di Sironi invece c’è
quest’idea di costruzione (dietro ne vediamo degli emblemi) che rappresentano questo sforzo sociale e
collettivo verso l’architettura.

Affreschi per l'aula magna per l'università della sapienza a Roma (1935): E' un grandissimo lavoro molto
sofferto, circa 12 mt di lavoro, in cui rappresenta l'Italia tra le scienze e le arti. L'opera è stata
restaurata malamente nel 1950 da un pittore che voleva non solo togliere alcuni piccoli emblemi fascisti. Ma
purtroppo non si limita solo a togliere le parti piccole, ma cerca anche di ingentilire la pittura di Sironi, poichè
gli sembrava troppo dura, potente e rigida. Il risultato è ovviamente un disastro. Fortunatamente nel
2017 c'è stato un ri-restauro e in quel che s'è potuto si è cercato di tornare ai caratteri che Sironi aveva
dato. L'affresco è uno studio preparatorio per l'immagine della Vittoria. Nella mitologia antica la vittoria
era un dono degli dei: non vince l'uomo ma sono gli dèi che decidono se l'uomo vince o perde. Una volta che gli
dèi avevano deciso, la Nike scende in volo dall'olimpo e portava la corona d'alloro in testa al vincitore. Sironi
riprende una Vittoria che non porta corona d'alloro, ma le armi.
Rilievo per il palazzo del popolo d'Italia (oggi palazzo dei giornali) (1939/41-42): costruito da Muzio per
ospitare il . Per questo rilievo Sironi si ispira agli archi medievali con la scultura di Giovanni Di Balduccio
inserito negli archi. Vediamo l'Italia con vicino un’aquila che porta in mano una spada circondata dal popolo
Italiano. L'opera è molto grande, occupa circa metà del palazzo. E' purtroppo un'opera non riuscita. La
parte di marmo scolpita doveva in origine essere piena di figure, il problema fu che pesava troppo e Sironi si
vide quindi costretto a lasciare vuote delle parti di sculture. Di conseguenza gli spazi vuoti rendono quindi
troppo rigida la figura armata dell'Italia.

Più interessante e risolta è l'immagine del balcone di Porfido, scolpito anch'esso da Sironi, dove vediamo una
serie di figure molto più compositivamente articolate. Corsa di giovani davanti alla figura dell’Italia che è
quella al centro.
La penitente (1944): Viene dipinta una donna inginocchiata, vestita di sacchi e con il viso velato, in
atteggiamento penitente, dove Sironi
rappresenta sè stesso con tutti i suoi ideali che
sono andati in fumo, in macerie. Vicino vediamo
due figure che si scostano come si scosterebbero
da un appestato. Non c’è nessuna pietà e
misericordia nei confronti di una figura vinta,
immagine di tutti i fallimenti, non sono di Sironi
ma in generale degli infiniti fallimenti che ci
attendono. Bellissima e terribile è la figura
sull’estrema destra dell’uomo che guarda non
spinto dalla pietà ma dalla curiosità e che
naturalmente non ha nessuna intenzione di
aiutare la figura inginocchiata e sofferente. Così
Sironi dipinge un andare per mare che è uno
scontrarsi contro le rocce, come un viaggio che
diventa impossibile, un sipario di pietra che impedisce all’uomo di costruire.

Vetrata “la carta del lavoro” (1932): Grande vetrata, alta circa 12 mt che aveva per tema la carta del
lavoro, la promulgazione e la regolamentazione del lavoro emanata nel 1927. Quest’opera mostra come
l’opera di Sironi non è mai di propaganda, perché la propaganda, come la pubblicità, deve dare un’idea
positiva. (“Nessuno fa uno spot pubblicitario pubblicizzando la tal birra dicendo bevetela è piena di veleno ne
assaggiate un sorso e siete secchi” Pontiggia cit.). Nel realismo socialista ma anche fascista affidato a
pittori minori si vede una rappresentazione agiografica, cioè pubblicitaria, dello stato delle cose (il dittatore
è sorridente e ben
voluto, accarezza i
bambini, i lavoratori
sono felici) una
rappresentazione
insomma
grottescamente
ottimistica delle cose.
Niente di tutto questo
in Sironi, perché Sironi
ha un temperamento
drammatico, tragico.
Vedere la drammaticità
delle cose è il modo
migliore per essere
felici, se si parte da una
constatazione del
negativo, si è più armati contro il negativo stesso, se si parte pensando che tutto possa andare bene è la
catastrofe inevitabile. Nei lavoratori che realizza, disegna dei lavoratori titanici, quasi eroici, sono
lavoratori umili. Operai, lavoratori della terra rappresentati con una figura così forte e potente e insieme
dolorosa che dà tutta l’idea della nobiltà del lavoro. Lavoro nobile non perché pagato tanto o perché si fa
carriera, ma perché si fa fatica, ed è la fatica che è il sigillo della nobiltà. Quindi nessuna propaganda in
questo senso poiché abbiamo una visione totalmente drammatica delle cose.

Le ultime opere che Sironi dipinge sono le opere dell'apocalisse (1936), proprio lui termina la propria vicenda
artistica e umana con l'immagine dell'apocalisse, di una distruzione cosmica, totale. Qui rappresenta il
crollare totale delle figure, con due piccole figure in alto a destra che guardano lo sfacelo del ventesimo
secolo, il crollo di tutte le ideologie. Però in questo crollo totale c'è ancora l'idea di qualcosa che resiste, che
continua, e sono queste grani mura di un rosso profondo. Alla base troviamo l'idea che al di là delle sciagure
umane la natura persiste e c'è una materia (le rocce, e montagne) che non si dissolve. E allora in questa
visione finale di distruzione c'è ancora qualcosa a cui aggrapparsi, un’architettura che è l'architettura della
natura, di Dio, di qualcosa che è più grande dell'uomo.

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