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Alberto Savinio

CAP.1 LO SPETTACOLO NELLA VITA E NELL'OPERA DI SAVINIO


Andrea de Chirico nasce ad Atene il 25 agosto del 1891. A Volos era nato il fratello Giorgio e si trovava il teatro
lanarà. Tra i ricordi d'infanzia di Andrea c'era l'esibizione ad Atene di artisti italiani come Novelli e la Duse,
Andrea consegue a pieni voti il diploma di pianoforte e compositore al conservatorio di Atene, e non ancora
adolescente, fu introdotto al "caffè concerto" come si diceva un tempo. In seguito alla morte del padre,
Andrea, Giorgio e la madre lasciano la Grecia per andare in Italia. Inizialmente si trasferiscono a Milano nel
settembre 1906, poi a Venezia e poi a Firenze dove risiedono i parenti paterni, ma già nell'autunno si
trasferiscono a Monaco, dove Andrea prosegue i suoi studi musicali sotto la guida di Max Reger Andrea, in
seguito, decide di trasferirsi a Parigi il 25 febbraio 1910, e tra le sue prime conoscenze in questa città si ricorda
Calvocoressi. Andrea conosce poi Apollinaire e prende a frequentare le riunioni di una rivista dove ha modo
di conoscere Picasso il cui ricordo ricorrerà nelle pagine della storia di Savinio. Nel 1914 adotta lo pseudonimo
di Alberto Savinio, e nello stesso anno esordisce anche con l'incarico di scrittore. In quel periodo conobbe
Marius Zayas ( che fu un cittadino degli Stati Uniti di origine messicana), con il quale collaborò e diede avvio
a conferenze e concerti, e un mese dopo scoppiò la prima guerra mondiale. Nel 1915 abbandona la musica per
non cedere totalmente alla volontà di essa. A fine maggio insieme al fratello Giorgio rientra in Italia per
presentarsi come volontario al distretto militare di Firenze, e inizia a collaborare con alcune riviste italiane
come "La voce" e "Lacerba". Nel 1917 con un articolo nella rivista "dada", il capo-redattore della rivista gli
chiede di diffondere il movimento dadaista in Italia. Vallecchi nel 1918 stampa "Hermaphrodito" il suo primo
libro, e in questi anni si ritroverà a sperare di entrare come e "Il primato artistico italiano", e grazie a queste
riviste riesce a trovare una certa stabilità. redattore o come collaboratore in qualche rivista per guadagnarsi
da vivere. Infatti collabora con "La ronda". Nell'autunno del 1924 nasce per l'iniziativa di undici soci il Teatro
dell'Arte, la cui conduzione artistica è affidata a Luigi Pirandello. Savinio è chiamato a collaborare, e il 14
maggio è messa in atto "la Morte di Niobe", che è una tragedia mimica in cui tra gli interpreti troviamo Maria
Morini che di li a poco avrebbe sposato Savinio. I due si sposano a Roma nel 1926, e dal loro matrimonio
nascono Angelica e Ruggero. Per un periodo vivono separati sia per ragioni economiche ma anche per timore
di reazioni della madre di Savinio trascorso qualche mese però Maria va a vivere con Savinio e la madre.
Vicino a loro intanto abitavano Ungaret e Pirandello. I coniugi si trasferiscono poi a Parigi, dove Savinio si
dedica sistematicamente alla pittura e si interessa al cinematografo. Nel 1928 inizia a frequentare i
surrealistie intensifica sempre di più la pittura, la quale era la sua principale forma di guadagno. Sul
panorama parigino, Savinio ha la possibilità di vedere il panorama europeo dello spettacolo e riesce a farsi
un bagaglio di esperienze che gli consentono di formarsi opinioni, Nel 1933 è invitato a un'iniziativa dove
sono esposte opere pittoriche, ma vengono anche letti dei testi di narratori tra cui quello di Pirandello, ovvero
"Sei personaggi in cerca di autore". Alla fine dell'anno Savinio ritorna definitivamente in Italia e collabora
regolarmente con la stampa, si stabilisce a Roma e si ricrea una nuova cerchia di amici. Nel 1936 muore la
madre, e collabora regolarmente al "Lavoro fascista", riesce perfettamente nella sua nuova veste di critico e
si sottrae al teatro sonnolento di quegli anni. Un suo articolo però suscita e chiude la rivista "Omnibus", dove
Savinio ha scritto che Leopardi durante l'epidemia di colera era morto di cacarella, il settimanale fu infatti
sospeso e savinio dimesso. Savinio riprende dopo mesi a pubblicare sul settimanale "Oggi sotto il nome
inventato di Proteo, e ritorna a scrivere di critica musicale e si occupa anche di cinema. Nel 1941 dà vita a una
nuova enciclopedia per la quale prende a compilare le voci poi riunite in questo volume affermando di essere
cosi scontento delle enciclopedie che si era fatto questa enciclopedia propria e per uso personale". Dopo
l'occupazione tedesca di quegli anni ritorna a Roma ma (incluso in una lista d'intellettuale antifascista) è
costretto a nascondersi. Savinio intensifica l'attività teatrale e letteraria. Nel 1946 sulla rivista "Maschera"
appare il suo nome, e nello stesso anno rientra nel mondo Riprendono, infatti, a pieno ritmo diversi titoli di
teatro sia musicale sia teatrale:
18 gennaio 1948: "Il suo nome"; e nel 1949 "Emma B vedova Giocasta e Alcesti di Samuele".
Savinio muore mentre lavora a un'opera commissionata dal direttore del festival Biondo Missiroli, e l'8
ottobre 1952 la radio trasmette la sua ultima opera musicale "Cristoforo colombo".
Riguardo la "Morte di Niobe", dobbiamo dire innanzitutto che è originale. Poi per quanto riguarda le reazioni,
criticano la scena, e oltre tutto, la critica rimproverò anche Savinio di aver stravolto il mito e averlo privato
del suo valore di eterna metafora. Il libretto apparve sulla rivista di Firenze nel maggio 1925 e poi ristampato,
si compone di 8 scene e un atto, e dunque la scena è estremamente influenzata dall'opera di Giorgio De
Chirico, metafisici, dunque assistiamo ad un intreccio degli immaginari dei 2 fratelli.
Nel 1981 ci fu la ripresa con la regia di Salveti e con la direzione di orchestra di Parisi in cui si riprese la "morte
di Niobe". Nel caso di Savinio rispetto al progetto di Pirandello, è netta una volontà di savinio interessata alla
natura provocatoria della ricerca artistica, e assume dunque i caratteri di anomalia che ritroviamo in Capitano
Ulisse, e proprio quest'opera che fu il primo lavoro drammatico, in tre atti, non verrà realizzata, anche se
venne letto tra il 18-19 maggio agli attori, allora Savinio si trasferirà a Parigi e rinuncerà ai progetti teatrali a
causa della delusione di questa cancellazione dal programma.
LA MORTE DI NIOBE = "LA MORTE DI NIOBE" è una tragedia mimica, composta in parte già dal 1913,
in un atto con azione e musica di savinio e le scene e i costumi affidati al fratello Giorgio, andata in scena nel
1925 con la compagnia del teatro d'arte di Roma diretta da Pirandello, che vede la partecipazione delle 2
attrici poi mogli dei 2 fratelli (la morino sposerà savinio), che non ebbe successo e raccolse critiche fortemente
negative, infatti non venne replicata. Savinio venne accusato di aver destrutturato il mito e averlo privato del
suo valore di eterna metafora.
Come è solito fare, Savinio cala il mito nel contesto contemporaneo fino a muovere una sorta di satira alla
borghesia dell'epoca ed è ambientata in una piazza che ricorda le opere di giorgio.
Questa tragedia riprende il mito classico di Niobe, che fu una donna che ebbe 14 figli vantandosi della sua
fertilità e che poi venne punita con l'uccisione di questi da parte di Apollo e Diana e lei trasformata in pietra.
Il mito è trattato in maniera sarcastica e dissacratoria, infatti:
-Niobe è rappresentata come una grande madre chioccia, strabordante psicologicamente e fisicamente;
-i bambini, proprio come i figli dei borghesi, sono caratterizzati da pettinature, abiti e atteggiamenti
convenzionali;
-Apollo e Diana, nella loro indifferente bellezza, compiono una strage di innocenti sereni e distaccati; -la gente
che assiste alla vicenda non ha espressioni tragiche ma è fortemente incuriosita:
-il coro ricorda il coro dei greci nelle loro tragedie;
- E Niobe presenta un'indole tranquilla riflessa nel suo abbigliamento e la sua parrucca bianca.
tra le altre presenze ricordiamo:
- preti e frati che aprono il dramma, attratti da fantasmi donne;
un uomo nero vestito di nero di cui non si vede la faccia che rappresenta la morte
statue che scendono dai loro piedistalli e si muovono solamente al calare della notte, in maniera
composta;
gente pettegola che commenta la vicenda
- e infine marinai di una nave che arriva al porto cittadino per poi ripartire a tragedia conclusa.
Apollo e Diana dal cielo saettano i bambini e alla fine un carretto rimuove la Niobe pietrificata, in un gesto di
minaccia al cielo, e la scena viene chiusa da un uomo vestito di nero che fuma la pipa. Infine, si deve notare
che sono proprio le statue che nella loro indifferenza dimostrano essere più umane e
sagge delle persone.
Cap.2 mysterium scaenae-da Parigi a Roma, da Apollinaire a Pirandello
Lo stretto legame tra Savinio e il poeta Apollineaire risale al periodo antecedente la Prima guerra mondiale
cioè all'epoca del primo soggiorno Parigino, e fu un'affinità destinata a durare anche dopo la morte del poeta.
Fu Apollinaire a tenere battesimo sulla sua rivista il giovane Andrea de Chirico sotto lo pseudonimo di Alberto
Savinio. Sin da quegli anni si intravede in Savinio una grande novità in cui comincia a parlare come se il
lettore fosse al corrente con l'autore dello svolgimento dei fatti, e fu la prima grande novità che chiama lo
spettatore a collaborare con l'artista nello svolgimento dell'opera. Apollinaire apriva mediante la sorpresa la
via di una nuova estetica teatrale sul genere libero di Antoine, (e su quel filone si può collocare anche la Morte
di Niobe". Con la Morte di Niobe" intendeva inaugurare una nuova forma di dramma musicale, La "danza
mimica e pantomima* erano in quegli anni i generi prediletti dei teatrini d'avanguardia. La morte di Niobe
andò in scena per la prima e ultima volta il 14 maggio. Lo spettacolo suscitò reazioni diverse dei critici, infatti
c'è chi lo rifiutò totalmente e chi lo difese. Due mesi dopo con un articolo, Savinio ritira fuori la serata e
affermò che l'esito burrascoso di quest'ultima lo rafforzò nella convinzione di non badare al giudizio del
pubblico. La partecipazione di Savinio al Teatro dell'Arte stona rispetto al quadro generale dell'impresa, e si
vede meglio con la mancata realizzazione di "Capitano Ulisse".
Insieme a bragalia e teatro degli indipendenti
Savinio (dopo l'esperienza della "Morte di Niobe" col teatro d'arte diretto da Pirandello a Roma), in vista di
una possibile rappresentazione al teatro d'arte, compone una nuova opera chiamata CAPITANO ULISSE.
Tra il 18 e 19 maggio 1925 avviene la lettura agli attori della compagnia del Capitano Ulisse, che fu il primo
lavoro drammatico in 3 atti. L'opera non verrà portata in scena, e dovuta a tale delusione, Savinio lascia il
teatro. Savinio come si allontanò nel 1915 dalla musica, si allontana anche dal teatro nel 1925. Proprio
nell'estate del 1925, Savinio segue le tournee della compagnia di Pirandello e tramite il suo carteggio con
l'attrice Morino, che poi diventerà sua moglie, si ricostruisce la vicenda della 'mancata realizzazione del
Capitano Ulisse, tormentata appunto per Savinio, che promuove tentativi di farlo andare in scena ma invano,
Savinio si avvicina alla figura dell'attore Lamberto Picasso già dal dicembre del 1925, Picasso farà parte
proprio nel 1925 della compagnia di Pirandello, e fu anche attore di cinema. Savinio confidò in questo
interprete come protagonista del suo Capitan Ulisse. Picasso era considerato il primo attore d'avanguardia,
cioè un interprete ideale sia del repertorio pirandelliano che di avanguardia che coniugava la tradizione
italiana con la ricerca del nuovo.

Capitan Ulisse
La storia parla di un Ulisse, non l'eroe omerico, ma un Ulisse mortale, che si imbatte in 3 donne Circe, Calipso
e Penelope, che alla fine lui riconoscerà tutte e 3 come un'unica sola donna. Lo spettacolo si apre con un
narratore che ci informa sul fatto che non troveremo l'Ulisse tradizionale e eroico viaggiatore di Omero, ma
un Ulisse debole che deve fronteggiare le sue incapacità, stanchezze, debolezze e il suo peccare, Ulisse si
imbatte in queste 3 donne, prima Circe e Calipso, che deludono le sue aspettative e vengono ripudiate da
Ulisse per aver rallentato il cammino verso Penelope. Ulisse trascorre circa 10 anni tra le onde del
mediterraneo, aspettando di raggiungere il suo desiderio, ossia Penelope che è a Itaca col figlio Telemaco.
Questo è un viaggio nella quale inizia una trasformazione, infatti, dopo essere arrivato ad Itaca, Ulisse si rende
conto che Penelope è una copia fedele delle 2 donne prima incontrate e ripudiate, e dunque capisce di essersi
creato un'immagine illusoria di penelope (ossia vediamo che le 3 donne è come se fossero un'unica donna) e
dunque decide di lasciare anche Itaca. Si verifica dunque una metamorfosi di Ulisse che ha ricercato
umanamente un appagamento, e la sua trasformazione viene anche rappresentata a livello simbolico nel
cambiamento degli abiti, infatti abbandona gli abiti di viaggiatore di gloriose avventure per del grigi abiti
borghesi
1° ATTO: troviamo il sipario chiuso e Euriloco seduto sul primo gradino della scala che parla con uno
spettator. Poi all'improvviso dal fondo della platea compare Ulisse insieme ai suoi uomini che stanno per
imbarcarsi quando Circe dal palco proscenico tenta invano di contrastarne la partenza.
2° ATTO: si apre con i commenti dello spettatore mentre sul palcoscenico Telemaco (che era un ragazzo che
era stato sottomesso all'autorità materna) è persuaso da Minerva a mettersi in viaggio alla ricerca del padre.
Calipso riceve il messaggio degli dei che la intimano ad assecondare il desiderio di Ulisse a ripartire per Itaca
ed è ancora lo spettatore a salire sul palco per soccorrere la signora.
Nel 3* ATTO; si sta consumando la strage dei proci, Ulisse è lacerato di sangue con le pistole in mano, e
Penelope stenta a riconoscerlo finchè non è lo stesso Ulisse a respingerla, e sconfortato dalla disillusione
finale, si avvia con lo spettatore sotto braccio verso l'uscita del teatro.
Questo si tratta del primo lavoro drammatico di Savinio, in cui lo spettatore diventa attore come in "Sei
personaggi in cerca di autore" di Pirandello. Il 14 novembre ha inizio una corrispondenza con Salvini
incentrata sui preparativi in vista del debutto milanese di Capitan Ulisse. Grande rilievo lo ha il sipario che è
quasi importante quanto i protagonisti, e c'è un gioco dei due sipari che è necessario all'azione. Le ragioni dei
continui rinvii e del definitivo abbandono da parte di Pirandello di mettere in scena Capitan Ulisse non sono
note, ma Picasso così lasciò la compagnia di Pirandello per formarne una propria, (Lamberto Picasso, primo
attore d'avanguardia in Italia) ovvero la compagnia FERRARI-PICASSO, però non durò molto, e così Savinio
si consola nella pittura a Parigi dove trova fonte di guadagno. Savinio dovrà aspettare l'8 gennaio del 1938
per vedere in scena il suo "Capitan Ulisse" al teatro delle Arti di Roma, diretto da Bragaglia che fu fondatore
nel 1922 di questo teatro degli indipendenti con la regia di Nando Tamberiani, e alla sua prima
rappresentazione, dopo 13 anni dalla stesura, la critica accolse la novità di Savinio con un atteggiamento
distaccato.
Bragaglia e il teatro degli indipendenti
◆ Come scenografo ci fu Spadolini (che si occupava di pittura e di scenografia ma era anche attore in scalari
e vettori di barbaro). Tra gli incarichi che ebbe, dovette diciamo 'inseguire 'un critico negativo degli spettacoli
del teatro di Bragaglia.
Gli indipendenti chiudono nel 30 per via di Mussolini, dunque Spadolini emigra all'estero, va in Francia e
diventa anche danzatore, poi sarà anche attore, cantante e pittore molto apprezzato, La vicenda del teatro
degli indipendenti è affascinante sotto molti punti di vista, e proprio qui andrà in scena "Capitan Ulisse". Un
rilancio del "Capitan Ulisse" si ebbe nel Teatro Biondo Stabile di Palermo con regia di Messilori del 1990, i
costumi e le scene furono di Dosmon, che appunto alludeva all'universo plasticheggiante e metafisico, e
accoglieva il doppio sipario di Savinio.
◆ Una fortuna più recente Savinio la conobbe solo nel 2009 quando venne messa in scena al Teatro di Venezia
con la regia di Emiliani, musiche di Forza, scene e costumi di Stanisci e fra gli attori vi erano Vanessa Gravina,
Virgino Zernis e Maurizio Zacchigna.
Vi sono però degli elementi molto differenti dal resto originale, infatti questa è una rivisitazione.
NEL DRAMMA DI SAVINIO: Ulisse è debole e il più infelice dei mortali che si imbatte in 3 donne che per
lui sono solo un'unica donna, Capitan Ulisse racconta tutto ciò che non è mai stato detto dell'Ulisse omerico,
che non è un'attualizzazione ma un personaggio che parla della sua incapacità, stanchezza e del suo peccare
Vi è un richiamo ai "6 personaggi di Pirandello nella scrittura muta di Savinio.
Nelle sue lettere a Picasso e nelle sue note precise sulla scena, Savinio auspica ad una possibile realizzazione
di un doppio sipario, cioè il sipario del teatro che si apra su un sipario interno che di volta in volta nasconde
e rivela allo spettatore o la parte sinistra o destra del palco a seconda dei vari atti. Il doppio sipario ha
importanza grande quanto gli stessi protagonisti, in cui prefigura la sua visione di un teatro nuovo, precisata
anche inseguito. La strutturazione dello spazio scenico ha pari rilievo della composizione del personaggio.
Savinio allude a un palcoscenico non loco e con una rappresentazione dell'uomo nel tempo ma che indica
qualcosa di più vicino alla concezione futurista, e testimonia l'elemento avanguardistico, infatti quando venne
rappresentato nel 38, Savinio venne tacciato dalla critica di anacronismo, infatti fu accolto con freddezza in
quanto fu rimproverato Savinio di non aver colto il fatto che ormai a distanza di oltre 10 anni (in quanto era
stato scritto nel 25), il testo poteva risultare anacronistico, e che le mode avanguardistiche nel 38 erano ormai
superate, invece il testo di "Capitan Ulisse" nel 34, fu migliormente accolto).
Per quanto riguarda la struttura scenica, essa fu rivelatrice di una visione sperimentale di una proposta nuova
del teatro che fu all'origine del fraintendimento, come dice Meldolesi innovazione sprecata
Il 18 novembre del 1925 Savinio scrive a Salvini per inviargli i bozzetti del fratello Giorgio con le descrizioni
della messa inscena in cui disse che il colore del sipario doveva essere o ocra o molto scuro.
NEL 1° ATTO il sipario non deve aprirsi troppo, ma deve far vedere nel fondo il muretto con la scala e la vela
della nave, e le vele sono mobili. Per il cielo, il fondale deve essere azzurro, mentre il resto deve essere neutro,
infatti ci sono una scala bianca e la terra grigia.
NEL 2° ATTO troviamo 1 quadro, e si apre solo il lato sinistro del sipario interno. E' praticabile un solo uscio
e vi è uno sfondo scuro. La finestra e il soffitto sono dipinti mentre le pareti sono grigio chiaro. Savinio dà
indicazioni precise del gioco dei sipari e parla dei mobili costituiti da una scrivania con mappamondo, una
lavagna a destra, un pianoforte a sinistra. Nel 2 quadro si apre solo il lato destro del sipario interno, e si
vedono il cielo e la parete, e il mobilio di cui infondo a sinistra una mensola con cassetti. Nel 3 quadro invece
c'è un unico fondale dipinto con arabeschi, e un portone con colonna e finestra praticabile Nel vano della
finestra c'è il viso illuminato di Minerva, e inoltre vi sono un mobilio con 2 poltrone per il Re e la Regina dei
Feaci, e vari sedili disposti a semicerchio.
NEL 3° ATTO vi è a sinistra un uscio grande con portiera scorrevole, e a destra una finestra praticabile.
per il mobilio, a sinistra avanti vi è uno zoccolo. Savinio è stato preciso anche sui costumi in cui Circe, Calipso
e Penelope indossano una tunica, nel 2 atto una vestaglia e nel 3 atto un abito di casa e poi abito da sera
scollato.
Minerva invece indossa un abito nero nel 1 atto, nel 2 e 3 una corazza a maglie argento e una gonna
turchina lunga in aggiunta di un elmo di bronzo.
Telemaco nel 2 atto indossa un eton jacket nero e pantaloni bianchi di tela o flanella. Nel 3 atto usa dei calzoni
e camicia.
Euriloco entra in scena con un maglione scuro e calzoni scuri, mentre i marinai di Ulisse vestiti come marinai
da guerra.
Mercurio veste da aviatore e le ancelle di Circe con abiti poiret o palmer.
Savinio nelle note di regia fece uso di una padronanza del vocabolario scenotecnico, ma anche veri e propri
suggerimenti concreti e pratici. Sin dall'inizio Savinio ha in mente la struttura della sala Odescalchi per il suo
"Capitan Ulisse", come ad esempio le scalette. Con Pirandello ci sono chiari echi, infatti, durante l'esperienza
del teatro d'arte, vi furono scambi sia tra Savinio e Pirandello.
Per quanto riguarda la figura dello spettatore, sia con i suoi movimenti scenici di entrate e uscite, rappresenta
un elemento di straniamento quando interloquisce con Euriloco.
La figura dell'attore spettatore che compare nell'opera ovviamente fa riferimento a Pirandello.
La figura di Ulisse non è più il mito o l'eroe omerico, e qui viene indagato secondo gli aspetti mai messi in
luce, uno schiumatore di mari, una nostalgia un desiderio,più che un eroe, qualcosa che esiste nella sua
problematizzazione come personaggio più che un'attualizzazione, ed è un mito classico destrutturato con
lampi lucidi di satira.
Con quest'opera, vi è un tentativo di inserirsi nella drammaturgia, però mancato, e inoltre vi è
un'incompatibilità tra il progetto riformista di Pirandello e lo sperimentalismo di Savinio.
Già sul teatro dell'Odescalchi, si vide l'anomalia di Savinio nel contesto italiano. Osservando più da vicino il
repertorio di Pirandello, vediamo quanto l'ironia e lo spirito beffardo di Savinio non fossero accettate dal
teatro d'arte, ed oltre a ciò, egli risultava fuori sesto anche per le conoscenze avanguardiste incontrate Francia.
Savinio fu influenzato musicalmente a Monaco (ma per la vocazione teatrale dall'ambiente avanguardistico
parigino e dunque alla proposta di un teatro con palco come possibilità di sperimentazione), a Parigi ma
anche gli incontri con Apollineire, o Bontempelli furono fondamentali. La proposta di Savinio nel contesto
dell'anomalia italiana (meldolesi) vede nel progetto di "Capitan Ulisse" e il suo destino, una conferma di
sfasamento nel panorama teatrale e un caso di ritorno alle origini, infatti Savinio, dopo la mancata
realizzazione di Capitan Ulisse e non solo per questo, tornerà a Parigi. Il contesto europeo costituì per Savinio
lo sfondo naturale della sua opera, anche se la mancata realizzazione di Ulisse lo porterà ad un
raffreddamento della vocazione teatrale, ripresa solo successivamente.
Cap.3 lo sguardo critico = Negli anni tra le due guerre (sia in Italia sia in Francia) Savinio frequentava
cinematografi, sale teatrali, teatri d'opera. Grazie a questo Savinio era capace di spaziare tra i diversi campi
dell'arte, mescolando cinema e letteratura, musica e pittura e prosa e varietà con grande disinvoltura e
competenza. Savinio passa da attore a critico "dilettante" d'eccezione. Questa sua attività di critico nei diversi
campi dello spettacolo si volge tra la metà degli anni 20 e la metà degli anni 40. Nel 1924 inizia a occuparsi
mensilmente della rubrica "Rivista del cinematografo" (facente parte del periodico "Galleria" dove scrisse 3
articoli che rappresentano il primo tentativo di avvicinamento a questa nuova arte, ovvero quella del
cinematografo. In questi articoli Savinio sostiene di essere interessato al cinematografo per la tecnica
narrativa della sostanza onirica e le capacità analitiche (cioè una macchina che svela i segreti in maniera
inconscia, però crudele). Nell'ultimo articolo su "Galleria", Savinio si dimostrava scettico riguardo ai risultati
concreti della cinematografia poiché per lui il clima culturale italiano era inadatto per esprimere qualsiasi
forma di arte moderna, Per Savinio l'unica via d'uscita era dunque il film d'autore, dove l'autore della
scenografia, della regia e del soggetto coincide con una sola persona (perché secondo Savinio lavorare in
maniera collettiva porta mediocrità e impersonalità). La concezione di Savinio sulla cinematografia si
comprende dall'articolo in cui affronta il rapporto tra cinema e pittura. Qui il critico teatrale sostiene che la
cinematografia primitiva aveva un destino proprio e alto ma poi a causa dell'industria del commercio si è
ridotta a romanzo a dispense proiettato. Per questo non significa che giacerà in questa posizione per sempre
ma basta che qualcuno abbia la volontà di riportarlo a quel destino superiore. Savinio si immaginò forme di
collaborazione fra tra pittura e cinema, infatti, nel documentario bianco e nero, Andrea Montegna mise in
scena drammi pittorici dati dall'accostamento di differenti immagini. Però Savino si rivela non pratica per
quanto riguarda i soggetti perché sono soggetti fuori tempo, non razionalizzati e neti da un libero impulso.
Però diverso è il personaggio di San Francesco (appartenente al film sulla vita di San Francesco, film scritto
con Genina, però mai realizzato) che appunto ha un'impronta realistica. Questo cambiamento è dato dalla
presenza di un committente, la probabilità che il film si realizzasse e anche l'influenza di Genina.
TEATRO DI PROSA: I PALCHETTI ROMANI = Dal 1937 al 1939 Savinio scrisse per il settimanale
"Omnibus" un volume dal titolo "Palchetti Romani", che conteneva una raccolta di cronache teatrali. Però la
collaborazione con il settimanale Omnibus nel 1939 fini, perché un mese prima della cerimonia della
tumulazione delle spoglie di Leopardi, Savino scrisse un articolo dal titolo "Il sorbetto di Leopardi in cui
rivelava particolari meno noti sui piaceri di cui Leopardi amava godere (cioè dell'ingordigia di gelati, sorbetti,
cassate, ecc.), e dunque quest'articolo fu usato come pretesto per chiudere il settimanale. Con la chiusura del
settimanale ci furono ripercussioni sull'attività giornalistica di Savinio, infatti solo dopo alcuni mesi poté
riprendere a scrivere sotto pseudonimo al nuovo settimanale "Oggi". Savinio presentava una particolare
sensibilità per il lavoro dell'attore e per la sua libertà di giudizio, egli aveva del teatro una visione globale che
andava al di là delle classificazioni gerarchiche tra i diversi generi dello spettacolo e la distinzione tra
interpreti in lingua o in dialetto (per lui il dialetto a teatro seduce, perché vedeva negli attori dialettali
l'antidoto dell'attore pensoso e cultore del bello. Cosi eliminava ogni differenza tra attori in lingua e attori
dialettali.) Savinio apprezzava un teatro dove ancora sopravviveva il gusto per il travestimento, per una realtà
trasfigurata nel nome della leggerezza e dell'ironia, perché egli era stanco della riproduzione della realtà e
amava il travestimento, il mascheramento e gli spettacoli promiscui. Tutto ciò lo portò al Teatro di Varietà,
in cui la vita è deformata, fantasticata e stravolta fino al grottesco.
Cap.4 ritorno al teatro
TRE ATTI UNICI
1. Dopo 20 anni da "Capitan Ulisse", Savinio ritorna alla scrittura teatrale con l'atto "IL SUO NOME"
(scritta nel 1945 e caratterizzò gli ultimi anni della sua attività). Il protagonista del racconto è
Ludovico (che era un reietto della società), che si trova in una camera di un albergo di quarto ordine
di una città di mare (al centro di questo atto vi è il dramma dell'individuo). Savinio nei suoi racconti
si è rifatto a molti drammaturghi di cui il primo fu Pirandello. Poiché Il suo nome ha in comune con
"Sei personaggi in cerca d'autore" (opera di Pirandello) la circolarità dell'azione, in entrambi i casi, i
personaggi appaiono in teatro come ospiti, scortati da un usciere, e se ne allontano per proseguire
altrove una recita senza fine (perché questo è il loro destino di personaggi). Questo atto unico registra
varie fonti di ispirazione, infatti, uno dei suoi amati scrittori costituisce un pretesto ispiratore del
racconto, ossia l'opera *Cuore di tenebra di Conrad, poiché la vicenda di Lodovico che nel consegnare
alla fidanzata le lettere, tace sulla vera esistenza condotta dall'amico morto laggiù in riva al fiume e
finisce la visita con una menzogna circa le ultime parole dello scomparso, richiama sino ai particolari
il racconto della visita di Marlow alla fidanzata di Kurtz. "Il suo nome" fu messo in scena nel 1948 al
Piccolo Teatro di Verona. In questo atto unico, il protagonista Lodovico è attirato in un palco, dopo
un'esperienza in cui mandò i suoi piani per il futuro in fumo. (Qui si ha una connotazione
dell'esistenza del personaggio pirandelliano). Il collegamento con Conrad sta nella vicenda di
Lodovico che va a consegnare alla fidanzata dell'amico Enrico morto sul campo di battaglia le lettere
di corrispondenza e fingerà (come il protagonista di "Cuore di terra") sulle ultime parole pronunciate
dall'amico scomparso come Conrad dice che le ultime parole sono il nome della ragazza. Oltre il
riferimento di questo romanzo, possiamo trovare un forte riferimento a Pirandello, infatti Lodovico è
congelato in quel momento, cioè la sua esistenza di personaggio si congela nel momento in cui brucia
le chans del suo futuro, e l'influenza di Pirandello richiama molto "Sei personaggi in cerca di autore"
per la sua: -circolarità dell'azione e i personaggi come ospiti; - per il palcoscenico attrattivo per i
personaggi; -per i personaggi che sono convocati nel palco; -la citazione a un termine' dissugava', della
battuta della figliastra al capocomico dei 6 personaggi; -e la condizione meta-teatrale. 16 personaggi
non solo sono un riferimento per quest'opera, ma anche per gli altri testi drammaturgici di savinio.
Con i 6 personaggi Pirandello trasformò non solo la scena italiana, ma internazionale, e parliamo della
metafora della condizione dell'uomo moderno tra verità e apparenza, verità e finzione, l'incontro tra i
personaggi e gli attori. Dalla prima didascalia viene inquadrata l'atmosfera, dove il sipario è aperto e
il palcoscenico vuoto (e questo ricorda i "6 personaggi"), poi si vede il muro di fondo con delle scritte
(ad es. vietato fumare), dopo di che Lodovico entra scortato da 2 maschere (come i personaggi di
Pirandello scortati dall'usciere) e si tratta di maschere di cui una è priva di idee proprie e un'altra
invece capace di ideare idee proprie. Poi già emerge l'idea di possesso del biglietto per accedere alla
rappresentazione che viene ricordato da una maschera a Lodovico. La prima maschera risponde a
Lodovico che "le maschere fanno parte del teatro", e alla domanda dello spettatore "a chi serve il
biglietto?", la maschera risponde che serve allo spettatore. Lodovico dice di non essere uno spettatore,
la maschera gli chiede dunque che cosa è Lodovico, e questo risponde che non sa definirlo
precisamente, ma prova a rispondere che la sua vita è inutile e noiosa e si reca a teatro per ricordare
le 'occasioni mancate, lui è destinato a rivivere il suo dramma (ovvero che ha perso l'occasione di
sposare la fidanzata di Enrico (l'amico morto) e dunque un futuro adagiato, dunque in drama of
Lodovicos) Bratta di un'occasione stancata a causa di un imprevisto che viene Ha vissuto ogni volta
che va la sala (e qui si parla di ripetizione senza fine della stessa azione).
Immediatamente Lodovico invade il palcoscenico, e non è dunque uno spettatore (questa parte richiama
il Teatro d'Arte di Pirandello, cioè la scaletta che collega la platea al palco e che viene usata da Lodovico).
Poi si assiste a uno sdoppiamento delle maschere, che è stata una modalità scelta da Savinio per una sorta
di riflessione del teatro nel teatro. Le maschere scure eseguono azioni per finta al contrario delle maschere
bianche, e quest'ultime portano una sedia a Lodovico che si siede con le spalle contro il pubblico e inizia
il suo ricordo in cui rievoca l'arrivo del paese della fidanzata di enrico di cui ancora non si sa il nome, è
arrivato col treno e si chiede le ragioni per cui è arrivato in questa città. Lodovico è ancora in treno, non
comprende il nome della stazione, e rimane sul treno che riparte. Successivamente vi è un riferimento
diretto ai "6 personaggi" in cui la figliastra riferita al fratellino dice 'si dissuga'. Nell'atto unico di Savinio,
Lodovico parla di un omino dal berretto rosso che fa annunci al telegrafo, e utilizza il termine dissugare,
termine non presente nell'omonimo racconto di savinio, ma si nel testo teatrale Ludovico scende dal
treno, china la testa e rimane immobile. Poi parlano tra loro le 2 maschere che interrompono il flusso del
dramma, ossia del ricordo di Ludovico che è una distanziazione epica da parte dell'autore rispetto la
scena. Lodovico poi arriva alla casa della fidanzata di Enrico, la quale è vestita a lutto ed era affacciata
alla finestra, ma la scena è accompagnata da uno sdoppiamento di Lodovico, cioè troviamo un Lodovico
che ricorda e uno che invece parla con la ragazza. Lodovico 1 che racconta rivela dice che vuole prendere
il posto di Enrico e quindi garantirsi un futuro di ricchezza, Lodovico fi invece vive la scena. La fidanzata
di Enrico parla come se conoscesse Lodovico fl. Lodovico 1 afferma ricordando che in quel momento di
dialogo con la ragazza, vedeva di fronte a sé il sogno della sua vita cioè "il nido". Lodovico si specchia nel
suo doppio, e il Lodovico 2 si specchia in Enrico, con il piano di diventare Enrico. In un primo momento
Ludovico 1 spiega che non fa altro che elogiare Enrico, poi convincere la ragazza che enrico 'viveva' in lui
e dunque sarebbe diventato per la ragazza indispensabile, e per scacciare il ricordo di Enrico in lei, doveva
ricordare Enrico e aprire la porta alla verità che appunto avrebbe distrutto l'immagine di Enrico che la
ragazza portava nel cuore. Il cuore del dramma è che Lodovico 2 si avvicina alla barella di enrico che sta
morendo, e Enrico consegna tutte le lettere che i 2 amori si spedivano. Enrico chiede all'amico di non
leggere le lettere, e dunque nemmeno il nome, e dopo poco lui muore, ma più avanti Lodovico le leggerà
comunque. Il punto cruciale del dramma è l'invito della fidanzata di enrico a visitare la casa che era pronta
per il matrimonio col defunto, e Lodovico e la ragazza si mettono a osservare il letto matrimoniale. La
ragazza, dopo che tornano in salotto, chiede a Lodovico 2 che parola ha detto Enrico prima di morire, e
Lodovico quando gli risponde "il suo nome", la ragazza invita Lodovico 2 a pronunciare il suo nome come
se fosse Enrico, ma lui dice che non disse proprio il suo nome, ma l'altro. Lodovico 1 arriva alla ribalta,
chiude il sipario, e tutti i personaggi sono immobili e fissi come in un quadro vivente (e questo ricorda la
fine dell'allestimento dei "6 personaggi"). Inoltre vi è un esempio di comicità nera in cui Lodovico dice
che sarebbe potuto essere milionario, ma non ha saputo dichiarare la parola "bella", il cognome
dell'amata, "Chiappa doro". Poi Ludovico urla, la maschera cerca di farlo tacere ma esce dalla sala urlando
e ridendo istericamente chiappadoro. Dunque imprudenza di Lodovico nel pronunciare il cognome della
fidanzata (che appunto era impronunciabile nel momento della morte del'amato), è la causa del dramma.
2. Un altro atto è la "FAMIGLIA MASTINU" dove al centro vi è l'assenza di dramma che nasce dal difetto
di individualità, a differenza dell'atto "Il suo nome" in cui il dramma era quello di Lodovico. Questa
famiglia, formata da marito, moglie, figlio e figlia, corrisponde al modello piccolo borghese di nucleo
familiare, infatti, al capo della famiglia vi è il cavalier Arturo Mastinu (che è un impiegato ministeriale e
corrisponde al piccolo Borghese). Oltre alla famiglia, in realtà compare anche la nonna destinata a morire
all'inizio del dramma, che serve solo a indicare l'esistenza di un passato che esiste per ogni essere vivente,
ossia anche per la famiglia Mastinu. Questa famiglia è priva di reazioni, infatti il dramma è pervaso da
una sorta di assenza di vitalità, anche se a tratti emerge (per esempio nei preparativi del funerale della
nonna.), e l'unico capace di qualche vivacità è il figlio encefalitico Michelino. La Famiglia Mastinu è stata
rappresentata alla Tavolata delle Arti di Bologna nel 1948, ma ottenne una vita breve. Interessante è il
cognome Mastinu che secondo l'enciclopedia di Savinio, nei cognomi di origine bestiale, sopravvive una
dose di bestialità originale, anche se poi i componenti di tale famiglia vanno incontro a una sorta di
civilizzazione, e Mastinu si rifà proprio al termine "mastino", ossia che indica un cane feroce. Un aspetto
molto interessante è la presenza di un orologio che apre il dramma e che si fa portavoce dell'autore. Questo
è legato all'idea che emerge sempre nella "Nuova enciclopedia" di Savinio, dove per lui il teatro è uno
specchio in cui si riflette tutto l'universo, e dunque non solo gli uomini ma anche le cose hanno voce,
pensieri e ricordi. Savinio utilizza la fantasia per scardinare le consuetudini e far emergere l'idea che lui
ha di teatro e di concezione del mondo. Nel quadro finale della famiglia Mastinu emerge anche quella che
è l'atmosfera di pittore di savinio stesso e del fratello surrealista, infatti appare l'uscio di casa aperto su
un esterno, sbiancato dalla luna, e i 4 appaiono bianchi ai quali si unisce anche la nonna (bianca pure lei)
anche se tra questi bianchi, l'unico a sollevare la testa al canto di un usignolo di notte è Michelino. La
famiglia Mastinu apparve anche come racconto, e poi come scrittura teatrale, nel 48 sul sipario anche se
ebbe vita scenica breve, e venne poi rappresentato alla Tavola delle Arti di Bologna nel dicembre 1954
dalla compagnia del Teatro Minimo diretta da Lelli. Il racconto al contrario del testo teatrale, conserva
più evidenti le tracce dell'occasione autobiografica, ad esempio quando compare l'amico Fulchignoni,
però nella versione teatrale compare una condizione familiare più paradigmatica e vasta. Nella stagione
fra l'89 e 90 il regista Marcucci inscena "la famiglia Mastinu" con maschere grottesche e scenografia in
bianco e nero che danno l'idea di un disegno a matita
3. Dei tre atti unici che Savinio scrisse nel secondo dopoguerra, il più rilevante è "EMMA B. VEDOVA
GIOCASTA", in cui, al levarsi del sipario, la protagonista porta già dentro di sé tutto il suo dramma e siamo
in una situazione limite che precede la catastrofe. Poiché nell'atto "// suo nome" ad apertura del sipario la
catastrofe è già avvenuta (e ne era accentuato l'effetto di distanziazione epica nel flashback del protagonista),
nella "Famiglia Mastinu" di catastrofico c'è solo la noia e in "Emma b. vedova Giocasta", il dramma è già
avvenuto nella mente della protagonista. Nel lungo monologo della protagonista, che precede il ritorno del
figlio dopo 15 anni di lontananza, Emma B. ricostruisce tutti i dettagli e ripercorre il cammino della sua
autocoscienza di madre, fino a che la sua vicenda interiore non si anima di dettagli e aneddoti, al centro dei
quali emerge quello dell'ingresso del figlio nell'età adulta dove rivede in lui il padre e lo riconosce come il suo
vero uomo. In questo monologo Emma si confessa, come la delusione con cui accolse la nascita della figlia,
anche lei destinata ad essere dipendente e ad appartenere ad un altro. Interessante è verso la fine l'esaltazione
per l'estremo atto di essersi insubordinata al principio autoritario che spetta al marito. In quanto donna, lei
era dipendente dal marito che la 'schiacciava ' in tutti i sensi e intraprende un percorso di trasgressione, e
pratica l'esercizio del proprio potere grazie all'eliminazione memonica del marito e all'esercizio di potere che
spetta allo status di madre. Nel figlio maschio vede qualcosa che la completa, ma per far ciò il figlio deve
essere dipendente dalla mamma, quindi il figlio può trovare felicità solo in casa, e solo la madre incarna la
promessa di un microcosmo che lo protegge e unica fonte di felicità, ed è come se volesse attrarre il partner
seducendolo. Emma per mantenere il figlio minaccia e poi lusinga, fino ad arrivare all'accennarsi di una sorta
di incesto; Inoltre è caratterizzata da una forte assenza di pudore, e proprio per questo aspetto possiamo
contrapporla invece alla madre che appare nell'opera pirandelliana "La vita che ti diedi", dove troviamo la
donna Anna Luna. Tra le varie differenze col testo di Pirandello, in Savinio emergono la presenza
dell'antagonista maschile e la coscienza dell'incesto come gesto eversivo. La scelta del monologo come genere
dimostra il momento di maggior verità in teatro sia per il personaggio che per l'interprete. Nell'episodio
dell'aneddoto in cui il figlio è braccato, emerge una forte istintualità della madre, citata anche nella voce
'madre' nella nuova Enciclopedia di Savinio. Questo è un atto unico che ebbe molta fortuna, infatti nel giugno
del 49 se ne annunciò la rappresentazione ma fu rappresentato al Teatro Valle di Roma da Ada Borboni il 20
marzo del 52, e inoltre il ruolo fu interpretato anche dall'attrice Valeria Moriconi con la regia di Marcucci
nell'81 a Fiesole.

ALCESTI DI SAMUELE = "L'Alcesti di Samuele" fu Scritta tra il 1947 e il 1948 e messa in scena nel 1950
al Piccolo Teatro di Milano con regia di Strehler. Alcesti nasce in un periodo storico particolare che ha appena
visto la conclusione della Seconda guerra mondiale, ma, nonostante ciò, Savinio considera il periodo "in
drammatico". L'idea di scrivere quest'opera gli venne quando nel 1942 assistette alle prove del Wozzeck, e gli
capitò di notare in sala uno sconosciuto (Alfred Schiel) che lo attraeva in quanto carico di fato. In seguito,
l'amico gli disse che si trattava del direttore di una delle maggiori case di edizioni musicali di Vienna, la cui
moglie ebrea si era uccisa per non intralciare l'esistenza del marito. Così a Savinio venne in mente il sacrificio
di Alcesti, e decise di scrivere la novella. Ciò che ispirò la tragedia di Savino era personale, mentre qui i
protagonisti dell'opera teatrale sono il dottor Paul Goerz e Teresa, ambientata a monaco. Nel 1947 inizia una
corrispondenza con l'amico editore, Valentino Bompiani, il quale affermò che l'opera gli era piaciuta e gli
indicò anche in una lettera alcuni punti per spiegare cosa gli era piaciuto. Nel 1948 inizia la corrispondenza
con Lamberto Picasso (l'attore che già voleva per "Capitano Ulisse"). Savinio scrisse delle lettere, dove
informava Picasso degli altri sondaggi fatti e dichiarava la sua totale disponibilità a interventi e cambiamenti
ritenuti opportuni dall'attore. Dopo alcuni mesi, Picasso rispose e consigliava di sintetizzare il più possibile
le digressioni storico-mitiche. Nel 1949 Alcesti di Samuele usci presso Bompiani, e in un'ampia recensione
Silvio D'Amico confermava la sua sincera stima per il talento di Savinio ed esprimeva apprezzamento per il
nuovo lavoro. Savinio dopo aver capito che Picasso non avrebbe fatto parte della sua opera, tentò altre vie,
com'è la lettera di Guido Salvini. Salvini sosteneva che l'opera doveva essere tagliata e riveduta, poiché la
durata massima della recitazione doveva essere di 120-130 minuti.
Dopo tantissimi tentativi nel 1950 vi fu l'annuncio di Paolo Grassi che lo spettacolo sarebbe stato realizzato
dal Piccolo Teatro di Milano. Durante la rappresentazione, nonostante il testo articolato in tre atti e fosse
stato alleggerito con numerosi tagli e ridotto in due parti, il pubblico prese a rumoreggiare già dal secondo
atto (ambientato in un buio quasi totale). Lo spettacolo fu un fiasco e dopo undici recite lo spettacolo non
riapparve mai più sulla scena. Però nel 1999 Luca Ronconi decise di rimettere in scena l'Alcesti di Samuele al
Teatro Argentina di Roma. Ronconi decise di ridurre il testo della metà e di recitare le didascalie (poiché
hanno una formulazione più ricca di quelle normali, non sono solo semplici indicazioni per la messa in scena,
ma sono commenti dell'autore sulla vicenda in atto). Grazie alle scene di Marco Capuana, lo spettacolo viveva
in una dimensione visiva fatta di suggestioni surreali Saviniane (ritratti animati, oggetti parlanti) e di
macchinerie Ronconiane (il plinto semovente con cui Franklin Roosevelt di Corrado Piani, arrivato in schiena
su delle macchinone americane, si muoveva poi sul palcoscenico).
1° PARTE: inizia l'autoparlante che chiede a tutti gli spettatori di sedersi perché lo spettacolo sta per iniziare,
e parte un dibattito tra lui ed uno spettatore sulla nuova forma di teatro. Successivamente arriva l'autore che
(dopo un lungo monologo) spiega le origini di quest'opera che traggono ispirazione da un fatto realmente
accaduto e da una situazione storica esistente. La scena si apre con la cameriera e la cuoca, le quali prendono
la telefonata diretta al signor Goerz dal ministero, per recarsi li urgentemente dal momento che il ricevitore
era fuori posto (più tardi scopriamo che Teresa era stata la prima a ricevere la telefonata). II telefono parla
ininterrottamente dicendo sempre la stessa cosa, e smette quando si evince che Goerz è andato al ministero
Nel frattempo, anche la madre si lamenta col padre, i quali sono 2 sagome fisse a sedere su una poltrona.
Quando Goerz torna a casa cerca sua moglie, ma non la trova, allora incappa nell'autore che cerca di spiegargli
che Teresa non è più in vita perché ha deciso di suicidarsi (infatti ai piedi del suo ritratto c'è una lettera che
viene letta da Goerz interrotta dal dialogo con l'autore, e successivamente continua dal ritratto della defunta
Teresa.). Alla fine della lettera entrano i 2 figli, Ghita e Claus, che guardando il ritratto ed hanno dei ricordi:
Claus ricorda di aver sentito la madre fare molte telefonate allo zio e a tutti per chiedere loro solo un saluto
(cosa strana perché a lei non placeva fare telefonate e con lo zio non parlava da tempo). Dopo questa scena
entra Roosevelt, richiamato dall'autore con cui ha un colloquio in cui parlano della funzione del teatro,
Roosevelt non sa se è vivo o morto e non ricorda di aver viaggiato, fino a che l'autore non rivela a Roosevelt
di averlo chiamato per svolgere la funzione dell'Eracle in questa vicenda della nuova Alcesti; quindi, egli
accetta e si reca nell'oltretomba per riprendere Teresa. Nel frattempo, l'autore si addormenta, visto che
l'azione non può andare avanti senza che Roosevelt ritorni.
II PARTE: Roosvelt, il nuovo Eracle, scende nel regno dei morti per recuperare Teresa Goerz, la nuova Alcesti.
Nello scendere nell'aldilà (che assomiglia ad un purgatorio), incontra il direttore del Kursaal, cioè una sorta
di "clinica" in cui i personaggi più importanti vengono aiutati a morire e ad abbandonare la loro personalità
nel mondo dei morti (sono sedute in poltrone e si "annoiano"). Roosevelt nonostante sia morto, fa ancora
fatica ad abbandonarsi a questo nuovo stato, e continua a comportarsi come un vivo, e per questo viene
rimproverato. es: fa su e giù tra i 2 mondi. Dopo una visita nel kursaal, egli chiede nuovamente al direttore
(incorporeo per gli altri e visibile solo ai morti, ermafrodita) un permesso per tornare tra i vivi, e portare con
sé Teresa Goez, la nuova Alcesti, ma il direttore non sa chi sia Alcesti e appare la voce della prima Alcesti.
Allora il direttore si arrabbia molto perché lui sta infrangendo tutte le leggi (infatti usa un linguaggio da vivi,
si veste da vivo, continua ad avere una personalità mentre li sono solo un numero..) ma alla fine le altre anime
lo convincono a lasciarlo andare, e lui porta in superficie Teresa, Roosevelt appare subito all'autore che si
ridesta, mentre Teresa passa attraverso il suo dipinto per riprendere le sembianze da viva. Al posto del quadro
c'è un buco nero da cui ella passerà non appena avrà visto le sembianze da viva. Mentre la cameriera pulisce,
si accosta per spolverare il ritratto, ma al suo posto trova un buco nero in cui finisce e da cui viene
violentemente respinta a terra. Tutti si chiedono cosa sia successo, e lei racconta questa storia dicendo di
essere svenuta, senza ricordare di essere stata risucchiata dal buco che poi l'ha respinta ed ha successivamente
espulso anche lo spolverino. Tutti hanno paura, ma il signor Goez capisce che quella non è la porta
dell'inferno, ma la porta da cui ritornerà Teresa: dunque riunisce tutti ma la cuoca è contraria e trascina via
la cameriera (hanno pregiudizi contro gli ebrei). Teresa si manifesta ma è profondamente diversa da prima
perché è carica di odio (racconta del fiume che gli è stato nemico) ed è cinica, tanto da non capire che i suoi
cari siano rimasti pietrificati davanti a lei. Poi allontana i suoi figli perché non prova nulla per loro, i quali
(come per magia) dopo essere stati allontanati si dimenticano dei genitori, ed infine per mano della signora
del profondo (la morte), fa morire anche Paul Goerz, che cade in un sonno profondo e diventa uno spettro
come lei. Infine, rimangono solo l'autore e i 2 quadri dei genitori, che non hanno potuto fare altro che
osservare, esprimere le loro opinioni (contrari al ritorno dei morti e la madre avversa a Teresa) ed alzarsi
unicamente per chiudere il sipario. Teresa nella sua versione di ritorno dal regno dei morti si dimostra amante
della morte, proprio come i vivi amano la vita, e per questo l'autore arriva a sostenere che non esiste più un
noi "e" loro, ma un noi "o" loro, Teresa parla anche del rapporto con i figli, e dei percorsi della vita che sono
2, cioè verso la vita, e verso la morte nel momento in cui nascono i figli. Alla fine sulla scena (prima che si
chiuda tutto) ricompaiono i 2 figli, che chiedono dove sia l'uscita e che dimostrano di non ricordare nulla,
inoltre pensano addirittura di essere stati creati con la fecondazione artificiale che Ghita ritiene come la
manifestazione perfetta del cristianesimo, perché il padre viene "nascosto, avviando un'umanità in cui ci
sentiamo tutti fratelli.
CAP.5 L'ARTISTA TOTALE-GLI SPETTACOLI DELL'ANFIPARNASO
Guido Salvini, direttore della rivista "Teatro", il 4 aprile 1946 chiede con una lettera uno scritto a Savinio
riguardante l'avvenire del teatro lirico in un paese che deve custodire le sue tradizioni musicali, Savinio
risponde che solo il sostegno dello Stato avrebbe aiutato il teatro nell'aumentare il repertorio e nuove scuole
avrebbero potuto contribuire a creare nuove prospettive per il futuro del teatro. Savinio si mette inoltre a
disposizione per la rinascita del teatro. Lo stesso desiderio di ripresa e intraprendenza è all'origine di
un'iniziativa che vede coinvolte personalità di spicco nell'autunno del 1950.
Prende vita l'associazione Anfiparnaso, ovvero una stagione di spettacoli che si apre il 19 ottobre 1950 al
Teatro Eliseo con l'opera buffa in tre atti "Il turco in Italia"; il 24 ottobre è inscenato l' "Orfeo vedovo", atto
unico con scene e costume dello stesso Savinio, e nel corso della stessa serata sono messe in scena "La morte
dell'aria" (tragedia in un atto di Toti Scialoja), e "Il tenore sconfitto ovvero la presunzione sconfitta", il quale
è una farsa in un atto di Vitaliano Brancati. L'ultimo spettacolo ritarda di un'ora la messa in scena perché i
cantanti, guidati dalla Callas, si rifiutano di andare in scena per il mancato pagamento. Questa iniziativa
prende vita grazie alla promessa di un finanziamento da parte dello Stato, che poi è negata, e così i soci
dell'iniziativa si trovano a far fronte ai debiti contratti.
*Orfeo vedovo" (ambientato in epoca contemporanea) si apre con il protagonista, che è un poeta, affranto per
la scomparsa dell'amata Euridice. Pronto per il suicidio, si punta una pistola alla tempia quando gli si presenta
un Agente dell'Istituto Ricostituzione Defunti, che gli propone di materializzare la moglie scomparsa.
L'apparecchio, ancora imperfetto, fa materializzare la sposa insieme al segretario Maurizio Mezzetti, che
ignari di essere osservati danno vita ad un duetto d'amore. Orfeo non regge ciò e vuole suicidarsi, dunque
l'agente tenta di riportarlo al momento iniziale dove Orfeo rifletteva circa il suicidio, lo fa, azzittisce
l'orchestra e poi si rivolge al pubblico scusandosi e dicendo di dover chiudere il sipario, in quanto ci vuole
discrezione, affermando che orfeo non è solo un marito che sta raggiungendo la moglie, ma il poeta che sta
per raggiungere la poesia, poi invita di nuovo il direttore alla conclusione solenne. Quest'opera è scritta di
getto ed è ultimato il 28 luglio 1950. Maria Bonisconti viene indicata da Savinio per fare il resoconto degli
spettacoli dell'Anfiparnaso alla rivista "Sipario". Per l'Orfeo, vedovo Bonisconti scrive come uno spettacolo
completo, in cui Savinio ha fatto tutto da sé la musica, le scene e i costumi. Il tema dell'opera ci riporta al mito
classico che Savinio capovolge nel grottesco. Savinio non prende bene questo parere e risponde, con una
lettera indirizzata a Ivo Chiesa (direttore di "Sipario"), che se avrà ancora la possibilità di suggerire qualcuno
per il resoconto degli spettacoli, si assicurerà di non consigliare "né una sciocca, né una pettegola, né una
screanzata".

L'ALTERNATIVA RADIOFONICA = Savinio riconosce che il teatro, anche se sta diventando sempre più
conosciuto, interessa spazi limitati e rimane sempre un'attività "notturna". La radio è invece un nuovo
strumento, che è quindi l'origine di una nuova forma, che riesce ad abbattere i limiti del teatro. Attratto da
questo nuovo mezzo di comunicazione, Savinio crea a un'opera radiofonica "Agenzia Fix", che è un opera
radiofonica di 16 episodi con 5 voci soliste (soprano, contralto, tenore, baritono e basso),. L'opera si apre con
il suicidio del protagonista, Nell'aldilà è accolto dal Dottor O, consigliere delegato dell'Agenzia Fix (in pratica
è una specie di struttura per morti). Cedendo alla nostalgia, il protagonista si affaccia a una finestra
osservando il mondo che ha abbandonato, ma si allontana poco dopo sentendo i lamenti e i tormenti dei vivi
e della natura. Il protagonista si sottopone al trattamento dell'agenzia e rivive tutti i ricordi. In una cerimonia
solenne gli ospiti dell'agenzia innalzano un sole nero che non tramonta mai. La radio, più del teatro si
dimostra disponibile ad accogliere e produrre le proposte di Savinio, che lo vede come un nuovo mezzo per
dar voce alle sue idee. Ma se Savinio si avvicina tardi alla radio non è quindi per incompatibilità o disinteresse,
ma per le condizioni politiche italiane. Insieme al cinema, la radio è usata dal fascismo come strumento di
propaganda e quindi anch'essa risponde al fascismo. Tuttavia, per i costi dell'apparecchio radiofonico, la
radio non ha il successo sperato dal fascismo.
Quanto alla programmazione culturale della radio, Savinio si lamenta perché si va a orientare verso il teatro.
Ma il regime fascista bada a scoraggiare ogni forma di sperimentazione. Ferreri afferma che la politica
radiofonica è stata quasi del tutto un fallimento e lamenta che la radio è un sottoprodotto del teatro. Magli
accusa invece autori e critici di essere prevenuti e poco informati circa gli esiti del radioteatro, difendendo
così quella forma ibrida. Savinio, esprimendosi sul teatro, afferma che un mezzo meccanico non impedisce la
realizzazione di un'opera d'arte. La radio, per Savinio, deve scartare ogni forma di compromesso e affidarsi
solo al suono, alla parola e al rumore in tutte le sue forme. "Cristoforo Colombo che è stato un radiodramma
portato a termine il 2 giugno 1951 ma trasmesso solo postumo l'8 ottobre 1952, è un'opera in tre parti di 14ffi
minuti, dove predomina il parlato e la musica ha una funzione piuttosto esornativa. Savinio si prende il
compito di completare il destino sospeso di Colombo, il quale aspira a trovare la pace nella morte, ma non
può per il rimorso di aver spostato il centro culturale dall'Europa all'America con la scoperta di quest'ultima.
L'ombra di Colombo si aggira seminando panico nella Washington di Truman per far capire agli americani
di avere radici europee, e detto questo, Colombo, libero dal rimorso, può finalmente morire. Molti prima di
Savinio si sono occupati di trovare uno scopo al viaggio di Colombo, ma lui non gli assegna alcuno scopo. La
radio si serve quindi di strumenti linguistici come parole e musica, suoni e rumori e strumenti che richiedono
l'aiuto della fantasia (aspetto che nel teatro non è contemplato e che interessa Savinio, che riconosce il potere
dell'immaginazione). Tuttavia, non vede la radio come successore del teatro ma nell'avvicinarsi a essa,
riscopre la sua duplica vocazione musicale e poetica.

SCENOGRAFIA E REGISTA = Negli anni del secondo dopoguerra Savinio ritorna nello spettacolo. In quel
periodo, il teatro-musicale e teatro di prosa si contendevano il primato. La competenza musicale di Savinio
consentiva all'artista di prodursi come autore, regista, scenografo e costumista. La figura del regista intanto
prendeva sempre più importanza in Italia, anche se in ritardo rispetto agli altri paesi europei. Fino agli anni
'40 rimane il dominio del direttore d'orchestra, ma comunque non mancano segni di rinnovamento, ed è
sempre più avvertita l'esigenza di stare al passo con gli altri paesi europei. Guido Salvini, che è il personaggio
più adatto per attuare il passaggio dal vecchio direttore di scena e il regista moderno creativo, chiarisce le
caratteristiche della nuova figura professionale affermando che "È regista drammatico chi ha la responsabilità
totale dell'allestimento dello spettacolo e della recitazione degli attori, mentre è regista lirico chi ha la
responsabilità del complesso scenico dello spettacolo lirico".
La figura di regista si presenta a Savinio come terreno fertile per combinare i linguaggie Evoro. Sandro Sequi,
nell' "Enciclopedia dello Spettacolo", traccia tre categorie di regista, ovvero il regista di mestiere, il quale è
spesso un musicista che deve essere attento all'armonia tra la musica e la scena; "il regista-coreografo" che
deve essere attento al movimento della danza che sarà vista dallo spettatore, e "il regista che proviene dal
teatro di prosa" che deve riunire armoniosamente musica, regia e scenografia. Il teatro musicale è incline al
rispetto della tradizione, quindi il regista creativo ha per lungo tempo lavorato solo al di fuori del
melodramma italiano dell'800. Fedele d'Amico osserva che il melodramma ottocentesco si attiene molto alla
tradizione, e quindi la nuova figura del regista va tenuta alla larga. Nell'aprile del 1948 alla Scala, va in scena
"Oedipus Rex" di Stravinskij-Cocteau, e Savinio lavora come regista. Sulle pagine di "Sipario", Ferdinando
Ballo scrive che quest'opera descrive una Tebe "di gusto moderno, ma di maniera". La regia di Savinio aprirà
le porte al processo di progressiva apertura verso nuove energie creative, e riguardo questo, Guccini scrive in
un saggio che nel secondo dopoguerra il teatro comincia ad adottare un linguaggio scenico più "duttile e
moderno" e inizia così la smobilitazione del regista fisso. Nell""Edipo Re", Alberto Savinio dimostra che la
regia è la comunicazione al pubblico di un'interpretazione dell'opera, e il regista deve quindi creare una sua
visione del dramma. Già in precedenza Savinio ha manifestato la volontà di affacciarsi al mondo della
scenografia, ma sono tentativi sporadici. A parte i bozzetti e i figurini per i Chants de la Mi- Mort, che sono
andati perduti, si conoscono due bozzetti del 1925 per la Ballata delle stagioni, Quando, nel secondo
dopoguerra, Savinio si riavvicina al teatro, la sua esperienza nella pittura gli apre le porte nel mondo della
scenografia. La visione di Savinio della pittura si afferma come strumento di narrazione, ed è proprio la
sicurezza acquisita nella pittura che gli consente di creare la scenografia dell'Oedipus Rex, però i bozzetti e i
figurini non si limitano a mostrare le scene e i costumi, ma sono prodotti pittorici. Savinio vede in Edipo la
"tragedia della trasformazione", dove Edipo da "uomo piumato" (a causa delle sue sventure) perde tutto il
suo piumaggio. Il protagonista della tragedia non è l'unico che si trasforma, ma anche tutto intorno a lui
dovrebbe trasformarsi, ad esempio il coro, rappresentanti dei cittadini di Tebe, le colonne del tempio, i
capitelli (che devono girare su sé stessi per attuare la trasformazionefi deve passare dall'essere neri a bianchi
e viceversa. Ma questa innovazione ha incontrato l'opposizione della tradizione che appunto non ha
consentito il mutarsi più impressionante che abbia mai visto, ed è ciò che Savinio ha dichiarato riguardo allo
spettacolo. Savinio critica l'eccesso di estetismo, e lo vede come il pericolo maggiore della regia moderna. Il
regista esteta è nemico del contenuto dando peso solo alla forma. I luoghi nativi del regista esteta sono Russia,
Germania e Francia, ma in pochi anni approda anche in Italia. Savinio è ancora molto legato alla tradizione
teatrale, e per questo ritarda la sua entrata come regista. Savinio però awerte l'eccesso di protagonismo del
regista. Per lui l'intero progetto deve essere coerente con 'le ragioni del testo", e inoltre afferma che la scena
ha privato il teatro della sua capacità di modificare la realtà. Dunque per risolvere questo problema ha provato
a rimpicciolire il personaggio. Nella stagione teatrale del 1948-49, ne "l racconti di Hoffman" di Offenbach,
nella messa in scena di Savinio si percepisce il rispetto per la sostanza poetica dell'opera. Il Corriere della
Sera del 7 maggio 1949 scrive della scenografia di Savinio come un mondo fantastico e surreale in cui
appaiono oggetti lievitati e il cervo dall'occhio umano. "I Racconti di Hoffmann" sono stati un'esperienza
felice per Savinio. Sempre a lui è affidata la scenografia de "L'uccello di fuoco" di Stravinskij. Tre fondali
pittorici illustrano la fiaba per lasciare spazio alla danza di Margherita Wallmann. Particolarmente bizzarri
sono i costumi del popolo Katcei ( in cui una ballerina si rifiuta di indossarli vestendosi da sé "rinunciando
all'armonia generale"). Il 14 giugno del 1951, va in scena "La Vita dell'uomo" che fu l'ultima opera con la firma
di Savinio. I temi sono la memoria dell'infanzia, il rapporto con i genitori, la riflessione sulla morte e sulla
vita, e ci fanno capire i cenni molto autobiografici. Nel 1952 mette in scena "l'Armidia" di Rossini. Raffaele
Monti scrive dell'opera come il grande evento sceo-pittorico dell'immediato dopoguerra. La fantasia di
Savinio dunque si è dimostrata disponibile alla mutazione, nonostante la sua adesione ideale ai modelli
teatrali dell' 800. Con "l'Armidia", Savinio conferma di essere un artista polimorfo, però la sua morte
prematura tronca la sua nuova vocazione.

Analisi opere

Alcesti di Samuele
Il testo di Alcesti di Samuele secondo Savinio ha due dimensioni, quello della lettura e quello della
rappresentazione. Salvini, che è stato uno degli esponenti di punta degli anni Sessanta. Il Novecento si
caratterizza per la frantumazione dell’io, la caduta dei modelli tradizionali che portò poi a Beckett con il teatro
nell’assurdo, perché il Novecento rappresenta questo. Non si parla più di tragedia, perché è l’uomo il padrone
del proprio destino; quindi, è il dramma il nuovo nome (Capitano Ulisse). L’insensatezza quindi è nostra, non
una divinità superiore. E in questo contesto che Luca Ronconi e Sanguinetti mettono in scena uno spettacolo
rivoluzionario, l’Orlando Furioso, in cui fondamentale è la partecipazione attiva del pubblico.
Pubblico che però è pigro, e ha bisogno di essere scosso. Sia Savinio che Pirandello penso di coinvolgerlo
attivamente.

Nel teatro abbiamo la possibilità di attivare un orizzonte diverso che corrisponde al nostro disegno, che non
è soltanto umano. È una dimensione fantastica. E questa sua concezione dell’arte Savinio la esporta in ogni
dimensione.

Dopo l’Alcesti, Savinio fa qualcosa di Analogo a Pirandello: scava nelle sue novelle e le traduce in termini
drammaturgici.

Capitano Ulisse e Alcesti di Samuele con delle ambizioni molto grandi, anche non rinuncia a comporre testi
importanti, nonostante la volontà di essere rappresentato, come se non volesse rinunciare alla dimensione
letteraria.

-- Parte Prima
Il teatro è cambiato, è un luogo di trasformazione che ci rivela la nostra natura più profonda.
Questo cambiamento è preannunciato dall’altoparlante, una voce metallica;
è la modernità ad annunciare la modernità; esso segue passo passo quello che accade in sala, come se non le
didascalie fossero lette dalla voce da un direttore di scena.
Il teatro è un ambiente familiare: l’autore ricorda i vecchi tempi, il periodo del fascismo (42-43-44) di vita
monotona.
la riapertura dei teatri è un momento di rinascita, primavera.
continuano i ricordi del 42, in un flusso di pensiero.
L’autore fa diversi mestieri per vivere (riferimento autobiografico di Savinio che le ha provate veramente
tutte) per fregare la morte, la noia (pag. 22).
L’uomo prende il controllo di sé, non è più controllato da Dio (=propaganda di guerra); è auto legittimato. La
morte rappresenta un motore, accende qualcosa nell’uomo. La genesi degli Alcesti, questa tragedia, è il
risultato di un continuo divenire (è presentata al lettore come un crescendo).
Dalla “scomparsa” dell’auto parlante e l’autore a guidarci nella narrazione, in un discorso diretto.
- la cameriera la cuoca affrontare un dialogo profondamente antisemita.
- il ricevitore è come se scottasse, forse il messaggio trasmesso preannuncia sventura, forse è stata la morte a
chiedere di Goertz.
- questa chiamata di Goertz in ministero della cultura c’entra con un matrimonio sbagliato, indesiderato che
porta sulla scena due figure a lui cari: il padre e la madre, che cominciano a discutere su ciò che sarebbe stato
meglio per il figlio.
- Pag. 37 = Goertz ha sposato Teresa, un’ebrea (=matrimonio non accettato dai genitori); il padre dimostra
empatia nei confronti della nuora. Paul ha ricevuto un ultimatum; deve decidere se assecondare il volere dei
fascisti/nazisti e andare contro il suo amore con la moglie divorziando, a costo di perdere il posto di lavoro.
Decide di stare accanto alla famiglia.
- Goertz e il narratore cominciano a dialogare.
- Goertz richiama alla vecchiaia dei genitori dicendo “cambiare facce”; forse si riferisce anche al loro
antisemitismo, quindi di non guardare oltre le leggi razziali. I genitori sono pur sempre una figura autorevole.
- La vita è la giornata: sa che siccome la moglie ebrea potrebbe potrebbero esserci delle conseguenze. La vita
è ormai sopravvivenza.
- Goertz trova una lettera della moglie.
- Pag 43: Savinio È autoreferenziale: dai ritratti emerge la voce della persona dipinta.
- Goertz sostiene la parità tra uomo e donna.
- Alcesti = non è un individuo ma una specie (figure che si ripetono perché appartengono a una stessa
specie). Alcesti di Samuele viene dal nome del padre di Teresa → si intende padre nella religione, perché è
ebrea.
- I commenti dei genitori sono alquanto fuori luogo, tanto che l’autore dice che abbassano il tono della
situazione.
- Goertz legge la lettera: è una lettera d’addio; la moglie Teresa si è suicidata gettandosi in un fiume ed è
finalmente libera.
- Il riso è una maschera del dolore.
- Goertz Riflette sul fatto se sia necessario mandare le partecipazioni per il funerale della moglie, perché a
nessuno importa di un'ebrea.
- Pag. 51: L’autore dice che il nazismo è inutile che Teresa è morta perché Paul possa continuare a vivere. “se
lei muore uccide la signora”.
Il nazismo è una sciocchezza e in quanto tale finirà, ne è sicuro.
- Riflessione sulla propaganda: taglia la voce degli uomini.
- La madre racconta di Formaggini è un ebreo nativo di Modena che si era ucciso all’avvento del nazismo.
Torna il concetto di una vita per altre vite.
- Prosegue la lettura della lettera di Teresa: il suicidio per lei una morte degna; la morte è sua amica. Associa
la morte al vizio del fumo: smettere di fumare è una decisione complicata tanto quanto gettarsi in un fiume;
è una scelta autorevole.
- È il ritratto a leggere. Teresa si è uccisa “perché fa schifo“; idea propriamente antisemita.
- Il suo suicidio è una forma di riscatto: si è sacrificata per il marito, e lo fa con vanità (è la stessa cosa che fa
Nora in Casa di Bambola: sacrifica tutto per il marito e rischia).
- Inizia un dialogo tra il padre e l’autore: il padre narra la storia di Alcesti (Pag. 66), che diede la vita per il
suo sposo e il padre e la madre di lui erano ancora in vita. Il legame tra genitori e figli è indissolubile e non
necessita di prove d’amore come quello trasposi (chiaro riferimento al suicidio di Teresa). Il padre, a
differenza dell’inizio, non è affatto empatico, anzi è ridicolo e superficiale.
- Claus e Ghita (i figli) cominciano a domandarsi dove sia la madre: sono innocenti.
- il ritratto riporta la conversazione tra Teresa e Gregorio (suo fratello).
- Claus comincia a capire che qualcosa non va e “si sente morire”; mentre la sorella gli dà delle ragioni per cui
valga la pena vivere; tutto è vano.
- Entra il personaggio di Roosvelt, presidente degli USA. Il suo personaggio segna in un certo senso la fine
della guerra (difatti nel 42 gli Stati Uniti entrano in guerra, è un anno decisivo per le sorti della Seconda
guerra mondiale).
- Gli americani sono nella condizione migliore per conquistare il mondo uguali società del benessere; sono
apparentemente più pacifisti.
- L’autore allude alle propagande e alle idee di dominazione del nazismo (impone un unico pensiero come
unico e corretto).
- gli americani sono paragonati a dei moderni romani; la conquista e la dominazione sono segno di
femminilità → colmare il vuoto occupando un territorio altrui significa fecondazione.
- Idea del totalitarismo secondo l’autore Savinio (pag. 81).
- Riferimento ai valori cristiani: anche la religione cristiana a causato dei morti (=dolore per colpa di altri).
- Roosevelt è morto, quindi non potrà fare nulla per chi è in vita; è come se l’autore disse al presidente la
certezza che gli Stati Uniti si affermeranno, o meglio confermeranno ancora una volta di essere una
superpotenza.
- Roosevelt è “vivo” perché è a teatro, luogo dove tutto è possibile.
- “Lo Stato deve occuparsi del teatro”.
- Pag 88 = confronto vita e morte.
- “Alcesti non si risolve senza Ercole”: Ercole e Roosevelt, probabilmente scelto come esempio di figura statali
dalla parte del bene, un modello è in figure come Roosevelt che è in mano il destino del mondo.
- Ercole è esistito soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento, periodo del liberalismo e della democrazia
(supremi ideali di vita) —> periodo del realismo del positivismo.
- Fotografia: avvicina l’uomo alla verità.
- Ercole è una serie di uomini forti, onesti e ottusi: ha buttato il totalitarismo. Roosevelt è l’ultimo Ercole
- Il padre spiega di nuovo cos’è l’Alcesti, questa volta alla madre.
- Alcesti è di Euripide: il personaggio è Eracle, il quale fa un grande gesto: scende nel mondo dei morti per
riprendere Alcesti e riportarlo al marito e ai figli.
- Si sta verificando la stessa identica azione nell’opera di Savigno; come nella tragedia greca Amleto ospita
Ercole e gli dà da mangiare, così sta facendo lui con Roosevelt, che si offende per la faccia da funerale della
cameriera.
- Roosevelt è lì per riportare in vita Teresa dagli inferi; è introdotto al dramma familiare.
- La donna ha costretto l’uomo a essere debitore; è un’umiliazione, una condizione di inferiorità (Casa di
bambola).
- Il mondo non è ancora pronto per una storia come quella di Teresa.
- campana abissale: rimette insieme l’uomo disintegrato dalla morte, ricomponi i tuoi pezzi per mezzo di
energia vitale.
- Roosevelt non è solo Ercole, ma anche Orlando, Don Chisciotte.
- Amore tra gli uomini = potere più forte.

-- Parte Seconda
Roosevelt scende nel mondo dei morti.
- E’ introdotto il personaggio del Direttore (=non è altro che un’ombra, non sappiamo se sia uomo o
donna) del Kursaal dei Morti: è un luogo buio, senza luce, dove non contano i nomi né le ragioni
della morte. È una clinica per i morti, ossia lì i morti sono aiutati a morire (è il Purgatorio). Lì sono
ammessi solo i personaggi illustri, quando la loro personalità lascia il mondo dei vivi.
- Il direttore dice di aver udito la voce della Madre di Paul chiamarlo, e che la voce di una madre è una
delle poche cose (come le abitudini) capaci di traversare la frontiera tra la vita e la morte.

- Roosevelt è reso celebre dalla morte, più di quando era in vita. Spiega di essere l’Ercole di questo
Alcesti. Chiede di Teresa e racconta la sua storia, perché è morta: spiega che lei è ebrea, e che si è
suicidata per evitare che il marito, tedesco, penasse le conseguenze delle leggi razziali.

- Pag. 124 = Riferimento a Savinio: scrisse che la soluzione contro il Fascismo era non pronunciare il
nome di Mussolini (presente nel registro del Kursaal), ma che nessuno ebbe il coraggio di farlo.

- Pag. 125 = Considerazione sulla figura del dittatore: è acclamato dal popolo finché le cose vanno bene,
ma non appena cominciano and andare male gli vanno contro.
- Il Direttore mostra a Roosevelt il pubblico, destinato a morire prima o poi.

- Il Totalitarismo uccide gli individui, rubando il lavoro al Kursaal.


- La morte considera tutti allo stesso modo, indipendentemente dal sesso; nella morte siamo tutti
uguali.

- Roosevelt cerca di entrare, chiacchierando, nelle grazie del Direttore, perché gli conceda di portare
con sé Teresa (non è ancora completamente morta, potrebbe accadere da un momento all’altro, si
trova ancora in un limbo).

- Torna la voce dell’Autore, che si riaddormenta.

- Pag. 143 = Il Direttore, finalmente, si rassegna e concede a Roosevelt di andare a cercare Teresa.

- Roosevelt è un morto che ama la vita. Ricomincia il dialogo tra lui e l’Autore, in cui gli racconta cosa
ha visto laggiù, com’è impostato.

- È un controsenso: Roosevelt nel mondo di laggiù è vivo, mentre nel mondo dei vivi viene giudicato
come morto.

- Riesce a riportare la signora Goerz nel mondo dei vivi.

- Non c’è più il ritratto e la Cameriera (Enrichetta) è stesa per terra, priva di sensi.

- Il Ritratto è un passaggio, una porta da cui Teresa può passare dalla vita alla morte; sta per arrivare.
E’ stato dipinto da Savinio stesso. Teresa deve passare attraverso la cornice per riacquistare la sua
immagine da viva. E’ lì davanti che tutti i personaggi sono invitati ad attendere il ritorno della
Signora Goerz. L’Autore non è però preso in considerazione da Paul, e sentendosi escluso decide di
rivendicare la sua presenza.

- L’autore ci dice qualcosa in più su Paul: è un uomo di cinquant’anni, opaco, vestito con sciarpa e
cappello; da questa descrizione sembrerebbe un uomo qualunque, tuttavia egli deve ancora “venire
alla luce” → deve rompere la placenta che lo avvolge, e far fuoriuscire la verità che è in lui: sta
aspettando la sua sposa.

- Il buco che si trova nella cornice, diffonde attorno a loro la morte.

- Goerz continua a chiamare la moglie sporgendosi nel quadro, finché non viene respinto da un forte
vento che precede il ritorno di Teresa.

- Teresa torna attraversando il quadro, ma si rivolge alla sua famiglia in maniera ostile, “fa una lezione
ai vivi”. La morte sarebbe stata un’opportunità per affermarsi. (morire per essere) Racconta di ciò che
ha provato una volta nel fiume, di cosa ha provato, di come la sua via di fuga dal nazismo e l’egoismo,
le avesse dato un po’ di pace, che è stata disturbata. Non dimostra rispetto neppure per il figlio.

- Teresa dice di aver portato con sé l’Immortale (probabilmente sta parlando della morte).
- Paul muore, abbandona il suo corpo e si ricongiunge con Teresa; adesso tra di loro non c’è più nulla
che li divide, né la vita, né la morte. Era prima gelosa della Vita che li separava. La morte li ha
allontanati dai figli, com’è giusto che sia a un certo punto nel corso della vita.

- La nascita dei figli segna il passaggio dalla vita alla morte. (morte e vita sono associate fin dal
concepimento). NASCERE E’ INDIVIDUALE, MORIRE INVECE UNIVERSALE.

- Teresa non era spaventata dalla morte, ha solo affrettato il suo destino.

- Anche i morti amano la morte e odiano la vita.

- Dialogo tra l’autore e i figli: i genitori sono stati dimenticati, l’Autore cerca di parlargliene, ma loro
non se ne ricordano. La Madre e il Padre invece se ne ricordano, e cominciano a parlare di Paul. Sono
loro a chiudere il sipario.

Il suo nome
La situazione è la dimensione della dimensione spuria dello spettacolo, simile a quella dei Sei personaggi.
Ritroviamo il tema della noia, come in Alcesti di Samuele, dove Savinio afferma di aver cercato di combatterla
provando diversi mestieri nella sua vita.
- Lodovico è divorato dalla noia, non sa più cosa vuole dalla vita; va quindi a teatro per riflettere. Con
lui vi sono due maschere: la prima (Maschera 1) priva di idee proprie e si lascia trasportare, a
differenza della seconda (Maschera 2) che cerca di partorire qualche idea propria.
- Nella sua vita c’è stata un’occasione mancata che l’ha segnato per sempre;
- Secondo lui essere legato ai ricordi, ogni tanto scavare nella memoria serve a far tardare la morte.
Lodovico comincia a raccontare.
- Aveva affrontato un viaggio in treno per andare a trovare la fidanzata del suo amico Enrico, morto.
- Passeggia per Fàbara in cerca della via Centoversuri.
Entra in scena la fidanzata di Enrico
- Lodovico vede la vicenda dall’esterno, divenendo Lodovico I; quello che parla con la fidanzata
dell’amico, il Lui del passato, si chiama invece Lodovico II.

- Immagine del nido → trovare sicurezza nella moglie, che veste anche i panni della madre.

- Lodovico avrebbe preso piano piano il posto dell’amico, e avrebbe distrutto il ricordo di Enrico
rimasto nella ragazza; lui è sempre stato bravo a distruggere le cose, fin da bambino, addirittura ha
forse distrutto la sua stessa vita.

- Prima di morire Enrico aveva lasciato a Lodovico qualcosa da lasciare alla fidanzata. → un pacchetto
contenente delle lettere.
Enrico lascia in eredità all’amico la fidanzata, incluso il matrimonio.
- Enrico definisce la ragazza Disgraziata, e dice a Lodovico di non pronunciare il suo nome, tanto che
nel raccontare viene definita Signorina Tale.
Torna il tema della Morte, associata al fiume.
Le maschere fanno da strumentisti (=mettono gli oggetti in scena) tra il racconto del passato e del presente.
I due Lodovico raccontano di Enrico, della sua giornata tipo, e del fatto che facesse tutto per rendere contenta
la fidanzata. Non mancavano però gli svaghi.
- La conversazione tra Lodovico e la fidanzata di Enrico sembrava una riunione del Ku Klux Klan
(=forse sta a significare la segretezza della situazione)
Lodovico mente sulle ultime parole di Enrico: le dice che le ultime parole pronunciate è stato il suo nome.
- Il cognome della Fidanzata era Chiappadoro.

La famiglia Mastinu
Nella descrizione dell’orologio troviamo una descrizione terribile, cruda, realistica e sarcastica allo stesso
tempo. Una versione dissacrante della vecchiaia. Michelino è l’unico personaggio che ha un barlume di vita,
è l’unico che guarda fuori dalla finestra (è tratto da un ragazzo esistito realmente). La vita della famiglia viene
sconvolta dalla morte, anzi dal funerale, della morte, perché come spesso accade, per obblighi sociali, diversi
vicini di casa visitano la famiglia per fare le condoglianze: questo si traduce in una serie di situazioni che vede
la famiglia impegnarsi con questi protagonisti dell’esterno. Ma tutto ritorna come prima: è una descrizione
della mediocrità della famiglia medio-borghese. Si ispira all’ambiente ministeriale di Roma. Probabilmente
si ispira alla famiglia della moglie.

-- QUANDRO PRIMO
La noia è un tema ricorrente nelle pieces di Savinio. Il primo personaggio a parlare è un orologio, vecchio e
stancl del suo lavoro. Pensa non abbia senso continuare a lavorare in una casa dove non accade mai nulla.
La noia ha paralizzato i padroni dell'orologio, ormai apparentemente morti, senza una reale ragione che li
faccia continuare a vivere (speranze, desideri, sentimenti). Continua a parlare presentando la famiglia
Mastinu, soffermandosi in modo particolare sulla nonna, per poi passare ad Arturo Mastinu (capo contabile
del ministero dell'industria del commercio).
- La famiglia Mastinu neppure si saluta
- Non leggono i giornali, non si tengono informati →Savinio in un certo senso denuncia l'ignoranza e la non
curanza nei confronti della Seconda Guerra Mondiale; a quanto pare i Mastinu non hanno dovuto
preoccuparsene.
- Descrive Agnesina, la figlia: ha 27 anni, conduce una vita monotona tra casa e lavoro, non ha una vita sociale.
- L'altro figlio è Michelino, l'unico a dare una scintilla di vita in quella famiglia; è l'unico a cui sembra
importare qualcosa.

-- QUANDRO SECONDO
Avviene il primo dialogo tra Mastinu e il dottore, che gli comunica della malattia della madre (sclerosi degli
organi). Un amico, Righetti, ha saputo della sventura e va a trovarlo.
- Improvvisamente tutti sembrano preoccuparsi delle condizioni della nonna = falso interesse.
Entra un altro personaggio, la signora Palombi; che lei ha saputo della nonna. È la vicina di casa, ma non si
erano mai incontrati prima di quella volta.
- La nonna è morta.
- Anche alla fine del quadro precedente Michelino si eraa messo a ballare.

-- QUANDRO TERZO
Agnesina si sta facendo cucire la gonna per il funerale da una sarta.
- Righetti sembra essere molto preso dalla ragazza, le fa addirittura un complimento. →sono innamorati, e si
sposeranno addirittura.
Entrano in scena zii e cugini = serve la morte per farli incontrare. Arriva anche la signora Palombi col marito,
il commendatore. Nel frattempo Santa riceve il conto dalla ditta di pompe funebri.
- Ci viene detto che la Signora Mastinu è una donna di bell'aspetto.
- Michelino esce ballando, di nuovo.

-- QUADRO QUARTO
È di nuovo l'orologio a parlare: dopo il lutto non succede più nulla, tutto sembra essere tornato all'anteriore
stato di noia. = Michelino dice che la morte della nonna aveva portato allegria → è l'unico a dire la verità.

-- QUADRO QUINTO
La famiglia Mastinu è seduta a tavola: tutti hanno lo sguardo chino sul piatto, tranne Michelino che è l'unico
a conservare in sé ancora un po' di vita. Capiamo che il ragazzo è l'unico a non essere “morto” perché anche
la nonna quando entra, dopo essersi accomodata a tavola, china lo sguardo verso la zuppiera.

Emma B. vedova giocasta


La Signora Emma comincia a recitare un monologo, in presenza di Angelica, la sua cameriera, quasi
dimenticando che quest’ultima sia lì con lei.
- Parla di una lettera (di ben 8 pagine), che suo figlio Millo le ha scritto per comunicarle del suo arrivo
in stazione “alle undici”. Probabilmente è un po’ di tempo che i due non si vedono, perché parla di un
ricongiungimento con lui, del ritrovo di una madre con il proprio figlio facendo riferimento a un film
che proiettano al cinema dal titolo (guarda caso) Madre. → dice alla domestica di andare a vederlo
con la sorella.

- Ci vengono rivelati maggiori dettagli: Millo se n’è andato di casa quindici anni prima, durante la
Seconda Guerra Mondiale (quando ancora c’erano i tedeschi) per inseguire la felicità. Era ancora uno
studente.

- A Emma non piace la donna che il figlio ha deciso di sposare → come accade nell’Alcesti.
Millo non si era mai a aperto con la madre prima di questa lettera, non aveva mai voluto che fosse a
conoscenza di ciò che accadeva nella sua vita. Adesso, secondo Emma, ha finalmente capito che lei, in quanto
madre, è l’unica persona che può dargli conforto, di cui può fidarsi.
- E’ talmente rilassata che vorrebbe suonare il pianoforte, che però non possiede più.
Comincia a raccontare una storia, che aveva già letto in un libro di Savinio.
- Nel Gennaio del 1944 il figlio le si presentò alla porta in cerca di un nascondiglio → scappava da
parecchio, era stanco, bianco come la carta in viso, aveva la barba lunga. Rimase in casa di Emma fin
quando, una sera, la polizia le bussò alla porta: a quel punto l’uomo cercò di fuggire in tutti i modi.
Lei e l’uomo di gesso, si nascosero in bagno: c’era una strana tensione tra i due, al quanto
inappropriata per la situazione, incestuosa direi. → è per questo che Millo decise di scappare e non
tornare più a casa.
o Il poliziotto non avrebbe mai potuto sospettare che fosse il figlio quello con lei, in bagno, di
notte… letteralmente senza pudore. Emma ha pensato di essere desiderata dal figlio, per un
semplice sguardo.
Emma pensa che il figlio sia ingrato, che non abbia capito che tutto quello che ha fatto è stato per proteggerlo.
Millo si è sentito in pericolo, è per questo che è scappato.
Emma ha sviluppato un attaccamento morboso nei confronti del figlio: è andata fino a Genova, e ha visto che
ha tradito la moglie con un’altra donna, ed è alquanto dispiaciuta che non fosse lei.
- Dimostra gelosia parlando male di tutte le amanti di Millo: trova dei difetti sia nella levatrice che
nell’infermiera.
Per quindi anni, la signora Emma ha cercato di colmare l’assenza del figlio riguardando i vestiti nel suo
armadio, appesi a un filo.
Ci viene descritto il legame e ciò che prova per la figlia Marta: notiamo una differenza con Millo, in quanto
sembra non provare eguale gelosia nei confronti del marito della figlia come fa per ogni amante del figlio.
- E’ giustificato che la figlia senta il bisogno di essere legata a un uomo, come lei è legata al figlio.
- Prima della nascita di Millo, Emma si sentiva incompleta.
Uno dei motivi che potrebbe spiegare quest’attaccamento e amore nei confronti del figlio è che gli ha sempre
ricordato il marito, morto a un anno della nascita di Millo.
- Il marito era un estraneo (come in Casa di bambola), mentre il figlio non lo era perché l’aveva partorito
lei.
E’ impaziente di rincontrare il figlio, si fa bella per lui nella speranza di udire dalla sua bocca una
dichiarazione d’amore, o qualcosa di più; crea addirittura un’atmosfera “romantica”.
- Lo inviterà a raggiungerla in una camera. (Porca miseria, per fortuna SIPARIO).
Torniamo di nuovo al mito evocato nel titolo. Il complesso di Giocasta: un eccesso di attenzione per il
figlio maschio. Il finale è aperto. E’ chiaramente un incesto immaginato da una Giocasta alla quale Edipo
cerca di sfuggire. Savinio attinge a piene mani al mito di Giocasta fuso alla psicoanalisi.

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Savinio spettatore: Tra metà anni 20 e metà anni 40 frequenta cinematografi, teatri d'opera ecc. grazie ai
quali si costruisce un bagaglio culturale che gli permette di diventare un critico.
Savinio e il cinema: In quel periodo c'era il cinema muto, e lui pensa già al destino commerciale del cinema,
che diventò tale con l'avvento del sonoro e dei colori. È interessato al cinema perché secondo lui mette a nudo
la realtà, non è una riproduzione meccanica di quest'ultima anzi ne rivela i segreti. Si interessa alla
cinematografia per la tecnica narrativa e le capacità analitiche ma è scettico riguardo i risultati finali
perché per lui l'unica essenza della cinematografia (quella italiana è in concorrenza con quella straniera) è il
film d'autore, il quale è appunto autore della scenografia, della regia e del soggetto, mentre al tempo questa
era limitata soltanto a un romanzo a dispense proiettato; i soggetti sono fuori tempo, non razionalizzati,
l'unico che gli piaceva a causa dell'impronta realistica era San Francesco nella Biografia. Nella scatola sonora
affronta il tema del rapporto tra il cinema (dinamico) e la pittura (statica) e vuole farne un tutt'uno.
Accostando immagini, musica, vuole creare la “pittura in movimento” e, quindi, i drammi pittorici.
Teatro musicale: Parla del compositore tedesco Wagner, ammirandolo inizialmente ma distaccandosi poi
dicendo che a chi quest'ultimo piace in età giovanile poi si ricrederà in età adulta; dice inoltre che il rapporto
tra dramma e musica deve essere inteso come qualcosa di unico; quindi, la musica non deve essere un
sottofondo del dramma, ma l'azione drammatica e l'azione musicale devono essere unite.
In sostanza Savinio critico cinematografico e musicale.

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