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ORFEO VEDOVO
Paola Italia
spiega l’Agente [AS Lib 22, c. 5]) la puntava contro se stesso uc-
cidendosi. Preso a pietà, l’Agente lo rianimava, riportandolo nella
stessa posizione di attesa e lutto in cui lo avevamo trovato, in me-
lanconica contemplazione del vuoto intorno a sé: «Le stelle là, nel
cielo; la gente qui sotto, in istrada; questa casa al suo posto; questo
tavolino; lo stesso cestino della carta straccia... e tu... tu...» E dopo
aver veduto l’Agente gli si rivolgeva mestamente: «Che vuole lei? Io
non le devo più niente. Ho pagato tutto. Fino all’ultimo centesimo.
| Ho sbagliato. Scusi tanto». Tanto da muoverlo a pietà e lasciarlo in
lacrime, disperatamente solo. Così era anche la chiusa della seconda
redazione, mentre un appunto volante (steso su una lettera di Ei-
naudi del 19 luglio 1950) introduceva il tema dell’amore di Euridice,
amore che non divide e che può darsi indifferentemente all’uno o
all’altro oggetto («Che vuole che sia? Vede lui: bacia lui. Se vedesse
lei, bacerebbe lei»).
È solo con la terza redazione integrale (un dattiloscritto molto
elaborato con numerosi cartigli incollati su redazioni precedenti e
puntuali indicazioni dell’alternanza recitato/cantato e parlato in
musica) che il testo sviluppa il tema del completamento amoroso e
scioglie la rappresentazione borghese (ferma alla dinamica di de-
mistiicazione, ribaltamento dei luoghi comuni, straniamento delle
forme, una tematica non molto diversa da quelle rappresentate nei
racconti borghesi: Giulietta o delle cattive letture, Poltromamma, Pol-
trondamore, ecc.) in una altissima celebrazione della Poesia.
Con Orfeo infatti, Savinio non può comportarsi come con gli altri
dèi. Orfeo è diverso, non è un semplice mito rappresentato in pan-
tofole, ma quel mito, quell’idea di poesia che, per Savinio, è la forma
spettrale in cui la Natura vela all’uomo le sue verità terribili, inguar-
dabili (alla ine, l’agente, chiuso il sipario su Orfeo in atto di uccidersi
per la seconda volta, ne ritrae lo sguardo “spaventato → sconvolto”).
In uno scritto del 1948 Savinio aveva già teorizzato la sovrap-
posizione tra Orfeo e l’artista e la traslazione amorosa dal genere
femminile tout court al proprio ego, condizione necessaria perché
l’artista esistesse nella sua necessaria solitudine («Orfeo non di-
sprezzava le donne: le amava. Le amava in Euridice. Che è la forma
mistica dell’amore. Ma in fondo, in fondo in fondo, anche Euridice
Orfeo l’amava “trasversalmente”, e attraverso Euridice egli amava
se stesso; per meglio dire amava Euridice in se stesso. Perché Orfeo
era artista. Era l’artista. E l’artista è l’uomo solo per eccellenza. Come
dice anche il suo nome che deriva dal greco orfanòs e dal latino or-
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E mentre il Dio continua nel registro alto e lirico, gli altri due per-
sonaggi sviluppano il registro basso, da opera buffa, ma condito
dell’inconfondibile nonsense saviniano: «ami me o ami lui?». «Non
lo so | Amo te, amo, lui? | Separar non vi so. | Amore unisce non se-
para». L’apodittica affermazione viene inizialmente recepita nel suo
effetto straniante e dirompente: «Concetti strani! | Suggeriti chi li
avrà?» chiede Orfeo, e Maurizio: «Parole di poeti ! Parole di Orfeo».
Poco vale la demistiicazione opposta da Orfeo: «Mie?... Ne ho dette
tante!», nel rapido giro di due battute si consuma la tragedia.
L’amore unisce solo nella inzione scenica. L’aria di Euridice:
«Amor non fraziona amore. | Bene non frammenta bene.| Questo è
vero amor, | che incontra sol se stesso» è subito smentita dai fatti. Al
bacio tra lei e Maurizio parte il colpo di pistola di Orfeo. Ma, come
in un gioco di scatole cinesi, realtà e inzione si scambiano le par-
ti: Euridice e Maurizio sono pure ombre, e pur colpiti “continuano,
abbracciati, a cantare”, Orfeo ha combinato un bel guaio, come gli
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Non mollare!
Guai!
Per venir ino a te,
mi cingo d’amore.
Vesto l’arme che sola
vincer può morte.
O mio cor, non parlar!
Duro il passo avrò.
E marcerò l’oscura via.
Aprirò le porte
della morte,
cuor d’acciaio.
Euridice, io parto.
Il mio viaggio inizio.
Orfeo viene a te.
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Maestro, solennità.
Nota bibliograica
Mila De Santis ha studiato Cristoforo Colombo e Agenzia Fix in Le Muse di Alberto
Savinio, «Antologia Vieusseux», VI (2000), n. 16-17, pp. 135-152, mentre per un
quadro generale su Savinio librettista, cfr. A. Tinterri, Savinio e lo spettacolo, il Mu-
lino, Bologna 1993, pp. 181-190 (qui abbreviato in Tinterri 1993).
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Orfeo vedovo viene pubblicato nel 1950 insieme a Morte dell’aria di Toti Scialoja e
Il tenore sconitto, farsa musicale di Vitaliano Brancati, nell’edizione “Gli spettacoli
dell’Aniparnaso”, 1950. Nel 1995 al Festival dell’Opera de Butxaca di Barcellona
viene allestito con la regia di Claudio Cinelli (programma di sala di Luca Valenti-
no). Nel novembre 1999 viene rappresentato all’interno dello spettacolo Orfeo, il
mito, la musica, a cura di S. Leoni, presso il Conservatorio Vivaldi di Alessandria.
Alcuni materiali relativi a Orfeo si trovano nel Fondo Savinio dell’Archivio Con-
temporaneo A. Bonsanti del Gabinetto G.P. Vieusseux di Firenze nelle scatole 26
(Scatola sonora, Parlo di Orfeo vedovo) e 39 (l’articolo del «Corriere d’Informazio-
ne», poi in Scritti dispersi, a cura di Paola Italia, Adelphi, Milano 2006, pp. 1442-43,
qui SD). Nella sezione musicale (AS Lib 21, 22, 23, 24, 25, 26) sono conservati in-
vece gli abbozzi e quattro stesure del libretto. Sempre nel Fondo Savinio si trova la
registrazione radio dell’allestimento del 22 luglio 1985, diretta da Pietro Argento,
con l’Orchestra Sinfonica della RAI di Milano.