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Pier Paolo Pasolini

Morire per le idee

O esprimersi e morire o restare inespressi e immortali


(Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico)

Pasolini o il coraggio della verità


Scrittore così speciale da aver determinato una fioritura critica quale pochissimi altri autori italiani del
secondo Novecento possono vantare.

Figura di enorme rilievo del secondo Novecento che ha attraversato molte forme di espressione letteraria e
artistica, sebbene lui amasse definirsi semplicemente “scrittore”.

Incessante confronto con i grandi temi sociali, letterari e civili dell’Italia del secolo scorso.

Provocatorio nella vita e nelle opere, Pasolini occupa un ruolo centrale nella cultura dell’Italia
contemporanea.

Con ogni suo lavoro ha espresso la volontà di lottare, anche da solo, contro quelle istituzioni e quei
meccanismi di consenso che privano l’uomo della sua autenticità.

La sua opera è un invito a non accontentarci delle facili certezze di una mentalità conformista.

Affermare in maniera apodittica

Scrittore unico per: straordinaria capacità di cimentarsi su più fronti e in più generi, e importanza che non
riguarda solo la letteratura e la cultura, ma anche la Storia italiana, poiché con essa egli ha continuato a
confrontarsi.

“Passione” e “ideologia” diventano per lui un’unica realtà.

“Profetico”: aggettivo assai abusato a proposito di Pasolini, vocabolo troppo fumoso, esoterico,
misticheggiante.

Tendenza a rinnovarsi continuamente.

Capacità di leggere la contemporaneità in relazione al passato, di condurre analisi lucide e impietose sul
nostro paese  dimostrazione di quanto le sue idee fossero radicate nel più intimo vissuto.

Prolungata, personalissima riflessione critica

A cent’anni dalla sua nascita e a quasi cinquanta dalla sua scomparsa

Profondità intellettuale e culturale del pensiero pasoliniano.

Non c’è nessuna parte del suo lavoro che non sia profondamente immersa nella realtà del suo tempo.

In vita Pasolini ha fatto quello che pochi hanno il coraggio di fare: andare contro corrente. Per intima
convinzione. Per affermare, cioè, le proprie idee, essendo pronto a pagarne le conseguenze più pensati;
compresa – forse – quella estrema, la perdita della vita.

Ai suoi tempi, figura di un grande “inattuale”: prima, nei confronti della politica, è stato un intellettuale
“disorganico”; poi, al contrario della tendenza dell’epoca (arte concepita in chiave ludica e combinatoria), in
Pasolini persiste una tenace volontà di critica alla società dei consumi, ai suoi falsi valori e alla prassi politica
di quegli anni.

È come se, dopo le censure e gli ostracismi subìti in vita, ora Pasolini, quasi per una sorta di compensazione
riparativa, sia divenuto una presenza costante e inconsumabile.

Sua “eresia” (quella vera): scelte provocatorie contro una realtà insoddisfacente, perché incapace di
rispondere ai bisogni profondi dell’essere umano. “Eresia” perché Pasolini ha osato contraddire la società nel
suo conformistico “senso comune”.  figura di Pasolini accostata a quella di Giordano Bruno.
Lotta contro la tendenza normalizzatrice del potere ma anche contro la “falsa eresia”: quest’ultima,
attraverso innovazioni soltanto apparenti, non fa altro che riaffermare i valori dominanti e combattere
l’azione decostruttiva della critica autentica.

Pasolini non asseconda nessuno dei miti della modernità che i suoi contemporanei tendono a sostenere

 figura di Pasolini accostata a quella di Giacomo Leopardi

Pasolini è un continente: la sua è “un’opera ampia e magmatica ma anche perfetta nella sua progettualità
aperta” (cit. Marco Antonio Bazzocchi). Egli è però un continente in gran parte ancora da esplorare.

Artista la cui opera appare ancora in fieri.

“Cantiere” pasoliniano nella sua piena operatività.

Poetica anticlassicista, sperimentale, contaminatoria.

L’opera di Pasolini è un insieme dinamico […]: definisce il ritratto di un autore in movimento, incapace di
fermarsi, di definirsi e di fissarsi in un’immagine statica, sempre uguale a se stessa […] “con il fine di
‘catturare’ il volto seducente e infinito della Realtà” (Siti).

Divina Mimesis (raccolta di frammenti narrativi)  poetica dell’incompiuto e del non-finito

Multiforme produzione pasoliniana

Pasolini è un autore “impuro”

“Qui abbiamo un autore che fa parte integrante dell’opera. Il testo è solo il residuo o la traccia di ciò che
l’artista ha fatto: ed è questo ‘gesto’ complessivo a costituire l’opera di Pasolini.” (Carla Benedetti)

“Le idee sono state il suo corpo, la sua esistenza, la sua presenza nella società” (Gianni Scalia)

Morte  morte sacrificale a valorizzazione semantica dell’opera, in una sorta di misteriosa (ma dallo
scrittore voluta) contiguità tra corpus come ‘raccolta di opere letterarie’ e corpo fisicamente inteso, il suo
”iscrizione del corpo dell’autore nell’opera”.

Forse la migliore definizione dell’opera di Pasolini nel suo insieme sta proprio in una sua “nota” pasoliniana,
posta in calce nella Divina Mimesis: “Un misto di cose fatte e di cose da farsi”, “di pagine rifinite e di pagine
in abbozzo, o solo intenzionali”, che ha “insieme la forma magmatica e la forma progressiva della realtà”.

Tensione sperimentale di Pasolini  inesauribile confronto con il mondo (senza che per questo venga mai
negata o anche solo misconosciuta l’importanza di un fecondo rapporto con la tradizione letteraria).

L’opera pasoliniana va letta come un tutt’uno, in cui le diverse fasi di un lavoro artistico complesso e
articolato si intersecano e si contaminano a vicena: una grande opera “totale”, all’interno della quale è
difficile scindere i vari generi.

Pasolini è sempre stato un progressista.

POSSIBILE CONCLUSIONE DA PERSONALIZZARE: Abbandonato dalla cultura italiana contemporanea 


Ma, in fondo, già ai suoi tempi Pasolini era un corpo estraneo alla nostra cultura nazionale. Per questo, per
sottrarlo al rischio della strumentalizzazione (di qualsiasi segno essa sia), è oggi nostra responsabilità
conoscerlo davvero: riprendere in mano i suoi scritti, guardare i suoi film, sforzandoci di leggerli oltre la
superficie, di interpretarli in tutta la loro vitale complessità. È un lavoro affascinante, intrigante, sfidante: un
lavoro che non finisce mai, come accade con l’opera dei grandi classici.

Parresìa (sociologo e storico Michel Foucault) = “Il libero coraggio attraverso il quale ci si lega a se stessi
nell’atto di dire il vero.”

Bazzocchi: “Un dire tutto […]. Un dire diverso […]. Un dire all’altro.”

O. Fallaci, lettera all’indomani della morte di PPP: Pasolini ha insegnato “che bisogna essere sinceri a costo di
sembrare cattivi, onesti a costo di risultare crudeli, e sempre coraggiosi dicendo ciò in cui si crede: anche se è
scomodo, scandaloso, pericoloso. Tu scrivendo insultavi, ferivi fino a spaccare il cuore.”
Sguardo non pacificato e non pacificante  possibile chiave di lettura dei cambiamenti in atto, non solo in
Italia e non solo in Occidente.

La sua è davvero una vita che si identifica quasi totalmente con l’opera (e viceversa).

Omosessuale, comunista, e anticonformista nella sua omosessualità e nel suo comunismo, Pasolini ha
rappresentato uno scandalo (in senso etimologico) per la società borghese del tempo e per la sua non proprio
limpida coscienza.

0. Vita di Pier Paolo Pasolini


Nasce a Bologna il 5 marzo 1922, primogenito di Carlo Alberto (ufficiale di carriera, ravennate) e Susanna
Colussi (maestra elementare, originaria di Casarsa della Delizia in Friuli).

Nell’infanzia e per tutta l’adolescenza abita in varie città dell’Italia del Nord, seguendo gli spostamenti del
padre.

Nel 1925 nasce il fratello Guidalberto, detto familiarmente Guido.

Padre agli arresti in caserma per debiti di gioco  matrimonio dei genitori in crisi, PPP dalla parte della
madre.

Si appassiona al gioco del calcio, sport che coltiverà per tutta la ita. Nel 1939 si iscrive alla facoltà di lettere
dell’Università di Bologna (materie preferite: filologia romanza e storia dell’arte; segue le lezioni dello storico
dell’arte Roberto Longhi). Costante per la famiglia l’abitudine di trascorrere le vacanze a Casarsa, che diventa
il punto di riferimento centrale della sua geografia interiore e affettiva.

Ancora studente, scrive articoli per “Architrave”, rivista del Gruppo universitario fascista (GUF), ed è
redattore capo del “Setaccio”, organo della Gioventù italiana del Littorio (GIL).  Tutti, in qualche modo,
“erano fascisti”. […] Possiamo dunque parlare di un sostanziale “a-fascismo” (almeno fino al 1943, dopo
nettamente antifascista). […] Proprio frequentando il mondo del fascismo universitario, Pasolini inizia a
sviluppare una certa insofferenza per l’angustia e per le censure del regime. Di cui intuisce il provincialismo
culturale.

1942 = pubblica Poesie a Casarsa presso un piccolo editore di Bologna, testi scritti nel friulano "della destra
del Tagliamento", una lingua che non vantava tradizioni letterarie e che egli in parte inventa per puri scopi
artistici. Da questo momento l’impegno principale dell’autore diventa la poesia.

Novembre 1945 = si laurea con una tesi su Giovanni Pascoli.

Primo, grande esperimento pedagogico pasoliniano: dall’inizio dell’anno scolastico 1943-1944 apre a San
Giovanni (frazione di Casarsa) una scuola privata per i ragazzi che a causa dei bombardamenti non riescono a
raggiungere le scuole di Pordenone o di Udine. L’esperienza dura solo pochi mesi in quanto la scuola è priva
delle autorizzazioni necessarie.

Primavera 1944 = si stabilisce con la madre in una stanza affittata in un casolare a Versuta (piccola frazione
di Casarsa), più sicura e lontana dai bombardamenti aerei alleati.

Prima a Casarsa e poi a Versuta, dà vita a una seconda esperienza pedagogica, per i bambini delle elementari
e per i ragazzi delle medie.

In questi ragazzi, Pasolini trova una purezza incorrotta che li rende ai suoi occhi moralmente di molto
superiori ai loro coetanei figli di famiglie borghesi.

Estate 1944 = il fratello Guido si avvicina alle formazioni partigiane ed entra nella brigata Osoppo (composto
da aderenti ai vecchi partiti antifascisti); Giudo è iscritto al Partito d’Azione.

12 febbraio 1945 = Guido viene assassinato, nell’eccidio di Porzûs, dai partigiani comunisti della brigata
Garibaldi che combattono per l’adesione del Friuli alla nascente repubblica jugoslava guidata dal maresciallo
Tito. Guido viene fatto prigioniero insieme ad altri tredici, tutti destinati a essere giustiziati dopo un processo
sommario di fronte a “giudici” della brigata Garibaldi. Sembra che a Guido fosse stata offerta la possibilità di
salvarsi aggregandosi alle forze pro Tito, ma l’offerta fu respinta: venne costretto a scendere nella fossa che
era stata preparata per lui e finito a colpi di arma da fuoco. […] La notizia ufficiale della morte di Guido
raggiunge Casarsa solo tre mesi più tardi, alla fine di maggio; è Pier Paolo a dover informare la madre: uno
dei momenti più duri di cui potrà avere memoria  traccia in una lettera a Luciano Serra, amico e compagno
di studi a Bologna (21 agosto 1945): Non posso scriverne senza piangere, e tutti i pensieri mi vengono su
confusamente come le lacrime. […] L’unico pensiero che mi conforta è che io non sono immortale.

Fine 1947 = a seguito di un avvicinamento all’ideologia marxista, Pier Paolo si iscrive al PCI  sincerità della
sua adesione al partito comunista; è stato in grado di scindere i due aspetti, nonostante la tragedia vissuta in
famiglia. Segno di un’adesione sofferta e dunque autentica, in ossequio alla propria coscienza politica.

1947-1949 = cattedra alla scuola media statale di Valvasone (suggestivo borgo non lontano da Casarsa, a
cinque chilometri di distanza, percorsi ogni giorno da Pier Paolo in bicicletta). Vivere in paese lo avvicina alla
gente e ai suoi problemi sociali: ora il dialetto è un idioma effettivamente parlato, non più soltanto una lingua
per fare poesia. Anni in cui è molto attivo a livello politico e locale.

30 settembre 1949 = fatti di Ramuscello. Durante una festa di paese nel borgo di Ramuscello, Pier Paolo
(27 anni) si apparta con quattro ragazzi minorenni (due di quindici anni, gli altri due di sedici) che, secondo
il cugino Nico Naldini (con cui PPP si era recato alla sagra di paese), “già conosceva”, con i quali intercorrono
“dei rapporti sessuali molto semplici”: sostanzialmente una masturbazione. L’episodio va però
contestualizzato all’interno di una società contadina in cui l’abitudine alla pratica sessuale era certamente più
precoce che nel coevo mondo borghese.

22 ottobre = Pasolini viene denunciato per “corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico” e in
seguito è rinviato a giudizio.

Ottobre 1949 = è scoppiato lo scandalo: Pasolini è sospeso dall’insegnamento ed espulso dal PCI (per
“indegnità morale”), senza neanche che si attenda l’esito del procedimento disciplinare a suo carico. Il vero
scandalo è l’omosessualità, tema ancora tabù nell’Italia di quegli anni; può essere un’arma molto efficace
nelle mani dei suoi avversari politici (operazione di linciaggio morale)  il trauma è fortissimo. Forse anche
per questo Amado mio è forse l’unica opera pasoliniana in cui Pier Paolo dà una rappresentazione positiva
all’omosessualità.

26 ottobre 1949 (annunciata sul quotidiano “l’Unità” tre giorni più tardi) = espulsione dal PCI, con l’accusa di
essere decadente  omosessualità come “vizio” tipicamente borghese. La risposta di Pasolini: “Malgrado voi,
resto e resterò comunista, nel senso più autentico di questa parola.”

8 aprile 1952 = il Tribunale di Pordenone assolve in appello il poeta e gli altri due coimputati per gli atti
osceni in luogo pubblico.

Contesto storico di questi anni (Anna Tonelli): immediato secondo dopoguerra, viene istituita la NATO e
nascente guerra fredda, quindi durezza dello scontro tra blocco liberal-capitalista e real-socialista; il PCI
cercava di evitare motivi di attacco da parte degli avversari. Inoltre, moralismo puritano che accomunava
cattolici e comunisti (es. scandalo relazione extra-coniugale di Palmiro Togliatti, segretario nazionale del
PCI).

28 gennaio 1950 = improvviso trasferimento, quasi una fuga, di Pier Paolo (28 anni) e la madre a Roma (59
anni)  sofferenza di quella partenza furtiva e quasi clandestina: angosciante ma necessaria affinché a Pier
Paolo si spalanchi un mondo fatto di nuove opportunità. Rampa di lancio che nel giro di pochi anni porterà
Pasolini a essere uno degli autori più celebri e affermati.

Estate 1951 = il padre (diagnosi di una “sindrome paranoide” incrementata dall’abuso di alcol) li ha raggiunti
a Roma, dove trascorre gli anni più sereni e tranquilli, felice e orgoglioso per la crescente affermazione
letteraria del figlio.

1951-1953 = Pasolini trova un posto di insegnate presso una scuola media privata di Ciampino 
insegnamento creativo, attento all’ascolto degli alunni.

L’amico Sandro Penna lo guida alla scoperta della Roma notturna  scopre così il mondo delle borgate:
povero ed emarginato (rifiutato dalla società “perbene”), Pasolini si sente accolto in quell’universo sociale
parimenti povero ed emarginato.
1954 = primo lavoro cinematografico (sceneggiatore con Giorgio Bassani): La donna del fiume, interpretato
da Sophia Loren.

1958 = prima sceneggiatura autonoma: La notte brava.

Anni ’50 = periodo di massimo entusiasmo creativo, legato alla scoperta dell’universo delle borgate abitate e
del sottoproletariato, dove conosce alcune “guide” che lo aiuteranno a penetrare in quel difficile tessuto
umano e sociale: prima i fratelli Sergio e Franco Citti e dopo (dal ‘62) Ninetto Davoli.

1955 = Ragazzi di vita, romanzo che fa di Pasolini un personaggio noto e controverso (processo per
oscenità, da cui verrà assolto), diventa uno scrittore di successo.

1957 = Le ceneri di Gramsci, raccolta di poemetti che lo qualifica come “comunista eretico”.

Contesto:

o febbraio 1956 = rapporto Chruščëv, sconfessione dello stalinismo e avvento di concrete


speranze di rinnovamento del modello sovietico.
o ottobre-novembre 1956 = dura repressione armata della rivolta ungherese da parte
dell’URSS.

Giugno 1956 = rivolta di Poznań: proteste degli operai polacchi contro il rincaro dei bani di prima
necessità, represse dal governo di Varsavia (che rispondeva a Mosca).  perplessità e
disorientamento nei militanti comunisti d’Occidente.

1959 = Una vita violenta, altro romanzo ambientato nel mondo delle borgate.

1955-1959 = dirige (con altri) la rivista bolognese “Officina”  sorta di ponte tra il Neorealismo e le nascenti
neoavanguardie.

Luglio 1957 = per conto del settimanale comunista “Vie Nuove”, viaggio a Mosca per il VI Festival
internazionale della gioventù e degli studenti  delegazioni di ragazzi da tutto il mondo, accorsi per respirare
quel vento di cambiamento che soffiava da est, il vento del Disgelo.

Dopo questo viaggio, rapporti regolari tra Pasolini e Unione Sovietica (associazione ‘Italia-URSS’).
Grazie alla collaborazione con “Vie Nuove”  forma di “riabilitazione”, seppur indiretta, presso il
PCI.

19 dicembre 1958 = morte del padre.

Anni ’60 = periodo di smarrimento e incertezza: mondo visto come un gigantesco caos in cui la borghesia
occupa l’intero orizzonte e delinea un’oscura “nuova preistoria” (epoca di regressione etica e intellettuale, in
cui il proletariato si integra sempre più nella mentalità borghese, perdendo la sua spontanea umanità). In
questi anni il paese sta cogliendo i primi frutti del boom economico, nei termini di una radicale
trasformazione sociale e – dirà Pasolini – antropologica  passaggio dall’Italia contadina a una nazione
industriale, anche se il cambiamento riguarda quasi esclusivamente il Nord.

1960 = governo Tambroni (monocolore DC)  Per Pasolini, prova di una continuità ideologica tra il vecchio
Partito fascista e una larga parte del ceto dirigente della Democrazia cristiana.

1961 = Accattone, primo film come regista, ambientato nel mondo delle borgate romane.

Fino al 1965 = Le belle bandiere, raccolta dei testi della rubrica di dialogo con i lettori da lui tenuta su “Vie
Nuove” (testi raccolti da Gian Carlo Ferretti nel 1977).

1962 = L’odore dell’India, resoconto letterario dell’itinerario indiano di Pasolini, partito per l’India prima
del capodanno del 1961 con Alberto Moravia ed Elsa Morante.

1963 = La ricotta, episodio del film collettivo Ro.Go.Pa.G.. Durante la lavorazione, l’anno precedente,
conosce Ninetto Davoli, allora quattordicenne: figlio di contadini calabresi immigrati al Prenestino, è
destinato a rappresentare uno degli affetti più importanti nella vita di Pier Paolo.
1964 = Il Vangelo secondo Matteo, film sulla vita di Gesù girato in Israele e Giordania, dove si era recato
con il biblista don Andrea Carraro e una troupe cinematografica, dopo che l’anno prima aveva letto il Vangelo
di Matteo ad Assisi, rimanendone fortemente impressionato.

1967 = Edipo Re, film girato in parte in Marocco, ma anche nel Lodigiano e Bologna.

Sessantotto = Pasolini è molto scettico rispetto al valore delle proteste giovanili e studentesche, prendendone
le distanze.

Agosto 1968-gennaio 1970 = “Il caos”, rubrica tenuta (in quest’anno e mezzo) sul settimanale “Tempo”.

Vero e proprio linciaggio morale subìto da Pasolini per venticinque anni.

Sono ben trentatré i procedimenti giudiziari a cui lo scrittore andò incontro. A partire dalla pubblicazione del
romanzo Ragazzi di vita (1955), all’uscita di ogni libro e poi di ogni film  esposti e denunce con le accuse
più varie, tra cui primeggiano quelle di oscenità e vilipendio della religione.

I media non gli risparmiano nulla  riviste di destra: linciaggio continuo nei confronti di Pier Paolo.

A seguito della sua interpretazione, nel ruolo di attore, dell’aiutante (detto “il monco”) di un criminale nel
lungometraggio di Carlo Lizzani Il gobbo (1960), le foto di scena vengono utilizzate dai rotocalchi per
illustrare gli articoli in cui si parla delle notti brave dello scrittore. Ha detto Moravia: "Egli [Pasolini] sapeva di essere
scandaloso; ma ignorava il pericolo che correva scandalizzando una classe come la borghesia italiana che in quattro secoli ha creato i due
più importanti movimenti conservatori d'Europa, cioè la controriforma e il fascismo."

Ad attaccare Pasolini è soprattutto la stampa di destra (testate come "Lo Specchio" e "Il Borghese") e quella
scandalistica (come il settimanale "ABC"), spesso per mano di personaggi del calibro di Luigi Bartolini (autore
del romanzo Ladri di biciclette, 1946, da cui sarà tratto due anni dopo il capolavoro di Vittorio De Sica) e di Giose Rimanelli
(autore del romanzo autobiografico Tiro al piccione, 1953, in cui rievocava la propria militanza nell'esercito della Repubblica di Salò ).
In particolare, quest’ultimo ironizza - forse ritenendo di essere spiritoso - sull'omosessualità dello scrittore
chiamandolo al femminile, "la Pasolina" e "la Piera Paola Pasolina". "Luchinidi' e "Pasolinidi' erano il modo
sarcastico con cui sulle riviste di estrema destra [...] venivano designati i seguaci di Visconti e Pasolini" (Mario
Tedeschi, Dizionario del malcostume, 1962): Luchino Visconti viene accostato a Pasolini solo in virtù del fatto che
entrambi erano due registi omosessuali. Pier Paolo si rende conto di questa spiacevole situazione, la registra
lucidamente e non si sottrae a un tentativo di interpretazione: “In realtà lo scandalo è sorto non solo dal fatto
che non tacevo la mia omofilia, ma anche dal fatto che non tacevo nulla.”

Pasolini subisce non solo un costante linciaggio morale, ma spesso anche aggressioni e pestaggi di tipo fisico.
Fioccano le denunce. Pasolini non poteva certo rimanere indifferente  “senso di un mondo di totale
incomprensione, dove è inutile parlare, appassionarsi, discutere.” (episodi pagg 46-47). A questi fatti allude il
“giudizio / subìto senza senso” del poemetto La realtà (contenuto nella raccolta Poesia in forma di rosa,
1964), in cui l’autore prova a spiegare l’accanimento della società benpensante contro di lui: “Nulla è più
terribile della diversità”. La principale risorsa di questo “profeta”, “che non ha / la forza di uccidere una
mosca” sta, allora, proprio “nella sua degradante diversità”.

Anni ’70 = anni della disperazione. Pasolini constata negli italiani una "mutazione antropologica" che li ha
condotti - a contatto con la modernità, il benessere e la civiltà dei consumi - a perdere ogni carattere
individuale e spirituale.

1971 = la sua storia d’amore per (non con) Ninetto entra in crisi, dal momento in cui il giovane, ora
ventitreenne, si fidanza con una ragazza sua coetanea  per Pasolini inizia un periodo di profonda
depressione.

Fine novembre 1972 = inizia a collaborare al settimanale "Tempo illustrato" con recensioni di libri che poi
verranno raccolte nel volume postumo Descrizioni di descrizioni.

Inizio 1973-morte = pubblicazione di articoli sul “Corriere della Sera” in cui scrive spesso di tale processo
degenerativo, che gli offre un'ampia visibilità pubblica. Il 7 gennaio 1973 esce il suo primo articolo, Contro i
capelli lunghi, che in seguito andrà a costituire il primo capitolo del volume Scritti corsari, in cui
verranno raccolti i suoi interventi pubblicati sul quotidiano milanese e su altre testate (nel 1976 usciranno le
Lettere luterane, a completare la raccolta di quegli scritti).
1974 = Il fiore delle Mille e una notte, terzo lungometraggio della "Trilogia della vita" dopo il
Decameron e I racconti di Canterbury; nel 1972 compie alcuni sopralluoghi in Egitto, Yemen, Per-sia, India, Eritrea,
Hadramaut in vista del film, iniziato a girare ad aprile 1973 a Isfahan in Iran, poi nello Yemen, in Eritrea, in Afganistan, nel Corno
d'Africa, nell'Hadramaut e poi due volte, a giugno e a settembre, a Katmandu nel Nepal.

1975 = La nuova gioventù, nuova raccolta di versi in cui Pasolini ha modo di tessere un'amara palinodia delle
sue prime poesie friulane, mentre lavora accanitamente a Petrolio, un "non-romanzo" che si addentra nei
misteri e nei complotti della Storia italiana a lui contemporanea.

1975 = Salò o le 120 giornate di Sodoma, suo ultimo film, che gira a partire da marzo nella campagna mantovana e
che monta durante l'estate. Il mondo gli appare ormai come una sorta di campo di concentramento globale.

La fine tragica  La sera di sabato 1° novembre 1975 cena con Ninetto Davoli al ristorante Pommidoro nel
quartiere di San Lorenzo. Nel pomeriggio aveva ricevuto a casa Furio Colombo per un’intervista, alla quale
suggerì lui stesso il titolo: Siamo tutti in pericolo. Nella notte tra sabato 1° e domenica 2 novembre
1975 Pasolini viene assassinato all'Idroscalo di Ostia, in uno spiazzo polveroso, un luogo di estremo
squallore, dove oggi sorge un monumento che lo ricorda. Al processo, l'unico imputato, il diciassettenne
Giuseppe Pelosi, è condannato per omicidio "in concorso con ignoti". All'inizio la pista più accreditata
sembra quella legata all'ambiente della prostituzione omosessuale, ma in seguito sono emerse diverse
incongruenze, tanto da far ipotizzare che i mandanti venissero da altri ambienti: politici, economici o
mafiosi, come conseguenza delle opinioni sempre più scomode espresse dallo scrittore e delle inchieste,
denunce e polemiche di cui si faceva portatore. Certo è che dopo tanti anni il mistero di quella tragica notte
rimane fitto, e forse per sempre inestricabile.

1. La vocazione poetica, il “mito” friulano e la scoperta dell’omosessualità


L’autore Pier Paolo Pasolini nasce come poeta, poi multiforme produzione data dall’eterogeneità delle
esperienze che contraddistinguono la sua opera nel corso degli anni.

Pasolini pensa alla scrittura poetica come privilegiata, luogo dell’assoluto, dove ogni asserzione diventa verità
e il privato può presentarsi come universale.

1942 (scritta tra gli ultimi mesi del 1941 e i primi mesi del 1942) = Poesie a Casarsa, opera poetica più
importante di Pasolini insieme a Le ceneri di Gramsci. Si tratta di una raccolta di quattordici componimenti:
poesie in friulano ricche di fitti riferimenti letterari e una vasta tradizione  avvio della sua straordinaria
carriera letteraria.

I temi di queste poesie rimandano a Casarsa, il paese della madre, consueta località delle vacanze per
Pier Paolo, luogo di fuga e di isolamento, di letture e di esperienze. Sono versi che parlano di
spensieratezza, di gioia di vivere, di innocenza, di un rapporto diretto con la natura; ma anche di un
serpeggiante turbamento, di una certa inquietudine esistenziale, della paura della morte.

A questo secondo filone tematico, diciamo negativo, si connette il motivo di una religiosità non
pacificata e non rasserenante  poesia Li letanis dal biel fì (Le litanie del bel ragazzo).

Il fatto che queste poesie sono state scritte a Bologna determina uno sguardo nostalgico su Casarsa,
su una terra vista in una dimensione mitica e primigenia, quasi una sorta di paradiso perduto 
poesia De loinh (Di lontano):

Ragioni per la scelta del friulano:

1. la ricerca di una lingua più pura, fresca, autentica rispetto a quella stereotipata di tanta tradizione
letteraria;
2. una punta di polemica politica rispetto al centralismo culturale del regime fascista (nazionalismo)
che preferiva soffocare i particolarismi regionali e locali  direzione di un totale "irrealismo".

Il friulano di Casarsa, parlato nella sponda destra del Tagliamento (di cà da l’aga, cioè “al di qua dell’acqua”),
era un idioma di contadini tramandato solo oralmente, venato di coloriture venete, non avendo - prima di
Pasolini - alcuna attestazione letteraria. Forse ad affascinare il giovane poeta era proprio questa verginità di
una lingua non ancora sottoposta a una codificazione scritta, men che meno letteraria  possibilità di
utilizzare, come prescriveva il Simbolismo, una lingua "pura", un linguaggio svincolato da precisi confini
spazio-temporali: come dice egli stesso, non si parla di regressione nel dialetto, ma di innesto nel tronco delle
poetiche a raggio allargato, europeo.

Studente al liceo Galvani di Bologna, il supplente Antonio Rinaldi aveva letto in classe un testo del poeta
Arthur Rimbaud (1937): lì l’antifascismo di Pier Paolo era nato su un piano culturale, mentre la censura di
regime sperimentata sulla propria pelle provocherà in lui l'estensione al piano prettamente politico  fu la
violenza della censura di regime a mettere in luce ai suoi occhi tutta la rozza brutalità della dittatura fascista. E a
preparare la conversione al marxismo.

Segni del persistere di un interesse non episodico per la cultura orale e dialettale della terra materna sono
alcune iniziative che Pasolini mette in cantiere dopo essersi trasferito stabilmente a Casarsa dall'autunno del
1943: propone di pubblicare una rivista volta a sostenere culturalmente la scelta del casarsese contro la
tradizione ufficiale del friulano coltivata a Udine (che Pasolini accusa di ritardo estetico e di sentimentalismo vernacolare) ,
fonda l’“Academiuta di lenga furlana"  Pier Paolo e i suoi adepti (i “poeti dell’Academiuta”) si riuniscono di
domenica pomeriggio per leggere e commentare i testi poetici in friulano che loro stessi scrivevano;
importante è anche la dimensione pedagogica. Questo il programma, vergato dallo stesso Pasolini:
“Friulanità assoluta, tradizione romanza, influenza delle letterature contemporanee, libertà, fantasia.”

Il rapporto di Pasolini con il friulano evolve nel tempo:

1. all'altezza cronologica di Poesie a Casarsa esso è per Pasolini, come lui stesso si è espresso, una "lingua
pura per poesia", cioè una lingua costruita a tavolino, in qualche misura un idioma irreale, che non
aveva un riscontro nella parlata locale;
2. poi però il trasferimento a Casarsa alla fine del '43 determina in Pasolini un assorbimento diretto del
friulano effettivamente usato dalla gente, e dunque la lingua delle raccolte poetiche successive sarà
più aderente alla realtà del parlato locale. Anche se Pasolini non aveva comunque un intento
documentario, le sue poesie presenteranno così una loro verità documentaria.

1954 = La meglio gioventù, volume che presenta una tematica apertamente politica e che comprende le
Poesie a Casarsa (linguisticamente modificate: qui il casarsese è riadattato nell’intera istituzionalità) e tutta la produzione in
friulano che va dagli anni ’39-40 fino al ’53.

Il titolo è tratto dal verso di un canto degli Alpini Sul ponte di Perati (“La mejo zoventù la va soto tera” che,
tra l’altro, tornerà all’inizio del film Salò come una sorta di nenia funeraria).

In quest’opera compaiono precisi riferimenti alla Seconda guerra mondiale e alla Resistenza  nella
poesia Il quaranta quatri emerge, attraverso il “noi”, la partecipazione del poeta alla storia collettiva
(pag. 59).

Pasolini fa anche una riflessione dalla quale si intravede il suo interesse per la poesia popolare che,
proprio in quegli anni, stava approfondendo a livello di studio  sezione I Colùs (cognome della famiglia
della madre).

1958 = L’usignolo della Chiesa Cattolica, volume con testi in lingua italiana composti tra il ’43 e il ’49,
che presenta anch’esso una tematica apertamente politica.

1975 = La nuova gioventù, sorta di ritrattazione (o di “abiura”, per utilizzare un termine pasoliniano)
della propria poesia giovanile in friulano.

Questo volume comprende: La meglio gioventù e Seconda forma de "La meglio gioventù".

Il poeta cerca di tornare al mondo incorrotto della giovinezza, ma si accorge che tale operazione è
impossibile  ormai la realtà - storica, sociale, umana - è radicalmente mutata, e dunque ogni
tentativo di recupero della memoria è destinato ad andare frustrato.

Con la stesura di Seconda forma de "La meglio gioventù" (in relazione a Poesie a Casarsa),
l'autore mette a confronto due blocchi temporali: gli anni Quaranta e gli anni Settanta, mostrando,
all'interno della propria personale autobiografia intellettuale, elementi di richiamo ma soprattutto di
discontinuità. La lettura della nuova fase storica è gravata da un cupo pessimismo; al poeta rimane
però la possibilità di una forma di resistenza che si esplica nell'intima adesione all'universo popolare
- lirica Saluto e augurio (pag. 61)
Campagna friulana = ambiente ancora profondamente contadino, pervaso da miti arcaici, caratterizzato dalla
religiosità tradizionale.

Anni del "mito friulano" = scoperta della poesia, ma anche dell'omosessualità e inizio di un impegno politico.

Atti impuri e Amado mio = due romanzi brevi editi soltanto nel 1982, ma scritti negli anni immediatamente
successivi alla fine della guerra sulla base degli appunti dei cosiddetti Quaderni rossi (i diari friulani degli
anni 1946-1947 contenenti ricordi e riflessioni), prima del trasferimento a Roma dell'inizio del 1950.

Atti impuri = romanzo breve incompiuto che fa riferimento all'esperienza del periodo trascorso da Pasolini
a Casarsa e a Versuta tra il ‘43 e la fine della guerra. Più che di “finzione”, si parla di " autobiografia in via di
trasformarsi in vero e proprio romanzo” (Attilio Bertolucci):

il libro presenta un protagonista di nome Paolo (come l'autore Pier Paolo) che in un paesino friulano
chiamato Viluta (evidente allotropo di Versuta) impartisce lezioni ai figli dei contadini del luogo
durante gli ultimi anni della guerra. La forma diaristica consente all'io-narrante di registrare i fatti e le
impressioni legate al suo contatto con i ragazzi, fonte di profondo turbamento emotivo e sessuale. In
particolare, sono due giovani - Gianni prima (con il quale si manifestano i sintomi di una sessualità
voyeuristica e a tratti sadica) e Nisiuti poi - a determinare in Paolo lo sconvolgimento della mente e
dei sensi, di fatto, il narratore sviluppa un forte senso di colpa, legata a una passione inconfessabile
perché considerata impura  Impurità (Paolo) contro purezza (Nisuti).

Tuttavia, è con un giovane pastore di nome Bruno che Paolo compie le prime esperienze sessuali,
cercandolo continuamente come un vero innamorato: la sua anima ama Nisuti, il suo corpo cerca
Bruno  quanto Nisuti è rappresentato come etereo, tanto Bruno rivela i tratti di una materialità
quasi animalesca, che determina una sorta di attrazione-repulsione (“Un bambino senza una vera e propria
bellezza” …pag 63) e dove sembra predominare una componente masochista.

La figura della madre precede invece, nella gerarchia conscia dei sentimenti, lo stesso amore per
Nisiuti: si tratta infatti del primo, edipico affetto. Al contrario, è del tutto assente quella del padre:
facendo riferimento ai fatti autobiografici della vita di Pasolini, in quei mesi suo padre era in Africa ,
da dove sarebbe tornato soltanto nel novembre del’45, congedato in anticipo in seguito alla morte di Guido.

In questo romanzo compare un altro personaggio femminile - Dina (nella realtà, la slovena Pina Kalč) - la
quale si innamora di Paolo, intuisce il suo segreto e cerca comunque di portarlo a sé; a un certo punto
sembra quasi accettare il ruolo di “donna dello schermo”.

Amado mio = romanzo con un’atmosfera più serena, il quale si lega in maniera stretta al “gemello” Atti
impuri, costituendone una sorta di continuazione, sebbene questo si allontani dalla biografia di Pier Paolo.

La collocazione cronologica dei fatti si riferisce al periodo postbellico (posteriore ad Atti impuri).

(Forse) unica opera pasoliniana in cui si dà una rappresentazione positiva dell’omosessualità:


scherzosa, gioiosa, priva di particolari sensi di colpa e di preoccupazioni per lo stigma sociale che
essa può comportare.

Il protagonista (anche in questo caso dai tratti autobiografici, sebbene si passi da un impianto
diaristico a uno di tipo più prettamente romanzesco) è Desiderio (nomen omen, “il nome è un presagio”),
innamorato di un ragazzo di nome Benito. “Benito” è un nome ormai piuttosto insopportabile dopo
la Liberazione, ed è anche per questo che Desiderio (detto Desi) lo chiamerà Iasìs (oltre che per un
gioco di reminiscenze classiche).

Desiderio lo corteggia sullo sfondo di un’atmosfera spensierata, solare ed estiva, in cui la passione
amorosa rappresenta solo una leggera trafittura dolceamara, ma mai tragica. Di amaro c’è solo, a un
certo punto, la riflessione del protagonista sulla propria diversità (pag 65). Alla fine, Iasìs accetterà di
concedersi e lo farà inaspettatamente, quando Desiderio sta ormai per gettare la spugna, a una
proiezione cinematografica all’aperto (durante la canzone Amado mio nel film Gilda).
L’espressione “atti impuri” qui diventa oggetto di una parodia del sacramento cattolico della
confessione in uno scanzonato dialogo tra Desiderio e Benito-Iasìs (mentre nell’omonimo romanzo è
presa seriamente e carica di sensi di colpa).

Dopo Amado mio, il trattamento della tematica omosessuale nell’opera pasoliniana subirà una brusca virata,
di fatto, non ve ne sarà più una rappresentazione positiva:

o Ragazzi di vita (1955), romanzo “romano” in cui l’omosessualità viene rappresentata in connessione
alla prostituzione maschile (come in Una vita violenta). I “ragazzi di vita”, eterosessuali, si prostituiscono
occasionalmente con clienti omosessuali; questi ultimi sono rappresentati in maniera
espressionistica e violentemente caricaturale, come personaggi brutti, laidi, al meglio un po’ ridicoli
(es. “ritratto in movimento” dell’omosessuale che vorrebbe ottenere le grazie del Riccetto pag 66);

o Una vita violenta (1959), romanzo “romano” in cui l’omosessualità viene rappresentata in connessione
alla prostituzione maschile (come in Ragazzi di vita). Mentre nel primo capito il protagonista Tommaso,
ancora bambino, compie delle goffe avances al maestro di scuola (che non lo degna di alcuna attenzione) ,
nell’ultimo Tommaso decide di prostituirsi in un cinema per guadagnare il denaro necessario ad
acquistare il vestito per il matrimonio  rovesciamento delle parti che è (quasi, freudianamente) un
risarcimento, per via letteraria, dell’accusa di “corruzione di minori e atti osceni in luogo pubblico”
del 1949;
o Teorema (1968), romanzo in cui l’Ospite utilizza il sesso per sedurre, o meglio possedere, i componenti
maschili della famiglia alto-borghese in cui fa irruzione: Paolo (il padre) e Pietro (il figlio). Qui
l’esperienza del sesso determina, negativamente, una vera e propria destrutturazione dell’io.
o Salò (1976), l’omosessualità – al pari di altre pratiche sessuali rientranti, queste ultime, nell’ambito
delle perversioni – è connessa all’oppressione realizzata dai dominatori (i quattro esponenti del
potere) sui dominati (i sedici giovani sequestrati nella villa).
In una società dove tutto è proibito, si può fare tutto: in una società dove è permesso qualcosa si può
fare solo qualcosa. (battuta di De Sade, uno dei protagonisti)

o Petrolio (1992) = ultimo romanzo incompiuto in cui l’atto omosessuale è legato a una finalità di
degradazione del soggetto. Qui “Carlo secondo” (alter-ego negativo di “Carlo primo”) persegue la
propria realizzazione attraverso l’esperienza di una sessualità estrema e trasgressiva  nell’”Appunto
55”, intitolato Il pratone della Casilina, cerca soddisfazione sessuale con venti ragazzi in una sola
notte, in un registro sospeso tra sogno e realtà.
o Scritti corsari (1973-75) = opera in cui l’omosessualità viene trattata su un piano teorico (culturale e
sociologico). Qui denuncia come l’obbligo conformistico di tipo eterosessuale, imposto dalla
moderna società dei consumi, abbia determinato una nuova intolleranza nei confronti degli
omosessuali, e in generale nei confronti delle diversità, nuova in quanto sconosciuta nel periodo
precedente:
La società italiana di oggi non è più clerico-fascista: essa è consumistica e permissiva. […] Il
consumismo altro non è che una nuova forma totalitaria. […] La società permissiva non ha bisogno
che di consumatori. (pag 68)

Le minoranze sono escluse dalla grande, nevrotica abbuffata. (pag 69; articolo Il carcere e la fraternità
omosessuale, nel capitolo Documenti e allegati)

Sempre nel capitolo Documenti e allegati, Pasolini sostiene che la dimensione politica
dell’omosessualità sta nel fatto che la sua esperienza determina uno scambio e una comunicazione,
altrimenti impossibili, tra classi sociali diverse:
La coscienza di classe non basterà, se non è integrata dalla ‘conoscenza’ di classe. (pag 71)

Quanto all’interpretazione delle origini e delle radici della condizione omosessuale, Pasolini sembra essere
legato alla visione freudiana (come espressa nei Tre saggi sulla teoria della sessualità, 1905)  omosessualità
come “inversione”, senza connotazione negativa o discriminatoria. Per Freud la psicogenesi
dell’orientamento sessuale di un soggetto va ricercata nell’infanzia, e più precisamente nell’impossibilità del
bambino di identificarsi con il genitore dello stesso sesso, a cui si accompagna: l’attaccamento al genitore del
sesso opposto, la lotta contro il complesso di castrazione e il narcisismo che impedisce di superare la
situazione problematica.  L’omosessuale cercherebbe nel partner un altro se stesso che gli restituisca la
propria immagine e lo rassicuri sulla propria identità.

La ‘pretestualità’ di cui sono vittime nella stampa gli omosessuali è precisamente di tipo razzista (pag
71, scritto del 1961)

Pasolini identificava nell’omosessualità “il più alto grado di diversità possibile, radicale e indicibile, il
riassunto di tutte le diversità”. Per una rappresentazione letteraria esplicita, diretta, ma soprattutto positiva della
condizione e della vita omosessuale, in Italia bisognerà aspettare gli anni Ottanta con scrittori come Pier Vittorio Tondelli e Aldo
Busi.

2. Le due Chiese: Cristo e Marx


Oltre alla scoperta della propria omosessualità, gli anni di Casarsa (fase finale della guerra e periodo
immediatamente successivo), segnano anche l’acquisizione di una nuova consapevolezza politica.

1946 = l’allora presidente del consiglio - Alcide De Gasperi (DC) - pronuncia un parere, che prevedeva una
ripartizione del raccolto più favorevole ai mezzadri e imponeva ai latifondisti l’assunzione di manodopera
disoccupata; questo giudizio verrà impropriamente definito “lodo” (cioè sentenza arbitrale).

1948 (anno degli scontri tra latifondisti e manodopera bracciantile) = Pasolini si iscrive al Partito comunista.

1948-49 (pubblicato nel 1962) = Il sogno di una cosa, romanzo lungo che inizialmente avrebbe dovuto
intitolarsi I giorni del lodo De Gasperi. Il titolo finale deriva da una frase di Karl Marx.

Soltanto una parte dei fatti è legata al lodo De Gasperi, mentre il resto della materia narrativa vede
come protagonisti tre ragazzi friulani non ancora ventenni: Nini, Eligio e Milio. Viste le difficoltà
economiche e lavorative della loro terra, i primi due emigrano clandestinamente in Jugoslavia (dove
faranno la fame), mentre Milio va in Svizzera. La morte di Eligio per fatica e stenti legati al suo lavoro in una
cava anticipa, se vogliamo, la morte di Tommasino in Una vita violenta.

Lo stile con cui viene raccontata l’esperienza in Svizzera è vicino al parlato, dialettale e gergale.

Questa tematica quasi neorealistica (corrente dominante in quegli anni) si giustappone a quello che
forse è il vero argomento del libro: il vitalismo dei giovani personaggi e la forza della tradizione, che
in questo caso è la tradizione rurale ma anche quella politica (il marxismo).

Nel complesso il romanzo presenta un andamento ondivago e si rivela carente al livello della
compattezza strutturale, poiché i diversi motivi non risultano sufficientemente amalgamati tra loro.
Si riscontra nell'opera un eccesso di momenti descrittivi, peraltro accostati in maniera frammentaria,
rispetto all'azione vera e propria e gli stessi personaggi non sono adeguatamente individuati. Si
tratta, insomma, di una prova di apprendistato.

1958 = L'usignolo della Chiesa Cattolica, volume che raccoglie poesie scritte tra il 1943 e il 1949.

Il tema principale è quello religioso: a volte si tratta di una religiosità di stampo decadente, sensuale
ed estetizzante, in cui ricorre il motivo di un turbamento erotico e sessuale, per esempio di fronte alla
nudità del corpo di un Cristo rappresentato spesso come un giovinetto dai tratti femminei (pag 76).

Altre volte è invece una religiosità crepuscolare, rassicurante, vagheggiata ma impossibile quanto un
viaggio a ritroso nel tempo.

Altrove compare il motivo del peccato e del proibito, di una colpa (la sessualità?) accolta e assaporata
che allontana irrimediabilmente dall'innocenza infantile (pag 77).

Poesia Il canto degli angeli = l'autore, in una sorta di orgogliosa apostasia, sembra rinunciare alla
fede religiosa in nome dei piaceri terreni, quasi rivendicando sfrontatamente la propria scelta. Alle
tavole della Legge ha preferito una volta per tutte il vitello d'oro. Perciò non c'è alcun pentimento né
alcuna richiesta di perdono (pag 78).
Quello che emerge da queste liriche è un vissuto religioso intimo e doloroso.

1949 = La crocifissione, il poeta si chiede se il senso della tragica esposizione di Cristo sulla croce
e del suo stesso sacrificio non risieda proprio nello "scandalo", cioè nell'esempio di testimoniare ciò
in cui si crede (o ciò che si è) anche a costo dello scherno, della derisione, del rifiuto e della violenza
di cui in tal modo si rischia di essere fatti oggetto da parte della società benpensante. È quasi un
programma di vita, che Pasolini nella sua vicenda personale e artistica avrà il coraggio di perseguire
fino in fondo.
Perché Cristo fu ESPOSTO in Croce? / […] / Bisogna esporsi (questo insegna / il povero Cristo inchiodato?)

1949 = La scoperta di Marx, settima e ultima sezione del L'usignolo della Chiesa Cattolica. Il nome prelude
alla centralità della tematica politica che sarà propria della raccolta successiva, significativamente intitolata.

1957 = Le ceneri di Gramsci, opera poetica più importante di Pasolini insieme a Poesie a Casarsa.
Poemetto eponimo (dà il titolo alla raccolta). Questa raccolta comprende componimenti degli anni Cinquanta
e si tratta di un gruppo di undici poemetti, di vario argomento e di diversa modulazione tematica, ma che
hanno tutti a che fare con la scoperta del proletariato romano nella capitale dall'inizio di quel decennio; in
realtà, quello che interessa a Pasolini è il sottoproletariato, ovvero il popolo prima della presa di coscienza
di classe.
Con questa raccolta, Pasolini si propone di rinnovare i caratteri ottocenteschi della poesia civile: non più
una poesia patriottica, nazionale o nazionalistica, bensì una riflessione sociale in versi di stampo marxista
e progressista. Il modello potrebbe essere Il Leopardi della poesia impegnata in un dibattito sulle idee, una poesia che
mette la concezione del mondo propria dell'autore al vaglio di una disamina intellettuale e culturale senza sconti.

Nelle liriche della raccolta, l'autore tenta una sintesi tra lirismo e impegno civile: alla marginalità del
sottoproletariato romano corrisponde la marginalità personale del poeta, finché queste due condizioni
finiscono quasi con il sovrapporsi.

Dal punto di vista prettamente formale, va notato come a forme metriche tradizionali (come la
terzina), si uniscano un linguaggio più trasparente rispetto a quello della tradizione ermetica e una
struttura sintattica discorsiva: questi due elementi sembrerebbero in contraddizione, ma la scelta
pasoliniana risponde alla necessità dei contenuti concettualmente impegnativi (trattati in questi versi) di trovare
poeticità  Da qui il frequente ricorso all'analogia (espediente tipico del Simbolismo e dell'Ermetismo, da cui l'autore
prende le distanze) e l'adesione al modello pascoliano, prenovecentesco, dei Poemetti (su Pascoli verteva la tesi di
laurea dell'autore), anche per la frammentazione della sintassi e del verso attraverso l'ampio uso di enjambement.

Nella disposizione degli undici componimenti, la struttura di fondo va da una prospettiva


massimamente allargata (due lunghe carrellate sull'Italia, la prima geografica – come in Appennino, la seconda
vagamente storica) a un progressivo restringimento sulla propria storia personale e sulla propria
delusione politica.

1952 = Canto popolare, poesia in cui un ragazzo canta in riva all'Aniene (fiume delle pagine finali di
Ragazzi di vita) e assurge a emblema di una speranza rivoluzionaria:

allegro seme / in cuore al triste mondo popolale

1954 = Comizio, poesia in cui viene descritta una situazione che coniuga indignazione politica e
ferite personali legate alla storia familiare. Si tratta di un'adunanza missina, che riapre nel poeta
dolorosi ricordi. Il palco con le bandiere del partito è rappresentato in una chiave di fosca tetraggine
all'insegna di un inquietante espressionismo (pag 81)  tradimento delle speranze della Liberazione e
riaffacciarsi di antichi fantasmi totalitari che si credevano esorcizzati per sempre. Ma un altro
fantasma, questa volta positivo, si affianca al poeta: è il fratello Guido.

Poemetto Le ceneri di Gramsci = qui, a colloquio con Gramsci (fondatore del PCI, pensatore
"organico", martire dell'antifascismo ecc.), Pasolini esprime tutta l'ambiguità della propria appartenenza
politica:
Lo scandalo del contraddirmi, dell'essere / con te e contro te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere.

Dicotomia idealmente molto radicata nella visione pasoliniana  due condizioni dello spirito, due
atteggiamenti esistenziali (un po' come l'avere" e "l'essere" di Erich Fromm):
 polo positivo, il popolo = sinonimo di purezza, libertà, spontaneità, autenticità (talora, magari, rozza e
brutale, ma pur sempre autenticità). Incarnazione del senso del sacro, un bisogno antropologico profondo,
la tendenza che l'essere umano manifesta a interrogarsi sul proprio essere nel mondo, sul senso della
vita e della morte, sull'aldilà ecc.  purezza;
 polo negativo, rappresentato dalla borghesia = equivale a finzione, ipocrisia, razionalismo
esasperato, eccesso di controllo sui comportamenti propri e altrui, ansiosa e nevrotica
programmazione del futuro. Essa possiede la religione, che per Pasolini è il tentativo di
irreggimentare il senso del sacro entro schemi rigidi, precostituiti, istituzionali, autoritari,
assoggettandolo a una rigorosa disciplina, e quindi di fatto soffocandolo: attraverso i riti, le liturgie,
le regole morali (sempre proclivi a scadere in moralismo) e così via  corruzione.

Pasolini disprezza e detesta la borghesia, e, andando avanti, la disprezzerà e detesterà sempre più, man
mano che, con il miglioramento delle condizioni materiali del Paese e poi con il boom economico,
assisterà all'inarrestabile processo di "borghesizzazione" della società italiana.

"L’avversione per la borghesia, intesa non tanto come classe sociale quanto come mentalità, quasi come
malattia, accompagna Pasolini fino all'ultimo". Ma in cosa consiste questa "mentalità"? "Nel ritenere che
persone, affetti, corpi, oggetti, cose, insomma la vita, si possano possedere. Nel pretendere di codificare
ciò che è incodificabile.” (Filippo La Porta)

“Borghesia” = non più una classe, ma una condizione antropologica, un'attitudine psicologica diffusa
presso tutti gli strati sociali che si basa sulla distruzione dell'originario patrimonio della millenaria civiltà
contadina e popolare, a vantaggio della nuova società di massa  molte pagine, percorse da una
fortissima vis polemica, degli Scritti corsari (1975), in cui parla del "nuovo fascismo" della società dei
consumi. Ma già in un intervento del 1968 (la prima puntata della rubrica Il caos, da lui tenuta per il
settimanale "Tempo"):

Io per borghesia non intendo tanto una classe sociale quanto una vera e propria malattia. Una malattia […] che ha
contagiato quasi tutti coloro che la combattono […]. Il borghese - diciamolo spiritosamente - è un vampiro, che non
sta in pace finché non morde sul collo la sua vittima per il puro, semplice e naturale gusto di vederla diventar […]
devitalizzata, contorta, corrotta, inquieta, […] come lui. (pag 84)

Tale paradigma pasoliniano è poi viziato da un certo manicheismo: in sostanza, il popolo è buono e la borghesia è cattiva.

Davanti a Gramsci, assurto a simbolo dell'ortodossia marxista, Pasolini dichiara che il proprio amore per il
mondo popolare è viscerale, estraneo a ogni ideologia. La conquista della coscienza di classe - che il comunismo
indicava come l'obiettivo prioritario - avrebbe significato per il proletariato una maggiore consapevolezza politica, civile e culturale; ma
questo avrebbe finito con il compromettere la genuinità popolare.  Da qui la sua sofferta posizione politica: da una parte
razionalmente desidera l’evoluzione culturale e il miglioramento delle condizioni di vita dei
lavoratori; ma dall'altra, intimamente teme che quel processo di cambiamento possa determinare la
corruzione, in senso borghese, della candida essenza popolare . Il comunismo pasoliniano rimane dunque
incerto tra mito e Storia, tra vitalismo irrazionalistico e adesione ideologica.

1956 = Il pianto della scavatrice, lirica in cui Pasolini afferma il proprio amore per la vita, che va colta
nel presente.

La poesia si apre con l'affermazione di un bisogno vitale, quello di vivere nell'attualità del momento,
perché ripiegarsi nel rimpianto o nella nostalgia del passato è un'operazione sterile, che non conduce
a nulla.
Ma un senso di estraneità nei confronti della vita degli altri, al quale la sua diversità (sociale ma forse soprattutto
sessuale) lo confina, rende triste e malinconico il poeta, il quale tuttavia riesce ancora a godere della contemplazione
della realtà popolare che nella sera di un giorno di lavoro esprime tutta la propria dolcezza nella "stupenda e misera
città" di Roma.

Più avanti, con la ripresa del lavoro all'alba della mattina successiva, l'immagine di una scavatrice,
utilizzata da alcuni operai in un cantiere edile, assurge a simbolo delle trasformazioni della società.
Le sue vibrazioni equivalgono poeticamente a un "pianto", quasi un grido di dolore, della città e del
mondo, per "ciò che ha / fine e ricomincia”, per l'avvicendarsi, cioè, delle epoche e delle età, con le
conseguenti distruzioni e trasformazioni.
In alcuni dei suoi versi più belli ed emotivamente più intensi, l'autore ripercorre il momento del suo primo contatto con il
mondo delle borgate romane e con la loro grande carica umana, esprimendo la propria vicinanza spirituale al mondo dei
poveri e degli oppressi (pag 86-88):

Povero come un gatto del Colosseo, / vivevo in una borgata tutta calce / e polverone […]

Quel borgo nudo al vento […] /era la vita / nella sua luce più attuale: / vita, e luce della vita, piena / nel
caos non ancora proletario.

“Vita” = parola protagonista nei suoi due romanzi romani Ragazzi di vita e Una vita violenta.

La borgata è una zona intermedia, lontana "dalla città / e dalla campagna", perché non possiede la
struttura dell'agglomerato urbano né quella della comunità rurale. Essa è una sorta di terra di
nessuno, abbandonata dalla politica e dalle istituzioni, sostanzialmente disinteressate alla vita e ai
problemi di chi vi abita.
Pasolini sceglie consapevolmente di condividere l'esistenza di queste persone. Lo fa perché in tale ambiente egli può
finalmente ritrovare se stesso e una nuova gioia di vivere  libertà dai vincoli moralistici piccolo-borghesi ("Rinnovato
dal mondo nuovo”); il poeta si sente intimamente vicino a quel mondo sottoproletario e in lui cresce il senso di
appartenenza all'anima popolare.

La borgata romana diventa così il "centro del mondo", il luogo dove il giovane di buona famiglia può finalmente
maturare a contatto con un'esperienza "che nasceva ai piedi della storia", vale a dire la vita degli ultimi in queste
"borgate tristi, beduine".

Marginalità, diversità, l'aver sentito su di sé la condanna e l'esclusione dalla classe sociale di provenienza (la tanto odiata
borghesia)  sperimentazione su di sé di comunanza e vicinanza al mondo dei veri marginali, dei versi esclusi.

Novembre 1956 = Una polemica in versi, testo in cui Pasolini attacca l'establishment del PCI:
Vi siete assuefatti, / voi, servi della giustizia, […]. Avete, accecati dal fare, servito / il popolo non nel suo cuore / ma
nella sua bandiera.

In questi versi emerge tutta la delusione e l'amarezza del comunista Pasolini per quanto l'URSS aveva fatto in
Ungheria mandandovi i carrarmati a reprimere, tra l'ottobre e il novembre di quello stesso anno, la rivolta
antisovietica.

1961 = La religione del mio tempo, raccolta di poesie scritte nella seconda metà degli anni Cinquanta, articolata in
tre sezioni libro pieno di poesie polemiche, tendenza dell’impegno pasoliniano a farsi più introspettivo, con un
accentuato rimpianto del passato e un’intolleranza nei confronti del presente e dei miti di una modernità che, agli occhi
del poeta, acquisterà i tratti di una nuova, tragica barbarie. Spiega Pasolini: “Il titolo dice tutto: polemica anticattolica e
anticonformista: sono proprio esasperato.” Il titolo dell’intera raccolta è mutuato da un poemetto così intitolato:

Nella poesia La religione del mio tempo (prima sezione), diversi sono gli spunti anticattolici – o, meglio,
anticlericali, antiborghesi e antidemocristiani - contenuti in questo componimento  la Fede è stata corrotta: la
Chiesa ha corrotto il messaggio del Vangelo, il messaggio di Cristo è un altro. In “una tradizione che è uccisa /
ogni giorno da chi se ne vuole difensore”, Pasolini vede essere “morta un’epoca della nostra esistenza, / che in un
mondo destinato a umiliare // fu luce morale e resistenza”  speranza (pag 96). Versi molto efficaci:

Che la Chiesa / è lo spietato cuore dello Stato.

Nella poesia, La ricchezza (prima sezione), si riconosce, lui borghese, vicino ai membri del
sottoproletariato romano (dice, appunto, “simile al mio”):
Il loro desiderio di ricchezza / è, così, banditesco, aristocratico. / Simile al mio. Ognuno pensa a sé.

Nella poesia A un papa (seconda sezione), rimprovera Pio XII, da poco morto (1958); in vita, era stato una
figura austera e distaccata, con venature mistiche. Pio XI aveva preparato un’enciclica per condannare il
nazismo, la Mit brennender Sorge, ma muore prima  Pio XII non la pubblica, e Pasolini si scaglia
duramente contro di lui in questa lirica:
Lo sapevi, peccare non significa il male: / non fare il bene, questo significa peccare. / Quanto bene tu potevi
fare! E non l’hai fatto: / Non c’è stato un peccatore più grande di te.

Nella poesia Glicine, l’ultima della raccolta, Pasolini scrive commentando i grandi cambiamenti in atto e
la propria lontananza spirituale da quanto vede intorno a sé  l’Italia sta cambiando a ritmi vorticosi con
il boom economico, il benessere materiale, la televisione, nuovi miti e nuovi riti (tutti laici):
Altre mode, altri idoli / la massa, non il popolo, la massa / decisa a farsi corrompere / al mondo ora si affaccia.

Il “popolo” è diventato “massa” e fa ciò che viene deciso dall’economia: gli italiani non sono stati
capaci di indirizzare i cambiamenti in atto, ne sono rimasti succubi.

“Scandalo” = termine chiave per comprendere non solo la posizione politica, ma anche la religiosità
pasoliniana. La parola viene dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi (1, 22-23): “Noi annunciamo Cristo
crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i Gentili.” E scandalo generarono anche i suoi film su Gesù.

1962 = La ricotta, mediometraggio (di registro prevalentemente comico), episodio del film collettivo
Ro.Go.Pa.G, il cui titolo deriva dai cognomi dei registi che lo realizzarono: Rossellini, Godard, Pasolini e
Gregoretti. L’episodio mette in scena un ennesimo allestimento cinematografico della Passione di Cristo da parte
di un regista, in cui Pasolini ha voluto vedere quasi una caricatura di se stesso, esasperando certi suoi tratti
ideologici (es. antiborghese). Ma sul set di questa Passione, collocato nella periferia romana, si delinea subito il
contrasto tra la sacralità della raffigurazione del soggetto religioso da parte del direttore e l’indifferenza, il cinismo,
la vitalità scanzonata e volgare degli attori e delle comparse, per lo più di estrazione proletaria.

Tale scissione è sottolineata dall’alternanza tra:


o colore = utilizzato per le scene della Passione, ispirate alle raffigurazioni dei pittori cinquecenteschi;
o bianco e nero = rappresentazione del set cinematografico nei momenti di pausa e di allestimento delle scene.

Quest’episodio si struttura così come una rappresentazione che duplica se stessa, adottando il
procedimento tipicamente manierista della citazione, il che consente all’autore di elaborare una riflessione
di natura metalinguistica  recupero di un passato, anche leggendario e religioso, per dimostrare e
denunciare un dramma terribilmente concreto: la fame del sottoproletariato. Trama pag 98. Stracci, il
protagonista, muore in croce (per indigestione).

“Morendo, Stracci comincia a esistere, a essere qualcuno: simbolo del Figlio dell’Uomo soccombente sotto
il peso delle ingiustizie dell’iniquità umana e di tutti i dannati della terra.”

Stracci, del resto, “percorre, scompostamente e sena rispettarne l’ordine, tutte le tappe della Passione di
Cristo: dal dileggio sulla croce, alla sua solitaria ‘ultima cena’, alla morte sulla croce invocando il perdono di
Dio”.

Alla sua uscita nelle sale La ricotta scatenò polemiche furibonde  sequestro della pellicola e disposizione
di un decreto che incrimina il regista per “vilipendio della religione di stato” (pag 99).

1964 = Il Vangelo secondo Matteo, film molto rispettoso del Vangelo, ma che presenta anche la visione
personale di P.P.P. In quest’opera, il Cristo di Matteo assume i tratti del giovane anarchico basco Enrique
Irazoqui, e la voce è quella di Enrico Maria Salerno (polemica: un bigamo interpreta Gesù).

A giudizio di diversi critici, nessun film su Cristo ha ancora superato qualitativamente questo.

È stato girato in luoghi in cui Pasolini prova a ricostruire la Palestina dei tempi di Gesù (dopo averla
cercata inutilmente nel territorio originario): a Chia (nella Tuscia, vicino a Orte), a Villa Adriana a Tivoli, a
Matera, a Crotone e sulle falde dell’Etna.

Il film, significativamente dedicato alla memoria di Giovanni XXIII - il papa “buono”, il papa “contadino” -
(che nel frattempo era morto), segue fedelmente il testo evangelico nel ripercorrere le tappe fondamentali
della vita di Gesù, dall’Annunciazione alla Resurrezione, pur rileggendole alla luce della sensibilità
pasoliniana.

Il regista aveva letto il Vangelo secondo Matteo tutto d'un fiato ad Assisi, avendo trovato il volume con il
Nuovo Testamento nella camera d'albergo durante la sua partecipazione a un convegno organizzato dalla Pro Civitate Christiana
(la Cittadella) di Assisi, un'istituzione che operava per promuovere un fecondo dialogo tra cattolici e laici (settembre 1962).

Sin dagli albori del progetto, Pasolini si preoccupa di rimanere ancorato al testo biblico. In una lettera del
febbraio 1963 a Lucio Settimio Caruso scrive: " La mia idea è questa: seguire punto per punto il Vangelo secondo san
Matteo, senza farne una sceneggiatura o una riduzione. Perché nessuna immagine o nessuna parola inserita potrà
mai essere all'altezza poetica del testo.”  Arnaldo Colasanti: “La rigorosa fedeltà del marxista ateo alle
parole del Cristo rende quelle parole vere, autentiche, profetiche”.
Nonostante il rigore scrupolosamente filologico dell'adattamento, anche in questo caso non mancano le
polemiche  sospetti e malumori sia presso l'intellighenzia comunista (che accusa Pasolini di ambiguità
ideologica e di misticismo) sia nell'ambito del cattolicesimo più conservatore (che non apprezza il
trattamento del soggetto sacro da parte di un autore così lontano dalla Chiesa). Nonostante ciò, l'OCIC
(Office Catholique International du Cinéma) gli assegna il premio alla Mostra del cinema di Venezia
(1964).

La pellicola viene criticata anche dai comunisti francesi, unico a smarcarsi è il filosofo Jean-Paul Sartre.
Sul fronte “interno”, neanche i comunisti nostrani sembrano gradire. Lo stesso Fortini (anni del centro-
sinistra) giudicò il film uno strumento del dialogo politico-ideologico allora in corso.

In realtà, raccontare il Cristo non significa per Pasolini avvicinarsi alla religione cattolica in senso
istituzionale: il film intendeva essere del tutto rispettoso del testo biblico  religione come strumento di
potere, ma anche radicata nella civiltà contadina che si sta perdendo.

Poiché egli non è credente – spiega- “ho dovuto narrare il Vangelo attraverso gli occhi di qualcun altro che
non sono io, cioè di un credente: ho fatto un ‘discorso libero indiretto.”  contaminazione tra chi
crede e chi no  P.P.P. rivendica di aver fatto “un’opera nazional-popolare in senso gramsciano” 
“Cristo è un sottoproletario che va con i sottoproletari.”

La sensibilità personale dell’autore lo porta a enfatizzare, sul piano drammatico, alcuni momenti più
“politici” della vita di Gesù, come la scena della cacciata dal Tempio, che mette in campo un Cristo quasi
rivoluzionario, sicuramente antiborghese, in polemica con la Chiesa-istituzione  “volontà di redenzione
per coloro che subiscono le conseguenze della istituzionalizzazione della religione operata dai farisei, i
quali ne hanno fatto uno strumento di dominio politico e sociale.”

Il resto del film è, invece, tutto giocato sui silenzi e sugli sguardi dei personaggi, oltre che sulle musiche
(insieme classiche ed etniche); inoltre, spesso i personaggi assumono pose statiche, ieratiche.  Staticità
(eternità) e movimento (Storia) si alternano, dando origine a un preciso equilibro compositivo .

Oltre alla valenza storico-politica dell’interesse di Pasolini per la figura di Gesù, la critica ha evidenziato
anche quella autobiografica  scelta della madre, Susanna Colussi, a interpretare il personaggio della
Madonna anziana, e degli amici intellettuali nel ruolo dei discepoli (inoltre, compare per la prima volta –
nelle vesti di un pastore – Ninetto Davoli, il grande amore della vita di Pasolini). Pasolini ha preparato la madre a
interpretare la scena del deliquio della Madonna ai piedi della croce dicendole più volte: “Ricordati di
Guido!”  potrebbe sembrare cinismo, ma in verità è puro perfezionismo.

Anche in quanto alla scelta dell’attore protagonista, Pasolini voleva un Cristo che esprimesse forza e
assertività, come in una certa iconografia medievale, non un Gesù dolce o dai lineamenti morbidi.

1966 = Uccellacci e uccellini, l’ideologia (cioè l’intellettuale comunista) - che assume le sembianze di un corvo parlante (la
voce è quella di Francesco Leonetti, con cadenza emiliana e, dunque, “rossa” per eccellenza) - incalza con mille domande Totò e Ninetto
Davoli, straordinaria coppia sulla scena. Sarà proprio il corvo a raccontare ai signori Innocenti (Totò padre e
Ninetto figlio) una sorta di apologo cristiano-marxista: quello, appunto, degli uccellacci e degli uccellini.

Trama pag 106. Su uno sfondo contemporaneo, si assiste poi al dispiegarsi dell’aggressività di classe. Alla
fine, stanchi del corvo, i signori Innocenti gli tireranno il collo per cibarsene, rendendo così l’ intellettuale
da esso simboleggiato martire della propria causa ideologica.

È evidente la simbologia degli uccellacci e degli uccellini, dei falchi e dei passeri, che stanno a indicare
rispettivamente gli oppressori e gli oppressi. L’ideologia marxista, però, si rivela un discorso incapace di
fare presa sulle coscienze dei proletari  l’intellettuale comunista vede entrare in crisi il proprio ruolo ed è
divorato dalla società dei consumi di massa, la quale del pensiero critico non sa più che farsene ; le
immagini dei funerali di Palmiro Togliatti (25 agosto 1964) - dove si recano Totò e Ninetto – rimandano proprio a
questo tema della morte dell’ideologia.

Nell’impianto narrativo picaresco del film, la realtà fisiologica del corpo, della fame, del sesso e della
morte si oppone costantemente all’astrattezza ideologica del corvo.  La verità del corpo dei due eroi
sottoproletari vince sulla funzione dell’ideologia dell’intellettuale borghese.

1968 = San Paolo, sceneggiatura di un film su san Paolo, che avrebbe visto un’ attualizzazione della vita
dell’Apostolo dei Gentili, le cui vicende sarebbero state collocate nel presente (negli anni Sessanta), attraverso una
sorta di “violenza temporale”, sebbene mantenendo una totale fedeltà al testo sacro. Alle antiche città che fecero da
scenario alla predicazione paolina si sarebbero dovute sostituire le grandi capitali del mondo contemporaneo.

Paolo è qui, oggi, tra noi. È alla nostra società che egli si rivolge. (Pasolini, nota alla sceneggiatura)

Tuttavia, giusta l’attualizzazione della vicenda paolina, ci sarebbe stato un cambiamento nelle dinamiche
di classe  il conformismo dei tempi di Paolo (o meglio, i due conformismi) sarebbe stato sostituito con un
conformismo contemporaneo:

 conformismo dei Giudei  conformismo tipico dell’attuale società borghese nel suo aspetto
ipocritamente e convenzionalmente religioso;
 conformismo dei Gentili  conformismo tipico dell’attuale società borghese nel suo aspetto laico,
liberale e materialista.

Nei confronti del santo di Tarso, Pasolini mostra di provare sentimenti ambivalenti, tanto che scrive che
“Qui si narra la storia di due Paoli: il santo e il prete. E c’è una contraddizione, evidentemente, in
questo: io sono tutto per il santo, mentre non sono certo molto tenero con il prete”:

o il santo = Paolo ha contestato radicalmente i “valori” su cui si fondava il mondo antico (per il
cristianesimo disvalori: la violenza di classe, l’imperialismo, lo schiavismo) per affermare ideali di
uguaglianza e di liberazione;
o il prete = Paolo è anche colui che ha trasformato la fede in Cristo in una Chiesa, dotata di un vero
e proprio sistema teologico, di norme e regole.

Il soggetto non si trasformerà in una vera e propria realizzazione, mentre un “abbozzo di sceneggiatura”
approderà due anni più tardi, evolvendo però in un nulla di fatto.

Ragioni della mancata realizzazione del film (spiegate da Don Attilio Monge): mentre l’ala cattolica più
progressista l’aveva insignito del premio dell’OCIC, i settori più conservatori avevano accusato Pasolini di
oscenità.

Ancora sei anni dopo, nel ’74, Pasolini lavorerà alla sceneggiatura, a testimonianza di quanto tenesse a
questo progetto. Con l’aggiunta di una punta di malizia: cioè inserendo tra i personaggi la figura di Satana,
che aiuta un inconsapevole san Paolo a fondare la Chiesa.

Lo “scandalo” del cristianesimo negli Scritti corsari  A interessare Pasolini è la posizione della Chiesa sullo sfondo
della società contemporanea: egli ritiene che il nuovo Potere, quello dei consumi di massa, non sappia più che
farsene della religione; la omaggia formalmente (del resto a governare è ancora la DC), ma di fatto essa gli è
inutile.

Ebbene, Pasolini rimprovera alla Chiesa cattolica la mancanza di coraggio nel contrapporsi a questa nuova
china su cui si è avviata la società italiana  22 settembre 1974. Lo storico discorsetto di Castelgandolfo (Scritti corsari).

Soluzione: “per evitare una fine ingloriosa”, la Chiesa dovrebbe passare all’opposizione; dovrebbe
negare se stessa, per riconquistare i fedeli che proprio per quello che essa è l’hanno abbandonata”
 definitivo distacco dal potere politico (pag 112).

Nella conclusione del capitolo successivo, 6 ottobre 1974. Nuove prospettive storiche: la Chiesa è inutile
al potere, l’utopia pasoliniana si fa ancora più esplicita nella direzione di un pauperismo di sapore
schiettamente evangelico:
E poi […] è proprio vero che la Chiesa debba coincidere con il Vaticano?

Pasolini va svolgendo le proprie riflessioni di fronte al ruolo sempre più marginale della Chiesa a livello sociale: ma
siamo sicuri che alla massiccia partecipazione ai “grandi eventi” religiosi corrisponda una pratica di fede convinta e continuativa? Già
all’inizio degli anni Settanta, la presenza della religione nella società italiana appariva minoritaria: alla fede in Dio
e nella Chiesa, frutto dell’ignoranza, è subentrato il nuovo credo consumistico, che per Pasolini è ancora
peggiore (pag 114).

3. La vita romana
28 gennaio 1950 = Pier Paolo e la madre Susanna si recano alla stazione ferroviaria di Casarsa per prendere il treno diretto a Roma.
1955 = Ragazzi di vita, romanzo in cui si pone una duplice articolazione del racconto, che si sviluppa su due
piani distinti e complementari (tra cui l’oscillazione è continua):

1. piano oggettivo, che emerge agli occhi del lettore dalla narrazione stessa come un dato di fatto, senza
possibilità di equivoci  narratore distaccato ed esterno alla vicenda (italiano standard)
Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima
comunione e la cresima, s’era alzato già alle cinque. (incipit)
2. piano soggettivo, in cui il punto di vista è quello di una sorta di narratore popolare interno ai fatti
raccontati  punto di vista interno alla storia, come se fosse quello dei personaggi stessi, tanto da
utilizzare termini che appartengono al lessico dei “ragazzi di vita” o comunque di una fascia popolare
di parlanti
[…] pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare.

In quest’ultimo caso, è come se l’autore decidesse di regredire al livello dei suoi personaggi, rinunciando a
una propria interpretazione dei fatti, che lascia invece interpretare, appunto, ai personaggi stessi .  È la tecnica
narrativa che Guido Baldi ha chiamato, a proposito di Giovanni Verga, “ artificio della regressione”: l’autore
parla e pensa come i personaggi, si mette nella loro pelle, al contrario di Manzoni che - essendo un narratore
onnisciente - si fa interprete dei pensieri dei suoi personaggi (es. Addio ai monti di Lucia). Ci sono però delle differenze:

o Verga = opta per la trascrizione del dialetto in un italiano che del dialetto conservi semmai le
movenze sintattiche e certa fraseologia  dialettalità fraseologica, sapore di un mondo dialettale;

o Pasolini = (soluzione più radicale:) mette sulla pagina direttamente il dialetto romanesco o, se
vogliamo, “romanaccio”, il romano parlato nelle borgate e nei suburbi, di una certa malavita di
quartiere, una lingua gergale contaminata dei dialetti del Sud della recente migrazione interna,
non il romanesco illustre del Belli o Trilussa  fa parlare i personaggi in dialetto.

Si trattava “di un gergo inciso nel gergo: eloquio di banda, inventato per cifrare la comunicazione
fra amici, al fine di escludere chi amico non è; ma era anche un gergo testimoniale di un tragico
ghetto, di una ammalata malignità umana”.

In sintesi, Verga applica l’“artificio della regressione” in modo sistematico, mentre Pasolini non
lo fa fino in fondo perché non è parte di quel mondo: nonostante egli detesti e aborri la sua classe
sociale di provenienza, cerca di calarsi il più possibile nell’universo sottoproletariato, ma può farlo fino a un
certo punto, perché non gli è lecito rinunciare alla sua, seppur odiata, identità borghese.  atto di profonda
onestà intellettuale.

La tensione tra questi due piani è presente in tutto il romanzo  es. per descrivere la rapidità con cui il
Riccetto e il Caciotta scendono da un autobus dopo aver borseggiato un’ignara passeggera, Pasolini cita
addirittura due versi danteschi (Inferno, XVI, 88-89) per sortire un effetto umoristico.
Enzo Siciliano: “Al pari dei pittori del Rinascimento, i manieristi, o il grande Caravaggio, […] Pasolini, a Roma, apprese un
nuovo amore e fu da esso stordito e vinto”. (pagg 121-122).

Il dialetto - per cui l’interesse risale agli anni friulani, anche se qui si tratta di un dialetto acquisito – è
presente soprattutto nei dialoghi  lingua ridotta all’essenziale, fatta spesso di interiezioni e
caratterizzata da un esteso ricorso al turpiloquio. “Quella lingua urlata di borgatari analfabeti” era “la prima via d’uscita dal
neorealismo, secondo un percorso canonico che prevede la transizione dal naturalismo all’espressionismo” (Walter Pedullà). Va poi
notata l’importanza della cadenza, del ritmo, persino della musicalità di certe frasi  sensibilità
prettamente poetica, anche nella prosa (dimensione lirica della rappresentazione).

Amore per la realtà popolare, a tratti autentica tenerezza  sul piano linguistico, frequente ricorso
ai diminutivi e ai vezzeggiativi con cui si riferisce ai suoi “ragazzi di vita” (es. “pischelletti”, “piccoletti”); o anche
a termini come “povero” e “poveraccio”. E, sul piano retorico, le ricorrenti similitudini animalesche (es. i fratelli di
Genesio sono come “dei passerotti nel nido o dei coniglietti”).

Quello di Pasolini è uno studio dal vivo (ricerche sul campo, in prima persona, taccuino in tasca), quasi
da sociologo o antropologo prima ancora che da scrittore. Tuttavia, non lo fa con il distacco dello scrittore
naturalista, ma con una dose di coinvolgimento umano ed emotivo, e lo fa con rispetto, con capacità di
ascolto, con amore. Anche quando raggiunge una certa fama nell’ambiente letterario, egli preferisce
continuare a frequentare la Roma delle borgate più che quella dei salotti (pag 120).

Nel 1951 conosce Sergio Citti, poi il fratello Franco e (in seguito) Ninetto Davoli in una delle sue
perlustrazioni del territorio borgataro: essi lo aiutano a comprendere la lingua della borgata e le sue
molteplici realtà  Pasolini - che di professione era un professore, un maestro - diventa allievo.
Nonostante il Riccetto sia il personaggio su cui si appunta maggiormente l’attenzione, non può definirsi il
protagonista del romanzo  dimensione di un romanzo corale: solo nelle singole azioni i diversi
personaggi acquistano, almeno per un attimo, una fisionomia propria  opera dominata da una costante
forza centrifuga, per cui conta di più definire un ambiente, un luogo, una realtà sociale che non una
vicenda unitaria con un inizio, uno svolgimento e una fine  romanzo a episodi, visto che non c’è un
vero e proprio intreccio, sebbene ci sia una certa ricorsività delle situazioni (sorta di eterno presente; il
passato viene recuperato attraverso alcuni flash-back, inoltre sono presenti delle ellissi). L’autore sviluppa diversi fili
narrativi, alcuni dei quali lascia temporaneamente per poi riprenderli in seguito, mentre altri li
abbandona una volta per tutte (pag 123). Malgrado ciò, quasi sempre ogni capitolo si chiude su un evento
netto, in qualche misura risolutivo, sempre a carattere drammatico.

Quella descritta da Pasolini è una realtà colta e rappresentata in presa diretta, in cui “tempo della storia” e
“tempo del discorso” coincidono quasi sempre attraverso una “scena”. Talora il “tempo del discorso” è
maggiore del “tempo della storia”: è il caso della descrizione, su cui Pasolini ama attardarsi con
l’obiettivo della sua “macchina da presa” narrativa.

Maurizio De Benedictis: “Il termine ‘vita’ a Roma è […] intriso di significati speciali e contrastanti. Prima
di tutto, c’è l’idea di una festa gioiosa, basata essenzialmente sul dispiegarsi della sessualità (valore liberatorio
cresciuto in secoli di repressione papalina). Ma nel termine è anche presente una curvatura ironica, quasi una
scettica coscienza dell’inconseguibilità ultima di un tale obiettivo”  bene raggiunto e perduto, nostalgicamente
vaneggiato. “Allo stesso tempo, la parola ha anche avuto una connotazione delinquenziale, […] legata sia a fatti di piccola
criminalità, sia, soprattutto, alla prostituzione e, per l’uomo – appunto, l’‘omo de vita’ -, al suo sfruttamento.”

“Ragazzi di vita” = giovani nati e vissuti in un ambiente sociale privo di certezze (lavoro, casa famiglia).
Gli adulti sono abbruttiti dalla fatica e dalle frustrazioni.  Il rapporto tra le generazioni è
segnato da una sorda e rancorosa ostilità reciproca: i rapporti con gli adulti sono fortemente conflittuali, fino ai limiti
estremi dell’aggressione fisica e finanche dell’omicidio. In assenza del cerchio protettivo degli affetti, i ragazzi sono
costretti a crescere in fretta, a imparare presto ad arrangiarsi, a vivere di espedienti.

D’altra parte, quanto Pasolini ama e prova simpatia per il mondo di questi bambini e adolescenti, tanto
sembra prendere le distanze da quello degli adulti, che rappresenta in modo negativo, ricorrendo spesso a
un espressionismo deformante e caricaturale (es. Nadia e madre del Riccetto, pag 126. Unica eccezione genitori di Marcello).

Pasolini satireggia anche l’aspirazione a una sorta di decoro piccolo-borghese da parte del
sottoproletariato, che per lui rappresenta il tradimento delle autentiche origini popolari di questi
personaggi: agghindarsi, farsi belli, assumere un’aria di rispettabilità per compiere il rito sociale dell’uscita
serale.

Temi e motivi ricorrenti nell’opera:

1. Ciclo del guadagno e della perdita di qualcosa di materiale = il modello su cui Pasolini
costruisce l’esistenza di questi ragazzi è basato sul rapporto rubare-essere derubato che fa scattare il
meccanismo del recupero come pareggiamento della perdita  i “ragazzi di vita” guadagnano e
perdono continuamente la “grana”: “la grana, che è la fonte di ogni piacere e ogni soddisfazione in
questo zozzo mondo”, afferma Pasolini;
2. Morte = presenza costante nel romanzo, è la “Comare Secca” (da un’espressione di Belli). Si tratta di un
tema affrontato sempre all’insegna di una sobria commozione, dai toni quasi elegiaci (tonalità patetica,
capace di suscitare commozione). Da un punto di vista narratologico, “ragazzi di vita” come protagonisti e morte come
antagonista  morte vs vita, appunto. Il motivo della morte si lega anche all’incapacità di Pasolini di seguire
i suoi personaggi oltre la soglia dell’età adulta: facendo morire i suoi giovani personaggi, è come
se intendesse salvarli dalla degenerazione a cui, crescendo, sarebbero inevitabilmente
destinati.

Ci sono diverse interpretazioni di questo romanzo, tra loro discordanti, ma tutte in qualche modo
legittime:

1. Chiave di lettura legata alla tradizione narrativa picaresca = i “ragazzi di vita” hanno molte
caratteristiche in comune con i picari del Siglo de oro spagnolo (furfanti o pitocchi di infima
estrazione sociale);
2. Chiave di lettura del romanzo di formazione (Pasolini come “pedagogo di massa”, Enzo Golino) = la
maturazione del Riccetto è interpretata da Pasolini come sinonimo di corruzione, di perdita di
innocenza infantile che rendeva speciale questo personaggio.
Una formazione è anche, per così dire, una “deformazione”, cioè una maturazione che equivale
alla perdita di caratteristiche positive (spontaneità, generosità), sostituite da una più adulta e
borghese morale dell’egoismo e dell’autoconservazione. Per esempio, da ragazzo, il Riccetto è pronto a rischiare
la vita per trarre in salvo una rondine (pag 131) mentre - alla fine dell’ultimo capitolo – di fronte all’annegamento di Genesio,
prevalgono l’stinto di autoconservazione, il calcolo, l’assennatezza, una certa prudenza.
“Pedagogia della strada” = capacità di sfruttare le occasioni, spesso criminali, che si
presentano.
Il lavoro non è contemplato tra le possibilità: lavorare significherebbe rinunciare alla
propria libertà, sentita come il bene più prezioso, anzi forse l’unico che si possiede.
Gli interlocutori di questa paideia pasoliniana (e del suo interesse per tutto ciò che è formazione) sono:
o popolo = oggetto d’amore ma sempre a rischio di perdere la propria identità sulla spinta
dell’avanzamento della società dei consumi;
o borghesia = oggetto di odio, ma forse, almeno in parte, ancora passibile di una
rieducazione.
L’atteggiamento pedagogico del narratore Pasolini verso i suoi “ragazzi di vita” è analogo a quello
che egli manifestava verso i propri studenti: nessuna tendenza ad ammaestrarli, piuttosto una
disposizione naturale e istintiva a vivere con loro, dall’interno, le situazioni che essi
attraversavano. Pasolini non giudica le azioni dei suoi ragazzi come immorali  i “ragazzi di vita”
vivono in una dimensione amorale o premorale; il loro universo mentale e psicologico è
primitivo e in qualche modo precede la civiltà con le sue regole e le sue norme: la libera
espressione degli istinti primari è limitata dalle regole imposte dalla società. Sono ragazzi
estranei alla Storia e alla società, inconsapevolmente amorali: possono passare dalla più
cinica crudeltà alla più commovente tenerezza.  “Il popolo è un grande selvaggio nel seno della
società” (epigrafe tolstojana).
Pasolini rappresenta questi giovani sempre in una luce di purezza, senza condanna, ma con un
sentimento di pietà: la loro è una purezza che va interpretata innanzitutto come purezza sociale,
come irriducibilità a qualsiasi forma di omologazione o socializzazione proveniente
dall’altro: dal mercato o dalle istituzioni;
3. Chiave di lettura del romanzo sociale = la rappresentazione delle borgate offre uno spaccato
istruttivo su una realtà di povertà e di emarginazione che era più comodo fingere di non vedere 
povere abitazioni in cui si vive in una promiscuità quasi animalesca, in cui i ragazzi stanno il meno
possibile, per sfuggire a quell’inferno domestico che è scenario di litigi e scontri anche violenti.

A differenza della borghesia, luoghi e istituzioni dei “ragazzi di vita”  famiglia e scuola assenti, la
Chiesa c’è con i suoi riti, però si tratta di una sopravvivenza esteriore di qualcosa che non è per nulla
sentito. Le uniche istituzioni che hanno un ruolo sono:

 il carcere = luogo in cui quasi tutti i personaggi finiscono per un certo tempo (quasi rito di
passaggio);
 l’ospedale = luogo in cui si va a morire, non a guarire.

I luoghi principali della narrazione sono quasi tutti esterni: se la periferia è il luogo di provenienza, il
centro è il luogo di un approdo momentaneo, finalizzato all’acquisizione della “grana” e poi al
divertimento  contrasto tra la Roma monumentale con le sue vestigia storiche e i suburbi
caratterizzati dalla povertà e dallo squallore di quegli ambienti.

Se la città respinge questi ragazzi, la natura li accoglie  il fiume diventa il luogo dell’avventura ludica e
lo spazio idillico di una società spontanea e non condizionata da regole e divieti. Il fiume rappresenta
inoltre una “metafora ossessiva” (Charles Mauron) dello scorrere del tempo, ma anche di una sorta di rito
iniziatico, una prova di coraggio che consiste nell’attraversamento delle acque. Altra metafora ossessiva è
il sole, simbolo paterno e “costante di ogni panorama pasoliniano”.

Il caso Ragazzi di vita (pag 137): censura che - dal piano culturale, letterario ed estetico - passerà a quello
politico e giudiziario  la borghesia (che Pasolini definisce la “più ignorante d’Europa”) percepisce come urtanti, e
quindi inaccettabili, sia i contenuti del libro (per il “carattere pornografico”) sia la sua forma linguistica, con il
turpiloquio che essa porta con sé. Ripetiamo: è alla borghesia italiana che Pasolini si rivolge,
ponendola di fronte a un mondo marginale ed emarginato che essa preferirebbe ignorare, ma
del cui degrado, in quanto classe dirigente, è responsabile .

o Critica marxista (pag 139) = alla critica di sinistra non piace tale presunto “decadentismo”
pasoliniano, che è l’esatto opposto di quel “realismo socialista” che prevedevano le poetiche
ufficiali del PCI: li scrittore impegnato doveva rappresentare la classe proletaria in termini
positivi. Secondo questi critici, “lo scrittore, nell’intenzione realistica, sarebbe stato tradito dal
proprio estetismo”;
o Critica cattolica (pag 140) = colpisce la vicinanza con la critica marxista
4 luglio 1956, Milano (Garzanti è un editore milanese) = processo per Ragazzi di vita  la difesa chiama a
testimoniare alcuni illustri “periti letterari”, tra cui:

 Giuseppe Ungaretti (pag 142) = non potendo muoversi da Roma, manda al tribunale una lettera, in
cui sottolinea che “è libero compito del romanziere rappresentare la realtà com’è”;
 Carlo Bo (pag 143) = sottolinea l’importanza del realismo, sostenendo che “I dialoghi sono dialoghi
di ragazzi i quali non si esprimono bene; e l’autore ha sentito la necessità di rappresentarli così
come in realtà”.

Possiamo aggiungere che la violenza espressiva del romanzo definisce la violenza morale che
caratterizza l’ambiente sociale in cui si muovono i personaggi.

Al termine della discussione, lo stesso pubblico ministero chiede l’assoluzione perché “il fatto non
costituisce reato”. Ciononostante, il marchio di scrittore osceno e di corruttore delle coscienze lo
perseguiterà per tutta la vita.

1959 = Una vita violenta, romanzo più lineare (struttura, trama, stile) rispetto a Ragazzi di vita, piacerà di più alla
sinistra.

Marxismo vs cristianesimo: materialismo vs misticismo  due “Chiese” (quella laica e quella cristiana).

La figura retorica di Pasolini è, come lui stesso sapeva, l’ossimoro.

Ragazzi di vita = libro di deformazione, evoluzione negativa del personaggio

“Ragazzi di vita” = estranei alla Storia e alla società

Accattone = tono epico

Mamma Roma = tono lirico-tragico

Scritti corsari = La televisione, entrata in quegli anni nelle case dei nostri connazionali con il suo
straordinario potere seduttivo, rappresenta uno scempio perpetrato sul piano linguistico, nel senso di un
appiattimento delle possibilità espressive dell’italiano e delle parlate locali, dialetti compresi, ormai rimossi a
favore di un italiano standardizzato, freddo, burocratico, tecnocratico.

P.P.P. “Io, per me, sono anticlericale (non ho mica paura a dirlo!) ma so che in me ci sono duemila anni di
cristianesimo […]. Sarei folle se negassi tale forza potente che è in me: se lasciassi ai preti il monopolio del bene.”

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