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PIERPAOLO PASOLINI

Attento osservatore dei cambiamenti della società italiana dal secondo dopoguerra sino alla metà degli
anni Settanta nonché figura a tratti controversa, suscitò spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la
radicalità dei suoi giudizi, assai critici nei riguardi delle abitudini borghesi e della nascente società dei
consumi, come anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti. Il suo rapporto con la propria
omosessualità fu al centro del suo personaggio pubblico.

Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922. La mamma era una maestra mentre il padre militare
dunque, la famiglia, per seguire i trasferimenti del padre, si sposta di frequente da un paese all'altro dell'Italia
settentrionale. La località che Pasolini sente come “casa sua” è Casarsa, dove la famiglia passava le estati e
luogo di provenienza della madre. All'università, si iscrive a lettere. Nel '41, durante la Seconda guerra
mondiale, Pasolini e la madre si trasferiscono a Casarsa: qui diventa insegnante e si iscrive al partito
comunista. In questi anni inizia a maturare l’amore per il mondo popolare, il suo bisogno di far sopravvivere il
bisogno popolare in contrapposizione al potere borghese. Questo amore si concretizza nell’amore per
dialetto friulano con il quale scriverà la raccolta di “Poesie a Casarsa”. Nel 1945 Guido, il fratello,
combattendo come partigiano.

La sua omosessualità inizia a “farsi conoscere” quando, a 27 anni, ha un rapporto sessuale con quattro
ragazzini tra i 15 e i 16 anni nel prato di Ramuscello. La voce circola, gli piacciono i ragazzini. L'eros per lui
è una necessità, anche se nei primi scritti è ancora visto come un peccato. Nel 1949 Pasolini ammette, in
caserma, di aver avuto rapporti con questi due ragazzini, e nello stesso anno è espulso dal Partito
Comunista; gli viene anche imposto di smettere con l'attività politica, pena l'accusa di atti osceni in luogo
pubblico. In quei mesi si consuma la tragedia familiare: il padre impazzisce, la madre cade in depressione,
lui perde il posto a scuola e si trasferisce a Roma. Se ne va a Roma con la madre (1951), a causa male
lingue. Passa dal paradiso terrestre del Friuli, cattolico rurale, a Roma, città pagana e orgiastica. Per Pasolini
l’eros è una necessità. In Friuli come a Roma i ragazzi li pagherà.
Qui a Roma, nel 1955, fonderà una rivista con altri intellettuali (Gadda, Calvino) “L’officina”. Questa rivista
nasce come punto di riferimento per tutti quegli intellettuali che volevano rinnovare la letteratura e seguendo
la lezione di Gramsci, volevano portare avanti l’idea di una letteratura impegnata, che servisse alla società.
Pubblicherà due romanzi “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta” in italiano e non più in dialetto, in cui
emerge l’amore per il popolare, il dialetto. In questi anni inizia a fare anche carriera nel cinema prima come
sceneggiatore e poi come regista. Negli anni 70 inizia a lavorare per il Corriere della Sera, in cui scriverà
articoli in cui Pasolini concentrerà l’attacco per la società contemporanea. Da questi articoli emerge
l’ideologia di Pasolini: grande amore per il mondo popolare, il popolo è al di fuori dei meccanismi
dell’industrializzazione, odio per la società del boom economico, industrializzazione, per la modernità e per i
rappresentanti del potere della borghesia: esponenti della Democrazia Cristiana, responsabili del degrado
della società. Per Pasolini il mondo contemporaneo è dominato dal consumismo, la borghesia è definita
come una malattia, un cancro. Nella notte tra il primo e il due novembre 1975, il diciassettenne ragazzo di
vita Pino Pelosi, lo uccide sul lido di Ostia, in circostanze non del tutto chiarite. Il ragazzo verrà arrestato,
processato e condannato. Il ragazzo, interrogato dai carabinieri, e di fronte all'evidenza dei fatti, confessa
l'omicidio. Racconta di aver incontrato lo scrittore presso la Stazione Termini, e dopo una cena in un
ristorante, di aver raggiunto il luogo del ritrovamento del cadavere; lì, secondo la versione di Pelosi, il poeta
avrebbe tentato un approccio sessuale, e vistosi respinto, avrebbe reagito violentemente: da qui, la reazione
del ragazzo.

Il tema del prato. 


Il prato è uno dei luoghi pasoliniani per eccellenza, perché è opposto allo spazio chiuso e borghese della
città, è uno spazio dove poter provare esperienze erotiche diverse da quelle codificate. Il prato è il luogo in
cui le “lucciole” dell'omonimo articolo degli Scritti Corsari, in realtà metafora dei ragazzini a cui Pasolini
stesso si accompagnava per giocare al pallone, per un atto sessuale o solo quattro chiacchiere, vagano o
giocano a calcio. Il prato è un luogo pasoliniano per eccellenza. Il prato è visto come un luogo puro e
lontano dalle schifezze della città. Tuttavia, in Pasolini, si presenta la seguente contraddizione:
Il Ramuscello è il mito dell’Eden friulano, del giardino incantato, da cui Pasolini si sentì espulso. Prato luogo
puro vs Atti impuri (che vi si praticano) A Roma è il prato della Casilina, lì nel prato vagano le lucciole (1970,
Scritti corsari), ovvero i ragazzi con cui vuole passare il tempo (non solo per pratiche sessuali). Ramuscello
vs Casilina. Il primo è terribile poiché coinvolto nel processo (della cacciata), il secondo è un prato letterario
(luogo in cui passione e letterarietà si congiungono).
La figura del prato tornerà molto spesso nei suoi libri, soprattutto Atti Impuri, di spunto autobiografico che
mostra come un ragazzo cresciuto in città e nei campi, luogo panico e pagano, cerca, i ragazzi disposti a
peccare, con ansia, ma anche con una crescente eccitazione. Si tratta di una purezza opposta agli “Atti
Impuri” del titolo. È lo stesso luogo dove si trovano le “lucciole” dell’omonimo articolo contenuto negli Scritti
Corsari, si tratta dei ragazzi a cui Pier Paolo si accompagna per dare due calci al pallone, per consumare un
atto sessuale o semplicemente per parlare con loro. Troviamo il prato friulano anche in Uccellacci e Uccellini;
L’eros omosessuale congiunge il prato di Ramuscello, reale e terribile, per le conseguenze che ne
seguirono, condanna e insieme liberazione.

Pier Paolo Pasolini è la figura artistica più ingombrante, scandalosa e multiforme della seconda metà del
secolo scorso; ha sperimentato tutti i settori artistici, tutti i generi e sottogeneri, tutti i linguaggi: poeta,
drammaturgo, romanziere, saggista, critico, regista cinematografico, pittore, paroliere per la musica.

La contraddizione originaria, da cui proviene tutto il sentimento di Pasolini, è quella dello “gnostico
innamorato della vita”, ossia la convivenza contraddittoria tra gnosticismo, cognizione della negatività della
vita affiancata alla memoria della felicità provata nel ventre materno, e amore per la vita in cui possiamo
ritrovare barlumi di quella felicità originaria. Come gli gnostici dell'antichità, per Pasolini il principio del male è
lo stesso di quello del bene, e la felicità provata nel ventre materno, oggetto di tanta nostalgia, non
porterebbe alla completa realizzazione dell'uomo quanto più ad una sua “de-realizzazione”, ad un suo
svuotamento. Connesso con il tema dello svuotamento è il tema dell'incarnazione in Pasolini: egli si
identifica con Cristo in croce che si “denuda”, si “svuota”, mette in mostra le sue viscere, l'esempio principe
della “vita nuda”. In realtà però questa “incarnazione cristologica” Pasolini la riduce ad un'estasi solo sfiorata,
e solo nel momento del sesso, momento in cui ci si spoglia delle proprie ideologie e dei propri pensieri e si
entra in una “comunione nuda” con gli altri → anche in quei momenti però Pasolini è riluttante ad
abbandonare del tutto il pensiero e l'ideologia, è più propenso a prendere che a farsi prendere.

Filosoficamente, Pasolini si rifà molto all'esistenzialismo di Schopenhauer e Kierkegaard. La sua spinta


artistica è il “martirio necessario”, cioè il bisogno di dare scandalo e quindi essere martirizzato e
perseguitato, un po' come quel Cristo di cui sopra, per essere davvero produttivo intellettualmente, e
stimolato artisticamente.

Pasolini politicamente ha delle posizioni abbastanza conservatrici sul Sessantotto, sull'aborto, sulla
religione, sul consumismo e sulla cultura di massa. La colpa di Pasolini, secondo alcuni, sarebbe il non
credere che il Nuovo, il progresso, sia un veleno capace di contenere in sé stesso il proprio antidoto; alcuni
lo definiscono “adolescente cronico” (nell'accezione greca di “colui che parla concitatamente, a volte a
vanvera) ma proprio questo mantenersi adolescente gli consente di avere quella curiosità verso la vita che lo
spinge a volerla perdere ogni giorno per ritrovarla, e a cercarne sempre gli aspetti più oscuri e rischiosi .

Per Paolini, l'Italia del boom “marcisce in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura,
pettegolezzo, moralismo”, come conseguenza di un boom che da noi è arrivato in ritardo e senza
premesse culturali, senza una borghesia matura come quella francese o inglese, perché manca della forza
morale necessaria per vincere la tentazione di partecipare ad un mondo che apparentemente funziona, con
leggi allettanti ma crudeli. Si schiera dalla parte della cultura e della tradizione, e su quello basa la sua critica
verso il moderno; pensa che l'avanguardia e i movimenti studenteschi siano tutti tesi alla svalutazione della
cultura italiana. Il problema “ossessionante” che rende la sua vita drammatica è il cambiamento
antropologico, la rivoluzione radicale e totale del mondo, che era stato previsto solo “nominalmente” ma che
in realtà è più forte di quanto ci si immaginava. La storia per lui è “uno scandalo che dura da diecimila anni”,
e sostiene che mai come nell'epoca a lui contemporanea l'immaginazione delle persone sia stata così tanto
colonizzata e indottrinata a livello capillare. Il suo amore per le istituzioni lo definisce come “poeticamente
reazionario”, ossia un amore che si ha per qualcosa che ci è proibito; al contempo prova “odio progressista”,
ossia odio per tutto ciò che in esse è conservazione, burocrazia, potere. Egli considera le istituzioni non
come luogo di fraternità ma piuttosto come “promessa” di fraternità, e prende molto sul serio le promesse di
“modernità” della democrazia, anche se sa che verranno disattese. Il conservatorismo di Pasolini rasenta
l'estremismo, soprattutto per quanto riguarda l'Italia: in un'intervista, ad esempio, dice di aver “pianto vere
lacrime” (e quel “vere” sottolinea la sua tendenza a volersi mettere in mostra) nel vedere i villaggi siciliani
sulle Madonie intonacati di fresco con i “soldi mandati dai giovani”. Ad ogni modo, quando parla di potere,
Pasolini lo fa con la P maiuscola, per indicare che non si sa a chi sia asservito.
SCRITTI CORSARI

La produzione giornalistica di Pasolini è raccolta in un volume che si chiama “Scritti Corsari”. Il libro si
compone di due parti: la prima comprende tutti gli articoli scritti dal 1973 al 1975, la seconda comprende
prefazioni di libri o recensioni; nella prefazione all'opera Pasolini si affida al lettore invitandolo a ricostruire
quest'opera dispersa e frammentaria.

Pier Paolo Pasolini tra il 1973 e il 1975 interviene sul Corriere della Sera con una serie di articoli inizialmente
su una tribuna di dibattiti in seconda pagina poi i temi toccati da Pasolini diventano così scottanti e polemici
che Piero Ottone, il direttore del giornale, decide di metterli in prima pagina. In questi articoli, Pasolini, usa
l'arte retorica dell'invettiva, della polemica contro l'esistente. Nasce così il Pasolini “corsaro”, con questo
termine "corsaro", lo scrittore vuole comunicare la sua posizione controcorrente, si accomuna ad un
corsaro, che “veleggia in mare aperto, non responsabile di fronte a nessuno se non a sé stesso”: non
è un caso che egli scelga di affrontare i temi più scottanti dell'epoca, tra cui la sessualità e l’aborto, con
spirito critico e originale. Pasolini, infatti, rifiuta la "nuova" Italia e la racconterà in modo terribile sia nei suoi
film che nei suoi articoli attraverso pesanti denunce. Rifiuta l’omologazione della società italiana avvenuta
attraverso i consumi, la fine del mondo cattolico, non è contro la chiesa però descrive quest’ultima come uno
dei fattori che hanno perso sugli italiani, ha ceduto difronte al potere della politica (articolo sulle lucciole).
Rifiuta anche il superamento tra destra e sinistra, egli interpreta questo superamento in modo
semiologico. Il metodo d'indagine adottato da Pasolini è, infatti, semiologico-visivo, nel senso che legge la
realtà attraverso i segni fisici, i corpi, i comportamenti e i gesti, attraverso i costumi e i comportamenti dei
giovani.

In un ipotetico indice tematico degli Scritti corsari al primo posto dovrebbero esserci quegli articoli che hanno
come tema centrale la “mutazione antropologica” a cui è andata incontro l'Italia (che sono la maggior parte
della prima e della seconda parte), il cui centro focale è L'articolo delle lucciole; poi vengono quelli dedicati
al declino della Chiesa Cattolica, poi quelli sul referendum per l'abolizione del divorzio (anche se è un
sotto argomento dei primi due), a seguire la serie degli articoli legati all'aborto, poi una serie di articoli
dedicati a fascismo/antifascismo, alla cultura della Destra, al Sessantotto; infine i due articoli legati
all'omosessualità, in uno dei quali si legge una critica molto forte all'idea di omosessualità diffusa da due
autori francesi (Baudry e Daniel) al cui libro questo scritto è la recensione: in effetti i due autori affermano
che un omosessuale ama, fa l'amore con un altro omosessuale, mentre Pasolini afferma che in realtà
generalmente un omosessuale ama e desidera un eterosessuale aperto alle esperienze omosessuali,
“maschio” e “virile” → cita Maurice di Forster in relazione alle relazioni omosessuali tra classi diverse, ed
esprime il suo punto di vista sull'amore omosessuale, che per lui è conoscenza; e proprio questa
conoscenza si è degradata nell'atto d'amore con i ragazzi della società neocapitalista, non c'è più
conoscenza dell'altro (sono tutti omologati) → per Pasolini è decisivo che l'erotismo si trasformi in azione
culturale rivolta verso le classi inferiori escluse dalla storia.

Gli articoli più degni di nota sono:

7 gennaio 1973 nel «Corriere della sera», «Contro i capelli lunghi».

Agli inizi, nei primissimi anni Sessanta, all’epoca dei Beatles e dei Rolling Stones, il linguaggio dei capelloni
esprimeva soprattutto la contestazione al mondo borghese: credevano di ribellarsi a una società malata che
scandiva i ritmi della sua esistenza con la logica del consumismo e la possessione di beni materiali.

Questa contestazione colpì molto Pasolini, che non mancò di studiarne gli aspetti più controversi e polemici.
Molto indicativo fu il suo “discorso” dei capelli del 1973: Egli li vedi per la prima volta nella hall di un albergo
a Praga negli anni ’60. In sostanza, Pasolini partendo da un dettaglio estetico (i capelli lunghi dei giovani
maschi) conduce un’aspra polemica contro i giovani. I capelloni del ’68, attraverso i capelli lunghi
esprimevano un rifiuto, un dissenso verso la società e verso il mondo borghese. Il loro modo di fare
esprimeva simpatia verso la sinistra. Con il passar del tempo, invece, avere i capelli lunghi era diventato solo
una maschera, una sottocultura, una semplice moda. Pertanto, avere i capelli lunghi significava seguire la
massa, era un segno, non più contestatorio e di progresso, ma di omologazione del giovane e di regresso.
Per questo motivo, Pasolini denuncia la scomparsa di “figli dignitosi e umili, con le loro belle nuche, le
loro belle facce limpide sotto i fieri ciuffetti innocenti”.

La mancanza di identità di giovani, il loro conformismo, il loro seguire le mode, è associato anche alla
scomparsa del vecchio paesaggio italiano, in cui, “i paesi avevano ancora la loro forma intatta”. I giovani
capelloni, per Pasolini, assomigliano sempre più alla faccia di Merlino; non portano i capelli lunghi in segno
di libertà, ma per conformarsi alla massa. Essere capelloni è, quindi, un gesto servile e volgare. I capelli
lunghi “dicono, nel loro inarticolato e ossesso linguaggio di segni non verbali, le cose della televisione e delle
reclames dei prodotti “.

Pasolini ci dice che il costume, ossia i capelli, dei giovani di destra e sinistra è identico. La mutazione
antropologica degli italiani, per Pasolini, quindi ha una ripercussione anche sul lato fisico, l'omologazione in
un unico modello, non più riconoscibile: nelle piazze, dice l'autore, non si riescono a distinguere più i
giovani di Destra da quelli di Sinistra, il loro linguaggio del corpo e dei capelli è interscambiabile (una
maschera omologata). In una piazza piena di giovani, nessuno potrà più distinguere, dal suo corpo, un
operaio da uno studente, un fascista da un antifascista; cosa che era ancora possibile nel 1968.

Si sono chiusi in un mondo a parte, in un ghetto riservato a loro e per questo motivo, piuttosto che evolversi,
svilupparsi sono tornati indietro. Il vero argomento di Pasolini però non è né politico né si tratta del rapporto
padre-figlio, ma è proprio il passaggio estetico dalle belle nuche e belle facce limpide sotto i fieri ciuffi
innocenti ai capelli lunghi. A testimonianza di ciò, troviamo il primo articolo presente nella seconda
sezione del libro; Scritti Corsari, infatti, è diviso in due parti, la prima, contiene tutti gli articoli da lui scritti per
“Il corriere della sera”, la seconda parte invece contiene recensioni o prefazioni di libri. Il primo pezzo degli
scritti “umili” è una recensione a Un po’ di febbre di Sandro Penna*. Non si tratta proprio di una vera
recensione ma più di un articolo nostalgico ad un Italia che non c’è più, un Italia che racconterà nel suo film
“Salò”. Così come ha fatto nell’articolo dei capelli lunghi anche qui Pasolini parla di estetica, corpi e
apparenza. La lettura dei corpi negli Scritti Corsari è giudicata di “tipo omosessuale”. La trasformazione
che è avvenuta in Italia ha portato alla scomparsa dei “ragazzi”, dei “bei ragazzi” che Pasolini
ama. Lo spiega molto bene nella seconda parte degli Scritti in due recensioni di libri dedicato al
tema dell’Omosessualità. Pasolini è contrario alla coppia gay, è contrario ad una coppia composta di
due coetanei dello stesso sesso. Lui propone la lettura dell’omosessualità attraverso l’amore per i
ragazzi, i giovani, quelli che, per lui, sono “i ragazzi di vita “i personaggi dei suoi film, dei suoi libri, ma anche
della sua poesia.

Già in questo primo articolo si possono rintracciare le principali tematiche di Pasolini: il conformismo
dilagante, il consumismo (un potere subdolo), la massificazione, l’assenza di cultura critica. La loro libertà di
portare i capelli come vogliono, non è più difendibile perché non è più libertà. E ‘giunto il momento di dire ai
giovani che il loro modo di acconciarsi è orribile, perché servile e volgare. Anzi è giunto il momento che essi
stessi se ne accorgano e si liberino da questa loro ansia colpevole di attenersi all’ordine degradante
dell’orda.

*Viene citato il libro di Sandro Penna intitolato “Un po’ di febbre” in cui viene rievocata questa Italia. Il
trauma è grande, afferma Pasolini, non tanto per la difficoltà a adattarsi al nuovo mondo, ma è un dolore
simile a quello che “dovevano provare le madri vedendo partire i loro figli emigranti e sapendo che non li
avrebbero mai più rivisti”. L’autore punta quindi sul dramma e sul pathos, vede un mondo diviso in due ere,
da cui vorrebbe scappare. Nel libro citato, Penna viveva questo mondo avidamente e totalmente, per lui era
stupendo; per questo motivo Pasolini fa fatica a parlare di “Un po’ di febbre” come un libro: è un brano,
secondo lui, di tempo ritrovato, qualcosa di materiale e delicatissimo. L’autore parla inoltre di Penna come “il
più grande poeta vivente” poiché è riuscito a ignorare la ferocia e la stupidità del fascismo: niente è più
antifascista dell’esaltazione che Penna da all’Italia in quel periodo, con una completa indifferenza, ovvero
l’arma migliore contro quel regime.

Il 17 maggio 1973 Pasolini pubblica l’intervento sul Corriere della Sera dal titolo Il folle slogan dei jeans
Jesus (Analisi linguistica di uno slogan).

Pasolini, assai interessato all’analisi del linguaggio, conduce una riflessione sul linguaggio pubblicitario
prendendo in considerazione lo slogan dei jeans Jesus: “Non avrai altri jeans all’infuori di me” evidente
parodia biblica. Partendo da tale slogan, Pasolini passa ad analizzare le caratteristiche del linguaggio
pubblicitario. L’autorità dell’oggetto, della merce si sente dunque così potente da poter dettare un
comandamento. Senza che la Chiesa peraltro reagisse, se non attraverso le patetiche lamentele. Non c’è da
stupirsi: la Chiesa non può reagire – dice Pasolini – perché ha stretto con la borghesia un’alleanza suicida,
un patto col diavolo. L’uso di questo slogan indica come ormai i giovani industriali siano laici e non si
preoccupino di usare questo tipo di espressività. Tale laicità è un nuovo valore, nato nell’entropia borghese,
in cui la religione sta andando in rovina/si sta indebolendo come autorità e forma di potere. Emerge un
doppio legame tra stato e chiesa: la chiesa accetta lo stato borghese concedendo ad esso consenso ed
appoggio, senza il quale il potere statale non avrebbe potuto sussistere. Gli italiani sono schiavi dei desideri
e dei consumi e sono privi della libertà come se fossero in una dittatura. Le mode, la televisione, la pubblicità
e i mass media esercitano una forza ben più potente della forza esercitata dalla dittatura fascista. Si tratta di
un potere senza volto, argomento che Pasolini tratterà diffusamente.

10 giugno 1974. Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia (Sul «Corriere della sera» col titolo
«Gli italiani non sono più quelli»)

Pasolini aveva già fatto delle previsioni in merito al referendum sul divorzio. Aveva, infatti, già ipotizzato
la vittoria dei No a differenza delle forze politiche democristiane che non avevano saputo cogliere i segni del
cambiamento del modo di pensare degli italiani. Pasolini spera nel successo della tesi divorzista e, quindi, il
trionfo dei valori laici. Al problema del divorzio si lega la diffusione dei valori del consumismo. Infatti, il
risultato del referendum testimonia, come già detto nel precedente articolo, il trionfo dell’edonismo (del
piacere) e del consumo dei beni che soddisfano i nostri desideri. Tale cultura dell’edonismo e del
consumismo è sostenuta ed influenzata dai mass-media e dalla moda. La mutazione antropologica secondo
l’autore è caratterizzata da una spaventosa omologazione degli italiani che non ragionano in modo libero e
autonomo ma seguono il pensiero della borghesia al potere. Secondo Pasolini, quindi, si tratta di una
dittatura, di un regime fascista che esercita un potere sugli Italiani e li conduce alla distruzione. Questa
mutazione è avvenuta rapidamente, nel giro di dieci anni. Gli italiani non se ne sono neanche accorti, non
hanno capito di essere vittime del potere. Ora, aprendo gli occhi, possono solo constatare che “non c’è più
niente da fare”. Questi dieci anni di storia italiana che hanno portato gli italiani a votare NO al referendum,
hanno prodotto, attraverso lo stesso meccanismo profondo, questi nuovi fascisti la cui cultura è identica a
quella di coloro che hanno votato NO al referendum.

14 novembre 1974. Il romanzo delle stragi (Sul «Corriere della sera» col titolo «Che cos'è questo
golpe?») Io so.

Tale pezzo mostra eloquentemente quanto Pasolini fosse analitico ed oggettivo nelle sue riflessioni,
spudoratamente sincero, ma soprattutto lungimirante.

Pasolini, nell’articolo in questione, dice di conoscere i nomi dei mandanti e degli esecutori delle stragi
italiane, ma senza avere prove e neppure indizi. Conosce perché è uno scrittore, un intellettuale. I giornalisti
e politici conoscono fatti e nomi che non diranno mai pubblicamente. Per Pasolini, l’intellettuale, nella sua
libertà dovuta all’esclusione dal potere, riesce a unire i pezzi mancanti di un puzzle politico complicato, ma
proprio in virtù dell’esclusione non ha prove, non ha nemmeno indizi. L’unica certezza sta nella fiducia della
sua mente da intellettuale.

Pasolini è fermamente convinto che ricostruire ciò che è successo in Italia dopo il 1968 non è poi così
difficile. Nonostante non abbia indizi e prove concrete, l’autore crede che il suo impegno da intellettuale
(ovvero colui che “mette insieme i pezzi disorganizzati” e “ristabilisce logica laddove sembrano regnare
l’arbitrarietà, la follia e il mistero”) gli permette di sapere; sapere i nomi dei colpevoli del “golpe” (colpo di
stato). MA A CHI COMPETE FARE QUESTI NOMI? Tecnicamente sempre e comunque all’intellettuale,
poiché egli è colui che non ha nulla da perdere e non è compromesso nella pratica con il potere, ma
potenzialmente non può a causa della mancanza di indizi e prove. Pasolini afferma che il «coraggio
intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia». Il pensiero
intellettuale opera con spirito critico per comprendere realmente, cosa che non appartiene all’agire politico,
mosso perlopiù da interessi personali o di partito, ma a volte anche nazionali, che non affermano la verità
intellettuale. Aggiunge che «non esiste solo il potere: esiste anche un’opposizione al potere. 

30 gennaio 1975. «Sacer» (Sul «Corriere della sera» col titolo «Pasolini replica sull'aborto»)

In questo scritto, Pasolini si rivolge a Moravia, il quale sostiene che la lotta per la prevenzione dell’aborto,
suggerita da Pasolini, è vecchia, come sono vecchi anche gli anticoncezionali. Ma Pasolini interviene
dicendo che lui non poneva mica l’accento sui mezzi, bensì sulla diffusione della conoscenza di tali mezzi.
Pasolini sostiene ancora che bisogna evitare l’aborto, e nel caso in cui ci si arrivi, lo si deve rendere possibile
solo in alcuni casi responsabilmente valutativi. Pasolini attesta che di mezzo, in questi casi, c’è la vita umana
che è sacra (“sacralità della vita”); ora, però, sacra non lo è più, perché ogni nuova nascita viene vista come
una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità.
25 gennaio 1975. «Thalassa» (Sul «Paese sera» col titolo «Una lettera di Pasolini: «opinioni»
sull'aborto»)

Pasolini viene accusato da tante personalità; in questo scritto fa riferimento a chi lo accusa circa la sua
posizione sull’aborto. Il suo considerare l’aborto come una colpa è soltanto legato all’aspetto giuridico e non
morale, perché moralmente non condanna né chi ricorre all’aborto e né chi è d’accordo.

10 febbraio 1975. L'articolo delle lucciole (Sul «Corriere della sera» col titolo «Il vuoto del potere in
Italia»)

Pasolini afferma che dieci anni fa è successo “qualcosa” che egli intende spiegare dando una definizione di
carattere poetico-letteraria al fenomeno avvenuto in Italia: “scomparsa delle lucciole”. In sostanza il fatto
viene espresso con queste parole: “a causa dell’inquinamento dell’aria e, soprattutto, in campagna, a
causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a
scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni, le lucciole non
c’erano più”. Il fenomeno denunciato da Pasolini, in effetti, potrebbe sembrare, ad una prima lettura,
questione poco rilevante, ma in realtà non lo è. Ancora una volta, l’autore si serve di un fatto per spiegare il
mutamento profondo della realtà: la scomparsa delle lucciole, in realtà, rappresenta l’inizio della fase di
dissoluzione morale, politica e sociale della società

Le lucciole e il loro mondo sano ed ingenuo avevano permesso di sottrarsi alla disgregazione che invece
caratterizza gli anni Settanta. Ed è proprio la disgregazione dei valori che ha inciso in maniera
particolarmente negativa sul popolo italiano. Su tale aspetto Pasolini è spietato: “ho visto dunque “coi miei
sensi” il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano,
10 fino a una irreversibile degradazione”. In sostanza, ancora una volta, Pasolini evidenzia che il potere dei
consumi obbliga il popolo ad abbandonare i propri valori per inseguire le mode, gli oggetti del desiderio. È
ovvio che questo determina un degrado e una disgregazione morale, civile, culturale. La scomparsa delle
lucciole, quindi, diventa espressione particolare di tale “degradazione”, che genera poi un “drammatico
vuoto di potere”. Quegli stessi valori avevano nella società agricola e preindustriale contribuito a fornire al
potere una certa pienezza. Ora al suo posto vi è solo vuoto. Questo vuoto di valori, e quindi, di potere ha
sgretolato l’istituzione della famiglia creando macerie della famiglia. Infatti, come aveva già ribadito
sull’intervento relativo al referendum, il vuoto di potere ha dato il passo al “potere dei consumi che imponeva
cambiamenti radicali, fino ad accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto, senza più limiti…”.
Ancora una volta, Pasolini conclude con un’amara verità: il vuoto del potere è totalizzante, è nemico della
libertà e della dignità umana. L’annullamento di ogni valore, di ogni principio di riferimento, ha reso il potere
dei consumi, illimitato, assoluto, tiranno.

Le lucciole che scompaiono per via dell'inquinamento dei fiumi dovuto all'industrializzazione sarebbero però
anche metafora della scomparsa dei ragazzini eterosessuali disposti all'incontro omosessuale con lui.

Sviluppo e progresso

Due parole che ritornano frequentemente sono <sviluppo> e <progresso>. La parola sviluppo  ha una serie
di riferimenti che riguardano il contesto di destra, ovvero la destra industriale e borghese; lo sviluppo
attiene alla produzione di beni superflui che la gente continua a consumare. Invece, il progresso è voluto da
coloro che non hanno interessi immediati da soddisfare; lo vogliono gli operai, contadini, intellettuali di
sinistra, cioè coloro che lavorano e che vengono sfruttati. Il progresso è dunque una nozione ideale, mentre
lo sviluppo è un fatto pragmatico ed economico.

Dopo una lotta di classe per il progresso, serve una lotta di classe per lo sviluppo. Mentre alla destra
interessa soltanto lo sviluppo, alla sinistra interessano entrambi gli elementi, e identificare sviluppo e
progresso significa dare dignità culturale al modello consumistico (secondo il quale: producendo sempre di
più, bisogna consumare sempre di più).

Ignazio Buttitta: «Io faccio il poeta» (Editore Feltrinelli, 1973)

L’ottavo allegato è la recensione del libro di Ignazio Buttitta ed è intitolato Io faccio il poeta; Pasolini
manifesta ancora la nostalgia e il rimpianto per la povertà dell’Italia del periodo antecedente il boom
economico degli anni Settanta; rimarca infatti i cambiamenti seguiti all’industrializzazione e alla diffusione del
benessere ponendo l’accento sul dialetto, che sembrava non potersi estinguere mai ma che è invece andato
tragicamente perduto. Lo stesso tema è affrontato in una poesia di Buttitta, intitolata Lingue e dialetto e
scritta appunto in forma dialettale. L’Italia era sempre stato un paese libero e ricco nella sua povertà perché
la cultura e la condizione economica erano sempre state legate e nessuno ne aveva mai rintracciato un
problema, era anzi sempre stato un tratto caratteristico della penisola; ma l’intrufolarsi dei beni superflui e del
capitale nella condizione economica ha gettato la cultura in una irrimediabile crisi; ad averne subito le
conseguenze il dialetto, che non è più un valore, non esprime più un modo di essere. Negando di esser lui
come poeta a provare rancore per ciò che è successo alla cultura, intende affermare esattamente il
contrario.

M' Daniel - A' Baudry: «Gli omosessuali» (Editore Vallecchi, 1974)

Pasolini cita un libro pedagogico sugli omosessuali scritti da due studiosi francesi (Daniel e Baudry). Si
sofferma su vari argomenti trattati; inizialmente sulla psicoanalisi di Freud che, per gli studiosi sopra citati, è
l’unica che saprebbe spiegare l’omosessualità.

Daniel e Baudry, affrontando ancora il tema dell’omosessualità, un tabù che bisogna sbloccare secondo i
due autori, poiché altri argomenti una volta oggetto di restrizione come i contraccettivi e l’aborto sono ormai
diventati argomenti di pubblico dominio e così dovrebbe essere per l’omosessualità; inoltre è pesante
l’affermazione per la quale nei campi di concentramento tedeschi gli omosessuali fossero contraddistinti
da un triangolo rosa e solo per loro, anche al di fuori della persecuzione tedesca, le cose sono continuate
allo stesso modo, senza possibilità di riabilitazione alcuna. Inoltre, i due autori affermano la mancanza di
casi nei quali ragazzi vittime di violenza sessuale siano rimasti omosessuali, anzi, probabilmente
l’esperienza li allontanerà per sempre dall’omosessualità; tristemente constatano anche la comprensione dei
giudici nei confronti di persone che hanno compiuto atti di violenza contro gli omosessuali, come se un
omosessuale dovesse essere punito per la sua natura, come se fosse colpevole a prescindere. I due
francesi tentano di inserire l’omosessualità nel contesto della tolleranza ormai presentata, almeno in Francia,
nei confronti degli argomenti più delicati; Pasolini non crede in questa forma di tolleranza, offerta dall’alto
dal potere consumistico, e una finta forma di tolleranza nei confronti dell’omosessualità altro non
farebbe che risvegliare sentimenti di razzismo e intolleranza. L’omosessualità ha però anche un momento
politico che si evince in primis dal libro di Daniel e Baudry che affermano erroneamente che un omosessuale
ha rapporti solo con omosessuali, mentre potrebbe averli anche con un etero disposto a un’esperienza gay,
e che l’omosessualità è estesa alla borghesia, agli operai e anche ai poveri, quindi come esperienza iter
classista, qui Pasolini interviene dicendo che secondo lui non è proprio così, ma un omosessuale, in genere,
ama un eterosessuale disposto ad un’esperienza omosessuale, la quale eterosessualità non sia posta in
discussione.

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