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4 Febbraio

Letteratura Italiana

Torquato Tasso

La Controriforma
Tra la visione realistica dell’uomo che ha Ariosto e quella di un intellettuale che vive una
trentina d’anni dopo, c’è una differenza sostanziale. L’epoca che andiamo ad affrontare, la
seconda metà del Cinquecento, vede un retrocedere della cultura che è limitata nella sua
espressione. Sembra essere un’altra epoca poiché diventa l’età del dogmatismo e
dell’intolleranza, cose assolutamente correlate; c’è un momento di forte indottrinamento
culturale e repressione del dissenso.

Assistiamo a un pervadere della religione in tutti gli ambiti del sapere e questo ha un
ripercussione anche a livello sociale: il fanatismo religioso si salda infatti, poi, con la
superstizione. Il Tribunale dell’Inquisizione diventa l’organo che controlla la cultura del
tempo. L’età della Controriforma è anche quella dei ghetti ovvero i quartieri dove gli ebrei
erano obbligati a vivere solo fra di loro; il primo ghetto è quello del 1516 di Venezia e
diventerà anche il ghetto più grande d’Italia, chiuso poi da Napoleone.

É un periodo storico di guerre sanguinose e il momento del conformismo e


dell’omologazione del sapere, l’epoca precettistica di regole religiose, comportamentali ecc.
Si sviluppa il concetto pedagogico della sorveglianza per cui l’apprendimento si traduce in
un’adesione alle regole. Questo passa anche attraverso un’istruzione impartita da scuole
religiose, si diffondono soprattutto le scuole gesuitiche. Questo lascia un segno nella
crescita sociale nel nostro paese per cui l’istruzione di tipo privato si circoscrive ancor più
rispetto a quello che già il Rinascimento si era prefissato; si studia ciò che la Chiesa ritiene
giusto.

Si riafferma il primato dell’aristotelismo, legato al dogmatismo religioso della summa


teologica di Tommaso; diventa quindi il filosofo della Chiesa e da questo nascono i processi
agli scienziati. Quando Copernico tratta il suo trattato quel testo è inizialmente accolto
anche in Italia poiché non era stato compreso il senso del testo e le sue idee erano
presentate solo come una funzionale semplificazione di conto. Diventa quindi colui che ha
messo in dubbio la cosmologia cristiana e la sua azione sarà esacerbata dalle predicazioni
di Giordano Bruno. É un periodo sia di ritorno al dogmatismo ma anche di ripensamento
rispetto alla collocazione dell’uomo dell’universo, un periodo contraddittorio. Il dubbio,
caratteristico della scienza, si insinua nella cultura e più dubbi si presentavano più si
divenatava mira delle attenzioni dell’Inquisizione.

Da una parte il lascito di Machiavelli, con la sua autonomia della politica rispetto alla
morale e alla religione, è forte e questo sarà il primo a finire all’Indice, un’opera che non
diventa leggere. Anche Bodin è messo all’angolo proprio perché grazie alle sue teorie mette
in crisi l’autorità della Chiesa che perde il tanto ambito potere temporale. Si esprime anche
a favore della tolleranza come valore che può permettere la coesistenza di più religioni
nello stesso Stato. Diventa quindi un problema il questito da dove derivi l’autorità dello
Stato e come questo si debba confrontare con l’autorità religiosa. La Chiesa invece
vorrebbe al governo qualcuno che si lasci guidare dall’autorità del pontefice e che segua i
principi del cattolicesimo.
É questo un momento difficile perché l’Italia diventa periferica anche dal punto di vista
geografico. Le scoperte scientifiche e quelle geografiche spostano l’attenzione culturale dal
sud dell’Europa altrove, soprattutto centro-nord del continente. Questo determina una
crisi economica che diventerà pesantissima nel Seicento e una condizione per cui l’Italia è
importante solo come territorio da annettere per le potenze straniere. Francesi, spagnoli e
austriaci cominciano a guardare al nostro territorio e finisce quindi l’epoca in cui
Machiavelli sperava che qualcuno potesse unificare il nostro territorio. La Chiesa alimenta
con la sua azione, infatti, la frammentazione.

Quest’epoca è infatti definita come manierismo; soprattutto nelle arti visive, ma anche
nella letteratura, i modelli, classicistici, sono sempre il punto di riferimento ma il
manierista cerca di reinterpretare secondo la propria sensibilità i canoni precendenti della
disciplina in questione.

Torquato Tasso
In questo clima scrive e vive Torquato Tasso, intellettuale che più di altri si dibatte fra una
formazione umanistico-rinascimentale e una maturità produttiva dentro l’età della
controriforma; è istruito come un rinascimentale ma non ha libertà che hanno avuto
Machiavelli o Ariosto. Tasso in questo contesto perde il senno perché vive in un momento
di frattura e crisi, fatto che tendenzialmente fa si che gli autori abbiano “qualcosa da dire”:
aspira a una libertà Rinascimentale ma deve raccontare la sua visione dentro una società
che è fortemente controllata. Cerca quindi comunque di veicolare lo stesso il suo pensiero
ma di celarlo perché non sia represso dalla censura; avrà quindi per tutta la vita il terrore
di essere conforme o non conforme a ciò che l’Inquisizione vuole. Sarà così ossessionato
che si sottoporrà volontariamente al controllo di questa: lui consegna a questi le sue stesse
opere. Si è talmente tanto radicata l’idea gravissima di essere fuori dalla regola che le
persone vivono con l’idea di sottoporsi a un giudizio.

7 Febbraio

Gli intellettuali vivono una spaccatura fra gli ideali che hanno accompagnato la loro
formazione e la realtà del tempo. Quando è chiesto l’asservimento della cultura le reazioni
sono differenti:
a. ci si protegge sotto l’ala della forma che diventa primaria rispetto ai contenuti, questo
avviene nel secondo Cinquecento che inaugura la stagione barocca
b. si reagisce, come Tasso, cercando di stare nei principi formali del tempo, di rispondere
a queli ideali, e nascondendo sotto questa purezza formale la sua originalità e il suo
tormento

Questo secondo punto è difficile, pericolo e mette a dura prova l’equilibrio psicologico
dell’intellettuale, tanto che Tasso verrà rinchiuso in manicomio. Il nostro intellettuale si
forma sui Trecentisti, soprattutto Petrarca, diventato un riferimento. Tasso è
straordinariamente preso dall’esperienza dell’Ariosto il cui lavoro considera un capolavoro,
un testo di riferimento; nell’età della Controriforma però sarà impossibile proporre un
testo libero come quello dell’Ariosto, ironico, privo di religione e la concezione dell’amore
materiale.

Tasso cerca quindi di prendere il genere del poema, che secondo la precettistica è il genere
letterario più alto assieme alla tragedia, ma lo tramuta da cavalleresco a cristiano; il tema
della Gerusalemme Liberata è la prima crociata. Il protagonista è Goffredo di Buglione che
deve liberare il santo sepolcro dall’assedio dei Saraceni. In questo scontro dove i cristiani
sono portatori di valori, inserisce il tema dell’amore; i protagonisti, a parte Goffredo che è
impegnato nella causa e a radunare i suoi uomini che si perdono nei sentieri della vita, si
innamorano di figure non cristiane, svelando poi che anche i non cristiani potevano essere
o cristiani senza saperlo o si convertono in punto di morte. L’amore c’è ma è nascosto sotto
il tema religioso ed è un’amore non volutamente carnale ma, in realtà, estremamente
sensuale nel modo in cui è descritto.

Prima della Gerusalemme Liberata, scrive delle rime che si ispirano a Petrarca e ai latini
come Ovidio; scrive anche un dramma pastorale, Aminta di vicende ambientate nel modo
mitologico dei pastori. Questi eventi spesso, scritti, sono accompagnati dalla musica e
proprio in questo momento pare nasca il melodramma. Scrive quindi di una fanciulla
Silvia e di un pastore Aminta: lui si innamora della ragazza che inizialmente rifugge il
pastore e, fuggendo da questo, si ritrova nelle vicinanze di un bosco dove trova Tirsi il
satiro che vorrebbe attentare a lei. La ragazza scappa e, nel farlo, perde il suo velo che
Aminta ritrova e, nel farlo, pensa lei sia morta. Lui si getta da una rupe e lei assiste; al che
comprende che il suo amore è sincero e quindi si concede a lui, che sopravvive alla caduta.

Tasso nei suoi componimenti ama parlare anche di sé per mettere in luce il suo stato
tormentato e lo fa attraverso una serie di opere. Nell’Aminta mette in luce il suo desiderio
di vivere in una società in cui l’amore, anche terreno, sia riconosciuto. Spiega che la società
ha creato un amore conformista, cancellando quella che è una prerogativa naturale
dell’uomo. Può dire questo proprio perché l’ambientazione della sua opera è mitologica,
fantastica e non realistica. Nelle Rime anche parla di sé, le poesie che accompagnano la sua
esistenza, e qui riesce a superare l’idea di maniera (scrivere alla maniera di qualcuno),
utilizza un modo di procedere che lo rende fortemente originale, pur guardando ai modelli.
Lo fa in modo particolare nei Madrigali, componimenti che destina all’amore e sono scritti
per essere accompagnati dalla musica e trasposti in forme cantate.

9 Febbraio

Le sue rime sono un po’ la sua autobiografia in versi, in queste opere, fra cui la minta, si
cimenta sia nella sua stessa identificazione (le Rime e l’Aminta) che nel focalizzarsi sul
genere letterario principale canonico al suo tempo (Gerusalemme Liberata). Il gusto porta
in quella direzione eprchè in Italia non esiste una prosa narrativa e il poema è un testo di
lunga durata dove si può raccontare. Nell’Aminta racconta una storia d’amore, poi messo
in scena per gli Estensi, a Ferrara; lo fa senza la libertà di parlare dell’amore naturale e per
lo farlo userà il mito. Chi pratica questo tipo di amore non è un personaggio
contemporaneo ma del mito. In questa racconta che vi fu una miti età dell’Oro in cui tutto
avveniva secondo natura: se nella natura c’è l’aspetto dei sensi vuol dire che è giusto che
l’uomo segua la sua inclinazione naturale che deve essere vissuta e non repressa, proprio
nell’ordine delle cose. Qui gli esseri umani si possono amare senza l’inibizione della morale
ma a questa succede un’età in cui il decoro, il pudore, diventa determinante: si imbriglia
ciò che naturale, si reprimono degli istinti dell’uomo e si delineano dei limiti per l’uomo
entro i quali muoversi.

Per Tasso, tutto ciò che piace agli uomini è peccato nell’età della Controriforma: non
rimane che conformarsi al perbenismo culturale, seguire la morale, che esclude l’amore dei
sensi. Tasso si trova nella condizione di tornare a una mentalità che ha ancora qualche
legame con il dogmatismo medievale; ogni pensiero divergente è un pensiero contro Dio.
Ma che cos’è il decoro? É il modello da seguire del timorato di Dio, relgioso, devoto,
rispettoso dell’autorità e del valore della famiglia. Tasso sente che questo decoro lo
costringe e lo schiaccia, non gli lascia spazio e cerca una strada per raccontare i sentimenti
tumultuosi e sconvenienti che stanno sotto. Ma alla fine la letteratura significa proprio
cercare una strada più agile per raccontare ciò che la realtà è, anche se sconveniente.
L’immagine positiva dell’uomo verrà rotta da Bodelaire e Flaubert a metà dell’Ottocento, i
romanzi delle prostitute, dei peccati e degli errori.

Vediamo ora il coro dell’atto primo dell’Aminta dove l’autore dice S’ei piace, ei lice per cui
se l’amore piace è lecito e libero. Senza la libertà sensuale, per Tasso, abbiamo solo pianto e
dolore.

Nella Gerusalemme Liberata il tema non è mitologico ma eroico religioso poiché i crociati
cercano da anni di liberare il Santo Sepolcro di Cristo; in tutti i crociati che sono giunti
dall’Europa, una volta arrivati, si sono scordati di combattere e diventano latitanti rispetto
all’obiettivo. Tancredi e Clorinda, una guerriera donna, combattono in un duello e questo è
il racconto di una sensuale unione amorosa di quello che i due avrebbero desiderato
succedesse ma la morale del tempo non permette.

11 Febbraio

Dalle ottave 43 a 71 si verifica lo scontro fra il paladino cristiano, Tancredi, e la giovane


guerriera non cristiana Clorinda; il tutto accade di notte e questo ci fa comprendere cosa
voglia andare davvero a raccontare. Una delle caratteristiche del Tasso è proprio quella di
raccontare la natura e le circostanze in cui accadono le vicende; la notte può essere
estramemente romantica ma anche formente paurosa. L’autore vuole quindi dipingere una
natura che è stato d’animo, un po’ come i romantici, molto diversa dalla descrizione che ne
fa Ariosto. Quella di Ariosto è funzionale all’azione del personaggio e affatto non
personificata. La notte sta scendendo sulla città di Gerusalemme e gli uomini (Virgilio,
Bucoliche) finalmente si riposano; soltanto Clorinda, accompagnata da Argante, si aggira
inquieta e insoddisfatta perché non ha preso parte allo scontro diretto con i cristiani poiché
donna, le hanno solo affidato il compito di scagliare dei dardi contro le mura della città di
Gerusalemme. Non è stata una valorosa combattente ma solo una donna; desidera quindi
compiere una grande impresa per dimostarre agli uomini che anche lei può compiere
grandi azioni pericolose. Vuole quindi dare fuoco alla torre dell’accampamento cristiano e
comunica ad Argante la sua intenzione, questo sceglie quindi di accompagnarla. Partono
quindi alla volta dell’impresa notturna. Clorinda è figlia di Senapo, re degli Etiopi, che è
cristiano e la stessa madre è cristiana; i due genitori sono scuri di carnagione mentre la
figlia è chiara.

La regina, quando partorisce questa figlia candida, teme che il marito la accusi di infedeltà
e scelge quindi abbandonare la figlia ad un eunuco che sceglie di non battezzarla; la
ragazza nasce quindi da una famiglia cristiana ma non è battezzata.

Quando la fanciulla da fuoco alla torre, che crollerà, è attaccata dai cristiani e lei ed
Argante cercano di scappare; Clorinda però non riesce più ad uscire dall’accampamento
perché nella confusione i guerrieri cristiani hanno chiuso le porte. Crede quindi che la cosa
migliore da fare sia di mimetizzarsi con i cristiani per non dare nell’occhio, con anche
un’armatura scura; Tancredi, però, ha visto questo personaggio scuro e armato sia dare
fuoco alla torre che uccidere uno dei condottieri cristiani che erano intervenuti dopo
l’assalto alla torre. Questo cerca quindi di prendere il nemico e, arrabbiato per l’accaduto,
vuole vendetta, vuole uccidere la ragazza. Il cristiano la raggiunge e ne nasce uno scontro
furioso e violentissimo; a un certo punto Tancredi la trafigge nel seno della donna e
Clorina, ferita, si toglie l’elmo e si mostra per chi è. Lui sconvolto si rende conto di aver
colpito a morte la donna che amava. Mentre muore le rimane un fremito di vita e domanda
a Tancredi di salvarla almeno spiritualmente e quindi di battezzarla. Questo non può fare
altro che assecondarla e salvarla cristianamente.

Ch’ella si volge, e grida: o tu, chè porte,


Chè corri sì? Risponde: guerra, e morte.

La tenzone fra i due è irosa come quella che vi può essere fra due tori adirati e gelosi.

Degne d’un chiaro Sol, degne d’un pieno


Teatro, opre sarian sì memorande.
Notte, che nel profondo oscuro seno

Chiudesti e nell’oblio fatto sì grande,


Piacciati ch’io ne ’l tragga, e in bel sereno
Alle future età lo spieghi, e mande.
Viva la fama loro, e tra lor gloria

Splenda del fosco tuo l’alta memoria.

I due hanno combattutto con estrema forza per difendere le loro fedi e il loro scontro
sarebbe stato degno di un Sole, tutti avrebbero dovuto vedere il loro scontro e il loro
coraggio ma solo il poeta può ricordare e raccontare il loro valore.

L’onta irrita lo sdegno alla vendetta:


E la vendetta poi l’onta rinnova:
Onde sempre al ferir, sempre alla fretta

Stimol novo s’aggiunge, e cagion nova.


D’or in or più si mesce, e più ristretta
Si fa la pugna, e spada oprar non giova:
Dansi co’ pomi, e, infelloniti e crudi,

Quando lo scontro è animato dallo sdegno e dalla vendetta l’esito non può che essere
tragico perche si manifestano sempre nuove ragioni per combattere più aspramente.

Tre volte il Cavalier la donna stringe


Con le robuste braccia: ed altrettante
Da que’ nodi tenaci ella si scinge;

Nodi di fier nemico, e non d’amante.


Tornano al ferro: e l’uno e l’altro il tinge
Con molte piaghe, e stanco ed anelante
E questi e quegli alfin pur si ritira,
E dopo lungo faticar respira.

Ormai l’alba sta sorgendo e Tancredi comprende di aver ferito maggiormente il suo
nemico; è quindi contento ma non si rende conto di inorgoglirsi di un qualcosa che sarà poi
il suo dolore. Ogni goccia di sangue della fanciulla si trasformerà in lacrime di Tancredi.
Questo rompe il silenzio per conoscere il nome del nemico: lei inizialmente non desidera
rivelarsi

Arse di sdegno a quel parlar Tancredi,


E, in mal punto il dicesti, indi riprese:
Il tuo dir e ’l tacer di par m’alletta,
Barbaro discortese, alla vendetta.

La ragazza sente la morte avvicinarsi ed è illuminata dalle tre virtù teologali di Dio (fede,
speranza e carità) che la chiamano a diventare ancella del cristianesimo; implora quindi
Tancredi di salvarla se non nel mondo fisico ma in quello spirituale. In lui si spegne la
rabbia e riempie l’elmo di acqua di una fonte per battezzarla.

Tancredi, una volta rivelata l’identità della fanciulla, è trafitto dal dolore e, con un chiasmo,
dirà di essere morto spiritualmente ma vivo fisicamente, a differenza della fanciulla che
morta fisicamente ma viva spiritualmente.

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