Nella seconda metà del Cinquecento l’Italia era caratterizzata dall’occupazione spagnola che provocò la rifeudalizzazione, ripristinando e in alcuni casi introducendo tasse e gravami di natura propriamente feudale. Anche se dal punto di vista giuridico-istituzionale non si trattò di un ritorno puro e semplice al feudalesimo, sul piano sociale il processo si tradusse nel peggioramento delle condizioni di vita dei contadini e in forme accentuate di immobilismo e di gerarchizzazione. l’aristocrazia italiana, Infatti non faceva investimenti lungimiranti e così il paese era arretrato. Altro elemento importante era la diffusione della riforma protestante che sconvolse il panorama europeo dal punto di vista religioso, culturale e politico. Il fatto più rilevante fu la spaccatura di un’Europa che era divisa tra cattolicesimo e protestantesimo. La riforma protestante fu figlia del Rinascimento: infatti, il protestantesimo invitava i fedeli alla lettura diretta e personale delle Sacre Scritture e prevedeva il rifiuto del dogmatismo e dell’auctoritas. Venne esaltata l’iniziativa individuale. Questo periodo pone però l’accento sulla risposta della Chiesa cattolica alla riforma protestante attraverso la Controriforma. L’evento principale di questo fenomeno fu il Concilio di Trento che si concluse nel 1563. Con il Concilio si delineò una Chiesa dal volto feroce e sanguinario. Fu un periodo oscuro in cui la Chiesa, gelosa del suo potere compromesso dall’affermarsi progressivo dell’immanentismo, cercava di mantenerlo con ogni mezzo a sua disposizione. Venne impedita anche la nascita di un nuovo sapere, che era quello scientifico. Importante fu l’anno 1542 quando venne instaurato il tribunale della Santa Inquisizione da Papa Paolo II. Questo tribunale era specializzato nello stanare e punire gli eretici. Nella seconda metà del Cinquecento si scatenò una caccia agli eretici che sicuramente rallentò lo sviluppo culturale dell’Europa del tempo. Era lecito incriminare sul solo sospetto ed era ammessa la tortura. La Controriforma cercò di controllare anche la cultura. Importante fu la nascita dell’ordine dei gesuiti per opera di sant’Ignacio de Loyola. Lo scopo dei gesuiti era il controllo dell’istruzione e fiorirono centinaia di scuole gesuite. La Controriforma dei gesuiti fu meno repressiva e si distinse anche in forme creative, tra cui il teatro, spettacoli e mostre. All’ordine dei gesuiti è legata l’istituzione dell’Indice dei libri proibiti, in cui furono inseriti tanti grandi autori italiani come Dante, Boccaccio e Machiavelli. Il dogmatismo repressivo tendeva ad annullare una delle più grandi conquiste compiute dal Rinascimento, rappresentato da un senso di storicità e di rispetto nei confronti dell’autore di un’opera. La filologia nacque in seguito alla diffusione di questo comportamento. Alcune opere vennero censurate, mentre altre subirono la pratica di rassettatura, cioè vennero modificate pesantemente in nome di principi repressivi, dogmatici e ideologici. L’opera più irrispettosamente devastata dalla rassettatura fu il Decameron. L’editoria fu molto danneggiata da questo processo di censura. Qualche editore coraggioso pubblicò qualcosa di vietato modificando la prima pagina e fingendo così che per esempio l’opera fosse stata stampata in Olanda. Nella seconda metà del Cinquecento iniziò a trionfare la figura dell’intellettuale che proviene dai ranghi ecclesiali. La categoria culturale della seconda metà del Cinquecento è il Marienismo. (Con Manierismo in letteratura si intende l’insieme di gusti letterari, manifestazioni e correnti che si collocano fra la cultura del Rinascimento e quella del Barocco. ) Nella prima metà del Cinquecento vennero stabiliti i principi del classicismo rinascimentale e nella seconda metà del secolo questi principi si irrigidirono. Si diffuse un sentimento di inadeguatezza dei principi rinascimentali nei confronti delle reali condizioni dell’uomo del tempo. Dunque queste regole vennero esasperate. Un altro elemento era rappresentato dalla rottura del principio rinascimentale del decoro formale. Le nuove categorie estetiche erano quelle del sorprendente, del meraviglioso e dello stravagante. Nel Seicento il Manierismo culminò nel Barocco. Molti temi del Manierismo vennero declinati in forma differente rispetto a quanto era stato fatto fino a quel periodo. Ritornò il tema della follia, ma non era trattato più né in maniera metaforica (come faceva Erasmo da Rotterdam) né con ironia (come faceva Ariosto). Nel Manierismo vi è invece l’interesse verso la follia intesa romanticamente come uno stato morboso e patologico. Comparirono le tematiche dell’orrido, del demoniaco e dello spaventevole. Nella seconda metà del Cinquecento c’è una tendenza all’irrazionalismo. Tutti questi temi del Manierismo riaffiorarono poi molto potentemente nell’età del Romanticismo. Dal punto di vista stilistico, le conseguenze dell’abbandono del principio del decoro formale sono importanti. C’è ora la tendenza a mescolare ciò che prima doveva essere rigidamente distinto. La conseguenza più importante fu che la distinzione dei registri stilistici iniziò a saltare e si ebbero le prime mescolanze che avevano effetti nuovi, grotteschi, sorprendenti ed esasperati. Fondamentale fu lo sperimentalismo che presupponeva la fine della sottomissione al principio di imitazione. Il Manierismo ebbe certamente un carattere innovativo. Nacque l’idea di un’arte di mercato e di tramontò quella di un artista che diffondeva dei valori. ( La figura del Tasso si concentra in questo quadro storico) 1. Breve biografia Torquato Tasso nacque a Sorrento nel 1544, da una famiglia aristocratica. Il padre, intellettuale e segretario del principe di Salerno, nel 1554, fu coinvolto in una rivolta contro il viceré di Napoli e fu mandato in esilio a Roma. Il piccolo Torquato fu costretto a seguire il padre e fu separato dalla madre. Nel 1562 scrisse il Rinaldo, un poema cavalleresco in ottave; nel frattempo fu espulso dall'Università di Bologna per aver scritto una satira feroce contro i professori. Nel 1565 si trasferì a Ferrara, entrando nella corte della famiglia d'Este, con l'incarico di occuparsi della vita culturale della corte. Durante il soggiorno a Ferrara cominciò a manifestare i primi segni di instabilità psichica che ben presto si trasformarono in vere e proprie manie di persecuzione. Nonostante ciò, questo fu un periodo felice: nel 1573 mise in scena l'Aminta, un dramma pastorale che ebbe molto successo, e nel 1575 concluse il suo capolavoro, Gerusalemme Liberata. Dopo la stesura di quest'opera, Tasso attraversò un periodo negativo sia dal punto di vista religioso sia personale. Per liberarsi dai dubbi religiosi, decise di sottoporre la sua opera al giudizio di alcuni amici letterati. Nonostante avesse ricevuto pareri positivi, non fu soddisfatto e sottopose volontariamente la sua opera al Tribunale dell'Inquisizione che dichiarò che la sua opera rispettava i canoni religiosi imposti dalla Chiesa. Nel 1577, credendosi spiato, durante un ricevimento a corte, lanciò un coltello contro un servo e per questo fu rinchiuso per qualche tempo nel convento di San Francesco, dal quale riuscì a scappare. Girovagò per l'Italia, ma alla fine tornò a Ferrara e qui, nel 1579, diede di nuovo segni di follia. Durante le nozze del duca Alfonso, credendosi trascurato, inveì pesantemente contro il duca e fu rinchiuso per sette anni nell'ospedale di Sant'Anna. Durante la sua reclusione, nel 1581, a sua insaputa fu pubblicato il suo poema col titolo di Gerusalemme Liberata, opera che lui però non riconobbe. Tasso era arrabbiatissimo contro coloro che avevano pubblicato la sua opera senza il suo permesso e in alcune lettere li minacciò di morte. Grazie all'enorme successo del suo poema e soprattutto grazie all'intercessione del principe Vincenzo Gonzaga, nel 1586, uscì dall'ospedale, ma ben presto cadde nuovamente nell'inquietudine. Nel 1593, pubblicò la Gerusalemme conquistata, l'ultima versione del suo poema, però ripulita da tutto ciò che secondo lui fosse peccaminoso. Morì a Roma, nel 1595, quasi in miseria e tormentato dalle sue precarie condizioni psichiche. 2. La lingua La lingua di Tasso è una lingua musicale, difficile e dal tono solenne; in qualche episodio può addirittura essere definita barocca, soprattutto per la ricerca del grandioso e la ricchezza delle figure retoriche, come ad esempio la metafora. Non è un caso, infatti, che i poeti barocchi videro in Tasso un maestro. A differenza di Ariosto – nel quale il tono è ironico – in Tasso il tono è sempre molto serio. Anche il lessico è ricercato ed è pieno di parole rare e di latinismi, cioè quelle parole che derivano dal latino. Tra gli intellettuali del cinque-seicento vi fu una disputa sulla purezza delle lingue di Ariosto e di Tasso. Nessuno delle due parti ebbe la meglio sull'altra, però entrambi sostenevano che la lingua di Ariosto fosse più fiorentina e quella di Tasso più italiana, cioè che utilizzasse termini e vocaboli tratti anche da altre zone d'Italia. 3. Il pensiero Torquato Tasso fu un personaggio molto tormentato, per certi versi vicino a Petrarca; affascinò profondamente Giacomo Leopardi e altri poeti romantici, che videro in lui il genio incompreso per colpa della grettezza dei suoi contemporanei. Come Petrarca e Foscolo, Tasso visse a cavallo tra due epoche sia dal punto di vista culturale sia da quello politico: da un lato Tasso è legato agli ideali umanisti di ottimismo, di armonia e di classicismo, dall'altro visse con ansia e tormento i dubbi religiosi e morali del periodo della Controriforma. Questo periodo di solito èdefinito Manierismo. In Tasso ci sono sempre le due correnti accostate l'una all'altra: c'è il classicismo tipico del Rinascimento, ma c'è anche la voglia di innovare del barocco: per questo motivo i critici hanno parlato di bifrontismo, come se Tasso avesse due volti. Col passare del tempo, però, la tendenza “peccaminosa” e tormentata ebbe la meglio sull'altra e infatti l'ultima versione del suo capolavoro, la Gerusalemme conquistata, è profondamente diversa rispetto alla Gerusalemme liberata. Per comprendere il pensiero e la produzione di Torquato Tasso si deve considerare il profondo influsso della sua “pazzia”, ma non bisogna sottovalutare nemmeno i pesanti condizionamenti esterni di ordine morale, religioso e politico, soprattutto legati alla corte. L'ambiente cortigiano, infatti, era considerato un luogo di delusioni e di ipocrisia, al quale lui non si adattò mai e per questo fu considerato un diverso, appunto un “matto”. Tutta la sua riflessione e la sua produzione possono essere visti come una perenne lotta tra dovere e piacere, tra ciò che si vorrebbe fare – vivere in un mondo libero e senza costrizioni – e ciò che si era costretti a fare – vivere in un mondo falso e gretto, incline soltanto al decoro, anche a costo di privare l'uomo della libertà. Questo mondo libero esisteva ed era quello dei pastori, cantati nell'Aminta, forse l'unica opera nella quale Tasso si abbandona senza timore di incappare nel giudizio religioso. Anche in quest'opera, però, la corte veniva vista come una prigionia: da un lato ne era legato, dall'altro ne denunciava tutta la falsità. Accanto alla produzione artistica, Tasso si preoccupava sempre della questione della poetica. In lui c'era sia la concezione rinascimentale della poesia per diletto, cioè per divertimento, sia la concezione didattica della poesia, come insegnamento: attraverso la sua opera, infatti, Tasso avrebbe voluto esaltare le grandi opere dei cristiani del passato, affinché altri ne avessero seguito le loro imprese. Per tale motivo il poeta inserisce nella sua opera sia la verità storica, attraverso la quale si dovevano dare gli insegnamenti a tutti i cristiani, sia gli elementi fantastici, che dovevano servire alla poesia come diletto. Il mezzo più efficace per produrre il piacere della lettura era il meraviglioso, che però non doveva essere tratto dalla magia, come in Ariosto, ma dal mondo dei miracoli cristiani. In lui e nella sua produzione c'era sempre la speranza di poter vivere in una sorta di età dell'oro, dove non c'erano le restrizioni sociali e dove ci si poteva abbandonare all'amore sensuale. Invece tutto questo non era possibile e si era costretti a vivere in un'età gretta. Fuggire voleva dire vivere a contatto con la natura, come i pastori, e lontano dalla corte. 4. Le opere minori Le Rime. In tutta la sua vita Tasso scrisse quasi duemila rime, per lo più di argomento amoroso, e molte di queste non furono mai pubblicate. Il modello era quello petrarchesco, anche se in Tasso ci sono elementi nuovi, come la ricercatezza della metafora e del linguaggio, che richiamano al barocco. In queste poesie, proprio perché non avrebbe mai voluto pubblicarle, Tasso abbandona i suoi dubbi religiosi. L'Aminta. L'Aminta è un dramma pastorale in cinque atti ed è un capolavoro nel suo genere. Viene rappresentata per la prima volta a Ferrara nel 1573 ed ebbe un grandissimo successo. In seguito, nel 1580 fu stampata. È strutturata come un'opera classica, cioè divisa in cinque atti, ognuno concluso con un coro. Nei personaggi della favola è possibile riconoscere alcuni personaggi della corte. Narra dell'amore del pastore Aminta per la ninfa Silvia, che però non ricambia questo sentimento. Quando però, Aminta apprese la falsa notizia della morte di Silvia, tenta il suicidio; soltanto allora Silvia, commossa, si innamora del pastore, che non era morto. L'opera, che affronta tutti i problemi dell'età tardorinascimentale, è ambientata in un luogo incontaminato, dove l'umanità viveva felice e libera. Alla felicità dell'età dell'oro, Tasso contrappone l'onore, cioè una sorta “di ciò che si deve fare”, contro “ciò che si vorrebbe fare”. È l'onore che copre l'amore di ipocrisie e di falso pudore. Ancora in Tasso non erano presenti itormenti religiosi e per questo l'opera è riuscita. Il Rinaldo Il Rinaldo è un poema cavalleresco in ottave – secondo il modello di Ariosto – nel quale Tasso racconta le vicende di Rinaldo di Montalbano, uno dei cavalieri di Carlo Magno. È già presente il contrasto tra ricerca del piacere amoroso e dovere morale, anche se il contrasto è ancora vissuto con leggerezza e la vicenda amorosa è un felice episodio di corte. 5. La Gerusalemme Liberata La Gerusalemme liberata conclude un'epoca – il Rinascimento – e ne inaugura una nuova – la Controriforma – molto più sofferta e pericolosa. Non fu mai pubblicata col consenso dell'autore, sempre timoroso di aver scritto un'opera peccaminosa. Già a quindici anni Tasso cominciò la stesura di un componimento intitolato la Gierusalemme, che non portò a termine. Lo riprese quindici anni dopo e scrisse il Goffredo, dal nome di Goffredo di Buglione, il conquistatore di Gerusalemme. La prima edizione, pubblicata all'insaputa dell'autore, uscì nel 1581 col titolo di Gerusalemme Liberata. Spinto da scrupoli religiosi, durante la prigionia di Sant'Anna, Tasso cominciò a riscrivere l'opera e a sopprimere le parti che lui credeva fossero peccaminose. Nel 1593 uscì la Gerusalemme conquistata, opera appesantita e di gran lunga più brutta della prima. L'opera nasce con lo scopo di educare e ammonire il pubblico cristiano ed è ambientata durante la Prima Crociata (1096-1099), nel bel mezzo dell'assedio di Gerusalemme che si concluse con la liberazione del Santo Sepolcro da parte dell'esercito cristiano guidato da Goffredo da Buglione. Durante l'assedio di Gerusalemme a Goffredo appare l'arcangelo Gabriele che gli dice di fare in fretta a liberare i luoghi santi. Nella vittoria dei crociati, infatti, ebbe un ruolo importantissimo l'intervento divino che fece cadere la città. Questa ambientazione, per il periodo in cui visse Tasso, era molto attuale; infatti i Turchi avanzavano nel Mediterraneo in maniera minacciosa, ma i cristiani erano rinvigoriti dalla vitoria di Lepanto del 1571. I personaggi sono sempre inquieti e il compito di Goffredo di Buglione era quello di richiamarli al dovere cristiano della liberazione del santo sepolcro; Goffredo è il soldato perfetto: giusto, valoroso e animato da una fede incrollabile. Sin dal primo verso si nota l'enorme differenza con l'opera di Ariosto. Ariosto cantava “Le donne, i cavalieri, le armi e gli amori”; Tasso invece toglie le donne, i cavalieri e gli amori. Rimanevano soltanto le armi pietose, cioè devote a Dio. Rispetto al poema di Ariosto, inoltre, la trama è molto più snella e tutta l'azione si concentra intorno al motivo centrale che è quello della liberazione della Terra santa. Non ci sono elementi secondari che distraggono l'attenzione sul tema centrale, se si esclude l'amore di Olindo e Sofronia. Non è un caso, infatti, che questo episodio, ritenuto troppo sensuale, fu fortemente ridimensionato nell'ultima redazione, nella Gerusalemme conquistata, dove invece trovarono più spazio gli scontri militari e l'eroismo dei singoli cristiani. Al posto del meraviglioso e della “magia” di Ariosto, Tasso inserisce quello cristiano e al posto del clima ironico, c'è quello eroico. Rispetto al poema di Ariosto, la Gerusalemme liberata è più fedele alla verità storica, anche se è mischiata con alcuni elementi fantastici, non mitologici però, come era avvenuto in Ariosto, ma provenienti dal mondo biblico, che rientrava perfettamente nella mutata visione religiosa del Seicento. L'amore ha grande spazio all'interno del poema di Tasso ed è strettamente legato al tema della Crociata. In Ariosto l'amore era visto come una forza potente, invece in Tasso l'amore è un elemento perturbante, una sorta arma diabolica – soprattutto per colpa della maga Armida – che distrae i paladini cristiani; per questo motivo l'amore doveva essere condannato. Molti personaggi, tranne Goffredo di Buglione, incarnavano il dissidio che Tasso viveva in prima persona, tra il piacere e il dovere. In Ariosto c'è la condanna umana dell'amore, perché conduce alla pazzia; in Tasso invece c'è quella religiosa, perché porta al peccato.Fu un'opera che fece molto parlare di sé, e non sempre in maniera positiva, soprattutto se paragonata all'Orlando Furioso, e di questo lui ne soffrì molto.