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ALBERTO MORAVIA

Alberto Moravia è considerato, insieme alla sua consorte Elsa Morante, unita a lui non solo dal
sentimento, bensì dall’amore per la scrittura, uno dei migliori, più intensi scrittori che l’Italia abbia
mai avuto l’onore di conoscere.
Moravia inoltre è considerato l’iniziatore del romanzo borghese, attraverso il quale, maestro di
acume, semplicità ed eleganza stilistica, ha esplorato senza riserve i temi dell’alienazione sociale,
mostrando l’ipocrisia, il materialismo e la povertà morale del suo tempo. Il suo lavoro, in tal senso,
riconduce alle forme del realismo, e della lucidità razionale, la crisi esistenziale della borghesia che
ha attraversato gli anni del fascismo e del dopoguerra, intrecciando costantemente soggettività e
oggettività.  
Alberto Pincherle Moravia nasce nel 1907 in una benestante famiglia dell’alta borghesia di
intellettuali: il padre è architetto e pittore. Fin dai primissimi anni dell’infanzia Alberto inizia la sua
battaglia contro la tubercolosi ossea, una malattia che stigmatizza in maniera irreparabile i giorni
della spensieratezza e lo costringe allo studio autodidattico, a causa delle cure alle quali deve essere
sottoposto, e ai lunghi soggiorni salutari in alta montagna. Nonostante ciò, Alberto va avanti e
studia in totale autonomia, come un novello leopardiano. Non possono non restare incisi come
l’immagine di un’incudine su ferro -nella sua personalità di scrittore- l’isolamento, la solitudine ed
infine la necessità, quasi, di far proprio uno sguardo straniato sull’esistenza e sugli altri uomini.
Proprio per questo egli sarà così abile, forse, nella costruzione di personaggi estraniati, trasognati e
a tratti inumani: vittime di una sorta di parossismo sentimentale, innamorati di se stessi ed egoisti.
La produzione di Alberto Moravia conosce tre diversi momenti o fasi. 
La prima fase coincide con la fase del realismo borghese e della fusione di elementi
realistici, esistenzialistici e, soprattutto dal 1935 al 1941, surreali. Le opere più importanti di questo
periodo sono Gli Indifferenti e Agostino. 
Capolavoro di Moravia resta il primo romanzo Gli indifferenti, pubblicato nel 1929 a soli 22 anni,
una delle espressioni di maggiore rilievo della nuova narrativa negli anni del fascismo: un romanzo
nato prima di ogni riflessione teorica, da un innato impulso di narrare. Come ha più volte dichiarato,
Moravia pensava allora alla tragedia come alla forma più alta della letteratura e mirava a “scrivere
una tragedia in forma di romanzo”: per questo l’azione del romanzo, in 16 capitoli, è concentrata in
uno spazio e in un tempo ristretti, nelle vicende di una famiglia della buona borghesia, di cui
vengono seguite due giornate che si svolgono nel chiuso orizzonte dei salotti romani, con soli
cinque personaggi principali, legati tra loro da rapporti e intrecci sottili, che si modificano e si
dispongono variamente nel corso della narrazione. Questi personaggi sono però “indifferenti” ai
valori e alle forze necessarie al manifestarsi di una vera tragedia: il romanzo è “tragedia
impossibile”, una struttura che svela il carattere non tragico, impuro e volgare del mondo borghese.
L’impostazione moraviana dei romanzi resterà quasi sempre di tipo realistico, ottocentesco anche
nei racconti come quelli delle raccolte: La bella vita (1935), L’imbroglio, quest’ultima datata 1937.
Altra perla letteraria è il racconto lungo dal titolo Agostino, pubblicato nel 1945, il quale ci presenta
la storia di un tredicenne di buona famiglia che, durante una vacanza al mare, scopre l’esistenza del
sesso e delle disuguaglianze sociali. Si tratta di un’esperienza traumatica, ai limiti del perturbante,
che rivela ad Agostino il suo ingresso nel mondo adulto. Il protagonista tutto un tratto di troverà di
fronte alla scelta: stare dalla parte dell’infanzia dorata o rinnegare tutto il passato. Non si riconosce
più nell’innocente bambino che era fino a poco prima, e inizia a frequentare un gruppo di proletari
ai quali si lega di una profonda amicizia. Proprio tale legame indurrà in lui dei dubbi spaventosi
circa l’identità borghese, e tutto quanto ad essa legato. Non è infatti “uno di loro”, un proletario e
sente fastidio nei confronti della propria famiglia, dell’universo di cui tuttavia continua a far parte.
Assume un atteggiamento di distacco critico, alla ricerca di una dimensione neutra, aliena da tale
doloroso binarismo (borghesia-proletariato, ricchi-poveri).
Il secondo periodo, alla fine della guerra, è quello del Neorealismo, dove appaiono spesso
personaggi popolari che assumono il ruolo di un’alternativa positiva al mondo borghese. Le opere
più importanti di questa fase sono La romana (1947) e La ciociara (1957). In questo momento
emerge lo scrittore che dà voce all’umiltà popolana e gretta. Un interesse per gli umili che però si
dimostra più strumentale che reale. La borghesia è solo per poco posta in secondo piano, per
contrapporsi alla genuinità dei rozzi contadini. Non a caso, un borghese indignato è Michele (come
Michele de Gli indifferenti) mentre esempio di semplicità è il personaggio Cesira.
L’ultima fase dell’attività di Alberto Moravia è caratterizzata da uno spiccato pessimismo: lo
scrittore non crede più al popolo come a un’alternativa valida e torna a concentrarsi sull’universo
borghese, ancora in crisi, e privo di morale e vitalità. I temi, allora, sono quelli dell’estraneità,
della passività di fronte all’esistenza e dell’insensatezza del vivere. Il romanzo più importante del
periodo è La noia (1960).
A chiudere il cerchio degli inetti è Dino: pittore che non riesce più a dipingere, perché non ha la
forza di stabilire più dei rapporti autentici e concreti con gli esseri umani, con le cose, con la vita.
La tela resta vuota e il nuovo Michele tramuta l’indifferenza sterile di entusiasmi in una noia,
un’incapacità di essere, di scegliere.
Se è vero che analizzando da vicino l’opera di Moravia ci si accorge che è bene suddividerla in tre
periodi, è altrettanto vero che, a ben vedere, guardando soprattutto alla sua produzione più
importante, e quindi a Gli indifferenti, Agostino e La noia, è possibile individuare alcune
caratteristiche ricorrenti:
Nel mondo borghese hanno importanza solo il sesso e il denaro, usati come strumenti per possedere
le persone;
L’intellettuale o l’adolescente sono personaggi che vivono un senso di straniamento, di impotenza e
di crisi, poiché incapaci di superare le logiche della classe a cui appartengono;
La scrittura si ispira a un realismo critico che, attraversato da un lucido razionalismo, si risolve, non
di rado, in sentito sarcasmo antiborghese;
Il realismo critico viene da un moralismo incapace di pensare a una visione del mondo alternativa a
quella dei personaggi borghesi;
La struttura del genere romanzo, fondata sull’intrigo, sull’intreccio, sulla trama e sull’avventura, si
fa specchio della vita borghese. La struttura del romanzo, quindi, coincide con l’oggetto da
rappresentare.

  

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