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LETTERATURA SPAGNOLA II

Argomenti esonero 26/11


1. Aspetto metodologico (da vedere su “Che cos’è un testo letterario”)
 Narrativa letteraria e naturale
Si può collocare il racconto tradizionale e il mito ad un livello intermedio tra la narrativa
letteraria, la quale si basa su alcuni elementi in particolare: l’emittente, il destinatario, il referente,
il messaggio, il canale di comunicazione e il codice linguistico (per esempio la lingua spagnola) e la
narrativa naturale, cioè quella forma di narrazione legata alla nostra esperienza quotidiana ma
anche processi psichici attraverso i quali organizziamo le nostre esperienze e le nostre conoscenze.
 Differenza tra Storia e Racconto
Per Storia intendiamo l’insieme degli eventi che vengono narrati, per Racconto intendiamo la forma
concretamente assunta dall’opera narrativa.
 L’organizzazione dei contenuti narrativi: fabula e intreccio
Raccontare una Storia significa presentare una sequenza di eventi in una dimensione temporale.
Individuarne la struttura, significa selezionare gli eventi essenziali per lo svolgimento della vicenda.
Ecco perché sono stati classificati i modi attraverso i quali uno scrittore può organizzare i contenuti
testuali. Si parla di intreccio, con la sequenza non solo di eventi della storia ma anche di come si
presentano al lettore (il messaggio). Con fabula si intende la successione degli avvenimenti nel loro
ordine logico e cronologico, mentre l’intreccio offre al lettore la vicenda nell’ordine in cui lo
scrittore ha deciso di presentare gli eventi. Nell’intreccio il narratore può apportare delle anacronie:
cioè raccontare in un secondo momento avvenimenti già successi (analessi), o anticipare
avvenimenti che devono ancora accadere (prolessi). L’intreccio può inoltre essere costituito da
motivi dinamici e statici.
In Lazzarillo: FABULA: il racconto di un giovane di origini umili che per rispondere ad una
richiesta di una persona di alto rango, parla della sua vita, e di come dalla povertà e delle miserie
condizioni sia passato alla prosperità
INTRECCIO: il racconto di Lazzarillo della sua vita per spiegare il caso a Vossignoria, il quale si
saprà soltanto nell’ultimo capitolo.
 Tipologie del Narratore

2. Lazarillo de Tormes (tutto)

 Introduzione Antonio Gargano


La vida de Lazarillo de Tormes y de sus fortunas y adversidades, è un racconto in prima persona di
Lazzaro, nato povero e disgraziato, il quale, richiesto da una persona di alto rango elevato di essere
informata su una certa diceria giunta ai suoi orecchi, e quindi decide di raccontare per esteso alcuni
eventi della sua miserabile esistenza, dalla nascita vergognosa, come figlio di un mugnaio ladro e
di una lavandaia, che rimasta vedova, si fa mantenere da uno stalliere moro, sino al
raggiungimento della prosperità e del benessere materiale, ottenuti grazie al conseguimento
dell’impiego pubblico come banditore di vino e dell’inconfessabile condiscendenza e
consapevolezza nei confronti della tresca che la moglie mantiene con l’arciprete di San Salvatore.
Per comprendere al meglio l’opera è utile andare al punto esatto in Lazzaro nel prologo annuncia
l’origine e il proposito della narrazione “E poiché Vossignoria scrive che le si scriva e racconti il
caso per esteso, mi è parso giusto di prenderlo non dal mezzo, ma dal principio, perché si abbia
intera notizia della mia persona”. In questo punto della narrazione il lettore non sa chi sia
Vossignoria, né sospetta a cosa costui sia interessato quando chiede per iscritto di essere
informato sul caso. Bisognerà attendere la conclusione dell’opera quando il lettore apprenderà che
Vossignoria è interessato a saperne di più sul caso, ovvero su alcune dicerie riguardo la relazione tra
la moglie di Lazzaro e l’arciprete di San Salvatore, amico e servitore del destinatario. Ecco perché
raccontare la propria vita significa anche difendersi da quella che lui vorrebbe far passare per una
diceria, diretta ad offendere la sua reputazione. Lazzaro quindi non soddisfa in forma diretta alla
curiosità di Vossignoria, alla cui richiesta risponde scegliendo di raccontare la sua vita secondo un
ordine cronologico “prenderlo non dal mezzo ma dal principio”. Si potrebbe pensare che l’opera sia
caratterizzata da una struttura aperta, come avveniva per il romanzo cavalleresco con la
suddivisione dei vari capitoli ma in realtà ci troviamo davanti ad una struttura chiusa, circolare,
poiché tutti gli avvenimenti sono considerati tutti insieme e che servono a dar conto dell’individuo
che è Lazzaro, perché solo attraverso la conoscenza di questi episodi è possibile comprendere la
persona che egli è o che meglio è diventato.
 Ma chi è Vossignoria? E, soprattutto cosa lo spinge a voler sapere del caso?
L’anonimo autore di Lazarillo copre l’identità di questo destinatario interno, alla quale si deve,
peraltro, l’iniziativa della lettera autobiografica di Lazzaro. Nessuna informazione ci può aiutare a
capire chi è, ad eccezione di un riferimento presente nell’ultimo capitolo, quando viene menzionato
l’arciprete di San Salvatore “servitore e amico” di Vuestra Merced. Quindi quasi al termine della
lettera, il lettore scopre che Vossignoria è qualcuno che conosce l’arciprete. Gli unici dati
sull’identità di Vossignoria si limitano al fatto che egli ha una personalità di rango superiore, legata
appunto dal rapporto con l’arciprete. L’unica cosa che lega Lazzaro con il destinatario è quindi che
entrambi si intrattengono con lui. Resta da capire come mai Vossignoria sia interessato a sapere ciò
di cui si mormora e soprattutto perché mai decide di rivolgersi per iscritto all’umile Lazzaro e non
direttamente all’amico arciprete. Ciò che è certo è che il racconto autobiografico di Lazzaro è
un’epistola.
 Il buon porto, tema principale dell’opera e il carattere esemplare della vicenda
esistenziale di Lazzaro
Tutto ciò è possibile individuarlo in un passo del prologo dove Lazzaro dice: “e anche perché
coloro i quali ereditarono un nobile stato considerino quanto poco gli sia dovuto, poiché Fortuna
fu con essi parziale, e quanto più fecero coloro che, avendola avversa, con forza e destrezza
remando giunsero a buon porto”.
Con la metafora del “buon porto” non si limita ad esporre l’argomento nel solo passo d’esordio, ma
vi ritorna in vari modi e in diversi luoghi del testo.
Un altro termine che riassume al meglio il tema del romanzo è “medrar”, ossia il desiderio di
migliorare la propria condizione sociale. Termine che spicca maggiormente nell’ultimo capitolo
quando Lazzaro decide di ascoltare il consiglio dell’arciprete e di continuare a beneficiare dei suoi
favori materiali, a cambio di quelli prestati dalla moglie. Per cui scegliendo di non dare ascolto alle
dicerie delle malelingue, alla fine potrà informare Vossignoria dello stato di grazia di cui gode,
vedendosi “nel pieno della prosperità e in cima alla mia buona fortuna”.
 Tema della virtù
Nel romanzo la vera questione da affrontare consiste, nel definire quali siano le virtù di cui
Lazzaro fornisce nel corso della sua crescita e formazione, quali siano anche, in definitiva, le
virtù che, essendo proprie degli uomini di bassa condizione sociale consentono di salire nella
scala sociale.
Nel primo trattato, Lazzaro, dopo aver dichiarato la sua identità, racconta dei genitori, e in
particolare, a proposito del mestiere e della morte del padre. Nel cui passo è possibile individuare
una serie di espressioni ambigue, che investono il lessico: la morfologia, relazioni sintattiche, i
continui rimandi biblici, che nel loro insieme contribuiscono a rendere ironico il discorso
autobiografico. Inoltre, il passo in cui Lazzaro presenta il padre, anticiperà l’idea di ciò che è vizio e
virtù, infamia e lode.

PROLOGO
 Chi è il narratore
Il prologo viene narrato da Lazaro, infatti inizia con il pronome “Yo” da identificare con il Lazzaro-
autore, il quale nel rivolgersi a un destinatario colletivo formato da un ampio pubblico di lettori,
ricorre con intento parodico, a una prolungata serie di motivi tipici dell’esordio: la novità della
materia.
 Come si capisce che è un’epistola
Il prologo è un’epistola perché è una lettera rivolta/mandata a Vuestra Merced, ed è ancora più
comprensibile proprio in un passo del prologo: “Y pues Vuestra Merced escribe se le escriba y
relate el caso muy por extenso, pareciome no tomarle per el medio, sino del principio, porque se
tenga entera noticia de mi persona.”
 Perché autore e narratore non coincidono
Nel prologo l’autore (colui che scrive) e l’autore (colui che racconta) non coincidono perché
vediamo all’inizio del testo delle citazioni classiche che non hanno nulla a che fare con il ceto
basso di Lazarillo, e quindi del narratore. Citazioni come quella di Plinio il Giovane “que no
hay libro, por malo que sea, que no tenga alguna cosa buena” o quelle tratte da Orazio
“Mayormente que los gustos noson todos unos, mas lo que uno no come, otre se pierde por
ello. Y asi vemos cosas tenidas en poco de algunos que de otros no lo son.” (Non tutti amano
e apprezzano le stesse cose) e da Cicerone (Tullio) come “La honra cria las artes”: va letta in
relazione sia alla precedente affermazione sul destinatario “assai pochi scriverebbero per uno
solo” e sia alla confessione sul “desiderio di lode” che immediatamente segue. È per soddisfare
questo desiderio di lode, che Lazzaro rende pubblica una lettera originariamente concepita per
essere privata.
 Chi è il destinatario
Il prologo è rivolto a Vuestra Merced e anche al lettore, quindi abbiamo la presenza di un
destinatario interno (Vossignoria) e un destinatario esterno (il lettore), il quale vede la realtà
attraverso Lazzaro
 Obiettivi della narrazione
Spiccano nella narrazione diversi obiettivi come quello dell’intrattenimento come afferma lo
stesso Lazzaro all’inizio del prologo “pues podria ser que alguno que las lea halle algo que le
agrade, y a los que no ahondaren tanto los deleite” (potrebbe accadere che qualcuno, leggendole, vi
trovi qualcosa che gli aggradi e che diverta coloro che non vanno tanto in fondo) o ancora quando
dice “sino que a todos se comunicase, mayormente siendo sin perjuicio y pudiendo sacar de ella
algun fruto.” (a tutti comunicata, specie se non fa danno e se ne può cavare qualche frutto) e ancora
nella citazione di Cicerone, secondo la quale “L’onore alimenta le arti”. Un altro obiettivo è
spiegare il caso (in diretto contatto con il racconto della sua vita): con questo termine, oggetto
della formula epistolare “scrive che le si scriva”, e di uso comune per definire il tema della lettera,
Lazzaro-autore allude, da un lato, al menage a trois, a cui Lazzaro-narratore farà riferimento alla
fine della narrazione, dall’altro lato, alla motivazione che giustifica la richiesta di Vossignoria e, di
conseguenza, il suo stesso racconto autobiografico (che è un altro obiettivo della narrazione, che
serve, attraverso le sue vicende, da insegnamento) Spiegare il caso significa anche difendersi
insieme ad un’altra finalità che è quella del “buen puerto”, cioè : anche coloro che non sono stati
ben voluti dalla Fortuna possono raggiungere la prosperità e felicità, quindi si allaccia all’ascesa
sociale di Lazzaro.
 Che stile usa l’autore
Per quanto riguarda lo stile viene espresso in un frammento del prologo nel quale Lazzaro-autore
dice: “Così vanno le cose, per cui, confessando di non essere più santo dei miei simili, di
quest’inezia che in quest’umile stile (estilo grosero) scrivo, non mi dispiacerà che partecipino e se
ne dilettino tutti quelli che dovessero trovare in essa qualche motivo di piacere…”. Delle lettere
dove si narrano i casi o le vicende private, Cicerone stabiliva che esse si dovessero scrivere con
parole correnti e quotidianequitidiane. Qui fa riferimento alla teoria degli stili classici, secondo la
quale a una determinata materia deve corrispondere uno stile adeguato (alle cose di poco conto).

I TRATADO
Prima dell’incontro con il cieco...
 Che cosa si narra all’inizio del trattato?
Si nota sicuramente il forte legame logico e semantico tra la fine del Prologo e l’inizio del capitolo
col racconto della nascita. Il Pues iniziale connette il “caso” (che viene solo accennato nel Prologo),
sul quale Vossignoria chiede notizie, con il principio del racconto autobiografico, di cui la nascita è
l’episodio iniziale.
All’inizio del trattato, quindi, Lazzaro presenta se stesso a Vossignoria, dice da dove viene, di chi
è figlio e da dove proviene il suo nome. Lazzaro del Tormes, figlio di un mugnaio ladro e di una
lavandaia nacque nel fiume Tormes da cui prese il nome, il quale si riallaccia all’uso aristocratico,
adottato ai personaggi di finzione e che quindi si differenzia rispetto ai nomi comuni dei genitori.

 Quali espressioni rivelano che Lazzaro ha umili origini?


Lo notiamo sin dall’inizio, quando Lazzaro presenta al lettore e di conseguenza dà notizia a
Vuestra Merced della sua provenienza e in particolare quando parla dei suoi genitori, figlio di un
mugnaio ladro e di una lavandaia, che lo partorisce sul fiume Tormes. Già alla origini o anche nei
romanzi di cavalleria, chi nasceva in una città o nei fiumi o veniva abbandonato lì, prendeva il
cognome del luogo. Però ecco che abbiamo un ribaltamento nel nome di Lazzaro de Tormes, la cui
particella “de” è un richiamo ai personaggi nobili della tradizione letteraria contemporanea, per
esempio l’Amadis de Gaula, che anche lui come Lazzaro era un figlio del fiume. Quindi nel nome
di Lazarillo si nota un parallelismo con l’Amadis, naturalemente, in chiave ironica.
Espressioni per comprendere le umili origini di Lazzaro: “Mi nacimiento fue dentro el rio
Tormes, por la cual causa tome el sobrenombre, y fue de esta manera: mi padre ... tenia cargo de
proveer una molienda de una acena que esta ribera de aquel rio.”

 Come cambia la percezione di Lazzaro nei confronti di Zaide e perché?


Nel momento in cui Lazzaro parla della madre, la quale rimasta vedova comincia a frequentare le
scuderie, viene presentato un nuovo personaggio: Zaide, un moro che frequenta la madre. Lazzaro,
al principio dell’arrivo di Zaide aveva paura “viendo el color y mal gesto que tenia” e anche del
rapporto con la madre. Ma vedendo che con il suo arrivo i pasti miglioravano, Lazzaro comincia a
volergli bene, proprio perché sfamava la famiglia e quindi capiamo che la presenza di questo nuovo
personaggio porta alla sopravvivenza di Lazzaro e la sua famiglia. (prevale la legge dell’utile)

 Che significa l’espressione proverbiale “arrimarse a los buenos”? nel sistema di valori
in cui si fa portavoce Lazzaro?
A proposito della madre di Lazzaro riecheggia un noto proverbio “arrimate a los buenos, seras uno
de ellos”, per dire che il miglior modo per agire virtuosamente è seguire l’esempio delle persone
virtuose. Espressione che fa riferimento alla necessità della madre di Lazzaro di avvicinarsi ai buoni
per sfamare la sua famiglia, quindi i buoni possono essere chiunque, che possa in qualche modo
aiutare la famiglia di Lazzaro a sopravvivere.
D’altronde lo stesso termine verrà ripreso dallo stesso Lazzaro, nell’ultimo capitolo, il quale circa le
dicerie che circolano sulla presunta relazione tra la moglie e l’arciprete di San Salvatore, dirà:
“decisi di accompagnarmi a buoni”. Ma in entrambi i contesti, il proverbio risulta distorto,
insinuando un dubbio sull’identità dei buoni e di conseguenza sulla stessa natura della virtù
dell’essere virtuosi. Nell’uso del proverbio riferito alla madre, sembra che, accanto a quello
letterale, operi un doppio senso, per cui buenos debba considerarsi un’antifrasi e la preposizione
por abbia un valore casuale e non finale.

 Identificare esempi di ironia e anfibologia nel racconto di Lazzaro


“arrimarse a los buenos” che ha carattere ironico, cioè affidarsi ai “buoni” soltanto per sfamarsi e
quindi sopravvivere e che ha due significati diversi.
“Lazarillo de Tormes”, il nome stesso del protagonista ha carattere ironico per quanto spiegato
prima.

L’incontro con il cieco…


Il racconto dell’esperienza vissuta dal piccolo Lazzaro con il cieco comprende sette episodi, di cui
il primo e l’ultimo risultano perfettamente legati e fanno da cornice alle cinque burle diaboliche,
che occupano la parte centrale della narrazione. Nelle prime due (quelle delle avaro fardel e delle
blancas) l’astuzia di Lazzaro nel procurarsi cibo, ha la meglio sull’avarizia del cieco, mentre nella
terza burla (quella della brocca di vino), il lettore vede contrapporsi ad armi pari le diverse abilità
dei due personaggi, per cui all’iniziale vantaggio del ragazzo che de dei “dolci sorsi” del vino col
trucco della cannuccia fa riscontro la rabbiosa vendetta del cieco, il quale accortosi dell’inganno, lo
colpisce ferocemente con lo stesso strumento del piacere, “il dolce e amaro boccale” (dulce y
amargo jarro) con una botta di cui Lazzaro porterà i segni fino all’età adulta. L’episodio rappresenta
un punto di svolta nel rapporto tra i due personaggi, con il vecchio cieco che non rinuncia a
esercitare la sua crudeltà. Seguiranno poi le altre due burle, quella del grappolo d’uva, dove
spicca la competizione di due astuzie che gareggiano nel truffare l’altro per conquistare maggior
numero di chicchi d’uva e infine quella del navone e della salsiccia. Vediamo quindi come i cinque
episodi delle burle diaboliche mettono in scena la lotta tra la perspicacia e la destrezza di un
ragazzo ancora inesperto della vita e l’avarizia del cieco, un uomo maturo, che usando una stessa
espressione di Lazzaro, ne sapeva più del diavolo. Nel primo episodio che fa da cornice alla
vicenda con il cieco, quello assai celebre e divertente della zuccata contro l’animale di pietra, che
a forma di toro, si trova sul ponte di Salamanca, in cui Lazzaro cade vittima della crudele burla del
cieco per ingenuità e stupidità, che di conseguenza lo rendono totalmente fiducioso nel
prossimo: quando il cieco gli ordina di accostare l’orecchio all’animale per sentire il gran rumore
che emette, cascandoci pienamente: “creyendo ser asi”, formula che riassume la sua ingenuità, che
verrà ripreso nella vicenda vissuta al servizio del venditore d’indulgenze, nel V capitolo. Andiamo
poi all’ultimo episodio che conclude l’intero ciclo, il quale presenta fortissimi legami con quello
che lo apre, poiché gli esiti dei due episodi si concludono con un analogo e violento colpo di testa o
di zucca che servo e padrone danno, rispettivamente, contro l’animale di pietra e contro il pilastro di
uno dei porticati del paese. Il legame dei due episodi indica che la vita riserva il ruolo di vittima
dell’inganno e della crudeltà altrui a chi si rivela sprovvisto di perspicacia e sagacia. Ma oltre alla
metafora vegetale che lega i due episodi (“la zucca”) ci sono una serie di similitudini animali: come
ne “l’animale di pietra che ha quasi la forma di toro” del 1 episodio che ricompare nell’ep.
conclusivo “mi metto dietro al pilastro, come chi aspetta il cozzo del toro”.
È, dunque, la stessa fiducia nel prossimo (creyendo ser asi) che aveva condannato Lazzaro a
rompersi la testa contro la statua di pietra che ora trascina il vecchio cieco a sfracellarsi la testa
contro un pilastro. Se nel primo quindi si ride dell’ingenuità del ragazzo, nel secondo è il vecchio
che, fidandosi a sua volta del ragazzo diventa l’oggetto ridicolo.
Conclusione: Ciò che impara Lazzaro dal cieco è quindi: che la prima e più essenziale virtù
consiste nell’atteggiamento che impone l’assoluta diffidenza nell’altro e la sopraffazione del
prossimo.
Negli episodi delle burle diaboliche, naturalmente, è evidente il carattere comico, con il quale lo
stesso autore dichiara in un passo: “Ma per non essere prolisso, tralascio di narrare molte cose,
tanto divertenti quanto degne di nota…”
 LE 5 BURLE DIABOLICHE:
1. La sacca di tela
2. Blancas
3. La brocca di vino
4. Il grappolo d’uva
5. Navone e la salsiccia
 Che funzione ha nella vita di Lazzaro la prima esperienza vissuta con il cieco?
Come negli successivi due trattati, il primo ha una funzione di formazione, apprendistato che
Lazzaro acquisisce nel corso delle vicende vissute al servizio del vecchio cieco, come lo
confermano diverse espressioni come: “mi illuminò e guidò nel cammino della vita” o ancora “Io,
oro e argento non te ne posso dare, ma consigli per vivere posso mostrartene molti”. Ma soprattutto
Lazzaro impara dal cieco a “non fidarsi di nessuno”, consiglio che metterà in atto nell’ultimo
episodio del 1 trattato.

 Che tipo di rapporto si evidenzia tra i due? Quali espressioni lo denotano?


Innanzitutto si tratta di due personaggi che si contrappongono: da un lato Lazzaro, i cui tratti che lo
distinguono riguardano l’ingenuità, la stupidità e il bisogno, mentre il personaggio del cieco è
caratterizzato dai seguenti tratti: astuzia, sagacia, possesso, avarizia.
Espressioni: Quando la madre consegna Lazzaro al cieco dirà di trattarlo come un figlio e non
come servo: “El respondio que asi lo haria, y que me recibia, no por mozo,sino por hijo”.
Ma il rapporto tra i due emerge soprattutto nel primo episodio della zuccata contro la statua di
pietra: “Lazaro, llega el oido a este toro y oiras gran ruido dentro el”.”Yo simplemente llegue,
creyendo ser asi…”, il quale segna il passaggio dall’ingenuità di Lazzaro alla scaltrezza, a tenere
sempre gli occhi aperti affinché possa sopravvivere.

 Quale espressione rivela una connessione con quanto esplicitato nel prologo?
p. 118 “Huelgo de contar a Vuestra Merced estas ninerias para mostrar cuanta virtud sea saber los
hombres...”. Se nel prologo si parlava di Fortuna, adesso nel primo trattato si parla di virtù
materiale, ovvero ciò che gli permette di sopravvivere

 Come cambia nel tempo il rapporto di Lazzaro nei confronti del cieco?
Lo si capisce specialmente nelle burle diaboliche, raccontate una dopo l’altra da Lazzaro, in cui
capiamo sicuramente l’astuzia e la scaltrezza che prenderanno possesso del personaggio del piccolo
Lazzaro. Notiamo che nell’ultimo episodio, quello che chiude la cornice dei setti episodi, Lazzaro
mette in atto il consiglio ricevuto all’inizio dal cieco, ovvero quello di non fidarsi di nessuno,
facendolo sbattere con la testa contro un pilastro in modo da fuggire a abbandonare per sempre il
cieco, naturalmente questo ultimo episodio rimanda al primo (ecco perché parliamo di struttura
chiusa), non solo per le espressioni linguistiche ma anche appunto all’insegnamento che il vecchio
cieco da al piccolo Lazzaro.

 Come si conclude la vicenda con il cieco?


Lazzaro ha affinato le sue capacità per ingannare il cieco, soprattutto ha appreso l’insegnamento del
cieco di non fidarsi del prossimo e la mette in atto nell’ultimo trattato con l’intento di vendicarsi,
facendolo cadere e sbattere la testa contro un pilastro.
II TRATADO (un clerigo)
È in un prete che Lazzaro si imbatte nel secondo trattato, dopo aver voltato le spalle al cieco. Egli
appare come la negazione della figura del ministro di Dio, il quale venendo meno a quella che
San Paolo considera la più eccellente delle virtù teologali, la carità, finisce per macchiarsi delle
colpe dell’avarizia, della cupidigia e dell’ipocrisia. Un’analoga violazione del carattere sacro la
troviamo nel personaggio di Lazzaro, anche se in lui è generata dal più impellente dei bisogni
umani, quello della fame. Ciò che spinge il prete è solo e soltanto l’avarizia, mentre ciò che spinge
Lazzaro è solo e soltanto la fame.
Queste osservazioni che denunciano un processo di degradazione del sacro, trovano conferma
nell’episodio dell’arca, grazie al quale Lazzaro può cibarsi.

 All’inizio del trattato, Lazzaro riprende l’uso dell’ironia e dell’anfibologia:


indicare le espressioni.
L’ironia è uno dei carattere constanti nell’opera che ritroviamo già all’inizio del secondo trattato:
“Escape del trueno y di en el relampago” (caddi dalla padella alla brace), la cui espressione
anticipa quello che succederà, in quanto anche qui come nel 1 trattato Lazzaro patirà la fame e
quindi da raccordo alla condizione del primo trattato.
Un’altra espressione è quando Lazzaro presenta il prete dicendo: “Porque era el ciego para con
este un Alejandro Magno, con ser la misma avaricia…” lo descrive attraverso un’antonomasia,
attribuendo al cieco le caratteristiche di Alessandro Magno ma allo stesso tempo si tratta di
un’antitesi, naturalmente con carattere ironico.
Altra espressione: “A donde me todos mis pecados con un clerigo”
 Che tipo di rapporto si evidenzia fra Lazzaro e il prete di Maqueda?
Lazzaro si imbatte al servizio di in prete a Maqueda, il quale gli chiede subito se sa servir messa, al
che Lazzaro grazie agli insegnamenti del cieco risponde di sì. Immediatamente Lazzaro lo descrive
come una persona avara: “No digo mas sino que toda la laceria del mundo estaba encerrada en
este”, ipocrita, ma soprattutto poco caritatevole. Il suo atteggiamento anticlericale emerge in diverse
situazioni. Rispetto a Lazzaro, che può cibarsi di sole cipolle e vino, il prete pur amettendo che i
sacerdoti devono limitarsi al bere e al mangiare, fa tutto l’opposto: vediamo che rispetto al cieco,
Lazzaro poteva approfittare di rubare qualche cibo con le varie burle diaboliche, mentre nel prete, la
sua destrezza non può mettersi in gioco perché la casa è priva di cibo, l’unica fonte o meglio
paradiso terrestre come Lazzaro lo definisce è l’arca dei pani, fattore su cui è costruita l’intero
capitolo.
Il loro rapporto emerge anche alla fine del cap. quando Lazzaro viene cacciato dal prete, scoprendo
la chiave che nascondeva in bocca, mostrandosi nuovamente avaro e quindi confermando il suo
carattere poco caritatevole, quando dice: “Lazzaro da oggi sei più tuo che non mio”.

 Quale tema ritorna in questo trattato?


Tema della fame “finalmente yo ne finaba de hambre” dice di Lazzaro a proposito della
condizione in cui viveva al servizio del prete, che rispecchia quella del primo se non peggio. Tant’è
che Lazzaro riflette sul se continuare o no a stare al servizio del prete, riflessione che giunge a due
sbocchi: la prima, temeva la sua debolezza e di conseguenza, la sua morte, la seconda invece,
rifletteva sul fatto che se avesse cambiato padrone avrebbe potuto imbattersi in uno ancor peggio,
quindi decide di rimanere a fianco del prete, pur morendo di fame. Questo tema infatti precede la
parola caridad, che si può dire un altro tema del trattato.
Un’ulteriore tema è quello della cecità: non solo l’esperienza precedente è stata utile per riuscire a
sopravvivere grazie all’astuzia e l’ingegno al servizio del secondo padrone, ma vediamo anche un
parallelismo tra il primo e il secondo: mentre il primo, pur essendo cieco, era perspicacie e astuto,
capiva tutto ciò che era intorno a lui, d’altra parte il prete, pur vedendo benissimo, era ignaro di
tutto, per esempio nell’episodio della ricerca di individuare il responsabile dei pani rubati, spende
troppa poca energia mentale.
 Identificare i passaggi riguardanti la critica al clero
Già con la presentazione del personaggio del prete, che rappresenta l’antitesi delle virtù cristiane,
vediamo alcuni passaggi che danno conferma di ciò: l’avarizia, per esempio, è ben simboleggiata
dalla chiave gelosamente custodita nella tasca cucita all’altezza del petto per tenerci con sicurezza il
denaro, ma che il prete usa per la salvaguardia delle magre cipolle, come se queste fossero “le
conservas de Valencia”. La cupidigia, invece, è raffigurata dall’espressione “ojos,,,de azugue”, con
cui il prete, mentre celebra le funzioni, officia, conteggia le monete offerte dai fedeli. e
naturalemnte il vizio dell’ipocrisia, che emerge nel momento in cui il prete dice a Lazzaro: “Mira,
mozo, los sacerdotes han de ser muy templados en su comer y beber, y por esto yo no me desmando
como otros”, con la cui espressione naturalmente prende in giro Lazzaro, poiché tutto faceva tranne
limitarsi con il cibo, approfittando delle confraternite e dei funerali perché come dice Lazzaro
“mangiava come un lupo e beveva più di un ciarlatano”. Ed infine non può mancare l’atteggiamento
anti caritatevole che il prete ha soprattutto nell’ultimo passo quando dice: “Lazzaro, de hoy mas
eres tuyo, y no mio. Busca amo y vete con Dios, que yo no quiero en mi compania tan diligente
servidor. “

 Identificare ed interpretare i passaggi che riferiscono una dissacrazione di riti


liturgici e una risemantizzazione di episodi biblici.
Nel secondo trattato abbiamo la presenza di molti riferimenti biblici, incentrati naturalmente
sull’episodio dell’arca dei pani. A partire proprio dall’arrivo del calderaio, che Lazzaro lo vede
come un angelo mandato da Dio (angelico caldarero) che con il compito di concedergli una copia
della chiave, può avere accesso alla cassa dei pani e cibarsi. Un’altra espressione religiosa è “cara
de Dios” ripetuta più volte, la quale allude al pane, che, non potendo più servire per nutrirsi
fisicamente, è diventato adesso la contemplazione riservata alle cose divine e spirituali.
Quest’ultima è legata ad un’altra che è paradiso panal, sempre riferito al pane che Lazzaro lo vede
come il paradiso terrestre: il pane della vita rappresenta il corpo di Cristo e quindi l’ostia che salva
non tanto l’anima di Lazzaro, quanto il corpo, ecco perché si parla di necessità materiale più che
spirituale. Vi è dunque un sovvertimento tra l’ordine materiale o reale e quello spirituale o
simbolico-religioso, naturalmente a tutto vantaggio del primo.
E infine nell’epilogo “A cabo de tres dias..”, quando il prete caccia Lazzaro da casa sua rimanda
alla famosa cacciata dall’Eden. Eppure, la casa di Maqueda, ad eccezione della sola arca, è stata
per Lazzaro tutt’altro che un Eden, dove a dettar legge, al posto del dio della Bibbia, sono l’avarizia
e la totale assenza di carità del prete, che si presenta infatti come l’antitesi delle virtù cristiane, i cui
ultimi passi ne danno la conferma.
 Che tipo di sviluppo narrativo si riconosce nel II trattato rispetto al I

Nei sei mesi circa passati al servizio del prete, rispetto a quello con cui Lazzaro ha raccontato
l’esperienza con il cieco, la tecnica narrativa si dimostra totalmente diversa: nel 1 trattato abbiamo
una macrostruttura, suddiviso in due episodi in particolare; quello della presentazione di Lazzaro,
della sua provenienza, dei suoi genitori ecc.. e quello dell’incontro e rapporto con il cieco. Mentre il
secondo è strutturato esclusivamente su un unico episodio: quello dell’arca dei pani, grazie al quale
Lazzaro può sopravvivere.

III TRATADO (uno escudiero)


 L’incipit del terzo trattato e il rapporto con i precedenti
 Che tipo di rapporto si instaura fra servo e padrone? Quali frammenti del testo
giustificano un rovesciamento di ruoli?
 Di quali sistemi di valori si fa portavoce lo scudiero? Qual è l’opinione di Lazzaro in
merito?
 Che significato ha la seguente frase: Solo tenia de el un poco de descontento…” (pag.
184). A quale altro passaggio del romanzo si riaggancia?
 L’episodio del funerale e la metafora della condizione dello scudiero.

IV TRATADO (el fraile de la Merced)


Dopo che lo scudiero fugge, indebitato fino al collo, da Lazzaro, quest’ultimo si imbatto nel quarto
padrone, il frate della Mercede, al quale lo indirizzarono alcune donnette, che in qualche modo ci
anticipa il tema del trattato: quello sessuale.
La frase con cui inizia il cap. presenta una relazione molto stretta con quella che chiude il capitolo
precedente, come del resto succede anche con l’inizio del capitolo successivo (il quinto).
Connessioni che risultano alterate e turbate dalla suddivisone in capitoli. In ogni caso, è un fatto che
la narrazione riceva un’improvvisa accelerata e che, a differenza di quanto avviene con i primi tre
padroni, all’esperienza col frate di Mercede sono dedicate pochissime righe.
Il quarto padrone di Lazzaro è un frate mercenario, ordine religioso che non godeva di buona fama,
come conferma il comportamento del nostro personaggio, il quale “gran enemigo del coro y de
comer en el convento” preferisce gli agi e i piaceri della vita mondana: in particolare la pratica
sessuale, come si deduce da vari elementi del testo: “las mujercillas”, donnette o prostitute amiche
del protagonista, dalle quali il frate è chiamato “pariente”, termine utilizzato per indicare un
rapporto immorale da parte del prete; “romper los zapatos”: fa riferimento anche al consumo delle
scarpe, con cui Lazzaro narratore, oltre che ai continui andirivieni, allude al diabolico
comportamento del padrone. Quindi con il tema delle scarpe Lazzaro accenna all’attività erotica del
frate (per cui zapatos=el diablo). Un altro elemento per capire meglio il tema di questo trattato si
ritrova anche nella menzione del “trote”, che si aggiunge ai continui spostamenti del frate fuori dal
convento, ovvero la ruffianeria.
Il racconto termina con l’allusione alle “primeros zapatos che rompi en mi vida” e “a otras
cosillas que no digo”, con i quali alcuni interpreti hanno ricondotto alla sfera della sessualità, in
particolare, si è dedotto che il rapporto con il frate implicherebbe “una nuova esperienza nella vita
di Lazzaro, quella della sua iniziazione alla pratica erotica” e forse, sempre secondo alcuni interpreti
quella omosessuale. Inoltre quando Lazzaro dice di “tralasciare alcune cose” ci ritroviamo di fronte
a una formula tipica dei cambi di temi e delle conclusioni delle lettere, che sembra particolarmente
adatta al momento in cui Lazzaro comincia ad imprimere un ritmo più rapido al racconto.

V TRATADO (un Buldero)


Dopo il frate de la Merced, Lazzaro si imbatte nel quinto padrone, un venditore d’indulgenze, che
come lo descrive Lazzaro, era il più disinvolto e spudorato, inventandosi ingegnosissime trovate. Il
buldero di cui Lazzaro racconta è uno dei tanto commissionari di indulgenze, i quali avevano
l’incarico di divulgare le bolle della Santa Crociata e di raccogliere le elemosine che i fedeli
versavano in cambio delle indulgenze. Ma qui non si tratta di commissario bensì di predicatore
delle bolle.
Il passo contiene numerosi giochi di parole (“presentar/presentaba”, “ofreciendosele a las gracias”
ecc…) con i quali il narratore anticipa la perversa commistione della sfera religiosa o spirituale e di
quella mondana, su cui è costruito l’intero capitolo, e, al tempo stesso, lascia scorgere il clima di
corruzione, che verrà illustrato nel racconto dell’inganno del buldero.
Inganno: con la menzione del luogo dove la vicenda è ambientata (“la Sagra de Toledo”) inizia la
narrazione dell’episodio dell’inganno o del falso miracolo che il quinto padrone trama ai danni degli
ingenui abitanti. Il racconto del sottile inganno è organizzato dalla coppia formata dal predicatore di
bolle (il suo padrone) e dal bargello, i quali mettono in scena un falso miracolo, a seguito del litigio
e dello svenimento del bargello, con la conseguente orazione da parte del predicatore con la quale
fece piangere la gente.
Nel racconto, Lazzaro adulto e narratore, perfettamente consapevole dell’inganno, decide di
raccontare l’episodio del falso miracolo adottando il punto di vista del piccolo Lazzaro, ossia di un
testimone della vicenda, che ne sa quanto gli ignari abitanti. Il ruolo di testimone svolto da Lazzaro,
in quanto personaggio, e il punto di vista che Lazzaro assume come narratore, consentono di
iscrivere l’intera esperienza formativa di Lazzaro. Il racconto del falso miracolo si conclude con la
confessione di Lazzaro di essere stato vittima dell’inganno, al pari degli abitanti del paese, dove
Lazzaro ammette “confieso mi pecado que tambien fui dello espantado y crei que asi era, como
otros muchos”. Espressione che rimanda all’innocenza del primo trattato, “yo simplemente llegue,
creyendo ser asi”, quando il cieco invita Lazzaro ad avvicinare il capo della statua di pietra. E
abbiamo qui anche un altro aspetto comune, nella reazione del cieco che “rise assai delle burla” e
così il predicatore e e il bargello hanno ora, la stessa reazione alla fine del miracolo “con ver
despues la risa y burla que mi amo, y el alguacil llevaban y hacian del negocio”. Con la
differenza però, che mentre Lazzaro, nel primo episodio è vittima delle burla e oggetto della risata
del cieco, nel V tratado, Lazaro si trova dalla parte di chi ride dell’inganno. E inoltre, la
compiacenza e l’intimo godimento che il protagonista prova nello scoprire la frode fanno di lui un
impostore al pari del padrone e del compare. Lazzaro quindi apprezza l’ingegno e l’astuzia del
venditore ed il bargello (disvalore).
Per quanto riguarda la modalità narrativa abbiamo qui la presenza (per la prima volta) di un nuovo
punto di vista, con la focalizzazione esterna, poiché il narratore ne sa meno del personaggio nel
momento in cui Lazzaro è messo sullo stesso piano degli abitanti ignari e quindi la narrazione si
focalizza sul punto di vista di Lazzaro bambino che racconta la vicenda come se non sapesse cosa
sta succedendo.
In conclusione, possiamo dire che con l’esperienza vissuta da Lazzaro nel V trattato, la formazione
di Lazzaro si è definitivamente compiuta, poiché il ragazzo fa parte della gente ingenua

VI TRATADO (un capellan)


Nel sesto trattato vengono presentati due padroni: inizialmente Lazzaro racconta di essere stato al
servizio di un maestro pittore di tamburelli (pintar panderos), col compito di preparare i colori.
Dopodiché, essendo ormai un giovincello, prese al servizio di un cappellano della cattedrale di
Toledo, il quale gli affidò un asino, quattro giare e una frusta, il cui compito/attività era quello di
banditore e venditore dell’acqua, che anticipa quella di banditore di vino nel settimo trattato.
Questo mestiere costituisce un primo passo (“un primer escalo que yo subi para venir a alcanzar
buena vida”) dell’ascesa sociale di Lazzaro, il quale comincia a guadagnare di suo, tanto da fargli
affermare che “mi boca era medida” (sempre piena), espressione con la quale il narratore informa
che viveva molto bene, e che aveva tutto ciò che desiderava. Tant’è che con i risparmi di quattro
anni Lazzaro può concedersi l’acquisto di diversi capi d’abbigliamento (passaggio successivo) che,
trattandosi di roba usata, si presentano alquanto logori (un jubon de fustan viejo, un sayo raido y
una capa y una espada). Così Lazzaro ritiene di poter passare per un hombre de bien, espressione
con cui si indica il nobile. Questa “ossessione” di Lazzaro per la roba di fustagno e la spada,
rimanda allo scudiero, dal quale ha infatti appreso che la forma di vestire distingue socialmente le
persone e anche al “vestirsi con onore”, quindi mette in atto l’insegnamento dell’hidalgo.
Siamo davvero a un punto di svolta nella vita di Lazzaro e nel racconto di essa, come si deduce
dall’indicazione cronologica, nella quale se all’inizio Lazzaro rivela di essere “buen mozuelo”
(giovincello), alla fine rivela che dopo 4 anni al servizio del cappellano, avrebbe raggiunto l’età
intorno ai 19 anni.

VII TRATADO (al servicio de un alguacil)


L’onorabilità conquistata con i logori vestiti comprati con i risparmi di 4 anni, fa di Lazzaro un
rappresentante di giustizia al servizio di un bargello, con la funzione di arrestare e di condurre in
carcere i delinquenti, infatti dirà Lazzaro “parecerme oficio peligroso”, in seguito al quale decide
di rompere il contratto. Quindi non sorprende a questo punto che Lazzaro voglia trovarsi una
sistemazione definitiva, che gli consenta di vivere serenamente e nel frattempo, di guadagnare per la
vecchiaia. Lazzaro la ottiene grazie ad alcune sue buone conoscenze e che si concretizzò nel
mestiere di banditore di vino nella città di Toledo, con il quale ritiene di aver raggiunto una
condizione di prosperità, infatti “medrar” è la parola chiave a proposito della favorevole
condizione di cui dice di godere e che comparirà in bocca all’arciprete di San Salvatore. E con
l’espressione “quiso Dios alumbrarme y ponerme en camino” si riallaccia all’insegnamento
ricevuto dal cieco quando Lazzaro dice “m’illuminò e guidò nel cammino della vita”. Dopodiché
viene citato un nuovo personaggio, il signor arciprete di San Salvatore, il quale fa sposare
Lazzaro con una sua serva, la quale riceve dall’arciprete dei benefici materiali mandati a sua volta
al marito, e che quindi baratta il proprio onore di marito attraverso la moglie. L’arciprete “servitore
e amico” di Vossignoria, fatto che comincia a giustificare il perché della richiesta del caso da parte
di Vuestra Merced. Infatti circolano delle dicerie (“malas lenguas”) su una presunta relazione tra la
moglie e il prete. Tant’è che il discorso del prete a Lazzaro è un vero concentrato di etica al
rovescio, che come sappiamo Lazzaro ha già avuto modo di assimilare nel suo percorso di
formazione, il cui discorso è ricco di parole chiavi come: “provecho” (profitto) in riferimento al
vantaggio materiale a cui aspira Lazzaro (il grano, la carne, i vestiti per quanto usati) e che avrà
grazie alla moglie. Diremo quindi che Lazzaro arrivo al 7 trattato è un opportunista, la cui virtù
servirà a Lazzaro per arrivare al buen puerto; “medrar” che rimanda sì a un processo di ascesa
sociale ma solo nel senso di sopravvivenza, alla quale Lazzaro non può rinunciare ed ecco perché
non tiene conto delle dicerie sulla presunta relazione tra la moglie e l’arciprete; il concetto di
“honra” che si rifà all’onore di Lazzaro marito che baratta attraverso la moglie. Al che Lazzaro
nella risposta usa la parola “parir” (partorire, ma anche abortire) che viene giudicato sconcio e che
si preferiva evitare, soprattutto davanti alla moglie e anche al riferimento del triplice parto della
moglie, che rimanda al fatto che l’arciprete ha messo incinta tre volte la moglie. L’episodio si
conclude con l’intesa raggiunta dai tre personaggi “Y asi quedamos todos ters bien conformes”.
Così Lazzaro ha deciso di non badare ai pettegolezzi e di chiudere per sempre la faccenda con
definitivo silenzio sul caso (“fino al giorno d’oggi nessuno ci ha mai sentito parlare del caso”), in
riferimento dunque alla relazione che la moglie intratteneva con l’arciprete e sull’accettazione da
parte del marito, tradito. In ogni caso, il riferimento al caso riporta immediatamente al principio
dell’epistola, dove Lazzaro alludeva alla richiesta di Vossignoria (servitore e amico dell’arciprete)
che gli ha scritto chiedendogli dettagliate notizie sul caso.
Al termine dell’epistola il lettore capisce quindi che le “male lingue” sono vere e che quindi
Lazzaro mente: lo sa perché lo conosce e in ciò consiste la sostanza del caso. La struttura
dell’opera si rivela quindi coerente: la richiesta iniziale di Vuestra Merced in relazione al caso
induce Lazzaro a raccontare la propria vita e di conseguenza si conclude quando si è consumata la
spiegazione del caso. La conoscenza della persona che Lazzaro è e che è diventato, consente a
Vossignoria di comprendere non solo ciò che può muovere un uomo ad accettare il disonore
familiare ma al tempo stesso per scoprire la cruda verità nella menzogna.
Alla fine dell’epistola Lazzaro indica il luogo e la data di redazione della lettera, con l’uso dei tempi
verbali al passato con un rapporto con gli avvenimenti storici (tripudi e grandi festeggiamenti che si
celebrarono nella città di Toledo in occasione delle Cortes). Il racconto autobiografico si chiude,
dunque, con l’evocazione della felice condizione di Lazzaro (“estaba en mi prosperidad y en la
cumbre de toda buena fortuna”) che ha conseguito, come aveva fatto nel Prologo, al raggiungimento
del “buen puerto”, ma il suo racconto è servito anche a mostrare che tipo di virtù sia quella che si
vedono costretti ad esercitare gli uomini, i quali pur essendo di bassa condizione hanno raggiunto la
prosperità, si sono elevati ugualmente.
 Ulteriori esempi di ironia e alla veridicità del caso: p. 218 “Mas malas lenguas, que nunca
faltaron ni faltaran, no nos dejan vivir, diciendo no se que y si se que…”, ultima
espressione che rimanda al discorso della madre nel 1 trattato. Altro esempio quando
Lazzaro dice rivolto alla moglie “ Entonces mi mujer echo juramentos sobre si, que yo
pense que la casa se hundieracon nosotros” y “pues estaba bien seguro de su bondad”:
Lazzaro crede nell’onestà della moglie e decide di non tener conto delle dicerie per la
necessità dei benefici materiali (provecho), oppure ancora quando Lazzaro dice: “jurare
sobre la hostia consagrada que es tan buena mujer como vive dentro de las puertas de
Toledo…”, che confermano ancora di più quanto detto prima poiché adesso Lazzaro,
nonostante sia consapevole del tradimento della moglie e quindi sulla veridicità del caso
decide di non ascoltare più quelle dicerie.

3. Novelas ejemplares
4. Storia della letteratura spagnola (epoca del 500 e 600)

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