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Liceo Classico e Musicale “B.

Zucchi”
di Monza

Attraversando Pasolini
Pasolini, intellettuale corsaro e pensatore meridiano
di xxx

Io sono una forza del Passato.


Solo nella tradizione è il mio amore.

Io so perché sono un intellettuale, uno scrit-


tore che cerca di seguire tutto ciò che suc-
cede, di conoscere tutto ciò che non si sa o
che si tace; che coordina fatti anche lontani,
che mette insieme i pezzi disorganizzati e
frammentari di un interero coerente qua-
dro politico, che ristabilisce la logica là dove
sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il
mistero.
(P.P. Pasolini, Che cos’è questo golpe?, 14 no-
vembre 1974)

Pasolini è stato, anzitutto, un intellettuale, non in quanto “voce” di


una tendenza sociale o in quanto professionista che pone il proprio
lavoro al servizio dell’ordine costituito, ma in quanto outsider,
contestatore dello status quo, che trova nella sfida e nel dissenso il
significato della sua avventura.
Pasolini ha interpretato alla perfezione il tipo di intellettuale
codificato da Edward Said nel testo Dire la verità. Gli intellettuali
e il potere, che raccoglie una serie di conferenze tenute dall’autore
Prima edizione: marzo 2017 negli anni ’90 sul ruolo degli intellettuali. Nel tentativo di defi-
nirne la funzione, Said scrive:
Proprietà letteraria riservata
© 2017 La Vita Felice - Milano Caratteristica prima dell’intellettuale, ai miei occhi, è il fatto di
isbn 978-88- essere una persona capace di rappresentare, incarnare, articolare
www.lavitafelice.it un messaggio, un punto di vista, un atteggiamento, una filosofia o
info@lavitafelice.it una convinzione di fronte a un pubblico e per un pubblico. Questo

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ruolo è un’arma a doppio taglio. È indispensabile, pertanto, che Pasolini, però, è stato un intellettuale anche nel senso foucaultia-
non venga mai meno la consapevolezza di essere qualcuno la cui no del termine, in quanto parrhesiastés, ossia fautore della parrhesia,
funzione è di sollevare pubblicamente questioni provocatorie, di del parlar franco in ogni circostanza di vita, pubblica o privata che
sfidare ortodossie e dogmi (e non di generarne), di non lasciarsi fosse, codificato brillantemente dal pensatore francese nel saggio
facilmente cooptare da governi o imprese, di trovare la propria ra- Discorso e verità nella Grecia antica:
gion d’essere nel fatto di rappresentare tutte le persone e le istanze
che solitamente sono dimenticate o censurate. [...]Non esiste la La parresìa è una specie di attività verbale in cui il parlante ha uno
figura privata dell’intellettuale, poiché nel momento stesso in cui specifico rapporto con la verità attraverso la franchezza, una certa
egli mette per iscritto alcune parole per poi pubblicarle è già una relazione con la propria vita attraverso il pericolo, un certo tipo
figura pubblica. [...] Ma l’intellettuale non ha il compito di mettere di relazione con se stesso e con gli altri attraverso la critica (auto-
il pubblico a suo agio; ciò che importa è ripovocare, contrastare, critica o critica di altre persone), e uno specifico rapporto con la
a costo di risultare spiacevoli. [...] Gli intellettuali sono individui legge morale attraverso la libertà e il dovere. Più precisamente, la
che hanno come vocazione l’arte di rappresentare: parlando, scri- parresìa è un’attività verbale in cui un parlante esprime la propria
vendo, insegnando, intervenendo in televisione. E tale vocazione relazione personale con la verità, e rischia la propria vita perché
è significativa nella misura in cui è pubblicamente riconoscibile e riconosce che dire la verità è un dovere per aiutare altre persone (o
implica impegno e rischio, audacia e vulnerabilità. se stesso) a vivere meglio.
(E. Said, Dire la verità. Gli intellettuali e il potere, Feltrinelli, 1995, (M. Foucault, Discorso e verità nella Grecia antica, Donzelli ed.,
pp. 26-27). 2005, p. 5)
Non esiste descrizione migliore di quella fornitaci da Said per E, soprattutto, è stato un intellettuale perché ha rappresentato,
l’attività di Pasolini. Per quanto fino alla fine abbia amato defi- incarnato, articolato un messaggio, un punto di vista, un atteggia-
nirsi “poeta” – «Io sono quello che in senso tecnico si definisce poeta», mento, una filosofia, una convinzione e lo ha fatto a tal punto da
afferma in una delle tante ’interviste–, Pasolini è stato, anzitutto, fare della propria opera «una sorta di appendice vivente di se stesso»
un intellettuale nel senso sopra descritto. Le credenziali che ha (R. Esposito, L’insostenibile, in Pensiero vivente. Origine e attualità
consegnato alla storia parlano chiaro: è stato una figura pubblica, della filosofia italiana, Einaudi, 2010, p. 196).
ha sollevato questioni provocatorie (il ’68, l’aborto, ecc.), ha sfidato
dogmi (la Chiesa) e ortodossie (il marxismo ufficiale), non si è
lasciato cooptare (non ha avuto nessuna tessera pur dichiarandosi La questione della lingua
sempre comunista), ha contrastato fino a scandalizzare con tutti i L’esigenza di rapportarsi “all’immenso orizzonte dei fenomeni” per
mezzi possibili (la parola, la scrittura poetica e saggistica, il cine- sottoporli a una verifica continua, per poterli valutare da un punto
ma, la televisione) senza mai preoccuparsi di mettere a suo agio il di vista critico e gettarsi, nel caso, nella lotta nella convinzione che
pubblico ma, anzi, procurandosi nemici su tutti i fronti. È stato non c’è altra poesia che l’azione reale (P.P. Pasolini, Bestemmia), si
audace, ha corso dei rischi (le cronache ricordano le contestazioni palesa fin dalla giovinezza. E il primo orizzonte storico con cui il
e le aggressioni dei neofascisti anche poco prima della morte), ha giovane Pasolini si confronta è quello del Fascismo, regime autori-
dimostrato tutta la sua vulnerabilità (innumerevoli le accuse rivolte tario che soffoca ogni forma di libertà; e, per quanto “l’avversione
alla persona e all’opera ininterrottamente dal 1949 al 1975). al fascismo fosse ancora implicita” (Ibid.), si fa già strada la prima
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presa di posizione: è giusto che i poeti manifestino liberamente il del ’45, La meglio gioventù (1954) e L’usignolo della chiesa catto-
proprio pensiero. Il giovane Pasolini ha l’audacia di scriverlo sul lica (1958), bisogna arrivare al 1974 con La nuova gioventù per
Setaccio, la rivista universitaria della GIL a cui collabora negli anni trovarne altri), si mantiene costante l’interesse verso lingua friu-
dell’università, e si guadagna l’allontanamento dalla redazione. lana e, più in generale, verso i problemi della lingua. Non a caso,
E, sempre l’antifascismo – insieme ad altre istanze – lo spinge negli anni corsari, Pasolini individuerà proprio nella lingua uno
ad adottare la lingua friulana nella sua prima raccolta (Poesie a dei principali vettori dell’omologazione culturale neo-capitalistica
Casarsa), e poi a fondare, negli anni del cd. esilio casarsese le e, contestualmente, la controprova della diffusione di un nuovo
riviste Stroligut de ca da laga (1944) e Stroligut, e l’Academiuta de “Potere” per nulla ostacolato dagli ignavi politici di quegli anni:
lenga friulana (1945), tutte iniziative a metà strada tra politica I potenti democristiani che in questi anni hanno detenuto il potere,
e letteratura, perché riconoscere e difendere la dignità letteraria dovrebbero andarsene, sparire, per non dire di peggio. Invece, non
del dialetto friulano, in un momento storico in cui il Fascismo solo restano al potere, ma parlano. Ora è la loro lingua che è la
non ammetteva che in Italia ci fossero particolarismi locali e idiomi pietra dello scandalo. Infatti, ogni volta che aprono bocca, essi, per
di ostinati...” e imponeva l’omologazione linguistica, significava insincerità, per colpevolezza, per paura, per furberia, non fanno
compiere un gesto politico, operare una scelta ideologica, attuare altro che mentire. La loro lingua è la lingua della menzogna. [...]
una contestazione del potere in termini analoghi a quelli adottati Non la si può ascoltare, bisogna tapparsi le orecchie. Il primo do-
nei confronti del regime franchista dai poeti catalani che, all’epoca, vere degli intellettuali, oggi, sarebbe quello di insegnare alla gente a
Pasolini legge e traduce con grande interesse: non ascoltare le mostruosità linguistiche dei potenti democristiani,
a urlare, a ogni loro parola, di ribrezzo e di condanna. In altre pa-
[...] La dittatura fascista di Franco ha condannato la lingua catalana role, il dovere degli intellettuali sarebbe quello di rintuzzare tutte
al più duro ostracismo, espungendola non solo dalla scuola e dai le menzogne che attraverso la stampa e soprattutto la televisione
tribunali, ma dalla tribuna, dalla radio, dalla stampa, dal libro e inondano e soffocano quel corpo del resto inerte che è l’Italia.
perfino dalla Chiesa [...] Ciò non ostante gli scrittori catalani se-
guitano a lavorare nelle catacombe in attesa del giorno, forse non (P.P. Pasolini,... in Lettere luterane...)
lontano, in cui il sole della libertà splenderà di nuovo su questa Proprio in virtù di questi eventi Pasolini leverà sempre la propria
lingua, erede della provenzale, che fu la seconda in importanza – voce in difesa dei dialetti, ultime sacche di resistenza:
dopo l’italiana – nel Medio Evo.
Improvvisamente in questa situazione, dopo quasi trent’anni, ho
(P.P. Pasolini, «Quaderno romanzo», 3, 1947)
ricominciato a scrivere in dialetto friulano. Forse non continuerò.
E la marca politica del gesto si fa ancora più palese se lo si inqua- I pochi versi che ho scritto resteranno forse un unicum. Tuttavia
dra all’interno del più ampio progetto politico dell’autonomia del si tratta di un sintomo e comunque di un fenomeno irreversibi-
Friuli. Già in questi anni si fa strada, dunque, la convinzione – che le. Non avevo automobile, quando scrivevo in dialetto (prima il
diventerà certezza dopo la lettura di Gramsci – che “ogni volta che friulano, poi il romano). Non avevo un soldo in tasca, e giravo in
si ripropone la questione della lingua, vuol dire che si ripropongono bicicletta. E questo fino a trent’anni d’età e più. Non si trattava
solo di povertà giovanile. E in tutto il mondo povero intorno a
problemi sociali e politici di fondo” (P.P. Pasolini, Le belle bandiere, me, il dialetto pareva destinato a non estinguersi che in epoche
in Vie Nuove, 1963). Anche se negli anni successivi la produzione così lontane da parere astratte. L’italianizzazione dell’Italia pareva
in lingua dialettale rallenta (dopo le raccolte Dov’è la mia patria doversi fondare su un ampio apporto dal basso, appunto dialettale

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e popolare (e non sulla sostituzione della lingua pilota letteraria con dell’unificazione linguistica): ma non si tratta di un discorso a tec-
la lingua pilota aziendale, com’è poi avvenuto). Fra le altre tragedie nici come il quantitativo di terminologia tecnica, enorme, potrebbe
che abbiamo vissuto (e io proprio personalmente, sensualmente) in far credere; si tratta di un discorso a un pubblico normale, trasmes-
questi ultimi anni, c’è stata anche la tragedia della perdita del dia- so per televisione a un numero di italiani di tutte le condizioni,
letto, come uno dei momenti più dolorosi della perdita della realtà. le culture, i livelli, le regioni. Inoltre, non si tratta di un discorso
di circostanza (una vecchia inaugurazione), ma di un discorso che
(Ignazio Buttitta, Io faccio il poeta, in «Tempo», 11 gennaio 1974,
Moro ha investito di un’alta funzionalità sociale e politica: le sue
poi in Scritti corsari)
frasi così crudamente tecniche hanno addirittura una funzione
In uno dei saggi (Nuove questioni linguistiche, in Rinascita, di- di captatio benevolentiae: sostituiscono quei passi che un tempo
cembre 1964) raccolti in Empirismo eretico Pasolini, misurandosi sarebbero stati di perorazione e enfasi. Infatti Moro strumentalizza
con la vexata quaestio dell’assenza di una vera e propria lingua l’inaugurazione dell’autostrada per fare un appello politico agli
italiana nazionale, spiega che: italiani, raccomandando loro un fatto politicamente assai delicato
quello di cooperare al superamento della congiuntura: cooperare
La lingua italiana è la lingua della borghesia italiana che per ragioni idealmente e praticamente, essere, cioè, disposti ad affrontare dei
storiche determinate non ha saputo identificarsi con la nazione, ma sacrifici personali. Una tale raccomandazione nell’italiano che noi
è rimasta classe sociale: [...] è la lingua delle sue abitudini, dei suoi siamo abituati a considerare nazionale, avrebbe richiesto un tour
privilegi, delle sue mistificazioni, insomma della sua lotta di classe. de force dell’ars dictandi: colon simmetrici, cursus latineggianti,
lessico umanistico e clausole enfatiche. Qualcosa di fondamentale
e poi, analizzando il linguaggio politico e giornalistico diffuso dai è dunque successo alle radici del linguaggio politico ufficiale. Esso,
media, vi coglie le spie dei cambiamenti profondi in corso nella insieme al linguaggio letterario è sempre stato caratterizzato da quel
società italiana. In particolare, si sofferma sul discorso pronunciato fenomeno anacronistico in quanto tipicamente rinascimentale che
nell’ottobre del 1964 da Aldo Moro in occasione dell’inaugurazio- è l’osmosi col latino. Ora tale fenomeno è stato sostituito alla base
ne dell’Autostrada del Sole. A commento di uno dei tenti passaggi da un altro fenomeno, è osmosi col linguaggio tecnologico della
del discorso: civiltà altamente industrializzata.
La produttività degli investimenti del piano autostradale dipen- La tecnologia ha, dunque, trasformato il linguaggio politico,
de dunque dal loro coordinamento in una programmazione delle ma ha anche permeato di sé altri linguaggi settoriali, uno tra tutti
infrastrutture di trasporto, che tenda a risolvere gli squilibri, a il linguaggio della pubblicità, quello che si nutre e ci nutre di slo-
eliminare le strozzature, a ridurre gli sperperi della concorrenza gan dotati di un “potere di suggestione linguistica enorme”. Pasolini
tra i diversi mezzi di trasporto, a dare vita insomma a un sistema riprende e approfondisce l’argomento in “Analisi linguistica di uno
integrato su scala nazionale.
slogan” (Il folle slogan dei jeans Jesus, Corriere della sera, maggio
Pasolini, da “linguista ossessionato” (Pasolini, I parlanti, ora in ’73), uno degli scritti corsari più giustamente famosi:
Appendice a Ragazzi di vita, Torino, Einaudi, 1979) qual è, osserva Il linguaggio dell’azienda è un linguaggio per definizione pura-
acutamente: mente comunicativo: i “luoghi” dove si produce sono i luoghi
È una frase tratta da un discorso di Moro. Nel significativo mo- dove la scienza viene “applicata”, sono cioè luoghi del pragma-
mento dell’inaugurazione dell’autostrada del Sole (significativo in tismo puro. I tecnici parlano fra loro un gergo specialistico, sì,
quanto tale «infrastruttura» è certo un momento tipico e nuovo ma in funzione strettamente, rigidamente comunicativa. [...] C’è

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un solo caso di espressività – ma di espressivita aberrante – nel hanno lanciati nel mercato, usando per lo slogan di prammatica
linguaggio puramente comunicativo dell’industria: è il caso dello uno dei dieci Comandamenti, dimostrano – probabilmente con
slogan. Lo slogan infatti deve essere espressivo, per impressionare una certa mancanza di senso di colpa, cioè con l’incoscienza di chi
e convincere. Ma la sua espressività è mostruosa perché diviene non si pone più certi problemi – di essere già oltre la soglia entro
immediatamente stereotipa, e si fissa in una rigidità che è proprio cui si dispone la nostra forma di vita e il nostro orizzonte mentale.
il contrario dell’espressività, che è eternamente cangiante, si offre a C’è, nel cinismo di questo slogan, un’intensità e una innocenza
un’interpretazione infinita. La finta espressività dello slogan è così la di tipo assolutamente nuovo, benché probabilmente maturato a
punta massima della nuova lingua tecnica che sostituisce la lingua lungo in questi ultimi decenni (per un periodo più breve in Italia).
umanistica. Essa è il simbolo della vita linguistica del futuro, cioè di Esso dice appunto, nella sua laconicità di fenomeno rivelatosi di
un mondo inespressivo, senza particolarismi e diversità di culture, colpo alla nostra coscienza, già così completo e definitivo, che i
perfettamente omologato e acculturato. Di un mondo che a noi, nuovi industriali e nuovi tecnici sono completamente laici, ma
ultimi depositari di una visione molteplice, magmatica, religiosa e di una laicità che non si misura più con la religione. Tale laicità è
razionale della vita, appare come un mondo di morte. [...] un “nuovo valore” nato nell’entropia borghese, in cui la religione
Sembra folle, ma un recente slogan, quello divenuto fulminea- sta deperendo come autorità e forma di potere, e sopravvive in
mente celebre, dei jeans “Jesus”: “Non avrai altri jeans all’infuori quanto ancora prodotto naturale di enorme consumo e forma fol-
di me”, si pone come un fatto nuovo, una eccezione nel canone cloristica ancora sfruttabile. Ma l’interesse di questo slogan non
fisso dello slogan, rivelandone una possibilità espressiva imprevista, è solo negativo, non rappresenta solo il modo nuovo un cui la
e indicandone una evoluzione diversa da quella che la convenzio- Chiesa viene ridimensionata brutalmente a ciò che essa realmente
nalità – subito adottata dai disperati che vogliono sentire il futuro ormai rappresenta: c’è in esso un interesse anche positivo, cioè la
come morte – faceva troppo ragionevolmente prevedere. possibilità imprevista di ideologizzare, e quindi rendere espressivo,
Si veda la reazione dell’”Osservatore romano” a questo slogan: il linguaggio dello slogan e quindi presumibilmente, quello dell’in-
con il suo italianuccio antiquato, spiritualistico e un po’ fatuo, tero mondo teconologico. [...] Questo slogan [...] è qualcosa di più
l’articolista dell’”Osservatore” intona un treno, non certo biblico, che una trovata spregiudicata [...] Non si limita a comunicare la
per fare del vittimismo da povero, indifeso innocente. È lo stesso necessità del consumo, [...] anche se magari magistratura e poli-
tono con cui sono redatte, per esempio, le lamentazioni contro la ziotti, messi subito cristianamente in moto, riusciranno a strappare
dilagante immoralità della letteratura o del cinema. [...] dai muri della nazione questo manifesto e questo slogan, ormai si
È vero: come dicevo, alle lamentele patetiche dell’articolista tratta di un fatto irreversibile anche se forse molto anticipato: il
dell’“Ossevatore” segue tuttora immediatamente – nei casi di op- suo spirito è il nuovo spirito della seconda rivoluzione industriale
posizione “classica” – l’azione della magistratura e della polizia. e della conseguente mutazione dei valori.
Ma è un caso di sopravvivenza.[...] La Chiesa, ormai, ha finito
l’appartenere a quel mondo umanistico del passato che costituisce Al di là della finta, aberrante, mostruosa espressività di tutti gli
un impedimento alla nuova rivoluzione industriale; il nuovo potere slogan (l’espressività dello slogan è così definita, perché ha uno sco-
borghese infatti necessita nei consumatori di uno spirito totalmente po predefinito, ossia impressionare e convincere), ce ne sono alcuni,
pragmatico ed edonistico: un universo tecnicistico e puramente divenuti fulmineamente celebri, che rappresentano un’eccezione nel
terreno è quello in cui può svolgersi secondo la propria natura il canone fisso dello slogan; è il caso dello slogan dei jeans Jesus: Non
ciclo della produzione e del consumo. Per la religione e soprattutto avrai altri jeans all’infuori di me. Esso rivela una possibilità espressiva
per la Chiesa non c’è più spazio. [...] Il caso dei jeans “Jesus” è un imprevista: coloro che hanno prodotto questi jeans e li hanno lanciati
spia di tutto questo. Coloro che hanno prodotto questi jeans e li

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nel mercato, usando, per lo slogan di prammatica uno dei dieci coman- Nuove Pasolini, dando spiegazioni sul film a uno dei suoi lettori,
damenti, dimostrano – [...] con l’incoscienza di chi non si pone più scrive:
certi problemi – di essere già oltre la soglia entro cui si dispone la nostra Forse appunto perché sono così poco cattolico ho potuto amare il
forma di vita e il nostro orizzonte mentale. Nel cinismo di questo Vangelo e farne un film [...] Ho potuto farlo così come l’ho fatto,
slogan c’è un messaggio chiaro: i nuovi industriali e i nuovi tecnici perché mi sento libero, e non ho paura di scandalizzare nessuno; e,
sono completamente laici, ma di una laicità che non si misura più con infine, perché sento che la parola d’amore (incapacità di concepire
la religione, la laicità è un nuovo valore che, nato nell’entropia bor- discriminazioni manichee, istinto di gettarsi aldilà delle abitudini,
ghese, annichilisce la religione come autorità e forma di potere e la sempre, sfidando ogni contraddizione), parola d’amore di cui è
lascia sopravvivere solo come prodotto naturale di enorme consumo stato campione Giovanni XXIII, va considerata un impegno nella
e forma folcloristica ancora sfruttabile. La conclusione non può che nostra lotta.
essere negativa, soprattutto per chi, come Pasolini, che ha vissuto E a Giovanni XXIII Pasolini accenna anche in altre pagine di
e sperimentato l’amore per il mondo, dispera di poter creare altri Vie Nuove, elogiandone il distacco luminoso dalle cose della vita, lo
valori analoghi a quelli che hanno resa preziosa un’esistenza: “anche sguardo globale che egli gettava sul mondo. Del resto Pasolini non
se magistratura e poliziotti riusciranno a strappare dai muri della ha mai rinnegato la sua formazione cattolica, i suoi tentativi di
nazione questo manifesto e questo slogan, non potranno strapparne e fede, l’istanza positiva della Chiesa delle origini, ancora incorrotta,
cancellarne lo spirito, che è il nuovo spirito della seconda rivoluzione attenta ai bisogni dei più deboli, una Chiesa annichilita da secoli
industriale e della conseguente mutazione dei valori. di potere temporale:

Eppure, Chiesa, ero venuto a te


Il rapporto con la Chiesa Pascal e i Canti del Popolo Greco
Dalla penna di un uomo che si è sempre professato uno degli uo- tenevo stretti in mano, ardente, come se
mini meno cattolici che operino oggi nella cultura italiana parlare di il mistero contadino, quieto
salvaguardia della Chiesa come forma e autorità potrebbe suonare e sordo nell’estate del quarantatre,
strano. Ma, anche qui la posizione di Pasolini non è semplificante e tra il borgo, le viti e il greto
cristallizzata: affermare di non essere cattolico, non significa auto- del Tagliamento, fosse al centro
maticamente essere d’accordo per la dissoluzione della prospettiva della terra e del cielo;
cristiana e della funzione secolare rivestita dalla Chiesa, anzi. Più [...]
volte Pasolini torna sul valore rivoluzionario del Cristianesimo,
Fu una breve passione. Erano servi
soprattutto con il film Il Vangelo secondo Matteo dedicato alla me- quei padri e quei figli che le sere
moria di Giovanni XXIII in cui la “buona novella” del Nazareno di Casarsa vivevano, così acerbi,
viene narrata senza alcuna retorica, ma “con un pathos, con uno
sguardo nitido, con una bellezza calligrafica”, che ancora oggi stu- per me, di religione: le severe
piscono. (cfr. N. Vendola, Perché il Vangelo secondo Pasolini ancora loro allegrezze erano il grigiore
ci stupisce, Repubblica, 10 ottobre 2014). Infatti, nel ’64 su Vie di chi, pur poco, ma possiede;

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la chiesa del mio adolescente amore ma non autoritaria, di tutti coloro che rifiutano (e parla un mar-
era morta nei secoli, e vivente xista, proprio in quanto marxista) il nuovo potere consumistico,
solo nel vecchio, doloroso odore che è completamente irreligioso; totalitario; violento; falsamente
tollerante, anzi, più repressivo che mai; corruttore, degradante (mai
dei campi. Spazzò la Resistenza
più di oggi ha avuto senso l’affermazione di Marx per cui il capitale
con nuovi sogni [...]
trasforma la dignità umana in merce di scambio). È questo rifiuto
[...] il dolceardente
che potrebbe quindi simboleggiare la Chiesa: ritornando alle ori-
suo usignolo... gini, cioè all’opposizione e alla rivolta. O fare questo o accettare
un potere che non la vuole più: ossia suicidarsi [...].
(da La religione del mio tempo, in Officina, 12 aprile 1958)
Di qui l’apertura a un possibile dialogo con la Chiesa teorizzato
sempre su Vie Nuove Il rapporto con il PCI
I marxisti fragili temono di “essere distrutti” da un dialogo con Se Pasolini è luterano rispetto alla Chiesa ufficiale, è certamente
la Chiesa, e si attaccano alle vecchie posizioni come rassicuranti. eretico rispetto al marxismo ufficiale, ossia quello del PCI. Nell’in-
Altri marxisti, invece, non provano scandalo, rispetto alle proprie tervista “filosofica” rilasciata a J.Duflot Pasolini definisce il suo
convinzioni, non si disorientano, non provano il capogiro, davanti marxismo estremamente critico nei confronti dei comunisti ufficiali,
all’idea di una chiesa che divida le proprie responsabilità da quelle e specie nei confronti del PCI e afferma di aver sempre fatto parte
dei fascisti e anche con la classe nemica dei “poveri”.
di una minoranza situata al di fuori del partito, sin dalle Ceneri di
ed enucleato nella duplice formula “Una filosofia atea non è la sola Gramsci. Nonostante i numerosi momenti di tensione che hanno
filosofia possibile del marxismo” e “Il grande nemico di Cristo non è caratterizzato il rapporto con il PCI (dopo l’adesione al marxismo
il materialismo comunista, ma il materialismo borghese” diventate e al PCI l’espulsione dal Partito pochi anni dopo e le aspre critiche
pietre angolari nella storia del dialogo tra marxisti e cristiani in dei comunisti Salinari e Berlinguer a Ragazzi di Vita), Pasolini –
Italia, dialogo resosi necessario con l’avvento del neocapitalismo, almeno fino al ’65 – si professa compagno di strada relativamente
che impone anche alla Chiesa “di passare all’opposizione“, evitando ortodosso e in un’intervista successiva a Enzo Biagi dichiara di essersi
di farsi “braccio irresponsabile” del sistema, come sostiene lo stesso sempre opposto al PCI con dedizione, aspettandosi una risposta in
Pasolini: quella che, per lui, era solo una polemica fraterna. Significativi in
[...] Se molte e gravi sono state le colpe della Chiesa nella sua lunga
tal senso i versi sotto riportati:
storia di potere, la più grave di tutte sarebbe quella di accettare Come sono diventato marxista?
passivamente la propria liquidazione da parte di un potere che se Ebbene... andavo tra fiorellini candidi e azzurrini di primavera,
la ride del Vangelo. In una prospettiva radicale, forse utopistica, o, quelli che nascono subito dopo le primule,
è il caso di dirlo, millenaristica, è chiaro dunque ciò che la Chiesa – e poco prima che le acacie si carichino di fiori,
dovrebbe fare per evitare una fine ingloriosa. Essa dovrebbe passare odorosi come carne umana, che si decompone al calore sublime
all’opposizione. [...] Riprendendo una lotta che è peraltro nelle della più bella stagione –
sue tradizioni (la lotta del Papato contro l’Impero), ma non per la e scrivevo sulle rive di piccoli stagni
conquista del Potere, la Chiesa potrebbe essere la guida, grandiosa che laggiù, nel paese di mia madre, con uno di quei nomi

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intraducibili si dicono “fonde”, bandiere, senza vento.
coi ragazzi figli dei contadini [...]
che facevano il loro bagno innocente Poi il canto, che s’era levato
(perché erano impassibili di fronte alla loro vita gioioso, disperato, cessa, e il vecchio
mentre io li credevo consapevoli di ciò che erano) lascia cadere la bandiera, e lento,
scrivevo le poesie dell’”Usignolo della Chiesa Cattolica”; con le lacrime agli occhi,
questo avveniva nel ’43: si ricalca in capo il suo berretto.
nel ’45 “fu tutt’un’altra cosa”. Su questa baraonda della Villa, il buio
Quei figli di contadini, divenuto un poco più grandi, che sommerge la disperata allegria,
si erano messi un giorno un fazzoletto rosso al collo è, forse, più l’ombra del dubbio
ed erano marciati che la precoce notte. È la nostalgia
verso il centro mandamentale, con le sue porte dei vecchi tempi, la paura, pur bandita,
e i suoi palazzetti veneziani. dell’errore, che spira tanta malinconia
Fu così che io seppi ch’erano braccianti, – non l’aria d’autunno, o una sopita
e che dunque c’erano i padroni. pioggia – sulla sfiorita festa.
Fui dalla parte dei braccianti, e lessi Marx. [...] Ma in questa malinconia è la vita.
(P.P. Pasolini, Poeta delle Ceneri, in Bestemmia – Poesie disperse II) (P.P. Pasolini, Una polemica in versi, da Le ceneri di Gramsci, Ei-
naudi, Torino 1981)
Numerose le ragioni di una conflittualità così aspra: del mar-
xismo ufficiale Pasolini non condivideva la chiusura rispetto a un La vicinanza al partito non è, però, in discussione nei momenti
possibile dialogo con la Chiesa, il perbenismo moralista dimostrato di lotta, di emergenza, come in occasione dei disordini seguiti alla
a più riprese, l’allineamento con il PCUS e il conseguente concorso formazione del governo Tambroni (luglio 1960), che videro con-
al fallimento dell’ipotesi socialista in Italia all’indomani del ’56. trapposti fascisti e anti-fascisti senza esclusione di colpi e di cui
Memorabile l’attacco al PCI contenuto in Una polemica in versi: resta eco nel componimento “La croce uncinata”.
«L’ora è confusa, e noi come perduti
la viviamo...», mi mormoravi, amaro,
disilluso di ciò che hai avuto La lotta al neo-capitalismo
per dieci anni dentro, così chiaro Nel marxismo, nella sua capacità di amare il passato e di salvar-
che tra mondo e mente quasi era un idillio: le la tradizione (Vie Nuove, 1962) Pasolini riconosce una sacca
e ha la tua stanchezza – un po’ volgare – di resistenza irrinunciabile per fronteggiare il dilagare del neo-
una smorfia di vecchio figlio
capitalismo.
di immigrati meridionali
affamati e vili dietro il cipiglio È finito un tipo di società e ne è cominciato un altro, il capitalismo
di poveri arrivati, d’ingenui dottrinari. sta evolvendosi, rivoluzionariamente, in neocapitalismo ossia in una
Hai voluto che la tua vita fosse forma organizzata di capitalismo, già mirabilmente descritto da
una lotta. Ed eccola ora sui binari Roberto Roversi, a sua volta collaboratore di “Officina”:
morti, ecco cascare le rosse
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Il rapporto, drammatico, non è più, secondo la fenomenologia classici, che ha raccolto l’uva nella vigna, che ha contemplato il
tradizionale, fra capitale e lavoro; ma fra capitale e capitale, fra sorgere o il calare del sole sui campi, tra i vecchi, fedeli nitriti,
produttore e consumatore; in conclusione: fra produttore e pro- tra i santi belati; che è poi vissuto in piccole città dalla stupenda
duttore in una complementarità di interessi e diu problemi a volte forma impressa dalle età artigianali, in cui anche un casolare o
insormontabile. [Questo nuovo capitalismo] la cui ideologia è assai un muricciolo sono opere d’arte, e bastano un fiumicello o una
più ordinata agli effetti e più aggiornata rispetto al passato [ha come collina per dividere due stili e creare due mondi. (Non so quindi
fine ultimo e ciclico] la distruzione delle cose, la distruzione globale cosa farmene di un mondo unificato dal neocapitalismo, ossia da
della merce per poi ricomporla; non più un assorbimento graduato un internazionalismo creato, con la violenza, dalla necessità della
ma un annientamento rapido, [in una sola parola] la dissipazione. produzione e del consumo).
[E l’uomo] composto insieme ad altri, livellato e massificato [si
(«Gente», 17 novembre 1975)
ritrova] in un paesaggio alienato, irto di spigolose resistenze, so-
vrabbondante di novità, ma paurosamente uniforme”.
Pasolini, per primo, coglie una serie di mutamenti in atto, in-
(R. Roversi, 10 domande su neocapitalismo e letteratura, in «Nuo- dividua l’inizio di un “nuovo” tempo, il tempo della crisi della
vi Argomenti», 67-68, 1964, ora anche disponibile online al sito secolare civiltà contadina, il tempo dell’urbanesimo, il tempo delle
www.robertoroversi.it/articoli/). migrazioni, il tempo dell’imborghesimento della classe operaia, il
A sua volta Pasolini in un articolo fornisce la propria, non meno tempo dell’esplosione dei mass media.
acuta, lettura del fenomeno: Ma la lungimiranza di Pasolini non si limita a questo. Egli,
per primo, comprende, la crisi irreversibile delle grandi ideologie,
Il capitalismo è oggi il protagonista di una grande rivoluzione in-
delle grandi narrazioni (Lyotard), ossia della Chiesa da un lato,
terna: esso sta evolvendosi, rivoluzionariamente, in neocapitalismo.
[...] potrei dire che la rivoluzione neocapitalistica si pone come del marxismo dall’altro.
competitrice con le forze del mondo che vanno a sinistra. In un E lo dichiara, apertamente, con la scrittura giornalistica (ad
certo modo va esso stesso a sinistra. E, fatto strano, andando (a es. nell’articolo Due crisi del 1965, apparso su Vie Nuove, in cui
suo modo) a sinistra tende a inglobare tutto ciò che va a sinistra. invita il PCI a fare ammenda degli errori del passato) e filmica
Davanti a questo neocapitalismo rivoluzionario, progressista e (Uccellacci e uccellini, 1966)
unificatore si prova un inaudito sentimento (senza precedenti) di È quanto, più di recente, Nanni Moretti ha mirabilmente rap-
unità del mondo. presentato in due dei suoi film, ossia Palombella rossa e Habemus
Perché tutto questo? Perché il neocapitalismo coincide insieme papam, rispettivamente incentrati sull’amnesia del segretario del
con la completa industrializzazione del mondo e con l’applicazio- PCI all’indomani della caduta del muro di Berlino e sull’afasia di
ne tecnologica della scienza. Tutto ciò è un prodotto della storia un Papa all’indomani dell’imprevista ascesa al soglio pontificio,
umana: di tutti gli uomini non di questo o quel popolo. E infatti dove l’amnesia e l’afasia denunciano «l’incapacità di sostenere il peso
i nazionalismi tendono, in un prossimo futuro, a essere livellati da
simbolico della loro funzione pubblica» (M. Recalcati, Il complesso
questo neocapitalismo naturalmente internazionale. Sicché l’unità
del mondo (ora appena intuibile) sarà un’unità effettiva di cultura, di Telemaco, Feltrinelli 2013, p. 23).
di forme sociali, di beni e di consumi. Io spero naturalmente che,
nella competizione che ho detto, non vinca il neocapitalismo: ma
vincano i poveri. Perché io sono un uomo antico, che ha letto i

20 21
Il “nuovo” Potere leranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente;
ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza
Per primo, Pasolini individua il sorgere di un nuovo Potere, un è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere
Potere senza volto, un nuovo e assai più pericoloso Fascismo, e tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’e-
lo denuncia: donismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare
Che cos’è la cultura di una nazione? Correntemente si crede, anche tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto.
da parte di persone colte, che essa sia la cultura degli scienziati, dei Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno
politici, dei professori, dei letterati, dei cineasti ecc.: cioè che essa e dovuto a una «mutazione» della classe dominante, è in realtà – se
sia la cultura dell’intelligencija. Invece non è così. E non è nean- proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma
che la cultura della classe dominante, che, appunto, attraverso la “totale” di fascismo. Ma questo Potere ha anche “omologato” cul-
lotta di classe, cerca di imporla almeno formalmente. Non è infine turalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva,
neanche la cultura della classe dominata, cioè la cultura popolare pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie
degli operai e dei contadini. La cultura di una nazione è l’insieme de vivre. [...]
di tutte queste culture di classe: è la media di esse. E sarebbe dun- Ci sono certi pazzi che guardano le facce della gente e il suo
que astratta se non fosse riconoscibile – o, per dir meglio, visibile comportamento. Ma non perché epigoni del positivismo lombro-
– nel vissuto e nell’esistenziale, e se non avesse di conseguenza una siano (come rozzamente insinua Ferrara), ma perché conoscono la
dimensione pratica. Per molti secoli, in Italia, queste culture sono semiologia. Sanno che la cultura produce dei codici; che i codici
stato distinguibili anche se storicamente unificate. Oggi – quasi di producono il comportamento; che il comportamento è un lin-
colpo, in una specie di Avvento – distinzione e unificazione sto- guaggio; e che in un momento storico in cui il linguaggio verbale
rica hanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato) il linguaggio del
miracolosamente il sogno interclassista del vecchio Potere. A cosa comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva importanza.
è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere. [...] È a un tale livello di comunicazione linguistica che si ma-
Scrivo “Potere” con la P maiuscola [...] solo perché sinceramente nifestano: a) la mutazione antropologica degli italiani; b) la loro
non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. completa omologazione a un unico modello.
So semplicemente che c’è. Non lo riconosco più né nel Vaticano, Dunque: decidere di farsi crescere i capelli fin sulle spalle, oppure
né nei Potenti democristiani, né nelle Forze Armate. Non lo rico- tagliarsi i capelli e farsi crescere i baffi (in una citazione protonove-
nosco più neanche nella grande industria, perché essa non è più centesca); decidere di mettersi una benda in testa oppure di calcarsi
costituita da un certo numero limitato di grandi industriali [...] una scopoletta sugli occhi; decidere se sognare una Ferrari o una
Conosco, anche perché le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di Porsche; seguire attentamente i programmi televisivi; conoscere i
questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo rifiuto titoli di qualche best-seller; vestirsi con pantaloni e magliette pre-
del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione potentemente alla moda; avere rapporti ossessivi con ragazze tenute
di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da suc- accanto esornativamente, ma, nel tempo stesso, con la pretesa che
cesso) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, siano «libere» ecc. ecc. ecc.: tutti questi sono atti culturali.
e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino Ora, tutti gli Italiani giovani compiono questi identici atti, han-
in fondo lo “Sviluppo”: produrre e consumare. no questo stesso linguaggio fisico, sono interscambiabili; cosa vec-
L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere at- chia come il mondo, se limitata a una classe sociale, a una categoria:
tribuisce vagamente ad esso dei tratti “moderati”, dovuti alla tol- ma il fatto è che questi atti culturali e questo linguaggio somatico
sono interclassisti. In una piazza piena di giovani, nessuno potrà

22 23
più distinguere, dal suo corpo, un operaio da uno studente, un ta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie)
fascista da un antifascista; cosa che era ancora possibile nel 1968. continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli:
Padre Zosima (letteratura per letteratura!) ha subito saputo di- la repressione si limitava a ottenere la loro adesione a parole. Og-
stinguere, tra tutti quelli che si erano ammassati nella sua cella, gi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e
Dmitrj Karamazov, il parricida. Allora si è alzato dalla sua seggio- incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiu-
letta ed è andato a prosternarsi davanti a lui. E l’ha fatto (come ra è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della
avrebbe detto più tardi al Karamazov più giovane) perché Dmitrj ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle
era destinato a fare la cosa più orribile e a sopportare il più disu- repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale
mano dolore. repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione
Pensate (se ne avete la forza) a quel ragazzo o a quei ragazzi che borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del
sono andati a mettere le bombe nella piazza dì Brescia. Non c’era sistema d’informazioni.
da alzarsi e da andare a prosternarsi davanti a loro? Ma erano gio- Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente
vani con capelli lunghi, oppure con baffetti tipo primo Novecento, unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma
avevano in testa bende oppure scopolette calate sugli occhi, erano la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale
pallidi e presuntuosi, il loro problema era vestirsi alla moda tutti e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a
allo stesso modo, avere Porsche o Ferrari, oppure motociclette da sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di
guidare come piccoli idioti arcangeli con dietro le ragazze orna- culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distrut-
mentali, si, ma moderne, e a favore del divorzio, della liberazione trice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come
della donna, e in generale dello sviluppo... Erano insomma giovani dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova in-
come tutti gli altri: niente li distingueva in alcun modo. Anche se dustrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che
avessimo voluto non avremmo potuto andare a prosternarci davanti consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie
a loro. Perché il vecchio fascismo, sia pure attraverso la degene- che quella del consumo.
razione retorica, distingueva: mentre il nuovo fascismo – che è Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore
tutt’altra cosa – non distingue più: non è umanisticamente retorico, umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. L’antecedente
è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e
I’omologazione brutalmente totalitaria del mondo. il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno cultu-
rale che “omologava” gli italiani. Ora esso è diventato concorrente
(Il Potere senza volto, «Corriere della Sera», 24 giugno 1974)
di quel nuovo fenomeno culturale “omologatore” che è l’edonismo
Questo “nuovo” Potere si avvale dei media (i cd. servi della di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno
gleba), impone nuovi comandamenti (produrre e consumare) e, ha cominciato a liquidarlo. Non c’è infatti niente di religioso nel
anziché opporsi al desiderio di godimento delle masse, lo assume modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e im-
e lo stimola, “se non addirittura prescrivendolo come una sorta di posti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita
nuovo imperativo categorico” (R. Esposito, Ibid., p. 201). Un altro solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora
a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato
passo è, in tal senso, illuminante: con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone
Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o,
centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono
modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera mor- davvero in grado di realizzarlo?

24 25
No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo
caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informa-
da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica so- zione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma
no ormai stati d’animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre.
a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della
(P.P. Pasolini, Contro la televisione, «Corriere della Sera», 9 dicembre
propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di
1973)
analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con
un certo disprezzo spavaldo i “figli di papà”, i piccoli borghesi, da
cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso,
al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: I demoni del “nuovo” Potere
hanno abiurato dal proprio modello culturale (i giovanissimi non La rappresentazione più compiuta della dinamica del Potere è
lo ricordano neanche più, l’hanno completamente perduto), e il costituita dal film Salò o le 120 giornate di Sodoma, film testamen-
nuovo modello che cercano di imitare non prevede l’analfabetismo
e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari – umiliati – cancellano nella
tario, subito interdetto e restituito alla visione solo dopo lunghi
loro carta d’identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo anni di censura. A proposito del film Pasolini dichiara:
con la qualifica di “studente”. Naturalmente, da quando hanno L’idea mi è venuta da Le centoventi giornate di Sodoma, questa
cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato specie di sacra rappresentazione mostruosa, al limite della legalità.
anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che Mi sono accorto tra l’altro che Sade, scrivendo pensava sicuramente
essi hanno subito acquisito per mimesi). Nel tempo stesso, il ra- a Dante. Così ho cominciato a ristrutturare il libro in tre bolge
gazzo piccolo borghese, nell’adeguarsi al modello “televisivo” – che, dantesche [in effetti il film sarà strutturato in un antinferno e tre
essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente gironi]. Ma l’idea di sacra rappresentazione peccava di estetismo,
naturale – diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si occorreva riempirla di immagini e contenuti. Quattro nazifascisti
sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura fanno dei rastrellamenti; il castello di Sade dove portano i pri-
che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente gionieri, è un piccolo campione di lager. Mi interessava vedere
pragmatico, impedisce al vecchio “uomo” che è ancora in loro di come agisce il potere dissociandosi dall’umanità e trasformandola
svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle in oggetto.
facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in
tutto questo, è enorme. Non certo in quanto “mezzo tecnico”, ma Pasolini lo concepisce volutamente come un film impossibile
in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è da vedere (l’orrore della scena fa abbassare gli occhi) e fa di tutto
soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro per non attirare, anzi addirittura per allontanare dalla sala il suo
elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità pubblico. E lo fa sia attraverso una scenografia piatta, priva di
che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito ogni elemento spettacolare, bloccata in una fissità allucinata, sia
della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo attraverso la storia che, in realtà, è una non-storia, immobilizza-
potere. Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione ta com’è anch’essa nella ripetitività degli atti che scandiscono il
sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione passare delle giornate. A essere rappresentato è lo scempio a cui
al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans sono sottoposti giorno dopo giorno i detenuti secondo la legge del
mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un
trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente
regime putrescente della Repubblica di Salò. Ma cosa vuole esibire

26 27
realmente Pasolini? Probabilmente la versione iper-moderna della schiacciando ciò che contengono, ovvero in prima istanza quegli
Legge, una Legge anarchica, che legittima il godimento senza filtri spazi di autenticità che nel corso del tempo Pasolini si era sforzato
simbolici, che informa il reale a una dimensione orgiastica: supplizi di mantenere aperti, riposizionandoli continuamente: dall’altrove
sadici, coprofagia, umiliazioni, sevizie, assassinii gratuiti. Non c’è friulano, al sottoproletariato delle borgate romane, ai popoli in-
salvezza, non c’è orizzonte, non c’è desiderio, non c’è vita in un contaminati dell’Africa. È l’Abiura. A venir meno – prima ancora
universo senza dio come quello che Pasolini ricostruisce sul set di di specifici luoghi, della terra o dell’anima – è la possibilità stessa
Salò: i corpi illividiti e insanguinati sono già morti, sono cadaveri della differenza in un universo integralmente omologato, a venir
viventi trattenuti in vita solo per il piacere di poterli uccidere meno è quel diritto alla regressione, quel diritto alla nostalgia, che
ancora una volta, per poterli condurre infinite volte sull’abisso tanto fu rimproverato a Pasolini dai compagni comunisti ma che,
della morte per il solo piacere del carnefice. In questo mondo «con la sua infedeltà al presente ci ricorda, insieme all’utopia, che il
alla rovescia legge e crimine coincidono, i carnefici sono gli espo- presente è forte, ma non necessariamente è dalla parte della ragione»
nenti stessi della Legge e con il crimine puniscono le infrazioni (F. Cassano, Benedetta nostalgia, in Modernizzare stanca, Il Mulino
al codice. In Salò la nuova Legge rovescia la legalità tradizionale Intersezioni, 2001, p. 75).
e denuda il Potere, rivelandone i meccanismi e il fondo belluino,
mentre Pasolini si spinge ben al di là delle asserzioni della Scuola
franofortese, rendendo addirittura reversibili i ruoli di vittima e
carnefice. A detta di Esposito, un significato ulteriore potrebbe
essere intravisto in Salò: i carnefici non praticano direttamente
le torture alle vittime, ma si limitano a guardare da lontano con
un binocolo e forse, dietro questa inazione, si cela l’incapacità del
Potere di godere fino in fondo (quasi che la volontà di potenza,
nientificando l’oggetto del desiderio, si annienti da sé) e, quindi,
la sua inevitabile auto-distruzione.

L’abiura
Inutile dire che, quando Pasolini concepisce Salò, l’inferno del
neo-capitalismo è ormai inarrestabile, è l’inferno già parzialmente
descritto nella Divina Mimesis (il mancato rifacimento della Com-
media dantesca) e protagonista di Petrolio, pubblicato postumo e
incompiuto. In un orizzonte del genere le antinomie mito/storia,
passato/presente, sentimento/ragione, passione/ideologia dentro
cui Pasolini era riuscito a operare per oltre un ventennio (dalle
Ceneri di Gramsci in poi) si chiudono violentemente su se stesse,

28 29
La pedagogia dello scandalo del professor Pasolini
di xxx

«Educare; sarà questo forse il più alto – e umile – compito affidato


alla nostra generazione».1
Con queste parole, comparse il 1° dicembre 1942 sulla rivista
“Architrave”,2 lo studente Pasolini, poco più che ventenne, met-
teva a fuoco con chiarezza l’impegno cui era chiamata la gioventù
intellettuale del suo tempo, appena attenuando con la cautela
prudenziale del «forse» la lucidità programmatica di un pensiero
già orientato al futuro. Certamente sollecitato dalle urgenze dram-
matiche della guerra in corso, con quell’intervento egli invitava se
stesso e i suoi coetanei tanto a tracciare uno spassionato esame di
coscienza quanto a rifondare «le basi morali, politiche e culturali»
per la genesi di una nuova civiltà umana.
Dovevano essere questi i contenuti e gli obiettivi di una radicale
opera educativa che «sola» – precisò – poteva «dare coscienza alle
opinioni comuni». Tanto più dunque vi risultava esaltata, come
centrale e strategica, la funzione di guida dell’uomo di pensiero e
di cultura, maestro e intellettuale secondo la tradizione umanistica
cui ben presto, nell’ottica gramsciana del dopoguerra, si sarebbe
aggiunto il connotato di “organico”.
Del resto, che la tensione pedagogica fosse precocemente al
centro dell’attenzione pasoliniana e anzi ne costituisse il cuore
febbrile, è attestato anche da un altro passo, presente in una let-
tera inviata all’amico Luciano Serra appena pochi mesi più tardi,
nell’agosto 1943, e scritto in una condizione di confidente confes-
sione privata. Da Casarsa, dove si era ormai trasferito da Bologna
a seguito di eventi bellici sempre più minacciosi, Pasolini ricorse
perfino al termine «missione» per sottolineare l’assolutezza quasi

1
2

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religiosa del compito educativo e civile cui la gioventù, sua e dei sionale e della pratica didattica, con la verifica sul campo dei semi
sodali, doveva sentirsi votata, nel nuovo orizzonte di una libertà positivi che l’azione concreta dell’insegnamento può gettare e far
da conquistare dopo «tutto un secolo di errori monarchici liberali, fruttare. È noto infatti che in gioventù Pasolini fu anche maestro
fascisti e neo-liberali».3 di giovani allievi, che poi ne conservarono un ricordo sempre lu-
E noi abbiamo una vera missione, in questa spaventosa miseria
minoso, acceso dal pensiero della crescita culturale e affettiva, oltre
italiana, una missione non di potenza o di ricchezza, ma di edu- che di autostima, che egli aveva saputo favorire in loro.7
cazione, di civiltà.4 In Friuli, dopo un primo tentativo di scuola avviata nell’au-
tunno del 1943 a San Giovanni, piccola appendice di Casarsa, e
Bastino questi esempi per attestare in Pasolini la precoce pro- poi chiusa d’imperio dal Provveditorato di Udine per mancanza
pensione all’animus pedagogico che peraltro, anche oltre questi dei requisiti formali, egli sprigionò la sua generosa passione peda-
affioramenti aurorali dei primi anni Quaranta, informa tutta l’o- gogica soprattutto a Versuta, un villaggio ancora più minuscolo
perosità versatile dello scrittore-cineasta e anzi la configura come in cui si era rifugiato con la madre nell’ottobre 1944 per sfuggire
un «polifonico» e multiplo «romanzo di formazione».5 Così la ai pericoli bellici che, tra bombardamenti alleati e rastrellamenti
definisce con efficace sintesi Enzo Golino che, in un pionieristico nazisti, incombevano sul paese-capoluogo di Casarsa. A Versuta,
saggio, forse insuperato per l’angolo prospettico adottato, ha evi- nella stanza che lo ospitò e talora, con la bella stagione, in un
denziato per primo la centralità, la trasversalità e la continuità della “casello” perso in mezzo ai campi, egli raccolse intorno a sé un
tematica e dell’atteggiamento educativi in Pasolini, perennemente piccolo drappello di scolari contadini cui la guerra impediva di
stimolato dalla volontà di insegnare, ossia, etimologicamente, di frequentare le lezioni regolari. Da lì un’esperienza che, anche nella
incidere in altri i segni di cui si sente portatore e di favorirvi la rievocazione retrospettiva affidata alle pagine autobiografiche di
nascita della coscienza. E infatti questo impulso naturale perdurò Atti impuri,8 continuò a brillare come «una specie di Arcadia o
in lui anche in seguito, quando l’avanzare della nuova Preistoria una specie, molto rustica invero, di salotto letterario»,9 un’isola di
del capitale e del consumo, patito e denunciato dagli anni Sessata, resistenza gioiosa alla paura grazie al potere salvifico dell’educazio-
gli parve azzerare sempre più le possibilità dei valori umanistici e ne alla poesia e al far poesia, soprattutto in dialetto.
relegare ai margini l’intellettuale, privandolo di mandato sociale L’uso lirico e antivernacolare della parlata friulana, le esercita-
e di necessità collettiva. Ma anche allora Pasolini non rinunciò al zioni poetiche e lo studio, come antidoti alla violenza della storia
ruolo di guida, a costo – è ancora Golino a rimarcarlo – di farsi e come riscatto individuale, fornirono del resto il lievito da cui
“pedagogo di massa”,6 Socrate impotente e isolato di un irriducibile sorse anche il mitico cenacolo dell’“Academiuta di lenga furlana”,10
insegnamento critico ed eretico. fondata sempre a Versuta il 18 febbraio 1945. A ben vedere, fu
La «disperata vitalità» dell’ultimo Pasolini pare insomma l’atto anch’essa una sorta di scuola-laboratorio, se Pasolini, «guida
conclusivo di una costante disposizione all’effusione del dono, i cui accettata»,11 accanto agli amici e artisti adulti, vi coinvolse pure
primi incunaboli conobbero anche la fase dell’esperienza profes-
7
Cit. Mariuz, Meacci, Lavagnini, Cadel.
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4 9
5 10
6 11

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i suoi giovanissimi scolari, «Muse a piedi scalzi»,12 scrisse, di cui Non per nulla è dunque in Friuli che Pasolini fece tesoro delle
aveva intravvisto e valorizzato la vena d’oro, sensibile all’«estetica sue esaltanti esperienze didattiche, maturate tanto nella libertà
del cuore, non del cervello»13 che ispirava il gruppo. La poesia dei campi di Versuta quanto nel rispetto obbligato delle regole
poteva sconfiggere il male e infatti quell’oasi raccolta attorno alla della scuola pubblica, con i suoi programmi e i suoi orari, oltre
trasmissione della conoscenza fu – confessò a se stesso nel diario che nella convivenza con i colleghi. Non per nulla, dunque, egli
intimo dei Quaderni Rossi – «il nostro Decamerone o, più concre- accompagnò allora l’impegno pratico con la riflessione, delinean-
tamente, il temporalizzarsi di quell’eremo interiore dove sapevamo do una sorta di originale mappa pedagogica, se non proprio un
rifugiarci, e dove non giungeva neppure l’eco di quei tremendi vero sistema: una mappa tenuta lontano dalla confessione auto-
scoppi che notte e giorno scuotevano la terra».14 biografica, ma avallata dall’esperienza personale, aggiornata nei
Un tirocinio appassionante di educazione libera e spontanea, moderni riferimenti teorici, spregiudicata e, in buona sostanza,
dunque, che poi fu messo a frutto a guerra finita nella pratica controcorrente.
professionale dell’insegnamento scolastico e del rapporto istituzio- Di quel pensiero resta traccia soprattutto nei quattro articoli
nalizzato tra allievo e maestro, quando Pasolini, dal 1947 al 1949, che apparvero su «Il Mattino del Popolo», il quotidiano di Venezia
fu assunto come docente statale di italiano e latino presso la scuola emanazione del CLN19 che, per il suo essere canale battagliero
media di Valvasone, un altro paese poco distante da Casarsa. E di divulgazione giornalistica, poteva ben essere in sintonia con il
anche in questo lavoro egli fu guida “mirabile”,15 a detta del pre- piglio militante del giovane maestro Pasolini, professore di una
side Natale De Zotti, anche se – va aggiunto – senza il «candido pedagogia non conforme. O, meglio, di una pedagogia dello «scan-
entusiasmo»16 del laboratorio sperimentale di Versuta. dalo», parola-chiave che ricorre con forte frequenza nelle scelte
Né il prodigio della letizia pedagogica , incastonata nel terrore lessicali di questi scritti e ne esprime l’obiettivo primario, annidato
della guerra, si ripeté a Roma, dove, tra il 1951 e il 1954, nei primi anche nel significato che, etimologicamente, vi è racchiuso. Scan-
anni di un’esistenza disperata e ferita da povero declassato, Pasoli- dalo infatti vale per inciampo, ostacolo, pietra che, non vista, ci fa
ni trovò un qualche sollievo economico nell’impiego da docente cadere e che nella caduta ci sorprende. Lo scandalo rientra dunque
presso la scuola media privata “Petrarca” di Ciampino, assolvendo nella costellazione semantica delle esperienze che interrompono la
sempre al suo compito con rigore e con risultati didattici di ecce- normalità, disinnescano l’inerzia dell’abitudine, aprono la porta
zionale rilievo17. Ma altri erano allora gli assilli e altre le solleci- alla curiosità e alla novità della scoperta.
tazioni che potevano provenire dalla seduzione pagana di Roma, È con questi strumenti e nella direzione di questi obiettivi che
«stupenda e misera città»18 e scenario primordiale di malandrini si misura il valore della paideia pasoliniana, che gioca le sue carte
ragazzi di vita educati dalla strada, non certo sui banchi di scuola. principali sul terreno dell’avventura conoscitiva e dello choc della
rivelazione. E lì risiedono anche i parametri che in Pasolini portano
12 tanto al rigetto polemico delle pratiche didattiche di uso corrente
13
quanto alla controproposta di un modello alternativo.
14
Da un lato, dunque, per la pars destruens, è rifiutata la scuola
15
Capitani. che si limiti alla sola informazione – oggi diremmo nozionistica
16
17
Cfr. Golino Lavagnini.
18 19

34 35
– su contenuti già dati e fossilizzati in stereotipi e luoghi comuni, solo se attirato in situazioni di «avventura» e di «novità».20 Di
fonti di inevitabili conformismi mentali nell’uomo che si forme- scandalo, appunto.
rà dal ragazzo. Nel contempo è polemicamente smascherata la Sono situazioni rischiose che poi devono chiamare in causa non
rete di equivoci che motivano alla radice una simile convenzione tanto il cuore, quanto proprio l’intelligenza in fieri dello scolaro,
scolastica, responsabile di limitata efficacia sui giovani e perciò di reattivo alla curiosità su qualsiasi argomento che abbia sapore di
sostanziale fallimento educativo. imprevisto, fosse anche l’ostico esercizio sulla costruzione del ver-
Tre, in sintesi, sono i falsi pre-giudizi su cui Pasolini esercita la bo “videor”. Con ondate di conseguenze dalla portata sempre più
sua affilata critica di maestro “diverso”: il presupposto, innanzi- alta, è su queste basi che il giovane può approdare alla «coscienza
tutto, che l’adolescente sia una sorta di tabula rasa, un virgulto dell’intelligenza», da lì al salto del piacere puro dell’apprendimento
umano di ingenuità, purezza e innocenza, sensibile al solo appello fine a se stesso e così infine alla «creazione della cultura»: punto
della parte sentimentale-affettiva; da lì, e di conseguenza, la prassi principe di arrivo dell’educazione, come Pasolini dichiara nel 1947
del paternalismo didattico, che ricorre all’insegnamento di nozioni con lo scritto La scuola senza feticci.
semplificate, banalizzate e facili, nella presunzione che siano adatte Ma vi è anche dell’altro. Il metodo della scoperta e dell’acquisi-
alle menti sprovvedute di giovani dal tasso zero di autonomia; e zione progressive di argomenti culturali, radicati nel vivo di un’e-
da lì infine – è il terzo equivoco – l’assillo didascalico e moraleg- sperienza non eterodiretta, va di pari passo anche con la scoperta
giante di incidere sulla supposta cera molle di allievi malleabili di sé e soprattutto della propria vita emozionale. Con appassionati
l’impronta di valori aprioristici, utili alla costruzione delle menti ragionamenti, non esenti dal calore dell’eros pedagogico,21 Pasolini
e dei comportamenti del futuro, valori che dunque non sono il fa appello anche alla necessità di un parallelo percorso introspet-
frutto di progressive conquiste del singolo allievo, ma vengono tivo in cui il ragazzo – niente affatto un buon selvaggio innocen-
calati dall’alto come tavole non negoziabili di una legge già data te – prenda coscienza del magma misterioso e turbolento delle
di rispettabilità adulta. pulsioni oscure e irrazionali che ne animano l’inquieta interiorità
Corollari nefasti di questi equivoci – e loro cinghie di trasmis- e la possono incanalare nell’attitudine a «peccare».22 E anche qui,
sione – sono poi i libri di testo e soprattutto le antologie, che, per nell’ambito delicatissimo di questa attenzione pedagogica, in cui il
i criteri opinabili che ne orientano le scelte, paiono a Pasolini veri ragazzo è visto come il protagonista della formazione intima di sé,
e propri «ruderi», monumenti di carta ai gusti e ai principi di uso Pasolini non manca di disegnare reti di conseguenze di crescente
corrente nel mondo già adulto, non certo in quello tumultuoso valore. Dall’auscultazione del proprio mistero vitale il ragazzo può
di giovani alla scoperta di sé e delle cose. approdare alla coscienza autentica dei valori etici di bene e male,
Altra è perciò la concezione con cui, per la pars construens della alla tensione consapevole al riscatto e, soprattutto, all’assimilazione
sua proposta educativa, Pasolini definisce la sfera del giovane cui di un habitus mentale libero, critico e spregiudicato, anche nei
è destinata la paideia. confronti di se stesso.
L’allievo in formazione, bambino e adolescente, non solo deve Posti questi fini, la pedagogia pasoliniana dello scandalo non
essere posto al centro della cura didattica, ma è anche rivendica- si esime dal riflettere anche sulla pertinenza coerente degli stru-
to nella sua autonomia di «uomo impotente», caratterizzato dal- 20
l’«animo spericolato» e dunque coinvolgibile con reale interesse 21
22

36 37
menti adatti al raggiungimento concreto dello scopo. Ed ecco che ordine sentimentale-fantastico a un ordine linguistico»26, come
il maestro di “temporali e di primule”23 caldeggia il potenziale di prova verificabile del processo che, dall’introspezione, approda
sorpresa e di curiosità insito negli argomenti «difficili» di studio, all’espressione e alla chiarificazione verbale.
non certo in quelli semplificati e facilitati ad usum pueri. Non c’è Essa si eleva dunque a mezzo esaltante e insostituibile di un’edu-
nulla di più avventuroso e creativo – si azzarda a dire – del viag- cazione all’invenzione creatrice che voglia superare l’inerzia delle
gio didattico perfino nel territorio della grammatica, di norma abitudini, punti alla passione “scandalosa” della scoperta dentro
così indigesta se insegnata come un prontuario astratto di regole e fuori di sé, favorisca l’acquisizione della coscienza, culturale e
ed eccezioni da mandare a memoria.24 O, ancora, nella minuzia linguistica, che ne è la meta conclusiva.
esemplificativa degli strumenti possibili, ecco la presa didattica di E che la poesia sia anche fonte di un fertile contagio in alunni
un lavoro che punti all’imprevedibilità, ad accostamenti inusuali educati all’autonomia è comprovato dalla sorprendente metafora
tra le cose, al rovesciamento delle prospettive scontate. Così, ad che l’alunno Eligio Castellarin sa immaginare da sé, per l’entusia-
esempio, nell’ambito dell’educazione morale e dell’introiezione del smo del suo maestro-poeta: “le foglie sorridono”,27 aveva inventato
comandamento cardine del “non uccidere”, egli suggerisce di invo- un giorno quel piccolo poeta in erba, quasi fanciullino pascoliano.
gliare gli alunni all’invenzione di una storia di sangue, con tanto Definiti i fini, precisati i metodi e gli strumenti, non resta che un
di assassino e di vittima, ma per invitarli poi a immedesimarsi nel ultimo tassello per completare il mosaico della riflessione pedago-
reo, non nell’ucciso, così da provarne umana pietà.25 gica di Pasolini: il ruolo, cioè, dell’insegnante, un modello ideale di
Su tutti, però, brilla per Pasolini l’imbattibile superiorità educa- cui certo Pasolini fu la diretta incarnazione nella pratica educativa
tiva di uno strumento principe, formidabile perché fonte assoluta attuata a Versuta e a Valvasone, anche sull’eco aggiornata delle
di esperienze sorprendenti. È la lettura e la conoscenza della poesia, nuove modalità di tipo “attivistico” venute d’oltreoceano. Anche
specie contemporanea e anche dialettale, oggetto straordinario di nelle aule del dopoguerra italiano, contro il vecchio autoritarismo
esercizio che tuttavia va maneggiato in modo opposto alla pratica pedagogico ex cathedra soffiò un po’ di vento nuovo, in vista di una
in uso nella tradizionale convenzione scolastica. Là infatti la poesia scuola in cui alunni e maestri fossero soggetti attivi e non passivi
è affrontata o come generica testimonianza di un qualche conte- di una stessa comunità e nel fine ultimo della costruzione della
sto storico e culturale o come esempio in versi di tavole di valori democrazia attraverso l’educazione.28
morali accettati e accettabili: in entrambi i casi, dunque, per fatti E anche in questo campo, sia pure nell’estemporaneità dei suoi
di contenuto e non per quelli, decisivi, di forma, lingua e stile. rapidi articoli d’occasione, Pasolini non manca di assumere una
Tutto il contrario dunque per Pasolini, che ovviamente fece posizione originale e, come sempre al bivio tra pars destruens e
confluire nelle sue indicazioni pedagogiche la sua stessa sensibilità pars construens, di indicare una sorta di terza via intermedia, di cui
e perizia di geniale e precoce scrittore di versi: la poesia si offre peraltro lui stesso forniva il paradigma esemplare. La sua critica,
come un eccezionale laboratorio formativo proprio in quanto ope- intanto, va in più direzioni: sia contro il tradizionale insegnante-
razione linguistica, come esempio realizzato del «passaggio da un feticcio, terrore dei suoi studenti oltre che megafono impersonale
di nozioni non discutibili, e sia contro l’insegnante sciatto e so-
23 26
24 27
25 28

38 39
stanzialmente superficiale che, nell’intento di umanizzarsi o di fa- in Pasolini della preoccupazione pedagogica e della riflessione sulla
miliarizzare con i suoi giovani alunni, adotta facili comportamenti decisiva responsabilità della scuola e, in essa, della relazione tra l’a-
«“alla mano” » o ricorre a un improprio linguaggio «da caserma». dulto insegnante e il giovane allievo. Di quella attività, fondamen-
Per Pasolini invece il modello del maestro efficace poggia su tale per ognuno di noi, egli mise in pratica e teorizzò in gioventù
una strategia raffinata, rigorosa e impervia. Egli deve suscitare una via originale, con intuizioni geniali e tuttora illuminanti.
passioni e curiosità, ma senza rinunciare a un «clemente princi- O illuminanti soprattutto oggi, in tempi di dematerializzazione
pio di autorità»,29 che tra l’altro è stupendo ossimoro per definire informatizzata degli strumenti e delle procedure pedagogiche, di
la “missione impossibile”30 dell’educatore. Deve essere «uomo», umiliazione dei docenti declassati a burocrati della cultura o an-
ma senza derogare dalla serietà del suo ruolo. Deve saper metter che di un continuo balletto di riforme strutturali, sostanzialmente
in gioco la sincerità non mascherata delle sue emozioni e l’eros tecnicistiche, calate dall’alto sulla realtà viva dei luoghi umani in
reale, ancorché sublimato in “ascesi”,31 per i suoi ragazzi, ma nel cui gli adulti trasmettono saperi e i giovani imparano a crescere.
contempo deve essere uno stratega lucido della sua azione, un Ma questo è un altro discorso.
«attore» che con «astuzia» controlla la sua performance, badando
a non travalicare certi pericolosi confini e divenire fonte di plagio:
essere insomma «mezzo» e non «fine» di studio amorevole.
Nell’impianto pasoliniano di una scuola senza idoli, il primo a
dover essere messo in discussione è anzi proprio lui, come il ma-
estro teorizza nel già citato articolo La scuola senza feticci. Sembra
quasi un’anticipazione di quanto succede al Corvo intellettuale nel
film Uccellacci e uccellini (1969), divorato dalla coppia Totò-Ninet-
to perché, appunto, «i maestri vanno mangiati in salsa piccante».32
Del resto, i maestri, i maestri veri, sono quelli che i loro allievi
riconoscono tali quando essi non ci sono più ed è nel ricordo
che si accende la luce della loro fondamentale lezione. Questa
affermazione risale al 1971,33 quando Pasolini dedicò un ricono-
scente tributo retrospettivo al suo maestro ideale dell’Università
di Bologna, Roberto Longhi, professore di «fulgurazione estetica»
e uomo diverso, «fuori dall’entropia scolastica».
Quel ricordo reverente scattò dunque molti anni dopo il labo-
ratorio friulano, a dimostrazione ulteriore della lunga persistenza
29
30
Aut aut e Capitani.
31
32
Pasquali
33
SLA 2592.2594.

40 41
“Un baule pieno di gente”: il moi commun di Pasolini*
di Franco Bulega

a Fausto, lui (che) sa i perché...

1. Vorrà – lo speriamo – da lassù Tabucchi perdonarci del palese


plagio1 dal quale prende le mosse il nostro intervento; plagio detta-
to dalla ricchezza e dalla versatilità del suo meraviglioso correlativo
oggettivo, inteso a dar conto con icastica quotidianità dei mille
eteronomi del suo amato Pessoa; ma, anche, metafora di come
ogni scrittura si animi e si popoli delle diverse voci che, da sempre,
hanno nutrito l’inchiostro – the bones, direbbe l’Eliot di Tradizione
e talento individuale2 – di ogni autore.
Così anche in Pasolini la voce del poeta – è soprattutto del
Pasolini poeta che vorremmo qui interessarci – è fin da subito,
inevitabilmente, ricca di armoniche, di echi che sembrano, proprio
in virtù, talvolta, del loro comunque ben riconoscibile anonimato,
rimandare alla “sola moltitudine” del liminale intervento adelphia-
no di Tabucchi.
*
NB: le date di pubblicazione si riferiscono alle edizioni consultate.
1
A. Tabucchi, Un baule pieno di gente, in F. Pessoa, Una sola moltitudine, 2
voll., Adelphi, Milano 1979, pp. 13-35. Il sottotitolo, invece, è calco roussovia-
no; cfr. J.J. Rousseau, Du Contrat Social, I,6: «À l’instant, au lieu de la personne
particulière de chaque contractant, cet acte d’association produit un corps moral et
collectif, composé d’autant de membres que l’assemblée a de voix, lequel reçoit de ce
même acte son unité, son moi commun, sa vie et sa volonté». Traduzione italiana
in J.J. Rousseau, Il contratto sociale, Rizzoli, Milano 1982, p. 64.
2
Valga come luogo metodologico portante del presente intervento la fonda-
zione eliotiana di “tradizione” come coralità di voci in Tradition and Individual
Talent: «[...] the historical sense compels a man to write not merely with his own
generation in his bones, but with a feeling that the whole of the literature of his own
country has a simultaneous existence and composes a simultaneous order», in T.S.
Eliot, Selected Essays, Faber & Faber, London 1932, p. 14. Traduzione italiana
in T.S. Eliot, Opere, Bompiani, Milano 1986, pp. 720-21.

42 43
Di queste voci, di questa non silenziosa moltitudine, alcune tiamolo – di una purezza linguistica assunta fin da subito, dopo
presenze sono dichiarate, quasi ostentate (Gramsci, Contini e – le prove dialettali di Poesie da Casarsa6 e dopo l’iscrizione di tali
non solo, certo, ma anche attraverso Contini – Gadda e Dante, per prove – iuxta il primo intervento critico continiano7 – al rarefatto
esempio); altre, invece, risultano più nascoste, ma non per questo mondo felibrista e “neo-provenzale”, come idolo polemico della
meno visibili e meno incisive; ma tutte ugualmente fuse, amalga- lettura “antinovecentista” dell’intero percorso critico del Nostro.
mate, personalmente riplasmate nel crogiolo dello sperimentalismo Non sono forzature bellettristiche, invece, – e men che meno
pasoliniano, prassi poetica e ineludibile cifra stilistica personale, superficiali derive postmoderniste – il fissare ancora una volta come
profondamente e, talvolta, drammaticamente perseguita, prima pagina centrale del cammino leopardiano la lettera al De Sinner
che “etichetta” riassuntiva del comunque originale e significativo del 24 maggio 1832 e il risentirne la dolente eco nel seguente,
cammino critico – suo e officinesco tutto3 –. terribile passo pasoliniano:8
È proprio su queste voci più silenziose – o su un più silenzioso
su “Il Punto”, II, 25, 22 giugno 1957 il volume Poesie di Giamario Sgattoni
permanere di echi di quelle principali e più visibili – che questo Pasolini scrive: “Ma c’è anche il Leopardi rondiano, e quindi qualche denso
intervento vuole soffermarsi. elemento dell’ermetismo classico e petrarchista”; (Un giovane poeta ora in Saggi
sulla letteratura..., p. 683). E ancora: “ E, spia di questo, sono le predilezioni
1.1. La prima voce, la “prima gente”, eco, forse, non del tutto letterarie di Brancati, assurdamente concordanti con quelle del suo periodo
consueta nella polifonia del Nostro, vorremmo fosse quella di letterario: Cardarelli, il Leopardi degli ermetici, ecc”; Dal diario di uno sceneg-
giatore (1960), in Saggi sulla letteratura..., p. 225.
Leopardi, la cui presenza è piuttosto discreta nella produzione del 6
L’edizione di riferimento ora è in P.P. Pasolini, Poesie a Casarsa, in Id.,
Pasolini critico; i luoghi – appunto – critici dedicati al recanate- Tutte le poesie (a cura di W. Siti), 2 voll., Mondadori, Milano 2003, pp. 3-101.
se che una semplice scorsa all’indice del Meridiano Mondadori 7
Intervento ormai di difficile reperibilità. G. Contini, Al limite della poesia
dedicato ai saggi sulla letteratura e sull’arte4 evidenzia come i dialettale, in “Corriere del Ticino”, 24 aprile 1943. Ora in AA.VV. (a cura di
principali, disegnano in maniera quasi univoca una presenza e G. Borghello), Interpretazioni di Pasolini, Savelli, Roma 1977, pp. 119-122.
un’immagine leopardiane intese soprattutto come antecedente – L’affinità elettiva, precocissima, tra il filologo e il giovane poeta ermetico in
dialetto trova, tra le tante, una facile riprova nel seguente passo: “Come sarebbe
inconsapevole e involontario, certo – del bellettrismo rondesco utile il suo aiuto al nostro minuscolo félibrige, anzi, guardi, Le getto qui un’idea
in funzione ermetica;5 come a dire il modello – malgré lui, ripe- che col tempo, chissà, potrebbe rivelarsi non tanto gratuita e infeconda: che ne
direbbe che lo Stroligut (magari mutando nome) divenisse una piccola rivista,
3
Fondamentali, per la definizione di “sperimentalismo” i seguenti, ormai ma più poetica che filologica, di tutte le parlate ladine?”, in P.P. Pasolini, Lettere
classici, contributi: P.P. Pasolini, Il neo-sperimentalismo e La libertà stilistica (1940-1954) (a cura di N. Naldini), Einaudi, Torino 1986, pp. 241-42.
in Id., Passione e ideologia, Einaudi 1985, pp. 406-418 e 419-426; utilissimo 8
“Voi dite benissimo ch’egli è assurdo l’attribuire ai miei scritti una tendenza
anche P.P. Pasolini, Nuove questioni linguistiche, in Empirismo eretico, Garzanti, religiosa. Quels que soient mes malheurs, qu’on a jugé à propos d’étaler et que
Milano 1981, pp. 5-24. Riassume in maniera pressoché definitiva il percorso e peut-être on a un peu exagérés dans ce Journal, j’ai eu assez de courage pour ne
i significati dello sperimentare pasoliniano – e officinesco – G. Scalia, La que- pas chercher à en diminuer le poids ni par de frivoles espérances d’une prétendue
stione dello “sperimentalismo” (I), in Id., Critica, letteratura, ideologia, Marsilio félicité future et inconnue, ni par une lâche résignation. Mes sentiments envers la
Editori, Padova 1968, pp. 219-265. destinée ont été et sont toujours ceux que j’ai exprimés dans Bruto minore. Ç’a été
4
Il riferimento è a P.P. Pasolini (a cura di W. Siti e S. De Laude), Saggi sulla par suite de ce même courage, qu’étant amené par mes recherches à une philosophie
letteratura e sull’arte, 2 voll., Mondadori, Milano 2008. Scorrendo l’indice dei désespérante, je n’ai pas hésité a l’embrasser toute entière; tandis que de l’autre côté
nomi si contano 55 occorrenze del recanatese, distribuite in 3190 pagine. ce n’a été que par effet de la lâcheté des hommes, qui ont besoin d’être persuadés
5
Tra i diversi interventi, valgano a guisa di exemplum i seguenti: nel recensire, du mérite de l’existence, que l’on a voulu considérer mes opinions philosophiques

44 45
Uguale, nelle due pagine, il rapporto tra l’intellettuale e il pro-
Sono vent’anni che la stampa italiana, e in primo luogo la stampa prio tempo; uguale la taccia di infamia con cui la communis opinio
scritta, ha contribuito a fare della mia persona un controtipo mo- si difende, volgarmente (lâcheté, faiblesse e, appunto, vulgarité nel
rale, un proscritto. Non c’è dubbio che a questa messa al bando da testo della lettera riportato in nota) indicando nella diversità del
parte dell’opinione pubblica abbia contribuito l’omofilia, che mi è corpo – e del diverso sentire del corpo – il motivo di un pensiero
stata imputata per tutta la vita come un marchio d’ignominia parti- altrimenti corrosivo. È l’ennesimo, dolente inveramento di quel
colarmente emblematico nel caso che rappresento: il suggello stesso
mito di fondazione di ogni sapere libero e critico inteso, innanzi-
di un abominio umano da cui sarei segnato, e che condannerebbe
tutto ciò che io sono, la mia sensibilità, la mia immaginazione, tutto, come diversità spesso ustionante, adombrato nel “prescelto”
il mio lavoro, la totalità delle mie emozioni, dei miei sentimenti (di cui il Neo di Matrix, a tacere di innumerevoli altri esempi,
e delle mie azioni a non essere altro se non un camuffamento di sembra essere una puntuale ripresa post-apocalittica) della caver-
questo peccato fondamentale, di un peccato e di una dannazione.9 na platonica.10 Uguale la vergogna che accomuna il secol superbo
e sciocco e il suo degno, ancora più colpevole, successivo emulo;
manca, però, nella pagina pasoliniana il riscatto del riso, del riso
comme le résultat de mes souffrances particulières, et que l’on s’obstine à attribuer tristaniano,11 eroe eponimo dell’operetta morale significativamente
à mes circonstances matérielles ce qu’on ne doit qu’a mon entendement. Avant de – e non casualmente – coeva alla lettera leopardiana (1832, appun-
mourir, je vais protester contre cette invention de la faiblesse et de la vulgarité, et to), fermandosi Pasolini al secondo momento della memorabile
prier mes lecteurs de s’attacher à détruire mes observations et mes raisonnements
plutôt que d’accuser mes maladies.” G. Leopardi, A Louis De Sinner, Firenze, 24
climax tristaniana:
maggio 1832, in Id., Epistolario (a cura di F. Brioschi e P. Landi), 2 voll., Bollati E sentendo poi negarmi, non qualche proposizione particolare, ma
Boringhieri, Torino 1998, p. 1913. il tutto, e dire che la vita non è infelice, e che se a me pareva tale,
9
P.P. Pasolini, Il sogno del centauro, in id, Saggi sulla politica e sulla società, doveva essere effetto d’infermità, o d’altra miseria mia particolare,
Mondadori, Milano 1999, p. 1532. Possiamo arricchire lo sconfortante dialogo da prima rimasi attonito, sbalordito, immobile come un sasso, e
a distanza tra queste due dolorose vicende attraverso un ulteriore – ma altri,
certamente, ve ne sarebbero – luogo parallelo; scrive Leopardi ancora a Louis De
per più giorni credetti di trovarmi in un altro mondo; poi, tornato
Sinner, da Napoli, il 22 dicembre 1836: “L’edizione delle mie Opere è sospesa, in me stesso, mi sdegnai un poco; poi risi, e dissi: gli uomini sono
e più probabilmente abolita, dal secondo volume in qua, il quale ancora non si in generale come i mariti.12
è potuto vendere a Napoli pubblicamente, non avendo ottenuto il publicetur.
La mia filosofia è dispiaciuta ai preti, i quali e qui e in tutto il mondo, sotto un
A Pasolini rimane, appunto, lo sdegno, solo le sdegno. Scrive a
nome o sotto un altro, possono e potranno eternamente tutto” (ora in G. Leo- Carlo Salinari il 16 novembre 1961:
pardi, Epistolario, ed. cit., p. 2086). E Pasolini, sempre ne Il sogno del centauro: (Mettiti un po’ nei miei panni, e cerca di capire esistenzialisti-
“Il mio vero peccato è di avere esercitato il mestiere di giornalista da polemi- camente l’esperienza di uno che viene sistematicamente, regolar-
sta e da poeta, nella più totale insubordinazione. Questa insubordinazione,
l’hanno trasferita sul piano morale, e l’omosessualità è divenuta, mediante tale
operazione di transfert, il principio stesso del male. Non è tanto l’omosessuale 10
Tra le diverse edizioni, si può vedere Platone, La Repubblica (trad. F. Ga-
che hanno sempre condannato, quanto lo scrittore su cui non ha fatto presa brieli), 2 voll., Rizzoli, Milano 1981, pp. 242-246.
l’omosessualità come mezzo di pressione, di ricatto perché rientri nei ranghi. 11
Il riferimento è, ovviamente, a Dialogo di Tristano e di un amico. Lo si
In realtà lo scandalo è sorto non solo dal fatto che non tacevo la mia omofilia, legga in G. Leopardi, Operette Morali (a cura di C. Galimberti), Guida, Napoli
ma anche dal fatto che non tacevo nulla” (P.P. Pasolini, Il sogno del centauro, in 1988, pp. 499-520.
Saggi sulla politica..., ed. cit., p. 1533. 12
Leopardi, Operette morali, ed. cit., pp. 500-501.

46 47
mente, atrocemente mistificato: tu, i pezzi della stampa borghese Ma chi abbia frequentato la poesia dialettale – e non – del
contro di me, li vedi casualmente, a tratti, e magari ti divertono... Nostro e ne abbia scorto l’onnipresente vena narcisistica16 non
Ma un’altra cosa è leggere ogni giorno, ogni ora una notizia falsa può fare a meno di individuare in tanta parte di questo rifiutato
che ti riguarda, una malignità feroce, una spudorata trasformazione simbolo esistenziale l’archetipo forse più vicino e più vivo di tale
di dati, un disprezzo collettivizzato, fatto luogo comune...). Ma narcisismo pasoliniano.
non voglio lamentarmi. Permettetemi però, tu e gli altri amici, di
Quasi che nella censura pasoliniana del simbolo fanciullesco di
arrabbiarmi almeno, qualche volta.13
regressione Pasolini stesso abbia testimoniato la propria incapaci-
E poco prima, nello stesso intervento su Vie Nuove rivolto a tà di fare i conti con la propria “ombra” (die Shatten) secondo il
Carlo Salinari, egli indica nell’angoscia la causa del mancato scatto primo – e fondamentale – degli archetipi collettivi del simbolismo
verso quella leggerezza e quel distacco che nutrono il gesto per ec-
cellenza filosofico del riso, mai come nel caso dell’operetta morale nale che lo costringe alla fissità stilistica e una forza intenzionale che lo porta alle
tendenze stilistiche più disparate”; P.P. Pasolini, Pascoli, in Passione e ideologia,
citata, ricco dello spirito socratico: ed. cit., p. 233. Lo si può leggere anche nella bella e preziosa edizione anastatica
Son convinto che tu stesso – dato che purtroppo ci vediamo po- di tutti i numeri di Officina: Officina, Pendragon, Bologna 2004, pp. 3-4.
co – hai su di me qualche idea mitica! Per esempio, quando mi
16
È spunto, quello del narcisismo pasoliniano, che non può essere seguito,
chiami “permaloso”. Sei matto? Può darsi piuttosto che sia un po’ nella sua ampiezza, da questo nostro intervento. Valga, però, per delinearne
almeno gli aspetti più pertinenti a questo nostro discorrere, il seguente pas-
angosciato, e quindi tenda a drammatizzare le cose.14
so, di nuovo esemplare nel dimostrare la chiaroveggenza critica di Contini,
E questa mancanza di riso potrebbe essere, ma non è questa di questa volta nell’indicare l’archetipo mitologico come nucleo fondamentale
certo la sede per un approfondimento del tema, spia significativa dell’imagery del giovane poeta dialettale: “Chiamiamola pure narcissismo, per
intenderci rapidamente, questa posizione violentemente soggettiva, come dire-
del persistere nella personalità di Pasolini – e nei modi consueti mo narcissistico l’angelo biondo che ossessiona l’immaginazione di Campana.
della sua autorappresentazione – di un “fanciullino” pascoliano Rimpianto narcissistico, però, qui: d’uno che leva un pianto perpetuo sulla
non pensato, in positivo, come matrice di una poetica “inclusiva” morte di sé donzèl, di sé lontan frut peciadôr, solo vivo nelle fonti e acque del
declinata in funzione anti-ermetica, quanto, piuttosto, come figura paese ormai altrettanto remoto”. G. Contini, Al limite della poesia dialettale,
di una autoindulgenza, di una “regressione” che Pasolini stesso ha ed. cit., p.119 E, data la centralità del rimando, sentiamo anche un’altra voce,
tra le primissime, a dar conto dell’evidente novità rappresentata dalla prima
condannato nel suo fondamentale intervento pascoliano, ad aprire raccolta pasoliniana e – di nuovo – incentrata, nella sua lettura, sulla figura di
la vicenda di Officina.15 Narciso: “Sère imbarlumide, tal fossâl/ a crès l’alghe, ’na fèmine plène/ ’a ciamìne
tal ciamp./ Jo ti ricuardi, Narcìs, tu bèvis il colôr/ de la sère, quàmt lis cimpanìs/
13
P.P. Pasolini, Una polemica su politica e poesia, in Le belle bandiere, Editori ’a sunin di muàrt. Vi è lo stesso salto improvviso dalla vicenda al ricordo che
Riuniti, Roma 1977, p. 165. L’intervento ivi antologizzato era uscito su Vie è spesso in Montale: la femmina piena evoca col suo peso nel paesaggio reale
Nuove, a. XVI, n. 45, 16 novembre 1961. l’assenza di Narciso e il colore terreo del fanciullo morto, a sua volta, si precisa
14
P.P. Pasolini, Una polemica..., ed. cit., p. 165. in quella sensazione, teneramente rara, di una sera attutita dal suono delle
15
Riascoltiamo uno dei passi fondamentali dell’intervento pasoliniano: “Nel campane funebri [...] quanto al sentimento della morte, poi, Pasolini, forse per
Pascoli coesistono, con apparente contraddizione di termini, una ossessione, riflesso di certa poesia popolare friulana, ne è come ossessionato. E anche si
tendente patologicamente a mantenerlo sempre identico a se stesso, immobile, aggiunge, sullo stesso piano dimesso e angoscioso, un rimpianto dell’infanzia,
monotono e spesso stucchevole, e uno sperimentalismo che, quasi a compenso l’infanzia del corpo, che talvolta stupisce nell’autore ventenne”; A. RUSSI, Pier
di quella ipoteca psicologica, tende a vararlo e a rinnovarlo incessantemente. In Paolo Pasolini: “Poesie a Casarsa” (1943), in Id., Gli anni dell’antialienazione,
altri termini coesistono in lui, per quanto meglio ci riguarda, una forza irrazio- Mursia, Milano 1967, pp. 38-39.

48 49
junghiano.17 Una forma di rifiuto, quindi, non dell’altrui, ma della alle mode ottimistiche del leopardiano secol superbo e sciocco. Sim-
propria fragilità.18 bolo denso, complesso, antitetico, quello del glicine, ora segno
di una vitalità (disperata lo diventerà nella raccolta successiva)21
1.2. E come la voce di Leopardi, mai come in questo caso vox cla- fisicamente prorompente, capace di prevalere sulle categorie falsi-
mantis in deserto, trova folgorante simbolo conclusivo nella ginestra ficanti della storia, delle ideologie e delle convenzioni collettive e
contenta dei deserti, così in Pasolini assume particolare rilievo la individuali che tale storia puntellano e giustificano, legittimandone
conclusione, in qualche modo testamentaria, de Il glicine, posto a così una farisaica “auto-comprensione”, per dirla con Habermas;22
suggello della raccolta La religione del mio tempo19 dove facilmente ma, proprio in questo, simbolo di un’istanza valoriale negata e
l’approdo agli anni Sessanta può essere avvicinato – nei termini contraddetta dalla storia, da ogni storia, storia che è l’inevitabile
di quella stessa “pace terrificante” con cui De André ha cantato approdo – non altrimenti eludibile – di ogni vicenda umana; e
gli anni, gli Ottanta, gli anni dell’ottuso edonismo reaganiano, che è il terreno, – la storia – però, anche positivo in cui poter
del disimpegno, di un “pensiero debole” capace solo di generare dispiegare l’impegno del singolo – la prassi marxista nel caso di
l’uniforme, vile grigiore del postmoderno20 – al desolato cedere Pasolini – volto alla redenzione dalla disuguaglianza e dalla religio,
intesa nella maniera più ampia possibile, di tutti, per tutti. E così
17
C.G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo (1936), Bollati Boringhieri, il glicine pasoliniano assume quasi un segno opposto al gentile
Torino 1977. simbolo leopardiano: non più simbolo della storicità – per quanto
18
Esemplare, nel fornire strumenti puntuali nell’analisi del narcisismo come
paura dell’incontro con il sé (di cui la censura della regressione pasoliana in
negata dal gesto vile e regressivo della scelta delle tenebre piuttosto
Pasolini sarebbe una declinazione sul versante estroverso del rifiuto/condanna che della luce23 – dei valori, non più pienezza etica da far propria,
dell’altro come l’identico al sé) il seguente passo di Jung (le sottolineature sono
nostre): “Chi guarda nello “specchio” dell’acqua vede per prima cosa, è vero, I am terrified./ There is nothing else beside”. T.S. Eliot, La terra desolata, ed. cit.,
la propria immagine. Chi va verso sé stesso rischia l’incontro con se stesso. Lo pp. 140-141.
specchio non lusinga; mostra fedelmente quel che in lui si riflette, e cioè quel 21
Ci riferiamo, evidentemente, a Una disperata vitalità in P.P. Pasolini, Poesia
volto che non mostriamo mai al mondo, perché lo veliamo per mezzo della in forma di rosa, Garzanti, Milano 1964. Ora in P.P. Pasolini, Tutte le poesie...,
persona, la maschera dell’attore. Ma dietro la maschera c’è lo specchio che ed. cit., pp. 1161-1209.
mostra il vero volto. Questa è la prima prova di coraggio da affrontare sulla via 22
Cfr. J. Habermas, Il discorso filosofico della modernità, Laterza, Bari 1988.
interiore, una prova che basta a far desistere, spaventata, la maggioranza degli 23
Evidente il rimando all’exergo giovanneo de La ginestra o il fiore del deserto.
uomini. Infatti l’incontro con sé stessi è una delle esperienze più sgradevoli alle A tale proposito – e come considerazione critica non soltanto da proporre per
quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. Chi è in Il glicine, ma, più generalmente per ampi tratti del poetare pasoliniano – risulta
condizione di vedere la propria Ombra e di sopportarne la conoscenza ha già di rara efficacia la seguente nota critica di Fortini “L’antitesi è rilevabile a tutti
assolto una piccola parte del compito”. C.G. Jung, Gli archetipi..., ed. cit., p. 38. i livelli della sua scrittura. È antitesi di “posizioni” intellettuali e morali verso
19
Cfr. P.P. Pasolini, Il glicine, in La religione del mio tempo, Garzanti, Milano i massimi temi della passione ideologica contemporanea [...] antitesi di tema-
1976, pp. 163-169. tica e dunque di un libro contro l’altro; di linguaggio, nazionale e dialettale,
20
Il rimando è a La domenica delle salme in F. De André, Le nuvole (1990), anzi pluridialettale; fra struttura sintattica e struttura metrica, come dirò; fino
Fonit Cetra CDL 260. Ma, per anticipare un autore che qui si tratterà, Eliot, alla più frequente figura di linguaggio, quella sottospecie dell’oxymoron, che
troviamo un’immagine simile – dobbiamo la segnalazione, di nuovo al Serpieri l’antica retorica chiamava sineciosi, e con la quale si affermano, d’uno stesso
curatore di Waste Land – in un testo, Silence, del 1910, manoscritto e solo di soggetto, due contrari” F. Fortini, Le poesie italiane di questi anni, ora in Id.,
recente pubblicato (Inventions of the March Hare. Poems 1909-1917 by T.S. Saggi italiani, Garzanti, Milano 1987, pp. 132-133. Sicchè, stante l’equivalenza
Eliot, Faber&Faber, London 1996): “You may say what you will,/ At such peace ginestra/glicine, un ipotetico calco dell’exergo leopardiano sulla soglia del testo

50 51
contro l’infermità della vita degli uomini, ma perturbante segno di per cui, un giorno, nei secoli tornerà aprile:
quella vita che, posseduta unicamente nell’inconsapevolezza della coi glicini, con questi chicchi lilla,
fanciullezza – e in tale inconsapevolezza unicamente autentica e [...]
vitale – non può che darsi – nella ineludibile determinazione della Ah, la vita solo vera, è ancora
storicità del nostro esistere – che come fossilizzazione – il darsi quella che sarà: vergine lascia
solo ai nascituri, il glicine, il suo fascino!
impietrato dell’osso di seppia sulla spiaggia – di quella primitiva
Felice
vitalità; una ginestra, quindi, quella colta nel glicine pasoliniano, te, che sei solo amore, gemello vegetale,
letta come simbolo, “pre-istorico”, come vedremo, di una pienezza che rinasci in un mondo prenatale!
e di una totalità inevitabilmente consegnate alle soffocanti – on- Prepotente, feroce
tologicamente – e piccolo-borghesi – sociologicamente parlando rinasci, e di colpo, in una notte, copri
– strettoie del principium individuationis. un’intera parete appena alzata, il muro
E tutto questo in un testo, Il glicine, appunto, esemplare della principesco d’un ocra
pluralità di voci da cui il nostro intervento – iuxta il memorabile screpolato al nuovo sole che lo cuoce...
correlativo tabucchiano – ha voluto (dovuto?) prendere le mosse: E basti tu, col tuo profumo, oscuro
caduco rampicante, a farmi puro
... e intanto era aprile, di storia come un verme, come un monaco:
e il glicine era qui, a rifiorire e non lo voglio, mi rivolto – arido
[...] nella mia nuova rabbia,
Maledico i sensi di quei vivi, a puntellare lo scrostato intonaco
del mio nuovo edificio
di Pasolini potrebbe suonare così: “e gli uomini devono preferire insieme, [...]
proprio perché opposte, la luce e le tenebre”. Dall’irriducibile compresenza
Così al viola che screzia
dei contrari deriva, così, lo “scandalo del contraddirsi”, pensosa confessione
pasoliniana alle ceneri di Gramsci: “Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere/ i muri annunciando l’aprile e gli evi immensi,
con te e contro te; con te nel cuore,/ in luce, contro te nelle buie viscere; cfr. io vorrei solo morire...
Le ceneri di Gramsci IV, in P.P. Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Mi- La mia vita non ha più compensi:
lano 1976, p. 71). E anche un passo de La Divina Mimesis ci aiuta a meglio non le basta la vitalità dell’aprile,
comprendere la scissione dell’identico e la compresenza degli opposti come le pare vana la volontà del capire...
struttura di base dell’autoconsapevolezza e dell’autorappresentazione pasoli- (...)
niane: “Fui poeta, – aggiunse, rapido, quasi ora volesse dettare la sua lapide – E ora eccomi qui: ricopre il glicine le rosee superfici
cantai la divisione nella coscienza, di chi è fuggito dalla sua città distrutta, e va d’un quartiere ch’è tomba d’ogni passione,
verso una città che deve essere ancora costruita. E, nel dolore della distruzione agiato e anonimo, caldo
misto alla speranza della fondazione, esaurisce oscuramente il suo mandato...” al sole d’aprile che lo decompone
Mi guardò un momento, non più come si guarda una vittima da aiutare, ma
(...)
uno scolaro, o un intervistatore: “È perciò – aggiunse – che sono destinato
a ingiallire così precocemente: perché la piaga di un dubbio, il dolore di una Non serve, per ringiovanire, questo
lacerazione, divengono presto dei mali privati, di cui gli altri hanno ragione di offeso angosciarsi, questo disperato
disinteressarsi. E poi... ognuno ha un momento solo, nella vita...”; P.P. Pasolini, arrendersi! Chi non parla, è dimenticato.
La divina mimesis, Einaudi, Torino 1975, p. 15.

52 53
Tu che brutale ritorni, con il glicine perché egli non può – e non vuole – non conse-
non ringiovanito, ma addirittura rinato, gnarsi alla storia, al momento ideologico, all’ideologia a cui porta
furia della natura, dolcissima, la passione, all’elaborazione di una Weltanschauung (il momento
mi stronchi uomo già stroncato ideologico) che trova proprio nell’impossibilità del mantenere e del
da una serie di miserabili giorni, vivere con immutata pienezza l’originaria passione la scaturigine
ti sporgi sopra i miei riaperti abissi,
stessa della desolata condanna della società e della storia attuali: “e
profumi vergine sul mio eclissi,
antica sensualità, disgregata, pietà non lo voglio, mi rivolto – arido nella mia nuova rabbia”; di quella
spaurita, desiderio di morte... originaria pienezza non rimane che l’eco dell’“antica sensualità”,
esile traccia di una perduta pienezza che, dialetticamente, consegna
Numerose, nei versi qui antologizzati, le espressioni di rinascita l’io alle vicende dei miserabili giorni dove, proprio come i sargassi
(le abbiamo evidenziate in grassetto), di ritorno a una condizione umani dell’Incontro o come il giunco incapace di un completo
pre-istorica di incontaminata purezza24 non certo etica, perché se sradicamento che lo riconsegni al flusso incontaminato dell’esistere
c’è un peccato originale nell’antropologia pasoliniana è il suggello dell’Arsenio montaliani,26 non rimane che la possibilità di un’esi-
che la nostra anima riceve nel suo necessario darsi ai giorni della stenza scerpata, stante, altra voce della ricca polifonia pasoliniana,
storia (“a farmi puro di storia”; “serie di miserabili giorni”); sugge- l’eco del Pier della Vigna dantesco27 (“se tu tronchi/ qualche fra-
stiva, per l’eco immediato che ne scaturisce, l’immagine del glicine schetta”, “perché mi schiante?”) in “mi stronchi uomo già stroncato”.
capace di ricoprire i muri, le pareti dei moderni palazzi borghesi, Ben diverso, ma ugualmente dantesco il rifiorire del glicine, così
così simile al saper abbellire le erme contrade (cfr. La Ginestra, v.8) simile nella sua umile presenza al giunco di Purg. I, che stroncato,
del fiore leopardiano; forse non immediata, ma certamente ben cotal si rinacque (Purg. I, 135), segno di un cammino impraticabile
visibile in filigrana la presenza del passeggere25 e della sua me- nella soffocata deiezione storica dell’io pasolinano.
morabile battuta (Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che E il ritorno del glicine in quell’aprile inconsapevolmente cru-
si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la dele, come ogni tempo dell’origine che ritorni a misurarci, a ri-
futura.) nell’apostrofe dolente “Ah, la vita solo vera, è ancora quella velarci nella – e alla – nostra fossile deiezione, assurge sempre
che sarà”. Ma poi Pasolini rifiuta il permanere dell’identificazione più a simbolo di quel palpitare lontano di scaglie di mare da cui
ci separa – senza possibilità che non sia affidarsi all’attesa di un
24
L’incontaminata purezza, di cui l’edenica condizione infantile è da sempre malchiuso portone – il terribile muro montaliano.28 Il glicine di
esistenziale simbolo, è, in Pasolini, più che condizione etica, condizione quasi Pasolini fiorisce propri su quel muro, a rendere ancora più amara
fisica, corporea, di una totale aderenza alla vita: “Amo la vita così ferocemente,
così disperatamente, che non me ne può venire bene: dico i dati fisici della
vita, il sole, l’erba, la giovinezza: è un vizio molto più tremendo di quello della 26
I luoghi montaliani a cui si allude sono rispettivamente: “in un’aura che
cocaina, non mi costa nulla, e ce n’è un’abbondanza sconfinata, senza limiti: e avvolge i nostri passi/ fitta e uguaglia i sargassi/ umani fluttuanti alle cortine/ dei
io divoro, divoro. Come andrà a finire non lo so...”; in AA.VV. (a cura di Elio bambù mormoranti” e “Così sperso tra i vimini e le stuoie/ grondanti, giunco tu che
Filippo Accrocca), Ritratti su misura, Sodalizio del libro, Venezia 1960, p. 321. le radici/ con sé trascina, viscide, non mai/ svelte...”. Lì si veda, ora, in E. Montale,
Non ultimo tra i motivi di importanza di questo passo l’emergere di un oscuro L’opera in versi, Einaudi, Torino 1980, p. 96 e p. 82
sentimento del tempo che verrà qui analizzato in 1.3. 27
Più precisamente i versi 28-29 e il verso 33 del canto XIII dell’Inferno.
25
Cfr. G. Leopardi, Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere, 28
Rispettivamente ne I limoni ein Meriggiare pallido e assorto, ora in E.
in Id., Operette morali..., ed. cit., p. 496. Montale, L’opera in versi, ed. cit., p. 10 e p. 28.

54 55
la consapevolezza della separazione, a rendere ancora più doloroso estraneo. Inutile ricordare la dimensione acquorea su cui si basa il
il sentimento della distanza; distanza, separatezza che, però, fon- grande rito battesimale dell’incipit eliotiano:31
dano dialetticamente, nello scandalo della contraddizione pasoli- April is the cruellest month, breeding
niana, ancora più imperativa la dimensione inaridita della storia Lilacs out of the dead land, mixing
(comunque terra desolata perché votata alla sconfitta, se non fosse Memory and desire, stirring
per una sempre più amara e inquieta fede nella funzione catartica Dull roots with spring rain.
dell’alterità e della subordinazione sociali) come unico territorio Winter kept us warm, covering
dell’umano esistere. Earth in forgetful snow, feeding
E infatti, dolorosamente, questo muro, il muro del fossilizzarsi A little life with dried tubers.
del soggetto nella storia, è il muro su cui Pasolini puntella l’into- Summer surprised us, coming over the Starnbergersee
naco, scrostato, del proprio edificio, inteso come correlativo della With a shower of rain;
reificazione dell’individuo che voglia partecipare ideologicamente (...)
alle vicende del proprio tempo. What are the roots that clutch, what branches grow
“Aprile”, “puntellare”: l’alfa (April is the cruellest month) e l’o- Out of this stony rubbish?
mega (These fragments I have shored against my ruins) della Waste Non c’è aridità (le parole in grassetto) che il fonte battesima-
Land eliotiana29 di cui qui, più sotto (cfr. 1.4.) seguiremo la trama le dell’aprile eliotiano non sappia restituire al grembo profondo,
– visibilissima questa volta – di una presenza più corposa. Ecco pre-natale, appunto, dell’affacciarsi puri alla vita;32 ma le rovine
dunque che il glicine pasoliniano si rivela essere simbolo leopar- eliotiane e gli abissi, i giorni miserabili di Pasolini nulla sanno del
diano filtrato e arricchito attraverso la crudeltà del rinascere di un ridarsi innocenti al tempo della vita.
mondo di cui – da esso “crudelmente” separati – siamo costretti
comunque a portare con noi il ricordo, un’eco scura che erode 1.3. Meno inaspettata certamente ci viene incontro la voce di
la possibilità di una partecipazione piena, convinta, ai fatti della Dante, l’auctor per eccellenza, verrebbe da dire, di Pasolini, tanto
storia; eco scura, “oceanica”, a cui ha donato un luminoso, visibi- sul versante delle res, di una poesia intesa – se il paragone non è
lissimo profilo il Montale di Mediterraneo:30 “ma sempre che traudii/ troppo – come grido, come vento che le alte cime più percuote,33
la tua dolce risacca su le prode/ sbigottimento mi prese/ quale d’uno
scemato di memoria/ quando si risovviene del suo paese”; la terre gaste 31
T.S. Eliot, La terra desolata, ed. cit., pp. 84-86.
pasoliniana è l’aridità di chi ha saputo la pioggia e da essa ora – e
32
Per precisione, bisogna però ricordare come la dimensione purificatrice e
palingenetica dell’acqua sia dato ondivago nel simbolismo eliotiano. Valgano
dal valore catartico e palingenetico del suo cadere – si sa del tutto le osservazioni puntuali di Serpieri nella magistrale introduzione alla sua edi-
zione della Waste Land: “Bisogna considerare che, in tutta la prima produzione
29
T.S. Eliot, La terra desolata, ed. cit., rispettivamente a pag. 84 e a p. 132. eliotiana, la valenza dei simboli archetipici dell’acqua e del fuoco è ambigua e
30
E. Montale, Mediterraneo IX, in L’opera in versi, ed. cit., p. 59. Il distacco reversibile (...) i paradigmi del bagnato e dell’asciutto vi assolvono infatti, di volta
dall’indifferenziato e l’oscura memoria che di tale iniziale unità col tutto per- in volta, funzioni simboliche diverse e a anche contrastanti. Simbolo di rigene-
mangono come “rumore di fondo” della memoria involontaria sono indicati razione, l’acqua è tuttavia molto spesso associata alla carnalità peccaminosa”, A.
da Romain Rolland come “sentimento oceanico”. Se ne veda una memorabile, Serpieri, Introduzione in T.S. Eliot, La terra desolata, ed. cit., pp. 40-41 passim.
per quanto scettica ricostruzione in S. Freud, Il disagio nella civiltà, Einaudi, 33
Dante, Paradiso XVII, vv. 133-134: “Questo tuo grido farà come vento,/ che
Torino 2010, pp. 4-7. le più alte cime più percuote”.

56 57
strumento di intervento e di giudizio sulla realtà del mondo e – Ancora: dalla mediazione continiana38 giunge a Pasolini la du-
soprattutto – voce di condanna dei poteri e di risarcimento di plice costruzione di un sé come personaggio e come poeta; anzi,
tutte le “parti offense” a cui la volgarità della communis opinio ha il parallelo trova una indiscutibile legittimità dal fatto di trovarsi
dato – in grido – il doloroso crisma della colpevolezza, quanto – esplicitato con inequivocabile nitore – in apertura del testo più
– e qui la mediazione continiana è certamente più visibile – sul dantesco (perlomeno per quel che riguarda la fabula) di Pasolini:
versante dei verba, dalle terzine de Le ceneri di Gramsci34 alla co- La Divina Mimesis. Pasolini qui, dopo aver assunto la fattezza
stante “inclusività”, per dirla con Montale,35 della sintassi testuale triforme della bestia sanza pace dantesca,39 moltiplica le dramatis
di Pasolini; lo sperimentalismo pasoliniano, insomma, è sicura personae del proprio ruolo, assumendo il ruolo di agens, di auctor
ripresa del comico dantesco: basti pensare alle due grandi opere e di guida (insomma, è Virgilio di sé stesso):
lasciate interrotte (perché comunque non “chiudibili”) Petrolio e La E mentre rovinavo giù, giustamente ridicolo per la mia antica vit-
Divina Mimesis36 vasti affreschi, specie il primo, su cui è impressa toria su un mondo cui io appartenevo senza nessuna ragione di
con evidenza, ci pare, l’impronta dell’’opera-mondo’37 dantesca. ritenermi più alto, ormai privo dell’autorità della poesia, e fatto
ignorante dalle lunghe frequentazioni oscurantiste, pratiche e mi-
stiche, ecco che mi apparve una figura, in cui dovevo ancora una
34
P.P. Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano 1957; ora in Id., Tutte volta riconoscermi, ingiallita dal silenzio.40
le poesie, ed. cit., pp. 773-867.
35
L’inclusività che Montale attribuisce a Dante (e al recupero dantesco di Di nuovo e per concludere con almeno un’altra delle diverse voci
parte della poesia novecentesca, in particolare in quella che per Pasolini sarà dantesche, di quelle più visibili, perlomeno, che arricchiscono –
la linea “anti-novecentista”) coincide, dal punto di vista del rilievo critico e quando non fondino – la polifonia pasoliniana: frequente – e in
dei contenuti da esso attivati, con il plurilinguismo e lo sperimentalismo del
folgorante schema di Contini di cui diremo più sotto. Ecco, intanto, la pagina
luoghi particolarmente evidenti come i titoli – appare la ripresa
montaliana: “La lirica escludeva la prosa per questo: eleggendo contenuti pri- dell’onomastica dantesca nell’opera pasoliniana: a tacere di epi-
vilegiati, che potevano anche essere convenzionali, e tentando di trascenderli sodi minori basterà ricordare Trasumanar e organizzar, La divina
e renderli personali imprimendo ad essi il suggello dell’arte. Tutto il resto (la mimesis, Poesia in forma di rosa, Volgar’ eloquio.41
storia, la cronaca, il discorso, il ragionamento, il racconto, anche il racconto
ormai autonomo e diventato romanzo) era di pertinenza della prosa. I moderni
poeti “inclusivi” non hanno fatto altro che trasportare nell’ambito del verso o 38
G. Contini, Dante come personaggio-poeta della “Commedia” (1957), in
del quasi verso tutto il carrozzone dei contenuti che da qualche secolo n’erano Id., Varianti e altra linguistica, Einaudi, Torino 1970, pp. 334-361. Lo si può
stati esclusi. Il primo poeta inclusivo fu Dante”. E. Montale, Poesia inclusiva ritrovare, insieme a tutti i più notevoli contributi danteschi anche in G. Contini,
(1964), in Sulla Poesia, Mondadori Milano 1976, p. 146 passim. Un’idea di Dante, Einaudi, Torino 1976, pp. 33-62.
36
P.P. Pasolini, Petrolio, Einaudi, Torino 1992; Id., La divina mimesis, Ei- 39
Il riferimento è, chiaramente, a Inf. I, 58. L’identificazione di Pasolini
naudi, Torino 1975. con le tre fiere occupa le pagine 10-12 de La divina mimesis. Per quanto poco
37
Usiamo, quasi paradossalmente, la categoria di opera-mondo mutuan- pertinente con il tema qui trattato, vogliamo ricordare a tale proposito il bel
dola da un saggio di rara bellezza di Franco Moretti, sulla natura “inclusiva” saggio di G. Gorni, Dante nella selva, Pratiche, parma 1995.
dell’epica moderna (Faust, Nibelunghi, Ulisse.); per quanto il nome di Dante 40
P. Pasolini, La divina mimesis, ed. cit., p. 13. Inutile indicare nei vv. 67-69
non compaia, ci permettiamo di porlo come esempio sommo e di narrazione di Inf. I l’archetipo dantesco.
epica e di testo in cui si rispecchiano tutti i generi e le forme letterarie della 41
P.P. Pasolini, Trasumanar e organizzar, Garzanti, Milano 1971; La divina
sua tradizione, iuxta la lezione continiana qui sotto riportata; cfr. comunque, mimesis, ed. cit.; Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano 1964; Volgar’eloquio
F. Moretti, Opere mondo, Einaudi, Torino 1994. (a cura di G.C. Ferretti), Editori Riuniti, Roma 1987.

58 59
Fatto cenno brevemente agli accenti, appunto, più visibili di essere compresi”,43 doveva apparire una “Life-in-Death”44 fin troppo
questa seconda voce e consapevoli di quanto il lungo studio e il facile da profetizzare perché elegia post-factum del proprio già quasi
grande amore abbiano motivato la costante, nitida presenza dan- interamente percorso “duro calle”.
tesca nell’opera pasoliniana, vorremmo ora portare alla luce, di Leggiamo, allora, il primo luogo dove questo Dante-Cacciagui-
questa stessa, potente voce, un persistere più sottile, una presenza da sillaba gravi parole “di sua vita futura”: si trova nella note dell’e-
più ombrosa. ditore che insieme al repertorio iconografico “ingiallito” proprio
È del Dante agens, tornando all’intervento continiano, al Dante- come l’“ocra screpolato” de Il Glicine e ad altri materiali45 delinea
personaggio, che ci sembra sia leggibile, in filigrana, il profilo una sorta di lanx satura, di menippea – e questo, proprio questo, la
in alcuni punti decisivi del percorso pasoliniano, del Dante, più compresenza, cioè, di stili, di generi, di codici – è il “nodo” che più
precisamente, che da Cacciaguida (Par. XVII, dunque) riceve la di ogni altro dichiara l’ascendenza dantesca – per via continiana,
glossa definitiva del suo prossimo erratico andare terrestre. E non ripetiamo – dello sperimentalismo pasoliniano:
è certo la dimensione post-factum di tale chiarimento che sottrae Un blocchetto di note è stato addirittura trovato nella borsa inter-
drammaticità e intensità biografiche al vulnus dell’exul inmeritus. na dello sportello della sua macchina; e infine, dettaglio macabro
È a questo Dante viandante nel proprio già trascorso futuro che ma anche – lo si consenta – commovente, un biglietto a quadretti
accostiamo ora Pasolini che ha lasciato di sé e della propria fine (strappato evidentemente da un blok-notes) riempito da una decina
immagini sconcertanti – per precisione e puntualità di dettagli di righe molto incerte – è stato trovato nella tasca della giacca del
– quasi un proprio Cacciaguida, tutto laico e terrestre (ammesso suo cadavere (egli è morto, ucciso a colpi di bastone, a Palermo,
che questi due aggettivi abbiano senso in un cosmo assolutamente l’anno scorso).46
pervaso da sacralità di sentire come quello pasoliniano) gli abbia
dettato “di sua vita futura parole gravi”. 43
P.P. Pasolini, Una disperata vitalità, in Poesia in forma di rosa; ora in Tutte
Certamente questo Cacciaguida, questa ennesima maschera le poesie, ed. cit., p. 1183.
dell’io-poetico pasoliniano (anch’essa figura, in cui dovevo ancora
44
Ci riferiamo alla 3° sezione de La ballata del vecchio marinaio di Coleridge
e al denso simbolismo di quel passo. Li si veda in W. Wordsworth - S. Coleridge,
una volta riconoscermi, per ritornare al passo de La Divina Mimesis Ballate liriche (trad. F. Marucci), Mondadori, Milano 1982, pp. 50-57.
sopra ricordato) non avrebbe certamente avuto di sogno di esse- 45
A parte i primi due canti e il repertorio iconografico ingiallito, La divina
re realmente “di spirito profetico nomato”,42 non avrebbe avuto mimesis presenta, al solo scorrere dell’indice, la compresenza di materiali diversi
bisogno di nessun tempo futuro da investigare per non sapere e narratologicamente eterogenei: Prefazione; Appunti e frammenti per il III,
ormai come ineluttabile, il doloroso viaggio di questo moderno IV, e VII canto; Note n.1 e n.2; Per una “Nota dell’editore”; Altri appunti per
il VII canto; Piccolo allegato stravagante.78
exul inmeritus ai margini del rispetto e dell’ascolto degli uomini dei 46
P.P. Pasolini, Per una “Nota dell’editore”, in Id., La divina mimesis, ed. cit.,
suoi tempi, dalla comprensione e dalla accettazione del comune p.62. Per la morte, datata al 1963 a Palermo, è trasparente l’allusione al primo
sentire (e ritorniamo, quindi, al Pasolini “leopardizzante” di 1.0.). incontro palermitano del “Gruppo ’63” e della lunga, talvolta inelegante po-
Un esilio dall’ascolto, dal dialogo con i vivi che, per chi scriveva lemica tra gli “sperimentalisti” di Officina, Pasolini in primis, ça va sans dire, e
“La morte non è / nel non poter comunicare / ma nel non poter più i “neoavanguardisti” stretti intorno all’anceschiano Il Verri. Testi al calor bian-
co, testimoni dell’intensità di quello scontro sono ancora oggi, tra i tanti: E.
Sanguineti, La bisaccia del mendicante, in Id., Giornalino 1973-1975, Einaudi,
42
Dante, Par. XII, vv. 139-141: “e lucemi dallato/ il calavrese abate Giovac- Torino 1976, pp. 51-54; e A. Guglielmi, Pasolini maestro di vita, in Id., Vero
chino/ di spirito profetico dotato”. e falso, Feltrinelli, Milano 1968, pp. 79-84. Ma si legga ora la vena elegiaca di

60 61
Ma è soprattutto nello spazio lirico dell’ultimo Pasolini, in un come un serpe ridotto a poltiglia di sangue
testo, nel testo, a parere di chi scrive – esemplare dello sperimen- un’anguilla mezza mangiata(a)
talismo pasoliniano e officinesco tutto, Una disperata vitalità47 che
il profetismo pasoliniano – emulo, più che mera eco, di quello “Quanto al futuro, ascolti:
dantesco – tocca la geometrica chiaroveggenza della lettura del i suoi figli fascisti
veleggeranno
contingente di Par. XVII;48 aemulatio dantesca rafforzata e, proprio
verso i mondi della Nuova Preistoria(b).
per questo, quasi resa obbligatoria, in sede di commento, dalla Io me ne starò là,
diretta, esplicita citazione da Inf. XXX, 136 (“qual è colui...”); fitta qual è colui che suo dannaggio sogna
la trama di presenze dantesche, non solo derivanti dal profetismo sulle rive del mare
della Comedìa, ma anche, proprio attraverso Inf. XXX, 136 dal in cui ricomincia la vita(c).
luogo classico del disvelamento certo del futuro incombente: il
sogno a occhi aperti, in piena veglia, visione giovannea o sogno Solo, o quasi, sul vecchio litorale
profetico sul far dell’alba, di cui oscuri, terribili interpreti sono tra ruderi di antiche civiltà,
l’Ugolino dantesco e i quattro che ’l canto suso appella:49 Ravenna
Ostia, o Bombay – è uguale–
– sono come un gatto bruciato vivo, con Dei che si scrostano, problemi vecchi
pestato dal copertone di un autotreno, –quale la lotta di classe–
impiccato da ragazzi a un fico che si dissolvono...
ma ancora almeno con sei Come un partigiano
delle sue sette vite, morto prima del maggio del ’45,
comincerò piano piano a decompormi,
rimpianto con cui lo stesso Sanguineti rievoca la figura dello scomparso anta-
nella luce straziante di quel mare(d),
gonista, i tempi e i motivi di quella opposizione; non ultimo per noi motivo di
interesse, nella densa citazione sanguinetiana, l’affiorare di quel tema “sacrificale” poeta e cittadino dimenticato(e).”
che sarà qui oggetto di prossima indagine: “Oggi, sembra impossibile negare Lasciamo il primo commento di questi versi a una glossa ico-
a questa sua morte i tratti di un suicidio preparato minuziosamente, quasi
a completare il disegno di una persecuzione perpetuamente lamentata, e, al
nografica (ma per niente “ingiallita”): “sulle rive del mare” (fig. 1),
tempo stesso, un lungo progetto di confusione tra arte e vita, tra letteratura e il litorale dell’idroscalo di Ostia, “il mare” alla cui “luce straziante”
esistenza. Oggi riesce bloccata per sempre, e resa irrimediabile, una distanza che ci si “decompone”, in cui “ricomincia la vita”; “pestato” (fig. 4),
si poteva colmare, se soltanto egli avesse potuto, per un momento, abbandonare “ridotto a poltiglia”; e poi il Parco Pier Paolo Pasolini a Ostia,
le proprie difese, sciogliere le sue nostalgie”. E. Sanguineti, Per Pasolini, in Id., dove si trova come Leit-Motiv del percorso proprio il testo di Una
Giornalino..., ed. cit., p. 215 disperata vitalità (figg. 2 e 3):
47
P.P. Pasolini, Una disperata vitalità VIII, in Id., Tutte le poesie, cit., pp.
1200-01.
48
Il riferimento è a Par. XVII, vv. 37-39: “La contingenza, che fuor del qua-
derno de la vostra matera non si stende, tutta è dipinta nel cospetto etterno”.
49
Quasi inutile citare Inf. XXVI, 7: “Ma se presso al mattin del ver si sogna”
e Inf. XXXIII, vv. 26-27: “quand’io feci ’l mal sonno/ che del futuro mi squarciò
’l velame”.

62 63
Figure 1 e 2 Figure 3 e 4

64 65
Figure 5 e 6 Figure 7 e 8

66 67
ma non possiamo non notare – a un livello più propriamente in- e sciocco.52 È il Dante viandante purgatoriale, in effetti, cantore
tertestuale – altri echi: della sparuta anguilla montaliana e, più ge- del tremolar de la marina (Purg. I, 117) a guidarci verso un’in-
neralmente, del tema dell’animale sacrificale, così denso nell’opera terpretazione battesimale, palingenetica di quella soglia marina a
del poeta genovese;50 del tema della “Nuova Preistoria”, riassuntivo cui allude il testo di Pasolini (cfr. supra figg. 2 e 3). Ma in questo
dell’intero percorso critico pasoliniano contro la modernità;51 della tremolare vediamo riverberarsi il volto, la voce di un altro grande
presenza dantesca, della spiaggia purgatoriale e dei riti lustrali che interprete dantesco, di un altro sofferto cantore dell’andare ciclico
ivi si svolgono(c), quasi una ripresa del rito di rinascita acquorea delle cose, dell’esistere, tra candore e peccato. Ed è voce dal timbro
già analizzato, perlomeno per sommi capi, nella nostra analisi inconfondibile, potente, che impreziosisce la già ricca polifonia
della intertestualità de Il glicine; un’ultima eco leopardiana nella della voce pasoliniana.
dimenticanza che attende il poeta e il cittadino (da intendere, se-
condo noi, dantescamente come indissolubile endiadi, a fondare 1.4. La morte di Pasolini, il corpo di Pasolini, le parole che ne
una poesia che unicamente nel suo darsi come politica e civile hanno preannunziato l’accadimento (e i modi di esso accadere,
possa trovare una sua legittimità) così simile all’oblio che avrebbe iuxta – qui – l’intero paragrafo 1.3.) si collocano sulla soglia tra
dovuto accumunare l’io-poetico de La Ginestra e il suo secol superbo mondo terrestre e mondo acquoreo, luogo tra i più ricchi di sim-
bolismo, di valenze archetipiche dell’immaginario letterario e non.
50
Il rimando montaliano è alla “sparuta anguilla” del v. 7 de I limoni. Lo Il lento, straziato consumarsi del corpo di Pasolini (corpo inteso,
si legga in E. Montale, L’opera in versi, ed. cit., p. 9. Di nuovo, e per quanto
poco pertinente, non vogliamo passare sotto silenzio un mirabile saggio di
evidentemente, come ipostasi della sua vicenda intellettuale e della
interpretazione del tema sacrificale in Montale: F. Zambon, L’iride nel fango, difficoltà della sua presenza e della sua persistenza) di tale ricco im-
Pratiche, Parma 1994. maginario simbolico sembra esprimere il carattere rituale di nuova
51
Il tema della “Nuova preistoria”, a tacere del Pasolini corsaro ed eretico di nascita, di un finire che è, in realtà, un nuovo inizio nell’eterno cir-
tanti, ultimi elzeviri, compare sotto forma di fitta trama di citazioni e interni colo del ritmo naturale, quello stesso che, abbiamo visto, innerva
rimandi nell’ultima stagione poetica pasoliniana, quella di Poesia in forma di di sé la filigrana eliotiana de Il glicine. Supremo interprete di tale
rosa, come un nuovo inizio, un’età dell’oro barbarica e vitale, quasi lucreziana, al
di là della falsificante civiltà e della straziante contraddizione che ne scaturisce, rito, specie quando lo si voglia leggere quale re-intepretazione del
come – speriamolo – abbiamo chiarito nella nostra analisi de Il glicine. In effetti, tema folklorico che certamente Eliot ben conosceva, iuxta le note
quando la storia assuma il contorno e il paesaggio di un’inaridita -de-serta di in appendice al testo,53 attraverso la mediata presenza – from ritual
pienezza e di autenticità- terre gaste in cui, inevitabilmente, il soggetto etico
debba trovare il luogo della propria determinazione, la ‘pre-istoria- assume, 52
Gli ovvi rimandi sono a La ginestra o il fiore del deserto: vv. 52-53: «Qui
quando il prefisso venga letto non come coordinata temporale, ma come indi- mira e qui ti specchia,/ Secol superbo e sciocco» e vv. 68-72: «Ben ch’io sappia che
zio valoriale, i caratteri edenici – da noi, lo speriamo, chiariti poco sopra nel obblio/ Preme chi troppo all’età propria increbbe./ Di questo mal, che teco/ Mi fia
testo – di cui la violenta fioritura del glicine è “crudele” e “gentile” simbolo al comune, assai finor mi rido». Nella clausola di quest’ultimo verso ritroviamo
contempo, stante la compresenza, nel denso simbolo pasoliniano dei diversi ancora quel riso “tristaniano” che abbiamo visto dolorosamente negato, oco
orizzonti di Eliot e di leopardi. Ripercorriamone alcuni tratti. In Poesia in forma sopra, dall’angoscia del Nostro.
di rosa II: “Biancheggiante città che attende i non nati,/ forma incerta come un 53
“Non solo il titolo, ma il disegno e gran parte dell’incidentale simbolismo
incendio/ nell’incendio di una Nuova Preistoria”; in Una disperata vitalità: “È del poema furono suggeriti dal libro di Miss Jessie L. Weston From Ritual to
per difendersi... Non sapete? Proprio/ insieme al Barocco del Neo- Capitalismo/ Romance sulla leggenda del Graal (...) Ho un debito di carattere generale anche
incomincia la Nuova Preistoria”. Le si veda rispettivamente in P.P. Pasolini, Tutte verso un’altra opera di antropologia, un’opera che ha influenzato profondamente
le poesie, ed. cit., p. 1135 e p. 1167 la nostra generazione; intendo dire The Golden Bough”: T.S. Eliot, Note a “La

68 69
to romance – di The Golden Bough di Frazier è certamente Phlebas Muart ta l’aga
il fenicio, il protagonista unico della IV sezione della Waste Land. Phlebas al è muart da quindis dis,
È questa, la voce di Eliot cantore del marinaio fenicio,54 la voce, a no’l pì il sigu dai pluviers,
per noi, della “terza gente” del nostro baule; voce, ci sembra, forse né il motu sidìn dal mar,
fra le meno aspettate, certamente tra le meno udibili nel corpus né il pierdi o il vuadagnà.
poetico del Nostro. Na curìnt sot il mar
L’eco dei valori simbolici incarnati da Phlebas, così presenti – a roseà i so vuès murmurànt.
speriamo che le nostre considerazioni in 1.3 possano essere state, A rondolòns lui al passà i timps
se non convincenti, almeno plausibili – a riscattare il cupo profe- di duta la so esistensa,
tismo pasoliniano nell’acquoreo fonte battesimale del mare è eco ju, tai revòcs. Cristiàn o pagàn,
che giunge da lontano: tu ch’i ti tens il temòn e i ti jòs
là ch’a soflin i vins
Death by water pensa a chel Phlebas
Phlebas the Phoenician, a fortnight dead, ch’al è stat alt e biel coma te.
Forgot the cry of gulls, and the deep sea swell È la traduzione in friulano della sezione IV apparsa sui nn.
And the profit and loss. 5-6 della rivista Ce fastu? del 1947.55 La qualità – preziosa – della
resa ci sembra soprattutto percepibile nella meravigliosa apertura
A current under sea di spazio, di orizzonte56 di tu ch’i ti tens (...) i ti jòs/ là ch’a soflin i
Picked his bones in whispers. As he rose and fell
He passed the stages of his age and youth
vins, apertura consentita dall’aggiunta del predicato verbale, soflin,
Entering the whirlpool. capace di animare, di personificare, di rendere quasi esito dell’agire
Gentile or Jew di una benevola volontà marina (o eolica) la registrazione, non si
O you who turn the wheel and look to windward, 55
La si può leggere in P.P. Pasolini, Un paese di temporali e di primule, Guan-
Consider Phlebas, who was once handsome da, Parma 2011, p. 227 e in Id., Tutte le poesie..., ed. cit., p. 1463.
[and tall as you. 56
Per la segreta, magica sintassi evocativa con cui i testi sanno parlarsi ci-
tandosi per echi, non ostante improbabili - quando non impossibili- recipro-
che ‘corrispondenze’, ci sembra di poter qui indicare una glossa rara, preziosa,
drammatica, all’orizzonte improvvisamente aperto dal soffiare del vento della
terra desolata” in Id., Opere..., ed. cit., p.116. I testi citati da Eliot si possono resa pasoliniana. Un passo di Primo Levi, a sua volta glossa imprescindibile del
trovare anche in edizione italiana: J.L. Weston, Indagine sul Santo Graal, Selle- più famoso viandante marino della nostra (di ogni?) letteratura: “...Ma misi
rio, Palermo 1994 e J. Frazier, Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri, Torino 1990. me per l’alto mare aperto. Di questo sì, di questo sono sicuro, sono in grado di
54
Basti ricordare la nascita del personaggio in una lirica in francese del 1918, spiegare a Pikolo, di distinguere perché “misi me” non è “je me mis”, è molto
Dans le restaurant: “Phlébas, le Phénicien, pendant quinze jours noyé,/ Oubliait les più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di
cris des mouettes et la houle de Cornouaille,/ Et les profits et les pertes, et la cargaison una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto: Pikolo
d’etain:/ Un courant de sous-mer l’emporta tres loin,/ Le repassant aux étapes de ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se
sa vie antérieure./ Figurez- vous donc, c’etait un sort penible;/ Cependant, ce fut stesso, libero diritto e semplice, e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose
jadis un bel homme, de haute taille”. T.S. Eliot, Dans le restaurant, in Id., Opere ferocemente lontane”. P. Levi, Se questo è un uomo, in Id., Opere I, Einaudi,
1904-1939 ( cura di R. Sanesi), Bompiani, Milano 1992, p. 529. Torino 1987, p. 116.

70 71
vuole dire oggettiva, ma certamente più neutrale del windward magico-incantatorio della donna-idolo di Baudelaire o della Ero-
originale; benevolo agire di una misteriosa divinità delle distanze diade mallarmeiana:60
marine di cui non c’è traccia nelle più diffuse – e accreditate, Madame Sosostris, famous clairvoyante,
certamente – rese in italiano:57 “e guardi nella direzione del vento” Had a bad cold, nevertheless
(M. Praz e A. Tonelli); “e guardi a sopravvento” (A. Serpieri); “e Is known to be the wisest woman in Europe,
guardi sopravvento” (R. Sanesi). With a wicked pack of cards. Here, said she,
Is your card, the drowned Phoenician Sailor,
Non ultimo dei motivi del fascino che questa figura, creatura (Those are pearls that were his eyes. Look!).61
acquorea per eccellenza – e di una bellezza strettamente legata alla
purezza quasi disincarnata del suo trasumanare marino – ha potu- 1.5. Proprio questo cursorio, quando non goffamente desultorio,
to esercitare sul giovane Pasolini potrebbe essere la sua vicinanza intervento su un episodio solo apparentemente, però, marginale,
con il fondo folklorico, magico – rituale, della figura di Narciso, dell’esperienza lirica in friulano di Pasolini, ci conduce alla voce
spesso collegato a l’aga nelle sue apparizioni in Poesie da Casarsa;58 più forte, più presente, più costante, delle tante, del nostro baule:
tema sacrificale e metamorfico che Pasolini avrà certamente visto quella di Gianfranco Contini, primo, fondamentale lettore, come
adombrato nella prima, folgorante epifania del Phlebas eliotiano, abbiamo visto, delle Poesie da Casarsa. Ci stacchiamo, almeno in
nei suoi occhi ora perle, quegli stessi occhi che sapranno leggere, parte, in quest’ultimo tratto del nostro percorso, dalla voce del
poco più in là nel testo, il soffio del vento come libro aperto nella Pasolini poeta, la cui ricca polifonia abbiamo cercato di analizzare
traduzione sopra riportata. – almeno nei tratti principali – nei precedenti paragrafi, perché la
Inoltre, questo raro trasformarsi dell’organico nella preziosi- presenza continiana riguarda piuttosto i presupposti di poetica, l’a
tà – inattaccabile orazianamente da qualsiasi imber, per quanto priori della scrittura poetica, il vaglio teorico, a tavolino, del senso
edax59 – del materiale inorganico rimanda, appunto, al processo dello scrivere che ogni sperimentalismo richiede.
di mineralizzazione dell’organico come percorso catartico e purifi- Un autore, una presenza decisivi, tra i pochi, da questo punto
catorio che, a tacere dei numerosi ascendenti ovidiani – o proprio di vista, a far parte – insieme a Gadda e a Gramsci – del corredo
in virtù degli ascendenti ovidiani – rimanda certamente al clima iconografico de La Divina Mimesis (qui figg. 5 e 6, rispettivamente
le foto n. 7 e n. 16 dell’Iconografia ingiallita) –; voce fondamentale
57
Si possono trovare rispettivamente in: La terra desolata ( a cura di A. Serpie- – nei giorni dei “dubbiosi sospiri” – per la certificazione del valore e
ri), Rizzoli, Milano 2012, pp. 120-121; La terra desolata ( a cura di A. Tonelli), del significato della scelta dialettale e–perché no? – della stessa vo-
Crocetti, Milano 1992, pp. 38-39; La terra desolata (a cura di R. Sanesi), in
T.S. Eliot, Opere, ed. cit., pp. 106-107; La terra desolata (a cura di M. Praz),
cazione poetica di Pasolini al suo affacciarsi al mondo letterario.62
Einaudi, Torino 1971, p. 41.
58
Basti solo ricordare, sulla soglia del libretto, Dedica: “Fontana di aga dal 60
Primi, fondamentali testi per il tema della mineralizzazione simbolista
me paìs./ A no è aga pì fresc-cia che tal me paìs./ Fontana di rustic amòur” o le non possono che essere C. Baudelaire, Elogio del trucco, in Id., Il pittore della
tre Dansa di Narcìs e la Pastorela di Narcìs; si leggano ora in P.P. Pasolini, Tutte vita moderna, Marsilio, Venezia 1994, pp. 124-131 e S. Mallarmé, Erodiade,
le poesie..., ed. cit., rispettivamente alle pagg. 9; 66-69; 70-71. SE, Milano 1985.
59
Il riferimento è a Orazio, Carmina III, 30, v.3. Tra le diverse edizioni, lo 61
Cfr. T.S. Eliot, La terra desolata..., ed. cit., pp. 88-91 (sono i versi 43-48
si può leggere in Orazio, Odi. Epodi (a cura di M. Ramous), Garzanti, Milano dell’episodio di Madame Sosostris).
1986, pp. 230-231. 62
Vogliamo ricordare questo primo incontro “de loinh”, come la loro amici-

72 73
Risentiamo un passo della recensione, col sapore, quasi, di come lingua astratta, pura, pre-storica, un “volgare illustre” ca-
una formula battesimale: «E tuttavia, se si ha indulgenza al gu- pace di avvicinare l’esperienza dialettale all’allora dominante – e
sto degli estremi e alla sensibilità del limite, in questo fascicoletto da Pasolini stesso evocato come modello di riferimento66 – gusto
si scorgerà la prima accensione della letteratura “dialettale” all’aura ermetico!
della poesia d’oggi, e pertanto una modificazione in profondità di Quasi come contrappasso poetico di questa prima stagione del-
quell’attributo».63 l’“amor de loinh”, la voce di Contini risuonerà, squillante, definiti-
va, “con altra voce omai, con altro vello”,67 nel memorabile attacco
E Pasolini ringrazia a distanza di tempo – di molto tempo – de- dell’incipitario saggio pasoliniano su Pascoli, ouverture dell’av-
dicando a Contini le poesie de La nuova gioventù (1954) (fig. 7) e ventura di Officina, a delineare il senso di un’avventura letteraria
de La nuova gioventù (1975) (fig. 8), significativamente, quest’ulti- e gli strumenti del suo concreto compiersi ormai di carattere e di
mo, l’ultimo libro pubblicato in vita da Pasolini, con una citazione, significato diametralmente opposti:
ribadita in entrambe le opere, da Jaufré Rudel,64 a ricordare la Si consideri la stupenda possibilità di “descrizione” che presenta il
validità della pionieristica – ma proprio per questo lungimirante fenomeno stilistico pascoliano, per un gruppo di ideologi, come è
– iscrizione continiana dell’esperienza pasoliniana all’interno delle il nostro, che si definisce fuori dal campo d’una morale ontologi-
lingue artificiali della grande tradizione romanza,65 del friulano camente letteraria, tipica del Novecento. “Descrizione” anzitutto
oggettiva, da laboratorio (se impostata secondo il folgorante sche-
zia, attraverso una sua struggente – ed elegantissima, as usual... – rievocazione
ma di Contini, delle due categorie letterarie del “monolinguismo”
fattane dal Contini ‘postremo’: “Un giorno del 1942 la posta mi recò un plico – petrarchistico – e del “plurilinguismo”) e poi, per una sua inti-
iscritto dalla bella e arcaica lettera di Mario Landi, ma non conteneva poche ma forza paradigmatica, soggettiva e di tendenza. E ciò nel senso
lire di Bodoni o di Romagnoli-Dall’Acqua, bensì, per la prima e unica volta, che vi si può fondare una revisione di tutta l’istituzione stilistica
un libretto stampato sotto la ragione editoriale del Landi stesso. Ignoto l’auto- novecentesca (da farsi in gran parte risalire appunto alla ricerca
re, Pier Paolo Pasolini, di aspetto onomastico inconfondibilmente ravennate, pascoliana).68
e ignota la veste linguistica di quelle Poesie a Casarsa (sic), friulano ma “di cà
da l’aga” (cioè il Tagliamento, quindi un’eccezione nell’eccezione). L’odore era 66
“Contrariamente ai giovanissimi di oggi, infatti, per noi allora non esisteva-
quello irrefutabile della poesia, per di più in una di quelle non so dire quasi- no alternative: ci trovavamo dentro un mondo unico e completo, almeno nella
lingue o lingue minori che era mia passione e professione frequentare”. G. nostra coscienza. Coatti insieme dalla ferrea politica del regime fascista e dalla
Contini. Testimonianza per Pier Paolo Pasolini, in Id., Ultimi esercizî ed elzeviri, istituzione stilistica del gusto ermetico (...) quanto alla letteratura, la posizione
Einaudi, Torino 1988, p. 390. era analoga: adesione a un novecentismo che ci determinava -in qualità di ini-
63
G. Contini, Ai margini della poesia dialettale..., ed. cit., p.119. ziati ingenui e fiduciosi- (...) l’unica via dritta, insomma, era quella anzitutto
64
Rispettivamente in P.P. Pasolini, Tutte le poesie..., ed. cit., pp. 1-158 (vol. ungarettiana, di cui coglievamo i puri dati stilistici, guidando essa direttamente
I) e 391-520 (vol. II). al centro della nostra formazione provinciale: la Francia di Mallarmé e Valery
65
“E gli facciamo il massimo degli onori in nostro potere se non gli attri- (sic...) (...) insomma il mondo culturale era stato ridotto e omologato dalla re-
buiamo la lettura (ideale, s’intende) (...) dei testi di fiancheggiamento lingui- azione rondiana del dopoguerra fascista”; P.P. Pasolini, La posizione, in Officina
stico, anche se eventualmente popolare; bensì delle (troppo esigue) tracce del n. 6, aprile; ora in Officina, (ed.cit.), pp. 245-249 passim.
trovadorismo cividalese, dove quei bravi anonimi intendono porsi all’altezza 67
Cfr. Dante, Par. XXV, 7.
dei giullari di Provenza, dei notai meridionali, del Minnesang austrobavarese. 68
P.P. Pasolini, Pascoli, in Passione e ideologia..., ed. cit, p.231. Per quello
Parità, giovi ripetere, di condizioni: volgare illustre”; G. Contini, Ai margini stesso centenario e in totale indipendenza di discorso critico anche Contini
della poesia dialettale, ed. cit., pp. 120-121. celebrava Pascoli con esiti non dissimili da quelli pasoliniani, soprattutto sul

74 75
E anni dopo Contini, il maestro, ringrazierà con silenziosa ri- bile – e men che meno in narrativa – all’educato monolinguismo
trosia il proprio alunno, ricordando come lo sperimentalismo di di derivazione petrarchesca.
Pasolini (del Pasolini romanziere, soprattutto, e come tale, solo Il realismo, affidato a – e nutrito di – un inesausto sperimenta-
tangente al nostro intervento) abbia trovato nella chiara, puntuale lismo stilistico, è l’unico atteggiamento, l’unico sguardo che per
fissazione del proprio intervento petrarchesco spinta e strumenti Pasolini possa fondare la scrittura; e la scrittura deve essere al
critici per il proprio declinarsi: servizio della complessità del reale, ma in questo suo darsi deve
Questo sperimentalismo costituisce la motivazione principale di Pa-
esserne strumento investigativo e giudicante, appunto attraverso
solini e ha trovato un incentivo nella nozione di “plurilinguismo”69 il rovello dello stile.71
elaborata da certa critica stilistica ed espressamente citata da Pa- È, così, il “folgorante schema di Contini” che nutre i presup-
solini nei suoi saggi, tutti pragmatici, riflesso cioè di sue attive posti teorici della polemica del Nostro contro quel “purismo” che
preoccupazioni: l’esempio più illustre di plurilinguismo che Paso- Pasolini vede soprattutto incarnato dal Cassola de La ragazza di
lini trovava nell’Italia contemporanea era quello di Carlo Emilio Bube, ma, anche, nella piega calligrafica de Il Gattopardo di Toma-
Gadda, il cui libro più celebre è tematicamente, e nella base della si. Risentiamo, per l’ultima volta, la voce del nostro poeta, nella
sua deformazione linguistica, romano. Ma di quanto il linguaggio attrezzatissima mimesi del Giulio Cesare shakespeariano (III,2) in
di Gadda è fantasticamente esuberante, di tanto quello di questo
Pasolini è secco e “basico”.70
71
Efficace e nitida la ricostruzione di G. Scalia degli anni officineschi;
Ecco la presenza di Contini: una stilistica pensata come carne e densa e puntuale la sintesi sul valore dell’esperienza stilistica per il Pasolini
sangue della scrittura; lo stile visto come esigenza pragmatica, non di quegli anni (e non solo...): “La polemica di Officina è orientata su due
come arabesco; lo stile pensato come luogo dell’etico incontro con fronti, anti- ermetico e anti-neorealista. Pasolini, soprattutto, nei suoi scritti
la realtà nella sua contraddittoria multiformità, non certo riduci- più espliciti e organici (Il neo-sperimentalismo, 1956; La libertà stilistica,
1957) distingueva, con ulteriore approfondimento, tra sperimentalismo e
neo-sperimentalismo. Prima di tutto insisteva nella polemica contro le ten-
versante di un Pascoli “sperimentatore” linguistico capace di anticipare esiti denze “sperimentaliste” proprie del “novecentismo” (identificate, sostanzial-
novecenteschi addirittura avanguardistici. Si legga l’intervento in G. Contini, mente, col decadentismo), dalla Voce agli ermetici, con la serie degli errori:
Il linguaggio di Pascoli (1955), in Varianti e altra linguistica, Einaudi, Torino lo stile come “privilegio”; l’assolutizzazione dell’“io poetico”, “disperato e
1970, pp. 219-245. squisito” e il culto della parola; la concezione della “lingua poetica”, cioè
69
È tempo finalmente, di sentire, almeno in parte, le parole chiave del “fol- la considerazione di tutta la lingua a livello della poesia e la separazione
gorante schema” di Contini: “dei più visibili e sommarî attributi che pertengono tra lingua letteraria e lingua usuale e strumentale; insomma l’”ontologia
a Dante il primo è il plurilinguismo. Non si allude naturalmente solo a latino letteraria”, secondo una definizione nata in Officina (...) Pasolini affermava
e volgare, ma alla poliglottia degli stili e, diciamo la parola, dei generi letterari l’indipendenza dalle ideologie “ufficiali” (e precostituite) e dalle concezioni
(...) In secondo luogo, pluralità di toni e pluralità di strati lessicali va intesa del mondo concluse (cattolicesimo, marxismo); e sosteneva i liberi rapporti di
come compresenza: fino al punto che al lettore è imbandito non solo il sublime “vita interiore” e di “vita di relazione” storica e sociale (...) a livello stilistico,
accusato o il grottesco accusato, ma il linguaggio qualunque (...) Terzo punto: si rivelava, infine, la concezione dello stile non come “possesso” o “privile-
l’interesse teoretico (...) Quarto punto: la sperimentalità incessante”; G. Con- gio” dell’io, ma come ricerca e variazione continua (...) la ricerca di tecniche
tini, Preliminari sulla lingua del Petrarca (1955), in Varianti e altra linguistica, stilistiche contrapposte sia allo stilismo autonomistico del “novecentismo”
Einaudi, Torino 1970, pp. 171-172 passim. che all’assenza di interessi stilistici del neorealismo”. G. Scalia, La questione
70
G. Contini, Letteratura dell’Italia unita 1861-1968, Firenze, Sansoni, dello “sperimentalismo” (I) (1963), in Id., Critica, letteratura, ideologia..., ed.
1968, p. 1025. cit., pp. 228-229 passim.

76 77
In morte del realismo,72 strepitosa parafrasi – o, piuttosto, dolente
parodia – dell’archetipo:73 Il nobile Bruto
Vi ha detto che Cesare era ambizioso.
L’eletto(a) Cassola vivacemente attesta Se era così, il suo era grave difetto,
ch’esso(b) era ambizioso(c): se così fosse e Cesare l’ha scontato gravemente.
sarebbe, questo, un gran demerito, ed equa Qui, con licenza di Bruto e degli altri
quindi, la sua fine. S’egli lo concede (poiché Bruto è uomo d’onore,
–e Cassola è un rispettabile scrittore(c): e così gli altri, tutti uomini d’onore)
tutti i neo-puristi son rispettabili scrittori– io vengo a parlare al funerale di Cesare.
son venuto qui io a parlare della morte Era un mio amico, leale e giusto con me:
del realismo italiano: il suo stile era misto, ma Bruto dice che era ambizioso,
difficile, volgare... Ma Cassola pensa e Bruto è uomo d’onore.
che esso era ambizioso: e, Cassola,
è un rispettabile scrittore [...]
[...] Tutti
ai Lupercali avete visto che tre volte
Tutti sapete come quello stile gli offrii la corona di re, e Cesare
nato per esprimere il reale la rifiutò tre volte. Ambizione questa?
si rifiutasse a ogni onore ufficiale: Ma Bruto dice che era ambizioso,
era ambizione questa? Ma Cassola lo dice: e di sicuro egli è uomo d’onore
e certo Cassola è un rispettabile scrittore
[...]
[...]
Soltanto ieri la parola di Cesare
Ancora ieri il discorso volgare poteva contrastare il mondo intero;
dello stile mimetico e oggettivo adesso è lì, e nemmeno il più vile
–la grande ideologia del reale– gli rende onore. Ah signori! Se volessi aizzarvi
vi sbigottiva... E ora eccolo là, la mente e il cuore alla rivolta e all’ira,
per terra: e nessuno, ora, si sente torto farei a Bruto, e torto a Cassio,
così indegno da dovergli rispetto. che sono, come sapete, uomini d’onore.
Se io tentassi di farvi indignare,
signori, farei un torto a Cassola Meno complesso – una volta tanto – sciogliere i luoghi testuali
e agli altri neo-puristi, che, si sa, necessari per l’interpretazione: l’elezione(a) di Cassola si riferisce
sono tutti rispettabili scrittori. alla vittoria del Premio Strega del 1960, per quanto in lizza ci
fosse anche Il cavaliere inesistente per cui “tifava” Pasolini; la scelta
72
P.P. Pasolini, In morte del realismo, in La religione del mio tempo..., ed. cit., linguistica di Cassola, prudentemente neutra, ormai, e, comunque,
pp. 139-145 passim; ora anche in Id., Tutte le poesie..., ed. cit., pp. 1031-1036. lontana dalla complessità o, perlomeno, dal tentato anti-mimeti-
73
W. Shakespeare, Giulio Cesare (trad. S. Perosa), in Id., I drammi classici,
Mondadori, Milano 1991, pp. 359-373 passim. smo dello sperimentalismo pasoliniano (del ’55 è Ragazzi di vita,

78 79
del ’59 Una vita violenta) viene giustificata dall’autore proprio in da solo, comunque, renderebbe preziosa, memoranda l’eredità
nome di una banalizzante semplicità che, quando diventi il punto dell’esperienza dello sperimentalismo, a questo punto sempre più
di vista da cui giudicare i tentativi “neo-sperimentali” genera la modellato, sugli elementi spuri e inclusivi del “folgorante schema
taccia di “ambizione”(b) per qualunque esperienza stilistica – non di Contini” è – e potrebbe essere altrimenti? – Gadda, sentito come
solo quella pasoliniana – non voglia ridurre la mimesi del reale a esperienza viva, in fieri, capace di dare respiro e nuovo slancio al
una garbata e trasparente raccontabilità del medesimo. Così, ine- travaglio di uno stile che voglia essere – ripetiamo – rovello critico
vitabilmente, il Joyce di Ulysses e di Finnegans Wake diventa uno e conoscitivo e non solo mera registrazione del reale:
scrittore ridotto alla sola presenza calligrafica del suo stile;74 ma la Eppure benché pugnalato a tradimento
sedicente taccia di “ambizione” del tentativo neo-realistico(c) cede e ormai defunto, l’impuro Realismo
presto il passo, in una sorta di martellante oscillazione dei punti di –sigillato col sangue partigiano
vista, alla per nulla dubbiosa, ma ironicamente, per via di allusività e la passione dei marxisti–
all’archetipo, convinta denuncia della “rispettabilità” di Cassola, lascia a ciascuno, individualmente,
esponente dei neo-puristi, dei “socialisti” bianchi, cosi benvisti in “settantacinque lire” di rinnovato
Vaticano’; e ben poco rimane, ripetiamo, dell’ambigua, assorta senso della storia: sono poche, nulla,
pensosità dell’honourable man dell’Antonio shakespeariano nella in confronto ai milioni della metastoria
rispettabilità dietro cui si maschera la prudente ignavia stilistica e del capitale: ma qualcosa sono.
dei “socialisti bianchi” tutti. Vi lascia inoltre il Pasticciaccio di Gadda,
Ma l’eredità del neo-realismo, inteso, ricordiamolo ancora una stupenda prefigurazione d’ogni
volta, “officinescamente” rimane e viene affidata a un canone che creante mimetismo...76
chiude la lirica (Moravia, Levi, Bassani, la Morante, Officina, Ma la voce di Contini, già solo di per sé riccamente polifonica,
Calvino.75 Ma il primo autore di tale canone, il lascito che anche riverbera echi innumerevoli nella, a sua volta, polifonica vicenda
74
Documento celebre della “normalizzazione” stilistica di Cassola, dopo gli
pasoliniana; e sono echi troppo ricchi, troppo complessi perché
inizi diversamente inquieti, tradotta anche in istanza critica neoconservatrice -spia qui se ne possa dare più analitico dettaglio; e non è timbro, quello
dell’invilimento piccolo-borghese, iuxta l’imprescindibile, non fosse che per la della voce di Contini nel suono pasoliniano che si lasci ridurre a
radice gramsciana, connessione tra fatti di lingua e realtà sociale sempre presente questi nostri ultimi, troppo frettolosi cenni. Ben più analitico e
in Pasolini- è certamente il seguente: “Quando Joyce era premuto dall’ispirazione, critico dettaglio esso meriterebbe:
ha scritto Dubliners... Quando Joyce non aveva più nulla da dire, ha scritto Fin-
negans Wake. La verità è che la forza creativa non si sente impacciata dalle vecchie 76
P.P. Pasolini, In morte del realismo in La religione..., ed. cit., p. 144. Nella liri-
strutture, e può benissimo utilizzarle ai propri fini (e, utilizzandole, le trasfor- ca successiva, La reazione stilistica, la centralità gaddiana viene ribadita ulterior-
ma)... Gira e rigira, si torna sempre lì: all’ispirazione, alla forza creativa, alla fan- mente: “Gadda! Tu che sei lingua oscura/ e ragione oscura,/ rifiuta le loro inte-
tasia”; C. Cassola, I veleni critici, in «Le ragioni narrative », settembre 1960, p. 29. ressate lusinghe,/ nel tuo limpido raziocinio!”; P.P. Pasolini, La reazione stilistica,
75
“Vi lascia insieme/ le diagnosi buon e spietate di Moravia,/ la dolcezza in La religione..., ed. cit., p. 150. Inutile ricordare la centralità di Gadda, ultimo
sociologica di Levi,/ la storia d’oro di Bassani, le creature/ dell’Isola di Arturo, tratto, ormai, per noi del romanzo delle affinità elettive tra Pasolini e Contini, nel
qualche giovane/ che spera in un futuro non servile,/ e una piccola Officina percorso critico del grande filologo; la “funzione Gadda” riassume con sintesi ed
bolognese.../ E vi lascia Calvino. La sua prosa/ piuttosto francese che toscana,/ il efficacia straordinarie l’intera indagine continiana nel campo dell’espressionismo
suo estro più volterriano che/ strapaesano...”; P.P. Pasolini, In morte del realismo e del plurilinguismo della nostra letteratura. Gran parte dei contributi su Gadda
in La religione..., ed. cit., p. 144. si trovano ora in : G. Contini, Quarant’anni d’amicizia, Einaudi, Torino 1989.

80 81
Ma son giunto a quel segno il qual s’io passo Il corsaro luterano e il chierico rosso.
vi potria la mia storia esser molesta; Pasolini e Sanguineti: poesia e ideologia
ed io la vo’ più tosto differire,
che v’abbia per lunghezza a fastidire.77 di Maurizio Allegri

Potremmo mai avere una cultura che


sappia proteggere l’uomo dalla sofferenza
invece di limitarsi a consolarlo?
Elio Vittorini, Una Nuova cultura, 1945

(e l’altra sera potevo concludere, all’Italsi-


der, confessandomi chierico):
sono un chierico rosso, e me ne vanto:
Sanguineti, Postkarten 60

Quella che si profila alla metà degli anni Cinquanta può ben essere
vista come una situazione poetica archetipica. Da un lato, un’i-
dea di poesia ereditata, consolidata e praticata senza innovazione,
eletta a canone e insegnata nelle scuole, che, nella temporalità
interessata dal discorso che qui si va avviando, è la cosiddetta koiné
postermetica (nella quale, nell’opera degli epigoni qui considerati,
confluisce il magistero di Ungaretti, di Montale e degli ermetici
degli anni Trenta), caratterizzata da “una scelta monolinguistica
e, soprattutto, monostilistica... [che] riassesta [il canone] su un
profilo più alto, correggendo in modo determinante l’impron-
ta prosastica lasciata dalle avanguardie primonovecentesche”;1
dall’altro, la volontà di rompere con questa tradizione e proporre
un’idea e una pratica di poesia innovativa, all’altezza dei tempi e
dei conflitti sociali, una poesia antagonista e sperimentale, che,
nella medesima temporalità, ha i suoi punti di forza maggiore, ma
con esiti assai diversi, nella proposta di Pasolini e, in continuità/
1
R. Luperini, Montale e il canone poetico del Novecento, in Il dialogo e il
77
L. Ariosto, Orlando Furioso, XXXIV, 136, 5-8. conflitto, Laterza 1999, p. 117.

82 83
discontinuità proprio con le avanguardie primonovecentesche, in “impegno”, e in una “vocazione antropologica” che li fa andare
quella di Sanguineti. “oltre la superficie della storia”.4 E si darà senz’altro credito alle
Nelle lucide parole di Pasolini la situazione si presenta così : dichiarazioni di stima per il poeta di Casarsa, in versi e in pro-
... Ora c’è stato un periodo di questa nostra storia in cui l’unica
sa, che lo stesso Sanguineti ha disseminato nel corso degli anni5
libertà rimasta pareva essere la libertà stilistica... Ma non poteva (frammiste a contrapposizioni anche durissime, come quando il
trattarsi che di una libertà illusoria... una lingua fondamentalmente “fratello minore” non può perdonare gli “abbagli” del maggiore);6
eletta e squisita, classicista nella sostanza, con le tangenti però della mentre lo stesso non si può dire di Pasolini (il “fratello maggiore”
dilatazione semantica, del pastiche, della pregrammaticalità pseudo- che poco si cura del minore).7
realista. Ma erano audacie collaudate: e non c’era invenzione... Il Nell’immediato, però, sulla convergenza prevale la rottura, le
salto tra la tale lingua... e la lingua strumentale, era incolmabile: posizioni si irrigidiscono e le poetiche si definiscono in una radi-
perciò ne conseguiva una identificazione fra il poetico e l’illogico, cale alternativa.
fra il poetico e l’assoluto: il poetare era un atto mistico, irrazionale La cronaca dice che Pasolini ha tentato un’operazione “editoria-
e squisito... La storia non esisteva più: e il mondo interiore era in le”, in quello stesso numero di “Officina” del 1957, che, se pure
definitiva una prigione...2 fatta in buonafede, è apparsa a Sanguineti quantomeno furbesca
L’anno prima Sanguineti all’età di ventisei anni, ma senza timori e provocatoria. Ma lasciamo la parola allo stesso Sanguineti, non
reverenziali, così aveva, invece, stigmatizzato la figura dei padri: prima di aver ricordato che nel 1956 Sanguineti aveva pubblicato
“Ungaretti e Montale... tracent les deux lignes fondamentales, Laborintus, l’opera poetica più innovativa del secondo Novecento,
majeure et mineure, du lyrisme italien du XXe siècle... La nouvelle e nello stesso 1957 Pasolini dava alle stampe Le ceneri di Gramsci,
Arcadie peut bien invoquer son Chiabrera [sic] en Montale,... le che contiene un poemetto in terzine intitolato Una polemica in
chemin d’Ungaretti est sans doute (et voilà le paradoxe), celui de versi, polemica nei confronti dei comunisti del Pci, ma anche dei
Pétrarque”.3 membri della rivista “Ragionamenti”, nel cui comitato di redazio-
Qui la convergenza; convergenza che proseguirà, nel senso che ne era Franco Fortini. Sanguineti, dunque, scrive in terzine una
continuerà a scorrere come un fiume carsico, se si deve dare credito Polemica in prosa, in risposta all’operazione pasoliniana, e dice:
a quanto ha scritto R. Luperini, introducendo il capitolo dedicato ... ma discuto quella
a Edoardo Sanguineti nel suo Il Novecento: “nonostante le profonde Sua libertà di stile, invece, quella
divergenze che hanno contrapposto il capofila del neosperimen- Sua libertà desidero discutere
talismo e quello della neoavanguardia, e le radicali differenze che (ahi, che lo stile è l’uomo!), che da Lei
dividono le rispettive produzioni artistiche, fra i due qualcosa in fu usata verso i miei testi...
comune c’è”; e il critico lo ravvisava nella dialettica di “poesia” e
4
R. Luperini, Il Novecento apparati ideologici ceto intellettuale sistemi formali
2
P.P. Pasolini, Libertà stilistica 1957 su “Officina”, poi in Passione e ideologia, nella letteratura italiana contemporanea, Loescher 1981, vol. 2, pp. 831-32.
ora in Saggi sulla letteratura e l’arte, 2 voll., a cura di Walter Siti e Silvia De 5
Particolarmente significativa Le ceneri di Pasolini (1979), ora in E. Sangui-
Laude, Mondadori, I Meridiani, II ed. 2004, pp. 1231-1233. neti, Segnalibro, Poesie 1951-1981, Feltrinelli 1982.
3
E. Sanguineti, Dix années de póesie italienne (“L’âge nouveau”, 1956), ora 6
Uno per tutti, La bisaccia del mendicante (1973), in Giornalino, Einaudi
in E. Sanguineti, Lettere dagli anni Cinquanta. Il carteggio con Luciano Anceschi 1976, pp. 51-54.
e altri scritti, a cura di N. Lorenzini, De Ferrari 2009, p. 243. 7
V. Fabio Gambaro, Colloquio con Edoardo Sanguineti, Anabasi, 1993, p. 34.

84 85
... vedete ora il verme prima metà degli anni Cinquanta non stupisce che il friulano e
immondo, ma cercate (più oltre e più bolognese d’adozione Pasolini e il genovese e torinese d’adozione
lontano, e adesso vi dico anche dove) Sanguineti vivano esperienze culturali e letterarie diverse: da un
l’angelica farfalla...8 lato la campagna friulana, che presto assurge a rifugio mitico, e
Parafrasando: Sanguineti ha inviato a Pasolini due testi da Ero- l’università bolognese, dove ancora è viva la lezione di Carducci e
topaegnia, il suo secondo poemetto poetico, su richiesta dello stes- Pascoli; dall’altro Torino e la città industriale, dove ancora è viva
so Pasolini, che però ha usato quei testi (“il verme immondo”), la lezione di Gramsci e Gobetti.
etichettati come “epigoni”, se pur non privi di energia, di Pound E differenti sono poi i temperamenti che già si profilano negli
ed Eliot, per mostrare, a suo modo, che il vero sperimentalismo, anni della formazione, estetico-decadentista quello pasoliniano,
la vera innovazione e invenzione (“l’angelica farfalla”), è quella di anarchico-avanguardista quello sanguinetiano.
“Officina”. Ora, in un contesto così decisivo per il cambiamento della fun-
Ma le ragioni che da questo momento in poi scaveranno il solco zione-poeta, come quello della prima metà degli anni Cinquanta,
della divisione sono più profonde. Alla metà degli anni Cinquanta Pasolini, nel momento in cui decide di fare poesia civile, non più
l’Italia va incontro a un processo di grandi trasformazioni: le indu- nel modo ai suoi occhi ingenuo e compromesso del neorealismo,
strie del Nord introducono la catena di montaggio, si moltiplicano non solo va a recuperare, come egli stesso programmaticamente
gli investimenti, si sviluppano le tecnologie, aumentano i salari; le dice, stilemi ottocenteschi – Leopardi, Carducci, Pascoli e D’an-
campagne del Sud si spopolano: i lavoratori dell’industria passano nunzio – , ma perpetua una figura del poeta che ha essa stessa tratti
dal 30 al 40 per cento, quelli agricoli dal 45 al 29; nascono l’indu- ottocenteschi, come pronuncia “privilegiata, luogo dell’assoluto,
stria e un mercato di massa per i prodotti culturali; la scolarizzazio- dove ogni asserzione diventa verità e il privato può presentarsi
ne diviene anch’essa di massa; declina l’intellettuale tradizionale, come un universale... una pronuncia sacrale, “sciamanica”...12
intellettuale-letterato, al cui posto subentra l’intellettuale salariato E così è: nelle Ceneri di Gramsci (i cui poemetti sono stati com-
al servizio dell’apparato culturale in cui lavora (editoria, industria, posti tra 1951 e 1956) Pasolini è il romantico cantore del paesaggio
Rai-Tv, stampa, etc.).9 al chiaro di luna:13
Tuttavia, il decennio che va dalla fine della Seconda Guerra Teatro di dossi, ebbri, calcinati,
Mondiale alla metà degli anni Cinquanta (la cesura del ’56),10 muto, è la muta luna che ti vive,
se è un decennio di grandi mutamenti e di grandi passioni, al tiepida sulla Lucchesia dai prati
livello culturale e politico non segnano uniformemente la socie-
tà italiana e i suoi intellettuali.11 Questo per dire che in quella troppo umani, cocente sulle rive
della Versilia, così intera sul vuoto
8
In Segnalibro, op. cit. del mare – attonita su stive,
9
V. R. Luperini, Il Novecento, op. cit, pp. 716-722.
10
L. Canfora, 1956. L’anno spartiacque, Sellerio 2008.
11
È sufficiente confrontare fra loro F. Fortini, Dieci inverni (1947-1957). 12
F. Bandini, Il “sogno di una cosa” chiamata poesia, introd. a P.P. Pasolini,
Contributi ad un discorso socialista, Feltrinelli 1957; O. Ottieri, Linea gotica: tac- Tutte le poesie, 2 voll., Mondadori, I Meridiani, II ed. 2009, p. XV.
cuino 1948-1958, Bombiani 1962; P. Spriano, Le passioni di un decennio 1946- 13
Per tutte le poesie di Pasolini citate nel presente lavoro si fa riferimento a
1956, Garzanti 1986; L. Canali, Archivio rosso. Gli anni dell’utopia, manni 2007. P.P. Pasolini, Tutte le poesie, op. cit. alla nota precedente.

86 87
carene, vele rattrappite, dopo Noi, non popolani, nella stretta
viaggi di vecchia, popolare pesca del popolo contadino, della magra
tra l’Elba, l’Argentario... folla paesana, amati quanto
ci ardeva l’amare, feriti dall’agra
La luna, non c’è altra vita che questa.
E vi si sbianca l’Italia da Pisa notte ch’era loro, del loro stanco
sparsa sull’Arno in una morta festa ritorno dai campi nell’odore
di fuoco delle cene... uno a fianco
di luci, a Lucca, pudica nella grigia
luce della cattolica, superstite all’altro gridavamo le parole
sua perfezione... che, quasi incomprese, erano promessa
sicura, espresso, rivelato amore.
Umana la luna da queste pietre
raggelate trae un calore E poi le canzoni, i poveri bicchieri
di alte passioni... È, dietro di vino sui tavoli dentro la buia
osteria, le chiare facce dei festeggeri
il loro silenzio, il morto ardore
traspirato dalla muta origine: intorno a noi, i loro certi occhi sui
il marmo, a Lucca o Pisa, il tufo nostri incerti, le scorate armoniche
e la bella bandiera nell’angolo più
a Orvieto... (L’appennino)
in luce dell’umido stanzone. (Quadri friulani)
(quando, sia detto tra parentesi, farla finita con il chiaro di luna è
stato invece il grido di battaglia delle avanguardie storiche; bastino È il cantore del popolo sottratto ai “bagliori” della modernità:
per tutte l’Espettorazione di un tisico alla luna, di Gian Piero Lucini: Improvviso il mille novecento
Luna/luogo comune delli sfaccendati/in ogni prova prosodica/ cinquanta due passa sull’Italia:
facile rima ai sonetti romantici... Luna,/il mio cuor ti sospira e solo il popolo ne ha un sentimento
si svuota/d’amarezze e ti vomita bestemie:/sono un povero tisico vero: mai tolto al tempo, non l’abbaglia
che rece,/coi coalgoli rossi, il suo buon cuore. (vv. 1-4; 25-29); e la modernità, benché sempre il più
Maledetta la luna! del futurista Enrico Cavacchioli: Maledetta la moderno sia esso, il popolo, spanto
luna! Maledetta ella sia,/piccola ancella che porta il seggolo della in borghi, in rioni, con gioventù
beghina/e mormora ipocrituzze preghiere da innamorati!... Ma- sempre nuove – nuove al vecchio canto –
ledetta la luna! Che s’indugia nel trivio,/sgonnellando, come una a ripetere ingenuo quello che fu. (Il canto popolare)
meretrice gaglioffa, vv. 18-20; 25-26). Pasolini è anche il cantore È il cantore di un proletariato eletto a religione, puro sentimento
di un mondo contadino ai suoi occhi intatto e depositario di valori viscerale:
altrimenti sepolti:

88 89
attratto da una vita proletaria il principio di realtà fattosi sangue e carne) e l’inetto votato alla
a te anteriore, è per me religione contemplazione (diviso tra orgoglio e vergogna della poesia).
In Laborintus (le cui sezioni sono composte tra 1951 e 1954)
la sua allegria, non la millenaria Sanguineti fa i conti con la crisi di linguaggio, con l’alienazione
del soggetto, con la reificazione dei rapporti sociali, con il pericolo
sua lotta: la sua natura, non la sua
di guerra atomica, con i processi inconsci che lo sviluppo di quello
coscienza; (Le ceneri di Gramsci)
che allora veniva chiamato il neocapitalismo andava determinando.
Ed è il cantore civile di una storia che è già finita: E non ultimo con la frattura poeta/pubblico (ma dirà sempre che
[...] Ma io, con il cuore cosciente per la sua generazione la scelta tra orgoglio e vergogna della poesia
era divenuta ormai obsoleta).
di chi soltanto nella storia ha vita, Qui il paesaggio è un paesaggio lunare deprivato di qualsiasi
potrò mai più con pura passione operare, aura; palude, avallamenti e crateri, quasi scenario post guerra ato-
se so che la nostra storia è finita? (Le ceneri di Gramsci) mica, desumanizzato:
Pasolini nel momento in cui si fa poeta civile dichiara che “la 1.
nostra storia è finita”. È solo apparentemente una contraddizio- composte terre in strutturali complessioni sono Palus Putredinis
ne. Pasolini ha bisogno di dichiarare finita quella storia che è la riposa tenue Ellie e tu mio corpo tu infatti tenue Ellie eri
storia dell’umile Italia e della Resistenza, perché soltanto così può [il mio corpo
immaginoso quasi conclusione di una estatica dialettica spirituale
crederci ancora: sottratta al divenire, per lui catastrofico, la storia noi che riceviamo la qualità dei tempi:
si fa mito.
8.
Sanguineti, invece, ricomincia da Palazzeschi: ritorna mia luna in alternative di pienezza e di esiguità
Infine, io ò pienamente ragione, mia luna al bivio e lingua di luna
i tempi sono cambiati, cronometro sepolto e Sinus Roris e salmodia litania ombra
gli uomini non domandano ferro di cavallo e margherita e mammella malata e nausea
più nulla dai poeti: Il soggetto è frantumato, alienato, manipolato:
e lasciatemi divertire!14
2.
È la frattura inesorabile tra poeta e pubblico quella che, all’inizio è finita infine è atomizzata e io sono io sono una moltitudine
del secolo scorso, con ilare provocazione da saltimbanco, Palaz- ...
zeschi affida ai suoi versi. Una frattura cui la modernità borghese non c’è più divertimento
condanna il poeta, primo e illustre teste Baudelaire, e che continua ridurremo forse la testa umana a secco luogo geometrico
con la polarità tra il borghese inteso alla moneta (l’uomo di polso,
4.
14
A. Palazzeschi, E lasciatemi divertire, in L’Incendiario (1910), in Tutte le
noi les objects à réaction poétique
poesie, Mondadori, I Meridiani, 2002.

90 91
15.
ma complicazione come alienazione come aspra alienazione Ma Laborintus vuole fare i conti, definitivamente, anche con
[corollario l’astrattismo e il formalismo dell’avanguardia. Quando il giovane
alienazione epigrammatico epilogo Laszo drammatico addendo Sanguineti inizia a poetare, in piena solitudine, si trova di fronte
[compendiario non solo a una crisi del linguaggio che è propria della poesia degli
È una discesa agli inferi che annienta ma dalla quale si fuoriesce anni Cinquanta, ma anche a una crisi del linguaggio che è propria
(ri)generato: della società mediatica incipiente. I riferimenti più prossimi sono,
a Torino dove egli opera, le pratiche artistiche pittoriche e musicali
4.
che erano etichettate come informali o categorizzate come espres-
ma in questa νέκυια senza risorse
sionismo astratto, le quali per Sanguineti, accanto alla coscienza
26. critica che offrivano della situazione storico-culturale, mostravano
e ah e oh? (terre?) tutto il loro “astrattismo”, ovvero “formalismo” e “irrazionalismo”.
complesse composte terre (pietre); universali; Palus; Ma non si poteva chiudere gli occhi sul fatto che quelle pratiche,
(pietre?) al tuo livore; amore; al tuo dolore; uguale tu! che rimandavano alle avanguardie storiche, mettevano sul tappe-
una definizione tu! liquor! definizione! di Laszo definizione! to la questione, ormai centrale, dell’arte legata alla sua riprodu-
generazione tu! liquore liquore tu! lividissima mater: cibilità tecnica (come aveva insegnato Benjamin alla metà degli
Scriverà qualche anno dopo Sanguineti: “L’etimologia struttu- anni Trenta) e della sua mercificazione. Questione che si poteva
rale dell’avanguardia è stata perfettamente additata da Benjamin rimuovere, continuando a “sognare”,16 condannandosi quindi a
nella sua descrizione del contegno di Baudelaire sul mercato let- un altro formalismo e a un altro irrazionalismo. È quello che fa
terario (Angelus novus, 129-138, ecc.) la prostituzione ineluttabile Pasolini, il quale, saltando all’indietro, scavalca il terreno delle
del poeta, in relazione al mercato come istanza oggettiva, e al pro- avanguardie, per recuperare Leopardi, Carducci, Pascoli e D’An-
dotto artistico come merce... È questo, il mercato,... che si tratta nunzio, legandosi così a una problematica dell’arte e dell’artista
di conquistare... Tale prostituzione illustra chiaramente il doppio che non è più quella attuale. Per Sanguineti, al contrario, si tratta
movimento interno all’avanguardia... l’aspirazione eroica e patetica di “attraversare” le avanguardie (e la loro attualità) per portarne
a un prodotto artistico incontaminato... che sia insomma commer- fino in fondo le contraddizioni e poterne uscire lasciandosele alle
cialmente impraticabile, e il virtuosismo cinico che immette nella spalle, ma con le “buone tracce di melma sulle mani”. Il grido di
circolazione del consumo artistico una merce capace di vincere, ogni avanguardia, “bruciamo le biblioteche”, “distruggiamo i mu-
con un gesto sorprendente e audace, la concorrenza indebolita sei”, che nasce da un sano conflitto con la reificazione culturale, è
e stagnante di produttori meno avvertiti e meno spregiudicati... destinato a strozzarsi in gola nel momento in cui, ineluttabilmente,
Da Baudelaire in poi, ma più esattamente e più largamente, per l’opera d’avanguardia finisce nella biblioteca e nel museo. Quando
tutto l’arco romantico e borghese, tutta la verità occulta dell’arte Sanguineti dice “fare dell’avanguardia un’opera da museo” intende
sta nell’avanguardia, che ne confessa il meccanismo nascosto... ”15 proprio rendere inattuale l’avanguardia, mantenendo però quelle
16
Sulla dialettica sogno/risveglio si veda F. Curi, Struttura del risveglio. Sade,
15
E. Sanguineti Sopra l’avanguardia, 1963, ora in Ideologia e Linguaggio, Benjamin, Sanguineti. Teorie e modi della modernità letteraria, nuova ed. accre-
Feltrinelli, III ed. 2001, p. 55. sciuta, Mimesis 2013.

92 93
“pulsioni anarchiche” che le sono proprie come antidoto alla mer- d’eccellenza, con Nel magma, 1963, dà voce non più e tanto alla
cificazione dell’arte e ristabilendo al contempo un nuovo tipo di soggettività, ma al negativo e alla casualità dell’esistente; Vittorio
comunicazione poetica, in linea, ora, con la “nuova figurazione“ di Sereni, di provenienza ermetica, con Gli strumenti umani, 1965, dà
Baj. È stato dimostrato che Sanguineti, mentre pratica il “disordine una svolta alla propria produzione poetica all’insegna della storia;
procurato” di Laborintus avvia contemporaneamente la ricompo- Giorgio Caproni con Congedo del viaggiatore cerimonioso, 1965,
sizione di un nuovo ordine.17 Detto altrimenti, e con un nuovo esce dalla pronuncia oracolare e lirica precedente.20 I giovani che
confronto, mentre, ad esempio, in Zanzotto la figura si sfigura si affermano sulla scena poetica come Giudici con La vita in versi,
sprofondandosi nell’informe, in Sanguineti la figura sprofondarsi 1965, e Raboni con Le case della Vetra, 1966, risentono in pieno
nell’informe emerge come nuova figura.18 È il doppio movimento del rinnovamento proposto. A ciò va aggiunto che Montale inau-
(“callida junctura”) tipico di Sanguineti, testimoniato fin dalla gura un suo nuovo modo di fare poesia con Satura che raccoglie le
lettera ad Anceschi del 29/1/1958:19 “in un certo senso credo la poesie 1962-1970 (e proseguirà con il passaggio “dall’escatologia
mia poesia non destinata mai a uscire da una fase sperimentale; alla scatologia” (Zanzotto) del Quaderno di quattrio anni e oltre),
in un altro senso la credo, per contro, nascere proprio come per- così come Pasolini con Poesia in forma di rosa 1964 e quel che ne
petuamente uscente, se così posso dire, da una fase sperimentale, seguirà.
consumata all’interno della poesia stessa, ma non mai in modo C’è insomma un generale abbassamento e una maggiore varia-
tale, s’intende, che non abbiano a vedersene i segni manifesti (e bilità del linguaggio, unitamente a un allargamento degli oggetti
provocanti intenzionalmente)”. degni di poesia, senza restrizioni e infingimenti pascoliani o vo-
lontà di renderli emblemi metafisici alla Montale.
Voi, ch’avete mutata la mainera... Nel 1961 esce l’antologia I Certo dietro è il mutamento socioeconomico del neocapitali-
novissimi, il cui titolo è invenzione sanguinetiana: è un vero e pro- smo, di cui tutti risentono e di cui Pasolini dà chiara testimonianza:
prio terremoto poetico che taglia in orizzontale la linee parallele e Una disperata vitalità (Poesia in forma di rosa)
alternative del novecentismo e dell’antinovecentismo.
Negli anni immediatamente a seguire poeti già affermati mu- Io volontariamente martirizzato... e
tano il loro modo di fare poesia: Andrea Zanzotto con IX Ecloghe, lei di fronte, sul divano:
1962, adotta un linguaggio plurilinguistico che attenua fortemente [...]
la ricerca di purezza e di liricità che avevano caratterizzato le raccol- Poi forte: “Mi dice che cosa sta scrivendo?”
te poetiche degli anni Cinquanta (Dietro il paesaggio, 1951; Elegia “Versi, versi, scrivo! versi!
e altri versi, 1954; Vocativo, 1957); Mario Luzi, poeta ermetico (maledetta cretina,
versi che lei non capisce priva com’è
17
Si veda A. Pietropaoli, Unità e trinità di Edoardo Sanguineti, Edizioni di cognizioni metriche! Versi!)
Scientifiche Italiane 1991, in particolare cap. 1. non più in terzine
18
A. Cortelessa, Le buone macchie di melma. Sanguineti dall’Informale alla
Nuova Figurazione – e oltre, in Per Edoardo Sanguineti: lavori in corso, Atti
del Convegno Internazionale di Studi, Genova, 12-14 maggio 2001, Franco
Cesati Editore, 2012, p. 341. Si vedano i cappelli introduttivi ai poeti citati (dai quali attingo per la loro
20
19
E. Sanguineti, Lettere dagli anni Cinquanta, op. cit., p. 152. puntualità) in E. Testa, Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000, Einaudi 2005.

94 95
Capisce? o lo facevamo noi o non lo facevano altri... Personalmente io mi
Questo è quello che importa: non più in terzine! dichiaro assolutamente soddisfatto».21
Sono tornato tout court al magma! Pertanto «non c’è niente di male nell’ammettere che la rivolu-
Il neocapitalismo ha vinto, sono zione neoavanguardistica con tutte le sue implicazioni culturali ed
sul marciapiede estetiche apre definitivamente gli occhi» a un poeta come Montale
come poeta, ah [singhiozzo]
e «lo fa desistere prima dal far poesia e poi dal continuare a farla al-
come cittadino [altro singhiozzo]”
la maniera usata... Montale intuisce che dietro quel secondo terre-
ma i primi interpreti di questa svolta e i primi a proporre una moto estetico c’era ben altro: la seconda svolta neo-capitalistica».22
poesia che se ne faccia carico sono I novissimi (la cui seconda Un percorso, questo, analogo per molti versi a quello di Pasolini.
edizione esce nel 1965). Anche un giovane critico come Raffaele Donnarumma scrive che
Ed è Sanguineti che lucidamente lo ricostruisce in occasione del «è stata la neoavanguardia a rappresentare, per molti scrittori ve-
Convegno per i quarant’anni del Gruppo 63: «Io vorrei tentare nuti dalla tradizione umanistico-borghese e modernista, una crisi
una para-palinodia, una sorta di ritrattazione, dicendo in che cosa irreversibile... La neoavanguardia, si disse, era espressione del caos
avevano ragione i nostri nemici... La prima [ragione] era che noi e del fango in cui l’occidente si stava impantanando: e lo dissero
eravamo la voce del neocapitalismo. Il Gruppo, sotto apparenze Montale come Calvino, Pasolini come Zanzotto. Questi scrittori
contestative, era in realtà l’espressione della cultura neocapitali- sentivano che con la neoavanguardia bisognava fare i conti, perché
stica. essa diceva qualcosa di vero sul presente. Tutti loro, in qualche mo-
Bene, in questo c’era un nocciolo di vero, ma in un senso pro- do, si trovarono a dover attraversare la neoavanguardia, a rivedere
fondamente diverso da com’era gestita l’obiezione. È vero che il la loro posizione, a rispondere alle sue parole d’ordine, persino ad
modo in cui il Gruppo si è articolato... era strettamente connesso assumerne alcuni modi espressivi».23
all’avvento della situazione neocapitalistica... La cultura umanisti-
ca dell’epoca si trovava a grande distanza dalla situazione che era Nel corso degli anni Sessanta e Settanta Sanguineti, sulla spinta
diagnosticata dalle scienze umane. In sostanza i letterati... conti- della poetica neofigurativa, darà alle stampe i suoi libri di versi
nuavano a scrivere versi, a comporre romanzi o a gestire giudizi “elegiaci” (da Reisebilder a Scartabello) per approdare negli anni
letterari ancora assolutamente legati a un mondo che non esisteva Ottanta e Novanta alla poesia “comica” (raccolta nel volume Il
più e che era in rapidissima trasformazione... Quello che ci carat- gatto lupesco), i primi all’insegna di una poetica del quotidiano,
terizzava era di non avere nessuna nostalgia verso il mondo che ci realistica e allegorica, la seconda nel solco della proposta di “sabo-
aveva preceduto .. niente “Officina”, per dirla molto brevemente... taggio della letteratura” e all’insegna di una poetica iperletteraria
Noi siamo stati coloro che, nel bene e nel male, abbiamo cercato
di cogliere questa fase novissima che eravamo chiamati a vivere.
Ci è andata così. 21
Il gruppo 63 quarantanni dopo. Bologna, 8-11 maggio 2003. Atti del
E io cito sempre volentieri quella proposizione di Schönberg convegno, Pendragon 2005, pp. 82-90 con omissioni..
quando, interrogato se fosse il musicista Schönberg, disse: “Sì,
22
A. Pietropaoli, “Sul filo della corrente”. Il secondo Montale, in Le strutture
dell’anti-poesia, Guida, 2013, pp. 153-154.
bisognava pure che qualcuno facesse quello che io ho fatto e sto 23
R. Donnarumma, Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea, il
facendo: è toccato a me”. È toccato a noi fare un certo lavoro... Mulino, 2014, p. 41.

96 97
(“saper bene come scrivere male”).24 Pasolini, prigioniero della ha ormai perso “la speranza nel suo tempo” e soprattutto “la capa-
propria disperazione, nel corso degli stessi anni, procederà sì lungo cità di vedere .. ciò che non è completamente scomparso”, quelle
il crinale di una poesia informale, anti-letteraria, ma abdicando forme di resistenza che si generano nel momento in cui il Già-stato
sempre più dal ruolo di poeta: incontra l’Adesso “per dar vita al piccolo baluginio e alla costel-
La mancanza di richiesta di poesia (Poesia in forma di rosa)
lazione delle lucciole.”27 E aveva dunque, in parte, ragione anche
Piergiorgio Bellocchio quando scriveva, a introduzione del volume
Così mentre mi erigevo come un verme, mondadoriano dei Saggi sulla politica e sulla società:28 “Quel che
molle, ripugnante nella sua ingenuità, manca è un Pasolini: quante volte dopo la sua morte abbiamo
qualcosa passò nella mia anima – come sentito questo lagnoso luogo comune... Ma bisogna convenire che
se in un giorno sereno si rabbuiasse il sole; Pasolini ha dato, e detto, tutto. La “fine della nostra storia”, cioè
sopra il dolore della bestia affannata
si collocò un altro dolore, più meschino e buio,
della speranza politica, annunciata da Pasolini vent’anni prima, e
e il mondo dei sogni s’incrinò. ora davvero definitiva, non poteva che coincidere con quella del-
«Nessuno ti richiede più poesia!» la sua privata esistenza.”29 Bellocchio ha ragione a far coincidere
E: «È passato il tuo tempo di poeta...» quell’idea della storia finita con la fine di quella esistenza (senza
«Gli anni cinquanta sono finiti nel mondo!» precludere però, come si dirà, postume eredità); ma camuffa le
«Tu con le ceneri di Gramsci ingiallisci, carte quando fa coincidere quella storia con la “speranza politica”
e tutto ciò che fu vita ti duole tout court. Certamente è quanto pensa, con disincantato realismo,
come una ferita che si riapre e dà la morte!» Guido Mazzoni che alla diagnosi pasoliniana si riconduce per
Pasolini “smette di credere nella sua utopia à rebours” al “mito decretare che “quella metamorfosi che negli ultimi decenni ha
roussoiano (ma un po’ anche sadiano) del popolo puro e incor- cambiato la famiglia, l’amore, la politica, i rapporti personali, i rap-
rotto, come smette di credere al valore socio-sacrale della poesia e porti di classe, i modi di lavorare, pensare, comunicare, desiderare,
quindi abdica al suo ruolo di poeta civile, o perlomeno di poeta consumare” non lascia più spazio non dico alla rivoluzione, ma
serio, impegnato e prospettico”.25 Sono gli anni in cui Pasolini, neppure all’utopia, ma solo a un ritorno all’idea trascendentale di
ormai pensata e dichiarata chiusa la partita, già matura l’idea di Comunismo come era tra i neokantiani marxisti all’epoca della II
una fine di tutto e si inventa, in articulo mortis, la scomparsa delle Internazionale.30 Eppure proprio questo, “non sperare più nulla”,
lucciole.26 Ha ragione Didi-Huberman quando dice che Pasolini concretamente e materialisticamente, Franco Fortini non poteva
perdonare a Pasolini.31 Extrema ratio.
24
Tragico, elegiaco e comico in fasi successive, ma ognuno come sintesi dia-
lettica degli altri due, secondo la testimonianza dello stesso Sanguineti datata 27
G. Didi-Huberman, Come le lucciole. Una politica della sopravvivenza,
1982 a F. Curi (v. F. Curi, Gli stati d’animo del corpo. Studi sulla letteratura Bollati Boringhieri, 2009, p. 41.
italiana dell’Otto e del Novecento, Pendragon 2005, p. 262).. 28
Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude,
25
A. Pietropaoli, Pasolini postmoderno?, in Le strutture dell’anti-poesia, op. Mondadori, I Meridiani, 1999, pp. 290-293.
cit. , p. 95.. 29
Ivi, p. XXXIX.
26
P.P. Pasolini, Articolo delle lucciole [Il vuoto di potere in Italia], in Scritti 30
G. Mazzoni, I destini generali, Laterza 2015.
corsari, ora in Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De 31
L. Lenzini, Attraverso Pasolini e Fortini, in Un’antica promessa. Studi su
Laude, Mondadori, I Meridiani, 1999, p. 404 ss. Fortini, Quodlibet studio 2013, p. 160.

98 99
Per tornare alla poesia, l’esito estremo della poetica pasoliniana per libere associazioni e oscure allusioni” che pur accomunano il
è una rinuncia all’insegna della nuova figura del “buffone” (La secondo Pasolini agli avanguardisti, tuttavia non si accompagnano
nascita di un nuovo tipo di buffone è il titolo di una poesia di Tra- a quelle forme di asintassia proprie dell’avanguardia e soprattutto
sumanar e organizar, da cui si citano i versi sotto riportati). Anche a quelle figure omofoniche “strombazzate” che caratterizzano le
il Sanguineti “comico” si traveste da pagliaccio e saltimbanco, ma poesie del terzo Sanguineti,33 che sono sempre all’insegna dell’an-
tra i due c’è una differenza di fondo significativa. Per Pasolini è, tagonismo, quell’antagonismo che Pasolini ha dato per perso.
come si è detto, la rinuncia definitiva alla poesia e al ruolo di poeta,
essendo per lui la poesia identificabile sempre come qualcosa di Pasolini è stato l’intellettuale isolato, che inserito nei grandi
prezioso e di puro: canali della comunicazione di massa, ha manifestato il proprio
Io non ho più il sentimento
dissenso e dato scandalo in quella fase di americanizzazione della
che mi fa avere ammirazione per me stesso. società34 che faceva e fa del dissenso e dello scandalo isolati stru-
menti ideologici di autoconservazione. Più vitale la sua eredità in
Non considero il fondo delle mie parole quei giovani che «nella visceralità di Pasolini scorgono un valore
come un fondo prezioso, una grazia, di testimonianza e di provocazione insieme privata e pubblica,
qualcosa di speciale e di particolarmente buono. un’alterità conferita dal nudo fatto di esistere, un’irriducibilità
che è tutt’uno con la “ragione corporale” e col rifiuto di ideologie
In Sanguineti, invece, il travestimento clownesco è, innanzitut- astratte e totalizzanti».35 Sanguineti, richiesto in una intervista
to, l’atto di protesta contro una società che ha trasformato l’arte se credesse “di avere dei figli tra i poeti più giovani”, così rispo-
in merce, ma è, anche, la proposta di una poesia alternativa «ir- se: “Quando capita di avere l’impressione di essere stato utile a
riverente e caricaturale ove si tende a profanare ogni gerarchia di qualcuno, l’impressione è ambivalente: fa piacere, ma se la cosa è
valori (tra le parole)»32 contro ogni tendenza neolirica che fa della evidente, mimetica, allora si prova anche un certo fastidio. Piut-
parola poetica qualcosa di separato o di mero risarcimento: tosto, questo sì, vorrei aver incitato a un più largo senso di libertà
a domanda rispondo: nella scrittura e aver iniettato pulsioni anarchiche. In una mia
lo ammetto, ho messo in carte, da qualche parte, con arte, questa poesia ho scritto “uno scrive poesie perché altri possano scrivere
mia storia così: faccio il pagliaccio in piazza, sopra un palco: (io poesia dopo”. Significa indicare ad altri che questo è possibile. Si
sono il cavadenti, il mangia – e sputa fuoco, l’equilibrista contor- dà il cattivo esempio. Si usa la propria esperienza, testo, penna, ma
sionista, il domatore di tigri e pulci, il ciarlatano con l’orvietano, l’importante è che si colleghino con altre esperienze umane. A me
l’incantatore di basilischi, il carto- e il chiro- mante, il zingaro, la piace l’idea che l’umanità stia scrivendo le sue opere complete.”36
spalla di un tony nano, il marrano).
(Cataletto 12, in Segnalibro) 33
A. Pietropaoli, Pasolini postmoderno?, op. cit., pp. 114-115. Per lo “strom-
bazzamento” si veda lo stesso Pietropaoli, Unità e trinità di Edoardo Sanguineti,
Ma fra i due c’è anche uno scarto stilistico, come ha ben indivi- op. cit., pp. 135 ss.
duato Pietropaoli: “flusso incontrollato (o poco sorvegliato), massa 34
V. R. Luperini, L’“eredità” di Pasolini e quella di Fortini, in Il futuro di
tematica informe, montaggio arbitrario e caotico di argomenti Fortini, Manni 2007, pp. 29-37.
35
Idem, p. 33.
32
A. Pietropaoli, Unità e trinità di Edoardo Sanguineti, op. cit., p. 116. 36
Intervista di Maria Serena Palieri, “l’Unità”, 22/11/2002.

100 101
Ma il messaggio ai posteri più suo è quello consegnato a mo’ di Su Pasolini traduttore classico:
prefazione alla prima serie di Cose: rilievi sparsi, tra fatti e leggende

E il problema di un poeta, oggi, rimane sempre per me, come per di Federico Condello
i suoi lettori del resto, quello di trasformare l’impulso alla rivolta
in una proposta di rivoluzione, e fare della propria miscredenza
un progetto praticabile.
In Tempi moderni di Chaplin, accade che Charlot raccolga per L’Orestiade del ’60. Fu vero scandalo?
caso, per strada, uno straccio rosso di segnalazione, che è caduto in
Nel riandare, dopo molti anni, al proprio lungo e polemico dialogo
terra a un autocarro che stava passando per la via. Con candido ze-
lo, egli insegue l’autocarro, agitando freneticamente quello straccio, con Pasolini, Fortini si rimproverava con franchezza, e rimpro-
per riportarlo a chi lo ha smarrito. Ma da una traversa laterale, senza verava al collega-rivale, di «non aver saputo con bastante energia
che egli se ne accorga, spunta un corteo di manifestanti, e Charlot rifiutare la ridicola e non innocente enfiagione dei ruoli che il
si ritrova così alla testa di una massa di sovversivi, e il suo straccio potere – o l’antipotere, che del primo non di rado è complice –
funziona come una bandiera. E Charlot sarà infine catastroficamen- attribuisce alle corporazioni delle arti e delle lettere».1 Illusione
te implicato nella repressione della polizia. Ai miei occhi, questa prospettica ben nota, alla quale vanno soggetti i posteri non meno
sequenza può essere interpretata come una mirabile allegoria del dei contemporanei. Illusione che induce talora a trattare la storia
felice destino di un poeta. Egli agita uno straccio di parole, ignaro degli intellettuali come storia a sé: a isolarne e ingigantirne casi e
e cortese, non importa, ma si trova poi alle spalle, a seguirlo, e a protagonisti, al di là di più larghi e complessi contesti.
trasformare in azione il senso delle sue povere operazioni verbali, Si prenda il caso dell’Orestiade pasoliniana, celebrata versio-
e a caricarlo di un valore collettivo, una turba di sconosciuti, che ne da Eschilo che Pasolini frettolosamente realizzò, su impulso
vogliono, come si dice da tanto, e come si sogna forse da sempre,
di Gassman e Lucignani, per la stagione teatrale siracusana del
modificare il mondo, e cambiare la vita.37
1960.2 Tale versione – si assicura da più parti – «fece sdegnare i
La nostra storia non è finita. filologi più conservatori», «per i puristi della filologia classica [...]
risultò scandalosa».3 E addirittura: «nel 1960 il Teatro Greco di
1
F. Fortini, Introduzione, in Id., Attraverso Pasolini, Torino, 1993, p. X.
2
Il testo di riferimento è ora P.P. Pasolini, Teatro, a cura di W. Siti, S. De Lau-
de, Milano 2001, pp. 865-1004. Per tutti i dati relativi al notissimo episodio –
che non vale la pena riepilogare qui – si vedano per es. M.G. Bonanno, Pasolini
e l’Orestea: dal “teatro di parola” al “cinema di poesia”, in Pasolini e l’antico. I doni
della ragione, a cura di U. Todini, Napoli 1995, pp. 47-66; M. Fusillo, La Grecia
secondo Pasolini. Mito e cinema, Firenze 1996 (e ora Roma 2007), pp. 190-214;
P. Zoboli, La rinascita della tragedia. Le versioni dei tragici greci da D’Annunzio
a Pasolini, Lecce 2004, pp. 131-6; da ultimo L. Vitali, Fortuna dell’Orestea nel
teatro della seconda metà del Novecento: Pasolini, Gassman, Lucignani, Ronconi,
Stein, «Quaderni del Novecento» VIII (2008), pp. 13-62, in part. 13-33.
3
Si cita rispettivamente da L. Vitali, Coscienza, irrazionalità e sogno nell’O-
37
I santi anarchici, in Edoardo Sanguineti, Cose, Tullio Pironti Editore, 1999. restea secondo Pasolini, «Appunti Romani di Filologia» II (2000), pp. 127-37, in

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Siracusa verrà “profanato” dall’Orestiade di Pasolini [...] con grande all’enfasi polemica. Qui, fra le altre cose, si sentirà descrivere un
scandalo dei critici e sollevazione di popolo, classicisti in testa».4 Pasolini osteggiato a priori dagli stessi committenti – l’Istituto
L’opinione, in proposito, è unanime. Ma è un’opinione fondata? Nazionale del Dramma Antico – e strenua- mente difeso dai regi-
Difficilmente si dà artista senza leggenda. Ancor più difficilmen- sti; si sentirà rievocare il «clima teso [...] intorno alla sfida eretica
te – data la leggenda – l’artista può rinunciare a un ideale antago- di Gassman», e ritrarre un intero mondo accademico còlto dallo
nista: Kris e Kurz, su questo punto, hanno detto tutto l’essenziale.5 scandalo e dall’indignazione; si sentirà soprattutto riassumere, per
Artista contraddittorio e consapevole quant’altri mai, Pasolini ha sparse ma generose citazioni, l’atto infame di un Professore terribi-
sempre lucidamente prefigurato i propri antagonisti ideali: preti le, Enzo Degani, che nella sua recensione all’Orestiade di Pasolini9
o polizia, censura o generico establishment. Gli apologeti postu- avrebbe sintetizzato il malumore della propria categoria, cioè la
mi hanno fatto il resto: ovviamente banalizzando, e riducendo a «fisiologica irritazione del filologo che vedeva invaso il proprio
forma alquanto triviale quel che fu invece, o fu almeno, una sorta campo disciplinare da una diversa luce d’intelligenza».
di mauditisme riflesso, sofferto e talora vistosamente autoironico È un bello scampolo della leggenda, tale documentario, e come
(per raggiungere una qualche «autenticità attraverso l’inautentico», tale lo si cita e consiglia. I fatti sono stupidi, diceva Nietzsche, ma
sintetizzava lo stesso Fortini).6 Per quanto concerne le traduzioni spesso, a sfatare le leggende, bastano e avanzano. E alcuni solidi
dall’antico, l’antagonista obbligato è facilmente prevedibile: esso fatti – il caso è buffo – si desumono dallo stesso documentario,
sarà ovviamente l’Accademia, sarà la Filologia, sarà il mondo ostico non parco di documenti d’epoca. Ecco quindi le lettere dell’INDA,
e ostile dei Professori, custodi superciliosi di un patrimonio lettera- che su Pasolini si esprimono con parole compassate ma compli-
rio che Pasolini, improvvisato grecista ma poeta per «istinto»,7 ebbe mentose, non nascondendo affatto interessi di cassetta.10 Ecco la
l’ardire di rinnovare, rivitalizzare, restituire genialmente – contro rivelazione franca: per le Coefore si pensò, in un primo tempo,
ogni protesta professorale – alla lingua della poesia odierna. alla versione di Quasimodo (1949); dunque, non certo l’opera
Così, appunto, vuole la vulgata, nelle sue mille ma monotone di un filologo o professore professo: anzi l’opera di un poeta che
versioni. E il lettore interessato a sorbirne un saggio istruttivo contro i professori ingaggiò, retoricamente, una guerra preventiva
farà bene a vedere, da capo a fondo, il documentario Gassman,
Pasolini e i filologi (Italia, 2005), a firma di Monica Centanni e
Margherita Rubino,8 dove la semplificazione storica è pari solo dirizzo <http://www.engramma.it/engramma_revolution/49/049_saggi_cen-
tanni_rubino.html> (ultimo accesso, 1 dicembre 2012).
part. p. 127, e da A. Bierl, L’Orestea di Eschilo sulla scena moderna. Concezioni 9
E. Degani, rec. Eschilo. Orestiade, trad. di P.P. Pasolini, Torino 1960, «Rivista
teoriche e realizzazioni sceniche, trad. it. Roma 2004, p. 62, n. 2. Citazioni da di Filologia e Istruzione Classica», XXXIX (1961) pp. 187-93, ora in Filologia e
intendersi exempli gratia. storia. Scritti di Enzo Degani, Hildesheim-Zürich-New York 2004, pp. 177-83.
4
M. Treu, Antico-classico = anti-classico?, «Ítaca» XXI (2005), pp. 181-99, 10
Come osserva – con franchezza e buon senso – Stefano Casi, Gassman e
in part. p. 183. Lucignani non si rivolsero certo a Pasolini perché informati del suo coevo lavoro
5
E. Kris - O. Kurz, La leggenda dell’artista. Un saggio storico, trad. it. Torino sull’Eneide (questa la versione avvalorata a posteriori dal poeta nella Lettera del
1989, pp. 21-37, 96-111 e passim. traduttore); «è in realtà molto più credibile pensare che Gassman e Lucignani
6
Fortini, Introduzione, cit., p. 29 (la pagina è precoce: del ’59). vedano in Pasolini lo scrittore più stimolante di questi anni e l’intellettuale più
7
Uno dei termini più ricorrenti nella stessa prefazione traduttiva pasoliniana; appariscente e chiacchierato della sinistra italiana, perfettamente adatto alle scelte
cfr. Pasolini, Teatro, cit., pp. 1007-9. del Tpi» (S. Casi, I teatri di Pasolini, Milano 20052, p. 89; corsivi miei, come
8
Il documentario è disponibile presso il sito della rivista «Engramma», all’in- sempre d’ora in poi se non diversamente dichiarato).

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e in fondo non necessaria.11 Ecco ancora i lacerti di stampa coeva si perde quasi nessuno dei rutilanti impasti linguistici e stilistici
che testimoniano, nel complesso, di un’accoglienza decisamente dell’immaginosa temperie espressiva eschilea»).15 Riconoscimenti
favorevole da parte del pubblico, della critica e soprattutto dell’ac- che oggi potrebbero apparire addirittura generosi. Altre critiche,
cademia. altri sfoghi? Nessuno. Eppure, proprio gli Atti congressuali sira-
Tali lacerti andrebbero letti uno per uno, a ricostruire un quadro cusani erano indicati da Gassman come prova dell’ostilità diffusa
ben più articolato di quello che la leggenda tratteggia.12 Basti qui in ambiente universitario: si leggano, al proposito, le compiaciute
ricordare la testimonianza di uno spettatore-filologo contempora- rievocazioni dello «scandalo» nella sua Intervista sul teatro («fu una
neo, Italo Gallo: «in complesso [...] i giudizi della critica teatrale, versione splendida [...]. Splendida e coraggiosa [...]. Suscitò persi-
soprattutto sulla traduzione, furono positivi»;13 e basti rimanda- re no un certo scandalo, come chiunque può constatare consultando
alla rassegna stampa in «Dioniso» XXIV (1960), pp. 189-195, il cui gli atti del convegno indetto per l’occasione dall’istituto stesso, e
semplice spoglio conferma la sostanziale infondatezza, o quanto pubblicati sulla rivista “Dioniso”»).16 Chiunque può constatarlo,
meno gli eccessi, di molte ricostruzioni postume.14 Quanto al mon- appunto: e constaterà inevitabilmente come lo scandalo sia inven-
do degli odiosi Professori – presunta humus di uno scandalo pres- zione in gran parte postuma.
soché nazionale – non è gran fatica ricorrere agli atti del Convegno L’astuzia celebrativa – e pubblicitaria – sottesa a una simile
INDA che precedette, come d’uso, la prima siracusana: niente di leggenda è così banale da non richiedere commenti. Essa può
più ufficiale, dunque, e niente di più accademico. Purtroppo, qui richiedere, semmai, documenti; e ce n’è uno poco noto che merita
non si trovano né grida sdegnate né prove di diffuso sbigottimento. d’essere ricordato. Si tratta del preventivo auspicio che Gassman
Al più, nell’intervento che talora si indica come particolarmente e Lucignani hanno consegnato alle pagine di «Sipario», allora,
critico – quello di Ettore Paratore – si leggono placidi e bonari ben più che oggi, rivista influente e militante; nel numero del
riconoscimenti all’indirizzo di Pasolini («complessiva vivacità e novembre ’59, nel contesto della tavola rotonda Il circo è pronto:
modernità della resa espressiva, che permette agli attori di affron- fuori i leoni! – vi parteciparono, fra gli altri, De Chiara, Gassman,
tare finalmente un testo classico senza quell’impaccio, quel timore De Feo, Prosperi – Lucignani si augura con disarmante onestà:
reverenziale, quel disagio in cui quasi costantemente li gettavano le «speriamo che gli spettacoli di Siracusa scandalizzino qualcuno».17
versioni precedentemente adottate per la recite siracusane»; «nella Pochi mesi dopo, recensendo l’Orestiade per lo stesso mensile,
versione del Pasolini, pur nella vesta così spigliatamente agile, non Arnaldo Fratelli concludeva: «lo spettacolo ha avuto un successo
tale, da poter essere definito un trionfo per Gassman e per i suoi
11
Cfr. e.g. S. Quasimodo, Lirici greci, a cura di N. Lorenzini, Milano 1985, collaboratori».18
p. 208. Si veda però, in Quasimodo, Lirici greci, cit., la panoramica di giudizi
critici fornita da N. Lorenzini, Postfazione, pp. 219-75, che sfata il mito di una
comunità accademica pregiudizialmente ostile. 15
Si cita da E. Paratore, Considerazioni in anteprima, «Dioniso» XXIV (1960),
12
Lo si farà in altra sede: Eschilo, Pasolini, «i filologi» e lo scandalo, di prossima pp. 78-91, in part. p. 79.
pubblicazione. 16
V. Gassman, Intervista sul teatro, a cura di L. Lucignani, Palermo 1992,
13
I. Gallo, Pasolini traduttore di Eschilo, in Pasolini e l’antico, cit., pp. 33-43, in pp. 113 sgg.
part. p. 34; Pasolini e l’antico, cit., pp. 280 sgg. una rassegna delle recensioni coeve. 17
Il circo è pronto: fuori i leoni!, «Sipario» 163 (novembre 1959), pp. 4-9, in
14
Ciò che osserva, pur en passant, Fusillo, La Grecia secondo Pasolini, cit., p. part. p. 8.
196 n. 47: «lo “scandalo” rievocato da Gassman [...] fu quindi essenzialmente 18
A. Fratelli, Un classico moderno, «Sipario» 170 (giugno 1960), pp. 23 sgg.,
accademico». Nemmeno accademico, direi senza esitazioni. 70, in part. p. 70.

106 107
Molto trionfo, dunque, e ben poco scandalo, se non invocato – e cademico, specie fra anni ’60 e ’70: strappare gli autori antichi
poi ad arte gonfiato – per comprensibili e umanissime ragioni. Può a interpretazioni politicamente ingenue – o pseudo-marxistiche,
dispiacere ammetterlo, ma i Professori non sono sempre perfidi, appunto – tese a scorgere ispirazione popolaresca laddove l’ana-
né stolidi, come le leggende li dipingono. Quanto alla famigerata lisi rivela dottrina ed elitismo. Sarà, per il Degani maturo, il caso
recensione di Enzo Degani, essa – al di là delle distorsioni postu- di Ipponatte o di certi alessandrini;22 ed è già il caso, appunto,
me – fu voce sostanzialmente isolata entro il coro dell’accademia e dell’Eschilo «elementare» fantasticato da Pasolini;23 elementare,
della critica italiane: il ripristino di questa elementare verità storica “civile”, e dunque annesso senza scrupoli al campo di un discorso
è quanto mai raccomandabile. para-marxiano – sentimentalmente e strumentalmente marxiano
E, di tale recensione, tre cose almeno andranno rimarcate. In- – che di Pasolini fu tipico.
nanzitutto, le critiche puntuali dello studioso – anche gli apologeti Su ciò non è il filologo Degani che, motivatamente, si oppone: è
lo ammettono – sono semplicemente indiscutibili: la versione di semmai lo storico (e marxista) Degani. Inine, un ultimo dettaglio –
Pasolini è in parte consistente “traduzione di traduzione”,19 non di ordine fattuale – merita d’essere evidenziato, perché gli apostoli
senza sviste badiali a partire dalla versione francese di Paul Mazon; della leggenda sono inclini più che mai a occultarlo: colui che nel
e che questo sia un dato testuale trascurabile ai fini dell’esegesi – 1961 si scaglia, isolato, contro il poeta Pasolini, non è un arcigno
anche dell’esegesi più simpatetica – può pensarlo solo chi, più o accademico di vecchio corso, né un autorevole rappresentate di
meno crocianamente, oppone ancora filologia e poesia (cfr. infra, supposti baronati ilologici; egli è in verità un giovane studioso di
§ 2). In secondo luogo, le critiche di Degani non sono affatto appena 28 anni, alla sua terza pubblicazione scientifica. Non certo
esclusivamente – e nemmeno, direi, prioritariamente – centrate la figura ideale, dunque, per prestarsi alla parte che la leggenda
sul dato linguistico e filologico: basta rileggerle per intero, quel- vorrebbe imporgli: quella del rappresentante di un’Accademia
le pagine lucidissime, senza fidarsi di estrapolazioni tendenziose, canuta e reazionaria, rabbrividente di indignazione e insorta a
per appurare come il grecista contestasse severamente l’aspetto una voce contro le intemperanze del poeta ribelle. Quest’ultimo,
ideologico dell’operazione, cioè «la ingenua interpretazione pseu- semmai, era allora quel che si sa, e che Fortini così descriveva, già
do-marxistica»20 adottata, via George Thomson, da Pasolini e da nel 1959, cioè nell’anno in cui Gassman e Lucignani gli commis-
Gassman-Lucignani.21 Chi conosce l’opera critica di Degani sa sionano l’Orestiade: «[Pasolini] è l’unico – con Moravia, e forse
che un intento profondo l’ha a lungo e in profondità animata; per questo sono così amici – che affronti intrepidamente il mondo
un intento culturalmente cruciale, e tutt’altro che meramente ac- dell’industria culturale, della ipocrisia ufficiale, e lo abbia costretto
a patteggiare con lui.
19
Com’erano già state, per esempio, le traduzioni friulane da Saffo. Le prove
di dipendenza dai Lirici di Quasimodo sono palmari, ma minimizzate o tra-
scurate volentieri; cfr. F. Condello, Pasolini traduttore di Saffo: note di lettura, 22
Si ricordino almeno gli Studi su Ipponatte, Bari 1984, rist. Hidelsheim-
«Testo a Fronte» XVIII/37 (2007), pp. 23-40. Zürich-New York 2002, ormai un classico della ilologia europea del secondo
20
Degani, rec. Eschilo. Orestiade, cit., p. 188 (ora in Filologia e storia, cit., Novecento. Per un ritratto di Degani, cfr. Da ΑΙΩΝ a Eikasmos. Atti della Gior-
p. 178). nata di studio sulla igura e l’opera di Enzo Degani, Bologna 2002; per gli studi
21
Da questo punto di vista, la recensione del ’61 andrebbe sempre letta te- sull’epigrammistica alessandrina – particolarmente soggetta a distorsioni “popu-
nendo ben presente l’intervento di Degani in Marxismo, mondo antico e Terzo listiche” – cfr. Da ΑΙΩΝ a Eikasmos, cit., pp. 89-99, l’intervento di L. Lehnus,
mondo. Inchiesta a cura di E. Flores, Napoli 1979, pp. 119-25 (ora in Filologia ora anche in Id., Incontri con la filologia del passato, Bari 2012, pp. 229-41.
e storia, cit., pp. 958-64). 23
Si veda sempre la Lettera del traduttore, in Pasolini, Teatro, cit., p. 1008.

108 109
È una istituzione nazionale, ormai. Odiato e invidiato quanto pulsioni solo in apparenza opposte: per semplicità, e con qualche
è necessario alle istituzioni».24 schematismo, diremo qui una “pulsione oggettivante” e una “pul-
sione soggettivante”.
La prima orienta tutte quelle metamorfosi dell’ipotesto anti-
A parte i fatti, i testi: qualche rilievo sull’Agamennone co che vanno nella direzione, fortemente astrattiva, di un lessico
chiuso e tendenzialmente intellettualizzato; un lessico che elimina
Se si è insistito, in limine, sulla sostanziale infondatezza di una vul-
varietà e problematicità dell’originale condensandone i valori in
gata ancora così florida, non è solo per amore dei fatti: la deleteria
un novero ristretto di parole-chiave, quasi parole-slogan, riducibili
semplificazione dei fatti ha ricadute cospicue sull’interpretazione.
a campi semantici elementari e, in ultima analisi, a una basilare
Una in particolare: l’allarmante tendenza a invocare, contro la ilo-
opposizione fra termini “euforici” e “disforici”. L’Eschilo bina-
logia, le ragioni di una astratta, astorica «poesia». Un solo esempio
rio – e banalizzato – della Lettera del traduttore non è solo una
fra i molti, attinto ancora al documentario di Centanni e Rubino:
trovata esegetica, di vaga origine bachofeniana prima ancora che
«nessuna traduzione, tantomeno quella di Pier Paolo Pasolini, si
thomsoniana:27 esso è premessa e insieme esito di una coerente
può analizzare scindendola nelle componenti e atomizzando le
semplificazione traduttiva, che incide sulle singole componenti o
parole. Si tratta di un discorso poetico, e come tale va preso, nella
sui singoli “atomi” del testo. Di contro, o meglio a complemento di
sua interezza».25 Curioso postulato, per la poesia di ogni epoca
tale pulsione, agisce e opera ovunque una tendenza a incrementare
o luogo, e per la critica di ogni ispirazione o scuola. Allo stesso
i tratti egoici, soggettivi, sui-referenziali del testo antico: la disse-
modo, se delle traduzioni pasoliniane si continua a predicare –
minazione di deittici, di pronomi personali e, più in generale, di
come già si predicò, per voce degli stessi Gassman, Lucignani e
marche semantiche della soggettività, produce una netta torsione
Pasolini – un generico “anticlassicismo”, ci si preclude la via alla
del testo in senso emotivo o apertamente passionale. Detto altri-
comprensione autentica del problema, non solo sotto il proilo
menti: se da un lato la tragedia – a livello enunciativo – assume
testuale, ma anche sotto il profilo culturale e ideologico: di che
le forme del testo didascalico o del dramma a tesi, dall’altro lato
specie d’anticlassicismo si parla, concretamente e storicamente?
– a livello enunciazionale – la mise en relief della “voce” o delle
Ovvero: come è fatta e cosa fa la traduzione pasoliniana di Eschilo?
“voci” narrative guida inequivocabilmente a una spregiudicata li-
Senza esitazioni, dunque, “scindiamo” e “atomizziamo”, per
rizzazione dell’originale. Robuste personificazioni simboliche o
quanto lo spazio lo concede. Una sola premessa. Si è suggerito,
emblematiche, da una parte; e, dall’altra, personalizzazioni non
altrove,26 che le versioni pasoliniane – si tratti di Saffo o di Eschi-
meno robuste, a maggior risalto di un “io” indebitamente rilevato.
lo, di Virgilio o di Sofocle – nascano dal compromesso fra due
L’esordio dell’Agamennone è, a questo proposto, un egregio test.
24
Fortini, Introduzione, cit., p. 18. Si vedano i seguenti luoghi.28
25
Un intervento canonico, per quanto concerne la “reazione” condotta in
nome della poesia, è N. Fagioli, L’Orestiade di Pasolini, «Resine» III (1980), pp. 27
Che vi si possano scorgere elementi di delagrante originalità è idea curiosa,
9-18. Una visione equilibrata – e non restia all’analisi puntuale del testo – è alla luce della ricca storia critica dell’Orestea; di questo avviso, invece, è per es.
quella ormai canonica di Fusillo, La Grecia secondo Pasolini, cit. Più di recente, Vitali, Fortuna dell’Orestea, cit. e Ead., Fortuna dell’Orestea, cit., cui si aggiunga
le ragioni della poesia sono invocate da L. Vitali, Fortuna dell’Orestea, cit., p. 18. Ead., La colpa, il sacrificio e il destino degli antieroi nel teatro tragico di Pasolini, in
26
Oltre a Pasolini traduttore di Saffo, cit., sia permesso il rinvio a Quasimodo, Il mito greco nell’opera di Pasolini, a cura di E. Fabbro, Udine 2004, pp. 55-67.
Pasolini, Sanguineti: appunti per tre Coefore, «Dioniso» n.s. IV (2005), pp. 84-113. 28
Si utilizzerà naturalmente il testo greco di Eschyle, II. Agamemnon, Les

110 111
Ag. 1 θεοὺς μὲν αἰτῶ τῶνδ᾽ ἀπαλλαγὴν πόνων, «Dio, fa’ che affatto arbitraria, «senza pace»:34 non c’è personaggio dell’Orestiade
finisca presto questa pena!». Della resa, non importa tanto la ri- la cui affezione dominante non sia ridotta a inquietudine, intimo
duzione monoteistica di θεούς, secondo una tendenza osservata cruccio, presentimento tormentoso. Il vezzeggiativo «lettuccio»,
in dai primi recensori della messinscena, e in séguito da molti senza riscontri nell’originale, è ulteriore supplemento semico, in
sottolineata;29 importa semmai rilevare la metamorfosi di θεοὺς senso affettivo, al tono ben più oggettivo e insieme crudo del
αἰτῶ in diretta apostrofe (enfatizzata, peraltro, dalla posizione di greco.35
«Dio» in una sorta di anacrusi, a introduzione di un tornito ende- Omettendo in toto ἄγκαθεν, Pasolini elimina uno dei punti
casillabo). È una soluzione che farà scuola,30 e che trova notevoli più discussi e problematici del brano;36 e, soprattutto, posticipando
conferme in tutto il tessuto dell’Orestiade, dove non di rado si «come un cane», e accostandolo a «senza pace», il traduttore forza
personalizzano in allocuzione le espressioni impersonali dell’origi- in senso patetico l’originario κυνὸς δίκην, che non è elemento di
nale.31 E l’apostrofe – lo ha mostrato J. Culler in un acuto lavoro autocommiserazione, ma icastica descrizione.37
sulle apostrofi romantiche – altro non è che una «invocation of Ag. 4-7 ἄστρων κάτοιδα νυκτέρων ὁμήγυριν, / καὶ τοὺς
invocation»: l’instaurazione di un tu da cui trae evidenza, specu- φέροντας χεῖμα καὶ θέρος βροτοῖς, / λαμπροὺς δυνάστας
larmente, l’io dell’enunciazione.32 Si noti inoltre la trasformazione, ἐμπρέποντας αἰθέρι / ἀστέραςκτλ., «conosco ormai tutti i segni
in senso verbale, di ἀπαλλαγήν («fa’ che finisca»), e, per contro, la delle stelle, / specie di quelle che ritornano / con l’estate e l’inver-
riduzione del plurale πόνων a una «pena» che diverrà parola-chiave no, e in cui traspare, / di fuoco, l’altro mondo». L’eliminazione
di tutta la versione.33 di ὁμήγυριν sottrae a Eschilo una corposa metafora, e – a cascata
Ag. 2 s. φρουρᾶς ἐτείας μῆκος, ἣν κοιμώμενος / στέγαις – elimina la distinzione fra la “folla” delle stelle e gli astri-guida,
Ἀτρειδῶν ἄγκαθεν, κυνὸς δίκην, κτλ., «da anni e anni sto qui, i “dinasti”, che recano i segni dei mutamenti stagionali. L’astro-
senza pace, / come un cane, in questo lettuccio / della casa de- nomia della Sentinella è rivoluzionata; in compenso, i «princes
gli Atridi, ad aspettare». La struttura appositiva φρουρᾶς ἐτείας lumineux des feux de l’Éther» (Mazon), gli astri che «spiccano»
μῆκος è riformulata in enunciato autonomo («da anni e anni sto (ἐμπρέποντας) nel cielo, divengono visionarie finestre aperte sul
qui»), a maggior risalto della voce narrante, e con l’integrazione, «fuoco» di un imprecisato «altro mondo». La desolata, obbligata,
prolungata contemplazione dell’identico, che è il dramma della
Sentinella, si fa così farneticante immaginazione dell’aldilà. L’ethos
Choéphores, Les Euménides, texte établi et traduit par P. Mazon, Paris 1925, pp. del personaggio eschileo è segnato da una marcata psicologizza-
10 sgg. zione, non priva di sfumature patologiche.
29
Per la diffusa cristianizzazione dell’originale cfr. e.g. U. Albini, Il banco di
prova delle Coefore, «Dioniso» L (1979), pp. 47-57, in part. p. 53; Fagioli, L’O-
restiade di Pasolini, cit., pp. 15-8; Fusillo, La Grecia secondo Pasolini, cit., p. 195. 34
Qui inluenzata senza dubbio dal «sans répit» di Mazon, Eschyle, II, cit.
30
Si veda la resa di M. Centanni in Eschilo. Le tragedie, Milano 2003, p. 397: (che a sua volta dipende dall’interpretazione scoliograica del passo).
«Dèi! Vi chiedo di liberarmi da questo tormento». 35
È una chiara estenuazione di «sur ce lit» di Mazon, Eschyle, II, cit.
31
Cfr. Condello, Quasimodo, Pasolini, Sanguineti, cit., p. 93. 36
Su questa annosa crux esegetica si vedano, per un orientamento, le inter-
32
J. Culler, The Pursuit of Signs. Semiotics, Literature, Deconstruction, London pretazioni contrapposte di Fraenkel (Aeschylus Agamemnon, Oxford 1950, ad l.)
1981, pp. 135-54. e di Denniston-Page (Aeschylus. Agamemnon, Oxford 1957, ad l.).
33
Per lo stereotipato lessico del dolore nell’Orestiade, cfr. Condello, Quasi- 37
Non servirà ricordare che il “cane” greco non ha pressoché mai le connota-
modo, Pasolini, Sanguineti, cit., pp. 94 sgg. zioni legate all’italiano (come al francese, all’inglese, etc.) «povero cane» o simili.

112 113
Ag. 8 καὶ νῦν φυλάσσω, «e sono / sempre qui». La valenza prosopopea. La «paura» diverrà, di qui in poi, un altro dei Lie-
aspettuale dell’espressione greca non lascia dubbi: si tratta di un blingswörter pasoliniani.41
perenne sguardo intento a scrutare l’orizzonte. Pasolini ben coglie Ag. 18 s. κλαίω τότ᾽ οἴκου τοῦδε συμφορὰν στένων / οὐχ ὡς
il dato, ma amplia e, ancora una volta, reca in primissimo piano τὰ πρόσθ᾽ ἄριστα διαπονουμένου, «invece, piango: perché penso
l’io del locutore. al destino / di questa casa, alla sua gioia di un tempo». Più concre-
Ag. 10 s. ὧδε γὰρ κρατεῖ / γυναικὸς ἀνδρόβουλον ἐλπίζον tamente, la Sentinella rimpiange «le bel ordre d’antan» (Mazon);
κέαρ, «la stessa angoscia che prova una donna / quando cerca addizione sintomatica è «penso». Pasolini soggettivizza, e insieme
l’amore». È questa una tra le più discusse rese di Pasolini, che oggettivizza, con una sorprendente «gioia» che introduce un’altra
dell’originale non conserva né la lettera né il senso.38 Il greco diffusa parola-chiave dell’Orestiade (cfr., nel contesto immediato,
ἀνδρόβουλον è evidentemente inteso come “desideroso del ma- vv. 21 e 28, senza riscontro nell’originale: «segnale di gioia» e «con
schio” o simili: la “virile volontà” di Clitemestra cede il passo a grida di gioia»).
un’occhiuta intrusione nella psiche femminile.39 L’identificazione Ag. 25 s. ἰοὺ ἰού. / Ἀγαμέμνονος γυναικὶ σημαίνω τορῶς,
fra la Sentinella e Clitemestra elimina totalmente l’incombente «evviva, evviva! / A chiamare, corro, a chiamare Clitennestra». Il
presenza della regina: e, di nuovo, privilegia la psicologia rispetto caso è comune: molto raramente i traduttori – lo osservava già
all’oggettiva descrizione dei fatti. L’«angoscia», desunta da ἐλπίζον, Fraenkel (op. cit., ad l.) – sanno chiarire l’interna consequenzialità
sovrimpone all’originale un’altra fra le più tipiche parole-tema della battuta, ovvero l’esatto rapporto fra il grido ἰοὺ ἰού (v. 25)
pasoliniane, «vero Leitmotiv di questa traduzione».40 L’insieme e il successivo σημαίνω (v. 26): è l’esultante esclamazione della
fornisce l’ennesimo esito in equilibrio fra soggettivazione (intro- Sentinella a costituire l’avviso lanciato a Clitemestra; σημαίνω
spettiva) e oggettivazione (in un vocabolario emotivo tendenzial- rappresenta una glossa del locutore alla propria stessa esclamazione
mente chiuso). (bene Mazon, op. cit.: «iou! iou! je préviens à grands cris la femme
Ag. 12 νυκτίπλαγκτον, «che mi tiene, la notte, lontano dai d’Agamemnon»). Di qui la puntuale addizione di verbi indicanti
miei». Estenuata espansione dell’originario νυκτίπλαγκτος, un movimento, a suggerire un’inesistente e innecessaria azione del
ossimorico «giaciglio che tiene svegli e fa vagare»; per Pasolini, personaggio.42 Ma Pasolini va oltre: la sua Sentinella, addirittura,
più pateticamente, un letto che condanna alla solitudine la povera «corre», secondo la caratterizzazione spasmodicamente emotiva
Sentinella, tristemente separata dai suoi cari (dei quali Eschilo, in qui perseguita. La reduplicazione «a chiamare [...] a chiamare»
purtroppo, nulla ci dice). rincara la dose. Lo specimen, come si vede, è significativo, benché
Ag. 14 φόβος γὰρ ἀνθ᾽ ὕπνου παραστατεῖ, «è la paura, lei limitato al solo esordio della trilogia. E il séguito non fa eccezione.
sola – e non il sonno – / che vive». La corposa personificazione Di lì a breve – nella parodo – il Coro narrerà di un Priamo che
del φόβος è in gran parte dell’originale. Ma la resa di Pasolini, «ha fatto esperienza di una coppia / spietata di nemici» (vv. 40-42);
con le addizioni «lei sola» e «che vive», intensifica l’oggettivante
41
Cfr. Fusillo, La Grecia secondo Pasolini, cit., pp. 198 sgg. e Condello, Qua-
38
«Ainsi commande un coeur impatient de femme aux mâles desseins» (Ma- simodo, Pasolini, Sanguineti, cit., pp. 94-6, con ulteriore documentazione. Sul
zon, Eschyle, II, cit.). Ma su κρατεῖ cfr. Fraenkel, Aeschylus Agamemnon, cit., ad l. lessico della «paura» nell’Orestiade si veda anche Bonanno, Pasolini e l’Orestea,
39
Per la costante eroticizzazione dei termini greci cfr. Degani, rec. P.P. Paso- cit., pp. 54 sgg.
lini, cit., p. 189 (Filologia e storia, cit., p. 179). 42
Si veda anche, e.g., la traduzione di Centanni, Eschilo. Le tragedie, cit.:
40
Così Fusillo, La Grecia secondo Pasolini, cit., p. 198. «eh! Eh! / Alla sposa di Agamennone ora vado a dare l’annuncio, ben chiaro».

114 115
ma di questa intima e vissuta «esperienza», nell’originale, non c’è «ragione»,45 occorre prima averlo mascherato, o sfigurato, per via
traccia. Tali nemici hanno raggiunto Troia «con mille navi, il cuore traduttiva. Un Eschilo indubbiamente univoco, e “facile”, quello
/ ossesso, avidi di guerra» (vv. 45-47): anche l’“ossessione” è aggiunta di Pasolini. Una resa, la sua, che rientra appieno nella tipologia
pasoliniana (il greco ha solo ἐκ θυμοῦ), ed essa sarà un termine- interpretativa che Cambiano, di recente, ha definito «cosmetica dei
refrain dell’intera trilogia. I discussi avvoltoi μέτοικοι (ambigua classici».46 Non sarà questo l’ultimo motivo – al di là della celebrata
immagine che designa, al v. 57, Agamennone e Menelao)43 di- efficacia teatrale – per cui l’Orestea è così spesso riproposta, sulle
ventano per Pasolini, con estenuato patetismo, «umili / ospiti del nostre scene, proprio nella traduzione pasoliniana.47 Traduzione
cielo». “scandalosa”? Può darsi. Certo, uno scandalo che solletica; e che
Inutile proseguire: ovunque, tra addizioni, omissioni e mano- piace.
missioni, il traduttore sentimentalizza e, contemporaneamente,
semplifica e schematizza. Quel che ne risulta non è un generico
Eschilo “anti-classico”, giacché la definizione puramente negativa Altri appunti, e minime conclusioni
non potrà accontentare nessuno; quel che ne risulta è, più precisa-
Quel che vale per l’Orestiade vale, almeno tendenzialmente, per
mente, un Eschilo forzato a divenire, da una parte, lyrical drama,
tutte le traduzioni pasoliniane.
o dramma della psiche; e, dall’altra, didascalico sistema di parole-
Una delle più impegnative – il Miles di Plauto – è stata oggetto
chiave – quasi “reti ossessive” à la Mauron – non di rado struttu-
di una puntuale analisi che esime qui da osservazioni di dettaglio.48
rate secondo ferrei sistemi di polarità (la «gioia» e l’«angoscia», la
Genere comico e resa dialettale suggeriscono, naturalmente, di-
«purezza» e l’«impurità», etc.). Pulsione “oggettivante” e pulsione
stinguo e cautele: ma è significativo che, proprio sull’innocente e
“soggettivante”, qui, non si elidono: esse piuttosto convergono,
burlesco Vantone, Pasolini abbia dovuto ingaggiare una polemica
poiché l’intero vocabolario psicologico pasoliniano – così spesso
giornalistica – ospitata dalle colonne de «L’Unità» nel novembre
sovrimposto al testo eschileo – dà luogo a ricorrenze terminologi-
del ’63 – con Aggeo Savioli; una polemica la cui posta in gioco
che regolarissime, in cui trovano espressione, e talora personifica-
era la legittimità dell’assimilazione dei classici a tematiche e pro-
zione, gli elementari concetti che meglio rispondono all’interpre-
blematiche lato sensu marxiane. Pasolini gioca qui la parte di chi
tazione generale della trilogia fornita da Pasolini: è il binarismo
psicologico, e politico insieme, già ampiamente riscontrato dalla
critica,44 non a caso vistoso in luoghi chiave del testo, e specie nei 45
G. Cambiano, Perché leggere i classici. Interpretazione e scrittura, Bologna
pronunciamenti corali. Per estrarre un coniglio dal cappello – ama- 2010, pp. 43-63.
46
In una delle ultime e più solenni occasioni, ancora a Siracusa, nel 2008,
va ripetere Lacan – occorre prima avercelo messo. Per scoprire un per la regia di Pietro Carriglio. Ma le riproposizioni non si contano.
Eschilo schematicamente binario, sospeso fra “preistoria” e “storia”, 47
Mi riferisco a L. Gamberale, Plauto secondo Pasolini. Un progetto di teatro
fra “matriarcato” e “patriarcato”, fra «sentimenti primordiali» e fra antico e moderno, Urbino 2006.
48
L’autodifesa del traduttore si può leggere in Pasolini, Teatro, cit., pp. 1225
sgg. Sull’anacronistica idea di Plauto promossa dal traduttore si veda Gambe-
43
Per il valore dell’espressione si veda ora la proposta esegetica di G. Cerri, rale, Plauto secondo Pasolini, cit., pp. 101-11. A proposito di “scandali” e ostilità
Gli avvoltoi meteci in Aesch. Ag. 57, «Eikasmós» XXII (2012), pp. 57-67. accademica, non si può non ricordare – di contro a numerose stroncature
44
Si veda in particolare, per la centralità dei termini afferenti al campo se- giornalistiche – l’apprezzamento espresso nientemeno che da Alfonso Traina
mantico del “contrasto”, Bonanno, Pasolini e l’Orestea, cit., pp. 53-5. («Convivium», XXXIII [1965], pp. 220 sgg.).

116 117
sostiene l’irriducibile alterità dei testi antichi; ma sottolinea, allo processo di marcata oggettivazione: ecco dunque l’antonomastica
stesso tempo, e a propria difesa, tutte le scelte traduttive utili a far «lotta», parola prediletta dal Pasolini poeta, ma anche refrain –
emergere l’antimilitarismo e l’antischiavismo di Plauto.49 Strano come si è accennato sopra – della versione eschilea. Da una parte,
ma significativo tentennamento: è pur sempre l’assimilazione – la dunque, il traduttore «interiorizza la vicenda epica» (Bernardelli,
«traduzione totalitaria», direbbe Torop50 – che in Pasolini prevale. op. cit., p. 34); dall’altra, egli imposta in dall’incipit il consueto
Quanto all’Eneide – versione limitata a I 1-301 e sostanzialmente metodo di traduzione per parole-slogan, con programmatica e si-
coeva all’Orestiade – un esame minuto e acuto del testo si deve a stematica riduzione dell’ipotesto a repertorio lessicale (o seman-
una giovane studiosa dell’Ateneo di Bologna, Giulia Bernardelli, tico) chiuso. Circa l’incipitario «canto», è usuale – da parte dei
che a breve pubblicherà i risultati della sua ricerca.51 In attesa commentatori virgiliani – rimarcare il carattere soggettivo di cano
di tale contributo – che coprirà una lacuna obiettiva degli studi rispetto ai «canta» o «narra» degli attacchi omerici; rilievo ovvio e
pasoliniani, e più in generale dei classical reception studies in Ita- indiscutibile, benché la tradizione epica greca – specie l’innografia
lia: obiettiva e tardivamente avvertita, rispetto all’edizione Siti del arcaica – conosca ad abundantiam simili esordi in Ich-Stil. Certo
200352 – ci si accontenterà qui di alcune osservazioni marginali. è che Pasolini, con il perentorio «canto» in prima sede, produce
Si vedano almeno i seguenti luoghi, entro i primi sei versi della qualcosa di più che un ripristino dell’ordo verborum atteso nella
resa, che bastano alla bisogna: lingua d’arrivo: egli evidenzia, ancora una volta, la soggettività
v. 1. arma virumque cano, «canto la lotta di un uomo». Superfluo della voce enunciante; l’invocazione allo «spirito» in luogo della
sottolineare quel che si perde, in termini di allusività intertestuale Musa (v. 8 Musa, mihi causas memora, «tu, spirito, esponi le intime
(arma virumque) o convenzioni incipitarie. Più interessante, per cause»: e si noti l’addizione «intime») farà un passo ancor più in là.
quanto siamo venuti dicendo, rilevare la puntuale soggettivazione Vv. 2 s. Italiam fato... Laviniaque venit / litora, «la storia spinse
traduttiva – gli obiettivi e allusivi arma divengono vissuta «lot- per primo alle sponde del Lazio». Anche in questo caso – sorvolan-
ta», l’«eroe» diviene «un uomo»53 – che fa tutt’uno, però, con un do su semplificazioni e omissioni tese a una deliberata desublima-
zione del testo – merita riguardo la scelta di «storia»: sbalorditiva
49
Cfr. P. Torop, La traduzione totale, a cura di B. Osimo, «Testo a Fronte»
XX (1999), pp. 6-47. resa di fatum non tanto per la vistosa deformazione semantica,
50
G. Bernardelli, «Canto la lotta di un uomo...». Pasolini traduttore dell’ E- quanto per il carattere subitaneamente personificato del lessema;
neide, tesi di Laurea Magistrale in Grammatica e Storia della Lingua Latina, un oneroso “attante” – certo umanizzato, rispetto all’originale, ma
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Laurea Magistrale in Filologia, insieme spaventosamente sovrumano – è introdotto a determinare
Letteratura e Tradizione Classica, a.a. 2010-2011, relatrice: Bruna Pieri. in da subito una didascalica leggibilità del testo. A riprova, si veda
51
La traduzione di Aen. I 1-301 è stata pubblicata per la prima volta in P.P.
Pasolini, Tutte le poesie, a cura e con uno scritto di W. Siti, Milano 2003, II,
la resa del vv. 17s. hoc regnum dea gentibus esse, / si qua fata sinant,
pp. 1332-49. Bernardelli, «Canto la lotta di un uomo...», cit., dimostra – tramite «là [Giunone] intendeva che la storia collocasse il regno / di ogni
un riesame delle carte pasoliniane presso il Gabinetto Viesseux – che l’edizione gente», dove è notevole l’elevazione di «storia» a soggetto indiscus-
mondadoriana richiede più di un ritocco. Qualche osservazione sull’Eneide so della subordinata, di contro alla sintassi originaria. Apparente
pasoliniana fornisce Gamberale, Plauto secondo Pasolini, cit., pp. 11-4. metamorfosi “laicizzante” del «fato» antico,54 la «storia» pasoliniana
52
Su questa attenuazione del «carattere “guerriero” di Enea» cfr. Gamberale,
Plauto secondo Pasolini, cit., p. 13; ma non meno rilevante è l’addizione dell’ar-
ticolo indeterminativo. 54
Ma al v. 32 (acti fatis) l’attante prescelto, non meno impersonale, muta:
53
Così Gamberale, Plauto secondo Pasolini, cit., p. 13. «automi del caso».

118 119
non cela affatto i propri caratteri di impersonale, ingombrante dizione di «sua»; «sua», del resto, è anche la «città»: Lavinio, come
astrazione. Non meno religiosa, a suo modo, d’ogni epica fatalità. vuole la tradizione liviana (Liv. I 1), ma con una determinazione
Non stupisce apprendere – dobbiamo il prezioso riscontro a Giulia antonomastica che non può non far pensare – e così pensava già
Bernardelli, op. cit., pp. 35 s. – che l’originaria stesura manoscritta Servio – all’Urbs per eccellenza. Il pasoliniano «sua» è qui una
non esitava marcare anche graficamente la prosopopea: «proprio personalizzazione particolarmente audace.
una “Storia” [...] maiuscolizzata e potentemente personificata si Il quadro è chiaro, pur nella cursorietà del sondaggio: non c’è
ritrova [...] nel primissimo tentativo di traduzione dell’incipit passo del testo antico dove non agiscano – pulsioni complemen-
(“Canto la lotta di un uomo, che spinto dalla Storia, / fuggì da tari e convergenti – le medesime tendenze a incrementare il dato
Troia, e venne per primo alle sponde del Lazio”)».55 soggettivo, e a incrementare in pari grado l’enfasi oggettiva. Un
V. 4 vi superum, saevae memorem Iunonis ob iram, «la violenza sistema razionalmente organizzato di παθήματα o, se si preferisce,
celeste, il rancore di una dea nemica». Si noti, ancora una volta un’esplosione di soggettività che si coagula immediatamente – e re-
– oltre all’impulso generalizzante che tramuta il teonimo Iuno toricamente – in un preciso diagramma di astrazioni e prosopopee.
in un’anonima «dea»56 – la consueta, spontanea concomitanza di Un’ultima verifica, se necessaria: questa volta, sull’ancora ine-
oggettivazione e soggettivazione: da una parte, il vocabolario psi- splorata versione dell’Antigone sofoclea, altra notevole inachevée
cologico della rabbia, in séguito imperante, che trasforma agenti pasoliniana, resa disponibile anch’essa dagli opera omnia di Siti.57 Il
e moventi mai meno che cosmici in meri empiti di umanizzata periodo è lo stesso: il 1960, probabilmente all’inizio dell’inverno.58
passione (cfr. vv. 8 s. quo numine laeso / quidve dolens, «per quale Come traduce, Pasolini, quel primo verso che George Steiner ebbe
offesa, / o per quale dolore»; v. 11 tantaene animis caelestibus irae?, a giudicare «intraducibile»? (E che come tale, beninteso, conosce
«miseria di passioni nei cuori celesti!»; v. 23 id metuens, «in ansia traduzioni a migliaia). Pasolini rendeva così: «dolce capo frater-
per questo»; v. 25 causae irarum saevique dolores, «le cause della no, mia Ismene», a fronte dell’originale ὦ κοινὸν αὐτάδελφον
rabbia, e il suo bruciore»; v. 35 aeternum servans sub pectore volnus, Ἰσμήνης κάρα.
«ossessionata dalla sua interna ferita», etc.); dall’altra parte, la netta Tutto, qui, è patetizzato e personalizzato: non solo grazie alla
stereotipizzazione di tale vocabolario, che riduce il campo seman- resa letterale della perifrasi Ἰσμήνης κάρα, che è notorio auli-
tico delle emozioni a un novero assai ristretto di lessemi: gli ormai cismo, e che Pasolini riproduce in una iper-affettiva sineddo-
ben noti «rabbia», «ansia», «ossessione», etc. Tutto il campionario, che; ma anche, e soprattutto, grazie alla trasformazione di tutti
insomma, esibito dall’Orestiade. i pleonasmi dell’originale (κοινὸν, αὐτ-) – altrettante sinistre
Vv. 5 s. dum conderet urbem / inferretque deos Latio, «prima di 57
Cfr. Pasolini, Teatro, cit., p. 1222. Quanto al testo di partenza, esso va
fondare la sua città / e di portare nel Lazio la sua religione». Come senz’altro identiicato nella Budé di Dain-Mazon (Sophocle, I. Les Trachiniennes,
si vede, se «gli dèi», cioè i Penati, diventano astratta e impersonale Antigone, texte établi par A. Dain et traduit par P. Mazon, Paris 1955). L’agnizio-
«religione» (come, più oltre, “religiosità” diverrà la pietas di Enea: ne si deve a Gamberale, Plauto secondo Pasolini, cit., pp. 5 sgg., in troppo cauto
v. 10 insignem pietate virum, «quell’uomo / così religioso»), l’inte- nella proposta: oltre alla traduzione letterale delle didascalie – già in sé dettaglio
riorizzazione del dato oggettivo è ampiamente garantita dall’ad- dirimente – confermano l’ipotesi tutte le scelte presupposte dalla versione (che
si limita, occorre ricordarlo, ai primi 281 versi).
55
Dice bene Gamberale, op. cit., p. 13: «sembra che le forme della religione 58
«The origin which connects the sisters also isolates them»: è la splendida
diventino da un lato più individuali, dall’altro più generiche». chiosa di Jebb (Sophocles. The Plays and Fragments, with critical notes, com-
56
In Pasolini, Teatro, cit., pp. 1011-24. mentary [...], by R. Jebb, III. The Antigone, Cambridge 19003, ad l.).

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allusioni al tema dell’incesto59 – in marche meramente affettive: In conclusione. Per quanto i prelievi qui operati siano parziali,
«dolce», «mia». e superficiali le analisi che ne derivano – si farà meglio altrove: e si
Se qui agisce, più che mai, l’impulso alla soggettivazione, è in- spera che lo scrutinio puntuale dei testi prevalga, d’ora in poi, sui
teressante osservare come il traduttore si comporti dinanzi ai vv. 4 generici omaggi ai diritti eterni della “poesia” – una conclusione
s. (οὐδὲν γὰρ οὔτ᾽ ἀλγεινὸν οὔτ᾽ ἄτης ἄτερ / οὔτ᾽ αἰσχρὸν οὔτ᾽ almeno sembra inevitabile. Il Pasolini traduttore classico – tra-
ἄτιμον), straordinario regesto di parole-chiave afferenti ai campi duttore di testi alquanto diversi per genere ed epoca, da Eschilo
semantici del dolore, della perdizione, della vergogna.60 Sono qui le a Plauto, da Sofocle a Virgilio – pare obbedire a regole alquanto
varianti della traduzione – registrate da Siti – a illuminarci sui me- ferree. Regole che impongono, in generale, una drastica assimila-
todi della più tipica “oggettivazione” pasoliniana: «umiliazione», zione e semplificazione culturale del testo di partenza, quale che
«vergogna», «disonore», «infamità», parrebbero le scelte deinitive esso sia: perché ogni testo, a quanto risulta dai fatti, è destinato a
del traduttore; ma con «umiliazione» (ἀλγεινόν) concorre «rab- divenire parte integrante di un sistema, verifica di un presupposto,
bia», e con «infamità» (ἄτιμον) «empietà».61 Si può immaginare un dimostrazione di una teoria. Ecco dunque – per tornare a Fortini
più malleabile sistema di equivalenze? Si aggiunga che né «umilia- – «un Pasolini che “può far di tutto” (un dramma in versi, una
zione» né «rabbia» quadrano con ἀλγεινόν, come «vergogna» non traduzione dell’Eneide, una collana di sonetti o un romanzo epi-
quadra con ἄτη né «empietà» con ἄτιμον. Esitazioni e oscillazioni stolare)», intendendo con ciò che «egli può darci una sola cosa, un
di una versione in fieri? Senz’altro. Ma anche una rivelatoria testi- solo sentimento fondamentale dell’esistenza, quello dell’ubiquità
monianza della disinvoltura con cui Pasolini sembra scegliere, per nella duplicità polare».63
progressiva approssimazione, le parole-chiave – così platealmente La «duplicità polare», appunto: e ciò guida a una conclusione
didascaliche – delle proprie traduzioni. Si riconosce benissimo, più di dettaglio. Pulsione “oggettivante” e pulsione “soggettivan-
qui, il lessico selettivo che sostanzia, nell’Orestiade come nell’E- te”, come si è visto, determinano le scelte traduttive fino ai più
neide, il vocabolario della psicologia pasoliniana. Se ne apprezza, minuti dettagli: selezione del lessico, strutturazione sintattica e
in più, la deliberata indifferenza ai valori veicolati dall’ipotesto. retorica, evidenza dell’enunciazione e degli enunciatori. Tutto,
Quel che importa – pare – è che il testo d’arrivo esprima passioni nel Pasolini traduttore, mira a un ideale equilibrio fra due di-
tanto calorose quanto astratte e stereotipate.62 verse ma non divergenti esigenze: ricavare, dal testo di partenza,
un’intensità emotiva che ne sottolinei l’autenticità o genuinità
59
Si prescinde, qui – come sembra prescindere Pasolini – dalle formidabili immediata; ricavarne, al contempo, un sistema di valori astratti e
dificoltà testuali connesse alla clausola del v. 4: per l’annosa questione cfr. e.g. astorici, che ne garantiscano la permanente valenza esemplare. La
Sophocles. Antigone, ed. by M. Grifith, Cambridge 1999, ad. l. e C. Austin, The
Girl Who Said “No” (Sophocles’ Antigone), «Eikasmós» XVII (2006), pp. 103-16.
presunta “primitività” dei classici – specie greci – è un pregiudizio
60
Per queste varianti, si veda Pasolini, Teatro, cit., p. 1013. L’apparato di Siti tardo-romantico che facilita, quantomeno per Eschilo, l’audace
– alquanto rudimentale – non chiarisce purtroppo se si tratti di varianti espli- operazione: alla prova dell’Orestiade, Pasolini si rivela senz’altro –
citamente sostitutive o di mere alternative paritetiche. Per quanto si argomenta ha scritto Sanguineti – l’«eterno poeta all’eterna ricerca del Buon
qui, poco importa; ma il dubbio rimane. Selvaggio».64 Un Buon Selvaggio che parla per parole irrazionali e
61
Per il sorprendente ventaglio di sostantivi che varia, nell’Orestiade, il me-
desimo termine di partenza, si veda qualche esemplificazione in Condello, 63
E. Sanguineti, Giornalino secondo, 1976-1977, Torino 1979, p. 134.
Quasimodo, Pasolini, Sanguineti, cit., p. 95. 64
P.P. Pasolini, Per il cinema, a cura di W. Siti e F. Zabagli, Milano 2001,
62
Fortini, Introduzione, cit., p. 24 (notazioni risalenti ancora al fatidico 1959). p. 2928.

122 123
allo stesso tempo razionalissime; elementari e, allo stesso tempo, Pasolini dalla poesia al cinema
artatamente rilesse.
di Franco Zabagli
Sotto questa luce, le versioni classiche risultano una straordi-
naria verifica delle ambiguità sottese all’intero mondo ideologico
pasoliniano, notoriamente indeciso fra nostalgia di una primitività
edenica e progressismo (o razionalismo) di maniera. «La preistoria
[...] è stata la stessa dappertutto», ha affermato Pasolini:65 il che Non si può fare a meno di chiedere una certa indulgenza di fronte
ben si capisce, se «preistorico» è per lui tutto ciò che sfugge – per al compito di circoscrivere, dentro un’unica lezione, un’idea com-
anteriorità o per marginalità – al movimento storico della borghe- plessiva su Pier Paolo Pasolini. Tanto per accennare alla spropor-
sia industriale; di qui, ovviamente, l’irrazionalistica idealizzazione zione dell’impresa, ricordo che le opere di Pasolini riunite qualche
dei Greci e della loro “mitologia”; di qui la netta resistenza alla anno fa nella collezione dei “Meridiani” Mondadori occupano
storicizzazione della cultura greca o antica in genere, che induce dieci volumi di circa 1800 pagine l’uno, un dato che è già una
il traduttore ad assimilare – assimilare tra loro, e assimilare a noi prima, concretissima indicazione di quanto fosse stupefacente la
– tutti i testi via via volgarizzati. Di qui, infine, il tentativo – mi- sua capacità di lavoro. Pasolini non si è mai fermato davanti a
rabilmente contraddittorio – di trovare nei “classici” un paradigma nessuna tentazione sperimentale, e se il termine più giusto per
di razionalità assoluta e, insieme, di liberatoria irrazionalità. Non definirlo rimane senza dubbio quello di poeta, è vero pure che
a caso Fortini – per chiudere come si è iniziato – ebbe a diagno- insieme a un gran numero di poesie ha scritto romanzi e racconti,
sticare, per il sodale-rivale, una spiccata tendenza alla «regressione saggi e articoli e recensioni di critica letteraria e di critica d’arte,
interminabile (come si parla di “analisi interminabile”)».66 Del saggi e articoli e interventi sulla politica e la società, nonché alcuni
resto, si dà contraddizione più tipica – in Pasolini – di quella che testi per il teatro, e naturalmente soggetti dialoghi e sceneggiature:
le versioni classiche documentano nel corpo stesso dei testi? La per film altrui, ma soprattutto per i diversi film che lui stesso ha
contraddizione, si intende, fra sistema e passione: fra vocazione realizzato come regista negli ultimi quindici anni della sua vita.
universalistica e ineliminabile, esibito soggettivismo. Spero dunque di riuscire a darvi un’idea di Pasolini che almeno
non sia troppo approssimativa, e soprattutto non fuorviante, dal
momento che, oltre alla varietà di generi letterari e di linguaggi
artistici da lui praticati, la sua stessa identità intellettuale sfugge
alle classificazioni consuete, e la forza, o anzi, come lui diceva, lo
“scandalo” della contraddizione è stato sempre uno degli impulsi
principali del suo modo di aderire alla vita.
Una vita, quella di Pasolini, dove si possono individuare cer-
te date cruciali, e alcune sequenze cronologiche omogenee, che
aiutano a fissare meglio le linee di questo suo ritratto. Pasolini
nasce nel 1922, l’anno della marcia su Roma e dell’avvento al
65
Fortini, Introduzione, cit., p. 192 (l’annotazione è del 1979). potere di Mussolini; muore nel 1975, esattamente ai tre quarti
66 del Novecento, in un’Italia immersa nelle contraddizioni della

124 125
modernità, lacerata dalle stragi di Stato e dal terrorismo. Visse e che incrocia col figlioletto nella culla uno sguardo dove già si
dunque cinquantatré anni, e il tracciato della sua non lunga esi- stabilisce l’eterna tragedia del conflitto edipico.
stenza coincide con l’evolversi del nostro paese, da un’Italia con- Pasolini compie il proprio percorso scolastico da allievo modello,
tadina, rurale, ancora intatta nella sua compagine popolare e nei fino alla laurea in lettere all’Università di Bologna, dove si sentiva
suoi retaggi secolari, verso quel progresso omologato e “globale” ancora fortemente la tradizione di Giosue Carducci e di Giovanni
nel quale stiamo vivendo noi stessi il nostro presente. La vita di Pascoli, i poeti-professori per eccellenza della nostra letteratura,
Pasolini è diventata argomento di parecchie biografie, e di pochi dai quali erediterà a suo modo alcuni importanti tratti d’identità.
altri scrittori possiamo dire che ci siano altrettanto note, con l’im- In particolare con la poesia di Pascoli, che fu argomento della sua
magine pubblica, le vicende personali, anche le più intime. E se si tesi di laurea, Pasolini stabilisce un’evidente, raffinata continuità.
scorrono le tante fotografie che lo ritraggono nel corso degli anni, I Pasolini erano soliti trascorrere le vacanze estive a Casarsa, ma
si stenta a riconoscere nel bambino malinconico in divisa da balilla dall’inizio della guerra, la cittadina friulana finisce per diventare il
l’uomo che i rotocalchi mostreranno coi jeans e la camicia optical luogo di residenza previlegiato per Susanna Pasolini che, mentre
alla guida di fiammanti auto sportive. il marito è lontano prigioniero in Africa, vi si stabilisce insieme a
Pier Paolo e al figlio secondogenito, Guido, nato nel 1925.
Una prima periodizzazione della sua vita possiamo ritagliarla Assecondato anche dalla complicità pedagogica della madre,
tra il 1922, l’anno appunto della nascita, e il 1942, quando a Pasolini aveva scoperto molto presto la vocazione alla poesia, e con-
vent’anni pubblica il primo libro di poesie. Pasolini era nato a tinuò a coltivarla nel corso dei suoi studi con letture appassionate
Bologna, ma fino a tutta la sua adolescenza la famiglia traslocò e aggiornatissime. Un giorno d’estate del 1941, nel silenzio della
in varie città dell’Italia del Nord – Cremona Belluno Scandiano campagna di Casarsa, Pasolini udì la voce di un contadino che
Reggio Emilia – a seconda delle assegnazioni a cui era soggetto il pronunciava la parola rosada, che vuol dire “rugiada”. Quell’istan-
padre, ufficiale dell’esercito. Pasolini ebbe una percezione assai pre- tanea circostanza fece scoccare in lui un’intuizione che ne renderà
coce della propria omosessualità, e tra lui e il padre Carlo Alberto, stilisticamente geniale l’esordio: adottare, per le proprie poesie,
uomo dalla gagliarda virilità, si instaurò assai presto un contra- il materno dialetto friulano nella specifica variante parlata nella
sto insanabile; all’opposto, assoluto fu l’amore nei confronti della zona di Casarsa, un dialetto vergine, mai riportato in una tradizio-
madre Susanna, una maestra figlia di piccoli proprietari terrieri ne scritta, che Pasolini saprà elaborare con tecnica raffinatissima,
di Casarsa, nel Friuli occidentale. Quando nel 1966 Pasolini gira fondendo gli esempi metrico-stilistici degli antichi trovatori con
le sequenze iniziali per il film Edipo re, inserisce un prologo dove le innovazioni della tradizione simbolista.
sono rappresentati alcuni momenti della sua primissima infanzia: Il piccolo libro, intitolato appunto Poesie a Casarsa, stampato
il parto in una casa del centro storico di Bologna, pudicamente nel 1942 a proprie spese presso la libreria antiquaria Mario Landi
intravisto dalla macchina da presa al di là di una finestra illuminata di Bologna, finisce nelle mani di Gianfranco Contini, filologo e
(ricordiamoci la finestra oltre la quale si celebra il mistero della critico all’epoca già illustre. Contini riconosce subito l’originalità
fecondità nel Gelsomino notturno di Giovanni Pascoli); la madre di una simile operazione poetica e scrive una recensione, salutando
che allatta il bimbo in un prato inondato dal sole, sullo sfondo di quel debutto con una consenso che non avrebbe potuto essere più
una di quelle file di pioppi che segnano la campagna italiana del autorevole, e che per Pasolini resterà una giusta ragione d’orgoglio
Nordest; il padre vestito da ufficiale, che arriva a casa in licenza, per tutta la vita.

126 127
Gli anni della guerra e del dopoguerra fino al 1950 Pasolini Il decennio degli anni Cinquanta comincia sotto il segno di
li trascorre dunque a Casarsa, in un decennio di fervente lavoro questo traumatico sconvolgimento, che è però anche la premessa
creativo. A contatto con quella piccola realtà contadina, circoscritta fatale per un’assai più forte espansione del suo talento, verso un
come una preziosa Arcadia rusticana, Pasolini sviluppa definitiva- successo e una fama che Pasolini non avrebbe certo potuto con-
mente, con un’adesione innamorata, la propria identità di uomo seguire se fosse rimasto dentro il remoto Eden di Casarsa. Nella
e di poeta. L’amore per gli umili diventa l’elemento costitutivo Roma del dopoguerra era iniziata la caotica espansione urbanistica
di questa identità, un amore che coinvolge l’eros, la poesia, l’i- delle borgate, dove in baracche, tuguri, in palazzine già fatiscenti
deologia, nonché la sua peculiare sensibilità verso il sacro. E in appena finite di costruire, si addensavano gli emigrati dalle cam-
quel contesto così arcaico e antropologicamente cattolico, Pasolini pagne (i cosiddetti “burini”) e dal Sud Italia. In uno dei poemetti
comincia pure a vivere con una libertà troppo ingenua la propria della raccolta Le ceneri di Gramsci, Pasolini definisce il popolo delle
omosessualità. borgate: “Un esercito accampato nell’attesa / di farsi cristiano nella
In famiglia, si inaspriscono i rapporti col padre tornato frat- cristiana / città...”; ed è in questa nuova realtà sociale, non più
tanto dalla prigionia, mentre si fa ancor più esclusivo e assoluto contadina ma urbana, che Pasolini ritrova sotto differenti spoglie
l’amore per la madre, specie dopo la morte del fratello Guido che, antropologiche il contatto con quegli “umili” che era stato co-
partigiano, rimane ucciso in uno dei più controversi episodi della stretto ad abbandonare nelle campagne del Friuli. L’indigenza dei
Resistenza ai confini italo-slavi. primi anni Cinquanta è compensata dal sensuale coinvolgimento
Pasolini ha frattanto continuato a scrivere diverse altre poesie in una Roma brulicante di vita, di cui Pasolini diventa esploratore e
in dialetto friulano, che nel 1954 saranno riunite nella raccolta La cantore, dando voce nei suoi scritti a un’umanità che nella miseria
meglio gioventù – e sono in molti a ritenere che, in termini propria- sembra sostenersi attingendo a una sorta di vitalità primordiale.
mente poetici, questa sua produzione giovanile comprenda alcuni Nei testi delle Ceneri di Gramsci, iniziati subito dopo l’arrivo a
dei testi più belli ch’egli abbia mai scritto. Scrive a un tempo anche Roma e pubblicati in raccolta nel 1957, Pasolini recupera la forma
poesie in lingua italiana, nonché pagine di narrativa e di critica; metrica della terzina di endecasillabi, utilizzata da Dante nella
organizza con la madre una scuola per i contadini che sembra quasi Divina Commedia. Proseguendo un lavoro stilistico già avviato da
anticipare le novità pedagogiche di Barbiana, fonda una piccola Pascoli nei suoi poemetti, elabora egli stesso una forma-poemetto
Accademia di lingua friulana in cui riunisce amici intellettuali variando quell’illustre modello metrico della tradizione italiana
e amici contadini, si avvicina al marxismo diventando figura di con una sofisticata manipolazione dell’endecasillabo e delle rime.
spicco del PCI provinciale, e comincia, a guerra finita, la carriera L’antica terzina dantesca viene così a essere il vettore stilistico per
d’insegnante nelle scuole medie. Ma l’incantesimo friulano a un una nuova “poesia civile”, lontana dalle magniloquenze di Carduc-
certo punto si rompe. Nel ’49 arriva una denuncia che rende la ci e di D’Annunzio come dalle ingenuità ideologiche di Pascoli.
sua omosessualità di dominio pubblico, e nella piccola comunità Riferendosi alla lezione di Gramsci, Pasolini rivela tutto il suo
friulana è lo scandalo. Pasolini viene radiato dall’insegnamento, contraddittorio amore per il popolo. Con Gramsci condivide sì la
espulso dal partito comunista, e in una condizione di ostracismo prospettiva marxista dell’emancipazione proletaria, ma riconosce
e indigenza, una mattina di gennaio del 1950 prende insieme alla pure, nel suo intimo sentire di poeta, che l’amore che egli prova nei
madre il treno per Roma e abbandona per sempre il Friuli. confronti del mondo popolare può esistere solo finché si mantiene
libero da ogni contaminazione con la detestata cultura borghese.

128 129
Come Foscolo davanti ai sepolcri di Santa Croce, dal cui celebre la prima volta sulla pellicola luoghi e personaggi da cui il potere
carme recupera accenti e stilemi, Pasolini si rivolge alla tomba politico e la morale borghese volevano si distogliesse lo sguardo.
di Gramsci nel cimitero acattolico del Testaccio, ed esprime con A interpretare il film Pasolini convoca attori presi dalla strada, ma
questi versi famosi il senso della propria lacerazione: “Lo scandalo col gusto di mescolarli a professionisti veri come Adriana Asti,
del contraddirmi, dell’essere / con te e contro te; con te nel cuore, che interpreta il ruolo di una prostituta, o ad amici letterati come
/ in luce, contro te nelle buie viscere...”. Elsa Morante, che in una breve sequenza del film impersona una
Poco prima delle Ceneri di Gramsci, nel 1955, era anche uscito carcerata intenta a leggere un fotoromanzo. All’uscita nei cinema,
Ragazzi di vita, un romanzo che narra con andamento picare- si rinnovano le polemiche che avevano accolto Ragazzi di vita,
sco e fatalità di tragedia le avventure di un gruppo di ragazzi del amplificate oltretutto dalla risonanza mediatica che un film può
sottoproletariato romano. L’impasto dialettale dello stile aderisce suscitare rispetto a un’opera letteraria. Molti e importanti sono
intimamente alla realtà sociale delle borgate della capitale, assai però anche i consensi, e subito dopo Accattone seguono, al ritmo
più cruda e violenta del mondo contadino del Friuli. Il romanzo di uno all’anno e anche più, film come Mamma Roma, La ricotta,
è per l’epoca un best-seller, ma suscita pure polemiche e scandalo, Il Vangelo secondo Matteo.
come da allora in poi sarà fatale per quasi tutte le opere di Pasolini, Nel 1964 esce una nuova raccolta di versi intitolata Poesia in
immancabilmente avversate dalla censura coi relativi strascichi giu- forma di rosa, libro sperimentale e difficile, nel quale si consuma
diziari. Ma per quanto contrastata, per Pasolini è ormai la celebrità. definitivamente l’ambizione di Pasolini a farsi vate di quel mondo
Oltre alla poesia, alla narrativa, alla saggistica, Pasolini aveva già popolare che sta ormai perdendo la propria autenticità in mezzo
cominciato a scrivere anche per il cinema. alle rapide trasformazioni provocate dall’industrializzazione e dal
A Roma, in quegli anni, dopo che il cinema italiano si era impo- cosiddetto boom economico. In Poesia in forma di rosa le terzine
sto all’attenzione di tutto il mondo con la rivoluzione poetica del dantesche, che erano state la principale forma metrica del suo can-
neorealismo e con i grandi film di Rossellini e De Sica, l’industria to in lingua italiana, cedono a una metrica libera, dissonante, pro-
cinematografica era in pieno fervore. Pasolini compie il proprio sastica, ma anche aperta a nuove e vigorose impennate profetiche.
apprendistato scrivendo soggetti e sceneggiature e collaborando Bellissimo, tra le composizioni di questa raccolta, il lungo po-
con diversi registi, tra cui Mauro Bolognini e Federico Fellini, per emetto Una disperata vitalità, titolo diventato quasi usuale per
il quale redige alcune scene delle Notti di Cabiria e della Dolce definire Pasolini in un solo emblematico ossimoro. Una disperata
vita. Nel 1960 arriva infine anche l’occasione di passare dietro la vitalità viene rappresentata come in atto la dissoluzione dello stile
macchina da presa e diventare lui stesso regista. Continuando a poetico delle Ceneri; nel testo, monconi residuali di terzine, di
esplorare quel popolo delle borgate raccontato in Ragazzi di vita e rime, di endecasillabi sono contaminati al ritmo parlato di una
in Una vita violenta Pasolini gira così il suo primo film, Accattone: corrente lingua italiana media, con didascalie mutuate dalla tecnica
storia della redenzione impossibile di un sottoproletario che vive di scrittura per il cinema, che in varie parti del poemetto suggeri-
di espedienti delinquenziali, che oscuramente avverte nella propria scono di leggere i versi quasi fossero appunti per le immagini di un
coscienza il sussulto di una verità morale, ma che infine soccombe film. Pasolini riconosce che il mondo arcaico dell’Italia contadina è
al proprio destino come il protagonista di una tragedia greca. Nella finito. Il paesaggio italiano, rimasto immutato per secoli, è solcato
violenta luce di un’estate romana, Pasolini, con uno sforzo di verità dalle nuove autostrade, da architetture di cemento armato, da dila-
ancora più coraggioso di quello espresso dal neorealismo, fissa per ganti anonime costruzioni; e in questa emergenza della modernità,

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ciò che appartiene al passato, come dice appunto il verso cruciale Il cinema, con la riflessione critica che sempre accompagna e
del poemetto, “sta per non poter più essere compreso”. L’Italia, supporta il lavoro creativo di Pasolini, contribuisce ad abbattere
coinvolta con l’intero Occidente nello sviluppo capitalistico, è en- sempre più le barriere fra i diversi generi del suo laboratorio di
trata in una nuova era che Pasolini chiama, con un neologismo di artista. Nel 1968 fa uscire Teorema contemporaneamente in for-
grande suggestione poetica, la Dopostoria, un termine che ricorre ma di film e di libro; scrive saggi come Il “cinema di poesia” o La
in quelli che sono diventati forse i suoi versi più famosi, e che in sceneggiatura come struttura che vuol essere altra struttura, in cui
una lezione come questa non posso fare a meno di rileggervi: teorizza una peculiare autonomia poetica della sceneggiatura ci-
Io sono una forza del Passato.
nematografica, da intendere come genere letterario che può valere
Solo nella tradizione è il mio amore. di per se stesso. Sempre in quel periodo, si dedica alla scrittura di
Vengo dai ruderi, dalle chiese, alcune tragedie, per lo più messe in scena solo dopo la sua morte,
dalle pale d’altare, dai borghi ed elabora un Manifesto per un nuovo teatro, inteso essenzialmente
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, come un “teatro di parola”, lontano da ogni ritualità e convenzione
dove sono vissuti i fratelli. borghese.
Giro per la Tuscolana come un pazzo, All’inizio degli anni Settanta, si radicalizza in Pasolini la perce-
per l’Appia come un cane senza padrone. zione di un’estraneità insanabile nei confronti del proprio tempo,
O guardo i crepuscoli, le mattine segnato da una “mutazione antropologica”, come lui la chiama, che
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, ha cambiato profondamente il popolo italiano e particolarmente i
come i primi atti della Dopostoria, giovani. Si fanno sempre più frequenti i viaggi in Africa e nel Me-
cui io assisto, per privilegio d’anagrafe, dio Oriente, le cui popolazioni hanno preso il posto che avevano
dall’orlo estremo di qualche età
sepolta...
un tempo, nel suo sentire, i contadini friulani o i sottoproletari
romani. Fissando per l’ultima volta il suo sguardo su un mondo
Lo stesso anno di Poesia in forma di rosa, esce nelle sale cinema- perduto per sempre, Pasolini realizza il grande affresco cinemato-
tografiche anche Il Vangelo secondo Matteo, nel quale Pasolini pren- grafico della Trilogia della Vita, o Trilogia dell’Eros, una rivisita-
de congedo dalla sua peculiare estetica del realismo ambientando zione del Decameron di Boccaccio, dei Racconti di Canterbury di
la storia di Gesù in stupendi paesaggi arcaici dell’Italia centrome- Chaucer e delle Mille e una notte, dove in un passato riscostruito
ridionale e con raffinate citazioni dalla pittura del Quattrocento. con squisita sapienza pittorica si esalta la bellezza del sesso vissuto
Dopo, il suo cinema si apre a contaminazioni di natura più deli- con l’allegria e la creaturale innocenza degli umili.
beratamente intellettuale, come negli episodi di estro chapliniano Attorno a questi film si scatena puntualmente la reazione scan-
dell’ultimo film in bianco e nero, Uccellacci e uccellini; oppure dalizzata di un Potere che, sotto le nuove spoglie del progresso,
esplora i grandi temi del mito, dell’antropologia e della psicanalisi, continua a vigilare sull’ortodossia morale dell’espressione artisti-
come nel già ricordato Edipo re, o ancora in Medea o in Appunti ca attraverso l’antico strumento della censura. Ma contro il con-
per un’Orestiade africana, dove lo sguardo di Pasolini si rivolge alla formismo vecchio e nuovo Pasolini ha stabilito ormai un duello
bellezza primitiva del Terzo Mondo nel quale persiste (ma chis- dichiarato e a oltranza. Quando il «Corriere della Sera» gli pro-
sà per quanto tempo ancora) un’autenticità antropologica ormai pone una collaborazione, sarà proprio dalle colonne del giornale
compromessa nella civiltà occidentale. più rappresentativo della borghesia italiana che Pasolini prende a

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stigmatizzare con tono profetico i disastri del proprio tempo, la resto della sua vita. Come da ragazzo aveva avuto l’intuizione di
volgarità della cultura televisiva, i poteri occulti responsabili della scrivere poesie in dialetto friulano udendo pronunciare la parola
strategia della tensione, la falsa tolleranza che nasconde in realtà rosada, l’idea di questo romanzo gli era venuta leggendo per caso
un più insidioso razzismo, i nuovi connotati antropologici degli su un quotidiano la parola “petrolio”. Attorno a quella parola si
italiani, le cui coscienze sono state “violate nel profondo” da un sviluppò un “forma” che andava modificandosi via via che Paso-
progresso che in pochissimi anni si è affermato in nome della sola lini aggiungeva nuove pagine al dattiloscritto, in un progetto che
logica del profitto. avrebbe dovuto dilatarsi fino a comprendere un vasto corredo di
Ne conseguono polemiche formidabili, come quella che accom- immagini, di fotografie, disegni, documenti filmati, come in una
pagnò il referendum per la legge sull’aborto, alla quale Pasolini sorta di vertiginoso assemblaggio di arte multimediale. Anche se
poneva obiezioni fondate su un non convenzionale concetto di incompiuto e con molte parti poco più che abbozzate, Petrolio è
sacralità della vita. E famosi pure certi articoli elaborati seguendo un libro di oltre seicento pagine che lascia stupefatto il lettore per
la rovente intonazione apostolica delle lettere di San Paolo, come le arditezze sperimentali, e per una libertà d’immaginazione alla
il discorso “contro i capelli lunghi”, sul nuovo conformismo dei quale lo stesso Pasolini non si era forse mai spinto. Luigi Baldacci,
giovani, o quello, celeberrimo, della “scomparsa delle lucciole”, che è stato uno dei più autorevoli critici del Novecento e che per
sulla già ricordata “mutazione antropologica” degli Italiani. Questi l’opera di Pasolini non aveva mai avuto particolare propensione,
articoli, riuniti nei volumi Scritti corsari e Lettere luterane, costi- definì senza mezzi termini Petrolio un “capolavoro”. Un capolavoro
tuiscono ancora oggi una insostituibile testimonianza di lucidità di cui non è stata ancora compresa fino in fondo tutta la novità
intellettuale per chi voglia riflettere sulle contraddizioni del no- delle implicazioni, e sul quale, come sull’opera intera che abbiamo
stro passato recente, e sulla loro persistenza nel tempo che stiamo ereditato da Pasolini, continueremo ancora a lungo a interrogarci
vivendo adesso. e a discutere.
L’ultimo film di Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma, è
un’allegoria agghiacciante e grottesca sul Potere, e sulla violenza
che esso esercita fino all’annientamento dell’individuo. Gli eventi
hanno fatto sì che la disperazione assoluta espressa nella pellicola
costituisse una sorta di punto di non ritorno. La notte fra il 1° e
il 2 novembre del 1975, Pasolini muore assassinato all’Idroscalo
di Ostia mentre si trovava in compagnia di un ragazzo incontrato
poco prima alla Stazione Termini. Ma le circostanze, come tutti
sanno, non sono mai state chiarite fino in fondo, e la sua morte
è entrata a far parte di uno dei tanti misteri irrisolti della storia
del nostro paese.
Diversi anni dopo, nel 1991, viene pubblicato da Einaudi
Petrolio, un romanzo incompiuto che Pasolini aveva concepito
come una sorta opera-monstrum che fosse una summa di tutte
le sue esperienze, e alla quale era intenzionato a dedicarsi per il

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Quel Cinema
di xxx

Mentre quelle luci, quei colori prendono forme su quel telo bian-
co, chiamato schermo, e da quelle forme anche la storia così, come
una antica comunità davanti al focolare, siamo riuniti per vedere
per sentire e li, nel buio e nel silenzio di quella sala, mentre inizia
una narrazione audiovisiva, ancora una volta stiamo dando vita a
un rituale ultracentenario.
La proiezione del Film, il rituale del Cinema!
Ma “cos’è il cinema” è una domanda molto meno retorica e a cui
è molto meno facile rispondere di quanto non si possa immaginare.
Possiamo affermare, che questo mezzo dei tempi moderni, sia
uno strumento nato per narrazioni e documentazioni sociali per
il sociale, per il gruppo, al di là della sua etnia poiché, la sua co-
struzione tecnico meccanica, consente sia una elevata mobilità del
mezzo, sia una ancor maggior mobilità del supporto contenente
il “documento” o lo “spettacolo” stessi.
Tutto, comunque e sempre, per un “gruppo” mai per un singolo.

Socialità del Cinema


Il Cinema dei primordi poteva essere realizzato da un solo opera-
tore che, similmente a un fotografo di oggi, si muoveva per racco-
gliere eventi da proiettare in un apposito ambiente alla presenza di
un pubblico che era finalizzato a sopportare qualsiasi cosa venisse
loro fatta vedere. Solo vedere, poiché, per molti anni, il suono è
stato assente. Nonostante questa consistente limitazione, superata
dalla presenza di un pianista in sala o, in casi particolari, di una
intera orchestra, il cinema era già diventato un’autentica industria,
che esplode, circa quaranta anni dopo la sua prima proiezione, con
l’introduzione del sonoro a metà degli anni ’20.

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Ma un’industria non può essere costituita da un uomo e la sua per diventare un film pertanto hanno un percorso meno com-
cinepresa e da una sala di proiezione con altoparlanti, un’industria, plesso perché, se non altro, il produttore non deve scontrarsi con
quella del cinema è costituita da molte parti, molto complesse. lo scrittore del romanzo, per l’inevitabile “tradimento”, e con lo
Una Produzione, che raccoglie le idee, i manoscritti, li trasforma sceneggiatore, ma, semmai, si scontra solo con il secondo perché,
in soggetti cinematografici e quindi in “copioni”, dove sono tutti come vuole la leggenda della cinematografia, non rispetta quello
gli elementi che riguardano il dove, il cosa, il chi e il come si recita, che gli viene chiesto o perché non rispetta i tempi.
pezzo per pezzo ogni scena destinata a diventare film. Incomincia a delinearsi la necessità del film di proporre dei
Ma la produzione mette a disposizione gli studi di ripresa, tutte “contenuti” che, come si è visto, pervengono non dal cinema stesso
le parti tecniche e tecnologiche, gli attrezzisti, che costruiranno il ma dalla società, attraverso la sua cultura, nel senso antropologico
“set” dove verrà ripresa la scena, descritta da uno sceneggiatore, del termine, per cui anche, attraverso gli accadimenti del quoti-
realizzata da una scenografo, illuminata da un direttore della fo- diano presente o quelli del passato, della storia.
tografia, sonorizzata dagli ingegneri del suono e recitata da attori C’è un cinema, quello di grandi registi che, direttamente, od
diretti da un regista. La produzione si occupa anche della stam- occultamente, affronta i temi del “Sociale”.
pa della pellicola girata, del suo montaggio da uno specialista, il Direttamente quando il contesto socioeconomico lo consento-
montatore, e, della stampa finale delle copie per la distribuzione no, e cioè quando la realtà politica lo permette, ma anche quando
ai cinema, non senza la promozione pubblicitaria, e così via. l’economia del paese ha consentito di formare una platea di spet-
Appare evidente che una attività di questo tipo veda il coin- tatori capace di recepirne i valori.
volgimento di molte, molte, centinaia di persone che, per i molti Ancora i grandi del cinema sanno realizzare film che, occulta-
film che vengono”girati”, costituisce un numero di forte rilevanza mente, indirettamente, sia per quanto raccontato sia per il come
sociale e una importante presenza economico produttiva. è rappresentato il tema narrativo, riescono a fare film fortemente
sociali che sfuggono ai “controllori”, alla censura, correndo molti
rischi, non ultimo quello di non essere compresi dai destinatari del
Il Cinema Sociale film stesso perché, come molto frequentemente accade, la loro pre-
parazione è notevolmente al di sotto di quella sperata dall’autore.
Come è facile constatare il Cinema è un sistema complesso che,
non solo prevede una grande struttura produttiva e operativa ma
che vede alla base o all’inizio del prodotto “Film” un lavoro, so-
Cinema e Film
lo ed esclusivamente “letterario”, quindi, un qualcosa che non è
cinematografico, ma che pur essendo un linguaggio diverso, un Che film c’è al cinema? È una domanda che tutti hanno fatto o
linguaggio oltre, a parte, un “metalinguaggio”, viene incorporato si sono fatta mettendo in luce la fondamentale differenza fra la
in questo processo complesso e ne diventa parte integrante. Molti parola/concetto Cinema e la parola/concetto Film. Si è detto in
film nascono da un libro, da un romanzo, che vien affidato a uno modo breve, ma speriamo chiaro, del sistema produttivo e distri-
sceneggiatore, uno specialista, che trasforma quel “racconto per butivo del Film, un vero e proprio sistema generativo, un auten-
la lettura” in un “racconto per la recitazione per la visione”, per il tico sistema linguistico, un linguaggio con regole ben definite che
Film. Molti altri film sono un progetto che nasce per il Cinema, attengono alla produzione ma anche alla regia.

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Lo stesso sceneggiatore indica, nel copione, i dettagli della scena Il Cinema di Consumo
da riprendere, i movimenti macchina, le inquadrature che sono la
C’è un genere di Film definito appartenente al “Cinema di Consu-
parte finale del trasferimento del registrato, un tempo su pellicola,
mo”, o di “Evasione” questo tipo di film nasce come conseguenza
da molti anni su memorie informatiche.
al “Boom Economico” degli anni ’60, nel momento in cui un’Italia
Va detto che i grandi registi il copione lo rivedono e lo riscrivono
non acculturata, reduce da una guerra devastante si vede proporre
proprio perché questo gli consente di offrire al proprio pubblico
la visione di “filmetti” frivoli, leggeri, che non lasciano traccia nella
il meglio della loro idea del racconto, sia delle immagini, sia del
storia del cinema se non il documento di una nostra pochezza
recitato e sia del suono, di tutto quello che diventa Film.
culturale e di coloro che si “accontentavano” di poco, molto poco.
Molto cinema, attuale, non lascia nulla, non offre niente di
accrescitivo, è quello dei film che si dimenticano rapidamente,
Letteratura e Libro
che nel rispetto della legge del consumo, nella filosofia dell’“usa e
Similmente alla Letteratura/Libro, il cinema, nel suo dualismo getta”, lascia solo il senso del vuoto di chi realizza di avere gettato
Cinema/Film, si configura nei suoi elementi realizzativi, ma anche tempo e soldi.
nel grande repertorio, oggi disponibile, di grandi lavori alle cui Alternativa a quei filmetti si poneva un grande cinema, quello
strutture linguistiche attingere per generare e rigenerare processi che ha lasciato indelebili tracce di una “Intellighentia” registica
comunicativi del tutto nuovi, mai sperimentati. incomparabile che ha reso famoso il cinema italiano in tutto il
Durante i tre mesi e mezzo che ho avuto modo di parlare di mondo, cosa che ci siamo dimenticati, talché molte recenti delu-
cinema con Pasolini abbiamo avuto modo di trattare anche l’ar- sioni, anche se coronate da seducenti successi, hanno dimostrato.
gomento della critica cinematografica. Se a un critico appariva, e
appare, necessario richiedere la perfetta e la più ampia capacità di
leggere e interpretare un lavoro letterario, di cui tratterà, e tratta, La “non consumabilità” del cinema di Pasolini
esprimendosi nella stessa lingua di lettura e di studio, ben diverso
Come non si può chiedere a un regista come Pasolini, con cui
è quello che accade nel cinema.
conversavo tutti i giorni, “Quale pubblico di spettatori hai in
Anche se al critico cinematografico viene richiesta non minor
mente per la visione dei tuoi film?”, contrariamente alla risposta
capacità di lettura e di decodificazione di tutti i “segni” filmici,
che mi avrebbe dato il marketing della PEA, la casa di produzio-
questi, al momento di redarre il risultato della sua analisi, del
ne statunitense, mi ha risposto, direttamente, senza alcun giro di
suo studio, utilizzerà, e utilizza la scrittura e, di fatto non aderirà
parole “Penso a un pubblico come me. Non so pensare a un pubblico
alle esigenze di rispetto del lavoro nel linguaggio originale ma si
generico.” Le riprese de “Il fiore delle mille e una notte”, che mi han-
esprimerà, come abbiamo già osservato, in un “meta linguaggio”,
no visto su quel set per oltre cento giorni, mi hanno offerto molte
cioè un linguaggio “non filmico”.
possibilità di un dialogo difficile, per i differenti tipi di analisi e
A questo proposito, fra le molte altre cose, Pasolini mi aveva
indagine sul linguaggio cinematografico, ma con la possibilità di
detto “Se vuoi criticare un mio film, devi fare un film sul mio film”.
attingere direttamente informazioni uniche. In un’altra occasione
abbiamo avuto occasione di parlare del cinema di consumo, forte-
mente criticato da Pasolini, che, a quel proposito, mi aveva detto

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“Voglio realizzare film inconsumabili. Film difficili, che il pubblico Generazioni da Oscar made in Hollywood, sono quelle apparse
debba vedere molte e molte volte per poterli capire e approfondire. sul tappeto rosso a Los Angeles, ma è molto improbabile che vin-
Film dai grandi contenuti ideologici... non consumabili.” cano l’Oscar del tempo, o l’Oscar della storia, quello che si dice
«per i posteri».
Esiste un cinema con un «impegno di maniera» quello che parla
Il Cinema difficile di Pasolini degli emigrati, quello che parla delle pene, dei drammi della droga,
mentre ad altri si ascrive il coraggio di fare film di impegno politico
Al di là delle enunciazioni di Pasolini, solo agli addormentati in
o di costume ma politici! Non «partitici» ma nel vero senso di un
sala e solo a chi non li ha visti, quei film non sono apparsi difficili
lavoro per la «polis»!
e non già per i dialoghi ma, volendo fornire qualche elemento, si
Taluni registi inglesi e persino Usa,realizzano veri lavori per il
possono suggerire; i soggetti, o gli argomenti trattati, gli attori colti
sociale, quelli, forse, i nostri registi, sfortunatamente per loro e
dalla strada, la recitazione senza una dizione di alta scuola dei suoi
per noi, non li stanno nemmeno «a guardare». Forse ne avrebbero
attori, le citazioni iconografiche, la musica e le citazioni musicali
potuto, o ne potrebbero ricevere un impulso, un guizzo, una spinta
in funzione dell’evento, i simbolismi, i riferimenti ai classici della
al riappropriarsi della grandezza del passato, non per fare di più o
pittura, le inquadrature, il montaggio, evvia.
di meglio, ma per fare «qualcosa».
Per comprendere Pasolini, non solo occorre conoscerne i lavori
letterari e poetici, ma anche le battaglie politiche e il contesto
socioeconomico e sociopolitico in cui si è mosso.
Nuove tecnologie e cinema
La difficile interpretazione dei film di Pasolini non appare più
tale se il suo lavoro si contestualizza e se si hanno sufficienti co- Il Cinema sempre per meno continua a essere un «rituale» e non
noscenze cinematografiche non scevre da conoscenze di storia è difficile individuarne le cause, occorrono motivi convincenti per
dell’arte e della musica, che ça va sans dire difficilmente, molto alzarsi, scendere le scale, prendere il tram, recarsi in una sala dopo
difficilmente, sono proprie dello spettatore medio. aver pagato un biglietto e sedersi per vedere «Il Film».
L’edonismo, la violenza, la banalità sono le voci più convincenti
di un cinema attuale, una cinematografia «globalizzata», altro che
Il salto antropologico quella pensata da Pasolini per i suoi film.
Questi sono film di consumo, premasticati, predigeriti, per un
Gli oltre quaranta anni passati dall’ultimo lavoro di Pasolini «Salò»,
pubblico che, più che omologato, solleva il dubbio che sia alienato,
cupa critica, che adottava una metafora narrativa, una violenza in
privato di capacità di intendere e scegliere, perché, se non c’è nulla
divisa fascista, per ricordarci che erano cambiate le forme dell’eser-
che valga «la pena di vedere» ebbene non si vada a vedere.
cizio del potere ma non la sostanza, questo grande tempo passato,
Tuttavia appare evidente, persino a chi si appende con il sacco a
con forse tre generazioni in mezzo, ci indica che è avvenuto anche
pelo e dorme una settimana fuori di un negozio, per essere il primo
un grande cambiamento antropologico.
possessore dell’ultimo tablet, che sarà immediatamente superato
Nel Cinema i buoni maestri sono scompari per esaurimento,
dalla concorrenza fra un mese, che la visione di un film su uno
consumati dagli anni e negli anni, e non sono sorte nuove leve
smartpad da 8», con gli auricolari, e i mille riflessi e i mille rumori
sostitutive che godano di cultura e carisma delle vecchie.

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circostanti, beh, qualcosa di diverso ci sia, persino con il film visto identici, garantendone così una durata teoricamente perpetua. Ma
a casa in modo, certamente, più confortevole. non basta.
Se poi portiamo una fantastica scenografia, una grande regia, un Da molti anni è subentrato il restauro a dare nuova vita alle
audio magistrale su uno smartwatch da 2» non molti giurerebbero vecchie deteriorate pellicole di un tempo.
che quella è la visione di un film. Dei gruppi di lavoro prendono in cura un film e dopo tutte le
Le nuove connessioni superveloci, si parla di gigabit, consenti- pulizie meccaniche, attraverso una sequenza di bagni e asciugature,
ranno visioni di qualità strepitose, ma la domanda che ne segue è alle quali la pellicola originale viene sottoposta, si passa allo studio
di cosa, infatti nessuno sta preparando film di qualità per quelle della grana della pellicola per poterla ricostruire con un computer
nuove metodiche di trasmissione e ricezione, nessuno poiché si e un programma dedicato, si studiano tutti i difetti prendendone
scarseggia della materia prima, un tempo si diceva «la materia larghe note, si passa alle correzioni e fatto tutto questo si va alla
grigia» oggi è più facile trovare dei «crani disabitati». digitalizzazione.
Ma il Cinema, quello del «rituale» sta diventando anche un In sostanza, potremmo vedere «La corazzata Potemkin» nel-
«grande televisore», e vediamo il perché, i nuovi proiettori in cabi- la perfezione dell’originale o in un grande cinema o sul grande
na non sono più quelli che usavano le pellicole, ma sono proiettori schermo di casa nostra nel religioso silenzio che un’opera di quel
digitali che offrono il massimo della qualità tecnica che le tecno- livello necessita ed ha diritto di richiedere.
logie consentono, e le famose «pizze» sono veri autentici «file»,
criptati, trasmessi via satellite e visionabili quasi immediatamente
sullo schermo gigantesco. Una peculiarità è data dalla durata, per- La Fotografia e il Cinema
ché, cessato il periodo di programmazione il file si autodistrugge.
La fotografia è sempre stata non solo un elemento importante per
In sostanza in punto geografico c’è un trasmettitore che invia
il cinema ma, si potrebbe dire un elemento «portante», sia perché
nello spazio un file che un’antenna del nostro cinema riceve e ci
raccontava in «anteprima» il film in lavorazione e poi finito, sia
fa vedere, non è un caso che abbiano fatto così le trasmissioni
perché veniva abilmente utilizzata per la comunicazione del film
di opere in diretta o partite di calcio. Cosiccome i treni ad alta
e sul film con i pettegolezzi, da qualche tempo «gossip» che, ri-
velocità hanno spodestato l’aereo per talune tratte, anche la tra-
guardavano i nomi importanti della produzione.
smissione via satellite, costosa e complessa, potrà essere sostituita
Nella fase distributiva di un film, una serie di prodotti, su base
dalla trasmissione via rete superveloce, quelle della «larga banda»
fotografica anticipava e seguiva le «pizze» presso i depositi delle
di cui si parla da oltre vent’anni. Potrebbe accadere che si ritorni
grandi firme del cinema. Erano le «buste» contenenti stampe, allo-
al cinema per vedere «Lascia e Raddoppia» come nel 1954!
ra analogiche, dei personaggi del film, dei registi, congiuntamente
a comunicati stampa. Ma non solo, l’immagine fotografica «pilo-
tava» ed «orientava» le vendite del film, attraverso la sua presen-
Il Cinema del Passato per le tecnologie del Futuro
za sulla carta stampata, sui manifesti del film e nella pubblicità.
Certamente una cosa che farebbe piacere a Pasolini è la indistrut- Ogni set cinematografico era circondato da fotgrafi d’assalto che
tibilità dei film, che passati in digitale, non pongono il problema tentavano di «rubare» immagini uniche, speciali, per cui le troupe
dell’originale e della copia poiché, in digitale copie e originali sono lavoravano blindate da guardie private e, spesso, pubbliche. Tutta-

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via la produzione disponeva di un fotografo, e a volte più di uno, tenda nera da cui uscivano, insieme a lui, effluvi di acido acetico
che operava sul set il «fotografo di scena». e iposolfito.
Chi avesse voluto avvicinarsi al mondo del cinema poteva se- A 10 anni ho deciso di fare un grande passo, l’acquisto di una
guire il percorso della fotografia di scena, poi... fotocamera!
Da molto tempo per ragioni economiche e per l’impiego delle E una di quelle fotocamere in quella vetrina, che si era arric-
nuove tecnologie digitali, su molti set è stata cancellata la figura chita di ripiani con un fondo di velluto rosso, che rendevano gli
del fotografo di scena. Questa è una presenza che continua a sus- oggetti più vivaci, più vivi direi, è diventata, non senza fatica, di
sistere per le produzioni ricche e laddove esistono registi e attori mia proprietà.
di prestigio. Una Comet Bencini del costo di 3.000 lire! Allora lo stipendio
medio era di 20/25.000 lire!
La Comet era una minuscola macchina fotografica con il cor-
L’approccio personale po in alluminio pressofuso. In quegli anni l’alluminio aveva un
“grande futuro”.
Il mio interesse verso il Cinema risale all’età della terza elementare,
La fotocamera usava una pellicola definita “127” quei negativi
quando con la famiglia si «andava a vedere il film» o con il nonno
fornivano una immagine di 3x4 cm, (equivalenti a 3000x 4000
che mi portava a vedere film di Opere al Cinema, Rigoletto, Aida,
pixel) e aveva l’obiettivo “azzurrato”.
o con argomenti di musica classica e recital operistici.
La pagavo a 500 lire al mese.
Frattanto, sempre per «la famiglia» avevo consolidato la funzione
La situazione, con la MIA macchina fotografica si è comple-
di addetto alla macchina fotografica, un incarico che mi vedeva «al
tamente rovesciata, e da “vittima designata” a scattare foto con
lavoro» da circa quattro anni prima, mi hanno detto.
macchine altrui sono passato al contrattacco.
Ma «allora», a quel tempo, la fotografia la percepivo come qual-
I miei quattro fratelli, mamma, papà e parenti tutti, volenti o
cosa di triste, di vecchio, di antico.
nolenti sono stati cavie e beneficiari della mia “mania” di fare foto.
Il «negozio del fotografo», dove comperavamo e portavamo allo
Il ritratto è sempre stato il mio interesse primario. Le foto erano
sviluppo e stampa le pellicole, aveva in vetrina qualche macchina
in bianco e nero, raramente a colori, costavano troppo.
usata e altre nuove ma modeste, di piccolo prezzo.
In vetrina e in negozio molte foto in bianco e nero, o «virate» in
color avorio, tappezzavano le pareti, erano tutte di ritratti racchiusi
Quando la teoria sconvolge la pratica
in un ovale, al centro del formato della carta che aveva i bordi
frastagliati, come usava. Quei ritratti negli «ovali», invece, come si A fianco della fotografia avevo sempre nutrito interessai per l’elet-
vedono, da oltre centocinquanta anni, sulle lapidi nei cimiteri, non tronica, la radio che era in continua evoluzione e la Tv di cui ogni
rendevano certamente l’ambiente più allegro. Nemmeno la grande tanto venivano date informazioni su una sua prossima “venuta”.
stampa a colori di un paesaggio, della pubblicità Ferrania, riusciva A dodici anni, comperavo costose riviste americane, dal folle
a mitigare quell’atmosfera, appesantita dal grembiule grigio-blu del costo di 2.000 lire (come se costassero 100/120 €uro oggi) che
“fotografo” che, al “drinn”, del campanello della porta d’ingresso, trattavo l’elettronica da farsi in casa, non conoscevo l’inglese e
compariva, mentre si sfilava guanti neri di gomma, da dietro una leggevo con il vocabolario a fianco, ma in una di quelle ho letto

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dell’elaborazione della “Teoria dell’informazione” da parte di un “fotoamatore evoluto”, come si diceva allora. Il passaggio all’atti-
ingegnere e matematico, Claude E. Shannon, congiuntamente a vità professionale è iniziata nel 1970, con il mio trasferimento da
uno scienziato e matematico, Warren Weaver. Genova a Milano.
Avevo immediatamente recepito che potevo leggere un’immagi- Di fatto una serie di lavori, anche importanti, per le aspirazio-
ne, un quadro, una foto, un film con un sistema “rigoroso” e non ni di un fotografo, mi avevano visto protagonista negli anni ’60
completamente soggettivo,o basato unicamente sul racconto o sui fino al ’70, mentre non studiavo solo ingegneria elettronica, ma
“pallini” attribuiti dal critico di qualche quotidiano. linguistica e cinema.
Lo schema esemplificativo appariva estremamente semplice: un La mia posizione è sempre stata più un ingegnere prestato alla
Messaggio un Emittente e un Ricevente un Codice e un Canale. fotografia che un fotografo a pieno titolo, secondo i canoni “dell’e-
Insomma l’immagine, che fosse fotografia o pittura, che fosse poca”, cosicché nonostante gli inviti non sono mai stato parte di
fissa o in movimento era portatrice di molti, molti significati, al in qualche club di fotografi professionisti.
di la di quello che rappresentava, al di la dei “contenuti” al di la Va detto che negli anni ’70 occorreva chiedere un permesso di
di quello che l’autore credeva al di la delle semplicistiche inter- pubblica sicurezza e una licenza comunale per ottenere un permes-
pretazioni di una critica improvvisamente invecchiata e decaduta, so di “fotografo ambulante”, figura certamente poco mitizzabile
diventata arcaica. Tutti questi elementi sono facilmente reperibili e difficilmente confrontabile con i grandi nomi della storia della
in quei sistemi linguistici che sono stati oggetto di studio dai primi fotografia.
del ’900 ed hanno raggiunto l’apice nel ’60/70 da molti specialisti Per cui, mentre usavo una delle più avanzate fotocamere allora
sia in Italia e Francia, sia in Usa e Germania. Intorno ai quattordici disponibili, la Nikon F2, la burocrazia considerava l’attività foto-
anni ho iniziato a leggere complicatissime riviste di tecnica foto- grafica come quella dei primi fotografi dell’800, il fotografo era
grafica e di saggistica su arte e cinema. Ero diventato un esperto, considerato come chi, dotato di macchina a soffietto e cavalletto,
anche per via del “laboratorio” di sviluppo e stampa che avevo di una tenda “cappuccio nero”, nonché alambicchi vari, si aggirava
creato nel bagno di casa. Neanche a dirlo stampavo di notte nella per le strade e le piazze per “catturare” immagini di passanti, o di
speranza che nessuno avesse urgenze. Le macchine erano state un paesaggi, per farne sviluppo immediato e riceverne compenso.
crescendo; Agfa, Voigtlander, Contax, Edixa e, infine, nel 1960 la Il tutto prevedeva l’obbligo di tenere un archivio delle foto, dei
prima Nikon. Era un passo lunare. negativi dei nomi dei soggetti, dei posti, sempre a disposizione
della polizia.
Questa logica molto restrittiva, sia in termini burocratici, sia
Lavoro più Studio più Lavoro + Studio professionalmente, mi aveva spinto a realizzare sempre lavori remu-
nerativamente prossimi allo zero ma del più alto livello culturale
Parallelamente alla mia attività di tecnico elettronico mentre stu-
possibile. Non già per presunte capacità fotografiche, ma per i
diavo per una futura laurea, svolgevo la mia attività di fotografo
soggetti vittime dei miei scatti.
dilettante e finto semi professionista, con piccoli lavori per riviste
Quello che ha sempre guidato le mie scelte è stata la “costru-
locali, per i teatri genovesi, evvia, continuavo gli studi di elettro-
zione di documenti per la memoria”. Nelle letture, dai dieci anni
nica. La presenza di una fotocamera di grande nome e prestigio
in poi, mi era rimasta bene impressa l’idea ricorrente che, ai con-
faceva pensare a una professionalità autentica piuttosto che a un
temporanei di tutti i tempi, non interessava nulla del loro lavoro

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rispetto il futuro e che ai “fotografi” interessasse solo la tecnica e delle mille e una notte”, a cominciare da due università in Brasi-
l’esibizione edonistica delle loro immagini. le nel 1974, dopo molte altre tappe, è arrivato alla Cineteca di
Non è un caso che il Grande Gillo Dorfles, intorno a fine anni Bologna nel 2011, al Centro Studi Pasolini di Casarsa nel 2012
’60, al Teatro dell’Arte a Milano avesse accusato i fotografi, senza ,è diventato una mostra itinerante, l’ho portato, e mi ha portato
molto fair play, di ignoranza. Nel 1970, a Torino, partecipando con molti amici “Pasoliniani”, in giro per il mondo diventando il
alla proiezione di “Alice’s Restaurant” ero intervenuto diverse volte lavoro su Pasolini più universalmente conosciuto.
durante la tavola rotonda condotta da Ettore Sottsass Jr e Fernanda Ecco perché oggi leggete queste righe di un non ingegnere,
Pivano, a un certo punto, incuriositi, mi avevano chiesto quale non fotografo non cineasta che non si è fatto scappare “l’attimo
attività svolgessi, la mia risposta era stata “il fotografo”. La loro re- fuggente”.
plica, secca ed esaustiva, era stata “ma fammi il piacere. Fotografo!”
Quello che l’Intellighentia pensava e sapeva dei fotografi è
sempre apparso molto chiaro. Così, “lavorando” per riviste, insi-
gnificanti nel mercato editoriale, avevo ottenuto tessera stampa e
accrediti, per fotografare da Benny Goodman a Severino Gazzel-
loni, dai Beatles a Vittorio Gassman, dai New Trolls a Dario Fo,
da Lucio Dalla a Giorgio Albertazzi e oggi, nel 2015, per richiesta
della stessa, Patti Smith.

Da Genova a Milano al Medio Oriente per Pasolini e un ritorno


via Bologna e Casarsa
Poco più di un anno dopo il mio trasferimento a Milano, avevo
incontrato Pasolini a un dibattito su “Cinema e Televisione”.
Avevo avuto l’opportunità di parlargli dei miei interessi lin-
guistici per le arti spazio-visive e, nello specifico della fotografia e
del cinema. Non solo si era reso disponibile per parlarne, ma fece
di più, mi invitò, qualora avessi voluto, a raggiungerlo in medio
oriente dove avrebbe girato “Il fiore delle mille e una notte”.
Avevo caricato le mie due Nikon F2, per il colore e un’altra per
il negativo, bianco e nero o colore, una serie di ottiche, in una
grande borsa Nikon di cuoio, che posseggo ancora, e, ancora una
volta, rinunciando, a oltre tre mesi di attività professionale, sono
andato su quel set per documentare qualcosa di imperdibile e
irripetibile. Quel lavoro del 1972/1973, su Pasolini e su “Il fiore

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Indice


Attraversando Pasolini
5 Pasolini, intellettuale corsaro e pensatore meridiano di xxx
31 La pedagogia dello scandalo del professor Pasolini di xxx
43 “Un baule pieno di gente”: il moi commun di Pasolini di
Franco Bulega
83 Il corsaro luterano e il chierico rosso. Pasolini e Sangui-
neti: poesia e ideologia di Maurizio Allegri
103 Su Pasolini traduttore classico: rilievi sparsi, tra fatti e
leggende di Federico Condello
125 Pasolini dalla poesia al cinema di Franco Zabagli
137 Quel Cinema di xxx

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