Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
(1897-1963)
Antonio Donghi nasce a Roma nel 1897 da Lorenzo Donghi, un
commerciante di stoffe di Lecco, e da Ersilia De Santis, poco dopo la
separazione dei suoi genitori verrà spedito in collegio, un ambiente che
contribuì largamente alla formazione del suo carattere schivo e
appartato; s’iscriverà al Regio Istituto di Belle Arti di Roma, dove conseguì
la licenza nel 1916, durante la guerra viene inviato in Francia e al ritorno
si dedica alla pittura nei Musei Veneziani e Fiorentini, nel periodo
seguente alla fine del primo conflitto mondiale cessò il fervente
movimento artistico avanguardista che aveva infiammato gli animi poco
prima della guerra, la fine di quest’ultima significava raccogliere le ceneri
del passato per ricostruire un presente glorioso; e Antoni Donghi tentò
proprio di opporsi ai precetti della corrente Futurista, la quale pareva
ancora in ascendenza, e grazie a tale opposizione tentò di fermare lo
scorrere del tempo per renderlo eterno. Il suo esordio avviene negli anni
’20 con Nudo di donna alla seconda Biennale di Roma, dove lavorò sotto
l’influenza della rivista Valori Plastici, la quale s’ispirava ai precetti
dell’arte metafisica, una pittura che rappresentava gli oggetti nitidamente
e staticamente, andando oltre l’aspetto fisico-realistico, e tentando di
rappresentare una sorta di ripresa nel primo dopoguerra; da quel
momento in poi divenne uno dei principali esponenti del movimento neo-
classico, ma ben presto cambierà direzione venendo riconosciuto, dal
critico Franz Roh, come il massimo rappresentante del realismo magico,
ovvero uno stile che tende a dipingere una visione realistica del mondo
miscelandola con elementi appartenenti alla sfera del magico,
confondendo i confini tra fantasia e realtà. A metà degli anni ’20 la sua
pittura ha oramai raggiunto le sfere del successo internazionale con
numerosi riconoscimenti in America, in Francia, in Svizzera e in Germania,
incontrerà presto anche il musicista Alfredo Casella, quest’ultimo si
appassionerà alla tecnica di Donghi a tal punto da divenire presto il suo
collezionista assieme all’amico Ojetti. Nel 1930 si dedicherà perlopiù alla
rappresentazione dei paesaggi in piccole dimensioni con numerosi viaggi
nel Centro Italia e con numerose esposizioni a Buenos Aires, alla Galleria
Nazionale D’Arte Moderna di New York e alla Biennale di Venezia. Negli
anni ’40 la sua pittura risultò oramai fuori moda rispetto alla nuova
tendenza modernista, il suo linguaggio pittorico tende a modificarsi nei
modi e nelle dimensioni e il suo carattere schivo di certo non gli gioverà
nell’immediato II° dopoguerra; da quel momento cominciò il declino
dell’artista, Donghi morirà a Roma nel 1963. Le figure contenute nelle sue
opere paiono sospese nei loro gesti e nelle loro emozioni, gli attimi
rappresentati appaiono quasi eterni. I soggetti prediletti da Donghi sono
personaggi dell’avanspettacolo, saltimbanchi e giovani amanti,
quest’ultimi tendono ad assumere le sembianze di veri e propri androidi,
replicanti o manichini che vivono una vita parallela alla nostra. Donghi
amava le composizioni forti, caratterizzate da un’ottima chiarezza di spazi
e soggetti popolari, dove le scene di vita quotidiana vengono toccate da
un sottile umorismo; egli per dipingere utilizzava colori a pastello tenui,
ed ebbe un enorme successo sia fra il pubblico, sia tra i critici.
GLI AMANTI ALLA STAZIONE, 1933, OLIO SU TELA
(116X67cm)
- L’opera di Donghi venne realizzata nel 1933 ed esposta alla
seconda Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma nel 1935 con il
titolo La Partenza, quest’ultimo fu poi cambiato in occasione di una
lettera che Donghi scrisse a Ugo Ojetti nel 1934, dove informava
l’amico in merito al procedere delle sue opere e alla loro
realizzazione. Le figure dei due amanti appaiono statuarie, le loro
espressioni riflettono in maniera accurata l’animo del loro stesso
creatore, il quale risultava malinconico e assai schivo; l’uomo e la
donna raffigurati non forniscono alcun cenno amoroso o affettivo,
nessun saluto e nessun bacio vengono scambiati., essi si limitano
solamente a rivolgere lo sguardo in punti diversi, la donna rivolge lo
sguardo verso lo spettatore, ovvero verso l’esterno, mentre l’uomo
lo rivolge verso l’interno, in direzione della sua amante. I dettagli
pittorici risultano semplici e banali, essi rappresentano in maniera
esemplificativa sia il paesaggio retrostante, sia gli abiti e i contorni
dei personaggi, i colori, invece, risultano leggermente opachi e
scabri, la scena viene illuminata da una luce soffusa tipica del
tramonto. Tutto appare così statico e avvolto da una plasticità quasi
architettonica.