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IL POSTIMPRESSIONISMO

Con “tendenze post-impressioniste” abbiamo indicato quegli orientamenti artistici che si


svilupparono in Francia, soprattutto nel corso dell’ultimo ventennio dell’Ottocento, ma che
ebbero importanti ripercussioni anche nel resto d’Europa e furono fondamentali per lo
sviluppo delle Avanguardie storiche e la nascita dell’arte del Novecento.
Caratteristiche comuni ai Post-impressionisti furono il rifiuto della semplice, o della sola,
impressione visiva e la tendenza a cercare la solidità dell’immagine, la sicurezza del
contorno, la certezza e la libertà del colore, appigli sicuri per quei artisti che furono i
protagonisti della svolta nell’arte al tramonto del XIX secolo: Paul Cézanne, Georges Seurat,
Paul Gauguin e Vincent van Gogh.
Essi presero le distanze dal procedere analitico con cui i loro predecessori avevano espresso gli
aspetti più effimeri della realtà e preferirono la via della sintesi e dell’antinaturalismo.
Un minimo comun denominatore, che può mettere in relazione l’opera di Cézanne con quella di
Seurat o di Gauguin, è lo spostamento d’interesse dall’ottico al concettuale: ciascuno di loro,
sia pure in maniera differente, voleva andare oltre le apparenze naturali e ricercare gli
elementi strutturali dell’immagine, quelli che stanno appunto al di là dei fenomeni.
Cézanne, cercava di dare forma ai valori durevoli delle cose. Il modo in cui Cézanne rappresentò
la realtà evidenzia una visione prevalentemente mentale, con risultati che possono apparire
otticamente incongruenti.
Fondamentale fu il contributo di Cézanne, che all’incorporeità e alla dissoluzione delle
forme tipiche dell’Impressionismo sostituì l’esigenza di un più solida e rigorosa
concretezza costruttiva dell’immagine.
Per una strada del tutto diversa anche Seurat si muoveva verso un radicale antinaturalismo.
Un aspetto che iniziò a caratterizzare l’opera di diversi pittori fu la contaminazione di
linguaggi e culture diversi. Le incursioni degli artisti in campi “altri”, i loro “viaggi” (leggibili
anche come fughe della realtà spazio-temporale) diventarono una fonte primaria di stimoli.
Viaggi reali, come quelli che portarono Gauguin in paesi non contaminati dalla cultura
occidentale, e viaggi della mente verso luoghi che non esistevano ma erano segnati, per dirla
con Baudelaire, da un’”aria superiore” in cui purificarsi. L’importanza di Baudelaire per gli
artisti di questa generazione, un‘importanza spesso filtrata attraverso le successive esperienze
dei poeti simbolisti e parnassiani, fu decisiva e duratura.

Cap 27 (itinerario) 002


d Cézanne, Le lac d’Annecy, 1890
e Van Gogh, Terrazza del caffè sulla piazza del Forum, 1888.
G Van Gogh, Stradina a Saintes Maries, 1888.
I Signac, Saint-Tropez, 1899

Fonti:
Le basi dell’arte, Dal Neoclassicismo a oggi, Elena Demartini, Chiara Gatti, Lavinia Tonetti, Elisabetta P. Villa.
Itinerario nell’arte. Versione gialla compatta multimediale. Dal Barocco al Postimpressionismo. Giorgio Cricco,
Francesco Di Teodoro.
Storia dell’arte, L’Ottocento, Gillo Dorfles, Francesco Laurocci, Angela Vettese.
Moduli di Arte, Dal Neoclassicismo alle avanguardie, Electa, Bruno Mondadori.
Pierre-Auguste Renoir

Pierre-Auguste Renoir nasce a Limoges nel 1841 ma la sua formazione avviene a Parigi, dove
inizialmente la famiglia lo avvia alla carriera di decoratore di porcellane. Studia per qualche
anno alla Scuola di Belle Arti, dove conosce anche Monet e Bazille destinati entrambi a dividere
con lui la straordinaria esperienza impressionista.
Per lui la pittura è soprattutto gioia di vivere e voglia di farsi travolgere dalle emozioni e dai
colori, e questo si rispecchia in tutte le sue opere, molte delle quali sono realizzate (o almeno
iniziate) en plein air. Dopo il viaggio in Italia del 1881 l’artista muta il proprio stile,
arricchendolo con il disegno appreso e ammirato soprattutto nelle opere romane di Raffaello.
L’importanza del disegno nell’opera di Renoir si avvertirà soprattutto nella seconda parte della
sua produzione (quella successiva al viaggio italiano del 1881), quando lo utilizzerà in modo
meno pittorico e più funzionale alla progettazione dei suoi dipinti.

Il Palco

Egli prese parte alle mostre del gruppo, dalla prima del 1874 in cui espose “Il Palco”, in cui un
uomo e una donna in abito da sera esibiscono la loro eleganza in un palco di teatro, lasciando
intuire lo spettacolo più vasto che si svolge tutt’attorno.
Per il dipinto posarono Nini Lopez, una modella, e il fratello di Renoir, Edmond. Il punto focale
della composizione è il volto nitido di Nini: i suoi occhi lucenti e il tono chiaro della pelle
contrastano con l’effetto sfocato del resto dell’immagine, reso attraverso leggeri e morbidi
tocchi di pennello che catturano la luce e dissolvono le forme, dando la stessa impressione di
mobilità e d’immaterialità che si nota nelle opere eseguite en plein air.
Il colore restituisce la leggerezza della stoffa, la delicatezza della carnagione, la lucentezza delle
perle. La figura femminile riempie con la sua grazia luminosa la superficie del quadro; dietro di
lei il fratello del pittore, Edmond, è reso in modo più sintetico. Il corpo dell’uomo è composto
da zone bianche e nere; lo sparato della camicia, sotto l’effetto della luce, acquista tonalità
azzurrognole.
Ogni particolare è ordinato in funzione del piacere visivo e dell’armonia: così, ad esempio,
l’accordo tra l’or del braccialetto e del cannocchiale di Nini, i due piccoli bouquet di fiori rosa
appuntati sul petto e tra i capelli, o le tonalità calde del volto dell’uomo e della sua mano
guantata.
Il dipinto rappresenta un momento piacevole della vita parigina; agli Impressionisti sono
estranee tensioni morali e sociali e nel ritrarre scene quotidiane mostrano sempre una sorta di
distacco, un’assenza di giudizio.

La Grenouillère

Renoir e Monet, pur avendo gusti e formazione diversi sono accomunati da una fraterna
amicizia. Nell’estate del 1869 i due pittori si recano insieme a Bougival, un pittoresco villaggio
in riva alla Senna, una ventina di kilometri a Ovest di Parigi. L’isolotto di Croissy, posto nel
mezzo della Senna, collegato alla terraferma da un ponte, era stato attrezzato con un
caratteristico ristorante all’aperto, allestito su uno zatterone ormeggiato alla riva, e con alcuni
stabilimenti balneari immersi nella vegetazione. L’intero complesso era noto con il nome di
Grenouillère.
Renoir e Monet collocano i propri cavalletti uno accanto all’altro e in poche ore ciascuno
realizza la propria Grenouillère.
L’analisi delle due opere ci consente di capire il diverso modo di essere impressionista di
ciascuno dei due artisti. Il punto di vista è pressoché il medesimo, ma diversa è l’attenzione che
essi pongono alla scena.
Mentre Monet privilegia l’immagine d’insieme, allontanando prospetticamente l’isolotto
centrale, Renoir è più sensibile alle presenze umane che, pur nella vaporosa indeterminatezza
delle piccole e veloci pennellate, appaiono più definite di quelle dell’amico. Le figure di Monet,
infatti, sono tratteggiate non diversamente dalle piante e dal resto della natura circostante, con
la quale appaiono in perfetto equilibrio. L’attenzione di Monet è estremamente sintetica.

Entrambi gli artisti hanno dato il meglio di sé nella rappresentazione della mobilità dell’acqua
e dei mille riflessi che la colorano. Monet usa pochi colori dati a pennellate orizzontali,
individuando le zone di luce e di ombra con bruschi cambiamenti cromatici, come ad esempio
intorno alle barche e all’isolotto centrale (ombre) o in prossimità della riva opposta (luce).
Renoir, invece, adotta una pennellata più minuta, frammentando la luce in piccole chiazzette di
colore e conferendo all’insieme una sensazione di gioiosa vivacità. La sua Grenouillère è
indubbiamente più festosa e squillante mentre l’interpretazione che ne dà Monet è forse meno
appariscente ma senz’altro più rigorosa.
I colori di Renoir sono mobili e brillanti, in continuo e mutevole rapporto reciproco e sempre
sensibili agli infiniti filtraggi che la luce del sole subisce nell’attraversare le fronde degli alberi.

Moulin de la Galette

Nonostante le notevoli dimensioni, la tela fu abbozzata en plein air al Moulin de la Galette, un


vecchio mulino abbandonato posto sulla collina di Montmartre, il pittoresco quartiere
settentrionale di Parigi, e ultimata in atelier.
Il nome del locale fa riferimento ai dolcetti (in francese galettes) che venivano offerti come
consumazione compresa nel prezzo di ingresso.
Il soggetto del dipinto è il famoso ritrovo alla moda frequentato dai giovani parigini. Renoir ha
voluto fermare un momento spensierato della vita contemporanea, ricreando l’atmosfera
gioiosa e bohémienne di un pomeriggio festoso, in cui si intuiscono il vociare delle persone, le
risa, la musica di sottofondo, i corteggiamenti e il piacere delle conversazioni leggere sulle
panchine o ai tavolini.
Per eseguire l’opera Renoir frequenta per sei mesi il Moulin. Dipinto parte dal vivo, facendo
posare amici, amiche e qualche modella scelta tra le frequentatrici abituali del luogo, e parte in
atelier, dove si limita a riorganizzare gli schizzi colti sul posto, il quadro costituisce uno dei
capolavori della maturità artistica di Renoir.

La composizione è molto complessa e risulta priva di un centro focale. La linea dell’orizzonte è


alta e l’ambiente è quasi interamente occupato dalle figure danzanti, sovrapposte l’una all’altra
seguendo un disegno di linee curve. I personaggi ai bordi sono “tagliati”: ciò fa si che la scena
sembri estendersi oltre lo spazio della tela.
Tramite un uso nuovo e libero del colore l’artista cerca di suggerirci non solo il senso del
movimento, ma addirittura lo stato d’animo collettivo e la gioia d’un pomeriggio di festa. Forma
e colore diventano un tutt’uno: la prima è costruita mediante il secondo che, a sua volta, assume
un rilievo diverso in relazione al contrasto fra luci ed ombre e fra toni caldi e freddi. Se
osservino le due coppie danzanti a sinistra: i vestiti delle ragazze spiccano contro gli abiti
maschili per la diversa luminosità che li fa vibrare di colore definendo di conseguenza sia la
forma dei corpi sia la sensazione del moto.
La freschezza e la naturale spontaneità che si percepiscono nell’opera sono determinate dalla
pennellata rapida e mossa e dai piccoli tocchi di colore puro, di forte intensità luminosa. Con
questa tecnica Renoir ha trasposto gli infiniti riflessi della luce del sole che, filtrando tra le foglie
degli alberi, disegna sui volti, sui vestiti e sul pavimento macchie rosa, gialle, azzurre e violetto.
Giustapponendo in modo alternato i blu e i gialli, che sono le tonalità base del quadro, l’artista
ha ricreato l’effetto di movimento e di vibrazione della luce sulla materia. Rinunciando a dare
consistenza corporea e finitezza alle forme, Renoir ha infuso nel quadro un’atmosfera
palpitante di vita.
L’apparente casualità della rappresentazione nasconde invece un’attenta valutazione
compositiva, frutto evidente dello studio dei classici. Pur non essendoci dei piani stabiliti,
nessun personaggio risulta isolato, in quanto è inserito in un determinato gruppo. L’insieme di
questi gruppi, uniformemente inondati dalla luce tremolante che filtra dalle fronde degli alberi,
determina la profondità prospettica dell’intera scena nella quale, il disegno gioca un ruolo
estremamente marginale.

Fonti:
Le basi dell’arte, Dal Neoclassicismo a oggi. Elena Demartini, Chiara Gatti, Lavinia Tonetti,
Elisabetta P. Villa.
Itinerario nell’arte. Versione gialla compatta multimediale. Dal Barocco al Postimpressionismo.
Giorgio Cricco, Francesco Di Teodoro.
Storia dell’arte, L’Ottocento, Gillo Dorfles, Francesco Laurocci, Angela Vettese.
Eikon, guida alla Storia dell’Arte, dal Settecento a oggi. Emma Bernini, Roberta Rota.
Paul Cézanne

A differenza della maggior parte degli artisti, che danno il meglio di sé in gioventù, Cézanne
iniziò a produrre capolavori solo durante la sua maturità. Non era infatti un artista istintivo, ma
metodico e riflessivo, alla continua e testarda ricerca di uno stile personale che gli consentisse
di superare l’Impressionismo. Ciò che egli desiderava non era dipingere la visione, ma la
ricostruzione logica e strutturale di essa.
Secondo la sua teoria la natura è impossibile da riprodurre, così come la luce del sole; allora
occorre rappresentarla mediante i colori intesi come degli “equivalenti” pittorici. Anzitutto è
necessario eliminare i contorni, i profili delle figure, perché il disegno non esiste in natura ma
è solamente un artificio. La costruzione del dipinto viene realizzata mediante la “modulazione”
del colore: macchie poste una accanto all’altra conferiscono, grazie alla loro differenza di tono,
l’illusione della tridimensionalità.

La Montagna Sainte-Victoire

Negli ultimi anni della sua vita Cézanne sarà affascinato e quasi ossessionato dal paesaggio che
era abituato a vedere sin da bambino: quello dominato dalla montagna Sainte-Victoire.
L’artista lo dipingerà innumerevoli volte e sempre in modo diverso, con soluzioni tecniche
differenti.

Nel dipinto di Filadelfia, uno dei numerosi dallo stesso soggetto, alla rappresentazione dei
volumi, cioè alla scomposizione delle cose (paesaggio naturale e paesaggio creato dall’uomo) in
essenzialità e alla loro ricomposizione tramite superfici accostate, si aggiunge la ricerca della
profondità senza prospettiva geometrica, ma attuata tramite i colori.
Sono lo spessore e la corposità dell’aria che Cézanne intende mostrare nella profondissima valle
bloccata dal profilo conico del monte. E l’aria e il cielo assumono anche i colori delle case e degli
alberi: il verde è pure nel cielo da cui solo un tenue contorno azzurrino riesce a separare il
monte, tanto i loro colori sono simili. La profondità è tutta lì, in quel cielo unito alla montagna
dall’aria palpabile che si interpone fra il pittore e l’oggetto ritratto.
L’emotività è contenuta in una solenne costruzione architettonica, che sacrifica spesso la
veridicità dei colori alla loro consonanza con la base geometrica e che appare come la risultante
di una compagine di tasselli.
Cézanne non poteva creare nulla di più diverso da un dipinto impressionista. Basta confrontarlo
con la tela di Renoir, il più giocoso e solare degli Impressionisti, avente lo stesso soggetto.

Renoir dipinge un paesaggio estremamente carezzevole e limpido. Un dipinto che riconcilia


l’uomo con la natura, una visione paradisiaca in cui le case sono piccole macchie cullate dalle
fronde e dove l’erba ingiallita dal sole, le chiome degli alberi di svariati colori, le colline rosate,
il monte lontano e il cielo sembrano come pettinati dal pennello e pronti a dare gioia
all’osservatore.

Fonti:
Itinerario nell’arte. Versione gialla compatta multimediale. Dal Barocco al Postimpressionismo.
Giorgio Cricco, Francesco Di Teodoro.
Storia dell’arte, L’Ottocento, Gillo Dorfles, Francesco Laurocci, Angela Vettese.
Edgar Degas

Già alla fine degli anni cinquanta gli impressionisti avevano iniziato a prediligere temi
contemporanei, ispirati alla vita quotidiana parigina: le strade, la folla, la Senna, i ponti di ferro,
i caffè, gli spettacoli, le ballerine e i musicisti dei teatri, le corse dei cavalli, le stazioni, il fumo
delle locomotive, dei battelli e delle sigarette. Essi erano interessati soprattutto alle
innumerevoli variabili di luce, colore, inquadratura o atmosfera offerte da tali soggetti.
Monet, Degas, Renoir e gli altri impressionisti mantennero un certo distacco dalle
problematiche politiche e sociali, pur facendo della modernità l’elemento caratterizzante della
propria poetica.

Edgar-Hilaire Germain Degas, nasce nel 1834 da una famiglia aristocratica di origine italiana,
presso la quale trascorre una fanciullezza serena. Il padre lo indirizza all’amore per l’arte ed e
con lui che visita per la prima volta il Museo del Louvre, dove impara ad ammirare i grandi
pittori del Rinascimento italiano. La sua formazione successiva avviene in ambiente
accademico e i suoi primi modelli di riferimento sono il neoclassico Ingres e il romantico
Delacroix. Forse proprio a causa dell’influsso di questi maestri la tecnica pittorica di Degas non
abolisce mai completamente il disegno e anche la pennellata non è mai così frammentata ed
evanescente come in altri impressionisti. Degas, infine, continua a prediligere la pittura in
atelier rispetto a quella en plein air in quanto, secondo lui, è preferibile dipingere ciò che si è
sedimentato nella memoria piuttosto che ciò che si ha sotto gli occhi.
Da queste premesse appare subito evidente come la personalità artistica di Degas sia articolata
e complessa. Degas fu un osservatore accorto e un abile disegnatore. Due erano le passioni
dell’artista: da un lato il rigore nella costruzione delle immagini, secondo quanto aveva
imparato dallo studio dei grandi maestri, dall’altro l’interesse per la realtà contemporanea.
Degas seppe più degli altri esponenti del gruppo ritrarre la vita nella sua spontanea
immediatezza.
Intorno agli anni settanta, Degas iniziò a frequentare assiduamente il mondo del teatro e le
corse dei cavalli, le lezioni di ballo, le prove dei concerti e gli spettacoli al Teatro dell’Opera,
registrando in numerosi schizzi preparatori pose, gesti, movimenti e colori.

L’attività di Degas disegnatore è proficua e vastissima. In aperta controtendenza con


l’impostazione impressionista, infatti, egli dedica tempo e passione soprattutto ai disegni e agli
schizzi preparatori.

E’ il caso di Nudo di donna seduta di fronte. La giovane modella è seduta con la gamba destra
ripiegata a terra e la sinistra raccolta verticalmente. In tal modo il ginocchio diventa l’appoggio
per il braccio sinistro che regge una testa dal volto intento e pensoso. La mano destra poggiata
a terra e il braccio conseguentemente teso verso il basso generano il rialzamento della spalla e
un lieve insaccamento del busto, due elementi che rimandano senz’altro all’osservazione dal
vero. La precisione e la sicurezza del segno, così come la morbidezza sfumata del chiaroscuro
rendono il bozzetto un’opera già perfettamente autonoma e conclusa, libera dalle convenzioni
accademiche (la posa non è certamente classica), ma nel contempo anche estranea a qualsiasi
compiacimento erotico.

La lezione di danza
La lezione di danza è il primo dei grandi dipinti appartenenti alla serie delle ballerine.
Realizzato tra il 1873 e il 1875, dunque a cavallo della prima esposizione impressionista nello
studio di Nadar (1874), contiene in sé già tutti i temi della maturità artistica di Degas.
In esso l’artista rappresenta il momento in cui una giovane ballerina sta provando dei passi di
danza sotto l’occhio vigile del maestro, mentre le altre ragazze, disposte in semicircolo,
osservano attendendo a loro volta il proprio turno di prova.

Il taglio diagonale che Degas impone al dipinto è di tipo fotografico, come in un’istantanea,
alcune figure risultano fuoriuscire dall’inquadratura. Ciò suggerirebbe una pittura di getto, atta
a cogliere l’impressione d’un momento. Il punto di vista abbassato conferisce alla scena
un’ampia profondità spaziale.
Il grande equilibrio compositivo, invece, e gli stessi tempi di realizzazione - quasi tre anni-
stanno a testimoniare come in realtà l’opera sia frutto di un difficile e meditato lavoro di atelier,
condotto su decine di schizzi preparatori.
I gesti delle ballerine sono indagati con attenzione quasi ossessiva, colpisce il realismo che si
manifesta nella varietà delle pose. Quella con il fiocco giallo seduta sul pianoforte, ad esempio,
si sta grattando la schiena con la mano sinistra; quella di spalle con il fiocco rosso fra i capelli,
invece, sta sventolandosi con un ventaglio. Tra le altre, poi, v’è quella che si accomoda
l’orecchino, quella che si sistema l’acconciatura, quella che osserva, quella che ride, quella che
parla con la compagna: come in ogni classe scolastica quando, sul finire dela lezione, l’atmosfera
si fa più rilassata e informale. Cogliere questi aspetti marginali ma significativi del quotidiano è
una scelta precisa dell’artista.
Degas ricostruisce l’atmosfera della sala con attenzione e affetto, inserendo le sue fanciulle in
una luce morbida che ne ingentilisce ulteriormente le movenze. Tale luce proviene in parte da
destra, dove immaginiamo esserci una grande finestra, e in parte dal fondo, attraverso un’altra
finestra della stanza attigua.
Con raffinati e delicati passaggi di colore, Degas ha colto la brillantezza dei fiocchi di raso
colorati, la vaporosa leggerezza del tulle bianco, i riflessi delle capigliature.
Dal punto di vista tecnico, in opposizione alle teorie impressioniste, egli non rifiuta né il disegno
prospettico (che individua un punto di fuga esterno al dipinto e una linea d’orizzonte
particolarmente alta), né la sottolineatura dei particolari (evidentissima nella figura del
maestro, il cui volume netto e definito la rende il fulcro di tutta la composizione).

Anche l’abolizione del bianco e del nero in quanto non-colori appare qui ampiamente disattesa.
Bianchi sono infatti i tutù delle fanciulle, nei quali il senso di vaporosa leggerezza è però
sottolineato dalla presenza di sfumature dello stesso colore dei fiocchi che portano in vita e
neri, invece, sono i nastrini di raso al collo.
Il tono complessivamente neutro del parquet (bruno) e delle pareti (verdi), sul quale si
stagliano i candidi costumi delle ballerine, contribuisce a dare all’insieme un senso di quieto
realismo. Degas riesce pienamente nel intento di far coesistere il rigore formale derivato
dall’amore per Ingres e per i pittori rinascimentali con la realtà di un’epoca in cui il quotidiano
si era sostituito alla narrazione mitologica e le ballerine alle divinità olimpiche.

L’assenzio

L’opera, realizzata tra il 1875 e il 1876, è ambientata all’interno del Café Nouvelle-Athènes di
Place Pigalle che, insieme al Café Guerbois, era uno dei luoghi di ritrovo prediletti dagli
Impressionisti.

La composizione (ma in questo caso sarebbe più corretto chiamarla inquadratura, stante
l’analogia con una ripresa fotografica) è volutamente squilibrata verso destra, quasi a dare il
senso di una visione improvvisa e casuale. L’immagine invece è costruita, in modo
estremamente rigoroso e quasi scientifico, come ben si evidenzia soprattutto dalla prospettiva
obliqua secondo cui sono orientati tavolini di marmo, quasi che l’artista volesse introdurci nel
locale seguendo il loro allineamento.

Il punto di vista è quello alto e decentrato di un ipotetico osservatore invisibile che, stando
seduto a un altro tavolino, può osservare senza essere visto a sua volta e riuscire così a cogliere
la spontanea naturalezza di ogni gesto.
I due personaggi (in realtà la modella professionista e attrice Ellen Andrée e l’amico pittore e
intellettuale Marcellin Desboutin) recitano il ruolo di due poveracci: una prostituta di periferia,
agghindata in modo pateticamente vistoso e un clochard (il tipico barbone parigino) dall’aria
burbera e trasandata. Più che a un ritratto, si è di fronte a un quadro di genere, una delle migliori
rappresentazioni data da Degas della vita parigina.
Dinanzi alla donna, sul piano di marmo del tavolino, vi è il bicchiere verdastro dell’assenzio che
dà il titolo al dipinto. Sembra infelice e malinconica, stordita dall’alcol. Davanti al barbone
corpulento e trascurato, sta invece un calice di vino. Entrambi i personaggi hanno lo sguardo
perso nel vuoto, come se stessero seguendo il filo invisibile dei loro pensieri. Pur essendo seduti
accanto sono fra loro lontanissimi, quasi a simboleggiare quanto la solitudine possa renderci
estranei e incapaci di comunicare.
L’atmosfera del locale è pesante come lo stato d’animo dei due avventori, imprigionati in uno
spazio squallido e angusto di cui l’artista ci offre una descrizione impietosamente realistica. Alle
spalle dei due personaggi, uno specchio appannato ne riflette le sagome in modo confuso ed
evanescente. Il dettaglio dello specchio movimenta con linee verticali la parete, che altrimenti
sarebbe risultata piatta, e rimarca al contempo l’allineamento della panca di legno e dei tavolini
di marmo.
Degas suggerì la profondità dello spazio reale ponendo il tavolo in primo piano, sopra il quale
sono appoggiati dei giornali montati su aste di legno, perpendicolarmente rispetto a quello più
lontano. La linea a zigzag che viene a crearsi guida lo sguardo dell’osservatore prima a sinistra
e poi a destra, portando a fissarsi sulla figura femminile, vera protagonista del dipinto.
Le diagonali perpendicolari dei tre tavoli definiscono una direzione prospettica esterna del
quadro; la donna è posta al centro eppure la dissimmetria della composizione la fa percepire
spostata a destra; la posizione e lo sguardo dell’uomo portandoci verso un punto esterno al
quadro, ne dilatano percettivamente lo spazio.
Intorno agli anni Ottanta del secolo Degas si avvicina anche alla scultura. I soggetti delle sue
vivaci cere, sono soprattutto cavalli in corsa, ballerine colte in un passo di danza e figure
femminili intente alla toilette.

Edgar Degas, Piccola danzatrice di 14 anni, 1879-1881


Bronzo patinato, gonnellino in cotone, nastro di raso
98x35,2x24,5 cm.
Parigi, Musée d'Orsay

Un caso limite è costituito dalla Piccola danzatrice di quattordici anni, del 1880, en cera del
colore della terracotta, per la quale l’artista previde un completamento con elementi reali:
capelli veri, un tutù di tulle bianco, scarpette. L’artista riesce a restituirci con straordinaria
naturalezza il senso del movimento, quasi a sfidare le leggi fisiche dell’equilibrio.
Claude Monet

L’autore
Dopo un’iniziale esperienza come caricaturista, Claude Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926)
viene avviato alla pittura di paesaggio en plein air da Eugène Boudin, incontrato nel 1858. I
primi quadri impressionisti, frutto di un attento studio dal vero degli effetti di rifrazione della
luce e dei riflessi sull’acqua, delle leggi dei colori complementari e della luce-colore risalgono
ai tardi anni sessanta. Nella formazione di Monet, meno raffinata di quella di Manet e di Edgar
Degas, l’interesse per la fotografia è fondamentale, in relazione all’importanza che per il pittore
riveste lo studio di ciò che “impressiona” la retina.

Ugualmente importante per l’evoluzione del suo linguaggio formale è la pittura di John
Constable (conosciuta a Londra nel 1870) e di Turner, che lo influenza nella tecnica
dell’accostamento di colori complementari puri.
Di origini familiari assai modeste, trascorre la propria fanciullezza a Le Havre. Fin da
giovanissimo si dimostra assai versato nel disegno e le sue scherzose caricature sono molto
apprezzate tra parenti e amici.
L’interessamento di una ricca zia dette al giovane Monet la possibilità di trasferirsi a Parigi per
frequentare una scuola d’arte.
Nonostante le assicurazioni date in famiglia però, egli non si iscrisse mai a dei regolari corsi
accademici e le sue prime frequentazioni furono quelle degli ambienti artistici vicini al più
anziano Manet, già alle prese fin da allora con le bizzrre giurie dei Salons.
Nel 1862 Monet è a Parigi dove conosce, tra gli altri, Pissarro e Degas. Al posto
dell’insegnamento accademico, percorreva la campagna dipingendo en plein air e reagendo ai
mutevoli effetti della luce e della percezione dei colori. L’incontro con Manet e con gli altri
frequentatori del Café Guerbois arricchì enormemente il suo bagaglio d’esperienze.
Quando, nel 1874, ebbe luogo la prima esposizione degli Impressionisti, fu proprio un dipinto
che Monet aveva realizzato due anni prima, Impressione, sole nascente, a far nascere l’etichetta
del gruppo, allorché il critico della rivista “Charivari” Claude Leroy si riferì al titolo dell’opera
per ironizzare sugli artisti espositori, definendoli, appunto, “impressionisti”.
Per un certo periodo si trasferisce ad Argenteuil, un paesetto circa trenta kilometri a nord-ovest
della capitale, dove può dipingere standosene isolato dal mondo, completamente immerso nella
natura e nelle sensazioni che essa gli suscita.
I soggetti preferiti da Monet, che spesso lavorava su un battello adibito a studio, erano la Senna
e le barche a vela; l’artista tuttavia non trascurava neanche la rappresentazione della vita
cittadina, come, per esempio, nei sette dipinti dedicati alla Stazione Saint-Lazare. Lo scrittore
Emile Zola, che da parte sua cercava di tradurre nel romanzo il movimento della vita moderna,
ne era entusiasta.

Impressione, sole nascente


Il dipinto Impressione, sole nascente, realizzato nel 1872, inizialmente non aveva titolo e
quando, in occasione dell’esposizione del 1874 nello studio di Nadar, gli chiesero che cosa
scrivere sul catalogo, risposi: “scrivete Impressione”.
Non vi è alcuna traccia di disegni preparatori e dunque il colore è dato direttamente sulla tela,
con pennellate brevi e veloci. Ogni oggettività naturalistica del soggetto è superata e stravolta
dalla volontà di Monet di trasmetterci attraverso il dipinto le sensazioni provate osservando
l’aurora. Egli non vuole più descrivere la realtà ma vuole cogliere l’impressione di un attimo,
diversa e autonoma rispetto a quella dell’attimo immediatamente precedente e di quello
successivo.
L’uso giustapposto di colori caldi (il rosso e l’arancio) e freddi (il verde azzurrognolo) rende in
modo estremamente suggestivo il senso della nebbia del mattino attraverso il cui manto si fa
lentamente strada un sole inizialmente pallido, i cui primi riflessi aranciati guizzano sul mare,
evidenziati con straordinaria incisività da pochi e già sapientissimi tocchi di pennello.

Cattedrale di Rouen
Approfittando di un soggiorno forzato a Rouen nel 1892, Monet inizia la serie ispirata alla
cattedrale, cui lavorerà per più di due anni. I cinquanta dipinti della serie, datati
indistintamente 1894, risalgono infatti al biennio 1892-1894. L’artista dipinge la facciata dalla
finestra della medesima stanza d’affitto e da una bottega vicina in diverse condizioni climatiche
(sole, pioggia, nebbia) e a diverse ore del giorno. La cattedrale di Rouen è riprodotta nelle più
diverse situazioni di luce, determinate dalle condizioni atmosferiche e dall’ora del giorno, con
il ricorso a una gamma cromatica molto ampia. Alla variabile atmosferica si somma, nella serie
di Rouen, quella delle diverse angolazioni da cui è vista la facciata.

La serie delle cattedrali segue quelle dedicate ai Covoni e ai Pioppi: la ripetizione del medesimo
soggetto consente al maturo artista, da sempre restio a considerare definitivamente conclusa
un’opera, una rielaborazione continua. Monet spiegò le ragioni della pittura “in serie”. Raccontò
che all’inizio aveva immaginato due tele, una per il cielo grigio e l’altra per una giornata di sole.
Dipingendo i Covoni scoprì che gli effetti della luce cambiavano continuamente, e decise di
registrare la sucessione di mutamente in una serie di tele, una per ogni specifico effetto. In
questo modo riuscì a ottenere quella che chiamava “istantaneità”, e insistette sempre
sull’importanza di smettere di lavorare su una tela quando l’effetto di luce cambiava, per
continuare su un’altra, “in modo da ottenere l’impressione vera di un aspetto della natura e non
un dipinto composito”
Diciotto di queste tele che hanno come soggetto la facciata, ripresa in una sequenza che va
dall’alba al crepuscolo, Monet le termina in studio, quando non ha più il modello davanti agli
occhi.
La facciata della famosa cattedrale gotica perde la sua precisa identità, anche per il punto di
vista ravvicinato che stravolge i contorni (senza contare che il taglio adottato è tale da
escludere, in alcuni “pezzi” della serie, certe parti, alla sommità o ai lati, del monumento).
Armonia bianca, nasce dall’impatto tra la luce accecante del primo sole e la tonalità sorda della
pietra della cattedrale, che smorza il bagliore dell’alba e lo riflette nell’aria tersa. Il bianco, il
non-colore della luce, si ottiene sommando i sette colori dell’iride, come avvertono per primi
gli impressionisti. Già all’inizio degli anni settanta Monet aveva dedicato particolare attenzione
agli effetti della luce sulle superfici chiare, studiando la proiezione delle ombre sulla neve, sulla
quale non poteva esserci del nero, mentre vi comparivano i colori riflessi dagli oggetti che
proiettavano quelle stesse ombre. Per Armonia bianca l’artista adotta una posizione
leggermente laterale, centrando il dipinto sulla parte sinistra della facciata e sulla torre di San
Romano: gli edifici adiacenti rafforzano il carattere realistico dell’immagine.
Il monumento gotico, disperso in uno spazio le cui uniche coordinate sono le piccole abitazioni
e il volo di rondini che suggerisce l’altezza vertiginosa della torre, non ha più volume, ma è
ridotto a uno schermo obliquo, un “tessuto” di colori creato dalla luce radente del mattino.
L’inquadratura ravvicinata accentua quest’effetto, ingrandendo l’immagine fino a farle
occupare l’intera superficie del dipinto e riducendola a una visione parziale.
Il pittore adotta una tecnica rapida, fatta di pennellate rapprese, di tocchi di virgole, evita di
sfumare i colori e di mescolarvi il bianco o il nero per schiarirli o scurirli. Le ombre sono rese
non tramite toni neutri, quelli che si otterrebbero dalla mezcolanza, ma giustapponendo e
sovrapponendo spessi tocchi di colore puro, che si influenzano reciprocamente, a un diverso
grado di luminosità rispetto alle parti in pieno sole. Dalla stratificazione dei colori risulta una
matericità, cioè uno spessore materiale del colore sulla tela, che restituisce le vibrazioni date
dalla scabrosita della pietra scolpita. La forma, liberata dal più piccolo residuo di linea di
contorno, è definita dall’incidenza della luce.
Nonostante l’interesse prevalente per gli effetti di luce e di colore, in questo periodo di maturità
il dibattito contemporaneo sulla pittura, orientato da una nuova sensibilità per la composizione
e per l’immagine portatrice di significato, in opposizione al frammento e all’ impressione,
suggerisce a Monet una rinnovata attenzione al soggetto, al contenuto. La cattedrale gotica, con
la sua monumentalità, la sua magnificenza e il suo valore di luogo sacro, conferisce al dipinto
un’intensità mistica inedita nei paesaggi e nelle colazioni sull’erba. La veduta, perfezionata
prima come impressione ottica, diviene ora simbolo di una realtà interiore.

Fonti:
Le basi dell'arte, Dal Neoclassicismo a oggi, Elena Demartini, Chiara Gatti, Lavinia Tonetti,
Elisabetta P. Villa.
Storia dell'arte, L'Ottocento, Gillo Dorfles, Francesco Laurocci, Angela Vettese.
Itinerario nell'arte. Volume 3, Dall'Età dei Lumi ai giorni nostri. Giorgio Cricco, Francesco Di
Teodoro.
Moduli di Arte, Dal Neoclassicismo alle avanguardie, Rielaborazione di testi di Storia dell’arte
italiana a cura di: Clara Calza, Edoardo Varini.
IMPRESSIONISMO

Nel 1870 la Francia proclama la sua Terza Repubblica. Ciò avviene senza un ricambio della
classe dirigente al potere e questo favorisce la progressiva ascesa di una borghesia moderata e
conservatrice che instaura una politica di rigida difesa dei propri interessi di classe.
Nell’ultimo trentennio del secolo Parigi consolida il proprio aspetto borghese e festoso
arricchendosi di teatri, musei, ristoranti, sale da ballo, casinò, e soprattutto di caffè. Ovunque
erano novità e progresso: dalle imponenti stazioni ferroviarie (strutture in acciaio e vetro), fino
ai grandi magazzini e a una delle più efficienti rete di metropolitana del mondo.
E’ in questa grande città che maturano i presupposti per la nascita dell’Impressionismo. Gli
Impressionisti sono figli di quella borghesia imprenditoriale che aveva contribuito al
prodigioso sviluppo economico della Parigi di fine secolo. La borghesia di cultura modesta e
conservatrice era legata alla produzione artistica accademica. (fedeltà pedante, priva di
originalità e fantasia, alle norme e al gusto tradizionali così come venivano insegnati nelle
Accademie). Ed è proprio contro tale accademismo che gli impressionisti si scaglieranno.
In primo luogo esso non è organizzato né preordinato e si costituisce piuttosto per
aggregazione spontanea, senza manifesti o teorie che ne spieghino le tematiche e le finalità.
Giovani artisti che avevano in comune una gran voglia di fare e una forte insofferenza per la
pittura ufficiale del tempo iniziarono a riunirsi nel Café Guerbois, all’inizio era un ritrovo
casuale e saltuario e divenne in breve un appuntamento rigorosamente settimanale.
L’Impressionismo è una corrente artistica eterogenea che privilegia la spontaneità artistica. Si
sviluppò soprattutto nella Francia del nord e in particolare a Parigi durante la belle epoque.
La sostanziale diversità degli Impressionisti risiede nel diverso modo che essi hanno di porsi in
rapporto con la realtà esterna.
Non è più ammesso imprigionare gli spazi della rappresentazione pittorica nella ristretta
visione del reticolo prospettico, ecco dunque spiegata, nei loro dipinti la quasi totale abolizione
della prospettiva geometrica. Alla pittura impressionista manca la solida volumetria del
disegno perché la volontà di bloccare l’attimo fuggente contrasta con le esigenze
rappresentative convenzionali.

Ciò che conta in ogni rappresentazione è dunque l’impressione che un determinato stimolo
esterno suscita nell’artista il quale, partendo dalle proprie sensazioni opera una sintesi
sistematicamente tesa ad eliminare il superfluo per arrivare a cogliere la sostanza delle cose e
delle situazioni, nel continuo tentativo di ricercare l’impressione pura.
Il pittore impressionista rappresenta il soggetto nel suo insieme, come giustapposizione di
varie pennellate di colore puro tendenti a darci l’idea complessiva, più che a descrivercelo
minuziosamente.
Sul piano tecnico questo fine viene perseguito con vari artifici. Innanzi tutto si ha l’abolizione
quasi totale delle linee che contornano gli oggetti definendone i volumi.

Per quello che concerne il colore, gli impressionisti tendono ad abolire i forti contrasti
chiaroscurali e a dissolvere il colore locale (cioè quello proprio dei singoli oggetti) in
giustapposizioni di colori puri. Prendendo spunto dai progressi scientifici che si stavano
compiendo nel campo dell’ottica de dei meccanismi della visione, essi teorizzavano che ogni
colore non esiste di per sé ma in rapporto agli altri colori che ha vicino.
La Luce determina in noi la percezione dei vari colori e l’esperienza quotidiana ci insegna che
ogni colore ci appare più o meno scuro in relazione alla quantità di luce che lo colpisce e alla
presenza o meno di altri colori che ne esaltino o ne smorzino la vivacità.
La pittura impressionista vuol darci conto di questa estrema variabilità dei colori con la
maggior immediatezza possibile, cercando di cogliere l’attimo fuggente, cioè le sensazioni di un
istante, con la precisa consapevolezza che l’istante successivo potrà generare sensazioni del
tutto diverse.
Le pennellate, pertanto, non sono fluide e lungamente studiate come avveniva nei dipinti
accademici, ma date per veloci tocchi, virgolati, per picchiettature, per trattini e per macchiette
con l’uso di pochi colori puri e con la rigorosa esclusione del nero e del bianco che, in effetti,
sono dei non-colori.

L’artista impressionista non rappresenta più la realtà ma le sensazioni che essa gli suscita. E’
per questo motivo che egli deve essere il più rapido possibile nell’esecuzione del dipinto, al fine
di evitare che le condizioni che determinano in lui tali impressioni vengano meno.

Quasi tutti i pittori impressionisti prediligevano dipingere en plein air, cioè all’aria aperta. Gli
Impressionisti rifuggono dagli ateliers, preferendo i boschetti, i fiumi, un boulevard affollato di
gente o, in caso di interni, quelli autentici offerti dalla loro città: un bar, un teatro o un cabaret.
Per questi artisti, la realtà è soggetta a un’evoluzione continua, un continuo divenire.
Partendo da questi presupposti gli Impressionisti cercano nei loro dipinti di rendere il senso
della mobilità di tutte le cose. Ricorrente, a tale riguardo, è il tema dell’acqua che per sua stessa
natura non si acquieta mai e che permette agli artisti di sbizzarrirsi nel riprodurne le mille
possibili increspature di colore.
Ciò avviene con la giustapposizione di colori puri (primari e secondari) che, pur essendo
diversificati sulla tela, si fondono nella rètina del nostro occhio consentendo al cervello di
percepirli come colori omogenei di intensità e brillantezza enormemente superiori a quelle che
avrebbero i corrispondenti colori separati.
Tutti gli Impressionisti imprimono alle proprie opere qualcosa di profondamente personale e
soggettivo, rendendole interessanti non tanto per quello che narravano, che poteva essere
anche banale, ma per come lo narravano, il che avveniva sempre in modo spregiudicato e
personalissimo.
A questa importante maturazione ha contribuito l’invenzione della fotografia. Gli
Impressionisti si sono spesso serviti, per la realizzazione delle loro opere, di molti materiali
fotografici, giacché tale metodo di riproduzione meccanica della realtà li aiutava a cogliere
dettagli e aspetti che l’occhio umano poteva non essere sempre in grado di percepire.
La loro pittura, venuto definitivamente meno l’obbligo di riprodurre la realtà, poteva partire da
dove la fotografia si fermava, testimoniando impressioni e stati d’animo che anche il più
perfetto obiettivo di una fotocamera non avrebbe comunque mai potuto percepire.
La data precisa d’inizio del movimento impressionista è il 15 aprile 1874 quando alcuni giovani
artisti (fra i quali ricorderemo Claude Monet, Edgar Degas, Paul Cézanne, Pierre-Auguste
Renoir) le cui opere erano state ripetutamente rifiutate dalle principali e prestigiose
esposizioni ufficiali (i cosiddetti Salons), decisero di organizzare una mostra alternativa dei loro
lavori e l’unica sede espositiva adatta alle loro tasche fu quella messa a disposizione dal celebre
fotografo Felix Nadar che, tra i primissimi estimatori di quel nuovo modo di dipingere, cedette
loro gratuitamente i locali del proprio rinomato studio.

Fonte: Itinerario nell'arte


G. Cricco F. P. Di Teodoro
ART NOUVEAU

La massificazione della produzione industriale negli ultimi decenni del XIX secolo interessa
tutti i settori: dalla falegnameria alla vetreria, dalla tessitura alla grafica, con il conseguente
sviluppo della cartellonistica pubblicitaria.

L'Art Nouveau è la risposta artistica che la cultura europea, stanca dello storicismo eclettico e
del magniloquente accademismo, da al disagio del proprio tempo. Il termine stesso, che in
francese significa “arte nuova” è di per sé indicativo dello spirito innovatore che il movimento
esprime anche in ambiti non direttamente artistici quali quelli dell'arredamento e della moda.
L'Art Nouveau non è arte d'evasione. Il patrimonio di esperienze maturato da William Morris
con la sua “Arts and Craft Exhibition Society” confluisce in modo diretto all'interno dell'Art
Nouveau. E' così che l'Art Nouveau diventa in breve il gusto d'un'epoca: la belle époque.
Il fenomeno dell'Art Nouveau pur con le naturali differenziazioni dovute alle diverse tradizioni
sociali e politiche di ogni Paese, si diffonde a livello internazionale con caratteri
sostanzialmente omogenei.
In ogni paese d'Europa l'Art Nouveau si sviluppa in modo diverso, al fine di meglio interpretare
quel desiderio di novità che è insito nel suo stesso nome. E anche i nomi cambiano. Art Nouveau
è quello francese, e deriva dall'insegna di un negozio di arredamento d'avanguardia aperto a
Parigi nel 1895.
In Italia prese il nome di Liberty, dalla ditta di arredamenti moderni “Liberty & Liberty
Co.”attiva a Londra fin dal 1875. In Germania l'Art Nouveau si diffuse con il nome di Jugendstil
(stile giovane). In Austria si parlò invece di Sezession (Secessione), dal nome del movimento
artistico d'avanguardia formatosi a Vienna nel 1897. In Belgio si parlò di Stile Horta, dal nome
di Victor Horta, che ne fu il massimo esponente, mentre in Spagna venne adottato l'appellativo
di Arte Joven (arte giovane) o di Modernismo.
Nel arredamento trionfano le forme morbide e sinuose, derivate dalla natura e poi
reinterpretate in chiave decorativa. Nel campo tessile si producono stoffe e tessuti decorati con
motivi straordinariamente complessi e delicati.

Nel campo della grafica e della riproduzione di immagini a colori i progressi dovuti al
perfezionamento delle tecniche litografiche consentono la realizzazione in grande tiratura di
manifesti, locandine, riviste e cartoline illustrate.
A seconda dei vari paesi nei quali si sviluppa, l'architettura art nouveau assume forme e
soluzioni costruttive diverse. La sua costante sta soprattutto nell'uso nuovo e funzionale del
ferro e delle ghise. Sono le strutture stesse a diventare decorazione, attingendo con piena
libertà di rielaborazione, al fantasioso repertorio del mondo animale o vegetale.

La celebre ringhiera in ferro e legno che Horta realizza nel 1894 per la scala principale
dell'Hotel Solvay di Bruxelles ne rappresenta uno dei migliori esempi.
Nella forma espressiva predomina la linea curva, derivata dal mondo vegetale e definita con un
segno agile, flessuoso, vitale e molto decorativo.
La stagione dell'Art Nouveau è forse l'ultimo periodo della storia contemporanea nel quale si
sia assistito al diffuso affermarsi a livello internazionale di una ideologia artistica
sostanzialmente omogenea. Da essa prenderanno l'avvio tutte le successive avanguardie del
Novecento.

Fonte: "Itinerario nell'arte" G. Cricco F.P. Di Teodoro


ART NOUVEAU
Presupposti

Le arti applicate
Gli ultimi decenni del XIX secolo vedono il pieno sviluppo della Seconda Rivoluzione industriale.
Molte attività artigiane morirono per la concorrenza spietata dell'industria, le città si erano
riempite di contadini urbanizzatisi per necessità, richiamati dal miraggio di un lavoro.
L'uomo, l'operaio fu doppiamente deriso. In primo luogo perché fu costretto ad abbandonare
le proprie radici (che affondavano in una secolare cultura contadina), con una conseguente
perdita di identità, in secondo luogo perché il lavoro era massacrante senza il riscontro di un
salario equo o di un'attività gratificante. Il lavoro era ripetitivo e alienante. La produzione
industriale di serie era scadente e priva di ogni pregio.
Si sentiva, negli ambienti artistici la necessità di un cambiamento radicale che riconsiderasse
gli scopi stessi del lavoro operaio e la qualità dei manufatti industriali.
Fu William Morris a fare il gran passo in tale direzione. Fu egli stesso pittore, ma anche
pubblicista, decoratore e grafico.
William Morris riteneva che bisognasse restituire al lavoro operaio quella spiritualità e quel
sentimento che erano stati eliminati dall'uso delle macchine e più in generale da tutto il
processo di industrializzazione dell'Ottocento europeo.
Nel 1861 Morris dette vita alla ditta “Morris, Marshall, Faulckner & Co” che produceva elementi
per l'arredamento e per la decorazione delle abitazioni: dagli oggetti d'uso comune alle vetrate
colorate, dalle carte da parato alle stoffe per rivestimenti, alle tappezzerie, ai ricami.
Nel 1888 Morris fondò la “Arts and Craft Exhibition Society”, un'associazione di arti e mestieri
che si prefiggeva di conciliare la produzione industriale con l'arte, in modo che ogni oggetto,
pur se di serie e di basso costo, avesse un bel disegno e godesse di un certo pregio artistico.
Scopo di William Morris era di consentire ai meno abbienti di acquistare oggetti d'uso comune
di buona qualità e a basso prezzo.

Le illustrazioni della grafica inglese applicata all'editoria della fine del XIX secolo hanno un
elemento in comune: il decorativismo. Esso si manifesta con la linea sinuosa, con la ripetitività
dei motivi, con l'arricciolarsi di tralci di foglie e fiori resi in modo stilizzato.
Aubrey Beardsley si espresse principalmente nella grafica. Tra le sue innumerevoli illustrazioni
spiccano quelle per la Salomè dello scrittore inglese Oscar Wilde, pubblicata nel 1894, in cui
Beardsley creò una coerente unità tra testo e immagine, attraverso una linea serpeggiante che
enfatizza sensualità e ironia.

Tali caratteri pongono il movimento di William Morris e dei suoi seguaci quale presupposto
immediato dell'Art Nouveau.
L'eredità del messaggio sociale di William Morris, che pose l'accento sull'utilità dell'arte nel
progresso sociale, fu accolta da Henry van de Velde, progettista e teorico dell'Art Nouveau. A
differenza di Morris, egli considerava l'impiego delle macchine e delle nuove tecnologie
industriali il solo mezzo per avviare il rinnovamento della moderna società. Van de Velde
prediligeva una decorazione essenziale, legata al dinamismo della linea e soprattutto funzionale
alla struttura e alla forma dell'oggetto.

Le caratteristiche di purezza geometrica delle creazioni dello scozzese Charles Rennie


Mackintosh, che approda a un linguaggio semplice, sono evidente nella Sedia a schienale alto
che con la sua linea retta misurata, allungata e simmetricamente perfetta, costituisce uno degli
archetipi indiscussi del design moderno.

Nei primi anni del Novecento si affermò l'idea dell'unità tra le diverse arti. In molti casi, la
produzione industriale venne applicata al singolo oggetto con intenzionalità estetica, al tempo
stesso, fu proprio nell'ambito dell'Art Nouveau che si diede un nuovo, grande risalto al lavoro
artigianale, affiancato o integrato alla produzione industriale, ed allo sviluppo delle arti
applicate nel settore dell'architettura.
L'esponente di maggior prestigio dell'Art Nouveau americana fu Louis Comfort Tiffany che
studiò pittura e arredamento d'interni a Parigi. Tornato in patria, si dedicò all'arte vetraia,
brevettando alcuni procedimenti di lavorazione. Tra le sue più conosciute creazioni vi sono
lampade, vetrate e vasi floreali soffiati a mano senza stampi.

Fonti: Itinerario nell'arte, G Cricco, F.P. Di Teodoro.


Le Basi dell'arte, E. Demartini, C. Gatti, L. Tonetti, E. P.Villa

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