doltralpe o doltre Oceano, magari sotto diversa firma (di Favretto, per esempio). dunque sulla base di una documentazione carente, forse addirittura inadeguata, che ci accingiamo a rivisitare lopera di No Bordignon. Una delle prime tele di sicura attribuzione La mosca cieca, del 1873, oggi conservata nella sede municipale di Castelfranco Veneto (cm. 71 x 95). La scena, colta en plen air, di ambientazione romanesca, come si deduce dalle cupole sullo sfondo. Sotto un cielo trasparente solcato da nubi leggere come seta, un gruppo di ragazzi - maschi e femmine - giocano a mosca cieca. Sono popolani a piedi scalzi, sommariamente vestiti, colti ciascuno nel trasporto e nella eccitazione del gioco. Da tutta la scena emana una notevole freschezza compositiva e un vivissimo senso del colore. Le figure sono plastiche, i panneggi delle gonne e delle camiciole e, pi ancora, la naturale eleganza dei corpi, la sobria dignit dei volti hanno ancora un che di neoclassico, ma integralmente purgato di ogni enfasi alla Camuccini o alla Pinelli. Mentre Bartolomeo Pinelli aveva trasformato i popolani della Roma ottocentesca in altrettanti eroi antichi, Bordignon li restituisce alla loro franca dimensione quotidiana, ma finisce per scoprire in essi una sorta di classicit inconsapevole, naturale. Si osservi soprattutto la fanciulla in primo piano, al centro della composizione: prodigioso come questa figlia del popolo riesca ad assomigliare a unantica matrona, senza cessare neppure per un attimo di essere una qualsiasi ragazzetta dei sobborghi di Roma, che gioca coi compagni. Ma anche la bambina sulla sinistra - quella con gli occhi bendati, che allunga il braccio destro per cercar di raggiungere i compagni di gioco - colta con felice leggerezza di tocco mentre si protende in avanti, spostando il baricentro del corpo e conferendo a tutta la sena - che altrimenti apparirebbe piuttosto statica - movimento e spensieratezza. Il quadro La mosca cieca stato esposto anche nella mostra di pittura intitolata Ottocento Veneto. Il trionfo del colore organizzata dalla Fondazione Cassamarca a Treviso, presso la storica Ca' dei Carraresi, che si tenuta dal 15 ottobre del 2004 al 27 febbraio del 2005, con un notevole afflusso di pubblico. Ha scritto lo storico dell'arte Paolo Rizzi nel suo bel saggio No Bordignon pittore veneto (18411920), edito a cura della Provincia di Treviso e del Comune di San Zenone degli Ezzelini, Venezia, 1982, p. 12): Bellissima - certo il quadro ad olio pi notevole degli anni Settanta - "La mosca cieca" del municipio di Castelfranco, dettata 1873: una composizione tipicamente classicistica, persino poussiniana, dove per l a luce solare unifica le tinte e le forme del gruppo di ragazzi che giocano, sullo sfondo di un calmo paesaggio romano. Qui Bordignon mostra un'abilit veramente da maestro, soprattutto per la fusione del tono di luce, che anticipa addirittura i pi alti risultati di Ciardi. In realt, esaminando questo e altri quadri pi o meno coevi, si scoprono delle diversit, ma soprattutto si rimpiange l'impossibilit di conoscere altre ( chiss quante) opere degli anni Settanta. Non c' dubbio che gi allora, pur al di fuori completamente dal clima del verismo veneto che far capolino negli anni Ottanta, Bordignon un pittore di vaglia. E tuttavia, una cosa va detta con franchezza: in quest'opera, pur cos notevole, manca un elemento che sar fondamentale per gli esiti successivi della poetica di No Bordignon: il legame con la sua terra d'origine. Cos come Verga non sarebbe diventato il Verga che tutti conosciamo e amiamo se non fosse ritornato, con la novella Nedda, all'ambiente rurale e popolare della sua Sicilia, ma avesse indugiato negli esausti meandri del romanzo erotico-sentimentale di estrazione sociale altoborghese, altrettanto Bordignon non sarebbe diventato il Bordignon che ha prodotto alcune delle opere pittoriche pi interessanti del secondo Ottocento, se non fosse tornato a dipingere la campagna, le case e la gente del suo paese natale.
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Nella sua fase giovanile, Bordignon coltiva intensamente anche la pittura di genere religioso, a nostro avviso con risultati poco felici. Affresca alcune chiese in provincia di Treviso con scene di carattere epico: la Visione di Ezechiele a Pagnano dAsolo e il Giudizio Universale a San Zenone degli Ezzelini, entrambe non senza enfasi melodrammatica; La gloria del vescovo San Nicol a Monfumo e Ges figlio di Dio a Montaner, questultima dallariosa luminosit tiepolesca; La Speranza e La Fede, ancora a San Zenone, di gran lunga lopera meno risolta artisticamente. A partire dal 1880 egli ritorna decisamente ai temi popolari e contadini, pi consoni alla sua sensibilit di uomo e di artista; giovani ragazze, una nonna che estrae la spina dal piede duno scalzo monello, scene di mercato e di vita quotidiana nelle calli di Venezia. Negli ultimi anni si dedica soprattutto al ritratto: di ragazzi, di donne, di curati di campagna, di familiari (Ritratto della figlia Anna, 1916), alternando questo genere con esperimenti simbolisti (Matelda, bozzetto del 1900 circa) e con ritorni al paesaggio rurale, colto sempre amorevolmente e un po malinconicamente (Contadina con tacchino, 1914 circa). Il capolavoro di No Bordignon una grande tela (cm. 155 x 215), oggi conservata presso la Banca Popolare di Castelfranco Veneto, databile verso il 1895: La pappa al fogo . Il quadro viene rifiutato dalla Biennale veneziana, ma allEsposizione di Parigi fu premiato con la medaglia doro (insieme a Interno della Chiesa dei Frari), a riprova della sua indiscutibile validit artistica. Rappresenta un interno rustico, pieno dombre di sapore quasi tizianesco, poverissimo: pavimento di terra battuta, una sedia sfondata, una vecchia cassapanca, un focolare su cui bolle una pentola. Lo animano una madre intenta a cucire, e due bambini. La donna seduta con la compostezza e il dignitoso riserbo di una Vergine laica, porta in capo un velo che le nasconde dolcemente i capelli, e tiene gli occhi bassi sul proprio lavoro. una presenza calda e delicata, un angelo custode della casa, spogliato di ogni orpello retorico. La pennellata precisa ma senza virtuosismo, troppo sincera per poter introdurre alcun commento in una scena che parla da sola. La bimba pi grande sta seduta accanto alla madre e la guarda; la sua piccola personcina ha una dolcezza rinascimentale, pur sotto la ruvida casacca a brandelli che indossa; e intanto il fratellino assaggia avidamente la minestra non ancora pronta, tutto chino sul mestolo, e in penombra. Nessuno dei tre parla, eppure c un colloquio: parlano per loro i silenzi, latteggiamento, la povert estrema dignitosamente vissuta, lamore di cui sono soffusi ogni gesto e ogni oggetto. senza dubbio uno dei quadri pi veri e commoventi del secondo Ottocento veneto, forse italiano. Un quadro cos vale da solo la carriera dun artista, quandanche (e non il nostro caso) fosse la sua unica espressione veramente riuscita. Vi in esso, naturalmente, anche un vigoroso messaggio sociale: e ci che lo rende cos eloquente da imporsi anche al pubblico pi borghese e benpensante il quale non vorrebbe vedere n sapere lestrema miseria in cui vive il popolo proprio il fatto che non vi in esso alcuna ideologia precostituita. La protesta sociale emerge con forza irresistibile dal linguaggio stesso delle cose, senza che lautore lo abbia coscientemente voluto; e ci parla ancor oggi, a quasi un secolo di distanza, con tutta la sua carica eversiva intatta. Pure, il quadro di Bordignon veicola anche un altro messaggio, a noi figli dellopulenta modernit e dello spreco sistematico: il valore della povert religiosamente accettata e dignitosamente vissuta, la priorit dellessere sullavere, limportanza della serenit intima che viene solo da una matura, generosa consapevolezza di un ordine spirituale pi alto, ove trovano armoniosa ricomposizione tutte le apparenti aporie della vita.