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MUSEI CIVICI DI TREVISO

LORENZO LOTTO
UNA RESTITUZIONE

14 dicembre 2010

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In copertina
Lorenzo Lotto, Ritratto di frate domenicano, olio su tela, P 88, Musei Civici di Treviso, dopo
il restauro restitutivo del 2010, foto Antonio Bigolin.

Il restauro dell'opera è stato condotto da Antonio Bigolin con fondi civici.


La direzione scientifica del lavoro è di Gabriella Delfini, ispettore della Soprintendenza
BSAE per la provincia di Treviso, coadiuvata da Maria Elisabetta Gerhardinger
conservatore dei Musei civici di Treviso.
La nuova cornice con protezione in vetro antisfondamento e antiriflesso è stata realizzate
con il contributo di Azienda speciale Palaexpo-Scuderie del Quirinale.

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L'OCCASIONE DI UN RESTAURO

Tra i molti capolavori convocati alle Scuderie del Quirinale il prossimo febbraio per
la mostra, a cura di Giovanni C.F. Villa, su Lorenzo Lotto, che si preannuncia
memoranda, figura anche il Ritratto di frate domenicano, uno dei pezzi più
rappresentativi della Pinacoteca civica fin dal suo ingresso nel 1891 con il legato
Sernagiotto Cerato, l’ultima ed eccezionale collezione, geneticamente lagunare, che
nel corso dell’Ottocento contribuì a dar sostanza e prestigio alla giovane istituzione
trevigiana.
Invitati al gran ballo, non ci si presenta in veste men che scintillante. Ma quello che
era stato dapprima ipotizzato come un intervento poco più che manutentivo,
prevedendo peraltro la sostituzione della cornice e l’applicazione di un vetro
antiriflesso e antisfondamento, si è trasformato nelle sapienti mani di Antonio Bigolin
in un restauro a pieno titolo, dagli esiti inaspettati quanto spettacolari, testimoniati
dalla riconquista dell’originaria spazialità grazie allo squillante tendaggio verde e
dall’emersione di vari tratti peculiari – delle straordinarie mani e non solo – che le
vecchie vernici ossidate avevano provveduto a obliterare.
L’opportunità espositiva – non accade così spesso, ed è anzi prerogativa delle mostre
che davvero lasciano il segno – ha pertanto fecondamente stimolato la ricerca sul
campo e attivato nuovi percorsi di conoscenza, qui testimoniati anche dalla scheda di
Renzo Fontana, che anticipa quella deferita al Catalogo della pinacoteca civica in
corso di realizzazione. E in attesa della rassegna romana la fortunata occasione
permette oggi ai visitatori del Museo di incrociare lo sguardo di Marcantonio
Luciani (l’identificazione con l’economo del convento dei SS. Giovanni e Paolo viene
convincentemente ribadita), riscoperto ancora più intenso e penetrante.

Emilio Lippi - Direttore Biblioteche e Musei Civici

Il restauro del dipinto di Lorenzo Lotto conservato nelle collezioni civiche trevigiane
ha costituito un’interessante esperienza anche per la Soprintendenza BSAE del
Veneto Orientale. Infatti il restauro trevigiano è coinciso anche con la fine del
cantiere del restauro della grande tavola lottesca conservata nella chiesa di Santa
Cristina di Quinto di Treviso, finanziato dal MIBAC. Diversi supporti tela e tavola,
diverse le dimensioni, ma quanto è emerso dalle due esperienze costituisce in assoluto
un nuovo contributo alla conoscenza di questo artista ancora per molti versi
misterioso. Entrambi i dipinti, inoltre, costituiscono un ulteriore tassello per la
conoscenza della storia del restauro che ha visto operare su tanti capolavori della
pittura veneta i più famosi restauratori dell’Otto e del Novecento che si sono
confrontati con tecniche ora tradizionali ora innovative. Il visitatore potrà quindi ora
a breve rivedere e mettere a confronto due opere straordinarie a dimostrare che per
la grande pittura veneta sia ormai inadeguato parlare di capitale o di periferia.

Gabriella Delfini -Ispettore per la Provincia di Treviso Soprintendenza BSAE

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L'OPERA
LORENZO LOTTO (Venezia 1480- Loreto 1556)
Ritratto dell’economo del convento domenicano dei Santi Giovanni e
Paolo di Venezia (Marcantonio Luciani)
Olio su tela, cm 76x67
Iscrizioni: Laurentius Lotus 1526, in basso sotto il piano dello
scrittoio.

Inv. P88
1526
Legato Sernagiotto Cerato per la Pinacoteca Civica, 1891
Restauri: Pelliccioli 1952; Soprintendenza per i Beni Artistici e
Storici del Veneto 1983; Antonio Bigolin 2010 (cfr. infra Relazione
di restauro).

Treviso, che ha visto i folgoranti esordi di Lorenzo Lotto nel primo


decennio del Cinquecento, e poi, nell’ultimo soggiorno dell’artista,
fra 1542 e 1545, le difficoltà e le delusioni di una carriera al
tramonto, non possiede nessuno dei ritratti dipinti in città dall’artista,
a cominciare da quello strepitoso per il vescovo Bernardo de Rossi,
oggi a Capodimonte.
Il Ritratto di domenicano, uno dei capolavori dei Musei Civici e di
tutta la ritrattistica lottesca, pervenne infatti alla pinacoteca solo nel
1891 per legato Sernagiotto Cerato. Prima il quadro era ospitato in
Palazzo Trevisan-Cappello in rio della canonica a Venezia, ed è da
escludere che lo si possa identificare con il “ritratto d’un prete di sua
casa” visto da Ridolfi nella residenza di Agostino Onigo a Treviso1.
La tela misura cm 76x67 ed è firmata e datata Laurentius Lotus 1526
in caratteri corsivi subito sotto il piano dello scrittoio, sul quale sono
sparse monete di vario tipo, tre chiavi, delle candelette e un libro
mastro, i cui fogli, come del resto ogni altro oggetto, sono di
un’evidenza tattile sbalorditiva. Alcuni di questi oggetti ritornano in
opere cronologicamente prossime: un libro di conti compare nel
Ritratto di giovane delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e denari

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sono sparpagliati sul tavolo del Ritratto di Andrea Odoni di Hampton
Court.
Il domenicano, appoggiato allo scrittoio, è sorpreso “nell’attimo che
la penna ha scricchiolato sul foglio”2 e lo sguardo si è alzato dal
registro per volgersi allo spettatore. Il clima sospeso è quello tipico
del Lotto di questi anni (ancora una volta il confronto è con il
Giovane delle Gallerie dell’Accademia, ma anche con quello della
Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano).
Lo spazio alle spalle del frate è interamente occupato da una tenda
verde, un artificio assai utilizzato dagli artisti dell’epoca e anche da
Lotto, che se n’era valso già nelle sue prime opere, e che se ne valeva
ancora proprio negli anni venti in ritratti come quello del Castello
Sforzesco e quello del vescovo Tommaso Negri (Spalato, monastero
delle Paludi). Il volto del frate emerge per contrasto, incorniciato dal
verde del fondale e dal nero del mantello, con le bianche rigonfie e
morbide maniche della veste imbottita a far da contrappunto.
Nel dicembre 1525, dopo un soggiorno durato oltre dieci anni, Lotto
lasciava Bergamo per stabilirsi a Venezia, trovandovi ospitalità nel
convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo. La sua attività si
era svolta fino ad allora tra Treviso, le Marche, Roma e Bergamo.
Fuori Venezia, tuttavia, Lotto aveva già avuto modo di intrecciare
stretti rapporti con i domenicani, per i quali aveva lavorato in più
occasioni, fornendo alcuni dipinti alle chiese dell’ordine; un rapporto
che ora trovava nuove conferme e che sarebbe culminato agli inizi
degli anni quaranta nella pala dell’Elemosina di Sant’Antonino
dipinta proprio per la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo: un percorso
di lunga durata che giustifica la definizione di “Lorenzo Lotto pittore
dei domenicani”3. La scelta di sistemarsi a Venezia fu forse dettata
anche dai vantaggi offerti dalla città, già di per sé floridissimo
mercato artistico e nodo di comunicazioni marittime propizio
all’invio di opere nelle Marche, da tempo destinazione importante
della produzione di Lotto, che infatti di lì a breve vi avrebbe spedito
vari dipinti. Secondo alcuni studiosi, la presenza dell’artista ai Santi
Giovanni e Paolo si spiegherebbe con l’incarico per la pala dell’E-
lemosina di Sant’Antonino destinata alla chiesa domenicana, dipinto

5
che tuttavia Lotto realizzerà solo nel biennio 1540-1542.
In ogni caso nel consilio del 26 gennaio 1526, i frati di San Giovanni
e Paolo deliberavano di assegnare all’artista una stanza nel dormitorio
superiore del convento (“quod Laurentius cognomento Lotto haberet
illam mansionem positam in dormitorio superiori ut posit depin-
giere”)4.Se ne è a ragione dedotto che il ritratto, datato 1526, raffiguri
uno dei frati, gratificato dall’artista riconoscente. Si tratta di una delle
primissime opere (ma con ogni probabilità proprio della prima)
dipinte da Lotto dopo la partenza da Bergamo, come inferisce
Myriam Billanovich chiarendo che l’atto del 26 gennaio 1526 non va
inteso more veneto (e dunque 1527), come hanno creduto alcuni
storici dell’arte, ma proprio 1526, giacché il Liber consiliorum del
convento non segue l’usanza veneziana di principiare l’anno dal 1°
marzo, bensì quella tradizionale che lo fa iniziare il 1° gennaio.
Quanto all’identità del personaggio, Coletti5, seguito da altri studiosi,
pensava potesse trattarsi del frate guardiano del convento. Myriam
Billanovich, in base alla presenza sul tavolo di chiavi, monete e libro
dei conti, vi riconosce convincentemente “il tesoriere, cioè colui che
la terminologia propria del convento chiama bursarius”. L’incarico
durava un anno. Il 1° ottobre 1525 come procancellarius et bursarius
era stato scelto magister Marcus Antonius, al quale in quell’occasione
fu affidata in collaborazione con fra Lorenzo anche la fabricha, vale a
dire le opere edili di volta in volta occorrenti al complesso
conventuale, costituito in primo luogo dalla grande chiesa gotica. Il
personaggio, secondo la Billanovich, è identificabile con maestro
Marco Antonio Luciani, raccoglitore tra l’altro di epigrafi, il quale
due anni dopo, nel 1528, sarebbe diventato priore e che risulta morto
nel 15416.
Lionello Puppi si chiede se nel ritratto non sia invece da riconoscere
fra Marcantonio Rossi, appartenente allo stesso convento, e in contat-
to con il pittore in base a un documento del 1° aprile 1528. In quella
data l’architetto e pittore bolognese Sebastiano Serlio testava a
Venezia in favore del letterato Giulio Camillo Delminio, chiedendo di
essere sepolto in Santi Giovanni e Paolo e disponendo che a celebrare
le esequie fosse appunto Rossi, suo confessore. Lotto fu uno dei due

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testimoni, l’altro era Alessandro Citolini, allievo di Delminio7.
In effetti negli stessi anni e nello stesso convento sono documentati
due diversi religiosi di nome Marco Antonio: uno tuttavia è registrato
come magister, l’altro come semplice frater. Poiché Marco Antonio
Luciani era magister, Billanovich ne deduce che sia lui l’economo
eletto nel consilio del 1° ottobre 1525 e che di conseguenza in lui sia
da riconoscere il personaggio del ritratto. Presenziò anche al consilio
del 26 gennaio 1526 durante il quale si votò l’assegnazione a Lotto
della stanza “ut posit depingiere”. L’attività di epigrafista di Luciani,
resa nota da Cicogna, è documentata da una copia della sua raccolta
conservata nel Museo Correr di Venezia.
Quello di Treviso non è l’unico ritratto di domenicano dipinto da
Lotto. Solo negli anni quaranta, come testimonia il Libro di spese,
egli ritrasse infatti altri tre frati di quell’ordine: fra Lorenzo da
Bergamo, raffigurato in veste di san Tommaso d’Aquino (1542), fra
Zuan Andrea (1548) e fra Angelo Ferretti (1549), entrambi ritratti in
veste di san Pietro Martire, uno dei quali certamente identificabile nel
quadro del Fogg Art Museum di Cambridge8, senza contare che anche
i due chierici nella pala di Sant’Antonino sono con ogni probabilità
ritratti di frati dei Santi Giovanni e Paolo, e che altrettanto
verosimilmente effigi di frati in veste di santi domenicani si celano
nella pala della Madonna del rosario di Cingoli.
Il sapiente restauro della tela trevigiana dovuto ad Antonio Bigolin ha
rivelato un cromatismo insospettato, soprattutto nella tenda di un
verde brillante, percorsa da sciabolate di luce che assecondano le
pieghe e disegnano una serie di diagonali: quella centrale attraversa il
volto del frate per continuare lungo il braccio sinistro e terminare
nella stupenda mano, resa con straordinario realismo: è una mano
infreddolita, come rivela il dorso arrossato; un dato, questo, che
indica la stagione e il tempo del ritratto, l’inverno. Lo confermano i
ciuffi scuri della pelliccia che spuntano dalla manica imbottita,
confortando anche per questa via una datazione al gennaio-febbraio
1526, giusto in concomitanza con l’inizio del soggiorno dell’artista
tra le mura del convento veneziano.

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Se le indimenticabili mani del frate “non trovano riscontro nella
pittura contemporanea [e] bisognerebbe procedere avanti di un
secolo”9, altrettanta verità si scopre nel volto, di un pallore livido che
lascia trasparire l’azzurro delle vene sulla fronte e sulle tempie, cui fa
da contrappunto il grigio metallico dello sguardo, che tradisce una
sottile mestizia, non rara nei ritratti di quel gran melanconico che fu
Lotto.
Renzo Fontana

Carlo Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, ovvero le vite degli illustri pittori veneti e dello stato
(1648), edizione a cura di Detlev Freiherr von Hadeln, Berlin 1914-1924, p. 144; Bernard
Berenson, Lotto, 1990, p. 128.
2
Terisio Pignatti, Lorenzo Lotto, Verona 1953, p. 120.
3
Pietro Zampetti, Lorenzo Lotto pittore dei Domenicani, in “Fede e Arte”, aprile-giugno, 1961,
p. 131.
4
Archivio di Stato di Venezia, SS. Giovanni e Paolo, b. 11, Consiliorum liber, reg. II, f. 9v;
Gustavo Frizzoni, Lorenzo Lotto pittore. A proposito di una nuova pubblicazione, in “Archivio
Storico dell’Arte”, 2, 1896, pp. 219-220; Myriam Billanovich, Coi domenicani dei SS. Giovanni
e Paolo. Dal Colonna al Lotto, in “Italia medioevale e umanistica”, 9, 1966, pp. 458-459;
Francesca Cortesi Bosco, Il coro intarsiato di Lotto e Capoferri per Santa Maria Maggiore in
Bergamo, Bergamo 1987, p. 158.
5
Luigi Coletti, La Pinacoteca comunale di Treviso e il suo riordinamento, in “Bollettino d'arte
del Ministero della Pubblica Istruzione”, s. II, VI, fasc. X, aprile, 1927, pp. 475-476.
6
Maria Teresa Casella, Giovanni Pozzi, Francesco Colonna. Biografia e opere, I, Padova 1959,
p. 144.
7
Lionello Puppi, Riflessioni su temi e problemi della ritrattistica del Lotto, in Lorenzo Lotto, atti
del convegno internazionale di studi per il V centenario della nascita (Asolo, 18-21 settembre
1980), a cura di Pietro Zampetti e Vittorio Sgarbi, Treviso 1981, pp. 394-395.
8
Lorenzo Lotto, Il “Libro di spese diverse” con aggiunta di lettere e d’altri documenti, a cura di
Pietro Zampetti, Venezia-Roma, 1969, pp. 12, 13 120, 196, 197, 254; i primi due frati erano del
convento dei Santi Giovanni e Paolo, mentre il terzo era di quello di San Domenico di Ancona.
9
Pignatti, cit., p. 120.

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Prima del restauro

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RELAZIONE TECNICA DI RESTAURO

STATO DI CONSERVAZIONE

L’opera prima dell’intervento odierno si presentava in ottime


condizioni, poiché la materia pittorica e gli strati preparatori erano
privi di sollevamenti con una buona adesione al supporto originale,
grazie alla tela di foderatura applicata sul retro che svolge ancora in
modo adeguato la sua funzione di sostegno e alla corretta tensione
delle tele al telaio ligneo perimetrale applicato sempre nel vecchio
restauro.
Quest’ultimo è stato eseguito nel 1952 da Mauro Pellicioli, il quale ha
dovuto eseguire la foderatura del supporto per risarcire dei
sollevamenti degli strati preparatori e policromi, una piccola
lacerazione sul gomito destro del domenicano e delle cadute del
colore localizzate prevalentemente lungo i margini. In questo vecchio
intervento il Pellicioli eseguì anche la pulitura della superficie dipinta,
la stuccatura delle lacune, la reintegrazione pittorica e la verniciatura
di protezione.
Con il passare del tempo i restauri pittorici e la vernice subirono
un’alterazione piuttosto marcata, creando una patina scura che non
consentiva una corretta lettura dell’opera. La vernice sovrammessa,
infatti, appariva particolarmente imbrunita e ossidata tanto da far
ritenere che il Pelliccioli vi avesse mescolato insieme del colore per
ottenere una tonalità calda e dorata, allo scopo di ammorbidire e
attenuare i toni di colore originari.
A un’attenta osservazione s’intuiva che il fondo scuro forse non era
originale, poiché si percepiva che al di sotto vi era una stesura verde
con le sue variazioni cromatiche a suggerire un tendaggio realizzato
dal Lotto stesso. Con questa velatura scura e la vernice colorata il
restauratore ha voluto dare all’opera un aspetto meno vivace, più
simile alla condizione estetica in cui si trovava prima del suo
intervento.
Vi si riscontravano anche altri restauri pittorici, eseguiti sempre dal

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Pelliccioli, localizzati in corrispondenza delle lacune e delle abrasioni
del colore leggermente virati nelle tonalità.
La superficie dipinta, inoltre, si presentava leggermente offuscata da
una leggera patina grigiastra dovuta all’accumulo di particellato
atmosferico.

TECNICA DI ESECUZIONE

Lorenzo Lotto ha dipinto l’opera utilizzando come supporto una tela


di lino ad armatura detta “tela” preparata con una stesura di gesso e
colla per coprire la trama della tela e conferire alla superficie un
aspetto levigato più idoneo ad accogliere le stesure pittoriche.
Su tutta la superficie di questo strato preparatorio ha poi applicato una
prima imprimitura di colore uniforme dalla tonalità rosata, secondo
una metodologia in uso all’epoca, che serviva a isolare la
preparazione evitando l’assorbimento del legante a olio delle
successive campiture di colore che dovevano rimanere brillanti.
L’imprimitura è evidente nelle zone dove il colore originale è stato
abraso da vecchie puliture, e a un’osservazione a luce radente
dell’opera risulta, specie sul volto del domenicano, eseguita con
pennellate in rilievo.
Questa prima stesura, inoltre, era particolarmente utile all’artista
anche per creare un substrato colorato, evitando così l’affiorare del
bianco di preparazione, soprattutto nelle campiture scure applicate in
seguito per velature sovrapposte, ottenendo particolari trasparenze e
profondità nelle stesure pittoriche.
È possibile che il Lotto abbia eseguito un disegno preparatorio lineare
e sintetico tracciato con un colore nero che traspare in corrispondenza
della narice e sotto i capelli, forse un inchiostro ferrogallico ritrovato
anche nella pala di Santa Cristina di Quinto in un campione di colore
analizzato durante il recente restauro condotto da chi scrive.
Particolarmente espressiva è la resa del volto e delle mani, ottenuti
con una prima campitura uniforme color incarnato molto sottile, quasi
a velatura, sfruttando in parte il rosa di base dell’imprimitura.

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Di seguito ha disegnato con un colore nero le vene che si diramano
sul volto e sulla mano sinistra, velando poi tutto con un color carne
più chiaro in grado di attenuare così anche il nero delle vene.
L’effetto appare straordinario poiché le vene non sono realizzate a
rilievo con le stesure pittoriche superficiali, ma sono sotto la pelle
stessa, in maniera tanto realistica da sembrare che vi scorra il sangue
del personaggio rappresentato.
Il Lotto definisce quindi le parti in ombra con pennellate dal tono
caldo, velando le zone più scure con un colore brunastro mantenendo
sempre le trasparenze, rilevando poi i particolari degli occhi, del naso
e della bocca con sottili tratti di colore più scuro composto
prevalentemente da lacca rossa e nero.
Le parti più in luce sono realizzate alla fine con del bianco coprente,
ma sfumato con le campiture sottostanti, mentre sul naso e, in
particolare, sulla fronte i punti di massima luminosità sono ottenuti
con un bianco puro e denso di materia.
La barba e i baffi sono accennati con una leggera velatura di tonalità
grigiastra, evidenziando poi la rada peluria con sottili tratti di colore
nero.

METODOLOGIA DI INTERVENTO

L’intervento di restauro è stato particolarmente rilevante poiché ha


riportato in luce un’opera totalmente alterata da una vernice ingiallita
e ossidata e, soprattutto, da una patina scura che occultava
sostanzialmente la lettura dei reali e originari valori cromatici ed
estetici.Visto il buono stato di conservazione del dipinto, quindi, il
restauro era finalizzato essenzialmente al suo recupero estetico,
eliminando, con la pulitura della superficie pittorica, tutti gli strati
sovrammessi nel precedente intervento del Pellicioli.
La pulitura è stata eseguita rimuovendo con una blanda miscela
solvente prima di tutto la vernice alterata e ossidata composta di una
resina naturale, non particolarmente tenace data la sua recente stesura,
che risultava leggermente colorata con dei pigmenti allo scopo di
creare una patina dorata che doveva conferire inizialmente una certa

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morbidezza alla superficie dipinta.
Con la rimozione della vernice alterata è emersa una patina scura che
copriva e occultava soprattutto la tenda verde, forse applicata dallo
stesso Pellicioli, o forse stesa in un precedente restauro e che lui
stesso decise di non asportare per qualche motivo di cui non siamo a
conoscenza. Certamente, di tutte le operazioni di restauro da me
eseguite sull’opera, la rimozione della patina scura è stata la fase più
rilevante e coinvolgente poiché alle prime prove di pulitura emergeva
il verde della tenda ancora in buone condizioni e di una straordinaria
intensità cromatica: la tenda, eseguita probabilmente con un colore
verderame di base, le sue ombre scure, le pieghe del tessuto
accentuate con un colore nero e i punti di luce rilevati con tocchi di
giallo chiaro. Sono stati rimossi anche i vecchi restauri pittorici in
parte alterati eseguiti per risarcire cromaticamente le lacune, ma che
avevano anche modificato le venature del legno nelle specchiature del
mobile e coperto parzialmente il saio nero del domenicano appiattito
su una tonalità uniforme. Si è ritrovata così una nuova lettura
dell’opera dove la figura del domenicano recupera l’originaria
spazialità creata dalle pieghe dall’andamento obliquo della tenda
verde che suggeriscono delle linee prospettiche, dalla sua ombra
proiettata sulla tenda stessa e dal braccio destro con il gomito
illuminato dalla luce che si proietta in avanti. Per la pulitura della
patina scura e dei restauri pittorici è stato necessario impiegare una
miscela solvente diversa rispetto a quella utilizzata per asportare la
vecchia vernice, procedendo inizialmente con dei test in vari punti
della superficie dipinta per stabilire il giusto grado di solubilità degli
strati da rimuovere, senza compromettere minimamente il tessuto
pittorico originale. Dopo aver steso una vernice trasparente su tutto il
dipinto si è proceduto con la stuccatura delle lacune con del gesso e
colla e al restauro pittorico utilizzando dei pigmenti ad acquarello e a
vernice, integrando le stuccature con la tecnica del rigatino verticale,
mentre le piccole cadute di colore e le abrasioni superficiali sono state
trattate localmente con le tecniche del puntinato o della velatura.
L’intervento di restauro è terminato con la protezione del dipinto
mediante nebulizzazione di una vernice trasparente in modo da

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ottenere un’uniformità e un’omogeneità di saturazione e riflessione
della superficie dipinta.
D’accordo con la direzione scientifica si è deciso di sostituire la
vecchia cornice di inizi novecento, in cattive condizioni conservative
con una nuova, in legno intagliato e dorato in foglia d'oro, dotata di
adeguata protezione antisfondamento e antiriflesso, basandosi su
modelli di epoca prossima all'esecuzione del dipinto stesso, in modo
da migliorarne le condizione espositive e offrire all’opera una
migliore inquadratura e percezione del campo.

Antonio Bigolin

Prima fase di pulitura Seconda fase di pulitura

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Fase di stuccatura delle lacune Lacerazione sul braccio destro

Incarnato con le vene Nuova cornice dorata

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Città di Treviso
Musei civici di Treviso
Sede di Santa Caterina
0422 658442
www.muesecivicitreviso.it
info@museicivicitreviso.it

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