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Copie E Copisti
Enciclopedia dell' Arte Antica - stampa
di C. Gasparri
COPIE e COPISTI (ν. vol. Il, p. 804). - Il fenomeno della riproduzione consapevole di una
invenzione figurativa più antica, nella pittura come nella scultura, nella toreutica o
nell'architettura, è presente, con varia intensità e ampiezza di diffusione, sia nella cultura
artistica greca che in quella romana: in alcuni casi, come nella toreutica e nella
bronzistica, è favorito dagli stessi meccanismi tecnici del processo produttivo; in altri,
come nell'architettura, da intenti rievocativi o necessità cultuali; in altri ancora, come
nelle creazioni della scultura e della pittura, da consuetudini devozionali e cultuali, o,
assai più spesso, dalle richieste di un vero e proprio mercato d'arte.
In quest'ultimo senso il fenomeno assume particolare rilevanza in età romana, in funzione
della decorazione pittorica o musiva degli interni, e, soprattutto, dell'arredo scultoreo di
complessi architettonici pubblici o residenziali. Su quest'ultimo aspetto, quello della
riproduzione seriale di creazioni della plastica greca, si è in particolare soffermato
l'interesse della ricerca archeologica ancora negli ultimi decenni.
Dal 1929, quando la Typenforschung ebbe una sua limpida e, per il momento, funzionale
definizione da parte del Lippold, la ricerca nel campo della produzione scultorea di età
romana volta alla riproduzione della grande plastica greca ha registrato notevoli progressi
nel senso di un affinamento metodologico, come nell'indagine dei progressi tecnici, dei
criteri di articolazione cronologica, dei centri produttivi, dei nessi programmatici e dei
condizionamenti della committenza che investono il fenomeno.
Da un punto di vista metodologico si è innanzi tutto cercato di arricchire la terminologia
da tempo entrata nell'uso per definire la varia casistica offerta dalla produzione di copie in
età romana, precisandone gli spazi e le modalità di applicazione. In ciò ha soprattutto
influito l'esigenza, sempre più decisamente avvertita, di recuperare a una consapevole
indagine storica quegli ampi settori della produzione scultorea che, distaccandosi dalla
supina riproduzione dell'immanente insegnamento della plastica greca, cadeva al di fuori
dei confini propri della Typenforschung e alla quale veniva quindi a essere negato un
intrinseco motivo di interesse.
Così, accanto ai termini di «copia» (Kopie), nel senso di riproduzione intenzionale e fedele
di un originale scultoreo, inteso quindi come «modello» (Vorbild)·, di «repliche»
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Riace (v.), non abbiano ancora trovato una interpretazione univoca, né sul piano formale
come neppure su quello esegetico, mentre lo sforzo di ricollegarli alla tradizione copistica
nota non ha dato sinora risultati unanimemente accettati.
Si profila pertanto la necessità di una revisione dei metodi d'indagine della copistica di età
romana e di una sua preliminare comprensione come fenomeno artistico autonomo, in
primo luogo anzi come semplice fenomeno produttivo. È evidente che solo al termine di
un lungo e complesso lavoro di articolazione cronologica del materiale, di individuazione
dei centri e delle botteghe impegnate nel processo, di analisi dei repertori iconografici da
queste utilizzati e dei procedimenti tecnici adottati nella duplicazione e nella diffusione
dei modelli, di riflessione sulle esigenze e le motivazioni della committenza, sarà possibile
riaffrontare su più solide basi il quesito del rapporto tra i tipi individuati e i rispettivi
modelli, quindi del significato e della identità di questi ultimi.
A questo scopo la ricerca si sta muovendo già lungo filoni complementari, analizzando
materiali e tecniche di lavorazione, cercando di definire criteri cronologici oggettivi,
tentando di ricomporre complessi decorativi e analizzarne le implicazioni
programmatiche, proponendo la ricostruzione di centri o botteghe, individuati con
metodo attribuzionistico o mediante più solidi dati epigrafici, di materiale, o di
provenienza.
Materiali. - Un'attenzione crescente è stata rivolta all'impiego dei materiali usati, come
possibile elemento utile a identificare le consuetudini tecniche di una bottega e a
circoscriverne gli spazi di intervento. In questo senso di più immediata utilità si è rivelato
lo studio delle produzioni in marmo colorato.
Una definizione preliminare ha avuto il gruppo delle sculture in basalto (scisto verde del
Wādī Ḥammamat; diabase), opera di artigiani che mutuano la scelta del materiale e le
tecniche di lavorazione da una tradizione risalente all'età faraonica, ponendosi ora al
servizio della clientela romana e adottando nuovi modelli. Questi sono all'inizio
principalmente desunti dalla plastica greca del V sec. a.C., con l'aggiunta, in età flavia, di
prototipi di ambiente ellenistico (Eracle e Dioniso di Parma); i termini cronologici, offerti
per ora dalla serie ritrattistica creata nell'ambito delle medesime botteghe, sono compresi
tra l'età augustea e quella di Adriano. Il fatto che la produzione di ritratti sia riservata ai
tipi imperiali (con la sola eccezione del c.d. Scipione) pone il problema, così come nel caso
del porfido, di un possibile controllo imperiale sulle cave del materiale, sulla sua
lavorazione e sulla utilizzazione dei prodotti finiti.
Nel momento in cui si esaurisce la produzione delle repliche in basalto, a partire quindi
dall'età adrianea, sembra affermarsi una produzione di sculture in marmo, ugualmente
nero, ma di diversa provenienza (c.d. bigio morato) e dipendente anche da un diverso
orizzonte formale, quello della plastica ellenistica di ambiente rodio o microasiatico.
Esempi appariscenti di questo filone sono i Centauri da Villa Adriana, firmati da artisti di
Afrodisiade; le quattro statue (Asclepio, Zeus, Satiro che si guarda la coda, un Atleta)
dalla villa imperiale di Anzio, pertinenti probabilmente alla sua ristrutturazione intorno
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alla metà del II sec. d.C. A partire dall'età adrianea e fino ai primi decenni del III sec. d.C.
sono realizzate in questo marmo, come anche in una qualità scadente di pietra basaltica
(Niobidi di Villa Adriana)^ repliche da tipi ellenistici di Fortuna o Vittorie. Caratteristico
di quest'ultimo gruppo di sculture è l'impiego del marmo bianco per le parti nude; la
stessa tecnica mista compare, significativamente, in sculture di orizzonte microasiatico
(una Danzatrice a Side; un gruppo di Ifigenia e la cerva a Samo) e ad Afrodisiade stessa.
Il marmo rosso del Tenaro, il c.d. rosso antico, è utilizzato, forse in un numero ristretto di
officine, per produrre sculture decorative, rilievi e copie di soggetti principalmente
collegati con tematiche dionisiache e con creazioni di età ellenistica; l'affinità tecnica e
formale di alcuni dei prodotti migliori, come p.es. il Fauno rosso del Museo Capitolino,
con le sculture firmate da Aristeas e Papias, pone il problema di un eventuale rapporto di
questo filone con l'attività degli scultori di Afrodisiade. Nessun rilevante esemplare
scultoreo di questa produzione è stato sinora datato con sicurezza in età anteriore a quella
adrianea.
In ambedue i casi, sia quello delle sculture in bigio morato, sia quello delle sculture in
rosso antico, i prodotti migliori provengono da complessi di pertinenza imperiale,
lasciando intravedere un collegamento preferenziale, se non esclusivo, con quésto tipo di
committenza.
A partire dall'età augustea (Barbari dall'attico della Basilica Emilia) il marmo frigio, o
pavonazzetto, viene utilizzato per una caratteristica serie di soggetti, collegati da un punto
di vista tematico o formale con l'ambiente orientale: figure di Barbari prigionieri,
Ganimede (dalla villa di Sperlonga), oltre al Marsia del tipo rosso. Il tipo del Barbaro
prigioniero (una «Neuschöpfung» romana) trova la sua più clamorosa e forse ultima
utilizzazione nel complesso del foro traianeo; il rinvenimento di una replica non finita
nelle cave stesse pone il problema della localizzazione del centro primario di produzione;
a Roma potevano essere eseguiti i completamenti in marmo bianco per le parti nude del
corpo e la finitura del pezzo. Poco più tardi il marmo frigio è ancora scelto per i gruppi di
Scilla di Villa Adriana, con risultati virtuosistici analoghi a quelli del Marsia.
La difficoltà di una immediata individuazione della provenienza del materiale in presenza
di marmi bianchi ha reso più difficile l'utilizzazione di tale dato nella maggior parte dei
casi offerti dalla produzione copistica. Solo in tempi recenti si sono avviati progetti
sistematici di analisi isotopiche e microcristalline dei marmi bianchi, e la scarsità dei dati,
insieme ai problemi connessi con la loro valutazione, rende ancora prematura una sintesi
in questo settore. A qualche più affidabile situazione specifica si farà cenno più oltre.
Tecnica. - Il rinvenimento, di eccezionale importanza per la comprensione dei processi
produttivi delle copie in età romana, di circa quattrocento frammenti di calchi in gesso,
scaricati in un ambiente sotterraneo del complesso residenziale di Baia e provenienti da
un atelier operante nelle immediate vicinanze e in stretto collegamento con il complesso
stesso, ha permesso di verificare una serie di dati relativi alla esecuzione materiale delle
sculture stesse.
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Appare chiaro come all'origine delle repliche più fedeli è il calco direttamente tratto
dall'originale, in questo caso quindi da intendersi in bronzo. I calchi di Baia rivelano gli
accorgimenti necessari per la protezione della scultura, al momento dell'esecuzione della
matrice: smontaggio delle parti applicate, più difficili da riprodurre; protezione con cera o
pece degli elementi più fragili (le ciglia); riempitivi nelle cavità (delle mani, del panneggio,
sotto i piedi, ecc.) per semplificare l'estrazione della matrice. Alcuni di questi accorgimenti
condizionano l'esecuzione di parti secondarie della replica in marmo. I calchi erano
eseguiti in pezzi smontabili, per facilitarne il trasporto e la conservazione; al momento del
bisogno potevano essere tratti dal magazzino e rimontati nella bottega per il meccanico
trasferimento delle misure sul marmo. Il confronto diretto dei calchi con alcune repliche
in marmo ha permesso di riscontrare un aumento dei volumi, in particolare degli arti
inferiori, nelle immagini nude. Se questa caratteristica dovesse dimostrarsi elemento
costante nella riproduzione in marmo, dovrebbe essere in parte corretta l'immagine della
formulazione del nudo finora supposta per gli originali in bronzo.
Si comprende quindi come il possesso di un calco primario costituisca, per la bottega, una
garanzia di qualità; possesso che si può supporre in qualche caso, o almeno in una fase
iniziale, esclusivo, e quindi elemento di vantaggio da un punto di vista concorrenziale.
Una copia marmorea di cattiva qualità, debole e imprecisa nella resa dei particolari, è
probabilmente tale in quanto derivante da un calco cattivo, invecchiato, o addirittura da
un calco secondario, derivato p.es. a sua volta da una copia in marmo. La possibilità che
un calco circoli, entro determinati ambiti, spiega la frequenza di certi soggetti in aree
collegate, anche se talvolta distanti.
Una interessante serie di sculture in terracotta, probabilmente databili verso l'età
augustea, rinvenute in stato frammentario in un ambiente della Domus Transitoria,
costituisce una rara testimonianza di una coroplastica copistica della quale si avevano
finora scarsi esempi (p.es. la copia del grande rilievo di Eleusi al Museo Nazionale
Romano; il Polifemo da Cesarano Romano?). Le sculture sono ricollegabili forse ai
proplàsmata ricordati dalle fonti a proposito di Arkesilaos; l'atteggiamento imitativo, più
che copistico in senso stretto, richiama modi attribuiti alla bottega di Pasiteles.
Per ciò che concerne la materiale esecuzione delle repliche in marmo, una speciale
attenzione è stata dedicata allo studio di esemplari non finiti, analizzando fasi di
lavorazione e strumenti impiegati. In particolare si è cercato di definire il significato e le
modalità d'uso del trapano c.d. corrente, dato che la sua presenza, peraltro ricorrente in
epoche diverse e con modi peculiari, è spesso utilizzata come determinante elemento di
valutazione cronologica. Indagini recenti hanno permesso di stabilire che la sua
applicazione risponde a esigenze di natura formale, più che di semplificazione del
processo lavorativo stesso.
Cronologia. - Sforzi notevoli sono stati fatti per definire dei criteri oggettivi utili a
determinare la cronologia delle repliche di età romana. Un settore della ricerca si è
impegnato nell'analisi e nel confronto di filoni omogenei della copistica, analizzando le
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repliche di singoli tipi o gruppi affini di tipi. Un risultato notevole scaturito da questo tipo
di indagine è stato quello di determinare, in alcuni casi, il momento iniziale della
riproduzione di un dato modello: così, p.es., almeno allo stato attuale delle conoscenze,
l'Apollo di Kassel non risulta copiato prima dell'età adrianea, e ciò vale anche per altri tipi,
come p.es. l'Afrodite «Sosandra», la Hestia Giustiniani, ecc. Ciò permette di stabilire il
momento in cui per la prima volta viene richiesta - o diviene possibile - l'esecuzione del
calco di una determinata scultura, così da poter impostare una riflessione sulle esigenze e
le motivazioni della committenza nel corrispondente periodo.
Il carattere peraltro ancora ampiamente soggettivo di datazioni basate su una valutazione
puramente stilistica, reso evidente da esiti talvolta in stridente contrasto, ha spinto alla
ricerca di criteri di analisi più oggettivi. Un sostegno è stato cercato nel confronto delle
repliche di sculture ideali con la produzione ritrattistica, nella assunzione che botteghe, in
realtà spesso distinte, impegnate nei due settori avessero in uno stesso momento
atteggiamenti comuni nella formulazione di singoli elementi della figura (capigliatura,
occhi, ecc.).
Elementi in questo senso più affidabili sono offerti dalle statue-ritratto che utilizzano per
il corpo tipi statuari ideali, anche se la lavorazione in taluni casi separata della testa lascia
intravedere una specializzazione, e una ripartizione di competenze anche all'interno di
una medesima bottega. Nel confronto di prodotti della ritrattistica con quelli della
copistica, o all'interno di questa stessa, va comunque tenuto ben conto della varietà di
aree, di centri e di botteghe impegnati in questo settore, e delle diverse tradizioni tecniche
e formali che caratterizzano, p.es., i prodotti urbani, diversamente da quelli di
provenienza greca, attica in particolare, o microasiatica, o di ambito più marcatamente
provinciale (Africa settentrionale, Spagna, ecc.), tali da rendere non significativi meccanici
raffronti tra materiali disomogenei.
Più affidabili sembrano i dati ricavati da un altro orizzonte della ricerca, quello impegnato
nella ricostruzione dei complessi decorativi riferibili a contesti architettonici e
monumentali storicamente documentati e omogenei. In questo senso le ricerche sugli
apparati decorativi degli edifici termali, o teatrali, o delle ville di età romana permettono
di avviare su basi più solide una riflessione sulla cronologia, oltre che sulla identità delle
diverse botteghe fornitrici di copie, e sui nessi programmatici che collegano queste
sculture nella loro destinazione espositiva finale. Se infatti per complessi architettonici più
tardi, come p.es., a Roma, i complessi termali di Caracalla o di Diocleziano, è necessario
tenere in conto la possibilità di un reimpiego di sculture già vecchie, per contesti databili
tra il I sec. a.C. e il II d.C., nel periodo cioè di maggiore dinamismo della produzione,
l'analisi delle provenienze offre dati preziosi: si pensi solo al complesso delle sculture della
villa di Sperlonga, o di quella di Domiziano, o di Adriano.
Gli inizi. - Il primo manifestarsi di un'attività di riproduzione di modelli più antichi - e
quindi ben diversa dalla creazione di «Werkstattkopien » - è stato da tempo individuato
in ambiente pergameno. La replica dell’Athena Parthènos e le altre statue collocate nel
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ancora con grande difficoltà, sembra volgere lo sguardo a questo stesso repertorio, con
una più libera contaminazione di prototipi cronologicamente distanti. Il ciclo decorativo
del Teatro di Pompeo, in piccola parte ricostruito, mostra invece un rifarsi a modelli di
ambiente asiatico, in consonanza con quanto è noto dalle fonti per il personaggio, senza
peraltro che si possa parlare, anche in questo caso, di riproduzioni o copie. Modelli del
repertorio microasiatico e attico, sia di soggetto ideale o della ritrattistica, formalmente
distribuibili lungo un arco cronologico che va dall'età arcaica a quella ellenistica,
compaiono nel ciclo decorativo della Villa dei Papiri di Ercolano, che si costituisce a
partire dagli anni finali della repubblica sino a quelli iniziali del secolo successivo.
Questo quadro assumerà contorni più definiti solo sotto Augusto, con lo stabilirsi di un
indirizzo di politica artistica a livello ufficiale, tale da condizionare anche ampiamente le
scelte del privato; questo indirizzo sarà decisamente orientato verso l'orizzonte culturale
attico.
Botteghe e centri di produzione in età romana. - Allo stato attuale della ricerca,
un'indagine sulla copistica di età romana non sembra poter prescindere da un preliminare
sforzo di definizione dei singoli centri e ateliers attivi nel settore, e della cronologia
interna della loro produzione. In questo sforzo, ancora agli inizi, sono stati tuttavia
raggiunti alcuni punti fermi che consentono di tracciare un bilancio, certamente solo
preliminare e ampiamente provvisorio, dei dati disponibili. Si cercherà qui di seguito di
porre in evidenza gli elementi di novità rispetto a un quadro già noto nelle grandi linee.
Certamente nella diffusione di modelli della plastica greca presso la società romana un
ruolo determinante, se non altro nel momento iniziale, deve essere stato svolto da Atene,
parallelamente alla vasta produzione dei materiali d'arredo e decorativi del settore c.d.
neoattico. La quantità di firme di personaggi che si caratterizzano come athenàios, se pure
non presuppone sempre una materiale collocazione della loro officina in Atene, è prova
della incidenza di questo centro nel fenomeno della commercializzazione del patrimonio
formale greco.
La scarsità di materiale scultoreo di età romana edito, di rinvenimento ateniese, è peraltro
di ostacolo alla individuazione del settore, certamente assai più ampio e rilevante, avviato
alla esportazione. Il criterio della qualità del marmo usato non appare più determinante
per riconoscere un prodotto attico, dato che il pentelico, impiegato in quantità massicce a
Roma nel settore architettonico in determinati periodi, appare chiaramente anche
esportato e lavorato in Italia per sculture da officine collegate con il mercato ateniese.
Alcuni complessi di sculture, provenienti da contesti monumentali dell'Atene romana
(Odèion di Agrippa, Teatro di Dioniso, Stadio Panatenaico) permettono di cogliere modi
caratteristici delle officine attiche nei diversi periodi. In ogni caso, la massiccia insistenza
su prototipi derivanti dall'orizzonte formale della cerchia fidiaca e della tradizione attica
della seconda metà del V e del IV sec. a.C. nella produzione di età augustea e giulio-
claudia dimostra l'incidenza in questo momento di Atene nella fornitura del prodotto
artistico, in stretto collegamento con le scelte programmatiche e il profilo culturale della
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committenza dell'epoca. Ancora in età adrianea o nella prima età antonina si intravede in
Atene una produzione vivace, anche se va notata la qualità non eccelsa di molti dei
prodotti di questo periodo, talvolta apparentemente collocati in opera ancora non finiti
(testa di Athena dalla Pnice, dell’Apollo di Kassel dall'Olympièion, erme dallo Stadio,
ecc.).
In seguito, nel mutare delle scelte figurative e nel moltiplicarsi dei centri di produzione,
Atene sembra conservare una esclusiva per certi generi, come p.es. le immagini di filosofi,
poeti, oratori, sia nella loro riproduzione integrale, come nelle riduzioni a erma, che
continuano a essere prodotte sino a tutto il II e III sec. d.C. e oltre, in evidente parallelo
con l'attività culturale della città. In questo stesso periodo l'orientarsi dell'attività delle
officine locali verso generi ai quali si aprivano nuovi spazi di mercato (sarcofagi, poi
trapezofori, ecc.) corrisponde forse a una riduzione delle esportazioni di sculture verso
occidente.
L'orientarsi fin dall'inizio delle richieste del mercato romano verso il repertorio tematico e
figurativo attico, è chiaramente in sintonia con la formazione culturale di un'ampia parte
della Oberschicht romana (in questo senso eloquenti le testimonianze dell'epistolario
ciceroniano), di cui si fa interprete Augusto, imponendo, almeno a partire dall'ultimo
trentennio del I sec. a.C., una serie di scelte dalle trasparenti implicazioni ideologiche.
Così gli interventi edilizi in Atene (p.es. il restauro dell'Eretteo, l’Odèion di Agrippa) sono
occasioni per collaudare esperienze e, soprattutto, per studiare formule scultoree o
architettoniche da replicare in Atene stessa (Tempio di Augusto e Roma) e a Roma (Foro
di Augusto). Si viene così canonizzando, in funzione del gigantesco sforzo di
rinnovamento attuato nell'Urbe, un repertorio di tipi statuari che trovano una loro prima
duplicazione come immagini di culto o d'arredo della edilizia pubblica, alla quale segue
una loro commercializzazione nella sfera privata, con molteplici adattamenti (p.es. per
ritratti), o riduzioni (a erma).
Evidenti sono in alcuni casi le motivazioni politiche delle scelte (si pensi al caso
dell’Eirene, in funzione del programma decorativo e ideologico dell'Ara Pacis), che
talvolta possono spiegare la ricerca di soggetti complessi, e addirittura materialmente
distanti dall'epicentro di queste iniziative: così, p.es., l'esecuzione, certo onerosa, del
primo calco dell'intero gruppo delle Amazzoni efesie in questo periodo non sembra
motivata tanto dalle tradizioni letterarie concernenti il gruppo stesso, quanto piuttosto
dalla richiesta di una committenza ufficiale, desiderosa di rievocare le implicazioni
ideologiche che il donario sottintendeva, e di sperimentare formule e tematiche di nuova
attualità storica.
Assai presto le officine attiche devono avere stabilito delle filiali più vicine ai centri stessi
di fruizione dei loro prodotti. In questo senso la regione campana, in particolare l'area
flegrea, accanto ovviamente a Roma stessa, deve avere avuto un ruolo rilevante per la
facilità di collegamento marittimo e per la presenza di un entroterra così sensibile e
interessato all'offerta del mercato. Il centro più intensamente coinvolto in questo
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fenomeno deve essere stato Pozzuoli, come risulta da testimonianze epigrafiche e come
confermano le tracce rinvenute di attività di officine di scultori: tra queste sono
soprattutto rilevanti quelle rappresentate dal complesso di calchi da originali greci
provenienti dalle Terme della Sosandra già ricordati, indizio sicuro della presenza nella
zona di un atelier di copisti.
Il rinvenimento, a Baia stessa e nell'area flegrea, di un consistente gruppo di copie in
marmo pentelico, derivanti dagli stessi prototipi rappresentati nel repertorio dei calchi
dalle Terme, consente di percepire il primo irradiarsi dell'attività produttiva di questa
bottega, e di individuarne le convenzioni tecniche e formali. È in tal modo possibile
riconoscere una prima fase, con l'insediarsi in zona di maestranze provenienti da Atene (è
nota una firma: Aphrodìsios Athenàios) già in età augustea, alle quali si affiancano poi
maestranze di provenienza locale (Kàros Puteànos, in età flavia) che utilizzano, anche
variandoli, gli stessi modelli, in generale desunti dal repertorio attico della seconda metà
del V sec. e degli inizi del IV sec. a.C.
L'attività della bottega prosegue sino nell'avanzato II sec. d.C., quando questa esporta
anche ampiamente nell'Urbe, lavorando forse in un rapporto privilegiato con la
committenza imperiale (testa dell'Amazzone Mattei da Villa Adriana, sculture dalle Terme
della Sosandra). Il repertorio, in età adrianea, registra un ampio rinnovamento,
arricchendosi di modelli derivati dall'orizzonte tardo-severo; è possibile che la bottega
abbia giocato un ruolo determinante, se non esclusivo, nella introduzione in ambiente
romano di tipi quali l'Afrodite «Sosandra» (oltre alla replica di Baia, quella dal Palatino),
l'Apollo dell'Omphalòs, l'Hestia Giustiniani, la Peplophòros Ludovisi (le due statue
eponime), ecc. Dopo l'età adrianea nella produzione dell'atelier sembrano prevalere le
rielaborazioni a carattere decorativo, «Neuschöpfungen» di gusto romano, ecc. Nei
prodotti migliori, quelli rinvenuti nei contesti imperiali, viene usato ora il marmo pario,
con esiti di altissimo livello, conseguenti a sensibili innovazioni sia sul piano tecnico che
formale.
A partire dall'età di Tiberio - e forse in conseguenza dei suoi rapporti con l'ambiente
asiatico - sembra prendere consistenza un filone copistico «asiano», che introduce in
ambiente romano modelli nuovi, derivati dal repertorio della grande statuaria ellenistica.
Un numero ristretto di botteghe, se non un solo centro, vede impegnata una serie di
scultori di altissimo talento, in parte documentati dalla tradizione letteraria ed epigrafica,
che li localizza in ambiente rodio. Questi replicano, utilizzando un marmo di provenienza
microasiatica e con esiti di grande attrattiva formale, complessi gruppi bronzei di soggetto
mitologico creati in dipendenza di eventi politici e militari dei dinasti e delle grandi città
ellenistiche. I temi scelti sono quelli del ciclo omerico (avventure di Ulisse, Laocoonte,
Menelao e Patroclo, ecc.), suscettibili presso la committenza romana (in questo caso
esclusivamente imperiale) di nuove ricontestualizzazioni, integrandosi negli apparati
scenografici delle grandi residenze urbane e delle ville.
I termini cronologici disponibili per questa produzione sono offerti da un lato dal
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complesso di Sperlonga, dall'altro dal gruppo del ninfeo sommerso di Claudio a Baia, dove
però le sculture sono affiancate a prodotti più direttamente collegati con le convenzioni
dell'ambiente urbano.
Più difficile è la collocazione, in questo stesso orizzonte, delle copie dei donari pergameni
con Galati: per la serie Ludovisi, generalmente considerata di età traianea, sono state
proposte anche datazioni nell'età di Cesare, in un ipotetico collegamento con le imprese
militari in Gallia, o in quella adrianea; per la serie Napoli-Venezia, solitamente riferita al
II sec., è stato proposto un collegamento con le Terme di Agrippa e la spedizione di questi
oltralpe. Così anche non sembra aver trovato una valutazione soddisfacente il gruppo del
Toro Farnese, che va ricollegato a questo stesso ambiente, e la cui collocazione
cronologica è stata sinora a torto condizionata dal luogo di rinvenimento. Il Toro Farnese
rappresenta, comunque, l'ultima importante creazione di questo centro; a esso vanno
ricondotte, nel corso del tempo, anche creazioni isolate e meno clamorose, indirizzate a un
mercato privato, e sempre ispirate a creazioni dell'ellenismo rodio e microasiatico
(immagini di Muse, Centauri, ecc.).
Nel Ninfeo di Claudio a Baia, già ricordato, è attivo anche un gruppo di scultori che
realizza statue-ritratto o di divinità con caratteristiche tecniche peculiari (ampio impiego
del trapano, di elementi di riporto, ecc.), e con un repertorio formale che sembra più
direttamente collegato con l'ambiente urbano. I prodotti della bottega sembrano peraltro
diffusi in ambiente campano, lasciando per ora intuire una dimensione locale.
La completa dispersione dell'arredo scultoreo dell'effimera residenza romana di Nerone
impedisce di definire con certezza i caratteri di originalità che questa doveva introdurre
rispetto al panorama precedente, in sintonia con le novità in campo decorativo. È
possibile che nell'ampia messe di ritrovamenti scultorei, peraltro assai frammentari,
provenienti dall'area della residenza, possano essere rintracciati elementi di questo
arredo, reimpiegati negli edifici che successivamente ne presero il posto. Le sculture
rinvenute nella villa di Anzio non sono con certezza attribuibili alla fase neroniana,
piuttosto che a quella antonina, e la stessa Fanciulla d'Anzio, ritenuta spesso significativa
eccezione risalente al primo impianto, è comunque un originale greco.
Anche la decorazione scultorea della Domus Augustana è solo in parte ricostruibile; il
noto gruppo di statue in basalto, di cui si è detto sopra, mostra un richiamo a prototipi
ellenistici, con esiti di monumentale virtuosismo. Una villa sulla Via Latina, la cui prima
fase è databile per la presenza di bolli nell'età di Domiziano, ha restituito una serie di
erme di divinità barbate in pentelico, con genitali inseriti in bronzo, che permettono di
seguire la maturazione di stile, rispetto alla fase augustea, di una bottega che si muove
nella grande tradizione attica.
Nella decorazione scultorea della villa di Domiziano a Castelgandolfo cominciano a
comparire i primi prodotti esportati in ambiente romano da una bottega o scuola di
scultori che utilizzano il marmo di Thasos con procedimenti tecnici peculiari (ampio
impiego del trapano c.d. corrente; superfici non levigate) e con una caratteristica
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diffusione locale, accanto a quelli già operanti per l'esportazione verso il mercato romano.
Il rinvenimento a Cherchel di una serie di sculture e copie di notevole livello formale,
derivanti da prototipi classici, che erano state datate in età augustea e ricollegate con il
regno di Giuba II, aveva permesso in passato di ipotizzare quasi una sorta di «museo» del
sovrano di Mauretania, e di riconoscere l'attività di una scuola di scultori da lui promossa.
Le sculture attendono una edizione definitiva, ma un riesame più attento della loro
cronologia sembra mettere in dubbio una datazione così ristretta per tutto il complesso,
lasciando aperta la possibilità che questo si distribuisca, con caratteristiche composite, per
un arco di tempo che giunge sino al II sec., mentre le copie più sicuramente collegabili con
la fase augustea sono state interpretate come importazioni da officine attiche.
Similmente, il dato oggettivo offerto dall'esistenza di una serie di firme con etnico su
prodotti scultorei databili tra il I e il IV sec. d.C. e rinvenuti prevalentemente in area
occidentale, aveva permesso di ricostruire l'attività di una «scuola di Afrodisiade»,
impegnata prevalentemente, almeno all'inizio, in attività di esportazione e dotata di
caratteri formali originali e omogenei. In realtà il materiale raccolto sulla base del dato
epigrafico mostra, al di là dell'ampia distribuzione cronologica, una notevole varietà di
tematiche, di tipologie (ritratti privati, rilievi, statuaria), di materiali (marmi bianchi
diversi, rosso antico, bigio morato) e di stili. Il quadro si è venuto precisando a seguito dei
fortunati recenti ritrovamenti avvenuti nell'area della città stessa, che hanno soprattutto
arricchito il quadro della produzione tarda. I prodotti locali, firmati in generale senza
etnico, non sono immediatamente accostabili, per stile e qualità formali, a quelli esportati,
anche se i soggetti copiati si rifanno sempre allo stesso repertorio di tradizione ellenistica,
confermando l'interesse per il cromatismo e rivelando tangenze con i prodotti della
tradizione copistica asiatica già vista nella prima età imperiale (gruppo di Menelao e
Patroclo, Achille e Pentesilea; ma anche il Discoforo di Policleto). Deve inoltre ancora
essere definita la cronologia del gruppo di statue firmate da Zenas e altri, rinvenute
sull'Esquilino e ora a Copenaghen, che recentemente, contro i dati di provenienza, si è
tentato di riferire al IV sec. d.C. Il quadro complessivo, più che a una scuola in senso
stretto, o a un centro organizzato, caratterizzato nel tempo da una continuità di esperienze
e stabilità di sede, lascia piuttosto pensare a un composito insieme di maestranze. Queste
sono certamente collegate a un ambiente di grandi tradizioni scultoree, privilegiato dalla
disponibilità del materiale; una parte di esse si impegna prevalentemente a soddisfare le
esigenze del mercato occidentale, talvolta chiaramente condizionata dall'esperienza
urbana (i ritratti del Museo Capitolino), utilizzando nella firma un marchio di qualità, in
esplicita concorrenza con quello attico. In età più tarda la produzione degli scultori di
Afrodisiade si organizza in funzione del nuovo floruit della città stessa e dell'ambiente
microasiatico.
Sempre in Asia Minore, Efeso, e in misura minore Side, hanno restituito notevoli prodotti
copistici, derivanti per lo più da originali della scuola attica del V sec. avanzato e del IV,
testimonianza, in ambedue i casi, di officine locali di alto livello, in contatto con
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meglio rispondenti alle esigenze di un gusto e di una cultura che riduce e modifica le
manifestazioni di ossequio alle conquiste della civiltà greca dell'età classica, i cui centri
propulsivi non coincidono più con Atene e Roma.
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