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PROGRAMMA DI STORIA DELL’ARCHITETTURA CONTEMPORANEA

A.A. 2015/2016
INTRODUZIONE ALL’OTTOCENTO diverso questa porta rispetto alle altre ? Intanto è collocata
su un viale che richiama questa idea dell’asse prospettico
idealmente illimitato, ma l’interasse è trattato in un modo
talmente ampio che questa porta la si vede sempre in con-
Forte connubio tra architettura e città, è difficile scindere una troluce e di notte, con la lice artificiale, appare di questa por-
storia dell’architettura da una storia della città e viceversa. ta solo la silhouette, la porta finisce per essere una cornice

Oggi con la dovuta distanza, la libertà che gli architetti si


sono presi, addirittura inzuppando gli stili diversi facendo gli
eclettici producendo architetture talvolta neogreche e altre
volte neoromane, bhè forse quella libertà che si erano presi
consapevolmente forse è mancata nel novecento, adesso
dobbiamo chiederci perché siamo stati così intransigenti
verso quell’epoca? Che cosa ci ha lasciato questo secolo?

Gare du Nord, Parigi_la facciata è realizzata secondo i


disegni dell’architetto Hittorf, Burchant in visita a Parigi di-
chiarerà: “È uno scandalo, è una delle peggiori infamie di
questi anni, come è possibile che paraste ioniche di stessa sul paesaggio ed è a tutti effetti un esempio di questa nuova
larghezza si attestino ad altezze diverse”, il tenore di questa e diversa sensibilità, non è un caso che all’epoca si rappre-
facciata è tipicamente classica, anche dagli elementi utiliz- senta non più in chiaroscuro, ma al tratto delineando solo i
zati (ordine architettnico), in una stessa facciata convivono contorni.
metodi diversi, in apparenza con un lessico classico rinasci-
mentale, ma declinati e composti in modo assolutamente Casa del Parlamento, Barry, Londra_ a rispetto dato dal-
libero come avrebbe fatto un’architetto gotico, abbinando le sue membrature gotiche, la sua estensione in larghezza
parole e metodi completamente diversi. quasi a commentare il corso del fiume, la rigida uniformità
di questo fronte che non ammette porte, logge e articolazio-
ni, questa è una barriera uniforme che testimonierebbe, pur
nell’alternanza della diversità dello stile neogotico e neorina-
scimentale, una grande sensibilità.

Che sia difficile interpretare correttamente un’opera lo te-


stimonia una nota e celeberrima opera di architettura con-
temporanea, ciò Palazzo Stoclet, Hoffmann, Bruxell_uso del
rivestimento, il trattamento degli angoli, a guardarlo sembra
un’architettura di “piani giustapposti”, quasi immateriale,
Ma questa non è la sola cifra caratteristica dell’Ottocento,
l’infisso montato volutamente a filo esterno a dissimulare lo
è un secolo multiforme in cui accade di tutto, è un secolo
spessore del muro, quasi a suggerirci una sorta di paramen-
che da spazio ed eco ai conflitti e contrasti, come hanno
to immateriale, un’architettura virtualmente bidimensionale.
successo architetture bidimensionali hanno successo anche
Ciò può essere spiegato per il nuovo gusto ottocentesco
architettura di puro volume, ad esempio il Walhalla, Leo von
che si ha nello studio e nel disegno delle silhouette, disegni
Klenze, Donaustauf_serie di terrazzamenti che sono perfino
a tratto fatti rigorosamente di profilo e infatti questi anni si
più importanti del tempio sommitale, la presa di possesso di
inventa una nuova forma di opera d’arte che è la Fotografia
un paesaggio, un’architettura di puri volumi.
(1827), il dagherrotipo altri che non è ce la riduzione su due
piani di una realtà tridimensionale, le prime vere rappresen-
Nuovo Louvre, Visconti, Parigi_architettura di pura scultu-
tazione e descrizioni del paesaggio urbano saranno appunto
ra, neobarocca; l’avanzamento delle membrature fa si che
di Daguerre e si afferma anche la litografia che consente
si possa parlare di architettura intesa quasi come scultura.
una produzione enorme di immagini che finalmente è ac-
cessibile al grande pubblico e quindi una maggiore forme di
Insomma espressioni diverse che convivono nello stesso
uso delle immagini, in questo clima non può non influenzare
secolo ma senza che nessuna di queste prenda il sopravven-
anche la pittura, in questo periodo assistiamo alla polemica
to sulle altre. In ogni libro di architettura si definisce l’otto-
tra due grandi della pittura francese Manet e Corbet.
cento come un secolo dell’eclettismo, noi come dobbiamo
intenderlo, eclettico è il riuso libero da qualsiasi condiziona-
In questo clima l’architettura non può fare a meno che risen-
mento di elementi architettonici del passato (archi, colonne
tirne. Porta di Brandeburgo, Langhans, Berlino_cosa hà di
, trabeazioni, architravi, ecc…) ritenuti adeguati alla risoluzio-
ne di un problema progettuale nel presente. Ma lo è anche
, se non di più, il percorso dell’architettura ai giorni nostri.

In questi anni si parla anche di gigantismo che investe tutte


le arti, e invade anche il campo dell’architettura. Ciò si ri-
scontra pienamente nelle stampe delle vedute di Roma del
Piranesi, ma soprattutto nelle sue viste immaginarie delle
carceri.
TERRITORI, CITTA’, ARCHITETTURE l’immagine.

Fenomeni territoriali e urbani


Espressioni e immagini della città ottocente-
Le trasformazioni economico-profuttive nei vari paesi do- sca
minati dal capitalismo industriale hanno ricadute dirette sul
territorio per tutto l’800. Si assiste ad una nuova e diversa
Un’immagine ricorrente del poaesaggio ottocentesco è quel-
articolazione dei centri di produzione e a una conseguen-
la della città aperta o della crescita idealmente illimitata. La
te nuova rete di distribuzione delle merci. Nella fase iniziale
perdita dell’originaria funzione di difesa delle cinte murarie
della crescita dell’industria, la localizzazione dei complessi
si traduce in una serie di provvedimenti che ne ridefiniscono
produttivi è dettata dalla prossimità delle fonti estrattive e a
il ruolo e il significato; la loro trasformazione segue diverse
quelle energetiche. In pochi decenni però, si verifica una tra-
modalità che vanno dall’apertura di nuovi varchi alla riconver-
sformazione radicale di molte aree, agricole e scarsamente
sione in cinta daziaria o in promenade alberata. Il riassetto
abitate, in vaste agglomerazioni che assorbono, concentran-
delle spianate da luogo a molteplici soluzioni di sutura, men-
dole, diverse produzioni industriali.
tre le antiche porte urbiche, private di funzione, diventano i
La rete infrastrutturale si organizza in funzione dei nuovi
cardini delle sistemazioni urbanistiche.
centri di produzione; si adottano nuove tecniche di pavimen-
Vienna, con la creazioje del Ring (dal 1859), assurge a model-
tazione stradale, la più nota delle quali - macadam - è mes-
lo di sistemazione anulare, non solo per la qualità dei proget-
sa a punto nel 1820 dall’ingegniere scozzese Jhon Loudon
ti di riconversione delle aree occupate dalle mura, ma, più in
McAdam, si moltiplicano i cantieri stradali, si regolarizzano
generale, per la struttura e l’immagine di grande capitale che
i fiumi, si costruiscono nuovi locali e opere di ingegnieria di
queste nuove integrazioni generano senza compromettere
notevole impegno costruttivo.
la trama viaria e il tessuto edilizio settecenteschi.
Fino alla fine del 700, i caratteri tipici del paesaggio dipendo-
La stazione ferroviaria, perno del sistema della mobilità a
no in larga parte dalla presenza di città di grandi dimensioni,
scala urbana e territoriale, è parte di una rete complessa di li-
dalla rete di centri minori a servizio delle grandi città e della
nee di comunicazione e scambio sovrapposta alo spazio del-
moltitudine di villaggi rurali e case sparse.
la città. La stazione ferroviaria è spesso l’origine e il punto di
Subito dopo la metà del xviii secolo, all’alba dell’industrializ-
confluenza dei nuovi assi viari, realizzati nel vivo degli antichi
zazione, la città europea è ancora una formazione compatta,
tessuti con operazioni di rettifica e sventramento dell’abitato
fisicamente distinta dalla campagna, già dai primi decenni
o nelle aree infra-moenia ancora libere.
dell’800, però, la situazione cambia radicalmente. I grandi
Nel panorama delle città europee laico-liberali, ledificio co-
lavori di trasformazione di Parigi, Barcellona e Vienna non
munale è l’immagine simbolo di una rinnovata identità cit-
si limitano al riassetto di alcune aree ma investono l’intero
tadina. I loro caratteri ricorrenti sono la facciata a colonne
organismo urbano, imponendo scelte coraggiose e investi-
preceduta da una scalinata monumentale, la compattezza
menti giganteschi tanto sul piano tecnico tanto su quello
del volume strutturato attorno a cortili, l’uso di una ricca e
amministrativo e finanziario. In tutti e tre i casi, il processo
severa decorazione che richiama le forme del palazzo italia-
di trasformazione non si esaurisce nel lasso temporale corri-
no di età rinascimentale e barocca.
spondente al periodo di esecuzione dei lavori, ma prolunga i
Gli edifici per la cultura e l’insegnamento ripetono frequente-
propri effetti ben oltre l’800.
mente le forme dei grandi edifici pubblici; i grandi complessi
Nella fase iniziale della crescita industriale, gli intervenzi edi-
offrono talvolta il terreno a sperimentazioni architettoniche
lizi si limitano alle variazioni della destinazione e dell’inten-
audaci, come nel caso del Crystal Palace o della Tour Eiffel o
sità d’uso degli edifici esistenti; in una fase successiva, si
della Gallerie de Machine.
modificano le tipologie residenziali, operandovi però ancora
Il grande blocco abitativo a sviluppo perimetrale, coincidente
all’interno. Le case, per lo più unifamiliari e di tipo a chiera,
con l’isolato, il villino unifamiliare con gli spazi di pertinenza e
sono accorpate, così da trasformarsi in organismi di linea,
l’abitazione operaia a schiera delle grandi lottizzazioni perife-
anomali rispetto a futuri fabbricati delle aree di espansione;
riche riassumono efficacemente i modi dell’abitare dell’800.
si procede inoltre all’aggiunta di uno, due e persino tre piani
Forme e caratteri di residenza variano, in misura anche sen-
di altezza, smantellando le preesistenti coperture. Da metà
sibile, a seconda che ci si riferisca al Regno Unito o al resto
800, favoriti dalla separazione dei saperi, e dalla nuova sca-
dell’Europa. In Inghilterra lo sviluppo residenziale si articola
la urbana degli interventi, sia i progettisti sia le maestranze
per parti distinte, coincidenti con le estates (proprietà im-
finiscono col separare il disegno del fronte del progetto de-
mobiliari) o con le enclosures (accorpamento e privatizzazio-
gli spazi interni facendo della facciata un tema progettuale
ne di piccoli lotti di terreni comuni, lavorati in concessione,
autonomo.
all’interno di recinsioni), convertibili ad uso edificatorio senza
La demolizione delle antiche mura riveste un significato pa-
particolari vincoli. Il caso di Londrache, in epoca georgiana,
radigmatico; l’abbattimento delle cerchia delle fortificazioni,
fa registrare quattro distinte fasi di sviluppo corrispondono
infatti, compromette l’identità dei luoghi, poichè cancella
ad altrettante forme caratteristiche: la crescita polare di vil-
quella delimitazione evidente e quella relativa compattezza
laggi esistenti nei dintorni, la diffusione in forma dispersa di
dell’edificato che per secoli hanno definito le qualità figurali
ville unifamiliari, la formazuone di agglomerati a nastro e la
di ogni insediamento. La città antica è assimilata a ciò che le
pianificazione di estates ancora libere in settori decentrati
si sta costruendo nell’immediato intorno e, di conseguenza,
nel territorio
vi si interviene con gli stessi criteri e tecniche progettuali
Nel resto d?Europa la crescita urbana avviene prevalente-
adottati per le zone periferiche.
mente attraverso la reiterazione del grande blocco d’affitto
Negli anni compresi tra 1870 e prima guerra mondiale, le
intensivo. Le variazioni sul tema dello stabile di speculazione
capitali europee e i grandi centri della produzione assumono
non intaccano la formazione in serie di caserme d’affitto (Mi-
quel carattere di città-metropoli che, da allora, ne ha fissato
tkasernen), case di pigione multipiano che tabnto a Berlino
tanto a Barcellona, a Roma come a Parigi, sono le protagoni- La politica urbanistica, senza precedenti, varata da Napole-
ste di uno scenario del tutto nuovo. one III ed eseguita dal prefetto della Senna Haussmann. Se
Il sistema di nuovi servizi a rete - acqua potabile, fognatura, l’apertura di nuovi assi, la costruzione dei sistemi di appro-
gas - incarna l’idea della città come organismo vitale. Impre- viggionamento idrico e fogniario, il diradamento dell’abita-
sa degna di nota è la vasta rete sotterranea dei condotti idrici to e la ridefinizione del ruolo dei monumenti nella struttura
di Parigi realizzata secondo gli indirizzi del barone Hausmann della circolazione, costituiscono aspetti rilevanti della stra-
e sotto la responsabilità dell’ingegnere Belgrand. Tanto le tegia haussmanniana d’intervento globale sull’esistente, al-
condutture dell’acquedotto quanto le fogne, si articolano in trettanto importanti, nell’immenso cantiere parigino sono le
collettori principali e rami secondari, secondo una trama ge- nuove sistemazioni dei parchi e dei giardini.
rarchica che ripete nel sottosuolo il disegno degli assi viarii in La Grande Croisè non è solo il cardine dei diversi sistemima
superficie. Completata nel 1894, la rete fogniaria di Belgrand è anche un dispositivo di suddivisione geotopografica del-
con i suoi 600 km di sviluppo sarà la più grande del mondo. la città nel suo complesso, tanto più efficace quanto più si
avvale della presenza, alle estremità degli assi viarii, di una
serie di parchi a servizio dei rispettivi quartieri.

La natura in città: parchi e giardini pubblici L’igene pubblica

I parchi pubblici delle città europee dell’800 si ispirano a due Tra i maggiori effetti della rivoluzione industriale, va annove-
modelli prevalenti, uno botanico e l’altro continentale, legati rata la reazione da essa provocati sull’habitat, e in particolare
ciascuno a tradizioni culturali, economiche e fondiarie pro- sull’igene pubblica. La diffusione delle epidemie di colera,
fondamente diverse. Il primo rapporto viene presentato al tifo, malaria e malattie infettive legate alle basse condizioni
parlamento inglese nel 1833 e fa del parco pubblico una ma- igenico-sanitarie spingono legislatori e scienziati a ripensare
teria di intervento istituzionale; non si parla esclusivamente radicalmente spazi e strutture e ad alimentare il culto per la
di parchi ma, più in generale, di aree pubbliche inedificate, pulizia. I primi obbiettivi dell’urbanistica ottocentesca sono
intendendo ciò con una vasta gamma di spazi aperti che la purezza dell’aria e dell’acqua, lo smaltimento razionale dei
vanno dagli orti botanici ai cimiteri, dai terreni di godimento rifiuti, la dotazione di spazi verdi, l’azione igenica sulle cse
collettivo ai campi da gioco. Questa nuova impostazione ac- esistenti e la costruzione di nuovi quartieri operai, informati
compagnerà l’evoluzione del parco pubblico sostanziandone e precisi standard igenico-sanitari e dimensionali.
gli stessi caratteri identitari.
Gran parte dei parchi urbani europei realizzati nel corso del
secolo corrisponde ad uno stesso shcema compositivo, co- Le utopie e le teorie urbane
stituito da una sequenza di elementi tipici:
- fitta cintura di alberi lungo il perimetro; Se è vero che alla società industriale corrisponde una società
- viale carrozzabile in posizione affiancata interna o esterna urbana, nell’800, parallelamente al processo di industrializza-
a tele cintura alberata; zione dei paesi europei si assiste ad un forte incremento de-
- serie di percorsi sinuosi che suddividono la superficie rac- mografico delle città, questa crescita senza precedenti è alla
chiusa dalla cintura arborea in distese erbose fusiformi, ovoi- base della loro profonda trasformazione e si accompagna
dali o ellittiche; alla nascita di nuove teorie urbane. Partendo da una critica
- spazio d’acqua tendenzialmente collocato in posizione radicale allo sviluppo senza regole della città, alcuni studiosi
centrale, dal contorno a serpentina, illusoriamente più gran- avanzano proposte per un habitat più armonioso, dove tut-
de della sua effettiva grandezza; ti gli individui sono uguali davanti alla legge e dove l’uomo
- serie di piccoli e bassi rilievi introdotti per movimentare il della nuova borghesia è al centro delle riflessioni filosofiche.
profilo altimetrico. Lìimmaginbazione utopica ora si sposta nel futuro avvalen-
Il disegno delle aree verdi secondo tali principi non è certo dosi della storia: al concetto di spazio è sostituito quello di
un contributo originale dell’800, le novità sono da individuare tempo; in un futuro stabilito dal progresso intellettuale e
nella reiterazione dello schema, nella divisione degli spazi sociale, le utopie urbane nascono dfall’osservazione della
in base alla loro specializzazione, nell’alternanza di piccole città fisica, offrendone allo sguardo una nuova, sospesa tra
zone nascoste e scenari di ampiezza virtualmente illimitata. utopia e realtà.
Esempi di parchi pubblici con tale sistema sono il Victoria E’ in quest’ottica che si inseriscono le proposte di utopisti,
Park e il Battersea Park a Londra. es Charles Furier, ideatore del Falansterio. Analogo al Falan-
Con queste realizzazione si pone per la prima volta la que- sterio è il Familisterio di Jean-Baptiste Godin, in funzione
stione del rapporto tra aree verdi, campi gioco e attrezzature ancora oggi, che avrebbe dovuto costituire l’unità base di
sportive, un problema che nel corso del secolo si sostan- una nuova struttura sociale supportata da un sistema assi-
zierà in tre approcci prevalenti: stenziale e pedagogico avanzato. Tutti propongono città ide-
1. inserimento nei parchi di aree e manufatti di dimensioni ali che possono essere realmente attuabili, salvo poi fallire;
e numero variabili inj funzione della domanda degli utenti nel concepote in funzione di una gestione associata di capitale
tempo; e lavoro da parte di abitanti, avranno notevoli influssi sugli
2. tendere ad un rigido isolamento di queste funzioni, con- utpisti del 900, in particolare su Le Corbusier.
centrandole in una zona circoscritta del parco, generalmente Nella seconda metà del secolo, cadute le implicxazioni poli-
periferica; tico-sociali, prevalgono le proposte tecniche atte a riordinare
3. si pone alla base di quei progetti in cui il rapporto tra sce- le città esistenti e i mezzi utili per superare le deplorevoli
nari naturali e ambientali di particolare valenza paesaggistica condizioni igenico-sanitarie.
e aree ricreative è risolto alla scala del piano d’insieme, inte- E’ evidente nella Parigi di Napoleone III e Haussmann, egli si
grando attrezzature per lo sport e natura. fa ingannare dal mito del disordine, non inventa una pianta
ideale, ma scopre nei rottami della città esistente e i segni banca, macello), ne codifica le regole compositive assecon-
della nuova società economica e tecnologica, li riordina in dando la nuova sensibilità culturale e il significato rivoluzio-
un moderno sistema urbano e li riconnette tramite un’intel- nario dell’insegnamento; i suoi schemi formali costituiscono
ligente rete di comunicazioni, ferroviaria e stradale. Degli la sistemazione dei nuovi principi architettonici, l’elevazione
stessi anni del piano parigino sono altre proposte e riforme di quelle idee ad un definitivo consolidamento e riconosci-
concrete della città, che seguono indirizzi diversi fra loro: nel mento da parte dei contemporanei.
1859 ne sono esempi il concorso per il Ring di Vienna e il Il secondo, fa un’indagine sulla natura e sul comportamento
piano per Barcellona che farà dell’urbanistica una discipilna degli edifici, condotta attraverso l’analisi di elementi struttu-
scientifica. rali e dei modelli costruttivi di base. Per tutto il secolo ambe-
Già a metà 800 si ripresentano in forma acuita i problemi due eserciteranno una profonda influenza sul lavoro profes-
delle città e l’alienazione dell’individuo all’interno delle co- sionale di architetti ed ingegnieri.
munità urbane, il dibattito teorico e culturale sul tema da Contrapponensodi alle istanze del neoclassico francese si
luogo a due approcci prevalenti: il primo di tipo progressista, afferma il revival gotico e d è soprattutto il Regno Unito ad
pone in evidenza i bisogni materiali dell’uomo; il secondo di arricchirsi di un’interessante produzione teorica che identifi-
tipo culturalista, fa prevalere le esigenze spirituali della co- ca proprio nel gotico lo stile nazionale. Augustus Pugin nei
munità umana al recupero nostalgico della tradizione urbana suoi scritti, i Contrasts, afferma che “il gotico non è uno stile
medioevale. ma una religione” e che “i veri proncipi della proporzione
architettonica si trovano solo negli edifici ogivali”.
1. Tra coloro che fanno proprio l’approccio progressista in Al pari di Pugin, l’impegno concettuale di Jhon Ruskin ruo-
Spagna è Arturo Sorìa y Mata a prefigurare una città idea- ta attorno al valore morale dell’artigianato medioevale e alla
le lineare, la Ciudad Linear, alternativa a quella a sviluppo lezione del gotico come portatore originale di contributi mo-
concentrico. L’idea di ruralizzare la città e urbanizzare la derni, di creatività e di progresso. Spetta però al socialista
campagna prende forma in un insediamento urbano che si William Morris, teorico e riformatore in senso politico del-
articola lungo una fascia di terreno larga 500 m, percorsa da la tradizione medioevalista, la nascita del movimento delle
un’arteria di comunicazione assiale, su cui il movimento si Arts and Crafts che, a cavallo dei due secoli, produrrà note-
svolge lungo una linea retta, di cui descrive principi teorici e voli effetti di rinnovamento in campo urbanistico, architeto-
pregi progettuali. La sua città ideale (ne sono stati costruiti nico ed artistico.
a Mardid solo 5 km) poteva svilupparsi all’infinito secondo Gli scritti teorici di Eugene Violet-le-Duc sono la più luci-
una triangolazione planetaria tra città esistenti, avrà maggio- da analisi dei valori oggettivi dell’opzione gotica e rilevano
re fortuna nel 900 con le proposte di Le Corbusier. In Francia come l’architettura non consista in una forma piuttosto che
è Tony Garnier con un’altra città ideale, la Citè Industrielle, in un’altra, bensì in un principio e in un coerente metodo
a proporre un nuovo equilibrio urbano basato sul progresso logico; lo stile, invece, è il prodotto di un pensiero nazionale
tecnico; ne nasce una nuova Ellade industriale - la città è ed espressione dell’opera secondo verità.
identificata con il regno del lavoro - capace di riproporre i Dall’età della Restaurazione anche negli stati italiani si dif-
valorti della classicità in una dimensione estetica urbana. fonde la ripresa degli stili medioevali, intesi come modelli
concettuali per concepire la modernità; saranno soprattutto
2. La città ideale nel Regno Unito che propone Ebenezer l’opera teorica e il pensiero di Camillo Boito a indicare agli
Howard, la Garden City of Tomorrow, nell’idea di difendere architetti una possibile via d’uscita dalle pastoie nazionaliste.
la comunità umana dagli effetti negativi della città industria- In sostanza, nella seconda metà dell’Ottocento, le teorie ar-
le, tenta di recuperare la qualità dell’abitare pre-industriale chitettoniche tendono a frantumarsi in una serie di contributi
negli assetti fisico-spaziali generati dall’industrializzazione e assai diversificati, che però conservano ambiti e metodi pro-
concepisce un insediamento che è in sistensi di due realtà - pri di ciascuna disciplina.
città e campagna - per assicurare i vantaggi e sopprimere gli
svantaggi che ciascuna comporta. Questo modello urbano
avrà diffuzione in Europa e soprattutto negli Stati Uniti d’A-
merica. Allo stesso atteggiamento critico si può ascrivere il La formazione e il ruolo dell’architetto
contributo dell’austraco Camillo Sitte. Raffinato cultore della
storia della città fa ricorso all’analisi razionale per compren- Le trasformazioni urbane e territoriali, gli sviluppi tecnologici
dere e riproporre le regole organizzative dell’antico spazio legati all’impiego dei nuovi materiali e la organizzazione dei
urbano; con attenzione alla necessità sociali e psicologiche cantieri producono, per tutto l’Ottocento, riflessi profondi
dell’individuo, fa del godimento estetico generato dagli spa- sulla formazione degli architetti.
zi della città e del senso di appartenenza della comunità a Nella Francia dell’Ottocento, la didattica dell’architettura è
quegli stessi spazi i principi fondativi dell’esperienza urbana. affidata a strutture pubbliche e private; dalle prime, l’Ecole
des Beaux-Arts è senza dubbio la più autorevole e rinomata
internazionalmente; gli allievi sono tenuti a frequentare l’E-
cole per un lunghissimo periodo (da otto fino a dodici anni),
I teorici dell’architettura a svolgere esercitazioni giornaliere e a partecipare ad una
serie di concorsi, come quello all’ammissione del Grad Prix
Le lezioni di architettura di Jean-Nicolas Louis Durant e il de Rome.
testo di Jean-Baptiste Rondelet sono i soli progetti teorici In Italia la didattica dell’architettura è affidata alle accade-
in grado di influenzare il lavoro degli architetti più sensibili mie, la cui principale finalità è “insegnare l’arte secondo il
all’esigenza di una dottrina e di un controllo razionale dell’iter dettato albertiano, nel senso di arte liberale, senza le preoc-
progettuale. cupazioni legate agli aspetti costruttivi, tecnici e economici
Il primo, pone alla base del rinnovamento urbano le nuove e ancora sulla base del disegno come elemento unificante le
tipologie d’interesse pubblico (museo, scuola, ospedale, diverse arti figurative”.
Nel 1812, sulla scorta di due provvedimenti di legge napo- applicate e dell’architettura.
leonici, si riorganizzano le scuole delle belle arti e, nel 1818, L’alto livello pratico dei costruttori di infrastrutture territoria-
si darà all’insegnamento dell’architettura una struttura de- li sposta il centro del dibattito sull’arte di edificare da una
stinata a durare tutto il secolo. Sotto i pontificati di Leone concezione essenzialmente artistica; in tal contesto gli inge-
XII, Pio VIII e Gregorio XVI, la formazione accademica si ca- gneri, forti delle competenze tecniche, godono della fiducia
ratterizza fortemente in senso morale e religioso, relegan- degli imprenditori e dei proprietari di capitali.
do sullo sfondo quei saperi tecnici e scientifici che in altre L’utopia tecnologica trova nelle esposizioni universali, e in
parti d’Europa sono sospinti dalle innovazioni tecnologiche particolare quella di Londra del 1851, l’occasione per la sua
legate all’industria. Sotto il pontificio di Pio IX, a fronte di ideale e materiale concretizzazione. Il Crystal Palace di Pa-
un’impronta segnatamente storica, si fa strada, seppur ti- xton esemplifica nella sua indefinibile architettura lo stato
midamente, una diversa attenzione per i nuovi materiali e le della scienza e delle tecnologia, imponendosi come icona
relative tecnologie costruttive. della costruzione moderna.
La riforma delle scuole di applicazione per ingegnieri e ar- Il successo di Gustave Eiffel nella realizzazione del condotto
chitetti, del 1888, non solo sopprime il diploma di architetto, di Garabit spiana la strada per la Tour dell’esposizione uni-
ma accentua il conflitto tra la figura di architetto-ingegnere e versale di Parigi del 1889, un’architettura-scultura simbiosi
quella dell’architetto-artista, bisognerà attendere l’istituzio- perfetta di arte e scienza; progetta anche l’armatura per la
ne della Regia Scuola Superiore di Architettura di Roma per Statua della Libertà, un pilone in ferro che con un’ossatura
veder attuato un ordinamento degli studi specificamente leggera tiene la pelle del colosso in rame lavorato a balzo.
destinato agli architetti, distinto dall’offerta formativa sia dei Lungo tutto il secolo il fascino tecnologico e la sublime di-
Politecnici sia delle Scuole di applicazione per ingegneri. mensione urbana e territoriale delle fabbriche colpiscono la
realtà immaginativa di pittori e architetti.

La figura dell’ingegnere
Le grandi esposizioni
Nel corso del Settecento e della prima metà dell?Ottocento
l’avanzamento scientifico e la rivoluzione industriale contri- Le sposizioni universali, che da Londra 1851 a Parigi 1900 si
buiscono a definire in senso moderno la figura dell’ingegnie- svolgono nelle maggiori capitali europee e città americane,
re. costituiscono un’eccezionale, complessa e non classificabile
In Francia la nascita dell’ingegnere come figura autonoma rappresentazione della società del secondo Ottocento: una
da quella militare e dell’architetto ha le sue radii nel secolo metafora degli ideali, delle aspettative e degli interessi del-
precedente con l’istituzione tra il 1713 e il 1716 del Corps la borghesia industriale. Attorno alle esposizioni fioriscono
des Ponts et Chaussees e dell’Ecole des Ponts et Chaus- eventi in cui l’architettira acquista via via un ruolo dominante
sees. Questa scuola diventa una scuola di specializzazione imponendo, attraverso mostre di disegni e convegni mirati,
riservata ai futui ingegneri del Corpo; il confronto con la opportune riflessioni teoriche, su cosa essa sia.
capacità innovativa e con l’intraprendenza dei colleghi bri- Nei criteri e nella scelta degli articoli esposti, Londra, Pari-
tannici alimenta in Francia una riflessione sulla preparazione gi e le città americane si distinguono: la prima privilegia la
dell’ingegnere di Stato. qualità intellettuale, la seconda promuove prodotti d’uso per
Nel 1771 nasceva a Londra la Society of Civil Engineers ad quantità e la terza valorizzano le nuove macchine per affian-
opera di Jhon Smeaton; alla sua morte, l’associazione conc- carsi all’Europa.
serverà il suo carattere di dining club. E’ però nelle architetture espositive che ogni città\nazione
La forza del modello politecnico francese determina il suo elabora il rapporto tra industria e società e ne rappresenta un
successo e la sua diffusione in Europa. immagine personale; dal singolo edificio al sistema più com-
Nell’Italia preunitaria, l’esperienza napoleonica incide pro- plesso della città nella città, l’impianto espositivo risponde
fondamente sulla formazione e sull’attività dell’ingegnere, ad alcune costanti: la produzione seriale e la prefabbricazio-
che passano dal praticantato all’istruzione tecnico-scientifi- ne, la comunicazione di massa e l’urbanizzazione.
ca, dalla professione libera a quela statale. Tra il 1802 e il Il 1° Maggion si apre a nLondran la Great Exibition of the
1805 nel Regno d’Italia la laurea, il tirocinio, la patente fissa- Works of Industry of all Nation promossa dal principe Alber-
no l’iter del libero professionista, mentre nel 1806 è istitui- to, Paxton ricostruisce in otto mesi un palazzo senza prece-
to il Corpo degli Ingegneri delle Acque, aperto agli studen- denti; l’edificio rettangolare, di metri 564 x 124, a cinque na-
ti migliori del Regno. L’unità nazionale obbliga a definire la vate interrotte da un transetto, si adatta al terreno coprendo
formazione dell’ingegnere volgendola alla modernizzazione 70.000 mq e inglobando tre gruppi di alberi, colonne cave
dello Stato, nascono così scuole di applicazione dirette alla in ghisa di altezza variabile reggono travio reticolari atte a
pubblica amministrazione, e politecnici rivolti all’industria. sostenere le architetture.
Dal 1855 in poi è Parigi a guidare l’era delle grandi esposi-
zioni; ci sono anche però altre esposizioni da tenere conto
Arte e scienza come ad esempio quella di Vienna e Philadelphia a porsi nel
panorama internazionale spettacolarizzando sempre di più
Nel 1840 l’architetto Cesar Daly fonda la “Revue Genera- tali esempi, una spettacolarità che assumerà un carattere
le de l’Architecture et des Travux Publics” con la quale in- ludico e consumistico nella World’s Columbian Exposition
tende valorizzare il ruolo dell’architetto, dimostrando che la di Chicago, dove una retorica formale e tecnologica si fonde
sua ricerca formale comprende anche il sapere scentifico e nella classicheggiante, scenograficva e artificiale della White
tecnologico, dalla meccanica apllicata alle macchine e alla City.
costruzione, allo studio del comportamento e alla resistenza Parigi 1900 chiude l’epoca delle esposizioni divenendo an-
dei materiali, fino alle sperimentazione nel campo delle arti che palestra dell’applicazione del cemento armato; il Petit
Palais e il Grand Palais segnano il culmine della dimensione
spettacolare e politica dell’evento.n

La pietra e il ferro

Tra il 1802 e il 1817 Jean-Baptiste Rondelet esplicita la sua


idea di architettura come scienza, nell’opera le caratteri-
stiche strutturali dell’edificio e delle sue componetni sono
analizzate in dettaglio, fornendo un chiaro compendio delle
tecniche e dei materiali dell’architettura storica e contem-
poraena, con un ampio spazio assegnato all’impiego della
ghisa e del ferro applicati alle infrastrutture territoriali.
Ponti e viadotti costituiscono uno degli ambiti più precoci
e fecondi per le sperimentazioni dell’uso del ferro e della
ghisa. L’avanzamento della siderurgia accompagnava la pro-
gressiva sostituzione di materiali e tecnologie tradiziona-
li con profilati e strutture interamente metallici. Tra i primi
esempi noti è il ponte sul Severn le cui cinque navate paral-
lele ad arco di cerchio di 30 metri di luce furono composte
di elementi di chisa asse,blati con cunei ed incastri, anziche
chiodi e bulloni.
La ricerca della verità strutturale e di un’esplicita figuratività
del ferro si afferma a metà secolo nei nuovi tipi edilizi della
città ottocentesca (fabbriche, mercati, stazioni ferroviarie,
gallerie, grandi magazzini, etc...). Oltre agli opifici industriali
sono le coperture degli spazi interni a offrire le sintesi più
superbe tra ingegneria e architettura. Nella Biblioteca di
Sainte-Geneviève e in quella Nazionale di Parigi, Labruste
dispone aree e organiche sale di lettura utilizzando colonne
in ghisa e archi in ferro a supporto di volte e cupole.
Gli esempi paradigmatici di chiarezza strutturale e costrutti-
va e di sintesi perfetta tra struttura e architettura coincidono,
tuttavia, con le architetture delle Grabndi Esposizioni univer-
sali, e in particolare con il Crystal Palace e la Tour Eiffel.

Un nuovo materiale: il cemento armato

Le esperienze di un materiale artificiale composto da calce-


struzzo e ferro trovano ufficializzazione, diffusione teorica e
applicativa solo nei due decenni conclusivi dell’Ottocento e
nei primi anni del Novecento. Il processo ha come premessa
la contemporanea affermazione dei due componenti: il profi-
lato metallico e il calcestruzzo, una miscela in cui giocano un
ruolo basilare le scoperte sui leganti idraulici e la cui produ-
zione assume carattere industriale dopo il 1880.
Hennebique è l’ideatore dell’armatura con staffe piatte in-
serite lungo la trave, con una spaziatura ravvicinata verso gli
appoggi, per contrastare possibili fessurazioni dovute dalle
sollecitazioni a taglio.
E’ con il nuovo secolo, però, che il cemento armato supera
definitivamente il ruolo di sostegno invisibile e che i proget-
tisti lavoreranno sulle potenzialità espressive della “gabbia
strutturale”, monolitica e plastica, affrontando pienamente
il rapporto tra nuova tecnica e linguaggio architettonico, tra
forma e struttura, tra pianta aperta e flessibile e involucro
esterno.
INTRODUZIONE ALL’ 800 monofore arcuate si trasformano in più ampie finestre deli-
mitate da cornici e timpani, cambiando non solo i caratteri
dell’edilizia ma prospettando sulla strada i caratteri propri
Tutt’oggi non esistono studiosi che sono stati in grado di dello spazio urbano che finisce proprio per cambiare faccia.
operare una sintesi convincente dellì800, intanto è abba- Il paesaggio europeo all’alba dell’800 è un paesaggio costel-
stanza difficile riconoscere nelle ricostruzioni storiche dei lato da una rete di grandi centri (pochissimi), una rete di città
secoli stessi criteri teorizzanti. medie e una fittissima rete di città piccole e villaggi; questi
Quando si parla dell’800 non si può non parlere delle trasfor- complessi insediativi sono collegati da una rete di strade di
mazioni teritoriali ed urbane, perchè la rivoluzione industria- età moderna o imperiale, già con Napoleone questo passag-
le ha sortito molti effetti nella sistemazione del territorio e gio inizia a stravolgersi con una rete infrastrutturale di cana-
nell’assetto delle città. li, una ridefinizione degli assi viarii che decreta il successo
Il cambiamento nei modi di produzione modificano le città, di alcune città e la morte di altre, tutto questo naturalmente
gli effetti sono l’inurbamento con un massiccio esodo della sconvolge il paesaggio e sancirà la sua definitiva trasforma-
popolazione rurale verso la città e soprattutto una trasfor- zione.
mazione radicale e sconvolgente del territorio rurale, intanto Nei grandi centri urbani nascono le cosiddette “case d’affit-
i criteri di localizzazione dell’industria sono e saranno quasi to”, cioè dei grandi immobili che esibiscono delle facciate
sempre gli stessi, ovvero grandi impianti industriali molto anche molto decorose, che rispondono a dei precisi stan-
vicini a corsi d’acqua e grandi arterie o vie di comunicazio- dard edilizi. La casa ottocentesca è in sezione uno spaccato
ne, spesso rappresentate anche dai canali ferroviari e infine della società del tempo, al piano terra le botteghe, al piano
quartieri operai nelle immediate vicinanze. Naturalmente rialzato si trova generalmente l’abitazione del portiere o di
queste scelte localizzative imprimono una modificazione quanti lavorano nelle botteghe al piano terra, ai due piani
profonda nel territorio, soprattutto quello rurale, e lo svilup- successivi viveva la borghesia (siccome ancora non esisto-
po della ferrovia (a partire dal 1824/25) spezzerà quel lega- no gli acsensori bisognava stare ad un piano che aveva la
me che c’era sempre stato tra città e circondario rurale, che distanza utile dai rumori, chiasso, olezzi, ma non troppo in
avevano uno stretto rapporto di interdipendenza, ma con la lato perchè scomodo arrivarci), agli ultimi piani le classi più
ferrovia tale rapporto salta. povere passando dagli impiegati, operai e nelle mansarde gli
L’inurbamento ha i suoi effetti soprattutto nello spazio delle artisti; mai come in questo caso il disegno dell’architettura
città, la ferrovia ha come primo effetto la violenta alterazio- traduce con pochi segni la realtà sociale del tempo.
ne dei confini storici e fisico-spaziali delle città, la ferrovia La Stazione Ferroviaria introduce il tema delle “Grandi Co-
per entrare all’interno accellera il processo di demolizione perture”, lavoro tipicamente da ingegnere e che in questo
delle mura; saltano, quindi, quei confini certi tra campagna secolo emergerà sempre di più, soprattutto gli ingegneri for-
e città che ha sempre contraddistinto l’assetto urbano che matisi all’Ecole de Shasse a Parigni, che detterà un po le re-
era rimasto invariato da millenni, ciò che è impressionante di gole della trasformazione dell’ingegnere in tutta Europa. Sta-
questo secolo sono appunto i cambiamenti. zione e grandi coperture fanno la strada ad un’altro grande
I quartieri operai si attestano su quelli che erano i confini tema, quello del “Fuoriscala”, visto soprattutto rispetto alla
dell’area inframenia e le leggi di edificazione, pianificazione scala minuta del tessuto residenziale delle città storiche; se i
e urbanizzazione delle nuove periferie finiscono con esten- valori figuarli della città storica si fondavano su poche regole
dersi anche alle parti marginali della città storica che viene comuni, cioè fitto tessuto residenziale compatto, contrap-
investita da processi, modi, tecniche che non gli erano mai puntato da poche emergenze, le ferrovie iniziano a diventare
appartenuti. le nuove emergenze imponendo una scala e un conflitto con
Le tecniche con cui procedere alla trasformazione dell’as- le dimensioni tipiche degli abitati che scompone i profili tipici
setto delle antiche città è quello, che andrà in voga per alme- delle città e i loro falori figurativi.
no un secolo, della tecnica dello “Sventramento”, “Allinea-
mento” o “Rettifica”, che non signifoicano tutti la stessa
cosa. Quando si parla di Allineamento si intendono inter-
venti finalizzati all’apertura di nuove arterie, quasi sempre
rettilinee e di sezione generosa, che comportino proprio la
demolizione dei fronti degli edifici e la loro sostituzione con
nuovi fronti lasciando inalterata la maglia muraria all’interno,
e così che per esempio accade anche nei centri minori.
Gli Sventramenti, invece, riguardano la sostituzione di interi
isolati, interi comparti che lasciano il posto a nuovi edifici
e complessi residenziali, dal punto di vista tipo-morfologico
del tutto diversi da quelli precedenti; parlando nella genera-
lità dei casi , il tessuto minore della città europea, in senso
lato, il tessuto residenziale è formato prevalentemente da
case a schiera articolate du 2/3 piani e con un’area trattata
ad orto sulla parte posteriore; con il massiccio inurbamento
queste case si trasformano in pseudo-schiere e poi in case
in linea plurifamiliari, ciò comporta una relativa trasforma-
zione della maglia muraria interna ma soprattutto una no-
tevole alterazione delle facciate che, da poche e semplici
case contornate da poche e piccole bucature, si trasformano
in pretestuose facciate neorinascimentali con finestre po-
ste simmetricamente rispetto ad un portone d’ingresso, le
GALLERIE DE MACHINE. All’epoca considerata una
delle meraviglie del mondo, realizzata e poi smontata, ed
anche questo è interessante per i temi della prefabbricazio-
ne, realizzazione non in sito degli elementi di una struttura,
che comporta tutta una serie di problematiche mai affronta-
te prima, ad esempio il trasporto, montaggio, smontaggio e
riciclo. La galleria è realizzata in vista dell’esposizione inter-
nazionale di Parigi, chiusa l’esposizione smontata, e poi cli
elementi riutilizzati per altre costruzioni. Ciò che colpisce di
questa costruzione, oltre che alle dimensioni, la scansione
degli elementi strutturali che può essere ripetuta all’infinito,
modularità e serialità, prevalenza del vuoto rispetto al pieno.
Dal punto di vista compositivo è rivoluzionario il modo della
riconoscibilità degli elementi tipici che compongono l’archi-
tettura, i muri spariscono e diventano un tutt’uno con la co-
pertura e dè una rivoluzione straordinaria dal punto di vista
compositivo di un edificio, la fusione tra pilastro e capriata
è un’invenzione e un’intuizione straordinaria, ripensare radi-
calmente la struttura in base al programma funzionale dato.
I grandi parchi zialmente dei cannocchiali prospettici, circoscrivere come in
una cornice alcune zone rispetto ad altre, con un procedi-
Altra questione importante che emerge in questo periodo è mento che potremmo definire come un antesignano della
il “Verde”. Con la nascita delle cosiddette economie di ag- modrna Land-Art.
glomerazione, cioè la concentrazione nelle aree urbane non I parchi sono vissuti da tute le classi, sono le uniche aree
solo di industrie ma anche di servizi, mentre prima la scelta che per certi versi ammettono la commistione di tutte le
localizzativa delle industrie era basata sulla loro vicinanza alle classi; usi che nel tempo si arricchiscono, anche nel pro-
risorse naturali, ora le scelte sono dettate dalla vicinanza ai gredire dell’igene, dei giochi all’aria aperta o degli esercizi
grandi centri dello scambio, perchè le industrie grazie allo ginnici sono dei campi sportivi e delle attrezzature ginniche
sviluppo delle ferrovie non hanno più bisogno di insediarsi e per la cura del corpo. La compresenza di aree attrezzate
nei pressi delle miniere, le materie prime arrivano con facili- all’interno di un’area principalmente paesaggistica costituirà
tà in loco, quello che assicura la città è la presenza di servizi materia di discussione in Inghilterra da parte di architetti e
e manodopera, cioè il terziario avanzato, e naturalmente la gardners. Dove e come collocare quelle aree?
vicinanza alle aree di scambio più grandi e privilegiate. - la soluzione si è trovata mettendoli nelle aree marginali
Tutto ciò non fa che aggravare le condizioni dell’habitat e e cingerle con alberi ad alto fusto così da non disturbare la
quindi ad un certo punto si cerca di frenare questo lento quiete del parco;
e progressivo degrado dello spazio urbano operando sulle - un’altra soluzione è quella di collocarle in aree centrali as-
aree verdi, costruendo così grandi oparchi pubblici. segnando loro un disegno e inserendole all’interno del pro-
Caratteri costitutivi dei parchi pubblici: getto del parco;
- delimitaziuone evidente affidata ad un’alberatura che svol- - un’altra, spiccatamente funzionalista, che ammette l’intro-
ge la funzione di una vera e propria cintura arborea che de- duzione di queste attrezzature in stretta relazione all’uso e
limita in modo netto l’area a parco rispetto all’abitato circo- all’intensità d’uso, tanto più o meno numerose rispetto alla
stante, fianche ggiata quasi sempre da un viale carrozzabile frequenza degli utenti.
che ne segue pedissequamente il perimetro, oppure che lo Dal punto di vista urbanistico questi parchi costituiscono de-
riecheggi; gli efficacissimi terminali dei grandi assi viarii, senza i parchi
- dal viale carrozzabile partono dei vialetti sinuosi con anda- i grandi assi rimarrebbero quasi incompiuti, senza esito o
mento tendenzialmente irregolare che finiscono con ritaglia- senza fine, ad esempio basti pensare a Roma dove la via
re delle aree erbose fusiformi; della dolce vita finisce incredibilmente su un muro, lo stesso
- molto spesso al centro del parco trova posto un laghetto Piacentini scrisse che le strade di Roma sono senza quel
artificiale, volutamente di forma irregolare per dare la sen- premio finale che nelle altre città invece è presente; a Parigi
sazione che sia molto più grande di quello che realmente è; tutto questo è pianificato, il verde gioca un ruolo importante
- dal punto di vista altimetrico si introducono delle leggere , o ad esempio gli Square che sono delle piccole piazze a
variazioni creando dei dossi,delle basse collinette, riuscendo verde che riproducono, sebbene in scala molto inferiore, il
in tal modo a chiudere un pò gli orizzonti visivi, creare par- sistema dei parchi urbani.
Porsi il problema della residenza significa anche porsi il problema del ruolo che la casa svolge nella scacchiera urbana, quindi
architettura e città sono due temi assolutamente inscindibili, ecco perchè molti dei manuali di storia dell’architettura sono,
forse, per alcuni aspetti superati, proprio perchè risentono ancora di un approccio tipico degli storici dell’arte molto attenta
alle grandi emergenze e ai grandi capolavori, mentre per noi è più importante operare con uno sguardo piu aperto e allargato
possibile per capore e cmoprendere meglio la storia dell’architettura, tenendo sempre presente però le singole eccellenze.

RUE DE RIVOLI’. C. Percier - l. Fontaine, 1811. I caratteri che cmpongono queste facciate sono:
L’Ottocento sul tema delle residenze produce diverse ri- - un edificio che propone letteralmente tutti gli elementi
sposte, la prima trasformazione che ha successo, nell’arco visti dagli architetti in un loro soggiorno a Roma e in Italia in
di tutto il secolo, è appunto l’edificazione di Rue de Rivolì. gnerale, aratteri riscontrabili nel tipico palazzo all’italiana, ciò
Percier e Fontaine formeranno un sodalizio molto importan- che viene dato ai costruttori sono una facciata e una sezione
te e affronteranno temi di ogni genere. Rue de Rivolì è im- tipo, che andranno rigorosamente seguiti per la realizzazio-
portante per noi secondo diversi aspetti, perchè dotata di ne;
un meccanismo di studio dello spazio urbano che non ha - 4 piani più un piano mansardato, portico ad arcate su pila-
più nulla dei meccanismi di produzione, spazio edificabile e stri di ampiezza costante (pari a circa 3m);
spazio urbano, messi in atto prima dell’Ottocento. Intanto si - piano terra impostato ad utilizzo per attività commerciali,
procede con l’idea di artisti rivoluzionarii che interverranno sono impedite attività che provocano fumi e cattivi odori,
puntualmente sulla città, ed è poi Napoleone che attuerà un si voleva che questa strada acquistasse un’eleganza che ri-
meccanismo che cambierà per sempre il volto di Parigi, cioè specchiasse il neonato impero napoleonico;
la Grand Croixè, che ha rappresentato lìatto concusivo di un - scansione tripartita che richiama il classico palazzo rina-
idea che nasce immediatamente dopo la rivoluzione france- scimentale, con un cornicione molto sporgente (qui i canoni
se e si conclude con l’edificazione dell’Arsc (Arco), quindi la italiani sono reinterpretati alla francese), sostituendo il ba-
rilevanza di un progetto che abbraccia due secoli. samento a bugnato con un portico continuo separandolo
Napoleone coglie l’importanza di sottolineare l’asse Est-O- nettamente dal fusto, fusto separato da basamento e coro-
vest, che partendo dalla Bastiglia e sviluppandosi verso namento mediante una sottile ringhiera appena aggettante
ovest lambisce il Louvre e poi piegando a gomito doveva e di cui gli arcgitetti disegneranno personalmente i motivi
continuare lungo l’asse dei giardini delle Tuilerì oltrepassan- della decorazione;
do poi la piazza con l’Arco di Trionfo e proseguendo poi oltre - il primo piano presenta delle aperture molto più generose
per fermarsi al parco del Puabulogne; un’asse di svariati chi- delimitate da cornici timpanate, gli ultimi due piani utilizzano
lometri, di importanza non solo urbana ma addirittura paesi- i balconi come se fossero delle fasce marcapiano che deli-
stica. mitano il piano attico, e come nel palazzo all’italiana il tetto
Si procederà con la realizzazione di questo importantissimo non si vede e quì gli architetti disegnano il tetto rientrandolo
asse “sventrando” un numero considerevole di abitazioni, e voltandolo a botte facendolo diventare così praticamente
talvolta rilasenti anche al tardo medioevo, si parla di circa invisibile, utilizzando questo espediente si fa si che la strda-
500 demolizioni, secondo l’asse rigorosamente rettilineo da diventi più luminosa.
con l’imposizione di un apparato uniforme a ridosso di quello Questo modello avrà un grandissimo successo, tanto che
che restava delle case sventrate. Dal punto di vista edilizio sarà ripreso da innumerevoli edifici avendo un largo eco in
è come se giustapponesse alla maglia muraria delle vecchie tutta la Francia e anche in Europa, le innovazioni apportate
abitaznioni una nuova facciata che risponde a quei requisi- nelle grandi capitali europee finiranno tutte più o meno ad
ti che Napoleone stesso progettò con i suoi due architetti, assomigliarsi, non attecchendo però sulle piccole e medie
requisiti intoccabili come se fossero dei regolamenti edilizi realtà
odierni.
Abbiamomparlato di case a schiera ma il portato altrettanto interessante, se non di più, dell’Ottocento è quello della casa
unifamiliare, il tipo edilizio che ha consumato più suolo in assoluto nelle nostre città. Il tema della casa unifamiliare, o villino,
è un tema di grande rilievo, ad esempio i primi piani regolatori contengono al loro interno zone di espansione per soli villini
(Piano di Londra 1809); la casa unifamiliare però è stato un ottimo laboratorio per l’Ottocento perchè in linea di massima ci
ha lasciato case molto ben costruite e soprattutto molto ben concepite dal punto di vista tecnico-strutturale e sia dal punto
di vista distibutivo, sono state un’ottima sintesi di saperi ottenendo il masssimo risultato con il minimo sforzo.
Su questo tema si misureranno anche i grandissimi architetti del tempo, ed anche questa è una novità, architetti come
Schinkel o Nash, che erano al lavoro per la corona, hanno prestato il loro servizio anche per la ricca borghesia elevando una
produzione che era stata fino a quel periodo commissionata alle maestranze, secondo questioni tramandate da generazione
in generazione.
In Inghilterra nasce la cosiddetta casa “Back to Back”, cioè unità unifamiliari poste spalla a spalla per sfruttare al massimo la
volumetria del lotto edificabile adottando un’edificazione di tipo perimetrale, spesso questo tipo di edificazione darà esiti di
eccessiva saturazione degli spazi.

RESIDENZA ESTIVA PER GUGLIELMO III DI Edificio dove sono evidenti un fronte e un fianco, edificio go-
PRUSSIA. K. F. Schinkel, 1830. Edifico molto sempli- vernato da una doppia simmetria bilaterale; sull’asse princi-
ce, come negli edifici parigini è presente una balconata con- pale ritroviamo lo stesso fronte con una loggia delimitata da
tinua con una ringhiera sottilissima, utilizzata per marcare il colonne ioniche che verrà riproposto anche sul retro, men-
passaggio tra basamento e primo piano. I suoi riferimenti tre sui fianchi variano leggermente ma anch’essi speculari.
sono sicuramente palladiani, di rinascenza meridionale data Si parla quindi di una costruzione a tipologia centrale, per
dal fatto che il tetto sembri piatto e il balconcino con la rin- marcare questa centralità, ricordando gli esempi di Palladio
ghiera in ferro, oltre alla tinta chiara, l’ordine classico, le per- che al centro metteva immancabilmente un grande spazio,
siane alla romana, cioè tutti i caratteri italiani che Schinkel Schinkel attento al funzionalismo colloca le scale, che diven-
adotta, su suggerimento di Carlo III dopo la visita a Napoli e teranno cardine e principio per la composizione.
dintorni.
RED HOUSE. P. Webb, 1859-60. Primo luogo d’appli- diana, mentre la disposizione in successione degli ambienti,
cazione della sinstesi tanto studiata da Morris è la casa che affiancati da un lungo corridoio che li mette in connessio-
egli si fa costruire da Philip Webb. In realtà la collaborazione ne, evita lo scomodo attraversamento delle diverse stanze
tra i due raggiunge un così alto livello d’integrazione da ren- e riflette i principi di “organicità” e “neutralità” ruskiniana.
dere difficile stabilire in maniera certa il peso dei rispettivi Più in generale, in tutti i suoi elementi, la Red House è im-
apporti: l’idela della pianta ad L secondo cui si dispone la prontata ad un recupero di caratteri romanici e gotici, ma
Red House (il nome deriva dai mattoni rossi lasciati a vista rivisitati secondo quei canoni di “rudezza”, “onestà” e “mu-
sulle facciate) è tuttavia senz’altro da attribbuire a Webb, tevolezza” che proprio per Ruskin costituiscono alcuni tra gli
trasformando uno schema poco articolato in un pratico im- elementi morali del gotico. Ma è soprattutto nella collettività
pianto distributivo, adatto ad incarnare le necessità della vita dell’intervento sugli arredi interni che la casa per Morris mo-
individuale moderna (non a caso questo tipo di pianta verrà stra di avsre come proprio paradigma il lavoro medioevale:
ripreso dai successivi esponenti del movimento Arts and Webb progetta - e in certi casi addirittura reinventa - i mobili,
Crafts). “solidi e pesanti come una roccia”, e gli altri oggetti d’uso.
La decisa asimmetria rappresenta una dichiarazione di indi-
pendenza dai modelli precostituiti dalla tradizione neopalla-
FAMILISTERIO. J. B. Godin, 1858-80. L’Ottocento è La tipologia è quella della casa a ballatoio con i corpi di scala
anche il secolo delle grandi utopie, da non confondere però collocati negli angoli, che servono ciascun piano del ballatoio
con quelle dei secoli precedenti, si tratta di “prefigurazioni” continuo che è l’elemento distributivo e di accesso fonda-
di un possibile futuro. mentale ai singoli alloggi. Ogni appartamento consta di un
Il Familisterio è una delle poche visioni utopistiche che si piccolo bagno, un letto ed una seconda camera, quindi due
siano avverate nella realta, si tratta di un’utopia sociale, la camere con doppio affaccio (questo dettato dalle teorie ige-
realizzazione di una specie di città operaia sorta a ridosso di nistiche che vogliono che un buon appartamento sia perfet-
un complesso industriale. Godin era un industriale e anche tamente arieggiato). Molto interessante è la soluzione della
un estimatore delle teorie socialiste, che oggi chiamerem- grandissima corte coperta dal lucernaio in ferro e vetro che
mo pre-marxiste, il socialismo utopistico. Quello che si im- trasforma questa corte in una sorta di piazza coperta.
maginava Godin era una città, o meglio, dei blocchi edilizi in Siamo di fronte ad una tipologia abitativa “ibrida”, poichè
forma di palazzo che delimitano su tre lati una grande piazza riunisce in se tipi edilizi diversi, es. dalla tipologia conven-
intesi come abitazioni semicollettive concepite unicamente tuale di concepisce più ali riunite attorno ad un cortile. con
per dormire e soggiornare nelle ore libere dal lavoro, ma pri- l’inserimento dei ballatoi continui richiama in qualche modo
ve di servizi come cucina, bagni, perchè i servizi fondamen- la ripresa della distribuzione che serve quasi a teatralizzare
tali si concentrano su volumi e corpi di fabbrica esterni insie- ciò che avviene all’interno della corte, il grande lucernaio in
me ad altri servizi fondamentali come teatro, cucina, scuola, ferro e vetro che richiama le grandi sale di esposizione; il
insomma tutti gli elementi di una buona utopia sociale. familisterio, a dispetto delle forme che ci appaiono normali
A nord della piazza, in asse, sono posizionati tre blocchi a e forse anche un po scontate, ci interessa soprattutto per
4 ali, tutti collegati tra di loro e riuniti attorno ad una corte, la concezione e il complesso di idee, quello che è molto in-
e tutti coperti da un lucernaio in ferro e vetro; al di la della teressante è l’uso e la manipolazione dei materiali, prendo
strada, cioè nell’altra metà della piazza, sono dislocati i servi- le tipologie elencate prima e riesco a tradurle in una sintesi
zi e le attrezzature per la popolazione residenziale; la strada creando un tipo edilizio nuovo ed inedito nel funzionamento,
collega questo complesso direttamente con la fabbrica, che nel significato e nelle finalità.
si trova sulla sponda opposta del fiume, ad una distanza tale E’ proprio questo il punto interessante di questo secolo, non
da consentire agli operai di raggiungerla facilmente a piedi; può essere lo stile la chiave interpretativa e di lettura delle
il tutto tenuto insieme da aree verdi che fungono da tessuto opere prodotte.
connettivo. Il familisterio e tutt’oggi esistente e utilizzato.
SIUDAD LINEAL. Soria Y Mata, 1882. Qui siamo
di fronte ad un’utopia a cui Le Corbusier presterà molta at-
tenzione.
Soria Y Mata immagina uno sviluppo lineare di Mardid su un
asse, che poi diventa un asse attrezzato, di cui elaborerà tut-
ta una serue di sezioni trasversali per far capire al meglio la
sua idea progettuale e il funzionamento di questo asse. Una
grande e larga strada dove circolano pedoni, veicoli, tram su
rotaie, tutte carreggiate divise da aiuole spartitraffico, diven-
tando quasi una strada/parco.
Un’edificazione marginale, sostanzialmente uniforme, fa-
cente capo ad una lottizzazione regolare; immaginando uno
sviluppo virtualmente infinito di Mardid, per Mata i vantaggi
di questa soluzione sono: eliminando il centro si elimina il
discorso della rendita dei lotti per posizione, cioè chi ha una
casa al centro vale di più mentre chi ha una casa in periferia
vale di meno.
Mettendo insieme diversi immobiliaristi riesce a costruire
solo un tratto della sua utopia, lungo solo 5 km, e tutt’oggi
esistente. Interessante è la sintesi con cui Mata è riuscito
a realizzare un sogno in un’impresa di successo, e anche il
tipo di edificazione, poichè si fa riferimento alla sola casa
unifamiliare.

L’ARTE DI COSTRUIRE LE CITTA’. Camillo Sit-


te, 1889. Camillo Sitte era il direttore della scuola profes-
sionale di stato di Vienna, un polemista del Ring, una fucina
di idee. Esemplifica molte caratteristiche degli usi del tem-
po, esempio sezioni stradali inusitate e le grandi piazze che
nulla hanno a che fare con la tradizione storico medioevale.
Sitte è il primo in assoluto a parlare di “estetica urbana”,
cioè città come opera d’arte, il suo testo più noto parla ap-
punto della costruzione della città, rimprovera agli urbanisti
e architetti suoi contemporanei il fatto che non hanno com-
preso la lezione che viene dall’Italia e soprattutto dai piccoli
centri e città di impianto medioevale, ad esempio la tipica
Piazza Italiana.
Se andiamo a vedere le piazze italiane di origine medioevale,
anche se improntate con diverso modo e diverse caratte-
ristiche, hanno tutte di tratti comuni, cioè essere “piazze
chiuse”. Del contributo di Sitte si è parlato di “ecologia so-
ciale”, egli avrà un grande eco ma alla fine nelle città ci sran-
no pichi interventi che terranno conto degli scritti di Sitte.
Sul manoscritto possiamo trovare studi sul posizionamento
delle statue o fontane in una piazza, lui rimprovera a tut-
ti i suoi coetanei di piazzare queste due al centro preciso
della piazza, prima, invece, nessuno mai si sarebbe sogna-
to dimmetrle in posizione centrale, ma dovrebbero essere
posizionate in posizione periferica dove sguardi e visuali
prospettiche si incontrano per conferirle un giusto e mirato
posizionamento. Sitte elaborerà degli schemi correttivi per il
Ring di Vienna, che ovviamente non saranno presi in consi-
derazione.
TO-MORROW. E. Howard, 1898. Avrà un grande suc- Avenue, delle case unifamiliari organizzate secondo i modi
cesso, soprattutto in America, un impianto che avrà grande delle terrace inglesi, o dei cressent, all’estrema periferia una
successo nel 900 e ancora oggi ci sono degli emepi (Garba- grande strada di circonvallazione, Circle Railway, trova posto
tella a Roma), concepiti secondo i modi della città-giardino. la ferrovia, le industrie e i luoghi di produzione sono ancora
Questa teoria nasce da una semplice riflessione, i 3 magne- più esterne. La città-giardino di Howard trova una prima ap-
ti. plicazione nella città di Letchworth, che sarà affidata ad un
In alto a sinistra e in alto a destra Howard lenca pregi e difet- grande architetto dell’epoca che ci ha lasciato un manuale
ti del vivere in campagna e in città, in basso la città-giardino contenente schemi di assoluta utilità.
che doveva prendere il meglio di entrambe le forme abita- Sulla città-giardino si concentrano tutte le ideologie contro
tive. la città industriale, si è visto che nella città-giardino vi è la
Che forma ha la città-giardino nell’immaginario di Howard? massima espressione dell’antiu urbanesimo, e che avrà un
Tipo di città-giardino collegate alle altre città-giardino da 6 grande eco oltreoceano, ad esempio la Broadacre City di
assi radiali che partono da un centro, Central Park, e poi su Wright risente di questa ideologia.
due anelli concentrici serviti da una grande strada, Grand

TOUR EIFFEL. C. Rohault de Fleury, 1833. Inizial-


mente Eiffel aveva pensato alla torre come una piattaforma
in acciaio sostenuta da 4 arcate poggianti su piloni indipen-
denti, poi cambia idea e realizza 4 curve asindotiche che
convergono in una lanterna terminale e per reciproca azione
determinano la stabilità dell’opera. Con un comportamento
statico di questi tipo le arcate non servono a nulla, sono solo
l’ultimo tributo che l’architettura del ferro versa alla tradizio-
ne, una sorta di specchietto per le allodole per coloro che
definiscono la torre un’infamia, e ne saranno tanti.
L’unità compositiva minima della torre è il “nodo”, la tor-
re si può restituire secondo un abaco caratteristico di nodi,
d’angolo, centrali, periferici, che consentono di formalizzare
il tutto.
SERRE JIARDIN DES PLANTES. C. Rohault de
Fleury, 1833. Questo progetto è un’anticioazione sorpren-
dente a molti modi di fare futuri, se eliminiamo quella spe-
cie di merlettino sul coronamento non è rimasto più nulla
dell’armamentario di forme e decori della tradizione classi-
ca. Vi è una forma attenta alla modulazione degli spesso-
ri, membrature portanti, montanti, infissi e orizzontamenti
dove tutti gli spessori e le distanze tra gli elementi dettano il
ritmo e la rogressione degli elementi in rilievo della facciata.

CRYSTAL PALACE. J. Paxton, 1851. Benchè inca- Il Crystal Palace non esprimeva una soluzione formale par-
ricato all’ultimo momento di progettare il Crystal Palace, Pa- ticolare: era piuttosto un processo costruttivo reso esplicito
ton fu in grado di presentare, in soli otto giorni, un’enorme quale sistema totale, a partire dalla concezione, della prefab-
serra ortogonale a tre gradoni. Il perimetro vetrato era con- bricazione e del trasporto iniziali, fino alla costruzione e allo
tinuo, eccezion fatta per i tre portici d’ingresso disposti sim- smantellamento finale. Come gli edifici ferroviari a cui era
metricamente. Durante l’elaborazione si dovette rivedere il imoarentato, consisteva in un sistema altamente flessibile
progetto per conservare un gruppo di alberi annosi: poichè di componenti. La forma complessiva era strutturata attor-
quanro restava dell’opposizione alla Grande Esposizione del no ad un modulo fondamentale di rivestimento di 2,4 m,
1851 sollevò la questione della salvaguardia degli alberi, Pa- montato secondo una gerarchia di campate strutturali che
xton capì rapidamente che questi problemi potevano essere variavano da 7,3 m a 22 m. La sua realizzazione, che richie-
risolti con facilità da un transetto centrale con un alto tetto se appena quattro mesi, fu semplicemente un problema di
curvo; emerse così la doppia simmetria della forma defini- produzione di massa e di montaggio sistematico.
tiva.
NEOCLASSICO, ROMANTICO, PITTORESCO: CATEGORIE INTERPRETATIVE
E COMPLESSITA’ DEI LINGUAGGI. IL REGNO UNITO.

JOHN SOANE. John Soane ha operato tra gli ultimi anni del 700 e i primi dell’800, negli anni a cavallo tra i due secoli fece
la sua fortuna professionale. E’ uno di quegli architetti che ha fatto il viaggio a Roma dove studia molto approfonditamente
nei modi e nelle forme l’architettura milanese.

TRIUMPHAL BRIDGE. J. Soane. Questo esempio


ci dice un pò come lavora Soane, la cifra caratteristica del
suo metodo progettuale, in questo ponte convivono diverse
tradizioni, sotto quella romana classica e sopra quella greca
classica; una giustapposizione di elementi antitetici, compli-
cando ancora di più gli elementi è presente in lontananza
una cupola che fa pensare ad una tipologia centrale. Tra gli
archi trovano posto delle anfore dalle forme assai strane,
che ricordano quelle viste nelle tavole fantastiche del Pira-
nesi.

BANK OF ENGLAND. J. Soane, 1792-1818. Edi-


fica in un enorme isolato occupando l’intera area e organiz-
zando in una vasta serie di ambienti adottando, in modo mi-
rato, una serie di motivi distributivi.
La pianta. Come utilizza l’ordine architettonico e dove lo
posiziona: il posizionamento dell’ordine testimonia la mo-
dernità dell’approccio, l’ordine è come espulso dall’edificio,
addossato alla facciata e senza più nessuna integrazione, nè
strutturale, nè nell’articolazione spaziale, poichè le sequen-
ze ritmiche degli elementi non trovano sempre riscontro tra
interno ed esterno, ad esempio sull’avancorpo centrale tro-
viamo una sequenza ritmica che si ripete sia a destra sia a
sinistra, ma i quella a sinistra non trova riscontro con la pian-
ta interna dell’edificio, riporta in auge il tema della indipen-
denza della facciata rispetto all’involucro murario. Presenta
il tema come un’enorme rudere, denunciando di fatto le sue
preferenze in termini culturali e d è assimilata quasi alle rovi-
ne di un grande complesso termale.
Gli interni. Per esigenze di sicurezza la banca d’Inghilterra
gli impine delle facciate mute, e lui risolve il problema della
luce tramite l’illuminazione dall’alto, ricorre ad una serie di
lucernai e cupole vetrate e che costituiranno un tema pro-
gettuale e di ricerca attorno a cui ruoterà tutta la sua opera
fino all’ultimo contributo. L’ordine architettonico è scompar-
so e al suo posto troviamo delle incisioni che partono da
una bassa zoccolatura e senza soluzione di continuità defi-
niscono sia il fusto in altezza si l’archivolto, queste incisioni/
modanature sono usate per marcare i punti di discontinuità
tra le superfici, poichè questa è un’architettura prevalente-
mente di superfici.
Quello che colpisce è l’invezione di una volta su pennacchi
sferici staccata dalle pareti perimetrali, l’uso di questa vol-
ta costituisce il vero tema della sua ricerca, che svilupperà
nella casa che realizzerà per se, che prima della sua morte
donerà alla municipalità e tutt’ora esistente e perfettamente
conservata.
LINCOLN’S INN FIELD. J. Soane, 1792-1824. Per La facciata rivela il carattere rivoluzionario dell’architetto, in-
realizzare queste volte staccate utilizza dei “coni in terracot- nanzitutto l’ordine è assente, basamento semplicissimo con
ta”, che sono degli elementi cavi e molto leggeri montati tre arcate prive di modanature, che si ripetono al piano supe-
a sfilari sfalzati per realizzare delle volte, oltre che essere riore divise da semplici incisioni come se fosse una lastra di
sottili, leggerissime e che gli consentono di limitare notevol- gesso incisa da uno scultore in procinto di lavorare a basso-
mente il peso proprio e quindi limitare le spinte, staccando rilievo; per contrasto, ai lati dell’avancorpo centrale, due ali
la volta dai muri e facedo dei pennacchi sferici, deputati a prive di terminazioni che potrebbero ripetersi fino all’infinito
convogliare gli sforzi di compressione, è costretto a limitare e finisce cosi quasi con l’anticipare tendenze che saranno in
per forza il peso e studia e propone questo dispositivo, che voga negli anni successivi. Utilizza, per la facciata, il mattone
gli consente di realizzare nella sua casa volte che poggiano faccia-vista, che a Londra era utilizzato solamente nell’archi-
in quattro angoli lasciando, quindi, liberi i quattro lati consen- tettura minore e utilitaria e non certo per l’edilizia residenzia-
tendo così alla luce di entrare dall’alto e ottenere quell’effet- le di pregio.
to di impossibilità di capire quale sia la finte di luce.

DULWICH GALLERY. J. Soane, 1811-12. Museo Il museo ha una distribuzione molto semplice, che diven-
che si sviluppa su un solo livello, privo di colonnato e portici; terà canonica nel corso dell’Ottocento, una serie di sale “ad
la parete presenta dei risalti, una sorta di paraste ma prive infilata” con illuminazione zenitale e pareti che fungono da
di capitelli, arcate mute e prive di cornici. Rispetto al Lincol’s piani di allestimento; sul retro invece trovano posto le stanze
Inn Field, che era un’architettura di superifici, questa è un’ar- dove si riparano le cornici, i depositi, i locali tecnici, con una
chitettura composta per giustapposizioni, come l’avancorpo netta differenziazione tra i due fronti.
centrale che è volutamente addossato e che gode di una
propia autonomia.
DOWNING COLLEGE. W. Wilkins, 1807-21. NATIONAL GALLERY. W. Wilkins, 1836. La pianta
Wilkins è uno degli architetti inglesi responsabili del revival denuncia e riecheggia i modi della composizione barocca,
greco in Inghilterra, e lo fa con il Downing College. Facciate anche se le ali, invece che essere avanzate sono arretrate,
molto solide affidate a poche membrature in rilievo, fasce c’è una tripartizione evidente del corpo di fabbrica ed un uso
marcapiano, cantonali d’angolo e unico elemento neogreco evidente degli stilemi del dorico.
l’avancorpo centrale esastilo che richiama i fronti dei templi.
Lo stile è applicato ma senza variazioni.

BRITISH MUSEUM. R. Smirke, 1823-47. Pianta. funzionali e che il gioco di luci e ombre abbia effetto i fronti
Classico edificio a quattro ali che racchiudono al centro la bi- devono essere privi di risalti in modo da esaltare, invece, il
blioteca. Gli esterni dettati dal Greek revival. Negli anni ses- riverbero dell’intelaiatura e si decide appunto di ritoccare i
santa lo spazio antistante era occupato da un parcheggio, la fronti, ciò ha richiesto una differente tinteggiatura e uso dei
sala di lettura era ispirata ai modi del Phanteon. materiali. Foster tanto è coraggioso nel senso di ridefinire
Nella ristrutturazione affidata a Foster si concentra sullo spa- la Reading Room, tanto è conservatore nel restauro degli
zio antistante e sullo spazio della Reading Room, per dife- spazi esterni che lui recupera esattamente secondo i modi
nirne l’uso, sono gli anni in cui Foster lavora sul tema della e le forme pensate da Smirke, quindi elimina il parcheggio,
grande copertura vitrea, il tema è trasformare un esterno in ricompone il parato antistante all’ingresso principale con un
un interno e anche i fronti con gli avancorpi a colonne fini- basso muro e la strada viene resa pedonale, fa quello che
scono per assumere un significato completamente diverso. noi chiamaiamo restauro conservativo, cioè ripristina esatta-
Gli effetti di luce, ad esempio l’ombra proiettata dall’arma- mente le forme originali ottocentesche, mentre si concede
tura reticolare della copertura sui fronti stessi che costitu- maggior libertà all’interno.
isce un elemento di riflessione, perchè questi fronti siano
GOTHIC REVIVAL. Il gotico in Inghilterra non ha mai parlando dell’architetto Jhon Nash. A quest’epoca è già
subito delle brusche interruzioni. Il gotico nell’Ottocento si un architetto maturo, ha quasi 60 anni. Realizzò inizialmente
sposa così con le pulsioni romantiche che si manifestano una serie di villine in Gothic Revival, il Luscombe Castle
nell’arte in generale, riuscendo ad interpretare quello che nel Devonshire; realizza anche dei cottage come il Bristol
noi oggi definiamo “Pittoresco”.
Blaise Hamlet, il cottage è uno dei tipi edilizi responsa-
Il pittoresco in architettura segue, appunto, i modi della
bili di una grande espansione di Londra nell’Ottocento, cioè
composizione pittorica, cioè i contrasti evidenti, le volute
l’espansione delle ville isolate, questa espansione assume
asimmetrie, i ricorso alla forma-colore che definisce i diver-
nel tempo, dal punto di vista tipologico, un’espansione di-
si elementi della composizione e in architettura forma dei
versa poichè inizialmente si tratta di ville patrizie, con il tem-
volumi sufficentemente articolati, che poi troveranno vasta
po queste forme si declineranno anche a classi meno agiate
applicazione negli Stati Uniti, finendo con influenzare perfino
come quelle della media e piccola borghesia, prima non si
Wright, in particolare con le Prairie House.
era mai visto che un architetto che ha lavorato con la corona
Uno dei protagonisti di questa stagione è un gigante dell’e-
faccia anche progetti per piccole abitazione nelle campagne
poca e che firma il primo grande progetto urbano della prima
e per classi sociali così disparate.
metà dell’Ottocento a Londra, cioè il poano Regent, stiamo
PADIGLIONE REALE DI BRIGHTON. J. Nash, Non mancano però soluzioni innovative, come lo è la scala
1815-23. Nella sua planimetria riflette quelle giustapposi- interna centrale che esibisce l’armatura interna in ferro, per
zioni tra i due fronti, sia in termini distributivi che in termini la prima volta in un padiglione reale non è mascherata, ma
formali. Il fronte che da sul parco, con questa giustapposi- esibite nel suo materiale costruttivo, una manifestazione di
zione e frequenza di volumi, che alcuni critici hanno tradotto forma-struttura-materiale in segno di assoluta sincerità del
nei termini di “sequenze per blocchi ritmici”, che è una ca- procedimento; ci sono anche soluzioni fantasiose e bizzarre,
ratteristica dell’architettura di Nash (che peraltro ricompare che fanno pensare al divertimento dell’architetto nell’eser-
sotto altre forme anche nel progetto di Regent Street), ci cizio della professione, cioè le colonne in ghisa a forma di
sono dei volumi/blocchi virtualmente finiti e autonomi posti palma che sorreggono il tetto delle cucine e il lucernaio.
in sequenza, giustapposti gli uni con gli altri, tenuti insieme
da una ridondanza di alcune forme stilistiche tipicamente in-
diana che sono come degli elementi lessicali.

PIANO REGENT. J. Nash, 1811-27. Londra all’inizio Regent Park. Il progetto preliminare è un progetto come
era una colonia romana, Londinium, cioè l’area che oggi co- lo faremo noi tra le mura dei nostri studi, il progetto definiti-
nosciamo con il nome della City londinese. Nel 1766 divam- vo, invece, è un progetto di compromesso.
pa il grande incendio di Londra che ne distruggerà i 4/5 della 1. Tutti i riccioletti sono la vegetazione nel parco, la campi-
città. Dalla metà del 700 e per buona parte dell’800 a Londra tura a linee diagonali si riferisce agli specchi d’acqua; le parti
vi è una discrepanza tra crescita demografica ed edilizia, che più scure in alto il crescent, il cerchio, le barre in sequenza
non andranno mai a pari passo. sulla destra, la sorta di L in basso.
Il principe reggente, in questo nuovo quadro evolutivo del- 2. Le parti nere sono assimilate sia agli specchi d’acqua che
la città, non assiste passivo all’aggressività della borghesia le edificazioni che continuano ad essere di tipo perimetrale.
imprenditoriale nella gestione del suolo urbano, siccome la La seconda soluzione è senza dubbio un notevole salto in
corona vantava di molti possedimenti territoriali decide di avanti di maturità, il primo progetto è molto più rigido rispet-
lanciarsi in un’impresa a carattere speculativo, utilizzare al- to al secondo, il punto di attacco con l’edificato costituisce
cune aree della corona per utilizzarle come lottizzazione per l’episodio che invita lo sguardo dell’osservatore ad entrare
poi venderle sul mercato con un’edificazione privata oper un nel parco. Il progetto si articola anche dal punto di vista ti-
pubblico diversificato, dalle aree di pregio per la ricchissima pologico, Nash decide di realizzare una serie di Crescent
borghesia fino alle aree per le classi operaie, che sarà resa (successione di case a schiera mascherate da una facciata
partecipe offrendo e assicurando i propri servigi ai residenti uniforme resa tendenzialmente monumentale) che delimita-
più facoltosi. no l’intera area del parco; poi sul limite orientale del parco a
La corona vantava la proprietà di due aree, una più estesa diretto contatto con la città, due piazze mercato, e a ridosso
più a nord e un’area a sud dove vi era una residenza impor- di queste, le residenze operaie; sul limte nord un canale na-
tante, poi distrutta; l’idea del principe era di collegare l’area vigabile che consente l’arrivo delle merci prodotte nel terri-
nord con la Carlthon House attraverso un’osse viario, pos- torio e per ultimo vi è anche un terminale ferroviario nelle
sibilmente rettilineo da realizzarsi con la tecnica urbanista vicinanze dell’area.
dello Sventramento con rifacimento dei fonti, nobilitandoli. Regent Street. Il parlamento emana un decreto per l’e-
La manovra speculativa era ben definita: iniziare con la parte sproprio per pubblica utilità di quelle aree, però non tale da
nord dei due possedimenti, congelando delle aree aspettan- imporre l’esproprio anche alle potenti familie nobili londine-
do che la rendita fondiaria cresca, nell’attesa però realizzan- si, così il progetto finisce per diventare una strada con anse
do le opere di urbanizzazione primaria e facendovi arrivare e curve, per non intaccare le proprietà dei potenti. Succes-
il trasporto pubblico, a quel punto la speculazione avviene sivamente, data l’impossibilità di creare un’asse rettilineo
a macchia di leopardo, in modo da interessare l’area intera. Nash ripensa a come allestire questa quinta scenica sulla
In tutto questo Nash gioca un ruolo importante, non solo città, il risultato è che queste curve ed anse diventeranno le
dando risposte architettoniche concrete dalle domande di caratteristiche dipiche della strada. Nash non si accontenta
Giorgio IV riuscendo a sacrificare qualcosa ma lasciando, di una difformità casuale dei fronyi lungo l’asse, ma come
pressocchè inalterato, il carattere complessivo dell’impianto nel padiglione reale, immagina la strada come una sequenza
che ancora oggi rappresenta una delle parti più caratteristi- spaziale di blocchi ritmici, una sequenza di architetture con-
che di Londra; quando chiederanno a Nash di accompagnare cepite per parti, fronti stradali ritmati da membrature (colon-
con uno scritto il suo progetto egli lo descriverà come una ne , portici, finestrature e balconate.
scena teatrale dove il mormorio e il movimento dei cittadini
diventano protagonisti, la strada è diventata la vera protago-
nista dell’architettura dell’800.
ALL SOULS CHURCH. J. Nash, 1822-24. Il gusto
di Nash tra forme a reciproca opposizione è data da questa
chiesa, che ha una pianta piuttosto bizzarra. In pianta vedia-
mo una sorta di pronao tradotto nelle forme di un tempio
rotondo con peribolo interno (quasi una sorta di tempietto
rotondo come quello di Bramante) che è giustapposto ad
una pianta quadrata divisa in tre navate da una serie di esi-
li colonne; la pianta è una sorta di contrapposizione di due
figure geometriche elementari, cerchio e quadrato, senza
cercare una compenetrazione tra le due matrici, il contrasto
è reso manifesto, violento e voluto, e con assoluto coerenza
Nash riporta questo contrasto anche nell’alzato, opponendo
ad un blocco primario e compatto, una rotonda con un cor-
po sovrapposto che è un volume stridente che riecheggia
il volume sottostante ed è l’unico elemento che mette in
comunicazione in due blocchi in opposizione, tanto è aereo il
volume d’ingresso, tanto è compatto il volume della chiesa.
Eden Nesfield e Norman Shaw diventeranno famosi come architetti di case per una fascia sociale ben precisa, cioè la
borghesia arricchita che voleva vivere nei dintorni delle grandi città industriali e ciò è stato possibile soprattutto grazie alla
costruzione delle ferrovie che consentiva loro un pendolarismo giornaliero, per sfuggire ai miasmi e all’inquinamento della
città industriale.
I caratteri ricorrenti di queste case sono:
- il “tile hanging” (piastrelle pensili), che sono utilizzate per il primo piano montate a sormonto al protezione del piano sot-
togronda;
- il piano inferiore, trattato a mattoni e spesso smaltati o tinteggiati;
- le finestre sono a riquadri;
- tetti a forte spiovente;
- comignoli che spiccano di molto sopra il tetto.
SHIPLEY HALL FARM. E. Nesfield, 1860-61. Con KINMEL HALL. E. Nesfield, 1860-61. Nesfield alla
questro progetto Nesfield si fa notare. La casa richiama le fine dei suoi anni introduce delle varianti nei suoi progetti.
forme dell’architettura rurale, nello specifico, la casa rurale Mescola elementi propri del Rinascimento Inglese (timpani
incentrata su una corte. Ciò che spicca è il mattone faccia-vi- su mensole e finestre rigorosamente incorniciate, gli abbai-
sta, le fasce marcapiano semplici, i bow-window a marcare ni) fanno da contrasto alla tipica tessitura di mattoni , che
alcune testate, i tetti a forte spiovente e gli alti camini. però sono declinati in modo diverso, es. la sottolineatura dei
cantonali d’angolo.
Secondo Frampton Nesfield è testimone di una sorta di in-
terpretazione di Maniera dell’architettura di Webb, cioè la
Red House, maniera intesa come un’imitazione dell’opera
di un maestro condotta senza aggiungere nulla di origina-
le o personale, però se ci si ferma ad un’analisi solamente
esteriore allora vi è la verità sulla maniera, che è originale e
che influenzerà molta architettura dei decenni successivi, è
l’intelligenza distributiva e il modo di confezionare la pianta.
LEYSWOOD HOUSE. N. Shaw, 1866-69. Propone
il tipo di abitazione a porta aperta, a più ali affiancate attorno
ad una corte, aperta su un lato. Rispetto alla Red House, che
era organizzata su due braccia, la Leyswood è organizzata
su tre corpi di fabbrica ciascuno dei quali riunisce una serie
di ambienti omogenei e lo fa utilizzando una scala come ele-
mento cardine attorno alla quale si addensano gli ambienti.
Hitcoc scriveva “la distribuzione delle piante di Shaw mostra
una strategia agglutinante, ciò che mira a tenere insieme
alcuni ambienti ad altri per funzioni omogenee dislocandoli
nella pianta in parti distinte e giustificate del sistema di cir-
colazione.
LA FRANCIA DAL I° IMPERO ALLA BELLE E’POQUE: IL RINNOVAMENTO
DELLE STRUTTURE DELLA NAZIONE.
Una data importante nella storia di Parigi è il 48, un’idea di Nazione nasce proprio in quegli anni; dopo tre giorni di barricate
dove il popolo parigino mette a ferro e fuoco la capitale, la monarchia cade e il popolo assiste alla vittoria della II rivoluzione
francese e viene proclamata la repubblica e Luigi Napoleone Bonaparte (Napoleone III) si candida alla presidenza vincendo.
La Repubblica appena instaurata durerà poco, poichè nel 2 Dicembre 1851 fa il colpo di stato imponendo la sua dittatura per-
sonale, che durerà fino al 1870. E’ un periodo, questo, per la Francia e in particolare Parigi, pieno di sviluppi e trasformazioni
molto profonde; la dittatura infatti coincide con i “grandi lavori” di Parigi, resi possibili grazie al braccio destro di Napoleone,
il barone Hausmann, secondo gli assetti urbanistici ed edilizi.
Il PIANO HAUSSMANN, 1851-1869. I punti per il vrapporre questa intelaiatura così forte bisogna procedere
grande piano di Hausmann per Parigi sono: obbligatoriamente con sventramenti ed espropri per pub-
1_la realizzazione della “grand croise”, cioè il prolungamen- blica utilità;
to dell’asse viario delle Tuelerì verso est fino alla piazza della 3_ci sono tre tipologie stradali su cui si fonda il piano Hau-
Bastiglia, per consolidare e monumentalizzare un’asse smann: 1) il boulevard ad anelli concentrici, che sulla pianta
che aveva già tutti i caratteri per esserlo; di Parigi
2_creazione di un’asse nord-sud, procedendo attraverso la assume una forma tendenzialmente ovoidale o ellittica; 2)
tecnica dello sventramento, per collegare il nucleo di Parigi, la Grand Croisè che è l’elemento di forza centripeta; 3) per
incentrato sull’Ille de la Citè, fino a raggiungere la Gare collegare
dell’Este; questi, e dare vita ad un perfetto percorso viario cittadino,
3_isolamento dei monumenti ( che poi diventerà la norma delle radiali di collegamento.
delle pratiche del 900), attuato con l’abbattimento degli iso- Per caratterizzare questa intelaiatura in termini architettonici
lati limitrofi e urbanistici si può procedere con “l’isolamento dei monu-
e regolarizzazione dei fronti, nei quali verranno usati spes- menti” e facendo in modo che questi finiscano per essere
so dei linguaggi manieristici, trasformando i monumenti in non solo degli snodi, ma facendoli diventare anche fondali
poli visivi scenici per i grandi assi viari.Le piazze assumono la caratte-
come terminali di assi viarii tendenzialmente rettilinei; ristica di spazio dinamico dei flussi urbani di persone e cose,
4_apliamento dei grandi mercati centrali; al contrario di come erano state concepite le piazze nelle
5_realizzazione del Boulevard Sebastopol; epoche precedenti.
6_valorizzazione dei parchi cittadini, in particolare i due gran- Ma per le dimensioni della Grand Croisè, le piazze terminali
di parhci collocati ad est ed ovest di Parigi, destinandone non possono essere che parchi urbani che hanno la funzione
uno, ad di terminali monumentali; in più Hausmann incarica l’inge-
ovest, ai quartieri alti e l’altro, quello ad est, come fulcro gniere di progettare degli spazi verdi attrezzati, di dimensioni
del quartiere operaio; ridotte e da sistemane nelle grandi strade di nome Square
7_unione di tutti i terminali ferroviarii con un anello ferrovia- che nel piano svolgono da cardini/momenti prima dell’arrivo
rio; nei grandi parchi. Questo ingegniere, di nome Alfanì, fissa i
8_realizzazione di un’efficace ed efficente rete fogniaria. criteri di progettazione degli Square, come disegnare i limi-
Ma quali sono stati i ragionamenti alla base di questogran- ti, gli elementi di arredo, dove collocarli e come; che forma
dioso piano?, semplificandolo in alcuni elementi portanti: dare ai vialetti di attraversamento di queste aree attrezzate,
1_realizzazione di una maglia viaria del tutto nuova, per carat- definisce l’illuminazione, concepisce dove e come distribu-
teristiche fisico-spaziali, costruttive, geometriche e formali, ire gli specchi d’acqua, le alberature, le distese a prato e i
sovrapposta a forza sull’abitato esistente senza alcun tipo livelli altimetrici, insomma un preciso elenco enciclopedico
di mediazione; di come fare tutto.
2_le sezioni stradali, per i nuovi assi viarii, articolate in più Al termine del piano Hausmann Parigi si ritroverà con 160
corsie con isole spartitraffico attrezzate a verde, ampissimi km di nuove strade
marciapiedi e geometria rigorosamente rettilinea; per so-
TEATRO DELL’OPERA’. C. Garnier, 1857-67. rima dell’acustica, è il progetto per le norme antincendio,
Atto a celebrare lo status guadagnato dalla borchesia legata infatti l’Operà prende il posto di un più vecchio teatro andato
al mondo commerciale e finanziario. Si indice un concorso bruciato; è importante quindi capire dove collocare i muri
pubblico al quale partecipano igrandi architetti del tempo, tagliafuoco per formare delle adeguate barriere. Ma Garnier
tra cui lo stesso Violet le Duc, ma a vincere sarà Charles va oltre, progetta un teatro un cui la cavea è la decima parte
Garnier, giovanissimo architetto appena uscito dall’Ecole de dello sviluppo complessivo del teatro, e ciò non ha prece-
Bosard. denti, e tutti gli altri spazi erano studiati per essere in grado
Il progetto che presenta non susciterà unanimamente un di contenere esibizioni, piccoli concerti e mostre facendo di-
voto positivo, anzi la stampa locale non mancherà con il cri- ventare l’Operà una “macchina per l’intrattenimento” stra-
ticarlo, nell’impiego straripante di risorse; però il teatro di ordinaria.
di Garnier rifletterà perfettamente gli ideali della borghesia Al fronte principale porticato, su cui si innesta un’ampia sca-
rampante. lea che funge quasi da scala-sagrato; si oppongono sui fian-
Blocco inserito a mo di isola spartitraffico a conclusione del- chi due ingressi secondari che sono entrambi due ingressi
la Rue dell’Operà, il fronte è rigorosamente simmetrico con carrabili (denunciato dal disegno della rampa), già questa
un avancorpo fiancheggiato in posizione arretrata da due diversa organizzazione dei fronti scardina quella che era la
terminali e un’attentua accentuazione al centro, affidata alla prassi per un teatro del tempo.
semicupola che copre la cavea, il tetto a timpano che co- Proseguendo dal fronte principale abbiamo una sequenza di
pre lo spazio scenico e le vittorie alate; vi è un’accentuata marciapiedi con due lampioni, che hanno la funzione di in-
spazialità della facciata, gli elementi sono scaglionati su più quadrare la facciata e di fatto ritagliare uno spazio antistante
piani in profondità, il portico e il doppio ordine (maggiore e al teatro, il teatro non oppone brutalmente la facciata sulla
minore) dietro cui si staglia una galleria che accentua i valori strada ma viene anticipata da una serie di piccoli gesti che
plastici della facciata; un’architettura che fa dell’esaltazione ne anticipano i valori sia estetici e sia dell’uso; proseguen-
dei valori plastici l’obbiettivo primo del fare progettuale, ciò do poi troviamo scalinata, portico, vestibolo e oltre di esso
che pero costituisce il contributo originale non sono tanto troviamo un secondo corridoio trasversale che mette in
gli apparati formali ma è invece la concezione alla base della stretto contatto il vestibolo con i corridoi laterali ma soprat-
pianta. tutto quello stacco funge da muro antincendio costituendo
In questa pianta ciò che colpisce, per la sua singolarità, è la una via di fuga laterale. Subito dopo troviamo il celeberrimo
“cavea” e la scala, infatti già alla fine del 700 gli architetti si “scalone d’onore” che è una delle grandi invenzioni di Gar-
ponevano dei problemi molto precisi ad esempio quante car- nier che rappresenta un pò la punta di diamante (ogni parte
rozze possono sostare davanti gli ingressi secondari, quanto dell’edificio si aggancia alle altre attraverso spazi serventi),
tempo impiegano le carrozze a defluire e a dove la servitù ispirato alle suggestioni dei disegni delle Carceri del Pirane-
può sostare in attesa che i loro signiori finiscano di vedere si, dove la folla desiderava sostare in questo spazio poichè
lo spettacolo, quanto devono essere ampi i fioè, cioè la sala gli esponenti parigini potessero ammirarli dall’alto.
destinata ad accogliere gli spettstori tra un tempo e l’altro, Stupisce che Garnier non disegni davanti al teatro uno Squa-
quante e quali sale devono essere dotate di specchi per con- re, ma con una seri di accorgimenti di fatto articola lo spazio
sentire alle signiore di specchiarsi e tante altre. urbano antistante alla facciata, accompagnando l’osservato-
Il tema più imposrtante e urgente per un progettista di teatri, re per gradi,verso l’edificio.
Un paio di anni prima del grande piano Hausmann fa la sua apparizione un’opera che sancisce, diciamo, quello che potremmo
definire un primo esempio di razionalismo in architettura.

BIBLIOTECA DI S.TE GENEVIEVE. H. Labru-


ste, 1843-50. Il prospetto che affaccia sulla strada ha un
largo fronte uniforme, marcato da una reiterazione di arcate
sovrapposte ad un muto basamento ornato semplicemente
da una serie di festoni agganciati a dei dischi di bronzo (pate-
re), unico tributa alla decorazione, e un coronamento piatto;
le fonti sono diverse, la Libreria Marciana del Sansovino, la
Biblioteca del Trinity College, Saint Martin de Ciamp.
La novità di questa biblioteca è che è la prima che scinde
nettamente l’involucro dalla struttura portante, all’esterno
una struttura muraria continua che all’interno propone una
struttura discontinua in colonnine di chisa del tutto indipen-
denti dall’involucro murario esterno che al suo tempo ga-
rantisce la leggerezza e al tempo stesso una non invadenza
della struttura che è molto funzionale per una sala di lettu-
ra. In pianta sembra un progetto banale, ma solo il fatto di
aver messo la scalinata esternamente allo spazio di lettura
ne garantisce l’unitarietà dello spazio, Labruste disegnerà e
progetterà tutto all’interno della sal, dai tavolini alle lampade
e alla disposizione dei caloriferi.
SALA DI LETTURA DELLA BIBLIOTECA NA-
ZIONALE DI PARIGI. H. Labruste, 1857-67.
Richiama un pò i modi e le forme delle sale ipostile, cioè
organizzate sulla ripetizione della stessa campata su matrice
quadrata coperta, su ogni campata, con un elemento che
ricorre in tutto lo spazio connotandolo, in questo caso la
campata di affida alle quattro colonnine in ghisa (più esili di
quelle usate nella sala di Sainte Geneviev) su cui è imposta-
ta la volta ad ombrellocon armatura metallica e formelle di
ceramica, forate al centro per permettere il passaggio della
luce consentendo un’illuminazione uniforme e diffusa; i ri-
ferimenti più prossimi sono quelli dell’architettura orientale,
soprattutto nello studio della luce.
LES HALL CENTRALES. V. Baltard, 1853. Edi-
ficio simbolo della Parigi popolare e progressista, ma oggi
demolito per far posto ad un moderno cenytro commercia-
le. Baltard è un’altro interprete dell’architettura razionalista,
imppstazione rigidamente funzionale; un blocco su matrice
quadrata reiterato sui lati di un percorso centrale che si con-
clude con un edificio cupolato, che è la borsa del commercio,
di tutto questo complesso si salvaguarderà solo il terminale.
Un’architettura che fa del ferro la sua cifra caratteristica, im-
ponendosi sul profilo della città.
GERMANIA. BERLINO DA CAPITALE PRUSSIANA A METROPOLI DELLA NA-
ZIONE.

La Germania ha una storia molto diversa dalla Francia, alla fine del 700 e inizi dell’800 aveva una confederazione di Stati
Sovrani, ci vorrà del tempo perchè sia sancita la nascita del II° Raich. L’architetto di Stato di Berlino sarà Friedrick Shinckel,
responsabile di tutti i lavori publici dello Stato Prussiano, la sua architettura avrà un peso politico enorme, l’autorità morale e
culturale di Shinckel ispirerà l’opera delle generazioni successive, i suoi insegnamenti saranno presi da esempio e l’eco della
sua architettura sarà vastissimo.
Berlino è attraversata dalla Sprea, a nord c’è l’abitato storico e a sud la colonia riferibile interamente alla corte reale con il
castello e i lust garden. Nel 1804 a sud si costruirà un nuovo quartiere; a Berlino non è dato operare come a Parigi, tramite
gli sventramenti, ma attraverso punti, affideranno la regia ad un unico architetto; è una delle capitali che per prima si pone
il problema di offrire abitazioni a buon mercato alla manodopera della classe operaia con le cosidette Mitkasermen, cioè ca-
serme d’affitto, con fronte limitato sulla strada e sviluppo interno, bracci interni affiancati su piccole corti, che costituiscono
ora la parte storica di Berlino.
Per disciplinare l’edificazione, nel 1853, era stato emanato il regolamento edilizio, il piano sarà approvato solo nel 1873,
quando Berlino è già capitale. Nel piano, un sistema a rete di strade radiali e anulari organizza gli isolati nei quali è possibile
inserire grandi quantità d’abitazioni, per lo più lasciate all’iniziativa imprenditoriale.
Con l’adozione del nuovo piano regolatore e la previsione delle linee ferroviarie inizia la trasformazione della città storica con
opere di allargamento, allineamento e raccordo di strade mediante sventramenti. Di speciale interesse sono il completa-
mento dell’aulico asse territoriale dell’Unter den Linden, e la modifica dell’arteria del Kurfurstendamm in un ampio viale. Si
consolidano le aree destinate alle sedi di governo, degli affari, del commercio e della cultura.
Una serie di regolamenti edilizi accompagna la massiccia urbanizzazione esterna della città storica, affiancata dalla riorganiz-
zazione delle infrastrutture, dei servizi pubblici, dei trasporti e del sistema delle vie d’acqua. Dalla critica a questo sistema
abitativo nasce un’interessante rielaborazione del concetto di “isolato”, che apre a innoivative tipologie insediative a blocco
edilizio lineare lungo le strade e con ampi spazi verdi all’interno, i “Wohnanlagen”.
Accanto a questa Berlino di pietra, quando nuove correnti di pensiero urbanistico improntano il modello proposto dal movi-
mento inglese per la città-giardino, in città iniziano a formarsi nuovi quartieri decentrati a bassa densità.
Nei primi anni del Novecento la città si estende intorno ad un nucleo antico. La struttura funzionale e sociale della città si è
considerevolmente ampliata e arricchita, l’ormai estesa metropoli si svilupperà in modo coerente solo dopo l’unificazione
amministrativa dei tanti nuclei del policentrico conglomerato berlinese, che avverrà all’inizio degli anni venti del Novecento.

KARL FRIEDRICK SHINCKEL. Si forma a Berlino e decide di fare tre Grandtour, il primo “classico” attraverso il luoghi
e i monumenti dell’Italia, tale viaggio sarà molto importante per lui perchè non avrà delle suggestioni formali per il linguaggio
degli elementi ma guardando all’intero paesaggio, urbano e rurale che dà motivo di riflessioni, per Shinckel ciò che importa
è cogliere gli edifici nell’ambiente e nel paesaggio che li ha prodotti in un binomio inscindibile tra architettura e natura. I suoi
schizzi di viaggio testimoniano questi studi, schizzi mai a distanza ravvicinata, ma le emrgenze che emergono dalla città
storica, è la qualità dell’insieme ed il punto di vista che gli interessano. Ma non sono solo queste le fonti dell’architettura
di Shinckel, vi sono anche le suggestioni che emergono dall’Inghilterra, cioè quelle tecnologiche e di utilizzo dei materiali e
in particolare l’architettura del ferro, era affascinato nel vedere associare ad una struttura muraria massiva una più libera e
leggera in ghisa capace di lavorare per grandi luci.

MULINO DI STANLEY MILL. Schinkel visita in Inghil-


terra questo mulino, già dall’involucro esterno ci da qualche
indizio sulla struttura adottata, le aperture sono troppo gran-
di per una costruzione in muratura continua.
Nell’inrerno possiamo riscontrare caratteri sugli elementi
costruttivi che sono riconducibili a quelli italiani del periodo,
ad esempio le voltine in mattoni, solai realizzati in travature
di ferro. Per la prima volta assistiamo ad una netta separa-
zione tra due sistemi stutturali: si compone di un involucro
formato da pilastri in granito, a questo in volucro si collega
un sistema di pilastrini in ghisa collegati trasversalmente da
archetti e travi a doppio T tessute secondo la luce trasver-
sale per unire i pilastri in granito e le colonnine in ghisa, e il
solaio è ciostituito da voltine di mattoni tra una trave e l’al-
tra. Questo sistema attrae Schinkele e ne intuisce le enormi
possibilità in termini di flessibilità d’uso dello spazio interno,
tanto che poi lo riutilizzerà nella Bauakademie, che Schinkel
realizzò sul modello di questo mulino, visitato in giovane età.
NEUE WACHE. K. F. Schinkel, 1816. Primo edi-
ficio realizzato da Shinckel e tuttora esistente, scampato ai
bombardamenti, la Nuova Gendarmeria. Edificio che oppone
ad un fronte in stile neo-greco, un pronao esastilo addossa-
to ad un liscio muro di cui sono esaltati gli angoli; i fianchi
sono risolti invece in un modo molto più funzionale, asciutti
e senza alcuna decorazione, le finestre non sono nemmeno
incorniciate, gli unici elementi elementi che riecheggiano la
tradizione classica son la cornice in alto e il basamento mo-
danato, va constatato che siamo nel 1813 e per molti aspetti
Shinckerl è un’anticipatore nel mostrare questi elementi così
asciuttil La pianta rivela una notevole libertà, il colonnato sul
fronte principale trova riscontro su quello posteriore dove
quasi si rastrema e viene inghiottito nell’involucro murario
e alle colonne subentrano dei pilastri; i fianchi sono trattati
come semplici quinte e all’interno è presente una corte in-
terna che serve ad illuminare gli ambienti interni. Questo
è il primo di una serie di interventi che Shinckel realizzerà
in tutta l’area dei Lust Garden per rilegare il centro direttivo
dello stato prussiano e di Berlino.

TEATRO DELLA GENDARMENMARKT. K. F. Qui abbiamo una scelta coerente di due momenti della sto-
Schinkel, 1818-21. Il pronao che marca l’ingresso è ria dell’architettura, da un lato quella trilitica fondata su una
esastilo con un timpano recante strutture in bassorilievo, è stretta corrispondenza tra forma e struttura e dall’altro una
notevolmente rialzato dal piano stradale da un’alto zoccolo produzione architettonica che ha fatto dell’ossatura e della
trattato a bugnato, davanti il pronao si stende un’ampia e smaterializzazione della parete per denunciare ciòche era
ripida scalinata serrata da due ante murarie con dei modi portato a ciò che non era portante; guarda alla storia con
di tradizione romana. Quello che coglie la nostra attenzione atteggiamento critico e coniuga forma-efficenza e funzio-
non è però l’uso di elementi della tradizione classica ma ben- ne-design. Fa un’uso della decorazione in ghisa per nobilita-
sì il modo di trattare l’involucro murario perimetrale con una re gli interventi.
fittissima sequenza di bucature che erodono la continuità
dell’involucro murario rendendolo molto più trasparente che
rivela una propenzione architettonica di provenienza gotica,
sceglie di associare la grecia classica al gotico per la loro
“Sincerità Costruttiva”, cioè la forma è struttura e la strut-
tura è la forma.
ALTES MUSEUM. K. F. Schinkel, 1822-28. Que- con un bugnato gentile a leggeri ricorsi, i due ordini di fine-
sto è il suo pezzo da 90, uno degli edifici rappresentativi stre sono separati da una leggera fascia marcapiano e un
della Germania. Shinckel lo contrappone al castello, così da cornicione appena accennato senza alcun elemento plastico
definire le due quinte della vasta area che si apre sui Lust o decorativo, in più quel dado che sporge dalla linea sommi-
Garden; grande museo che si apre su una vasta piazza, i tale da la giusta centralità all’edificio. (Chi se ne ricorderà?
riferomenti sono l’architettura greca e gotica perchè en- Mies nell’HIT di Chicago)
trambe rappresentano quella sintesi di forma e struttura che L’invenzione di questo edificio è che dietro un’apparente
per Shinckel sono elemnti imprescindibili del suo operare. Il elementarità delle forme si nascondono dei dispositivi ori-
fronte richiama la tipologia architettonica della Stohà perchè ginalissimi, come ad esempio lo scalone a rampe contrap-
efficace su una piazza ma al tempo stesso non così banale. poste addossate ad una galleria a C che parte dalle ante
Dai fianchi apprendiamo che è un edificio che si articola su murarie terminali che si affacciano sul pronao con il doppio
due livelli, ma il fronte con il suo colonnato a tutt’altezza con colonnato che permette, da parte del fruitore, di sbirciare il
ordine gigante restituisce un’immagine omogenea ritmata paesaggio esterno al museo tra colonna e colonna facendo
unicamente dalla serie di colonne, racchiuse da due ante da incorniciatura per il paesaggio; notevole è l’uso dell’om-
murarie che vengono in avanti richiamando la tipologia del bra che viene creato dalle colonne.
tempio in antiis; sul fianco, però, l’edificio si fa molto più La pianta, desunta probabilmente dai manuali dell’architet-
funzionale e asciutto, quasi moderno, con uno zoccolo con tura francese, la rotonda diventa il fulcro della composizione
delle finestrature che danno luce al piano interrato, trattato che riecheggia la forme del museo Clementino a Roma.
SCHLOSS TEGEL. K. F. Schinkel, 1820-24. La Progetto molto più bloccato, rispetto alle altre, contrappone
classica residenza estiva di svago dei regnanti, le case che una sorta di grande aula centrale coperta a tetto due facciate
farà hanno tutte caratteri abbastanza riconoscibili e che mol- turrite, come se fosse una facciata romanica.
to si ispirano al viaggio di Schinkel in Italia.

CHARLOTTENBURG PAVILLION. K. F. Schin-


kel, 1826-29. Semplicissimo padiglione quadrato con
dei pergolati che ne marcano l’adesione al suolo.
Sembrerebbe una riedizione in forme elementari di un’ar-
chitettura palladiana, però, ha degli accorgimenti in pianta
molto sottili. Il fronte principale, a dispetto dell’apparente
simmetria della pianta, denuncia una chiara gerarchia, sul
principale vi è una loggia marcata da una coppia di colonne,
su quelli laterali la colonna lascia il posto a dei pilastri che
sono inglobati nella muratura.
Elemrnto connettivo tra i prospetti è la balconata continua,
semplicissime mensole in ghisa e piano a lastre di marmo
su cui appoggia un’eterea richiera, che richiama le case me-
diterranee viste in Italia, soprattutto a Napoli, soprattutto
consente l’intera percorribilità del piano superiore per la vi-
suale sul parco.

GRANDI MAGAZZINI. K. F. Schinkel, 1827. Le


decorazioni sono scomparse e danno posto ad una semplice
ossatura muraria, dove i diaframmi murari tra le membrature
portanti sono completamente scomparsi, c’è solo il pilastro
e la vetrata, con una sensibilità che anticipa il razionalismo
architettonico e il funzionalismo degli anni 20-30.
SCHLOSS CHARLOTTENHOF. K. F. Schinkel,
1826-29. Questa residenza estiva sorge nel parco di Pot-
sdam. Schinkel parte da un edificio molto semplice, già esi-
stente, interviene su questo volume in forme tardo baroc-
che, lo fa sovrapponendo su un fianco un portico a colonne
dorico, sistema tutta l’area antistante intoducendo fontane,
farà molte prospettive con le quali lui verifica la fattibilità e
la riuscita mettendola in correlazione anche con il paesaggio
circostante all’opera.
Utilizza dei terrapieni come grande risorsa per sottolineare
alcune parti, metterle in comunione con l’architettura e altre
con il paesaggio, sui diversi fianchi ci troviamo a delle visuali
completamente diverse, fa dei contrasti il suo elemento di
forza, non si limita ad uniformare il tutto come avrebbe fatto
una architetto classico. Una sequenza di operazioni e spazi
che hanno come asse la linea del pronao, il boschetto a pian-
ta quadrata, la costruzione con il corpo mediano, il giardino
con lo specchio d’acqua e il labirinto ad anelli concentrici
terminale.

CASA DEL GIARDINIERE, CHARLOTTENHOF


K. F. Schinkel, 1826-29. Ma ancora più sorprendente
è la casa che Schinkel progetta per il giardiniere.
Questa casa, anch’essa donata dal re per tenere in ordine il
giardino reale, riproduce i modi che avrebbe voluto Schinkel
in un’architettura, sembra essere l’esito del restauro di una
fattoria della campagna toscana o laziale.
Esaminati insieme ci sono delle contraddizioni, cioè, il primo
che è un restauro sembra invece essere un progetto nuovo,
mentre il secondo sembra un restauro ed invece è un pro-
getto nuovo, quindi a Schinkel i modi del restauro conservati
vo gli scivolano sopra, non gli interessa di conservare quanto
il passato ci ha lasciato e ne di celebrare l’antico in modo
pedissequo e banale. Ad esempio possiamo vedere quì, nel
disegno del pergolato, come lui sovverte i dettami che ven-
gono dalle direttive dei restauri, il pergolato, appunto, parte
con un’altezza poi si impenna come se la colonna fosse sti-
rata per mettere sufficentemente in luce l’arco della corte di
accesso, per poi articolarsi in una serie di costruzioni minori,
che contemplano, tra l’altro, anche dei bagni sull’esempio
delle terme romane.
I colori delle facciate, il classico ocra delle case di campagna.
La composizione è quella del “tipo per parti”, formalmente
distinte e riconoscibili, tenute insieme dal pergolato che fun-
ge da elemento di connessione.
BAUAKADEMIE. K. F. Schinkel, 1832-35. La
sede della scuola di Architettura. Si trova sempre nell’area
dei Lust Garden. Un nodo cubico, per molti aspetti rivoluzio-
nario, perchè con una pianta rigorosamente quadrata che
aasocia ad una tecnologia tradizionale in muratura un’ossa-
tura puntiforme in ghisa. Il modulo quadrato governa l’in-
tera pianta, l’accentuazione data alla corte centrale è data
dai compluvii, quasi fosse una casa dell’antica Roma, una
Domus.
In facciata emerge la pilstratura che viene in avanti e si pone
a tutt’altezza, e su un piano arretrato le linee marcapiano
scandiscono le linee dei solai il tutto fatto con una sensibilità
molto gotica; i diaframmi murari sono ridotti all’essenziale,
le finestrature hanno un’ampiezza inusitata anche al livello
del basamento, denunciando la presenza di una struttura
puntiforme retrostante alla muratura. Gli unici accorgimenti
per ingentilire la costruzione sono le finestre la cui decora-
zione è appena accennata, i montanti di separazione delle
finestre sono trattati con leggere e sottili scanalature quasi
si trattasse di parastine ioniche e in basso ci sono delle for-
melle dal contenuto simbolico che raffigurano scene ineren-
ti all’architettura.

VIENNA E IL RING: UN MODELLO MONUMENTALE PER L’EUROPA.


L’eccezionalità della struttura morfologica e funzionale di Vienna spiega in gran parte la felicità dei risultati della sua trasfor-
mazione urbanistica, avviata alla fine degli anni cinquanta del secolo. Quella che si affaccia alla soglia del XIX secolo è una
città strutturata a sistemi anulari concentrici: un nucleo di origine medioevale, l’Altstadt; tutt’intorno alla cerchia muraria, una
profonda fascia di territorio inedificato, il Glacis; subito oltre la crescita della città si è consolidata in una corona di borghi, i
Vororte,di estensione variabile; infine, una seconda linea di difese esterne, la Linienwall, a protezione dei borghi.
Nella città antica si interviene in modo puntuale, con ristrutturazione e sostituzioni edilizie e si destina il Glacis alla zona di
pubblico passaggio.
Sul finire degli anni ‘50 prende corpo l’idea di integrare Altstadt e Vororte in un solo organismo, aggiornato nelle attrezzature
sia nello stesso patrimonio edilizio residenziale. Nel dicembre del 1857 si procede all’abbattimento delle mura e alla conse-
guente riconversione del Glacis in una zona di viali attrezzati. Nel 1858 si bandisce un concorso nazionale di progettazione
che ha per oggetto il raccordo viario e spaziale tra Altstadt e Vororte, la realizzazione di un boulevard anulare sul tracciato
delle antiche mura, l’edificazione di nuovi quartieri residenziali e pibbliche attrezzature, la sistemazione di alcune aree per le
manovre militari e gli acquartieramenti militari.
Nel 1859 si approva una versione esecutiva che, pur essendo elaborata dai tecnici dell’amministrazione stradale in collabo-
razione con i primi tre classificatisi al concorso, fu propria soprattutto l’imposizione del piano di Forster.
Una figura centrale nella complessa opera di risistemazione della Ringstrasse è senza dubbio Gottfrid Semper, architetto e
teorico tedesco, convinto sostenitore del primato del Rinascimento, e di quello italiano in particolare, rispetto a tutte le altre
espressioni artistiche lasciate in cosegna dalla storia; Semper , in realtà, come molti altri architetti eclettici del suo tempo,
attinge con grande disinvoltura al repertorio di forme del rinascimento italiano, procede con la presa in prestito di singoli
elementi e brani di strutture formali, per rimontarli liberamente in una nuova creazione architettonica.
IL RING DI VIENNA, 1857-88. Si pone a metà Dalla pianta, il grande anello punteggiato di alberature non si
dell’800 il tema della demolizione delle mura, perchè si ritie- attesta immediatamente a ridosso dell’abitatomedioevale e
ne scampato il pericolo delle invasioni da parte dei turchi e già questa non è una scelta banale, tra l’anello di circonvalla-
Vienna non costituisce più un baluardo, si possa procedere zione e l’abitato medioevale si interpone un abitato edilizio,
all’abbattimento delle mura e alla riconversione per l’amplia- in parte destinato all’edilizia residenziale e in parte occupato
mento del nucleo storico di Vienna e per un’efficace salda- da giardini ed edifici pubblici; al centro l’ampia area a verde
tura tra i sobborghi esterni ed il nucleo. è disegnata con una serie di percorsi secondo i modi del
Viene indetto un concorso, il progetto che vincerà sarà quel- momento storico.
lo di Forster, anche se inizialmente arrivato secondo; tale Vienna costituisce un caso unico per l’Europa, perchè con le
progetto recepisce tutta una serie di elementi legati al con- aree vendute ai privati e quelle edificate dalla città di Vienna
corso che vengono declinati in modo molto chiaro nella for- hanno entrambe avuto un profitto. L’edificato che si atte-
mazione e sviluppo del piano, si impone che il nuovo piano sta al tessuto medioevale è solcato da degli assi stradali in
debba prevedere la localizzazione di due appezzamenti mi- forma radiale che si attesta alle strade esistenti nell’antico
litari collocati alle estremità nord-occidentali e sud-orientali nucleo, con un’operazione finissima in grado di unire le due
della città, si devono prevedere inoltre un teatro dell’opera, parti; al di là del Ring vi è un’altra fascia che si ammaglia con
un’università, la sede del nuovo parlamento, un raccordo ef- i sobborghi andando così a definire il Ring come una grande
ficace per i monumenti simboli del Barocco austriaco e tutta arteria in grado di riconnettere tutte le parti.
una serie di sistemazioni a verde che facciano da tessuto Camillo Sitte criticherà il piano e le soluzioni adottate, ciò
connettivo tra i nuovi monumenti e i due tipi di edificato; si che non lo convinceva era il netto fuoriscala tra gli ampi spa-
danno inoltre indicazioni anche sulla sezione stradale e si zi liberi del Ring e lo spazio più compresso del nucleo medio-
forniscano inoltre alcuni dati dimensionali. evale sia troppo stridente per parlare di una soluzione felice,
Gli esiti e le correzioni apportate al progetto danno vita a così nel suo testo inserisce una serie di schemi e planime-
quello che è stato definito il più felice e il più riuscito inter- trie degli edifici del Ring riveduti e corretti secondo i suoi
vento di ampliamento e ristrutturazione urbanistica per una criteri, senza però trovare riscontro con le idee del tempo e
grande capitale. sbeffeggiato addirittura da Le Corbusier.
PLAN CERDA’ DI BARCELLONA
Se esiste la materia dell’urbanistica lo si deve alla figura di- Definito l’orientamento della scacchiera Cerdà la dimensio-
Ildefonce Cerdà. na con un notevole salto di scala rispetto al nucleo medioe-
Barcello na ha alla sua destra una limitazione fisica ad opera vale, propone una maglia impostata su un quadrato di 133 x
del fiume Besos, a sinistra la collina del Mont Jouic, a nord 133 m, le strade hanno un’ampiezza costante di 20 m. L’iso-
un’arteria di impianto romano e poi all’inetrno vi è una vasta lato misura 113 x 113 m, ma non sarà un quadrato perfetto
area pianeggiante dove si pensa dove si pensava di dare infatti Cerdà aggiunge uno smusso sugli angoli piuttosto ac-
luogo all’espansione. centuato, all’incirca 25 m di smusso, lo spazio che si viene
Nel 1855 Cerdà è incaricato dalla municipalità di rilevare quindi a creare con gli smussi non è più un incrocio viario
quest’area, Cerdà ipotizza una matrice fondata su tre assi ma diventa a tutti gli effetti una spazio che è più simile ad
da cui la nuova città debba espandersi una volta demolita una piazza vera e propria e dè proprio questo accorgimento
la fortezza, la municipalità però decide di procedere con un che farà del piano la sua cifra caratteristica, infatti reiterando
principio di trasparenza e indice un pubblico concorso. Cer- questo spazio di affaccio la testata degli isolati finisce per
dà non parteciperà al concorso, al primo posto si colloca- essere l’appartamento di pregio.
no due architetti di Boston, loro faranno un progetto molto Il 133 è il quadrato maggiore che disegna un ordine mag-
accademico impostato su una maglia viaria radiale con tre giore di quadrati più grandi che servono a dare un ordine.
settori principali e altri tre secondari. A fare da cerniera tra Con un sistema viario a maglia Cerdà può corromperla con
il nuovo tessuto e quello antico è un’enorme piazza rettan- delle varianti liberando la rigidità della scacchiera e sono per
golare su cui confluiscono le ramblas e un ampio asse viario l’appunto i due assi diagonali.
ricavato sull’esistente Paseo de Grazia; dal punto di vista Cerdà era un ingegniere e studia tutte le sezioni tipo della
formale offre qualche suggestione richiamando esempi illu- strada, definisce il tipo urbanistico e presenta anche due vo-
stri dell’urbanistica rinascimentale. Il difetto di questo piano lumi che diventeranno il “primo trattato tecnico d’urbanisti-
è innanzitutto un sottodimensionamento della superficie da ca”, in questo trattato anche egli si inventa un termine prima
destinare ai nuovi quartieri rispetto alla domanda di abitazio- di allora mai usato, cioè URBANISTICA. Il primo volume è
ni formatasi in quegli anni, poi anche perchè questo modello più incentrato sulla storia dell’urbanistica fin dalle epoche
funziona solo se ha dei limiti certi perchè i settori trapezoida- antiche e il secondo è un volume per lo più di prescrizio-
li non sono reiterabili all’inifinito, quindi è proprio nel model- ni tecniche. Nel trattato si spingerà a schematizzare quello
lo formale che ci sono dei limiti intrinseci che non tengono che doveva essere “l’isolato tipo”, prevede cinque tipologie
conto degli inevitabili sviluppi nel tempo. edilizie: quattro per la borghesia e una per gli operai )con ti-
Cerdà non parteciperà al concorso ma presenterà un pro- pologia a ballatoio); nella griglia non vi è una differenziazione
getto fuori concorso, allora la monarchia annulla le decisioni per le diverse classi sociali, ciò avviene nella tipologia edilizia
della commissione del concorso e impone l’esecuzione il dei singoli isolati.
progetto di Cerdà; come spesso accade nella storia il re ci L’Isolato_Cerdà, nei suoi lotti, non immaginava un’elevazio-
aveva visto giusto perchè il piano di Cerdà era nettamente ne solamente perimetrale, immaginava un’edificazione su
migliore del progetto vincitore del concorso. due lati lasciando così una corte libera, in particolari esigen-
A dispetto della presunta elementarietà del piano, nasconde ze solo un’inspessimento dei bracci nel tempo (hmax = 5-6
a monte molte virtù: piani), ma i suoi intendimenti vengono disattesi e si finirà
• assume i limiti del rilievo topografico molto chiari e precisi; con il costruire con la tipologia a blocco perimetrale che
• il nucleo medioevale diventa un’appendice del piano e non Cerdà aveva tanto criticato, non solo verranno realizzati due
il nucleo generatore, come lo era nel progetto degli architetti piani basamentali per il commercio ma gli si sovrapporrando
di Boston, un elemento di cui quasi il piano si distacca; anche diversi attici in sommità alzando a dismisura l’Hmax
I criteri del piano di Cerdà sono tanto di natura topografica dell’edificio.
tanto di memoria storica territoriale e molto importante è
anche l’affaccio sul mare.
L’ITALIA PRIMA E DOPO L’UNITA’
Per l’italia una data campale è il 1815, data del congresso di Vienna che decreta la divisione dell’Italia in otto piccoli Stati, uno
solo di questi può contare una vera indipendenza ed è il Regno di Sardegna.
Negli anni della Restaurazione (1815 - 1830) il decollo industriale interessa parti ben definite dell’Italia: Milano, Novara, il
Piemonte, qualche parte ben definita del Veneto e un modesto tentativo a Napoli; ed è proprio in questi anni che si consuma
la differenziazione cruciale tra nord e sud.
Le opere di ammodernamento delle città, nelle quali poi troveranno posto le architetture di rilievo italiane, sono: la siste-
mazione dei terminali ferroviarii, l’illuminazione a gas, adeguamento delle reti fogniarie che finisce per ridisegnare anche la
viabilità.

MILANO
Napoleone Bonaparte vuole fare di Milano la capitale d’Italia e dotarla di tutte quelle strutture, servizi ed attrezzature che
il moderno stato francese si dota ergendosi a modello tra le capitali europee, teatri, scuole, terme, dogane, cinte daziarie,
macelli, carceri, ospedali, uffici, polizia e caserme. Nel 1801 l’architetto bolognese Giovanni Antolini presenta a Napoleone il
progetto di un nuovo foro, l’intento è quello di riunire con unità di segno e sulla concezione tutte quelle attrezzature elencate
precedentemente.
FORO BONAPARTE. G. Antolini, 1801. Antolini vi si distacca anche con l’intento di costruire e realizzare la
immagina un’enorme piazza a pianta circolare come termi- città contemporanea, che ha modi, forme e caratteristiche
nale di Corso Sempione, costruito attorno ad un fulcro che opposte a quelle della città storica, tanto è dilatata la città
è il Castello Sforzesco; attorno al castello, che riveste con contemporanea nei suoi spazi quanto è compatta la città tra-
marmi e aggiorna sul piano stilistico secondo i modi del tem- dizionale.
po, costruisce un gigantesco anello costituito da una serie di La Dogana, edificio di grande interesse, era pensato costru-
edifici che sono caserme, dogane, eccetera...; sono prece- ito sull’acqua e si interpone tra il canale esterno e il canale
dute all’interno da un canale d’acqua collegato in due punti anulare interno; vi sono forme inedite, quella che sembre-
al sistema dei navigli milanesi. rebbe essere una pianta a tipologia centrale come quella di
La pianta fa capire il sistema dell’attacco della “nuova città” un teatro solo che al posto della cavea ritroviamo uno spec-
a quella esistente, grandi edifici a blocco con in sequenza chio d’acqua, li dove ci si aspetterebbe un grane pieno co-
di torricini, l’attacco con la città fa capire che si era pensato perto invece troviamo un vuoto. Il Foro Bonaparte non verrà
ad una crescita della città per gemmazione come se il cor- mai realizzato, perchè quando Napoleone si accorgerà delle
po antico della città avesse gemmato una nuova entità che ingenti risorse per realizzarlo si procederà per vie moderate
alla fine finisce con essere altro rispetto al corpo originario e nell’ammodernamento della città.
LA ROTONDA ad INVERIGO. L. Cagnola, 1813-
33. Villa che ha nelle facciate dei modi quasi palladiani, ma
che in pianta poi dimostra inventiva e capacità di adattamen-
to, che è l’esito di un mix di suggestioni venutegli da Palladio
e i modi dell’architettura tardo barocca nelle forme neogre-
che. Nelle altre parti userà dei motivi e delle forme desunti
da diverse età dell’antichità, dal classico a persino l’egizio.

PALAZZO BRENTANI. L. Cagnola, 1829-30.


Cagnola e Canonica in questo periodo realizzeranno una
serie di palazzi che fisseranno le caratteristiche formali dei
fronti su strada dei palazzi: articolazione in altezza (piano ba-
samentale + due sopra), bugnato liscio, uso dell’intonaco
chiaro da cui risltano le finestre_tutte uguali in grandezza
ma trattate in modo diverso tramite gli apparati decorativi
e cornici diverse_talvolta l’utilizzo dei medaglioni dove tro-
vano posto immagini dei committenti, una balconatura che
sormonta l’arco di ingresso e che è legato all’appartamento
del proprietario. Questo stile finirà per costruire la cifra carat-
teristica dell’edilizia milanese tanto da costruire l’immagine
edilizia di Milano.
NAPOLI
TEATRO SAN CARLO. A. Niccolini, 1808-17.
Nel prospetto, alle estremità in alto, sono posizionati i fuma-
ioli che si trovano lateralmente al timpano, tra l’altro molto
bizzarro e insolito; altissimo basamento a bugne trattate in
modo piuttosto greve con un inserimento di tabule scolpite
a bassorilievo, che richiamano l’arte teatrale; una lunga ed
inusuale balaustra che fa le veci di una fascia marcapiano;
molto singolare è anche il loggiato in facciata che con i suoi
colori e chiaroscuri si oppone al basamento, un’architettura
di forti contrasti (progetto che riverbera lo stile architettoni-
co francese della rivoluzione con i modi di Le Duc e Bullee).

PIAZZA PLEBISCITO. L. Laperuta, 1817. Inter-


vento realizzato in due tempi, inizialmente venne chiamato
Pietro Bianchi ad edificare la chiesa di San Francesco, ro-
tonda fiancheggiata da basse cupolette che ne ripetono la
forma a scala minore e che richiama il Phanteon; ma per sua
stessa natura un edificio a pianta centrale non ha le caratte-
ristiche tali da costruire una quinta efficace per uno spazio
urbano. In un secondo momento viene chiamato Leopoldo
Laperuta a realizzare due bracci uniti da un pronao esastilo,
che è una chiara reminiscenza del colonnato di S. Pietro,
interessante è qui vcedere con quale libertà gli architetti
del tempo prendono ad esempio forme desunte da epoche
diverse senza pregiudizi, cioè il vero spirito dell’architetto
eclettico.

PIANO DI RISANAMENTO DI NAPOLI, 1885. to bassi, ed altre condizioni specili di favore a vantaggio dei
Nuove case sorgono come per incanto. Non è solo la so- poveri. Ma sia la necessità di far presto, si la speranza vana
cietà del Risanamento che la vora ma anche i privati ed altre che la società, guadagnando da un lato, la proposta non fu
società. Nuove strade, nuove piazze, nuove linee di tram, accettata e le case dei poveri furono imposte “come one-
nuove funicolari si aprono; in molti luoghi si alza il livello del- re della concessione, ma dovettero far parte della specula-
la città, e molti operai sono occupati in sfittati lavori, ma in zione”. Quando la nazione aveva concesso tanti milioni per
mezzo a questa rimane un domanda che sorge spontanea: migliorare l’igene della città, qualcuno di quei milioni poteva
mentre il piccone demolisce così rapidamante, mentre con andare a beneficio esclusivo dei poveri, per soccorrere i qua-
uguale rapidità sorgono i nuovi palazzi e le ampie vie, ciò li la legge era stata più spiacevolmente votata.
vorra suppore che la nazione abbia fatto così grandi sacrifici Un altro errore, sebbene di minor importanza, fu l’idea di
solo per i ricchi o per abbellire la città? poter utilmente costruire una specie di quartiere operaio per
E’ questo il punto nero,le condizioni dei poveri non miglio- accogliervi tutta la bassa plebe. Lasciando da parte ogni di-
reranno affatto, anzi peggioreranno. Molti sono gli errori scussione sulla utilità sociale di separare gli operai del resto
commessi, il più grave però fu commesso fin dall’inizio dal della cittadinanza, e riunirli tutti in un solo luogo, questo si-
Municipio che iniziò una speculazione di questo genere. stema è possibile solo in una città che abbia grandi officine
Uno dei più ardui problemi in tutte le grandi città, è stato ed e con una popolazione veramente operaia, ma non a Napoli.
è sempre quello delle abitazioni dei poveri, a Napoli, dove Non si pone un freno alla troppo rapida demolizione, e non si
così scarso è lo spazio, così fitta la popolazione, così povera costruiscono intanato le case dei veri poveri, nel solo modo,
la plebe, è semplicemente ridicolo sperare che la specula- in cui è possibile averle, quando i 100 milioni saranno finiti,
zione privata posaa, anche in piccola parte, risolve il pro- noi avremo abbellito la città, e l’avremo per ricchi resa più
blema. Quello che succede in questi casi è ben noto, nelle igienica e comoda assai; ma quanto ai poveri, avremo com-
nuove abitazioni, che si dicono fatte per i poveri, questi non piuto un’impresa inumana, incivile più dei tuguri che sono
entrano e preferiscono rimanere nei loro tuguri. E quando i stati distrutti. Più si tarda, maggiore sarà la miseria, e mag-
tuguri sono demoliti, allora i poveri o si rintanano, in numero giori i sacrifici necessari per portatrle sollievo.
sempre maggiore, nei tuguri che restano in piedi, peggio-
rando così le loro condizioni, molte famiglie si accatastano in
una sola stanza delle nuove abitazioni, che diventano fondi
spesso peggiori di quelli che furono demoliti, perchè essen-
do più cari la gente povera deve entrare in più numero in
poco spazio.
La necessità di fare con la Società del Risanamento un con-
tratto speciale per le case dei poveri, imponendo affitti mol-
LIVORNO_PADOVA_TRIESTE
CISTERNONE. G. Poccianti, 1828-42. Vi sono CAFFE’ PEDROCCHINO. G. Jappelli, 1826-42.
chiari richiami alle architetture classiche, come ad esempio Primo vero caffè vincolato e riconosciuto come uno dei mi-
la mezza cupola che richiama il ìfrigidarium delle terme ro- gliori esempi de patrimonio storico della nostra nazione.
mane, in questo caso i modelli formali costituiscono la chia-
ve di lettura per questo edificio. Quì la novità che Poccianti
introduce è quella di aver esibito in facciata una sezione,
che in questi ani è un fatto innovativo, fare di una sezione
un prospetto.

SANT’ANTONIO NUOVO. P. Von Nobile, 1828-


49. Intervento di grande interesse. Triset è stata sotto il
dominio austriaco per molto tempo. Tra il 28 e il 49 Peter
Fon Nobile, grande architetto che lavora al Ring di Vienna;
gli asburgo inviano le loro migliori maestranze in tutte le pro-
vincie.
Sul fondale del Canal Grande Von Nobile progetterà questa
chiesa, la pianta è formata da un’unica aula ripartita in cam-
pate separate da generose pilastrature che configuranone
ritagliano delle cappelle ai margini della navata centrale, si
conclude con un abside preceduto da un basso coro. al cen-
tro l’interasse delle colonne si fa più ampio e ci si innesta
in sommità una cupola a base ellittica; organismo in pianta
oblungo con una cupola sviluppata sull’asse che però a di-
stanza restituisce un’immagine ambigua poichè dal fronte
non si capisce la forma dell’impianto; le scelte che Fon No-
bile fa sul prospetto ne rispecchiano un’immagine ambigua,
ma la cosa che colpisce di questo prospetto èp il fatto di
avere pareti completamente liscie poichè vuole rinunciare
alle decorazioni e si incentra sul lavoro delle masse, Von No-
bile fa questa scelta perchè sa che la chiesa si vedrà solo dal
mare e quindi se srà percepita da lontano ciò che si dovrà
coigliere di questa composizione sono gli elementi fonda-
mentali, ciò che la costituisce, pronao, muratura e cupola.
ROMA
PIAZZA DEL POPOLO. G. Valadier, 1793-1813. racchiuso tra porta, fronte della chiesa e ala, che funge qua-
Con il dominio francese si pone il problema di assegnare si da sagrato civile di fronte alla porta, il tutto attraversato
un’appendice adeguata al nuovo imperatore, quando dovrà dall’asse perpendicolare che rilega in sequenza i diversi ter-
fare il suo ingresso trionfale a Roma, quindi per nobilitare razzamenti, e dall’altra parte, l’asse di comunicazione con la
tale spazio l’attenzione si sofferma su Piazza del Popolo. città del Vaticano. Una sistemazione, questa di Valadier, che
Valadier ipotizza, inizialmente, un sistema di giardini monu- è oggettivamente un capolavoro.
mentali, elabora varie proposte desunte da diverse sugge-
stioni, ma quella che avrà fortuna sarà la piazza berniniana di
S. Pietro, ciò perche le due braccia si adattano bene a rag-
gruppare le preesistenze, accompagnando così in modo gra-
duale la salita verso il Pincio. Si fa strada l’idea di una doppia
esedra, Piazza del Popolo è un progetto complesso, è uno
dei primi che integra urbanistica architettura del paesaggio
e architettura, che implica metodi e strumenti diversi gover-
nabili solo con una grande abilità, questa costituirà una delle
più belle e riuscite sistemazioni di piazza a scala europea.
Si sceglie di far confluire il tridente non sulla porta ma sull’o-
belisco, ai lati delle chiese si divaricano i due palazzi creando
una sorta di spazio trapezoidale che anticipa lo spazio ellit-
tico della piazza, richiamando sempre il modello della piaz-
za berniniana, oltre la piazza c’è un’altro spazio trapezoidale

TAGLIO DI VIA NAZIONALE. G. Valadier, dere con il tracciamento di nuovi assi seguito poi da una
1859-76. Primo esempio di una Roma moderna, ciò che mirata divisione del suolo (lottizzazione), vendita ai privati e
ha dato il via all’espansione di Roma oltre le mura, ed è un aseguire l’azione delle amministrazioni he procedono con la
intervento speculativo, condotto da un prelato. realizzazione delle opere di urbanizzazione.
Denerode, ricco investitore straniero, da il via al rinnova-
mento e quindi alla speculazione di questa area. Parte da un
disegno con una grande esedra affacciata su Santa Maria
degli Angeli. Via Nazionale è il primo intervento, soprattutto
nella tipologia, che poi diventerà tipico in Italia, cioè proce-
CORSO VITTORIO & PIAZZA VITTORIO EMA- ne commerciale, e tre/quattro piani superiori per civile abita-
NUELE II. La tipologia attuata è quella dello sventramen- zione per lo più dati in affitto;
to. Aveva l’intento di collegare Trastevere e i nuovi quartieri - i caratteri architettonici sono molto semplici e quasi nor-
realizzati subito dopo l’Unità al di là del Tevere; esigenza di malizzati, finestre contornate da cornici sormontate da tim-
collegare la stazione Termini e i terreni al di là del Tevere sui pani che riprendono i modi e le forme dell’architettura rina-
quali si concentrano le attenzioni di tutti gli speculatori e di scimentale;
tutte le imprese. - la piazza può essere “minerale” (cioè pavimentata) o trat-
I modelli architettonici-urbanistici presi a modelli sono quelli tata a “verde”, e in questo casi i vialetti sinuosi richiamano
sabaudi e quasi la copia fedele di piazza Vittorio Veneto a un pò la sistemazione a verde degli square.
Torino. A Roma il problema è la compreenza di diverse caratteristi-
Gli elementi fondamentali sono: che, cioè la citta del Papa, del Comune e la città Capitale,
- una piazza con di mensioni notevoli contornata da quinte già la disposizione dei ministeri darà luogo ad ampi dibattiti.
edilizie uniformi, con alti portici al pianterreno per destinazio-

MONUMENTO NAZIONALE A VITTORIO EMA- positivo ciò che ci appare duro a digerire, o strano, è che
NUELE II. G. Sacconi, 1885-1925. Questo mo- il tempio terminale si erge alla quota dei tetti degli edifici
numento ha vissuto un destino analogo a quello della Tour adiacenti, come se il tempio fosse stato appoggiato su un
Eiffel, prima odiato e poi uno dei più visitati in Italia. Viene palazzo con un podio altissimo.
indetto un corncorso e a vincerlo sarà Giuseppe Sacconi. Il sistema di terrazzamenti Sacconi lo ha preso in prestito
Il primo problema che ha generato una struttura di questo dai santuari laziali, il terrazzamento non trova giustificazio-
tipo, cioè quello del cedimento delle fondazioni, in questi ni; un’altra critica è la compresenza di stili molto remoti e
casi i tempi di cantiere si allungano a dismisura, per quasi 40 lontani tra loro, ad esempio il tempio in alto richiama l’altare
anni. In antichità li c’era un antico foro romano e oggi si at- di Pergamo, la tipologia per una architetto eclettico si por-
testa vicino a tre luoghi importantissimi per la città di Roma, ta dietro anche il linguaggio; il sotto richiama una tradizione
vale a dire i Fori Imperiali, il Campidoglio e a via del Corso, molto più recente, quasi contemporanea, che è l’architet-
si trova in un crogiuolo di immagini e simboli privilegiati per tura di Charles Garnier; il doppio salone affrontato richiama
riunire le culture, stili e pensieri diversi in un unico esempio quelle del Campidoglio di Michelangelo.
unificante. A livello della linea di coronamanto fa capolino una tettoiet-
Il monumento ha diuverse suggestioni, ciò che ci colpisce è ta che metallo che altri non è che il terminale di copertura
innanzitutto il colore bianco (prima critica), dovuto al marmo dell’ascensore panoramico realizzato sul retro. La cosa in-
utilizzato per il rivestimento, quello Botticino, che è estraneo teressante è ripensare al concetto di monumento nell’età
alla cultura romana, che con il suo bagliore era dissonante contemporanea e anche come l’architettura Barocca possa
dai colori romani, in maggioranza rossi; furono criticati anche integrarsi con quella contemporanea, si pongono nuovi tipi
i linguaggi e gli elementi stilistici, dal punto di vista com- di problemi.
STABILIMENTO BOCCONI. G. De Angelis,
1886-89. Primi veri magazzini generali realizzati a Roma.
L’aspetto più innovativo di questa struttura è che la struttu-
ra resistente è del tutto indipendente dall’involucro, con un
approccio al progetto molto contemporaneo, cioè è il primo
che intuisce l’autoniìomia progettuale e spaziale tra due mo-
menti fondamentali del progetto, l’involucro e la struttura
resistente.
La struttura interna, staccata dall’involucro, fatta da colonni-
ne in ghisa che consentono un’ampia spazialità e una grande
trasparenza, l’involucro esterno porta solo se stesso e ciò è
denunciato chiaramente dalle arcate al livello basamentale.

TORINO
PIAZZA VITTORIO EMANUELE (OGGI VENE-
TO). G. Frizzi, 1817-25. Piazza molto particolare
perchè su questo modello si edificherà Piazza Vittorio Ema-
nuele II a Roma. La piazza si presenta con una facciata dal
partito di portici al piano terra, sopra, una sequenza semplice
e regolare di finestrature.
I portici quì hanno un grande significato urbanistico, poichè
dalla piazza si può arrivare al palazzo reale camminando sem-
pre al coperto sotto i portici, dandone un preciso significato
nello spazio pubblico, quasi delle strade al coperto.
La piazza si attesta alla quota dei muraglioni del Po facen-
dola diventare un tipo a “piazza pensile”, che non è così
frequente nel panorama delle città italiane.

ALESSANDRO ANTONELLI. Alessandro Antonelli richiama i modi di operare di Guarino Guarini, l’architetto-ingegne-
re, per le finalità e l’approccio al proggetto; con la costruzione della Mole richiama tutti i saperi del periodo eclettico italiano,
ma anche di molte altre nobili architetture.
Il carattere delle sue costruzioni erano architetture all’insegna della sincerità costruttiva, la struttura è forma e viceversa, e
dove anche il rapporto tra decorazione e struttura è mirato e concepito con estrema coerenza; l’ossatura portante dei suoi
edifici non è mai dissimulata, anczi esaltata con soluzioni e dispositivi di estrema originalità che non trovano riscontri nella
nostra nazione nè in altre parti d’Europa.

CASA SCACCABAROZZI (FETTA DI POLEN-


TA). A. Antonelli, 1840. Casa originalissima, realizza-
ta su un lotto triangolare i cui cateti misurano 15m-5m-50cm
circa, una facciata che nonostante la sua sottigliezza ha resi-
stito anche ai bombardamenti.
La distribuzione dello spazio in terno si articola con la scala
nel vertice stretto e organizzando così gli appartamenti su
più livelli.
Un architetto che ha sempre seguito le soluzioni meno ovvie
e scontate per il tempo, che ne farà la sua cifra caratteristica.
CUPOLA DI SAN GAUDENZIO. A. Antonelli,
1841-47. Chiesa rimasta senza la copertura sull’incrocio
della croce. Antonelli progetta un’architettura che sotto mol-
ti aspetti è davvero sorprendente, nel tempo, però come
molte delle sue architetture, ha presentato problemi di tipo
statico, da lui controllato e governato con grande perizia,
infatti realizza un meccanismo nella cupola che in caso di
dissesto statico la cupola crollerebbe su se stessa senza
andare a intaccare le altre parti della chiesa e spazi vicini.
Qui Antonelli si ispira ad un Rinascimento ideale andando a
guardare il Tempietto di San Pietro in Montorio di Bramante.
Dal punto di vista strutturale e formale, la cupola è un ele-
mento quasi marginale dal punto di vista complessivo; svi-
lupperà diversi proggetti immaginandosi un impianto con un
grande invaso a bulbo, una forma assolutamente inusuale
per il periodo.
La pianta, grande edificio di tipo cruciforme, nell’incrocio si
affacciano quattro grandi piloni, li collega con dei grandi ar-
chi che diventano il vero elemento strutturale che regge la
cupola, su cui imposta un anello strutturale che ha il compi-
to, per tramite di pennacchi, il compito di assorbire il carico
proveniente dall’alto e dirigerlo verso i piloni, che poi andrà
distribuito sulle fondazioni opportunatamente rinforzate.
Sopra l’anello si innalza un ulteriore anello di 24 pilastri se-
parati all’interno da dei setti murari che collaborano con il
peristilio sia interno che esterno.
Rinuncia ad un tamburo pieno e sovrappone all’anello un pri-
mo peristilio di 24 colonne per alzare ancora di più la coper-
tura e renderla visibile anche dal basso, evitando che il corpo
della basilica possa nasconderla, al di sopra sovrappone altri
due peristilii, uno più basso e uno più alto all’interno del qua-
le inserisce una calotta in muratura di mattoni ad un foglio
su cui, a loro volta, sono impostati dei pilatrini in falso rilegati
da archi intrecciati che convogliano i carichi ai due peristilii.
Ancora al di sopra degli archi parabolici che, sempre con una
raggiera di 24, portano il torricino terminale.
Tutti i carichi vengono coinvogliati sul perimetro, e du con-
seguenza sui peristili, che con il torricino finale raggiunge
un’altezza di 126 m.
al punto di vista formale imita Bramante per avere lo spun-
to, ma con il torricino finale tende ad assomogliare di più
ad un minareto che ad una lanterna di una chiesa, quindi
convivono all’interno dell’opera suggestioni diverse, il tutto
trattato con una sensibilità quasi neoclassica, ci sono anche
di richiami esterni alla cupola di S. Paul di Christopher Rent.
CASA DELLE COLONNE. A. Antonelli, 1853. In
facciata vediamo u uso dell’ordine tuscanico ripetuto 5 vol-
te, cosa che controverte l’ordine della tripartizione classica e
mai visto prima di ora, ma Antonelli va oltre poichè la strut-
tura di questo edificio sono proprio le colonne, i tampona-
menti sono soltanto delle parti portate e non portanti, come
si penserebbe, se noi buttassimo giù tutti i muri il palazzo
rimarrebbe comunque in piedi.
Strutturalmente è pensato come una sequenza di telai, co-
lonne gollegate da archi ribassati che funzionano come travi
di collegamento e i fregi che si vedono altri non sono che i
solai; ha la sensibilità di un progetto in Calcestruzzo armato
ma senza conoscerlo,rendendo il suo approccio assoluta-
mente sorprendente.
Il basamento testimonia in pieno l’influenza, dal punto di vi-
sta strutturale, dei piani che sono completamente svuotati.

MOLE ANTONELIANA. A. Antonelli, 1863-89.


Il suo capolavoro, fin dal 1889 con i suoi 156 m di altezza è
la costruzione in muratura più alta del mondo.
Nasce come tempio per la comunità israelitica, anche que-
sta è una fabbrica che ha alla base la concezione della torre a
sviluppo telescopico, edificio impostato su una matrice qua-
drata con tanti quadrati di grandezza progressivamente mi-
nori inscritti l’uno nell’altro, fa eccezione il lenternino termi-
nale, che in una struttura conica, termina in modo circolare.
Rispetto a San Gaudenzio la Mole è ancora più coraggiosa
sia dal punto di vista formale che strutturale.
Dalla pianta delle fondazioni si evince che è una struttura a
telaio con sostegni puntiformi collegati da archi molto ribas-
sati, tanto che danno l’illusione che sia una trave, quindi il
comportamento è quasi quello del telaio, gli archi ribassati
sostengono tre livelli, su cui si imposta una vasta sala, poi
al di sopra del quarto solaio il volume non è nient’altro che
lo spazio racchiuso da un involucro, e la copertura, una volta
a padiglione a quattro vele sostenute da archi intrecciati e
archi parabolici su una facciata e su un’altra, si tratta di una
cupola sull’esempio di Santa Maria del Fiore.
La cupola è concepita con due fodere, una interna ed una
esterna spesse 12 cm innervate dagli archi parabolici che
sono il sistema strutturale; al di sopra ri erge un tempietto
che porta il lanternino finale, al di sopra del quale troviamo
un torricino.
La cupola ha previsto diversi anni di studi, ma l’esito finale
non può che dargli ragione, si parte da un profilo di 28 pilastri
esterni, poi diventano 20 ed infine 12, ciò ci è dato piochè
la magli strutturale è di 7x4; la seconda pianta ha una forma
piuttosto inconsueta, la raggera dei pilastri è impostata sul
quadrato più interno, questa raggiera si erge su due livelli
su cui si imposta quella bassa cupoletta ad archi intrecciati;
man mano che si procede verso l’alto i pilastri diminuiscono
fino ad arrivare ad uno, sul quale è impostata la scala elicoi-
dale che porta al lanternino.
Dal punto di vista del linguaggio non si ha un vero e proprio
stile o richiamo formale a qualcosa, la volta a padiglione è
stata presa poichè l’unica in grado di reggere un tale peso,
questa costruzione è governata dalla necessità, portare al
minimo le spinte orizzontali e controllare il diagramma degli
sforzi per far si che il carico a cmpressione sia sempre quelo
prevalente.
L’EUROPA E L’ART NOUVEAU
Dove e quando sarebbe iniziata quella che noi chiamiamo “Architettura Moderna”, questa multiforme produzione avrebbe
avuto inizio intorno alla metà del 700, più che altro negli anni della Rivoluzione Francese o subito dopo, e quindi faremo rife-
rimento a tutta la produzione globale che abbraccia 800 e 900 e gli anni che stiamo viendo, è possibile stabilire anche dove
sia iniziata e dove si sia manifestata.
Inizialmente si manifesta in Inghilterra durante la I° Rivoluzioni Industriale con il primo ponte in ferro Colbruke nel 1770, ma
non abbiamo mai detto perchè si manifesta, ciò che spinge architetti ed ingegneri alla ricerca di nuove tecniche compositive,
nuovi modi della costruzione e nuovi riferimenti, l’analisi più lucida l’ha fatta Leonardo Benevolo, egli sostiene che fino alla
metà del 700 il rapporto che lega gli architetti all’ambiente sociale in cui essi operano è un rapporto che si è sviluppato nel
corso dei secoli senza sostanziali modificazioni, cioè il rapporto tra architettura e società (rapporto tra domanda ed offerta),
gli architetti devono esprimere secondo i modi delle arti figurative enunciate dalla Terna Vitruviana.
Con la rivoluzione industriale tale rapporto inizia a cambiare, sia perintensità che rapidità di cambiamento, ciò che la società
chiede agli architetti non è più quello che si chiedeva un tempo, cambia il nostro metodo, cambia il nostro sguardo, guar-
diamo l’architettura contemporanea in modo diverso da come guardiamo il Tempietto di San Pietro in Montorio, perchè se
guardassimo ancora come facevamo prima non riusciremmo a leggere le opere contemporanee.
L’architettura di oggi si volge con uno sguardo differente, che ha una durata più breve rispetto a quella precedente.

VIOLET LE DUC, 1814-1879. E’ uno di quelli inter-


preti del gotico in chiave di “sincerità strutturale”, diceva
che l’architettura fonda su due verità, cioè verità costruttiva
e utilizzo di materiali e tecniche, secondo le caratteristiche
proprie di quei materiali, senza infingimenti; verità program-
matica, verità del programma che presiede ad ogni costru-
zione o realizzazione, esempio Giò Ponti diceva: “Il progget-
to di un cucchiaio è il progetto di una città, i due proggetti
devono rispecchiare fedelmente i requisiti, bisogni e neces-
sità delineate dal programma”.
Violet ha sviluppato con grande coerenza questi assunti nel
corso della suavita, si come teorico che come professioni-
sta, c’è un opera del ‘78, I lineamenti di architettura contem-
poranea, in cui ha illustrato diversi proggetti irrealizzati, sui
principi su cui si fonda la sua architettura.
PROGGETTO PER UNA CHIESA A PIANTA CENTRALE:
la copertura è a nervature metalliche che insistono su dei
cavalletti, esibiti entrambi per ciò che sono.
PROGGETTO DI UN PORTICO: straordinario esempio di
uso del ferro, ghisa e muratura allo stesso tempo usati in-
sieme.
CASA DI ABITAZIONE: intelaiatura in ferro che ripete un pò
i modi e le forme dell’architettura minore medioevale della
Francia, però esibita in facciata e messa in relazione con la
ceramica invetriata, con un basamento svuotato e la pre-
senza di vetrate che denunciano chiaramente l’uso di una
struttura puntiforme in ferro.
Forse il limite di Le Duc è aver insistito troppo sul bisogno
di un ritorno ai caratteri regionali dell’architettura, cioè dei
modi dell’architettura minore che caratterizzano i paesaggi
urbani dei piccoli centri francesi. Il fine a cui verte Violet le
Duc è quello nell’universalismo negli approcci e nel metodo,
tentativo di fornire risposte con un metodo condiviso, che va
al di là dell’indivualità dei proggetti ricercando invece un’im-
magine che sia espressiva dell’entità nazionale.
WILLIAM MORRIS, ................ . Si dice che abbia inaugurata l’architettura moderna, perchè pe primo ha posto do-
mande che sono alla base della nosra professione, che cosa intendiamo per architettura?
E’ il primo che sovverte le opinioni radicate e consolidate dicendo: “Le trasformazioni di tutto ciò che compone l’ambiente
dove l’uomo vive”, facendo così estende enormemente il campo di applicazione dell’architettura, rende partecipe la maggior
parte della popolazione ai comfort della vita moderna.

Verso la fine dell’Ottocento lo storicismo, nel quale si snodano tutte le vicende che abbiamo visto fin’ora, lega tutte le pro-
poste; per storicismo intendiamo un approccio e una filosofia che presuppone che le proposte nel campo dell’architettura
siano giustificate in ragione all’aderenza, più o meno intelligente, più o meno sofisticata, alle fonti originarie, cioè il classici-
smo. Lo storicismo presuppone una limitazione, ed è così che intorno agli anni ‘80 si manifesta quella che universalmente
ancora oggi definiamo “Art Nouveau”, un fenomeno a scala europea manifestatosi per la prima volta in Belgio e lo si deve
a Gustave Seruvì Bovì (che realizza un numero sconcertante di mobili che mettono insieme diversi stili) e Paul Anchar (che
lavora come architetto), l’emergenza è più a carico di infissi e accessori in genere, ma la strutura muraria non fa registrare
grandi cambiamenti.
E’ Victor Hortà il vero protagonista della scena belga, ha una biografia ed una vicenda che lo porteranno al successo mol-
to particolare, dopo gli studi sta 7 anni senza fare nulla, legge, riflette, schizza, per poi esordire con un’opera che rispecchia
in maniera perfetta le idee e la volontà di nuovo del tempo, un’opera praticamente perfetta.

HÔTEL TASSEL. V. Horta, 1892-96. La casa viene In sezione, ed è ciò che rende diversa la proposta di Hor-
realizzata su un tipico lotto bruxcellese stretto e lungo, 7,20 ta, cè un altro dettaglio cioè quello di utilizare delle finestre
x 30 m circa con rapporto 1:5, con il vincolo di rispettare le a bocca di lupo per illuminare il piano seminterrato, solita-
altezze degli edifici circostanti. Il compito è arduo e incarna mente nell’edilizia residenziale il piano emerge oltre il limite
alcuni problemi non di poco conto, come ad esempio, in un stradale in modo significativo, Horta rinuncia a questo e gli
lotto con così pochi affacci, il tema di portare la luce naturale permette di inserire un piano in più; in sezione si mette bene
all’interno di tutta la casa. in evidenza questo rapporto ed inoltre compare anche un
L’esterno ci comunica già delle scelte importanti, la muratu- altro episodio caratteristico qi questa casa, cioè la scala, ed
ra richiama i parametri tipici di Bruxell ma allo stesso tempo anche la differente altezza dei piani con i loro affacci.
quel bow-window centrale è trattato con grande elegan- PIANTA_Come nel prospetto anche la pianta si articola so-
za ed alcune accortezze ne fanno un episodio non affatto stanzialmente per tre fasce, una centrale e due laterali mo-
scontato. Nell’attacco con la muratura presuppone un’idea dulate con una certa libertà e con una grande esperienza,
diversa dagli esempi di allora, non è tanto un corpo giustap- esempio le due campate assegnate alla scala e allo studiolo
posto, ma sembra quasi che la parete fuoriesca in avanti con al piano terra. Per la prima volta Horta esibisce la struttura,
gli angoli trattati molto dettagliatamente che ne faranno la non la nasconde nella muratura, ma nazi ne fa la cifra carat-
differenza, il tutto si presenta molto flessuoso e da questa teristica della sua proposta, assunta quasi come elemento
predilezione delle linee sinuose, che caratterizzerà poi tutta di decorazione.
l’Art Nouveau, ma anche il contrasto tra l’ampiezza vitra del La famosissima scala, dove notiamo una straordinaria cura
bow-window e le finestre laterali trattate come se fossero per il dettaglio, ogni elemento è stato studiato e progget-
delle feritoie, esaltando così ancora di più il bow-window. tato ed è assolutamente nuovo, non vi è nulla che richiami
esperienze passate, sia la forma degli elementi che lo studio
attento e maniacale della rivettatura con cui giunta i diversi
profili. Il rapporto tra diversi materiali ed elementi, corrimano
in legno, ringhiera in ferro, decorazione parietale in mosaico,
tutto interamente disegnato da Horta.
MAISON DE PEUPLE. V. Horta, 1897-1900. ESTERNO_Sui prospetti ricorre a soluzioni standard, come
Considerato il suo capolavoro, la casa del partito socialista. ad esempio la disarticolazione degli angoli, non sono mai
La facciata curva e le due ali sono spiegate dalla necessità di trattati in modo massiccio ma come snodi di un’articolazio-
adattare l’edificio alle stradi circostanti, inoltre sono presen- ne, la parete divena quasi un bow-window che serve a far
te diverse acclività sulla giacitura del lotto che Horta seppe posto ad un ingresso secondario e l’intelaiatura metallica
risolvere con una grande padronanza della tecnica. che caratterizza il prospetto denuncia anche la struttura resi-
PIANTA_La pianta si basa su uno schema molto semplice stente dell’edificio. Anche la balconata sommitale continua,
e logico, una vasta campata centrale, la sala da caffè, tanto da l’idea di un coronamento dell’edificio, anche se reinven-
ampia quanto misura l’intera profondità del lotto, , quest’am- tato completamente, serve a sottolineare l’uso differenziato
pia campata è fiancheggiata da due campate minori tenden- dell’ultimo piano con l’auditorium.
zialmente simmetriche che raccolgono spazi e funzioni ac-
cessorie a servizio dello spazio principale, cioè le sale che
conducono ai piani superiori con la hall, a destra abbiamo
una cucinauna sala da gioco e delle sale di servizio, e queste
due separano la sala centrale dalle altre funzioni come il for-
no, i magazzini e le altre funzioni accessorie che consentono
di mettere a reddito e di tenere in vita questa costruzione;
dal punto di vista distributivo, e quindi strutturale, la pianta
è una perfetta sintesi di verità programmatica e verità co-
struttiva.
La struttura è in ferro, e quei disegni che si vedono a terra
altro non sono che la proiezione delle travi di sostegno della
sala da caffè, le travature in ferro sono esibite senza parti-
colari se non nessuno infingimento, sia le mensole che le
travature hanno gli spessori più o meno costanti; all’ultimo
piano, ciò che è insolito e sorpredne, grazie alla struttura
metallica e ad un dominio della pianta, inverte l’orientamen-
to e impegna per tutta la lunghezza dell’edificio una grande
sala-auditorium dove si svolgevano le manifestazioni, e che
costituisce uno degli spazi caratteristici di questo edificio,
caratterizzato da una copertura che esibisce tutta la struttu-
ra potante leggermente inflessa, travature longitudinali che
appoggiano sulle reticolari che come scheletri si agganciano
a quelle forcelle dislocate lungo il perimetro, le due galle-
rie sono a servizio della manutenzione e servono a svuotare
il prospetto per far entrare la luce naturale nella sala, così
Horta inizia a porsi dei problemi che diventeranno contem-
poranei.
VAN DE VELDE, 1863-1957. Artista a tuttotondo, pittore, designer e architetto. Chiarezza della forma, razionalità
strutturale, etica del lavoro, fiducia nell’ingegneria, fiducia nella civiltà delle macchine, fiducia nell’estetica che dominerà le
tecniche, ma allo stesso tempo si si dichiara un tenace oppositore alla standardizzazione, sostiene con una certa incoerenza
l’individualità della creazione artistica e artigianale, sostiene che la verità e la bontà della composizione architettonica la si
misura in base alle sensazioni psicologiche.

CASA AD UCCLE. V. de Velde, 1895. Nella pian- TEATRO DEL WERKBUND. V. de Velde, 1914.
ta ha, come accade ad Horta, la tendenza a scontornare gli Il teatro, estremamente espressivo ma effimero, rappresen-
angoli creando una tendenziale continuità tra i fronti, la net- tò il culmine di tutta la sua attività anteriore sulla guerra.
tezza delle forme è data dall’uso dell’intonaco chiaro con Calcestruzzo usato in stile Art Nouveau, ma vigoroso nella
gli infissi scuri. Qui Vand de Velde estenderà il suo campo concezione e nell’espressione. I volumi emergenti del tea-
d’azione ad ogni minima cosa della casa, dagli arredi agli ac- tro rivelano il magistrale controllo della forma; così ammi-
cessori, e persino agli abiti, che farà indossare alla moglie. rato, sarebbe stata l’utima formulazione dell’estetica della
“forma-forza” enunciata da Van de Velde. Fondendo l’attore
con il pubblico e l’edificio con il paesaggio, come nelle arene
all’aperto del Neolitico, il teatro mostrava una forza espres-
siva unica, empatica, una forza espressiva che non poteva
manifestarsi nella modesta casa unifamiliare.
ANTONI GAUDÌ, 1861-1947. Gli scritti di Violet le Duc, di Ruskin e di Richard Wagner facevano tutti parte del retro-
terra culturale di Gaudì. Le sue realizzazioni sembrano essere scaturite da due impulsi piuttosto contrastanti, il desiderio di
far rinascere l’architettura locale e la spinta a cercare forme completamente nuove.
Martorell aveva tre alievi prediletti, e uno dei quali era proprio Gaudì, i tre giovani allievi lavorano insieme al maestro e ma-
turano un elemento che fa lasua comparsa per la prima volta nella Casa Provincial de Maternidad y Expositàs, cioè l’arco
parabolico, quì esibito in facciata, l’arco parabolco è la sintesi tra due archi, quello a sesto acuto e a tuttosesto, e proprio da
questo arco che nascerà la tipica “volta catalana”, che verrà anche utilizzato in seguito da Eladio Dieste e dallo stesso Le
Corbusier nel periodo dei linguaggi spontanei.

CASA VINCES. A. Gaudì, 1883-88. La fortuna di


Gausì è stata quella di incontrare le persone giuste, nel caso
in particolare un ricco borghese, un certo Vinces, che gli
commissionerà la propia abitazione.
In questa casa esibisce già molti elementi che saranno pro-
pri di Gaudì:
- Tutta l’articolazione delle membrature, icorrenbti orizzon-
tali che richiamano quasi un’idea delle case a graticcio, tutto
è trattato con una forma concepita dal gotico, esempio la
struttura viene esibita in modo evidente rispetto ai tampo-
namenti murari;
- ceramiche tradotte a”troncavisse” (frammento), che ri-
chiama una tradizione tipicamente catalana che viene porta-
ta in Spagna dalla cultura islamica;
- disegno inedito delle partizioni in ferro, ringhiere, recinsio-
ni e cancelli;
- un impiego libero di altri elementi, come ad esempio le
persiane, il cui disegno è ispirato alla cultura domestica giap-
ponese.
Perfetta sinstesi di regionalismo, ideale gotico della strut-
tura esibita in facciata, uso del ferro unito al mattone e al
colore e la disarticolazione degli angoli.
Dal punto di vista distributivo nasce da una serra centrale
attorno a cui Gaudì sviluppa tutto il piano distributivo, l’idea
di assumere un centro formale e funzionale come cardine
dell’intera composizione, che poi ricorrerà in molti suoi prog-
getti.
Gaudì cercava un “Gotico che fosse pieno di luce”, che fa-
cesse uso di colori, nella serra centrale la copre con forme ad
arco sostenendo su mensole strati sovrapposti di piastrelle.
Questa volta divenne la chiave caratteristica del suo stile.
PALAZZO GÜELL. A. Gaudì, 1886-89. Palazzo
che nasce attorno ad un nucleo centrale costituito da una
sala di musica, destinata ad accogliere pochi musici, un or-
gano a canne e una cappella privata, questi tre spazi costitu-
iscono il nucleo centrale della composizione.
Questo spazio centrale era a tutt’altezza coperto da una vol-
ta a padiglione ad archi parabolici; la volta catalana è una
volta che scarica su mensole ed è costituita solitamente
da mattoni o piastrelle messe “in foglio” e sovrapposte in
modo sfalzato, che danno l’idea di un cielo stellato. Utilizza,
sempre nello spazio centrale, delle grate che prende in pre-
stito dall’architettura giapponese e le fonde in uno spazio
assolutamente inedito.
Questo spazio articolato riprendeva la forma della tipica cor-
te islamica e trapassava l’intera sezione superiore della casa.
PARCO GÜELL. A. Gaudì, 1886-89. Parco realiz-
zato per Guell, che aveva l’intenzione di completare quest’o-
pera con un villaggio/colonia operaia.
Il parco si compone di percorsi dall’andamento sinuoso, i
disegni di questi percorsi racchiudono i modi dell’Art Nou-
veau.
Il parco sorge su un perimetro irregolare, gli elementi carat-
teristici sono: un ingresso marcato da due guardiole, una
scalinata semi monumentale, mercato coperto e un vasto
terrazzamento panoramico.
Benchè il parco richiedesse un aspetto grandioso, gli unici
edifici ad essere completati furono le guardiole, l’imponente
scalinata che conduceva al mercato coperto, e la casa dello
stesso Gaudì.
La volta ondulata irregolare del mercato era sorretta da ses-
santanove grottesche colonne doriche, mentre il tetto, or-
lato da una seduta continua a serpentina, era concepita per
fungere da arena e palcoscenico all’aperto. Questo perime-
tro esotico, rivestito in mosaico, terminava in una spianata
che a sua volta si fondeva con la costruzione naturalistica,
in pietrisco irregolare, del resto del parco. Il parco stesso
era strutturato da sentieri a serpentiva, che dove serviva,
venivano sorretti da sostegni a volta, in modo da sembrare
tronchi d’albero pietrificati, quì l’articolazione della struttura
è stata sacrificata per evocare una qualche forza primitiva,
ma comunque Gaudì era molto attento e prciso allo studio
dello scarico delle forze e lasciò molti disegni e schizzi che
spiegavano il disegno così irregolare delle pilastrature, con-
cepote quasi come fossero delle sostruzioni romane, cghe
servivano a controbilanciare la spinta della collina sui cui era
costruito il parco.
Il Parco Guell è la prima opera di Gaudì che evoca diretta-
mente, attraverso il profilo ondulato dell’arena, l’immagine
ossessiva della sua vita: la famosa montagna presso Barcel-
lona dove la leggenda narrava che fosse custodito il sacro
Graal, nel castello di Montsavalt, nel quale Gaudì lavorò per
la prima volta restando ossessionato dal profilo frastagliato
della montagna per il rsto della sua vita.
CASA BATLÒ. A. Gaudì, 1904-06. Abitazione mol- cendo così riesce a racchiudere in questi spazi, che sono
to particolare e famosa di Gaudì. sempre i meno privilegiati per altre stanze, tutti gli impianti
In facciata Gaudì lavora in modo molto dettagliato, ad esem- che servono ciascun piano, e comunque anche le cosiddette
pio le colonnine disegnate come se la pietra colasse lette- chiostrine sono curate da Gaudì per non farlo sembrare uno
ralmente e si raffreddasse dando quelle forme molto parti- spazio chiuso e claustrofobico ma con l’utilizzo della cerami-
colari; i colori e la copertura sono usati in modo innovativo, ca colorata a troncavisse lo rendono un quadro.
dando un’idea di tetto-giardino che sarà ripresa s studiata in
modo attento da Le Corbusier.
In pianta si nota un’anima occupata dagli spazi servienti e
una serie di stanze sui fianchi che in parte prendono luce
dalle chiostrine e in parte dai fronti, quì Gaudì dimostra che
il linearismo vorticoso, tipico dell’Art Nouveau, può essere
applicato con successo anche sulle piante delle abitazioni,
però è stata anche criticata per questo, si è detto che Gaudì
ha preferito la forma rispetto alla funzionalità delle stanze.
La funzionalità si ritrova però nel posizionamento degli spazi
serventi che lui accorpa in prossimità delle chiostrine, fa-
CASA MILA’, LA PEDRERA. A. Gaudì, 1906-
10. Incredibile reticolo di stanze raggruppate intorno a tre
corti chiuse.
Casa Milà è più composta rispetto a casa Batlò, tutti i ser-
vizi sono raggruppati attorno ai vani scala per consentire il
massimo sfruttamento dei fronti per i vani abitati. Gaudì per
mostrare alle maestranze ciò che voleva realizzare eseguì
svariati modelli dimostrativi che spiegassero in maniera det-
tagliata come doveva avvenire la riuscita della casa.
I picchi e i camini di casa ilà si levano sulla scacchiera razio-
nale di Barcellona come la sommità di una rupe dai fianchi
ondulati, il cui senso di pesantezza sembra contraddire la
libertà e la finezza della distribuzione. A questa contraddizio-
ne corrisponde l’ostinato occultamento della struttura d’ac-
ciaio, di cui si compone l’edificio, dietro il rivestimento in
pietra massiccia: come nel Parco Guell, la struttura è stata
sacrificata per ottenere ed evocare una specie di forza pri-
mitiva. Nulla avrebbe potuto essere più lontano da Violet le
Duc, poichè nè la struttura e nè il procedimento costruttivo
sono espressi in modo espicito; al contrario, enormi blocchi
di pietra vennero scolpiti laboriosamente in modo da evoca-
re una parete rocciosa erosa dal tempo.
Nella Casa Milà, la sua solennità simbolica servì a isolare
Gaudì non solo dalla tradizione del Razionalismo strutturale,
ma anche da quegli aspetti più facili del simbolismo, che
costituiscono il tono generale del modernismo catalano.

LA SAGRADA FAMILIA. A. Gaudì, 1883-2016.


Nella Sagrada Familia, Gaudì, violenta,scompone e deform
ogni sintesi linguistica. Non a caso, alcune delle sue opere
saranno presenti agli architetti espressionisti tedeschi. Dal
suo plasmare le superifici come membrane fluttuanti, per in-
terromperle con inquietanti allusioni totemiche, dal suo dare
allo spazio aspetti labirintici, dal suo corrodere le stesse for-
me naturali, del suo profondere ceramiche, smalti e mosaici
in collages grotteschi, scaturisce un angoscioso interrogati-
vo lasciato senza risposta.
Gaudì spezza ogni rapporto fra le sue architetture - atti di
fede in un fare da cui si attende la salvezza - e la realtà. Con
un merito storico che travalica il suo geniale soggettismo:
dopo Gaudì, l’utopia del “ritorno alle origini” è ridotta a ce-
nere.
CHARLES RENNIE MACKINTOSH, 1896-1916. Nel 1905 Mackintosh e sua moglie avevano già acquistato fama
internazionale. In Inghilterra avevano raggiunto la notorietà con il nome dei “Quattro di Glasgow”.
I quattro si erano dedicati all’arredamento fino al 1984, avevano sviluppato una sensibilità, secondo White, che era espressio-
ne di un paganesimo quasi maligno, uno stile che ricavava le sue forme lineari dall’opra grafica di Willim Blake e Jan Toorop.
L’architettura di Mackintosh aveva anche altre origini, meno esotiche, attraverso il Gotich Revivalegli aveva acquisito una na-
turale affinità per un solido approccio artigianale per gli edifici. Riguard alla progettazione, assunse la posizione tradizionalista
di Ruskin, sostenendo che i materiali moderni, come il ferro e il vetro, “non sostituiranno mai degnamente la pietra a causa
di questo difetto, la mancanza di massa”.
SCUOLA D’ARTE DI GLASGOW. C. R. Mackin-
stosh, 1897-1907. Nel ‘96 Mackintosh pubblica un pro-
getto sulla scuola d’arte e ottiene subito un grande succes-
so, i disegni di progetto saranno publicati su molte riviste, si
parlerà di lui da Vienna a Torino.
La scuola è una sintesi di diverse tradizioni e suggestioni, da
un lato l’uso dei materiali con funzione tetonica, Mackintosh
sosteneva: “Il ferro e il vetro non potranno mai avere la
nobiltà della pietra, poichè solo alla pietra, per sua natura, è
affidato il compito di esprimere una massa”, e quindi il ferro
e il vetro sono utilizzati come elementi accessori.
Il fronte della scuola è un fronte sostanzialmente simme-
trico, con ingresso al centro, ma una simmetria corrotta da
sottili asimmetrie che sono un tentativo di sovvertire un
linguaggio classico. La muratura in granito richiama la tra-
dizione neogotica, però, fanno la loro comparsa degli ampi
finestroni, dietro i quali trovano posto i laboratori, finestro-
ni sormontati da piattabande in ferro fino quasi alla linea di
coronamento, e sulla linea di coronamento non c’è più un
pieno, ma i luicernai che illuminano gli studi.
La pianta si presenta a forma di E, ma inizialmente dove-
va essere una barra, e successivamente sono stati aggiunti
gli altri spazi. Un fattore riscontrabile quì, ed anche in altre
costruzioni di questo periodo, è una differenza tra i fronti,
quello stradale più composto e invece quello retro più artico-
lato e libero, anche per risolvere con maggipre semplicità la
problematica posta dai blocchi di servizio.
I fianchi denunciano riferimenti diversi:
- Il fianco orientale richiama la tradizione gotica, i bow-win-
dow, il torricino collocato al centro, l’arco ribassato e preva-
lenza della massa muraria;
- il fianco occidentale, realizzato più tardi, mostra già un’e-
voluzione come le fasce dei bow-window realizzati e conce-
piti come espansioni, scompare ogni riferimento al lessico
tradizionale.
WINDYHILL HOUSE. C. R. Mackinstosh, 1897. HILL HOUSE. C. R. Mackinstosh, 1899. La Hill
Piano terra occupato dagli spazi di servizio, si tratta di una House e la Windyhill House sono la variazione dello stesso
pianta ad L con un braccio, quello N-S, abbastanza regolare e tema della casa realizzata nei sobborghi, entrambe imposta-
l’altro braccio innestato a quello principale, in modo da crea- te su una pianta ad L, ma la Hill House, realizzata alcuni anni
re un legame tra spazi di servizio e i locali di rappresentanza dopo, si presenta più complessa.
realizzati nel braccio principale. Le costanti sono il braccio lungo che accoglie gli spazi di
I fronti presentano della caratteristiche che si è voluti in- rappresentanza, un aspetto caratteristico è che dal soggior-
terpretare come anticipatori di un certo linguaggio raziona- no si può accedere direttamente al giardino, il bow-window
lista degli anni ‘20 e ‘30, pur presentando delle parti che che testimonia, marca, l’eccezionalità del vanola centralità di
si proiettano in avanti, i camini, dei disassamenti, tutto è quella stanza nell’economia della casa, qui si inizia a riflette-
unificato dall’uso di un intonaco rustico tinteggiato di bianco re sul rapporto tra interno ed esterno, altro esempio he sot-
per rednere il tutto più stratto, slegato dalla natura e dalla tolinea questo espediente è la scaletta che porta anch’essa
caratteristica dei materiali, come una maschera che unifi- al giardino.
ca e uniforma le differenze tra le parti. Le finestre tendono Quì l’innesto tra i due bracci è sottolineato da un elemento
ad essere dei fori ritagliati nella superficie, e con l’infisso di cerniera, e quindi anche le articolazioni tra le parti trovano
spostato verso l’esterno, quasi complanare, a nascondere una formalizzazione e dispositivi che ne commentano e ne
lo spessore della muratura. Il tetto comformato a timpano e sottolineano la logica, ad esempio sia l’innesto che la fine
privo di qualsiasi tipo di risalto o sporgenza, la copertura in del corridoio sono determinati dalla scala a chiocciola, che
ardesia si trova ad una quota più bassa, il tutto per restituire poi nel prospetto caratterizza quell’angolo.
un’immagine della forma complessiva dell’edificio. Il retro rispetto alla casa precedente, che si era riconducibile
ad una matrice di assi ortogonali, ora inizia a complicarsi e
appaiuono delle curve. Gli interni pi saranno disegnati intera-
mente da Mackintosh.
CASA PER UN AMATORE D’ARTE. C. R.
Mackinstosh, 1914. Mackintosh arriva secondo al
concorso, il vincitore elaborerà un progetto all’insegna del
Gothic Revival, Mackintosh, invece, propone un progetto
che porta avanti fino alle estreme conseguenze, associan-
do anche una serie di prospettive interne della realizzazione
effettiva degli spazi, con ovviamente tutto il mobilio e gli
accessori disegnati da lui stesso.
E’ presente una tendenza a diversificare i fronti, con quello
retro più articolato, ma quì ancora di più poichè i fronti sono
completaente diversi, anche nella concezione.
WILLOW TEA ROOM. C. R. Mackinstosh, 1902-
04. La vicenda di Mackintosh è molto tormentata, molti arti-
sti in questo periodo avranno lo stesso destino, Mackintosh
finirà per essere sempre più isolato fino a dedicarsi alla fine
solo alla pittura e al design, perchè deluso dal non essersi
affermato come architetto.
Possiamo definire l’architettura della sala da te come “pro-
torazionalista”, intonaco bianco, nessun riferimento alla
tradizione, compare la finestra a nastro, ampia vetrina con
portone decentrato che denota un affrancamento verso la
struttura portante, una sottilissima tettoia a marcare la diffe-
renza tra i piani commerciali e i piani superiori, il tutto incor-
niciato da una grafica molto minuta di quadratini neri.
Anche quì tutto è stato progettato da Mackintosh, dalle se-
die e tavoli, alle indìsegne e alle vetrine.

FERMATE DELLA METRO DI PARIGI. H. Gui-


mard, 1899-1904. Gli ingressi alla metro erano costi-
tuiti da elementi modulari in ferro intercambiabili, fusi in
forma di elementi naturalistici e distopici a incorniciare parti
in acciaio smaltato e vetro. Guimard trattò perfino le scritte
e l’illuminazione di questa struttura come prolungamenti si-
nuosi della loro forma, negli anni che vennero questo venne
chiamato Style Metrò, e Guimard il suo creatore.
EDIFICIO DELLA SECESSIONE VIENNESE. J.
Olbrich, 1867-1908. Nel disegno della pianta ci trovia-
mo di fronte ad una composizione ancora tradizionale. Dal
punto di vista dei volumi c’è una composizione “paratatti-
ca”, cioè la giustapposizione di soluzioni formali che potreb-
bero vivere anche spontaneamente, ad esempio guardando
sopra l’atrio d’ingresso a croce greca, ci sono quattro volumi
tutìrriti che sorreggono la sfera dorata a foglie d’acanto, se
noi staccassimo quella parte comprensiva delle colonnine
potrebbe essere benisssimo vista da sola.
Il resto della struttura sono una proiezione in volumi di quello
che suggerisce la pianta, la parte superiore sembra riecheg-
giare le architetture francesi post-rivoluzionarie di Boulle o
Ledux, nell’insieme registriamo ancora un certo eclettismo
nella formulazione, ma rivendicando un’originalità dei tratta-
menti desunti dalla pittura.
COLONIA PER ARTISTI. J. Olbrich, 1899-
1907. Realizzata per volere del principe, dove gli srtisti di
spicco hanno spazi per produrre e confrontarsi con gli altri
colleghi, ma anche delle residenze individuali, questa vicen-
da non ha precedenti nella storia.
Vi è un grande salto di scala tra alcuni elementi della faccia-
ta, la statuaria e le bucature, l’avancorpo basamentale ha
un’altezza quasi uguale al corpo superiore, completamente
muto, da cui emerge una pensilina che sottolinea solo la ter-
minazione del fronte. La aperture spiccatamente orizzontali
sembrano quasi un’illusione della finestra a nastro e il colore
bianco ne fa una figura quasi stratta.
Il retro è molto più coraggioso del fronte, i lucernai sono
l’elemento che congiunge le due falde del tetto, come se
volesse far sembrare che mancasse un pezzo alla struttura.
La planimetria generale mostra una grande libertà nel dise-
gno dei giardini e parti verdi, strade, sentieri e posiziona-
mento delle abitazioni.
SANATORIO DI PURKERSDORF. J. Offmann, delle linee marcate con un pennarello a punta grossa, sono
1903-08. Opera che a detta di molti influenzerà non poco in realtà cornici affidate a piastrelline quadrate; tendenza a
Le Corbusier. Questa è principalmente una composizione differenziare le finestre distinguendo una zona superiore, di-
per volumi e soprattutto le superfici, il bianco è utilizzato segnata a gruppi di quadrati, e una zona inferiore, lasciata
come principio di astrazione, un carattere essenzialmente più semplice.
atettonico, cioè non riusciamo a comprendere con quale
tecnologia sia stato realizzato. Qui si nota anche la tenden-
za dell’architetto a scontornare, sottolineare gli spigoli e le
linee, questa tendenza amplifica l’effetto di superficie dei
muri, nega la continuità dei fronti complementari, separa-
zione netta tra i piani; il carattere atettonico viene restituito
anche dal montaggio degli infissi delle finestre a filo parete.
Il basamento è distaccato dalla facciata mediante una diver-
sa varietà tonale, grigio su bianco.
Le riquadrature delle finestre, che nei disegni sembravano

PALAZZO STOCLET. J. Offmann, 1905-11. Ri- Il trattamento degli interni, poi, era stato curati con materiali
tenuto il suo capolavoro: Ritrovaiamo tutti gli elementi mes- pregiatissimi, marmi, mosaici, mobili in ebano massello e
si in campo nel Sanatorio: superifi bianche, finestre montate pannelli artistici realizzati in materiali pregiati, ed è proprio
a filo parete, disegno delle finestre articolate in rettangoli e per questi eccessi dei costi che la Secessione dai vicini in-
gruppi di quadrati, bande metalliche lungo gli elemenyìti di glesi e scozzesi, tali palazi non potevano che essere rea-
connessione delle superfici orizzontali e verticali; in più si ag- lizzati per una cerchia ristrettissima della popolazione, cioè
giunge una predilezione per una composizione spiccatamen- l’altissima borghesia, e non riuscendo ad avere una eco in
te asimmetrica, che ne fa di questo edificio un capolavoro. tutte le classi.
METROPOLITANA. O. Wagner, 1905-11.Wagner MAJOILIKAHAUS. O. Wagner, 1911. Un immobi-
ottiene l’incarico per il piano della metropolitana di Vienna, le per molti versi ancora un pò tradizionale che si caratterizza
una delle più celebri metropolitane storiche europee. per il rivestimento in facciata con un disegno di maioliche, e
Il progetto si compone di oltre 2000 disegni, prodotti da Wa- da qui prende proprio il suo nome.
gner ed il suo studio in meno di un anno, progettando sia la Grande dominio di forme e proporzioni che fano di Wagner il
linea ferrata che differenziando i progetti di tutte le stazion- più talentuoso degli Schinkel Schule.
cine della metro; gli strumenti di controllo utilizzati sono le La Majolikahaus, a dispetto del trattamento, rivela un’atten-
prospettive a volo d’uccello. zione particolare al contesto, basti guardare il trattamento
Le stazioni tendono, inoltre, ad assimilare i caratteri del luo- dell’angolo in prossimità dell’incrocio, con il bow-window
go dove sono costruite, andando a guardare l’intorno della sullo spazio commerciale, il rafforzamento della decorazione
parte della città. che concorre sull’angolo, la loggia terminale, tutta una serie
di elementi che testimoniano grande sensibilità ed attenzio-
ne per il contesto.
In facciata manca una tripartizione netta, le aperture sono
tutte uguali a formare un impiano seriale, i balconi agli estre-
mi della facciata sono inusuali, gli angoli tendono ad essere
svuotati, la balconata è continua ed il murosulla strada è un
cieco basamento.

POSTSPARKASSE. O. Wagner, 1903-12. Pesner licale con un corpo centrale più ampio e due navate minori
la definisce l’opera più significativa di Wagner, con un carat- ai lati dove posiziona gli sportelli per il pubblico. Elementi di
tere poetico. novità si riscontrano anche nella cura dei dettagli, dall’illumi-
Pianta molto bloccata e simmetrica, ali, corpo centrale e nazione a gas che si trova nella parte centrale della colonna,
avancorpo, forse così formata per attenersi ai dintorni delle l’eliminazione dei caloriferi e il posizionamento dell’aria con-
strade. dizionata con bocchette che escono dalla pavimentazione
La facciata, invece, ha delle caratteristiche molto originali, e assumono forme di sfiatatoi dell’aria o l’utilizzo della pa-
lastre di granito Sterzing rivettate e montate in modo mira- vimentazione, sotto al lucernaio, in vetrocemento così da
to, nella parte centrale il rivetto costituisce il vero elemento permettere la penetrazione della luce anche ai magazzini e
decorativo, che con la sua geometria caratterizza il fronte depositi sottostanti. Inoltre ci sono alcuni elementi di detta-
di ingresso, il resto del rivestimento è uguale a quello della glio secondari, come le colonnine in ferro all’ingresso, o il
parte centrale con l’unica eccezione che le rivettatire sono corrimano delle scale che potrebbero benissimo essere di
di minor numero e quindi meno evidenti lasciando vedere in questi anni.
modo più accurato il rivestimento delle lastre in marmo, che
sembra quasi richiamare un bugnato liscio.
E’ però all’interno che troviamo, nella sala con gli sportelli,
la vera innovazione, questo è un luogo che oramai non ha
più nulla di ascendenza classica, è un’architettura industriale
vera e propria, con ferro smaltato e verniciato, la pilastratu-
ra rastremata, i colori, richiamano tutti l’architettura navale.
Non è solo l’armatura e il lucernaio sommitale, tra l’altro co-
perto da un velario così da non far edere lo sporco che ci
cade sopra; l’impianto della sala ha quasi un richiamo basi-
KIRKE AM STEINHOF. O. Wagner, 1905-07. VILLA WAGNER. O. Wagner, 1912-13. Nella sua
Una chiesa molto criticata, anche quì sono presenti le lastre casa di abitazione Wagner sembra quasi fare un passo in-
in marmo rivettate e la decorazione delle vetrate è invece in dietro, dagli esempi visti prima questa realizzazione appare
stile secessionista. molto più semplice e bloccata, quasi come se fosse stato
L’interno no ha nulla a che vedere con gli iterni delle archi- esautiro il lessico e l’inventiva della Secessione.
tetture religiose del rinascimento, ma in pianta si nota, e
si vede soprattutto sugli angoli, un richiamo al modello del-
la chiesa di S. Pietro di Bramante con i pilastri a 45° sugli
angoli, gli si rimprovera proprio questo, il fatto di non aver
inventato nulla e di aver semplicemente riproposto, nella
concezione dell’impianto, qualcosa di già visto.
IL FUTURISMO
Di fronte ai valori classici e passatisti dell?italia, il Futurismo Il messaggio firmato da Antonio Sant’Elia afferma:
proclamava la supremazia culturale di quell’ambiente mec-
canizzato che, più tardi, influenzò allo stesso modo lìestet- Il problema dell’architettura moderna non è un proble-
ica architettonica del Futurismo italiano e del Costruttivismo ma di rimaneggiamento lineare. Non si tratta di trova-
russo. re nuove sagome, nuove marginature di finestree di
Nel 1910, con il contributo determinante di Umberto Boccio- porte, di sostituire colonne, pilastri, mensole con caria-
ni, il Futurismo iniziò ad estendere la sua polemica “anticul- tidi, mosconi, rane,....., ma di creare di sana pianta la
turale” al campo delle arti plastiche. Per ottenere la simul- casa nuova, costruita tesoreggiando ogni risorsa della
taneità nella scultura Boccioni aveva già raccomandato, nel scienza e della tecnica,......, determinando nuove for-
suo manifesto del 1912, che da allora in poi gli scultori esclu- me, una nuova armonia di profili e volumi, un’archi-
dessero il nudo, i contenuti elevati e l’uso di materiali nobili tettura che abbia la sua ragione d’essere solo nelle
come il marmo o il bronzo, in favore di mezzi eterogenei. condizioni speciali della vita moderna, e la sua rispon-
Questa pura visione di splendore meccanico trovava un pa- denza come valore estetico nella nostra sensibilità.
rallelo aeguato nei contemporanei progetti di centrali elettri-
che del giovane architetto Antonio Sant’Elia. Giuseppe Il calcolo della resistenza dei materiali, l’uso del cemen-
sommaruga sembra aver esercitato un’influenza particolare to armato e del ferro escludono l’architettura intesa nel
sulla formazione di Sant’Elia. Molti degli elementi caratte- senso classico e tradizionale. I materiali moderni di co-
ristici del “dinamismo architettonico” di Sant’Elia furono struzione e le nostre nozioni scientifiche, non si presta-
senza dubbio anticipati dall’albergo di Sommaruga a Campo no assolutamente alla disciplina degli studi storici [...].
dei Fiori, il Grand Hotel Tre Croci, e il Mausoleo Faccanoni, Sentiamo di non essere più gli uomini delle cattedrali
semvra essere servito da punto di vista di partenza per il e degli arengari, ma dei grandi alberghi, delle stazioni
progetto elaborato da Sant’Elia per un cimitero a Monza. ferroviarie, delle strade immense, dei porti colossali, dei
mercati coperti, delle gallerie luminose, dei rettilinei, de-
gli sventramenti salutari. Noi dobbiamo inventare e fab-
bricare Ex Novo la città moderna simile ad un immenso
cantiere tumultuante, agile , mobile, dinamico in ogni
sua parte, e la casa moderna simile ad una macchina
gigantesca. Gli ascensori non devono rincantucciarsi
come vermi solitari nei vani delle scale; ma le scale -
divenute inutili - debbono essere abolite, e gli ascensori
debbono inerpicarsi come serpenti di ferro e vetro lungo
le facciate. La casa di cemento, di vetro, di ferro, senza
pittura e senza scultura, ricca soltanto della bellezza con-
genita alle sue linee e ai suoi rilievi; straordinariamente
brutta nella sua meccanica semplice, alta e larga quan-
to più è necessario, e non quanto prescritto dalla legge
municipale, deve sorgere sull’orlo di un abisso tumul-
tuante; la strada, la quale non si stenderà più come un
soppendaneo al livello delle portinerie, ma si spofnderà
nella terra su più piani che accoglierannoil traffico me-
tropolitano e saranno congiunti, per i transiti necessari,
da passerelle metalliche e da velocissimi tapis roulant.

Alla rpima esposizione del gruppo, nel 1914, Sant’Elia espo-


ne i propri disegni per la futuristica CITTA’ NUOVA. Rimane
incerta la data in cui ebbe il primo contatto con Marinetti e
con la cerchia futurista, ma era completamente sotto la loro
influenza.
Gli schizzi di Sant’Elia per la CITTA’ NUOVA non sono
pienamente coerenti con i suoi principi. Mentre il Messaggio
si pronunciava risolutamente contro l’architettura comme-
morativa, e di conseguenza, contro tutte le forme statiche e
piramidali, i suoi disegni sono pieni di immagini monumentali
di questo genere; centrali elettriche ed altri edifici, massicci
e spesso simmetrici, sorgono come miraggi nel paesaggio
scenografico ed asettico della Città Nuova, infatti in nessun
disegno è presente a qualcosa di naturale o che possa ridare
o ricondurre a qualcosa di naturale.
Ormai Sant’Elia era cmpletamente coinvolto nel Futurismo,
e nel 1915 firmò, insieme agli altri adepti, il manifesto po-
litico; l’anno dopo si aruolò dove morì subito in battaglia
lasciando così nulla di realizzato e solamente degli schizzi,
disegni che dovevano descrivere la Città Nuova o del Futuro,
anche altri membri importanti del Futurismo morirono in altri
modi e così si decretò la fine di questo laboratorio di Idee
Nuove.
ADOLF LOOS, 1863-1957. Adolf Loos, figlio di uno scalpellino, nacque a Brno, dopo un’educazione tecnica nel 1893
partì per gli Stati Uniti, non risulta minimamente che durante il suo soggiorno in America abbia lavorato come architetto,
tuttavia gli divenero familiari le pionieristiche realizzazioni della Scuola di Chicago e gli scritti teorici di Sullivan, in particolare
il saggio Ornamento in Architettura che esercitò un’influenza palese sul suo saggio, Ornamento e delitto.
Nel 1908 pubblicò il suo scritto dove approfondiva la natura della sua polemica contro gli artisti della Secessione viennese;
l’argomento fondamentale di Loos contro l’ornamento si basava sul fatto che esso non solo implica un dispendio di lavoro e
di materiale, ma comportava invariabilmente anche una forma di schiavitù artigianale.
I moderni compiti dell’edilizia riguardavano la tecnica piuttosto che l’arte: “Soltanto una piccolissima parte dell’architettura
appartiene all’arte: il sepolcro e il monumento. Il resto, cioè tutto ciò che è a servizio di uno scopo deve essere escluso dal
regno dell’arte”.
Fino al 1910, l’attività di Loos si limitò in gran parte alla trasformazione di interni preesistenti, internamente il suo stile variava
dalle atmosfere giapponesi dei suoi primi interni, fino ad arrivare ad un’eleganza classica.
Negli interni domestici il linguaggio di Loos era più eclettico, rivestiva invariabilmente i muri, fino all’altezza dello zoccolo o
alla modanatura dei quadri, con pannelli di pietra levigata o legno; al di sopra essi potevano essere lasciati lisci o coperti con
un motivo ornamentale o con u fregio classico in stucco.
Negli edifici pubblici i soffitti erano spesso nudi, in quelli privati erano ricoperti con cassettoni di legno o di metallo. I pavimen-
ti erano generalmente di pietra o di parquet, e sempre ricoperti con tappeti ornamentali, mentre la zona del camino, spesso
in mattoni, per contrasto di materiali si staccava dalle zone di luce. Per quanto possibile l’arredamento era sempre costruito
su misura: “All’architetto appartengono i muri delle case, e come i muri, gli appartengono i mobili che non si possono spo-
stare; materiali ricchi e lavorazione accurata non devono essere considerati come semplici compensazioni per l’assenza di
decorazione, ma come di gran lunga superiori per sontuosità”.
Loos infine troverà un sui linguaggio per la progettazione delle case a partire da Casa Steiner, dove per la prima volta vediamo
mettere in atto un primo esempio di “Raumplan”, che migliorerà e complicerà sempre più fino alla sua ultima casa, la Casa
Müller.
Soprattutto Loos deve essere il primo ad essere considerato ad aver posto il problema che Le Corbusier avrebbe alla fine
risolto con lo sviluppo fino in fondo della pianta libera.
VILLA KARMA. A. Loos, 1903-06. L’ordine quì è AMERICAN BAR. A. Loos, 1908. Quest’opera gli
utilizzato come una citazione, un frammento nell’economia darà molto successo.
dell’edificio. Il fronte principale rimane molto semplice con Accostamento d’impatto, in facciata, tra l’insegna luminosa
una superficie liscia e bianca, uno zoccoletto di colore grigio e il marmo d’ingresso. Tre aperture annunciano la suddivi-
scuro e delle finestre riquadrate, tutto trattato in modo mol- sione interna, la tripartizione è reiterata anche in senso lon-
to astratto. gitudinale, bancone - corsia - tavlini, questa tripartizione in
E’ invece sul retro che il trattamento si scopre completa- senso longitudinale trova il suo corrispettivo anche in senso
mente diverso, ma comunque le quattro facciate sono unifi- trasversale dove, trattamento del soffitto e travature, de-
cate tutte dalla stesura dell’intonaco bianco. nunciano come sia costruito il bar; inoltre le pareti interne
sono ricoperte, nella parte alta, di specchi che servono ad
illudere i visitatori sull’effettiva grandezza del bar.
CASA SULLA MICHAELERPLATZ. A. Loos, CASA CON UN SOLO MURO - COMPLESSO
1909-11. Con questa casa ottiene la sua notorietà, la qua- RESIDENZIALE AD HEUBERG. A. Loos, 1922-
le desterà anche scalpore e scandalo. 23. Il tema nacque da Loos perchè si trattava di case a
Un afacciata con un alto basamento marmoreo nobilitato al schiera e quindi pensava, e ha messo i atto, che realizzata la
centro da una sorta di ordine architettonico, sopra intonaco prima cellula abitativa, le altre sarebbero nate semplicemen-
liscio, finestre prive di cornici e modanature, solo delle fio- te alzando un altro muro.
riere che degradano man mano che si procede verso l’alto, Tra l’altro utilizzava una tecnologia molto semplice, due
cornicione poco aggettante, finestrature di forma quadrata muri portanti, dove lui concentra anche tutti gli impianti e
e tutte uguali. le canalizzazioni, lasciando così uno spazio totalmente libe-
Allora non si capisce il perchè dell’ordine al basamento e al ro all’interno, prannunciando l’idea di pianta libera, con oriz-
centro, ma compreso poichè i viennesi erano scandalizzati zontamenti e tamponamenti in legno, cioè materiali facili da
di vedere una casa così vicina alla residenza reale, troppo produrre e utilizzabili in loco.
spoglia e semplice, allora Loos è costretto a differenziarla Loos prevederà anche una parte a giardino e delle serre per-
e ciò ci fa capire il pensiero dell’architetto riguardante il suo sonali dove ogni famiglia poteva piantare un piccolo orto e
concetto di differenziazione tra architettura ed edilizia. produrre da soli i primi mezzi di sostentamento, stiamo par-
lando degli anni dell’immediato dopoguerra, dove il denaro
scarseggiava e bisignava fare economia su tutto, soprattutto
in una nazione che aveva perso la guerra.

CASA STEINER. A. Loos, 1910. Il retro potrebbe


sembrare benissimo una casa degli anni ‘50 nel Novecento,
ma si tratta di una casa costruita nel 1910.
Di questa casa non è importante il trattamento delle faccia-
te, ma è la prima casa che anticipa il “Raumplan”: libera di-
sposizione altimetria degli interni che secondo Loos doveva
seguire uno schema prettamente funzionale e da ciò scaturi-
sce anche la disposizione così disparata e differenziata delle
aperture, che seguono semplicemente la disposizione inter-
na; nelle case di Loos abbiamo due visioni completamente
diverse, una interna molto libera e articolata nella ricerca del-
lo spazio, una esterna, invece, molto semplice e bloccata,
se non fosse per il posizionamento delle aperture, ciò lo si
deve alla posizione della case di Loos che sorgono tutte in
zone fortemente urbanizzate e quindi lo spazio utilizzabile e
molto ristretto.
CASA MÜLLER. A. Loos, 1928-30. Quì ritroviamo
tutti gli elementi della casa Steiner. Ma quì all’interno realiz-
za al meglio il concetto di Raumplan, grande variabilità di al-
tezza di solai ed interpiani, interni molto complessi e studiati
in sezione e con modelli, per la sua complessità.
In ultima analisi, il significato del ruolo di Loos dipendeva
non solo dalle sue straordinarie intuizioni di critico della cul-
tura moderna, ma anche della formulazione del Raumplan
come strategia architettonica per superare la contraddittoria
eredità culturale della società.

LA SCUOLA DI CHICAGO
America_non si può parlare di America senza iniziare a parlare di Chicago, che è la città dove per convenzione sarebbe nato il
primo grattacielo, con sistemi, anche se agli albori, per la protezione contro il fuoco. A Chicago nel 1804 l’esercito americano
erige un forte; nel 1812 gli indiani assalgono il forte distruggendolo e nello stesso anno l’esercito americano lo ricostruisce
portando dei pionieri che dovevano insediare la zona. Tra il 1812 e il 1830 questa comunità di pionieri pian piano si assesta
e raggiunge una dimensione tale che la municipalità ritiene sia giunto il momento di redigere un “piano di sviluppo”, quan-
tomeno un piano che dia una forma o un’assetto alla maglia viaria, ed è così che nel tipico spirito americano si disegna una
maglia a scacchiera su un modulo ripetuto a partire dall’area originaria dell’insediamento dei pionieri (che poi diverrà il celebre
Loop di Chicago), virtualmente infinita e divisa l’area la città si svilupperà raggiungendo la sua maglia inusitata.
Le costruzioni tipiche del periodo sono più quelle della produzione in legno, Balloonframe, che poi porterà qualcosa anche
nella progettazione dei grattacieli. Il Balloonframe è radicalmente diverso dalle costruzioni in legno di produzione europea
perchè, l’enclipedia americana dell’epoca la descrive come una struttura che per la sua leggerezza e rigidità l’accomuna alla
palla, semplicità della costruzione e uniformità del guscio, ma sarebbe più esatto chiamarle basket frame (cioè strutture a
cesto); il balloon frame consisteva e consiste ancora utilizzando elementi normalizzati, listelli di legno di dimensione uniforme
prodotte su scala tendenzialmente industriale, sono accostate a distanze modulari, un modulo concordato e convenuto e
va da se che questo modulo finisce con l’essere anche il modulo delle aperture, lo stesso elemento ligneo funziona sia da
montante sia da trave e sia da elementi di controventamento, con un approccio molto semplice partendo da un elemento
normalizzato che reiterato in tutta la struttura assolve a funzioni diverse.
Chi sono i protagonisti di questa vicenda? Nella prima gene- Quali sono i fattori che determinano la nascita del grattacielo
razione di architetti che operano a Chicago e a cui si deve il in America? L’ascensore, la struttura in acciaio a scheletro
merito di aver messo a punto per primi la struttura a schele- indipendente, l’invenzione della posta pneumatica (che con-
tro in acciaio sviluppata su più piani, e quindi il merito di aver sentiva di far pervenire in tempi rapidissimi elementi anche
introdotto un nuovo metodo edilizio del tutto sconosciuto, ad altezze elevate), in più in questi anni Le Baron si associa
il Grattacielo, sono quasi tutti architetti e ingegneri formati- ad un ingegnere che studia gli effetti dei carichi concentrati
si in Francia all’Ecole Politecnique o Ecole de BouxArt e in sulle fondazioni e quindi un sistema per evitare i cedimenti
America questi artefici sono anche coloro che occuperanno differenziali, che inizialmente si verificavano, nasce infatti
un posto di rilievo nel genio militare, soprattutto nelle guerre in questi anni il sistema del “caesson” che è l’antesignano
di secessione, su tutti emerge una personalità di enorme del sistema a pali, la particolarità è che in questo periodo le
statura che è considerato il padre di tutti gli architetti della fondazioni tipiche erano quelle a platea e invece il sistema
scuola di Chicago che è William Le Baron Jenney, si segnala a pali oltrepassava tutto il terreno senza buona resistenza
già nel corso della guerra civile americana e si deve a lui la meccanica e si arrestava sulla roccia; tutti questi elementi
messa a punto con criteri scientifici nel ’79 con il First Lei- consentono uno sviluppo rapidissimo del grattacielo ma an-
ter Building in ossatura d’acciaio e protetta da materiali che perchè le aree a ridosso del Loop aumentavano il loro
di rivestimento per la difesa contro gli incendi. Quello che valore nel corso del tempo e quindi i produttori erano co-
sorprende della vicenda americana di Chicago è che dopo stretti ad ottimizzare i loro investimenti non estendendo le
l’incendio, nell’arco di meno di un trentennio, gli americani in costruzioni in superficie ma limitandosi su lotti di dimensioni
questa particolare città mettono a punto tutto ciò che serve contenuti e sviluppandosi in altezza, mettendo insieme tutti
per realizzare un moderno grattacielo in acciaio. questi fattori e tutto questo contesto favorisce la nascita del
Grattacielo.
In questo caso “la forma e struttura”, si vede benissimo
qual’è la struttura primaria, che è quella dettata dagli spesso-
ri maggiori e soprattutto lo spazio della campata è riempito
uniformemente da quella che è possiamo considerare l’an-
tesignana della finestratura continua di Le Corbusier, questa
trasparenza e leggerezza denuncia chiaramente la tipologia
strutturale utilizzata sia la coerenza del metodo progettuale.
Le Baron Jenney realizza tutta una serie di edifici che fanno
scuola a Chicago, ad esempio l’Home Insurance Bu-
ilding o il Secondo Letier Building, gli edifici per
uffici con queste caratteristiche se ne faranno tantissimi.

FIRE STORE. W. LB. Jenney, 1892. Edificio, ora de-


molito, che diventa famoso per il dettaglio strutturale mes-
so a punto da Jeney in questi anni. Nodo molto semplice,
colonna in acciaio rivestita da materiale ignifugo (cemento e
amianto), pavimento in parquet chiodato a listelli a coda di
rondine, impianti affogati nello strato di cemento, il tutto su
un sottofondo che ricopre le pignatte, ma qui conformate ad
arco, dettaglio che riassume un’intera costruzione.
MARSHALL FIELD WHOLESTORE. H. H. Ri- limitrofi con vapori ed odori prodotti dalle cucine, ed è infatti
chardson, 1887-89. Un’altro protagonista è Richard- il primo che colloca le cucine del ristorante in copertura e
son, famoso per i Marshall Field Wholesale Store, convivono grazie ai montacarichi avviene il trasporto dei cibi dalla co-
in questo periodo due approcci, da un lato la scuola che fa pertura al piano di ristorazione;
capo a Le Baron (da cui uscirà anche Louis Sullivan_maestro - l’auditorium riesce a soddisfare esigenze variabili, a se-
di Wright), dall’altro che fa capo a Richardson che invece conda degli spettatori, grazie all’utilizzo di soffitti e pavimen-
introduce in America questa sorta di Neoromanico ispirato ti mobili, che consentono di variare la capienza da 2.500 a
dai revival europei, naturalmente gli approcci son comple- 7.500 posti;
tamente diversi, nel primo caso si esalta la struttura nel se- - sistemi di ventilazione con cavediricavati nello spesso-
condo invece prevale il volume, reso ancora più evidente re murario, che con l’effetto camino, consentono il riciclo
dall’utilizzo di un bugnato molto pesante che in certi casi dell’aria e l’immissione aria fresca ad ogni piano.
assume toni drammatici. Nell’interno, nella sala, gli intradossi coincidono perfetta-
mente con le travi reticolari, che servono a sorreggere anche
la grande copertura; le lampade assumono la stessa forma
sia nell’arco che nella sala, Sullivan lo dirà, una stessa ma-
trice di base sottolinea la volontà di un approccio coerente,
cioè fare in modo che anche la decorazione sia giustificata.

AUDITORIUM BUILDING. Studio Adler e Sulli-


van, 1887-89. Un edificio che costituisce veramente un
punto di svolta, che riassume tutti i pregi degli edifici multi-
piano, ma che introduce anche soluzioni tecniche del tutto
nuove, realizzato da Louis Sullivan, che esce dallo studio di
Le Baron Jenney.
L’Auditorium sorge nel Loop di Chicago, cioè il distretto fi-
nanziario, ha il fronte lungo verso uno degli assi della scac-
chiera e quello corto verso il lago Michighan.
LINGUAGGIO_ Si può dire che Adler e Sullivan utilizzino una
sorta di armonica sintesi tra lo spiccato razionalismo dell’ar-
chitettura di Le Baron Jenney e lo storicismo evocativo di
Richardson, ad esempio:
- ricompare il bugnato, ma è graduato in altezza, pietra scu-
ra e a bozze più gravi nella parte basamentale, poi le bozze
diventano più ingentilite fino a diventare un bugnato liscio,
man mano che si procede verso l’alto, sempre più sottili
quasi a scomparire, c’è un tentativodi interpretare la costru-
zione con i mezzi della gradazione prospettica;
- ricompare il motivo dell’arcata che riunisce tutti i piani,
come nei magazzini di Richardson, che è un tentativo di
semplificare il lessico e le forme, semplificando così il dise-
gno della facciata e richiamando anche alla lontana la tipica
tripartizione classica,
- ci sono degli elementi di dettaglio che fanno capire con
che sguardo hanno pensato l’edificio, ad esempio la veranda
che sporge in avanti per far traguardare lo sguardo verso il
lago, oppure la torre messa in posizione arretrata e fatta di-
ventare un’emergenza sulla scacchiera di Chicago.
Gli elementi innovativi di questo edificio sono:
- interpretare l’auditorium come edificio polifunzionale, da
mettere a reddito, per assolvere a tutti i diversi bisogni della
comunità, ad esempio il grande ristorante, qui Adler si pone
il problema di non arrecare disturbo ai residenti dei palazzi
WAINRIGHT BUILDING. L. Sullivan, 1891. Sul- CHARNLEY HOUSE . L. Sullivan ft. F. L. Wri-
livan si muove su un binario diverso, non rinuncia alla de- ght, 1892.
corazione, e con il senno di poi sarà una linea vincente nel Wright era un diciottenne assai talentuoso, tanto che Sulli-
panorama di Chicago, poichè il gusto che si affermerà sarà van gli affida già un progetto quasi da solo.
quello di Burnam & Root. Casa realizzata in gran parte da Wright, ed ha già molti ele-
In prospetto sostituisce alle arcate, che negli edifici vecchi menti della sua prossima architettura: un tendeziale svilup-
prendevano l’altezza di tutto il prospetto, con delle paraste a po in senso orizzontale, uso accorto dei materiali con una
mattoni lisci che ricoprono il pilastro in acciaio e mettendo la netta separazione tra basamento e fitta tessitura a mattoni,
decorazione anche nel prospetto fa capire immediatamente una decorazione spesso concentrata in punti precisi, sapien-
quale sia la parte portante e quella portata. te distribuzione interna - sul retro vengono concentrati tutti
Il coronamento abbonda nella decorazione che costituisce la gli spazi servienti, bagni alle estremità posteriori per favorir-
line aterminale e che unifica il tutto. Basamento estremaen- ne l’illuminazione diretta, scala ad una sola rampa illuminata
te razionale, non esiste nessuna modanatura, le soglie delle dall’alto da un ampio lucernaio.
finestre sono appena accennate, basamento espresso nella Dal punto di vista dell’arredo ci sono degli accorgimenti che
sua estrema razionalità. faranno scuola diversi anni dopo: diaframma affidato a sottili
listelli lignei che separano la tromba delle scale, scalinata
priva di ringhiera; accorto controllo dei colori in rapporto con
il legno e laterizio esterno.
TRANSPORTATION BUILDING. L. Sullivan,
1893. L’esposizione Universale di Chicago segna definiti-
vamente la frattura fra i linguaggi classicistici di Burnam e
quello di Sullivan, a farla da padrona sarà ovviamente Bur-
nam, e da qui in poi il distacco tra i due sarà incolmabile.

GUARANTY BUILDING. L. Sullivan, 1895. La


sua ultima vera grande opera, da li in poi le sue ultime realiz-
zazioni saranno solamente delle piccole banche in cittadine
minori che sono ancora legate ai lessici un pò del passato, e
anche li Sullivan non rinuncierà alla decorazione.
Ricorda molto il Wairight Building, se non fosse però che
in questo edifico Sullivan porta alle estreme conseguenze il
dettaglio decorativo, che diventa quasi delirante e nella co-
struzione non ha motivo di esistere, anche perchè la com-
mittenza si sta muovendo verso altri orizzonti.
MAGAZZINI CP&S. L. Sullivan, 1899-1904. Nel
fronte c’è un tentativo di gradazione prospettica, ricorrendo
ad una differente altezza delle finestrature, che dal basso
fino algi ultimi piani le finestre si schiacciano aumentando la
chiusura prospettica dell’edificio.
Dopo alcuni anni si vuole ampliare l’edificio ma viene chia-
mato Burnam, ciò ci fa capire in quali acque stava nuotando
Sullivan, aggiungendogli un’ala e chiudendo la loggi termi-
nale.
MONADNOCK BUILDING. BURNAM & ROOT, il limite del loro approccio, poichè ininfluente nella costruzio-
1889-92. Questa coppia di architetto ed ingegniere rap- ne, il grattacielo deve essere visto da lontano e bisogna co-
presentao la parte più classicista della Scuola di Chicago. glierlo non dalla piccola distanza, il grattacielo deve restituire
Utilizzo del mattone molto severo, facciata modulata dai un’immagine più asciutta possibile. Il loro studio, e anche
bow-window con finestre di misura prestabilita dalle indu- l’architettura in generale, di questi anni è “mi studio il detta-
strie, qui si vede l’approccio di un ingegniere al progetto, glio e lo reitero”.
disegnano un piano tipo che verrà reitarato per tutta l’altezza
dell’edificio, o quasi.

RELIANCE BUILDING. BURNAM & ROOT,


1890-95. Nasce per essere un blocco di cinque piani, ma
in corso d’opera si decide, però, di aumentare lo sviluppo in
altezza.
Qui, ancora una volta, l’elemento normalizzato è il piano tipo
che viene reiterato per altre 19 volte, senza che i due si pon-
gano problemi di gradazione prospettica, non si preoccupa-
no di modificare nulla nei piani più alti, tranne un basamento
e un più basso coronamento che servono solo ad indicare un
inizio ed una fine.
Finastratura tendenzialmente continua con apmie vetrate
esposte tra montante e montante, per di più la finestra è
del tipo a ghigliottina, poichè l’ampia vetrata consente una
trasparenza assoluta, tutti i montanti bianchi nascondono i
telai delle finestre.
Rivestimento in ceramica bianca, finemente decorata, che è
PIANO DI AMPLIAMENTO DI CHICAGO. Bur- verso un livello qualitativo più alto. Il costo del centro civico
nham & Bennet, 1909. Il piano di Chicago è il risultato sarà pagato dall’intera comunità
di uno studio sistematico e comprensivo, portato avanti per Il progetto dell’impianto stradale comporta una spesa assai
un periodo di tredici mesi, con il solo scopo di tracciare un ingente; ma si potrà verificare che a Chicago come in altre
progetto ideale per lo sviluppo fisico della città. Non si aspira città, l’apertura di nuove arterie stradali, sebbene onerose
alla perfezione del dettaglio, ma il progetto nel suo insieme all’inizio, crea poi incremento nei valori fondiari dovuti all’au-
è posto all’attenzione del pubblico nella fiducia che serva mento della comodità.
ad indicare la strada per realizzare nella città condizioni di I progetti delle arterie esterne, e di tutte le sistemazioni del
economia, comodità e bellezza. La realizzazione del piano lungolago potranno essere realizzate con grande felicità e
dipende interamente dalla forza del sentimento pubblico in con assai poca spesa della città; le ferrovie pagheranno gran
suo favore. parte della loro risistemazione e adeguamento, ciò che vie-
I principali elementi del piano sono: ne lasciato sulle spalle della comunità saranno una parte del
costo della sistemazione dei trasporti urbani e l’intero costo
1) la sistemazione del lungolago; del centro civico, dei parchi e delle parkways, e il piano via-
2) la creazione di un sistema di arterie all’esterno della città; rio.
3) la sistemazione dei terminali ferroviarii, e lo sviluppo di Il piano ha i suoi meriti, la sua adozione e realizzazione pro-
un complesso sistema di trasporto sia per le merci che per durrà condizioni nelle quali le imprese commerciali potranno
i passeggeri; essere condotte con la massima economia e con la certezza
4) l’acquisizione di un sistema esterno per i parchi, e di cir- del successo, mentre noi e i nostri figli saremo in grado di
cuiti di parkways; godere della nostra esistenza e migliorarla, come siamo in
5) il riassetto sistematico delle strade e dei viali entro la grado di fare adesso. Allora la nostra gente comincerà ad
città, per facilitare il movimento in direzione del centro degli amare la propria casa, i forestieri faranno capolino alle no-
affari e viceversa; stre porte.
6) lo sviluppo dei centri per la vita intellettuale e per l’ammi-
nistrazione civica, in tale relazione da dare coerenza e unità
alla città.

Il sistema di arterie interurbane può essere realizzato con


spese assai limitate. Il 95% delle strade necessarie esisto-
no già come arterie pubbliche, e il costo per acquistare il
restante 5% sarà puramente nominale, la spesa necessaria
è relativamente esigua, mentre per contro l’economia e la
comodità per il pubblico saranno notevoli.
I suggerimenti avanzati per le arterie ferroviarie di grande
traffico sono molteplici e assai impegnative. Queste indica-
zioni sono state fornite con lo scopo di produrre la maggior
economia di denaro e di tempo. L’obbiettivo specifico con-
siderato è quello di liberare una larga parte deò South Side
dai binari e dalle stazioni per restituirlo ad usi commerciali;
di raddoppiare la capacità dell’intera città aprendo la circola-
zione verso nord, ovest e sud, e collegando le aree esterne
nel modo migliore con il cuore della città. Ci vogliono anni
di tempo ristrutturazioni integrali dell’assetto ferroviario, ma
il pubblico non sarà tassato per realizzarlo. Quando queste
trasformazioni sranno realizzate, lo saranno da parte delle
compagnie ferroviarie, intraprese dalle compagnie e gestite
dalle compagnie.
Le indicazioni a proposito dei trasporti, il costo sraò soppor-
tato in parte dalle linee di trasporto urbano stesse, in parte
dal pubblico.
I nuovi pachi e le parkways che sono indicate nel piano, for-
mano un programma assai ampio, il benessere della cittadi-
nanza è l’oggetto primario di una buona pianificazione urba-
na, e se il loro costo sarà distribuito in questo arco di tempo,
non sarà un costo gravoso. I profitti ne deriveranno nella
forma di un miglioramento della salute e in una più completa
gioia di vivere di ogni proprietà fondiaria ne verrà esaltato.
I nuovi complessi possono essere costruiti nei luoghi a essi
destinati, ciascuno di essi contribuendo per la sua parte ad
una sistemazione comoda e ordinata. L’adozione di questo
progetto farà risparmiare una grande quantità di capitali
nell’acquisto dei lotti edificabili e creerà la stabilità nei lavori
di proprietà. Verso il West Side si procederà alla costruzione
di un centro civico, che è un fatto di primaria importanza;
perchè darà a quella parte della città la spinta indispensabile
FRANK LLOYD WRIGHT_pt. 1
Negli scritti di Wright ci sono quattro problemi che si evinco- lo tempio che si trova nella tipica stanza di ricevimento
no dai suoi scritti, su cui rifletterà a lungo: giapponese, cioè il Washitsu), l’elemento costante di ogni
1. tentativo di fornire una risposta convincente alla possibili- interno giapponese e il fulcro della contemplazione e del
tà di trasformare la tecnica industriale in arte, quindi trovare cerimoniale domestico, nel suo corrispettivo occidentale,
una formula convincente ed efficace al rapporto tra produ- il focolare, e l’espansione del focolare fino ad assume-
zione in serie in qualità di arte; re un’importanza animistica; la schietta rivelazione della
2. il concetto di monumentalità, cioè come intenderla, muratura del focolare e del camino come espressione di
come interpretarla, a quali edifici assegnare un carattere protezione, enfatizzata poichè si desidera sostanza solida,
monumentale; in un interno di fluidità sempre crescente; il dispiegarsi
3. rapporto tra “carattere dell’edificio - tecnologia - mate- dell’interno lontano dal camino, verso aree trasformabili,
riali”, Wright si rende conto che questa terna di questioni, vetrate, poste ai suoi limiti esterni; l’estendione del gran-
variano in funzione della destinazione dell’edificio, e del suo de cornicione sopra le finestre per modificare e control-
contesto. Inizia a maturare che da una parte composizione lare l’intensità della luce che vi entra e per proteggerle
simmetrica e monumentale, pietra e mattoni, tecnologia dagli agenti atmosferici; la suddivisione dell’interno delle
costruttiva legata alla muratura continua, si addicano alle sue differenti unità mediante schermi invece di pareti di-
costruzioni di carattere pubblico per la città - mentre inve- visorie, in tal modo riconoscendo ed accogliendo le mu-
ce intonaco, mattoni, legno e soprattutto tetti a padiglione, tevolezze degli usi umani a cui è destinato; l’eliminazione
spiccatamente sporgenti, utilizzarli per le case “rurali”; di ogni decorazione scolpita e verniciata, a favore delle
4. messa a punto di un linguaggio apprppriato ad una cultu- superfici lisce e legno naturale: tutto questo ed altro può
ra, quella americana, così profondamente ugualitaria. essere stato suggerito dalle lezioni dello Ho-o-den, come
perfezionamenti salutari, fino ad allora mancati o non di-
Quattro temi ai quali ruota, e si sviluppa, la ricerca di Wright chiarati.”
già nei primi anni della sua carriera. Più in generale illavoro di
Wright costituisce il come una grande esperienza si sviluppi A questo punto Wright sembra quasi disperare di aprirsi una
a partire da una serie di fronti, di suggestioni, di stimoli, che strada verso un nuovo stile: i suoi edifici pubblici sono an-
divengono dal contesto su cui l’artista si è formato ed ha cora in parte italianeggianti, in parte richardosiani, mentre le
formalizzato un senso del proprio lavoro. case d’abitazione sono ora costantemente caratterizzate da
Pochi anni orima dell’esordio di Wright come architetto, Bru- tetti poco inclinati, sospesi ad altezze diverse sopra piante
ce Price realizza in un sobborgo a New York una serie di asimmetriche e allungate.
cottage, la cui distribuzione richiama la pianta della Winslow Sarebbero occorsi a Wright ancora due anni per comporre
House, in particolare la Lorillard House, ad esempio la log- tutte queste diverse influenze nello stile integrato di quella
gia in alto a destra, tripartizione della pianta con la campata casa in cui avrebbe espresso il suo mito della prateria, e di
centrale che riunisce gli spazi di distribuzione. Altro esempio cui avrebbe scritto, nel 1908: “La prateria ha una sua propia
sono i Charnler Cottage, sempre di Bruce Price, che ricorda- bellezza, e noi dovremmo riconoscere ed accentuare questa
no quelli di Wright. bellezza naturale, il suo calmo livello. Perciò aggetti protetti-
Guardando le piante delle Prairie House è possibile scom- vi, basse terrazze e muri che si estendono a isolare giardini
porle, esploderle, distinte in parti o unità, in se simmetriche, privati.”
rispondenti ad alcuni tipi formali di base, esempio le parti
impostate sulle piante a “T” e a “+”, come la Robbie House
o la Martin House.
Altre fonti di ispirazione vengono dalla sua biografia, da ra-
gazzo giocava spesso con quelli che sono gli antesignani del
lego, cioè i giochi di Fruebel. Uso della decorazione, ma in-
terpretata alla maniera degli europei, reintraprendendola e
influenzato da un libro che in America avrà grande fortuna,
la “Grammar of Hornament”, di Hoven Jhones, campionario
di ogni fonte più disparata di ogni genere di decorazione e
rnamento prodotte dall’antichità fino all’età contemporanea,
dalla pittura alla scultura e perfino ai tatuaggi.
L’importanza data inizialmente al camino rivela un’altra, più
decisiva influenza, quella dell’architettura giapponese, a cui
Wright, per sua stessa ammissione, era stato sggetto sin
dal 1890, a partire dalla World’s Columbian Exposition di Chi-
cago del 1893, quando il governo giapponese ambientò per
la prima volta all’esposizione una ricostruzione del tempio
Ho-o-den.

“Se ammettiamo come ipotesi un confronto effettivo con


le concezioni giapponesi fosse il suggerimento richiesto in
un determinato frangente della sua carriera, per dare alla
sua architettura l’indirizzo finale ed inequivocabile, molte
tappe della sua produzione risultano razionali che metafi-
siche. Ad esempio: la traduzione del Tokonama (picco-
WINSLOW HOUSE. F. L. WRIGHT, 1893. I temi ti scomode, come gli elementi di servizio.
evidenziati prima sono evidenti e riassunti nella Winslow Che la Winslow House fosse un’opera di transizione è con-
House. fermato chiaramente dalla finestratura mista, in parte scor-
Facciata verso la strada simmetrica, e tendenzialmente mo- revole e in parte a battenti.
numentale, ma impregnata di quell’autorevolezza classica
che distingue gli edifici pensati per uno spazio urbano, con
un ampio uso di mettoni e marmo al livello del basamento;
un fronte più asimmetrico, quello retro, pensato per risolve-
re sul piano funzionale e distributivo tutti quegli aspetti che
è difficile ricomporre su un piano di abitazione.
La pianta è sostanzialmente tripartita con i vani abitati sulle
ali, e gli spazi di accesso e distribuzione principali, gli spazi
di accoglienza, concentrati sulla parte centrale, c’è addirit-
tura chi ha avanzato l’idea nell’alternanza delle campate tra
campata stretta e larga richiami alla Malcontenta di Palladio.
Questo espediente anticipa la strategia distributiva dlle Prai-
rie Style, nel quale alterazioni asimmetriche, sul retro di una
facciata regolare, sistemano convenientemente componen-

FRANCISCO TERRACE. F. L. WRIGHT, 1895-


99. Case ad appartamento impostate su un blocco, qua-
si quadrato, a quattro ali affacciate su una corte vegetale;
edifici bassi che non richiamano affatto il tipo del Blocco
Europeo, soprattutto tenendo conto, ed anche questo è inu-
suale, come differenzia il fronte dai tre bracci, intervenendo
sulla tipologia degli appartamenti che si affacciano su delle
chiostrine, che sono verin e propri pozzi di luce.
ISIDORE HELLER HOUSE. F. L. WRIGHT, 1895- HUSSER HOUSE. F. L. WRIGHT, 1895-99. Ci sono
99. Utilizza la composizione simmetrica anche per le casu ancora delle incertezze, come ad esempio quegli elementi
unifamiliari, anche se una simmetria corrotta da alcuni svuo- classici nella torretta che sormonta uno spazio destinato, ie-
tamenti sugli angoli, dove colloca passaggi e scale, richia- vitabilmente, a studio, una composizione che mescola modi
mando addirittura modi italiani con delle finestre con i trafori personali e modi italiani.
a losanga che mimano l’architettura veneziana.

MARTIN HOUSE. F. L. WRIGHT, 1904. Considera-


to il suo primo vero capolavoro. In occasione di questo pro-
getto chiama nel suo studio alcuni tra i maggiori protagonisti
della scena artistica di Chicago, due scultori, un ingegniere
che studierà tutte le soluzioni strutturali ed impiantistiche,
un’artigiano che lavorerà sulle vetrate, un gardner che cu-
rerà tutti gli esterni ed un barissimo ebanista che realizzerà
tutti i mobili personalizzati delle sue case, una squadra che
lavorerà con lui anni e anni.
E’ la prima pianta che si sviluppa in modo significativo su
una pianta modulata come un tartan scozzese. I muri peri-
metrali diventano dei piloni, completati da tetti bassi ad am-
pio spiovente. I Piloni, insieme ai supporti verticali interposti,
aiutano a sostenere le quinte orizzontali di mattoni in essi
“intessuti”. Lungo l’asse trasversale dell’abitazione, i piloni
sono riuniti a gruppi di quattro costituendo nuove unità ag-
giuntive e formando quelli che Louis Kahn, più tardi, avrebbe
chiamato “spazi di servizio”.
PROGETTI DI CASE SU LADIE’S HOME JOUR- nuto in un involucro orizzontale comprendente tetti poco in-
NAL. F. L. WRIGHT, 1900-01. Il Prairie Style di Wri- clinati e bassi muri perimetrali: il profilo basso era integrato
ght si cristallizzò definitivamente nelle piante ad abitazioni deliberatamente nel luogo, in forte contrasto con i camini
progettate per il “Ladie’s Home Journal”. I suoi elementi verticali e con i volumi interni a doppia altezza.
erano a questo punto stabiliti: un piano terra aperto conte-
WARD WILLITS HOUSE. F. L. WRIGHT, 1902.
Sviluppo tendenzialmente cruciforme, che richiamo le fonti
viste nei cottage di Price. La finestra è un’altro protagonista
dell’architettura di Wright, le prime sono scorrevoli, poi uti-
lizzerà la finestra a battente, che costituisce uno dei temi di
studio dell’architettura contemporanea, per finire con quel-
la a nastro, uniformandosi un pò con le tendenze europee.
Telaio ligneo a vista e partizioni di riempimento, come nella
casa giapponese.

UNITY TAMPLE. F. L. WRIGHT, 1904-06. Ha una Lo spazio interno della chiesa non ha nulla a che fare con
pianta molto singolare, avancorpo che richiama la pianta gli interni delle altre chiese in Europa, gli alzati della chiesa
del Larkin, ma ridotta, che funge da sacrestia, unito da uno sono totalmente identici su ogni lato simboleggiando unità,
stretto passaggio vetrato su entrambi i lati. Il corpo vero e illuminazione dall’alto e laterale, gallerie laterali, lampadari
proprio della chiesa è un vano a pianta centrale, rigorosa- disegnati da Wright stesso e altare che sembra più un palco.
mente simmetrico. Lo Unity Tample era dotato di condotti incorporati per il ri-
scaldamento ad aria.
LARKIN BUILDING. F. L. WRIGHT, 1904. Questo Concentra sui fianchi e sugli angoli gli elementi serventi,
edificio conferma la dicotomia tra edifici pubblici e privati, vani scala e bagni, e in quei grossi setti cavi concentra, per
pietra-mattone-copertura piana per gli edifici pubblici nelle la prima volta in un edificio per uffici, l’aria condizionata, sia
città. Edificio introverso e organizzato attorno ad una stretta calda che fredda. Nelle sue vedute, o prospettive scorciatis-
corte centrale a tutt’altezza, illuminata dall’alto dal lucerna- sime, si nota un chiaro riferimento nel metodo di rappresen-
io, dove trovano posto le scrivanie degli impiegati su cui si tazione con quello di Otto Wagner. Wright disegnerà tutto
affacciano, a mo di corridoi anulari, degli open-space adibiti nell’edificio, fino addirittura ai telefoni, ma mai realizzati.
a ufficio, , Wright è stato il primo a pensare agli uffici senza
le pareti divisorie.
ROBIE HOUSE. F. L. WRIGHT, 1908. Il tetto si fa
sempre più basso, con il sembrare un piano in aggetto privo
di sostegni, iniziano a comparire gli oggetti pronunciati così
caratteristici delle sue architetture. Lo sviluppo longitudinale
è ulteriormente rafforzato dallo svettare della zona centrale
della casa del monumentale camino.
Proprio il camino è il perno su cui ruotano le composizioni
dell ville Wraightiane; il camino ha un ruolo tanto all’esterno
quanto all’interno, rammentando che l’intento di Wright è
quello di portare “the inside outside” e “the outside inside”.
In questo senso i setti murari interni presentano spesso
lo stesso trattamento di quelli esterni, così come i volumi
esterni denunciano con esattezza l’articolazione interna. Ciò
nondimeno gli ambienti interni acquistano un’impareggiabi-
le sontuosità grazie alla concatenazione degli spazi, attuata
mediante compenetrazioni volumetriche, passaggi, scale,
balconate, e all’uso di rigorose partizioni delle pareti, che ne
scandiscono la continuità orizzontale e verticale.
Essenziale inoltre risulta il controllo operato da Wright sul-
le fonti luminose, artificiali e naturali; queste ultime sono
spesso moltiplicate e dislocate a diverse altezze all’interno
di uno stesso locale, come file continue di finestre o come
lucernari.
MIDWAY GARDENS. F. L. WRIGHT, 1914. Sono
concepiti un pò sull’esempio delle birrerie a cielo aperto te-
desche, visitate da Wright, che erano organizzate attorno
ad un grande recinto dove venivano sistemati i tavolini, e
all’occorrenza trasformarsi in una pista da ballo, con un pic-
colo palcoscenico e un grande corpo attrezzato per gli spazi
di servizio.
Più o meno i Midway Gardens si basano sulla stesa conce-
zione, organizzati attorbo ad una vasta corte organizzata a
giardino, sul fondo al centro, coperto da una tettoia, lo spa-
zio per l’orchestra, sul fronte, invece, un ristorante/albergo.
Una composizione rigorosamente simmetrica, matura, pun-
ti e linee orizzontali rimarcati dall’utilizzo della pietra chiara,
che rinforza l’orizzontalità della costruzione, coperture piane.

TOKYO IMPERIAL HOTEL. F. L. WRIGHT, 1916-


22. Sull’esempio dei Midway Gardens, e dopo il viaggio in
Giappone. Un ingresso monumentale, serrato da due ali, sul
fondo il corpo vero e proprio dell’hotel, all’interno vasti giar-
dini, specchi d’acqua e sculture.
L’architettura inizia a diventare più frammentaria, perde
quellìunitarietà che aveva contraddistinto lo Hunity Tample,
l’articolazione delle parti e dei volumi si fa più tormentata,
segnando sicuramente un momento di passaggio, la testi-
monianza di un momento critico nella carriera artistica di
Wright.
TRACCE, ELEMENTI E MISTICHE DELLA TRADIZIONE CLASSICA NEL MO-
DERNO: AUGUSTE PERRET & TONY GARNIER
CITE’ INDUSTRIELLE. TONY GARNIER, 1899- Garnier non solo definiva i principi e lo schema di una ipote-
1918. Nato a Lione nel 1869 e cresciuto in un quartiere tica città industriale, ma anche individuata, a differenti scale,
operaio radicale, egli rimase coerentemente legato alla cau- gli elementi specifici della sua tipologia urbana, fornendo,
sa socialista fino alla morte. nello stesso tempo, indicazioni precise per quanto riguarda
La formazione di Garnier e il suo impegno nella professione il sistema costruttivo in cemento e acciaio.
costituiscono due aspetti che non possono essere visti se- Il pensiero urbanistico di Garnier è espresso nel suo Grands
paratamente dalla città di Lione. Questo ambiente ad alto travaux de la ville de Lyon del 1920, nel complesso del ma-
sviluppo tecnologico ebbe senza dubbio una forte incidenza cello del 1906-1932, nell’Oaspedale Grande Blanche del
sul progetto di Garnier pr una Citè Industrielle presentato 1903-1930 e nel quartiere Etats-Unis. Ogniuno di questi
per la prima volta nel 1904, un progetto che esprimeva la complessi equivaleva ad una città in miniatura, che riaffer-
sua fiducia che la base delle città del futuro sarebbe stata mava, grazie alle sue attrattive, la sovranità della città come
l’industria forza civilizzante, una missione rispetto alla quale la garden
Nel piano della Citè di Garnier erano inoltre evidenti altri city anglosassone dimostrava scarsa attitudine.
aspetti della cultura lionese, e in modo particolare, il movi-
mento regionalista francese che auspicava la ripresa delle
culture locali. Di conseguenza, Garnier incluse una preesi-
stente città medioevale nei confini della sua città industriale:
l’importanza che egli attribuiva a tale insediamento è testi-
moniata dalla localizzazione della stazione ferroviaria princi-
pale in stretto collegamento con questo centro regionale.
La stessa municipalità di Lione era importante, già ai tempi
della giovinezza di Garnier, per il suo approccio progressista
al problema dell’urbanizzazione.
I suoi primi schizzi della Citè Industrielle sembrano riflettere
la visione di Zola relativa ad una nuova organizazione socio-e-
conomica, che l’autore avrebbe ulteriormente elaborato nel
suo secondo romanzo di carattere utopico, Travial (1901).
Situata sulla scarpata di un fiume, in un paesaggio montuo-
so che corrispondeva in linea generale a quella della regione
lionese, la città industriale di Garnier, con i suoi 35.000 abi-
tanti, non costituiva soltanto un centro regionale di dimen-
sioni medie, in stretta relazione con il suo ambiente, ma
anche un’organizzazione urbana che anticipava, con la sua
zonizzazione per funzioni separate, i principi della Carta di
Atene del CIAM del 1933.
Si trattava di una città socialista, essendo priva di mura o
proprietà private, senza chiese o caserme, senza posto di
polizia o tribunali; una città nella quale tutti i terreni non edi-
ficati erano destinati a parco pubblico. Garnier indoviduò una
gamma di tipologie residenziali vasta e diversificata, rispet-
tando rigorosamente gli standard relativi all’illuminazione,
alla ventilazione e agli spazi verdi; modulate da una gerarchia
di strade alberate di ampiezza diverse. Con una altezza me-
dia di soli due piani, questa disposizione aperta dava luogo
ad una mbassa densità e, nel 1932, con una revisione del
suo schema, Garnier introdusse dei settori residenziali che
presentavano una densità più elevata.
In modo simile all’agorà, e con l’intenzione di crearne una
copia moderna, l’edificio per riunioni di Garnier veniva de-
scritto come un ambiente frequentato da figure distinte.
Le case dovevano essere altrettanto semplici, senza corni-
cioni e modanature ed erano articolate attorno ad una corte
e drenate mediante impluvia. In sintesi, nonostante l’appli-
cazione dei sistemi costruttivi avanzati, nonostante l’uso
generalizzato del cemento armato e di campate in aciaio
di rande portata nel settore industriale, la Citè Industrielle
restava soprattutto e in primo luogo la visione di un mon-
do arcadico mediterraneo di stampo socialista. Il contributo
eccezionale della città di Garnier consiste sia nell’estremo
livello di precisione secondo il quale il progetto è stato elabo-
rato, che nella “modernità” della sua visione. Il progetto di
Nel 1897, dopo avere interrotto improvvisamente una brillante carriera presso l’Ecole de Beaux-Arts, Auguste Perret ab-
bandonò l’insegnamento accademico del maestro Julien Guadet per lavorare con suo padre. Dell’attivtà di questo periodo,
che ebbe inizio gia nel 1890, i progeti che Perret elaborò dopo che lasciò la scuola pongono le basi della sua successiva
evoluzione. Di questi, due sono particolarmente significativi: un casinò a Saint Malo e un edificio ad appartamenti in avenue
Wegram. Mentre il primo era un saggio di Razionalismo strutturale nello stile “nazional-romantico”che veniva allora divulgato
dalle ville rustiche di Hector Guimard.

CASA AD APPARTEMENTI IN RUE WEGRAM.


AUGUSTE PERRET, 1902. L’ edifico aggetta, rispetto
alla linea di terra, della profondità di un Bay-window all’al-
tezza del sesto piano colonnato. Questo profilo aggettante
in pietra veniva completato, in modo sottile, da una decora-
zione scolpita con motivi di vite che, sinuosamente, aveva
origine all’entrata per sfociare in una ricchezza pietrificata
sotto lo zoccolo del colonnato del sesto piano.
Perret aveva progettato il rivestimento in muratura di questo
edificio in mdo tale da evocare il linguaggio floreale della Bel-
le Epoque; tutto ciò era in contraddizione con il canone strut-
turale-razionalista, poichè non si trattava evidentemente di
quella architettura della struttura articolata che Violet-le-Duc
aveva sostenuto. Nè si trattava di quell’uso naturalmente
espressivo e locale della struttura.
CASA AD APPARTEMENTI IN RUE FRAN-
KLIN. AUGUSTE PERRET, 1903. Comprimeva la
dimensione adottata prima in Rue Wegram. La facciata su
strada, suddivisa in cinqe campiture, raggiungeva in altezza
i cinque o sei piani, e si concludeva con un ulteriore piano di
coronamento prima dell’arretramento, questo piano è raffor-
zato dall’incorniciature di due loggie aperte. Il blocco in Rue
Franklin è articolato e si assottiglia in senso verticale.
L’articolazione delle sue colonne e l’altezza della parte supe-
riore, con le sue brusche rientranze, forniscono in qualche
modo un’impressione del Gotico a questa struttura peraltro
ortogonale. Questa fu la volta in cui Perret si avvicinò di più
all’ordine dettagliato di Violet-le-Duc. La ragione per cui il
fronte è concavo a forma di U è di natura essenzialmente
programmatica: Perret poteva ottenere una maggiore super-
ficie abitabile disponendo la corte regolamentare sul fronte,
pittosto che sul retro. Con altrettanta ingegnosità, egli rivestì
il muro posteriore dell’edificio con lastre di vetro in modo da
rispettare una servitù di affaccio.
La struttura in cemento armato del blocco in Rue Franklin
era rivestita in modo tale da richiamare una costruzione in
legno a pilstri e travi, mentre il resto era costituito o da fine-
stre o da pannelli compatti, rivestito da un mosaico in cera-
mica; questi ultimi, con la decorazione a girasoli, conferivano
all’edificio quella qualità caratteristica di un Art Nouveau or-
mai fossilizzato, così tipico della fine della Belle Epoque, la
struttura stessa, e la progettazione aperta che essa consen-
tiva, indicava piuttosto la direzione dello sviluppo successivo
del piano libero operato da Le Corbusier.
Ma non è in questa ultima direzione che si muovono gli in-
teressi dei fratelli Perret, è piuttosto la costruzine, intesa
come fatto tecnico ma pure come fatto linguistico. La co-
struzione assorbe per lui l’intero senso dell’architettura: “La
costruzione è la lingua materna dell’architettura, l’architetto
è un poeta che pensa e parla nella costruzione, è attraverso
la costruzione che l’architetto soddisfa tanto le condizioni
permanenti che quelle passeggere.”
THEATRE DES CHAMPES ELYSEES. AUGU-
STE PERRET, 1911-13. Divenne progettato da Perret
dopo lo sfortunato incontro con l’architetto Van de Velde.
Incaricato del progetto dal direttore del teatro Van de Velde
si rese subito conto che dovendolo realizzare su unterreno
così limitato dmensionalmente era necessario ricorrere al
cemento armato, ed allora assunse Perret come ditta ap-
paltatrice. Questo tipo di decisione si rivelò infelice, poichè
Perret mise in dubbio la realizzabilità, da un punto di vista
strutturale, del progetto di Van de Velde e propose per suo
conto uno schema analogo. Nel giro di sei mesi il punto di
vista di Perret aveva prevalso, e Van de Velde era stato retro-
cesso dal suo rango di co-progettista a semplice consulente
esterno.
Mentre la pianta e gli alzati del teatro erano sostanzialmente
opera di Van de Velde, la realizzazione dimostra sia la mae-
stria di Perret nei dettagli della padronanza tecnica. Il pro-
gramma funzionale prevedeva tre auditori, rispettivamente
dalla capacità di 1.250, 500 e 150 posti, dotati di una gamma
completa di spazi di servizio, quali palcoscenico, retroscena,
ridotti, guardaroba, etc..., il tutto su un terreno largo circa 37
m e profondo 95 m.
Perret sospese l’auditorium principale circolare all’interno
di un sistema formato da quattro coppie di piloni disposti a
quadrato su cui poggiano due coppie di archi ribassati e cui
è appesa la copertura della sala. “A questi quattro gruppi di
due punti - scrivono i fratelli Perret - è legata tutta la com-
posizione: ad essi sono allineati tutti i montanti che costitui-
scono il sistema architettonico del teatro; essi producono in
facciata due piloni del nostro grande portico. Ritroviamo lo
stesso grande portico nella facciata laterale e così, tutto si
allinea, si concatena, forma un tutt’uno”.
Entrambi questi elementi era integrati all’interno di una
struttura continua monolitica, che si basava su una fondazio-
ne a zattera. La resistenza di base dello scheletro portante
era aumentata dall’applicazione intelligente di travi a sbalzo
e di travi maestre puntellate, in modo che i volumi necessari
potessero essere inseriti esattamente all’interno dei limiti
del terreno. Questa struttura dinamica trova scarso riscontro
all’esterno.
La facciata principale è trattata in stile classico, essendo ri-
vestita di pietra in modo regolare, cosa che presenta soltan-
to una debole relazione con l’esuberante suddivisione creata
dalle colonne del ridotto interno.
CHIESA DI NOTRE DAME, LA RAINCY. AU-
GUSTE PERRET, 1922-24. Armonia e logica, ma non
priva di contraddizioni. Per la prima volta forse, dai tempi
delle grandi cattedrali, una chiesa viene mostrata nella sua
scheletrica nudità strutturale, ma uno scheletro che sembra
greco non meno del gotico, le colonne sono rastremate ver-
so l’alto, non per motivi di entasi, ma per motivi statici.
Quattro file di colonne alte 11 metri scandiscono tra le na-
vate in cui è diviso lo spazio interno rettangolare, coperto da
volte a botte ribassate disposte in senso trasversale lungo
la navata principale, e longitudinalmente le due laterali. La
scelta di non far coincidere gli elementi portanti delle file più
esterne con le claustra perimetrali in cemento - lavorate a
trafori geometrici e racchiuse da vetri colorati che intonano
una sinfonia cromatica a 360 gradi - e precisamente colorata
da Perret: “Questo numero di maggiore di colonne a vista
tende ad aumentare grandemente la dimensione apparente
della chiesa, conferendole un senso di spaziosità e di am-
piezza”.
La poderosa torre campanaria cuspidata, anch’essa in calce-
struzzo armato, si innalza al centro della facciata e in larga
misura ne fa le veci: ma è proprio questa “assenza di fac-
ciata”, e conseguentemente la materica sembianza “bru-
tale” dell’esterno, tanto dura, sgraziata, apparentemente
dissacrata, quanto è slanciata verso l’alto e caleidoscopica
all’interno.
I principi di Choisy erano pienamente rispettati, a partire dal-
le pareti prefabbricate e traforate fino alle colonne scanalate
e rastremate: ogni componente veniva ridotto alla sua più
chiara essenza strutturale.
THEATRE DE L’EXPOSITION INTERNAZIONA-
LE DES ARTES DECORATIFS. AUGUSTE PER-
RET, 1925. Il teatro provvisorio a struttura leggera era
concepito in modo tale da imitare una pesante struttura mo-
nolitica. La struttura effettiva consisteva in pesanti colonne
circolari in legno, che sostenevano una maglia di travi legge-
re in mattoni vetrificati con armatura in acciaio.
Il complesso era definito internamente con incannicciatura
ed intonaco e rivestito all’esterno di gres. Di per se stesso,
l’edificio era certamente lontano dalla purezza strutturale
che aveva sempre costituito il motivo fondamentale della
tesi razionalista. Questo “inganno” venne giustificato dal
progettista sulla base del fatto che, se esso fosse stato per-
manente, lo avrebbe realizzato in cemento armato.
Otto colonne libere, poste all’interno, sostenevano una tra-
ve a soffitto a forma di anello che, grazie a geniali trasforma-
zioni sui quattro angoli diagonali, reggeva un lucernaio a cas-
settoni, che ricopriva il teatro cruciforme. I carichi trasversali
di questa struttura interna venivano trasmessi ad una trava-
tura perimetrale, poggiante su un sistema di colonne libere,
disposte a distanza regolare attorno all’auditorio.
All’esterno l’espressione restava goffa e inelagante e que-
ste colonne apparentemente ridondanti, che articolavano l’e-
sterno privo di aperture, rispecchiavano la preoccupazione di
Perret relativa alla creazione di un nuovo stile nazional-classi-
co, una ossessione che doveva limitare notevolmente la sua
opera posteriore.
SCIENZA - INDUSTRIA - ARTE

Con la repressione prussiana della rivolta sassone del 1849 Gottfrid Semper, architetti e rivoluzionario liberale, abbandonò
Dresda, prima alla volta di Parigi, e successivamente due anni a Londra. Qui in occasione dell’Esposizione del 1851, scrisse
il suo famoso saggio Scienza, Industria, Arte, nel quale analizzava l’impatto dell’industrializzazione e dei consumi di massa su
tutto il campo delle arti applicate e dell’architettura. Semper fissò in definitiva la sua critica della civiltà industriale: “Abbiamo
degli artisti ma non un’arte effettiva.”
Alla Philadelphia Centennial Exhibithion del 1876, i prodotti industriali e delle arti applicate tedeschi furono considerati infe-
riori, erano di scarso valore e di cattivo gusto. L’industria tedesca deve rinunciare ai principi della sola competitività dei prezzi
e deve invece servirsi delle facoltà intellettuali e delle abilità dei lavoratori per perfezionare il prodotto, e ciò ad un livello
sempre più alto quanto più esso si avvicina all’arte.
Nel 1896 fu inviato a Londra Hermann Muthesius, come addetto diplomatico presso l’ambasciata tedesca, con l’incarico
di studiare l’architettura e il desgin inglese. Egli fece ritorno in Germania nel 1904 e assunse il posto di consigliere privato
del Ministero prussiano del Commercio, con l’incarico speciale di riformare il programma nazionale di istruzione nel campo
delle arti apllicate. Questo movimento ufficiale per la riforma della Scuola di arti e mestieri. Nel 1903 , il movimento nel suo
complesso aveva raggiunto un notevole impulso grazie alla nomina di Peter Behrens a direttore della Scuola d’arte e mestieri
di Dusseldorf.
Nel 1906 Muthesius stesso si alleò con Naumann e Schmidt contro il gruppo di artisti e artigiani conservatore e protezionista,
l’anno seguente i tre fondarono il Deutsche Werkbund.
I membri del Werkbund si dedicarono al miglioramento dell’istruzione artigianale ad alla istituzione di un centro per l’avan-
zamento degli scopi dell’associazione. Il successivo sviluppo del Werkbund, in particolare nei rapporti con l’industria, non è
scindibile da quella fase della carriera di Behrens che inizia del 1907, con l’incarico di architetto progettista dell’AEG, per la
quale egli elaborò uno stile del costruire, che andava dalla grafica dell’industrial design, agli stabilimenti industriali.
TURBINEN FABRIK. PETER BEHRENS, 1909-
12. Chiamato a realizzare tutto il complesso per l’AEG, l’or-
ganizzazione generale ci fa pensare al modello di azienda
agricola, con un copro principale-direttivo e con vari annessi
riuniti attorno al centro direzionale.
La Turbinen Fabrik è un “capannone industriale”, ma con
dei caratteri ben precisi, nei caratteri generali riecheggia un
tempio, in questo caso un tempio alla modernia industria,
un tempio all’AEG, dove nel Partenonec’era il bassorilievo
qui troviamo il marchio della società. Del tempio ha molte
reminiscenze, il ritmo serrato della pilastratura in acciaio che
sorregge la trave di copertura, c’è anche qualcosa nel fronte,
il timpano reso segmentato, l’aspetto eterodosso di questo
fronte sovverte le leggi che governano imodi e le forme del
tempio classico, rastrema gli angoli verso l’interno lasciando
la grande vetrata a filo timpano, una soluzione “atettonica”
(la logica strutturale non viene espressa); il fronte segmenta-
to altri non è che la proiezione della copertura interna.
Sul fianco il pilastro traduce alla lettera la cerniera, per con-
sentire le deformazioni e i movimenti differenziati nel corso
dell’anno con il variare delle temperature, questi pilastri si
muovono sui cuscinetti. L’assenza dell’ingresso sul fronte,
che lo pone lateralmente, è una scelta voluta.

FERBEN INDUSTRIE. PETER BEHRENS, 1920.


Molto meno coraggiosa negli esterni rispetto alle sue pri-
me opere, anche se si riserverà negli interni gesti più libe-
ri e coraggiosi, come la corte interna che anticipa le forme
dell’espressionismo pittorico e architettonico, ricca gamma
cromatica di mattoni che cingono la corte.
FABBRICA FAGUS. W. GROPIUS & A. MEYER,
1911. Nel 1911 emerge un giovanissimo Walter Gropius,
che insieme ad Adolf Meyer, progetta la Fabbrica Fagus, da
cui si potrebbe mettere la bandierina dell’inizio del movi-
mento Moderno.
Un’edificio sviluppato secondo un asse in profondità, un
edificio direzionale che tutt’oggi appare con una freschezza
inaudita.
Nella fabbrica di Gropius la soluzione della facciata adotta-
ta da Behrens, diventa il tratto distintivo dell’intero volume,
pone l’ingresso sul lato corto, però lo disossa e lo posiziona
in maniera asimmetrica rispetto al fronte, peraltro spostan-
do i pesi della composizione dalla parte del fianco dove ini-
ziano i capannoni industriali, diventando quasi un elemento
di mediazione.
Gli angoli hanno ancora la funzione di concludere l’edificio,
ma, mentre in tutte le grandi costruzioni di Behrens per
l’AEG essi sono invariabilmente in mattoni, in questo caso
sono di vetro. I pannelli verticali di vetro, aggettanti rispetto
al rivestimento in mattoni martellinati, danno l’impressio-
ne di essere sospesi miracolosamente al livello del tetto.
Questo effetto di sospensione, unito all’angolo trasparente,
inverte la composizione della Fabbrica di Turbine, dato che
la pura bidimensionalità della facciata verticale in vetro è ac-
centuata dall’entasi classica della struttura rivestita in matto-
ni. Nonostante tali trasposizioni, la fabbrica Fagus con il suo
rivestimento atettonico in vetro e il suo richiamo nostalgico
al classico, rimane sotto l’influenza di Behrens.
Guardando i finachi dei laboratori possiamo vedere un’im-
portantissima novità in termini di linguaggio, il prospetto
può essere “capovolto o specchiato in orizzontale o vertica-
le senza che se ne modifichino la concezione e la vista; c’è
inoltre una volontà, nella costruzione in vetro, nel nobilitare il
senso del lavoro, i vetro esibisce e dà dignità al lavoro.
FABBRICA MODELLO. W. GROPIUS, 1914.
Quella del Werkbund fu una delle esposizioni più fortunate
di tutti i tempi.
Quì la materialità dell’involucro di vetro si sviluppava in una
menbrana continua fino ad avvolgere le scale elicoidali di-
sposte all’estremità dell’edificio. All’interno di questo sem-
plice involucro in vetro vi era una armatura in mattoni, la
cui individualità era accentuata da due padiglioni terminali,
ogniuno dei quali coperto da un tetto piano ed aggettante.
Nonostante questa marcata inversione dei ruoli del vetro e
del mattone, lo schema della fabbrica era estremamente
convenzionale, non soltanto per la sua disposizione assiale,
ma anche per la separazione gerarchica e sintattica in ele-
menti amministrativi e produttivi. La facciata pubblica, clas-
sica, destinata ai colletti bianchi, era posta in primo piano,
nascondendo sul retro così la struttura in acciaio, privata,
utilitaria, operaia.
Tale soluzione dualistica non sarebbe mai stata accettabile
per Behrens, facendo così un passo indietro rispetto alla sue
prima opera.
LA VICENDA BAUHAUS

Il Bauhaus fu il risultato di uno sforzo costante per riformare l’insegnamento delle arti applicate in Germania intorno alla fine
del secolo.
Nonostante le ambizione strutture che progettò sia per l’edificio delle Belle Arti che per la scuola delle Belle Arti e mestieri,
Van de Velde, nel suo periodo di incarico, non fece molto di più che itituire un modesto seminario rivolto agli artigiani; dopo
le sue forzate dimissioni in quanto straniero egli consigliò come validi sistituti Walter Gropius, Hermann Obrist o August
Endell. Gropius era favorevole ad un insegnamento progettuale basato sui laboratori sia per i designer che per gli artigiani.
I principi su cui si basava il programma del Bauhaus del 1919 erano stati anticipati dal programma di architettura di Bruno
Taut, egli sosteneva che si sarebbe potuta raggiungere una nuova unità culturale soltanto grazie ad una nuova arte del co-
struire, all’interno della quale ogni singola disciplinaavrebbe contribuito alla forma finale.
Gropius raccomandava vivamente ai membri del Bauhaus di “creare una nuova comunità di artefici, senza le distinzioni di
classe che provocano un’arrogante barriera tra artigiano ed artista”. Persino il termine Bauhaus, che Gropius convinse il
riluttante governo di Stato ad adottare come nome ufficiale della nuova istituzione, richiamava volutamente il termine medio-
evale Bauhutte, che sifìgnificava “loggia di muratori”.
Per i primi tre anni della sua esistenza, il Bauhaus fun dominato dalla presenza carismatica del pittore e docente svizzero
Johannes Itten. L’insegnamento che Itten istituì al Bauhaus, derivava da Cizek, anche se Itten arricchì il metodo con la teoria
della forma e del colore del suo maestro Adolf Holzel. Le finalità del corso di base di Itten, che era obbligatorio per tutti gli
studenti del primo anno, consistevano nella possibilità di liberare la creatività dell’individuo e di mettere in grado ogni studen-
te di valutare le proprie capacità personali. La posizione anti-autoritaria di Itten fu notevolmente rafforzata dal suo soggiorno
al centro mazdeista.
La crescente frattura fra Gropius e Itten fu esacerbata dalla comparsa a Weimar di due personalità ugualmente forti: Theo
van Doesburg, che postulava un’estetica razionale e anti-individualista; Wassily Kandinsky, che insegnava un’approccio
all’arte emotivo e mistico. Nel 1922, dopo che van Doesburg aveva fatto proseliti per nove mesi, la generale soìituazione
socio-economica, ormai critica, costrinse Gropius a modificare l’orientamento artigianale del programma originale; cauta ar-
gomentazione della riconciliazione della progettazione artigianale e della produzione industriale provocò immediatamente le
dimissioni di Itten. Il suo posto fu assunto dall’artista Laszlo Moholy-Nagy. Al suo arrivo a Berlino Nagy era venuto in contatto
con l’architetto El Lissitsky, questo incontro lo spinse a proseguire nella sua personale tendenza costruttivista, e da allora in
poi i suoi quadri rilevarono elementi suprematisti.
Sembra che questa spettacolare dimostrazione di una produzione artistica artigianale programmata avesse fatto impressione
su Gropius, poichè l’anno seguente invitò Nagy a dirigere sia il corso propedeutico che il laboratorio del metallo. Sotto la
guida di Nagy, i prodotti di quest’ultimo si orientarono subito verso un “elementarismo costruttivista” che negli anni fu tem-
perato da una più matura preoccupazione per la funzionalità degli oggetti produttivi. Egliintrodusse nel corso propedeutico
degli esercizi sull’equilibrio di strutture realizzate in tutta una gamma di materiali; l’obbiettivo non era più quello di dimostrare
una sensibilità per il contrasto di materiali e forme ma piuttosto quello di rilevare la proprietà statica ed estetica di strutture
asimmetriche autoportanti e libere nello spazio.
Gli ultimi due anni della direzione di Gropius furono caratterizzati da tre avvenimenti principali: lo spostamento ben orche-
strato dalla situazione politica, da Weimar a Dessau, la realizzazione del Bauhaus di Dessau, ed infine, il graduale affermarsi
di un riconoscibile “approccio Bauhaus”. I laboratori di produzione di mobili, sotto la briullante direzione di Marcel Breuer
iniziarono a produrre sedie e tavoli in tubolari di aciaio a struttura leggera, che erano comodi, facili da pulire ed economici.
Questi pezzi insieme agli apparecchi di illuminazione prodotti dal laboratorio di metalli, furono usati per arredare l’interno dei
nuovi edifici del Bauhaus. Anche la tipografia del Bauhaus giunse a completa maturazione con la rigorosa impaginazione e
il carattere tipografico a stampatello di Bayer, ormai prossimo a diventare famoso in tutto il mondo per la sua eliminazione
delle lettere maiuscole.
All’inizio del 1928, Gropius presentava le sue dimissioni al sindaco di Dessau e indicava come suo successore Meyer, que-
sta decisione trasformò radicalmente il Bauhaus. Per tutta una serie di ragioni, Nagy, Breuer e Bayer seguirono la decisione
di Gropius e rassegnarono anche loro le dimissioni. Nagy non era affato d’accordo con l’insistenza manifestata da Meyer
a proposito dell’assunzione di un rigoroso metodo progettuale; Meyer riuscì ad indirizzare l’attività del Bauhaus verso un
programma di progettazione più “responsabile da un punto di vista sociale”. Divennero attuali mobili semplici, smontabili,
poco costosi e fu prodotta inoltre tutta una serie di carte da parati; Meyer organizzò il Bauhaus in quattro sezioni principali:
architettura, pubblicità, produzione in legno e metallo, e tessuti.
Nonostante la preoccupazione di Meyer di evitare che il Bauhaus diventasse uno strumento della politica partitica di sinistra,
una spietata campagna contro di lui costrinse alla fine il sindaco a chiedere le sue dimissioni. Il disperato tentativo del sindaco
di Dessau di difendere il Bauhaus, nel nome della democrazia liberale, affidando la scuola alla direzione paternalista di Mies
van der Rohe, era destinato a fallire. Il Bauhaus restò a Dessau per soli altri due anni, nell’ottobre del 1932, ciò che restava
della scuola si trasferì in un magazzino nella periferia di Berlino, ma ormai l’ondata reazionaria si era scatenata e nove mesi
più tardi il Bauhaus fu definitivamente chiuso.
SEDE DEL BAUHAUS A DESSAU. W. GRO-
PIUS, 1925-26. All’elaborazione del progetto provvede
Gropius, con la collaborazione di Carl Fieger, Ernst Neufert
e altri.
La concezione architettonica della nuova sede poggia, pro-
grammaticamente, sull’idea di “unità”: unità dell’edificio per
l’istituzione che predica l’unità delle arti. Le numerose fun-
zioni sono distribuite in un edificio articolato in diversi corpi
ben identificati e differenziati dal punto di vista dell’organiz-
zazione spaziale e del trattamento delle facciate, ma al tem-
po stesso raccordati tra loro a formare un unico organismo,
disposto planimetricamente secondo uno schema a “giran-
dola”, composto da quattro bracci perpendicolari.
Sulla distinzione funzionale e linguistica delle varie parti ripo-
sa l’unitarietà dell’intervento:
- la facciata interamente vetrata dell’ala dei laboratori, deli-
mitata lungo i margini inferiore e superiore da due lunghe fa-
sce di intonaco bianco e dalla scritta in verticale “Bauhaus”
in corrispondenza di una testata, possiede l’acuminata net-
tezza e la regolarità di un cristallo piano;
- il corpo amministrativo disposto a ponte sulla strada, ap-
poggiato su due coppie di pilastri in cemento armato e ta-
gliato orizzontalmente da due finestre a nastro, ha l’inelutta-
bile chiarezza di un diagramma;
- la palazzina di sei piani riservata agli studi-alloggi studente-
schi, scandita dagli stretti e profondi balconi sul prospetto,
diventa invece il paradigma di una modernità di routine.
Gli interni sono frutto della comunità operosa di maestri,
apprendisti e lavoranti della scuola, all’interno dei quali si
segnalano i contributi di Moholy-Nagy per l’illuminazione,
di Breuer per gli arredi e di Hinnerk Scheper per la pittura
murale.
L’insediamento è completato dalla casa del direttore e dalle
tre case doppie dei maestri, progettate sotto la supervisione
di Neufert, divenuto responsabile dello studio di architettu-
ra di Gropius. Impostate su planimetrie movimentate, a S
quelle doppie, le case giocano sull’effetto plastico creato dai
bianchi blocchi stereometrici, soltanto accostati fra di loro,
bucati da finestre tradizionali disposte asimmetricamente o
da ampie pareti vetrate, cui fanno da contrappunto gli alti fu-
sti degli alberi in mezzo ai quali le abitazioni sorgono. Manca
a queste case la forza dirompente del manifesto costruito, la
capacità di elevarsi al livello di icona di una modalità proget-
tuale o di un’epoca - cioò che riesce perfettamente invece è
l’edificio del Bauhaus.
TOTAL THEATER. W. GROPIUS, 1926-28. L’ope-
ra di Gropius più schiettamente Neue Sachlickeit, è rappre-
sentata da questo edificio.
Il teatro di Gropius era concepito per soddisfare, nel miglior
modo possibile, le esigenze di un palcoscenico “biomecca-
nico”, per creare uno spazio per un “teatro d’azione”. L’atto-
re-acrobata era il tipo ideale per questo genere di teatro, nel
quale veniva rappresentato uno spettacolo meccanizzato,
simile a quello di un circo, su un palcoscenico aperto, non
separato dal pubblico. Gropius scriveva:

“L’auditorium deve essere tenuto costantemente illu-


minato, mantenendo così un legame visivo continuo tra
attore e pubblico. Le false suggestioni del palcoscenico
borghese devono essere evitate. Il teatro non deve esse-
re considerato culturalmenete indipendente, il palcosce-
nico deve essere usato come un foro politico o come la
simulazione di un’intesa esperienza sociale.”

Nella sua soluzione eccezionalmente raffinata e flessibile,


Gropius offrì a Piscator un auditorium che poteva essere
trasformato rapidamente nelle tre forme classiche di palco-
scenico: il proscenio, il proscenio del teatro elisabettiano,
l’arena.
Si ottiene, così, una completa trasformazione dell’edificio
girando la piattaforma del palcoscenico, e parte dell’orche-
stra, di 180°; allora quello che era il proscenio diventa un’a-
rena centrale completamente circondata da file di spettatori,
ciò può avvenire anche durante la rappresentazione stessa.
Questo impatto sullo spettatore, muovendolo durante lo
spettacolo e spostando inaspettatamente l’arena del pal-
coscenico, altera la scala esistente dei valori, rivelando allo
spettatore una nuova coscienza e una nuova percezione del-
lo spazio e facendolo partecipare all’azione.
All’occorrenza il teatro poteva venire chiuso da uno schermo
suddiviso in segmenti, con proiezione dal retro di immagi-
ni cinematiche complementari all’azione che si svolgea sul
palcoscenico vero e proprio. La flessibilità di questo audito-
rium poteva essere ulteriormente aumentata dalla dotazione
di uno spazio per spettacoli acrobatici, proprio al di sopra
dell’arena centrale. Questo palcoscenico aereo avrebbe avu-
to l’effetto di trasformare lo spazio vuoto ovoidale di Gropius
in uno spazio teatrale effettivamente tridimensionale con il
pubblico che, di volta in volta, circondava la scena o era da
questa circondato su tutti i lati.
L’auditorium stesso era costituito da un involucro di vetro,
attraverso il quale si poteva facilmente percepire la struttura
portante fondamentale, mentre la struttura a traliccio del-
la copertura ovoidale si rallacciava ingegnosamente si nodi
rappresentati dai pilastri reggenti la trave di sostegno ellitti-
ca ad anello (cfr. l’auditorium della Società delle Nazioni di
Meyer e Wittwer).
QUARTIERE TORTEN A DESSAU. W. GRO-
PIUS, 1926-28. Ben diversi gli effetti della razionalizza-
zione adottata nelle più di 300 case a schiera unifamiliari che
costituivano la Siedlung Torten.
Negli anni di Weimar Gropius aveva tentato di affrontare
il tema della casa economica serializzata concepita come
“macchina per abitare”. La ricerca della massima standar-
dizzazione ma anche della massima variabilità progettuale a
seconda del numero e delle esigenze degli abitanti.
Il quartiere è composto da case a schiera a due piani. I tre
tipi edilizi sono studiati con un’estrema cura; le strutture
portanti sono setti murari trasversali, collegate da travi in
cemento, e nelle case sono dipinti in colore diverso dai tam-
ponamenti frontali, accentuando il gioco dei corpi sporgenti
e rientrandi poichè tutte la pareti orientate parallelamente
alla schiera sono chiare, quelle orientate perpendicolarmen-
te sono scure. Al centro del quartiere c’è un fabbricato a
quattro piani che contiene gli appartamenti minimi e la coo-
perativa di consumo. Mentre i tipi edilizi sono ben approfon-
diti, la composizione d’insieme è indecisa.
Se le case della Siedlung Torten sono innovative dal punto
di vista dell’applicazione dei sistemi di produzione a catena
al cantiere, mostrano però l’abissale distanza che separa la
“fluidificazione e la razionalizzazione” della vita quotidiana
attuata nelle case dei maestri della sua versione economi-
co-popolare, non riscattata neppure dagli arredi-tipo appron-
tati nei laboratori del Bauhaus; conferma che anche il mas-
siccio impiegamento della ragione può generare “mostri”.
QUARTIERE DAMMERSTOCK. W. GROPIUS,
1929-29. Vince il concorso per la realizzazione del quar-
tiere e chiama a se altri nove architetti per la realizzazione
del quartiere.
Il piano d’insieme è semplicissimo: tutti i blocchi sono orien-
tati nord-sud, per distribuire simmetricamente sulle due
facciate l’illuminazione solare, e sono serviti da strade pe-
donali, poichè quelle carrabili corrono perpendicolarmente
est-ovest. La varietà che sembra assente dal piano generale
è ristabilita dall’architettura, perchè i blocchi sono di varia
altezza, da 2 a 5 piani, diversamente spaziati fra loro e risolti
in vari modi dai nove progettisti.
E’ assai notevole che il quartiere non abbia uno spazio cen-
trale e non sia in alcun modo chiuso in se stesso; gli edifici
pubblici e gli elementi edilizi anomali sonocollocati ai margini
dell’area, nei punti più adatti per ricucire il tessuto del nuovo
quartiere al tessuto urbano, mentre i ritagli meno regolari
sono accuratamente colmati con la sistemazione a verde.
QUARTIERE SIEMENSSTADT. W. GROPIUS,
1929-29. Tagliato da una linea ferroviaria e da una stra-
da curva, Gropius subordina la composizione ad elementi
preesistenti: il lungo corpo di fabbrica di Bartning, con ap-
partamenti che si affacciano verso sud, è disposto lungo la
strada che corre da est ad ovest; sull’altro lato si attestano
perpendicolarmente i blocchi di Haring con appartamenti a
due esposizioni, mentre a sud della ferrovia gli edifici di Sha-
roun convergono inquadrando il sottopassaggio. Gropius si
riserva la progettazione di tre blocchi di case presso l’incro-
cio principale, che è il centro virtuale appena più accentuato
del quartiere.
Anche qui gli edifici pubblici sono disposti perifericamente
e sono usati per risolvere i nodi e le testate dei blocchi re-
sidenziali.
La rete stradale carrabile è ridottissima, la gerarchia delle
funzioni chiara e immediatamente leggibile, ogni elemento
è razionalmente motivato e ha lo stesso carattere schietto e
persuasivo delle vicine strutture industriali.
ESPRESSIONISMO E ANTIESPRESSIONISMO, NEUE SACHLICHKEIT: GER-
MANIA E OLANDA
Per innalzare la nostra cultura ad un livello superiore sia-
mo obbligati, che ci piaccia o no, a trasformare la nostra
architettura. E ciò sraà possibile solo se liberiamo i locali
nei quali viviamo dal loro carattere di spazio chiuso.
Tuttavia possiamo fare ciò soltanto introducendo un’ar-
chitettura di vetro, che lasci entrare la luce del sole, della
luna e delle stelle nelle stanze, non soltanto attraverso
scarse finestre, ma attraverso il maggior numero possibi-
le di pareti, costituite interamente di vetro, di vetro colo-
rato. [Paul Scheerbart, Glasarchitektur, 1914]

La visione del poeta Paul Scheerbart, relativa all’affermarsi


di una cultura elevata grazie all’uso del vetro, servì a raffor-
zare quelle aspirazioni verso una sensibilità non repressiva;
Scheerbart aveva proposto autonomamente un’immagine
“fantascientifica” di un futuro utopico, che si contrapponeva
sia al riformismo borghese che alla cultura dello stato indu-
striale.
L’Esposizione del Werkbund a Colonia del 1914 fu l’espres-
sione di una frattura ideologica all’interno del Werkbund tra
una accettazione collettiva della forma normativa e la volon-
tà di forma espressiva. Mentre Behrens e Gropius tendeva-
no verso la maniera normativa, Van de Velde e Taut mani-
festavano nei loro edifici una volontà di forma liberamente
espressa.
Il testo aforistico di Scheerbart era dedicato a Taut, sul cui
Padiglione di Vetro erano incisi i suoi aforismi; queste parole
consacravano il Padiglione di Vetro di Taut alla luce. Quella
forma piramidale, proposta da Taut come modello univer-
sale di tutti gli edifici religiosi, era in realtà una Stadtkrone
o “corona di città”, che, unitamente alla fede che avrebbe
ispirato, costituiva un elemento urbano fondamentale per la
ristrutturazione dlla società.
Taut in questo periodo si dedicava alla stesura di libri, com-
posti per la maggior parte di disegnie fotografie, che vedra-
no la lice nell’immediato dopoguerra:
- Alpine Architektur, è liberamente ispirato ai vagheggia-
menti scheebartiani di trasformazione della superficie terre-
stre attraverso l’edificazione di raggianti architetture cristal-
line sulle Alpi;
- Die Stadtkorone, prefigura una città perfettamente
ordinata ed armonica, dominata nella parte centrale da un
grande complesso comunitario, modellato - in senso concet-
tuale più che da un punto di vista formale - sulle cattedrali
medioevali e sui templi orientali;
- Die Auflösung der Städte, ipotizzava invece il dis-
solversi delle grandi concentrazioni urane, soppiantate da
piccoli insediamenti rurali, in cui individualità e collettività
trovano modo di convivere, modello di un insediamento agri-
colo, di forma circolare, suddiviso secondo radiali. Al centro
vi erano tre zone residenziali separate, ogniuna distinta per
una specifica classe di cittadini; questa organizzazio tripartita
portava essenzialmente alla “Casa del Cielo”, in vetro, che
si trovava al centro, dove si riunivanoi governatori della città.
Quì si ha uno dei paradossi del socialismo anarchico di Taut,
cioè il fatto che le istituzioni immaginate per queste comu-
nità organizzate in modo gerarchico, per non dire autoritario,
contenevano i semi di un facismo che doveva ben presto
trovare la sua divulgazione nella cultura basata su “sange e
terra” del movimento nazional socialista.
PADIGLIONE IN VETRO. BRUNO TAUT, 1914.
“La luce vuole il cristallo - Il vetro porta con se una nuova
epoca - Siamo rattristati dalla cultura del mattone - Senza un
palazzo di vetro la vita diventa un peso - L’edificio in mattoni
ci danneggia - Il vetro colorato elimina l’odio”.
Queste parole consacravano il padiglione alla luce, che filtra-
va attraverso la cupola sfaccettata e le pareti a blocchi di ve-
tro, per illuminare una sala assiale a sette gradoni, rivestita di
mosaico di vetro. Secondo Taut questo edificio cristallino era
stato concepito nello spirito di una cattedrale gotica. Quella
forma piramidale, proposta da Taut come modello universa-
le di tutti gli edifici religiosi, era in realtà una Stadtkrone o
“corona delle città”, che, unitamente alla fede che avrebbe
ispirato, costituiva un elemento urbano fondamentale per la
ristrutturazione della società.

ERICH MENDELSOHN. Per Mendelsohn la forma è qualità sintetica. Nasce dall’immediatezza del gesto ma sopravvive
anche nella successiva fase di riflessione e rielaborazione. Se rispetto all’intuizione futurista la linea mendelshoniana si muo-
ve ancora più libera, meno definita nei dettagli e con minor carica monumentale, ma in compenso dotata di una maggiore
articolazione plastica, rispetto alle “forme-forza” vandeveldiane essa si mostra invece meno fine a se stessa, più necessaria.
TORRE EINSTEIN. ERICH MENDELSOHN,
1914. La fluidificazione dello svettante profilo di una torre
si materializza nel 1920 nell’Einstenium a Potsdam.
Alla sommità la torre ospita un osservatorio dotato di un
telescopio, e nella parte basamentale, disposta longitudi-
nalmente, un laboratorio astrofisico. L’effetto complessivo
è quello di un pezzo di materia solida portata allo stato di
fusione: bucature di porte e finestre, parapetti delle scale,
doccioni perdono la consueta rigidità e scatolarità per as-
sumere un andamento irregolare, sinuoso, una consistenza
dall’apparenza malleabile.
Concepito in un primo momento in funzione delle possibi-
lità espressive del calcestruzzo armato, l’edificio viene poi
realizzato in mattoni, dando dimostrazione in tal modo del
ruolo parimenti importante rivestito in esso da due fattori: la
ristrettezza di mezzi a cui deve sottostare l’architettura tede-
sca dei primi anni venti, e la strenua convinzione di Mendel-
sohn nel raggiungere a qualsiasi costo il primo obbiettivo, al
punto da fargli dissimulare il materiale impiegato. Ma la Tor-
re Einstein è assai più una “rappresentazione” che non una
diligente oggettivazione delle funzioni che accoglie. Ciò che
essa compie nel nome di Albert Einstein è piuttosto la tra-
sposizione “more architecttonico” della teoria della relatività
generale: l’edificazione di un Continuum spazio temporale, e
nel necessario deformarsi di un corpo al suo interno.
L’architettura si presenta come un corpo duttile ed elastico.
FABBRICA DI CAPPELLI. ERICH MENDEL-
SOHN, 1921-23. Mendelsohn tenta di rendere evoca-
tivi i padiglioni destinati alle diverse fasi della produzione,
operando una facile analogia della forma delle coperture e
quella dei copricapi che in essi sono prodotti.
L’esito però è poco felice, nella Fabbrica di Cappelli risulta
spigoloso, forzato, se non addirittura sgraziato.

STABILIMENTO TESSILE KRASNOJE


SNAMJA. ERICH MENDELSOHN, 1925. Il prin-
cipio fissato è quello di contrapporre la drammaticità di alte
forme industriali con tetti a forte spiovente ed elementi a
sviluppo orizzontale, dal momento che la configurazione
per bande nel blocco amministrativo anticipava il profilo dei
grandi magazzini tipici delle grandi città.
Da questo momento in poi Mendelsohn pensava “in termi-
ni di assemblaggi strutturale di unità geometriche semplici,
che si presentavano come superfici dal nitido profilo”.
MAGAZZINI PETERSDORFF. ERICH MENDEL-
SOHN, 1927. Mendelsohn trova un linguaggio confor-
me all’artificialità che si impone come autentica condizione
metropolitana.
Più che da un freddo diagramma, questa architettura com-
merciale si lascia sintetizzare da un energico schizzo: pro-
spetti solcati da fasci di linee orizzontali, facciate in curva o
incernierate su nodi cilindrici, lettere cubitali che compongo-
no nomi scritti longitudinalmenteo in perpendicolare. L’alter-
nanza di fasce di muratura e di fasce vetrate, rispettivamen-
te chiare e scure di giorno, e invertite di notte, scandisce con
rara eccezionalità il ritmo a cui pulsa la vita delle metropoli
e sottolinea la direzione di scorrimento dei flussi di traffico.
Gli spazi interni sono luminosi e aperti, modulati da un siste-
ma di travi e pilastri in cemento armato.
L’espressione di Neue Sachlichkeit fu coniata nel 1924, l’e-
spressione in realtà doveva applicarsi al nuovo realismo,
caratterizzato da una sfumatura socialista. Si riferiva anche
al generale sentimento di rassegnazione e di cinismo che
caratterizzava la Germania dopo un periodo di grandi spe-
ranze. Il cinismo e la rassegnazione sono gli aspetti negativi
della Neuse Sachlichkeit, mentre il lato positivo si esprime
nell’entusiasmo per la realtà immediata, che risultava dal de-
siderio di prendere le cose del tutto oggettivamente a parti-
re dalla base materiale senza investirle immediatamente di
implicazioni ideali. Questo salutare disinganno trova la sua
più chiara espressione in Germania nell’architettura.

Il termine Sachlichkeit era assai diffuso nei circoli cultura-


li tedeschi molto tempo prima del 1924; tale termine per
Muthesius voleva significare un atteggiamento “oggettivo”,
funzionalista ed eminentemente pragmatico, nei confronti
della progettazione di oggetti, che dendeva alla riforma della
società industriale.
Nel 1926 il termine fu usato per la prima volta per designare
una nuova oggettività e un atteggiamento di impronta chia-
ramente socialista nei confronti dell’architettura. E’ stato un
movimento che ha dato corpo a realizzazioni in diversi ambiti
artistici e le forme più compiute le ha avute proprio nell’am-
bito dell’architettura,
I tratti comuni degli artisti della Neue Sachlichkeit erano:
- un certo disincanto e cinismo con cui ritraevano e rappre-
sentavano la realtà, una sorta di atteggiamento che era figlio
dei disastri della Prima Guerra Mondiale;
- una tendenza alla satira feroce, soprattutto nei confronti
della società borghese, una carica di profinda critica sul pia-
no sociale;
- un rapporto con la realtà dei fatti, una realtà concreta e non
filtrata da nessun idealismo che potesse trasfigurarla, una
rappresentazione cruda ed asciutta delle cose.
El Lissitsky è inviato in Germania, dal partito Comunista di
Mosca, per sondare lo stato delle sperimentazioni in campo
architettonico.
Arriva a Berlino nel 1923 e fonda una rivista dal nome “Ve-
shch” (Oggetto), e nella prima pagina espone due imma-
gini emblematiche: da un lato un locomotore spazzaneve,
e di fianco due simblo della pittura suprematista, quella di
Malevich, due immagini messe insieme che esprimono un
universo di pensieri; queste due immagini devono chiarire
e scindere il pesniero di cosa sia “oggettivo” e di cosa sia
“astratto”, la scommessa di Lissitsky è di coniugare in ar-
chitettura entrambi questi momenti, da un lato l’oggettività
della forma ingegneristica e dall’altro la riflessione sulla for-
ma astratta e sull’estetica della forma.
TRIBUNA LENIN. EL LISSITSKY, 1920. Tentati- YACHT CLUB SULLE COLLINE LENIN. EL LIS-
vo di coniugare astrattismo della forma e concretezza della SITSKY, 1925. L’assonometria si presta molto ad una
struttura è evidente in quest’opera. visione oggettiva dell’architettura, per giunta questo croma-
L’elemento oggettivo è la struttura reticolare che sorregge la tismo limitato a pochi colori essenziali ne avvalorano e ne
tribuna sospesa a sbalzo, ma anche la bse, dove ci si aspet- fanno risaltare la composizione volumetrica.
terebbe, per ovvi motivi di carattere statico, vi una base
rappresentata in tutta la sua matericità, quì Lissitsky pone
un cubo come pura forma geometrica astratta, quindi una
composizione che tenta di coniugare gli opposti.

VOLKENBÜGEL. EL LISSITSKY, 1923. Il progetto


più celebre di Lissitsky. Un grattacielo, la pianta sembra es-
sere ripresa a pieno dal Le Corbusier per il suo Segretariato
per il progetto della Sede della Società delle Nazioni, palazzo
per uffici con elementi a sbalzo.
Edificio in cemento armato. con travi-parete, in sommità,
che reggono i piani a sbalzo; nelle immagini prospettiche è
significativo che la città viene rappresentata senza la natura,
rappresentazione di un puro aforismo, un pò come aveva già
fatto Sant’Elia nei disegni di Una Città Nuova.
PETERSSCHULE. H. MEYER & H. WITTWER,
1926. IPrima compiuta formulazione in un progetto
dell’oggettività, per una scuola, progetto rivoluzionario per
molti aspetti. Primo progetto in assoluto che consta in modo
compiuto, in ambito architettonico, tutti gli assunti program-
matici della Neue Sachlichkeit.
Consta di un corpo fiancheggiato da una lunga rampa di sca-
le che lo attraversa per tutti i livelli, trovano posto al piano
terra piscine e palestre, ai restanti piani le aule che con il loro
peso, tramite quattro cavi di acciaio sorreggono due piatta-
forme, he gli architetti definiscono come piazze sospese,
alzate dal suolo e pensate come spazio di gioco e degli eser-
cizi ginnici, liberando il terreno che così si presta ad essere
utilizzato i parte come parcheggio e in parte per la viabilità
regolare.
Da notare anche il modo di rappresentazione del progetto, in
un’unica tavola riportano tutti i dati ritenuti essenziali, addirit-
tura le curve che descrivono la resistenza e la sollecitazione
che le due piattaforme provocano nel blocco scolastico.
Struttura in acciaio su plinti in cemento armato, controven-
tature con cavi disposti in diagonale, illuminazione zenitale e
rivestimento in eternit, una struttura essenziale.

PROGETTO PER LA SEDE DELLA SOCIETA’


DELLE NAZIONI. H. MEYER & H. WITTWER,
1926. I due architetti, alla presentazione del loro progetto
affermarono che il loro progetto rappresentava una soluzio-
ne scientifica, ma ciò richiede una verifica.
Da un punto di vista strutturale, tale affermazione appare
veritiera, considerando che il loro uso di un modulo standard
generalizzato sarebbe stato perfettamente adeguato all’uso
della prefabbricazione; era possibile l’estensione e la con-
trazione modulare di ogni sezione, senza alterare l’ordine di
base dell’edificio. Il fatto che l’edificio per assemblee fosse
sospeso su pilastri era più che giustificato dalla sistemazio-
ne al piano terra di parcheggi. La stessa oggettività, tanto
vantata da Mayer, trova anch’essa riscontro nella definizione
della sezione dell’auditorium, ottenuta sulla base di accurati
calcoli acustici.
Ma l’oggettività del progettista è discutibile se si considera
che i pozzi degli ascensori sono rivestiti in vetro in modo da
rivelae l’estetica della macchina in azione, secondo i modelli
del Costruttivismo russo. Ulteriori dubbi sorgono quando si
considerano le inequivocabili qualità pittoresche della com-
posizione.
FABBRICA VAN NELLE. J. A. BRINKMAN & L.
C. VAN DER VLUGT, 1927-29. Uno degli edifici più
significativi di questa vasta produzione, ed anche il più con-
vincente.
Superfici vetrate attraverso le quali si intravede la struttura,
quindi una forma oggettiva, la struttura non è celata ma si
manifesta tramite le ampie finestrature, si intravede il corpo
scala. Ma l’elemento caratteristico sono i nastri trasportato-
ri, bellissima successione dei nastri che mettono in mostra
il ciclo lavorativo, nastri che vengono resi trasparenti per raf-
forzare l’idea di oggettività; primo edificio che utilizza i pila-
stri a fungo poligonali per semplificare l’opera di carpenteria
lignea e il fungo, al tempo stesso semplice, ne aumenta la
capacità di resistenza, le fondazioni sono plinti su pali.
Anche le mensole a sbalzo servono per qualcosa di oggetti-
vo, infatti ci si trovano i binari dove si agganciano le pedane
per la manutenzione e la pulizia della facciata ermetica.
BERGPOLDER. J. A. BRINKMAN & L. C. VAN
DER VLUGT, 1927-29. Edificio ad appartemanti, dove,
in polemica con Le Corbusier,teorizzano l’alloggio in chiave
“Existence Minimum”, così da abbattere i costi e consenti-
re uno spazio residenziale dignitoso anche per le classi po-
polari. E’ un esempio per quanto appena serve, con mobili
che scompaiono e si ripiegano, quindi hanno una loro mobi-
lità, un loro dinamismo.

QUARTIERE KIEFHOEK. J. P. OUD, 1925-30.


Case a schiera concepite nelle forme e nelle dimensioni
dell’Existence Minimum, per esigenze di contenimento dei
costi.
Piano terra con ingresso, soggiorno-pranzo, cucina, bagno di
servizio e scala a chiocciola che conduce al piano superiore
dove trovano posto tre camere da letto. Copertura piana,
finestra a nastro, intonaco bianco, ma soprattutto specializ-
zazione e caratterizzazione degli angoli; non sono delle zone
morte come in moltissime realizzazioni di questo tipo.
La strada intrattiene ancora una tipologia tradizionale, quella
della strada a corridoio con le quinte edilizie, in Olanda cam-
bia l’idea ma non le forme di occupazione del suolo.
VILLA AD AALSMEER. J. DUIKER & B. BIJO-
VET, 1924. A margine di questa radicalità di pensiero e
oggettività, si fa questo progetto, questi sono anche gli anni
in cui si pubblicano due volumi sull’opera di Wright in Ameri-
ca e che influenzeranno non poco gli architetti eurpei.
Esordiscono con questa casa totalmente asimmetrica, rive-
stita in doghe di legno, copertura ad una sola falda e alcuni
accorgimenti che denotano l’attenzione per un vocabolario
non propio dei funzionalisti, cioè lo scantonamento dell’an-
golo con l’inserimento della finestra a negare la qualità tet-
tonica e strutturale.
SANATORIO ZONNESTRAAL. J. DUIKER & B.
BIJOVET, 1930. Progetto che avrà molto successo su-
gli architetti chiamati negli anni successivi a progettare dei
sanatori, infatti se ne ricorderà Aalto che in parte riprenderà
in parte questa disposizione.
Progetto in cui Duiker privilegia una composizione detta “a
farfalla”, il sanatorio ha un’impostazione rigorosamente sim-
metrica, con palestre, stanze di degenza, laboratori, infer-
mierie, tutte aperte verso il paesaggio.
Ampio utilizzo di superfici vitree, che lasciano in vista la
struttura interna, una costruzione oggettiva, senza infingi-
menti, superfici intonacate di bianco.

HOTEL GOOILAND. J. DUIKER & B. BIJOVET,


1936. La loro ultima opera, un chiaro esempio di architet-
tura oggettiva, scarnificato di tutto, in cui la struttura recupe-
ra una sua dimensione e una sua coerenza.
OPENING AIR SCHOOL. J. DUIKER, 1930.
Disposizione a farfalla ripresentata anche quì, corpo scala
emeregente e inserito secondo la diagonale.
In Olanda non si sperimentano solo nuove forme, ma an-
che nuovi metodi di insegnamento e quindi si pensa ad una
scuola che non sia un involucro rigido, ma che presenti an-
che degli ampi spazi aperti, che nei mesi caldi accolgono i
bambini che giocano.

CINEAC. J. DUIKER, 1934. La carriera di Duiker si


chiude con questa realizzazione che per molti aspetti è più
oggettiva delle precedenti, più vicine a certe sperimentazio-
ni dell’architettura sovietica.
Quì l’insegna. soprattutto di notte, qualifica l’angolo e l’inte-
ra realizzazione.

CUCINA FRANCOFORTESE. M. SHUT-


TE-LIHOTZKY, 1926. Si basa sul principio di piani ribal-
tabili, basi che ruotano attorno ad un perno liberandocosì lo
spazio, piani estraibili; studiata con approccio ergonomico,
con gli ingombri e i movimenti tipici della persona.
QUARTIERE ROKIN. M. STAM, 1926. L’atteggia-
mento radicale di Stam nei confronti della città è sato pro-
prio da questo progetto, mai realizzato.
Nega ogni valore di continuità del rapporto tra strada ed edi-
ficio, progetto che prevede un blocco ad uffici, delle abitazio-
ni e dei servizi, pur di non utilizzare la strada nei modi tipici,
inserisce una sorta di teleferica che sormonta le abitazioni e
garantisce, con un trasferimento meccanizzato il trasporto di
uomini e cose da un punto ad un’altro.
Il piano terra è assolutamente negato tanto da proporre u
suo sfruttamento come parcheggio coperto.

SIEDLUNG HELLERHOF. M. STAM, 1926. Un non di attraversamento, che sono invece quelle orientate
episodio molto importante nella storia delle residenze a bas- nord-sud; sui fronti opposti la serie degli orti delle singole
so costo, che sono state per molti aspetti,e lo sono anche unità abitative.
tutt’ora, uno dei temi centrali di dibattito nell’operare degli Il distacco tra una schiera e l’altra viene fissato in una misura
architetti nel mondo. che non sia mai inferiore al doppio dell’altezza delle singole
Nell’arco di 5-6 anni Francoforte realizzò la bellezza di 15.000 schiere, per garantire una perfetta illuminazione non solo de-
alloggi, una dato record che non trova riscontro in Europa, gli spazi liberi ad orto, ma anche e soprattutto delle stesse
uno sforzo straordinario avvenuto in pochissimi anni reso abitazioni, evitando quell’insolubrità che era tipica dei quar-
possibile, non tanto e solo da una municipalità efficente, ma tieri di ascendenza medioevale; una distribuzione seriale che
soprattutto di una squadra di tecnici che riuscì a tradurre nel se per un lato con la grande strada di collegamento alla cit-
concreto gli enormi e stretti vincoli di budjet. tà di Francoforte ripropone l’estetica della strada corridoio
Mart Stam mette mano ad uno dei quartieri realizzato nella fiancheggiata da cortine edilizie, dall’altro lato le unità op-
valle del Nidda, quartiere edificato a schiera, con un disegno pongono una testata muta e quindi l’immagine stessa della
che si è reso testimone di una realtà urbana. città cambia radicalmente, sia per le altezze, per le coperture
Unità a schiera caratterizzate da un fronte di servizio, cioè piane, per un lessico elementale e un verde curato.
lambito da una strada di servizio e di distribuzione interna al
quartiere e di stratta pertinenza alla sola unità d’abitazione,
SIEDLUNG CELLE. OTTO HAESLER, 1923. Qui
il colore assume una funzione importante, questo cromati-
smo così acceso, unito alla volumentria più mossa, assicura
una variabilità ed una mobilità dell’immagina urbana diversa;
in più Haesler è l’unico che in Germania insisten sul tipo in
linea, edifici a 3-4 piani, con un corpo scala che serve due
alloggi per piano.

SIEDLUNG IN BRUCHFELDSTRASSE. E. MAY,


1925-27. May, capo della municipalità di Francoforte,
esordisce con questo progetto, caratterizzato da due edifi-
cazioni sui lati lunghi, disposti a denti di sega, così orientate
proprio per esigenze di esposizione solare.
Gli spazi interni, i giardini, sono molto curati, sia nella dispo-
sizione delle aiuole che servono a dividere gli appezzamen-
ti di terra di ciascun abitazione; un complesso che avrebbe
avuto un certo successo. La testata d’ingresso inglobava dei
servizi comuni, tipo l’asilo per l’infanzia, farmacia, botteghe
e tutte altre funzioni a servizio e supporto per i residenti,
affinchè quella comunità sia il più possibile autosufficente.

SIEDLUNG HOHENBLICK-PRAUNHEIM-WE-
STHAUSEN. E. MAY, 1927-31. In may c’è una
maggiore attenzione per il rapporto di continuità tra fronte
dell’edificio e la strada, mentre Stam oppone brutalmente
la testata. Caratteri tipici della concezione di May dei nuovi
quartieri sono: un uso del colore, la serialità, il rapporto tra
edilizia alta in linea e quella bassa a schiera, ma soprattutto i
procedimenti standardizzati e industrializzati.
May fa della prefabbricazione e della razionalità la chiave per
una produzione industrializzata a basso costo, es. l’allinea-
mento rigido lungo le strade consente di inserire una rotaia
su cui scorre un braccio gru che deposita pannelli in calce-
struzzo armato, cavi e prodotti industrialmente, che consen-
tono tempi e costi irrisori per la realizzazione di case.
LE CORBUSIER (CHARLES-EDOUARD JANNERET)_pt 1
Charles-Edouard Jeanneret nasce nel 1887, in Svizzera, a La
Chaux-de-Fonds: compie i suoi studi superiori all’Ecole d’Art
municipale, dove entra in contatto con Charles L’Eplattenier,
insegnante di disegno e in seguito direttore della scuola,
che lo inizia all’architettura. La formazione di Le Corbusier
è basata su un sapere tecnico-pratico ma improntata al con-
tempo a una vena di idealismo, come risulta dalle sue letture
giovanili.
I viaggi compiuti tra il 1907 e il 1911 in Italia, Austria, Francia,
Germania, Paesi Balcanici, Turchia e Grecia costituiscono
per lui un’”iniziazione” a un mondo di forme architettoniche
e di esperienze culturali che l’ambiente ristretto della sua cit-
tà natale non potevano fornirgli. Il 1907 può essere conside-
rato come il punto cruciale della vita di Le Corbusier, poichè
quell’anno non solo egli incontro Garnier, ma compì anche
una visita determinante alla Certosa di Ema in Toscana. Là
egli sperimentò per la prima volta la “comunità” vivente che
doveva diventare il modello socio-fisico della sua personale
reinterpretazione di quelle idee utopiche socialiste che ave-
va ereditato in parte da L’Eplattenier e in parte da Garnier.
Vienna entra in contatto con Hoffmann, a Parigi lavora per
alcuni mesi nello studio dei fratelli Perret, venendo “fulmi-
nato” dalle possibilità costruttive del cemento arcmato e da
un approccio logico-razionale al progetto. I suoi contatti con
Garnier sono soltanto induttivi, mentre accertate sono le co-
noscenze di Theodor Fischer a Monaco di Baviera, di Heinri-
ch Tessenow e di Hermann Muthesius e Peter Behrens, nel
cui studio lavorò per un breve periodo a Berlino.
Ma non solo soltanto gli aspetti culturalmente più avanzati
e moderni a destare il suo interesse: non minore impres-
sione suscita in lui la visione del Partenone. Tuttavia, più
che una sensibilità per l’antico, ciò attesta la sua profonda
venerazione per la perfezione - nè antica nè moderna, ben-
sì semplicemente eterna - delle forme geometriche solide
meticolosamente connesse fra loro, “un gioco sapiente, ri-
goroso e magnifico di volumi assemblati sotto la luce”. Ma
è significativo pure che il Partenone gli appaia come una
terribile macchina, che possiede l’esattezza di una matema-
tica evidente e la precisione che un tornitore conferisce alla
propria opera.
VILLA FALLET. LE CORBUSIER, 1905. A soli 17
anni progetta la sua prima casa, un semplice chalet. Con
questa casa dimostrava già una notevole perizia, il modello
di riferimento è quello del tipico chalet alpino, basamento in
pietra, struttura in legno, tetti molto spioventi in tegole, in
più Le Corbusier aggiunge una decorazione, di gusto vaga-
mente Art Nouveau, con motivi floreali e faunistici tratti dal
luogo, già in questa villa Le Corbusier manifesta un modo di
aggredire le questioni caratterizzeranno un pò tutta la sua
carriera, qualcuno ha definito questo approccio al progetto di
tipo “Tipologico”, il suo talento era legato all’estrema chia-
rezza con cui a decriprate la realtà, restituiendo una realtà
complessa nelle sue forme più elementari e fondamenta-
li, poi rimescolandone e fornendo una versione originale di
quanto aveva visto, perfetta consapevolezza di vivere una
realtà fatta di tipi e l’approccio al progetto è di tipo tipologico.
La pianta, per certi versi, sembra ancora ingenua, però ha
già molte soluzioni che poi affinerà nel tempo, ad esempio
l’alternanza di campata stretta e campata larga - vedi Palla-
dio.
ATELIER D’ART-PROGETTO. LE CORBUSIER,
1907. L’impatto di tutte le influense subite da LC possono
essere misurate nel progetto che lui farà per la sua scuola,
al ritorno a La Chaux-de-Founds nel 1909. Questo edificio,
evidentemente pensato in cemento armato, consisteva in
tre ordini di studi di artisti disposti a gradoni, ogniuno con
un proprio giardino separato, disposto attorno ad uno spa-
zio centrale comune coperto da un tetto piramidale di ve-
tro. Questo libero adattamento delle celle certosine, con le
loro connotazioni comunitarie, fu la prima occasione in cui
LC reinterpretò un tipo tradizionale al fine di conformarlo al
programma di un tipo completamente nuovo: trasformazioni
tipologiche del genere, con i loro riferimenti spaziali e ideo-
logici, sarebbero diventate una caratteristica intrinseca del
suo metodo di lavoro.
Poichè questo procedimento sintetico si basava sulla “con-
taminazione”, la scuola d’arte deve essere vista tanto come
un’erede del Familisterio di Godin, quanto come una rein-
terpretazione di Ema. Nondimeno Ema sarebbe rimasta im-
pressa nella mente di LC come un’immagine di Armonia,
reinterpretata innumerevoli volte, dapprima su vasta scala.
negli Immueble-Villa, e poi a scala ridotta, nei decenni suc-
cessivi in cui progetto i suoi diversi piani per le città.

VILLA JEANNERET. LE CORBUSIER, 1912.


La pianta, a meno del Bow-window che sta sul fianco, e
dell’emergenza della scala disassata, ha una scansione dele
campate che è tipicamente palladiana, in parte però, recu-
pera quella predilezione per la pianta ad L, in più con quelle
espansioni si caratterizza per la consapevolezza nell’aggan-
ciare il volume agli spazi liberi denunciando, attraverso una
serie di soluzioni, l’appartenenza di quei volumi agli spazi
liberi di pertinenza, il giardino privato con il bow-window e la
scala recupera l’allineamento con il pergolato.
MAISON DOM-INO. LE CORBUSIER, 1915. Nel Questo gioco di parole acuistava un’evidenza letterale, in
1915 mette a punto la chiave di volta della sua carriera, cioè quanto i pilastri isolati potevano essere visti in pianta come
la riformulazione del sistema Hennebique. i punti del domino, e come le tasselle del domino la formu-
Questo è un passo in avanti rispetto al sistema precedente, lazione di base poteva essere affiancata e connessa in modi
poichè fa utilizzo della soletta armata per comporre i solai, un assai diversi.
piano armato, andò a definire anche tutte le variabili così da
poter mettere a punto un sistema “prefabbricato”, e quindi
producibile in serie. Per LC questo è un’ideale di bellezza,
dal punto di vista etcio e morale è una costruzione “sana”,
poichè è accessibile a tutti e non ad una cerchia riservata,
sia per saperi che per costi di produzione.
Il cemento armato ha in se la testimonianza di un approccio
tipologico, perchè è l’esito di un progressivo affinamento di
alcuni tipi fondamentali: interpiano utile, campata commisu-
rata alla profondità di una casa unifamiliare, posizionemento
della scala su una campata leggermente più stretta, soletta
piana prefabbricabile di spessore in base alla campata.
Giocando con la parola Dom-Ino come nome industriale bre-
vettato, denotava una casa standardizzata come un domino.

VILLA SCHWOB. LE CORBUSIER, 1916. Il 1916


segnò il culmine della sua carriera giovanile nella città natale.
La Villa Schwob è una sistesi straordinaria di tutto ciò che
egli aveva sperimentato tanto a lungo, caratterizzata in pri-
mo luogo da un’elaborata assimilazione delle potenzialità
spaziali del sistema Hennebique, tale da consentire al suo
autore di sovrapporre a una struttura a telaio elementi sti-
listici.
LC concepì una casa in termini celebrativi, cioè come un pa-
lazzo. Il sistema di campate, alternativamente larghe e stret-
te, nonchè l’organizzazione simmetrica della pianta, diedero
a questa villa una struttura innegabilmente palladiana.
Per la prima volta LC utilizzò dei “tracciati regolatori”,
quell’espediente classico per tenere sotto controllo il siste-
ma proporzionale della facciata, evidente ad esempio nella
disposizione delle finestre secondo la sezione aurea. Negli
anni che seguirono, LC realizzò questo tema della casa pa-
lazzo a due scale diverse, aventi connotazioni socio-cultirali
analoghe ma distinte:
- la prima era quella della villa individuale e isolata;
- la seconda era quella dell’alloggio collettivo, concepito
come un palazzo barocco.
CASE MONOL-PROGETTO. LE CORBUSIER, La fonte di ispirazione è da andare a ricercare a Sakkara in
1919. Un tema sulla residenza a basso costo, facile da Egitto, alla corte di Etzer con finte abitazioni coronate da
realizzare, che non richiedeva l’impiego di maestranze spe- queste volte ribassate.
cializzate, illuminata, spaziosa e areata quanto basta per con-
durre una vita agievole.
Il tallone di achille del cemento rmato sono le carpenterie, e
comunque nella Maison Dom-Ino il trasporto sarebbe stata
la voce con il maggior dispendio di denaro, la soletta ave-
va delle dimensioni e nelle competenze nelle azioni di ca-
rico e scarico molto alte. Quì LC mette a punto il sistema
“Monol”, che è una contrazione del termine monolitico, al
sistema a solette e pilastri sostituisce un sistema a pannelli
in cemento-amianto (eternit) ondulato, utilizzato come cas-
saforma a perdere.
Il 1919 c’è un clima di ristrettezza economica, e cosìLC im-
magina dei pannelli di dimensioni ragionevoli, 1x1,5 m2tri, in
cui colare i detriti dei bombardamenti, il tutto mescolato con
il cemento, realizzando dei pannelli monolitici montabili con
la stessa tecnica dei mattoni, a giunti alternati; la copertura,
poi, utilizza gli stessi fogli di eternit curvati, puntellati al cen-
tro, in doppio foglio su cui viene effettuato un piccolo getto
di calcestruzzo a formare la volta.
MAISON CITROHAN. LE CORBUSIER, 1920.
La Maison Citrohan è un’evoluzione della Maison Dom-Ino,
LC sottolineava che questa casa era concepita quasi come
un’automobile, perfezionata come farebbe un ingegniere
meccanico nella costruzione di una macchina.
In pianta si evince che la struttura resistente è concepita da
due muri portanti, una sola campata, che consentono ampi
margini di libertà al centro e sui fronti stretti, questo sistema
porta cvon sè almeno quattro dei famosi “Cinque Punti”,
che definirà negli anni avvenire: facciata libera, pianta libera,
finestre a nastro e tetto giardino.
Questa casa fa eco alla Casa con un solo muro di Loos del
1919; LC dice: “E’ una scatola in forma di casa”. Ci sono dei
richiami anche alla tipioca casa mediterraneaantica, si guardi
anche la scalinata, o la casa cretese-micenea a “megaron”.
Questa casa conoscerà diverse varianti a dimostrazione del-
la virtualità del tipo di casa. Ma questa è difficilmente utiliz-
zabile se non in zone di sviluppo suburbano.
Il gioco di parole di Citrohan era un gioco di parole sul mar-
chio della famosa industria automobilistica, per indicare che
una casa sarebbe prodotta in serie come un’automobile.
UNE VILLE CONTEMPORAINE-PROGETTO. LE
CORBUSIER, 1922. Ugualmente influenzata dalle città
di grattacieli, basate su piante ortogonali, tipiche degli USA,
e dell’immagine della “corona di città” proposta da Taut, LC
progettò la Ville Contemporaine come un’esclusiva city capi-
talista destinata all’amministrazione e al controllo, dotata di
città-giardino per i lavoratori collocate, insieme all’industria,
oltre la zona di sicurezza rappresentata dalla cintura di verde
posta attorno la città.
La vera e propria città, disposta secondo un disegno che
richiamava un tappeto orientale, consisteva in blocchi resi-
denziali alti da 10 a 20 piani, più ventiquattro torri per uffici di
60 piani nel centro, il tutto circondato da un parco pittoresco
che, come il tradizionale glacis, manteneva la separazione di
classe tra l’elite urbana e il proletariato suburbano. Le stesse
torri cruciformi per uffici - i cosiddetti grattacieli cartesiani -
ricordavano i templi khmer o indiani a gradoni, e in quanto
tali avevano evidentemente lo scopo di sostituire le strutture
religiose della città tradizionale; nella griglia urbana occupa-
vano una superficie proporzionata come una sezione aurea.
La Ville Contemporaine non era meno ideologica della minu-
ziosa organizzazione delle sue zone residenziali, che erano
formate da diversi prototipi di unità residenziali - il blocco
perimeytrale e la formazione articolata a redent - ogniuno
dei quali implicava una diversa concezione della città. Il pri-
mo era ancora legato all’idea di città chiusa, fatta di stra-
de,mentre il secondo presupponeva una città aperta senza
muraglie, cioè la visione di una città densa innalzatasi sulla
superficie di un parco continuo.
Oltre a formire le gioie essenziali del sole e del verde, la
città avrebbe dovuto facilitare il traffico, “una città fatta per
la velocità è una città fatta per il successo”.
IMMEUBLES VILLAS-PROGETTO. LE CORBU-
SIER, 1922. Il contributo più importante e duraturo della
Ville Contemporaine fu costituito dall’Immeuble-Villas, una
versione della Maison Citrohan adattata a fungere da tipo
generale per insediamenti a forte densità sviluppati in al-
tezza. Queste unità, impilate fino a formare sei doppi piani,
comprendevano terrazze-giardino, una per ogni duplex, of-
frendo una soluzione che oggi sembra essere tra le poche
accettabili in un insediamento ad alta densità per famiglie.
Se guardiamo la fascia in corrispondenza dei balconi con il
pieno posto lateralmente abbiamo una riproposizione su più
piani dell’alloggio certosino della Certosa di Ema. Se guar-
diamo nell’insieme ci viene un chiaro riferimento al palazzo
che insiste su un intero isolato. Vi aggiunge anche in som-
mità un ristorante albergo che assicura i pasti e dando l’idea
del tipo di residenza comunitaria dei socialiosti utopisti.
Nei blocchi perimerali questi duplex con terrazza si aprivano
sullo spazio verde rettangolare dotato di attrezzature ricrea-
tive per uso comune. La dotazione secondaria di un supple-
mento di spazio comune all’interno dell’edificio e sul bordo
dell’area, collova questa proposta tra l’immobile borghese
ad appartamenti e l’abitazione collettiva socialista. L’unità
abitativa dell’Immeuble-Villas viene infine elaborata in detta-
glio, e il prototipo diventò il Padiglione dell’Esprit Nouveau.

PLAN VOISIN-PROGETTO. LE CORBUSIER,


1925. Sulla base delle concezioni e gli studi fatti per la
Ville Contemporaine, il Plan Voisin implicava la stessa reto-
rica, l’idea paradossale che l’automobile, dopo aver comple-
tamente distrutto la grande città, poteva essere ora usata
come strumento per salvarla.
MAISON COOK. LE CORBUSIER, 1926. Casa in
cvui metterà a punto i “5 punti per un’architettura nuova”.
Casa di una purezza e di un equilibrio straordinario, misurata
e concepita tutta sul quadrato, gli spessori dei muri diven-
tano minimi.
Nell’interno, zoccolino bianco su parete bianca, parquet, per
commentare e sottolineare il distacco tra parete verticale e
orizzontale, la scala, la doppia altezza.
Inseguito, dopo la villa Cook, realizzerà la Villa Meuer, la Villa
a Garches e la Ville Savoie. Tutte queste case dipendono, dal
punto di vista espressivo, della sintassi dei “cinque punti”:
1. i pilotis, che sollevano il volume dal terreno;
2. la pianta libera, ottenuta grazie alla separazione dei pila-
stri portanti dai muri che suddividono lo spazio;
3. la facciata libera, il corollario della pianta libera in senso
verticale;
4. la finestra a nastro;
5. il tetto-giardino, che aveva presumibilmente lo scopo di
recuperare la porzione di terreno coperto dalla casa.

QUARTIERE FRUGES. LE CORBUSIER, 1926.


Per Voisin progetta un nuovo quartiere con case a basso
costo, case molto astratte, scatolari, nitide. Queste case
hanno già i 5 punti.
Quì convergono tutte le esperienze fatte in precedenza, eli-
minando il piano terra infatti viene fuori la Maison Citrohan,
addirittura vi pone un frammento della scala esterna, un
“progressivo affinamento del tipo”, per LC la casa di abita-
zione non è ne più ne meno che un oggetto tipo, uno stru-
mento meccanico. In più rispetto al passato è presente l’uso
purista del colore, dice che il colore gli serve per accentuare
il distacco tra una casa e un’altra.
SEDE DELLA SOCIETA’ DELLE NAZIONI UNI-
TE-PROGETTO. LE CORBUSIER, 1927. LC e suo
cugino, elaborano per la prima volta, un progetto per una
struttura pubblica di grandi dimensioni. Le richieste del ban-
do prevedevano due edifici, uno per il segretariato e uno
per l’assemblea, e questo dualismo programmatico indusse
gli architetti ad un approccio “elementarista” al progetto,
consistente nello stabilire prima gli elementi costitutivi e nel
manipolarli, al fine di generare un certo numero di soluzioni
alternative.
L’organizzazione asimmetrica infine adottata lascia intuire un
conflitto tra la logica circolatoria della soluzione simmetrica
e una predilezione di un approccio assiale della facciata di
rappresentanza dell’edificio principale.
Il progetto segna il culmine che la crisi della carriera del giva-
nile di LC: un momento di consensi smentito dalla sua elimi-
nazione, motivata (se dobbiamo credergli) dal fatto che non
si era valso di un adeguato mezzo grafico per la rappresen-
tazione della sua proposta. Questo progetto rappresenterà il
culmine del suo periodo purista.
LE QUATTRO COMPOSIZIONI. LE CORBU- 4. La Ville Savoie, è una sintesi della II° con la III°, riunisce
SIER, 1927. Tavola esemplificativa, schizzata dallo stes- i caratteri monumentali della villa a Garches (campata stret-
so LC intitolata “Le 4 composizioni”, che riproducono l’ap- ta-larga), riusìnisce tutti gli episodi all’interno di un involucro
proccio che Le Corbusier aveva in merito al tema della casa quasi bloccato, però all’interno di Ville Savoie riesce a risol-
unifamiliare isolata. versi gli stessi di libertà che caratterizzano La_Roche.
1. La Maison La-Roche, scrive Le Corbusier: “Genere piut-
tosto facile, pittoresco e movimentato.”, e nella sua dispo- Ciò che Le Corbsier cerca di costruire attraverso i suoi punti
sizione ad L richiama la Red House di Webb, facile perchè è un mondo compiuto, finito, un sistema fondato su “veri-
consente una ragionevole distribuzione agli ambienti interni tà ineccepibile”. Ma è sintomatico che le sue architetture
senza i vincoli imposti dai principi di ordine simmetrico e migliori dello stesso periodo contengano tutte qualcosa di
purezza di forma/volume. meno - e in alcuni casi qualcosa di più - dei 5 punti.
2. La Villa a Garches, molto difficile, perchè deve creare in
un volume puro la diverificazione degli spazi interni, gli am-
biti, e nello stesso tempo garantire una perfetta funzionalità
ed efficacia dell’uso quotidiano degli spazi.
3. Casa alla Weissenhofsiedlung di Stoccarda, era un tenta-
tivo di riconciliare la prima con la seconda, se noi eliminassi-
mo quell’area campita a linee diagonali esce fuori un piano
pilotis, che richiama la Maison Dom-Ino, in realtà questo tipo
è da interpretarsi come una sintesi della Dom-Ino con La-Ro-
che.

Con queste quattro composizioni Le Corbusier illustra l’abbandon


VILLA STEIN A GARCHES. LE CORBUSIER,
1927. Imprevistio bracci diagonali sono impiegati per ag-
ganciare la facciata principale all’ossatura verticale; pensi-
line a sbalzo e balconi fuoriescono prepotentemente dalla
stessa facciata; una poderosa rampa di scale sfonda dall’e-
sterno il prospetto sul retro, dando accesso ad una terrazza
parzialmente coperta posizionata al primo piano; un locale di
servizio sul tetto-giardino che assume la forma di fumaioli di
una nave.
Cos’ la griglia ordinata di pilastri portanti non determina al-
cuna regolarità nè alcuna monotona ripetizione degli sopazi
ai diversi piani, bensì una continua variazione nella loro di-
sposizione: vera e propria esplosione del “plan libre” - piano
libero - che si propaga anche in diagonale e in curva. E’ la
medesima emancipazione che rende le facciate completa-
mente diverse tra di loro.
Le Corbusier in pianta e in alzato adotta “tracciati regolato-
ri” basati sulla feometria del triangolo e della sezione aurea:
espedienti proporzionali provenienti da lontano e sperimen-
tati a lungo nel tempo, in grado di conferire all’edificio ordine
matematico e una bellezza derivante dalla “certezza di esse-
re arrivato alla cosa esatta”.
VILLE SAVOIE. LE CORBUSIER, 1929-33. Le
quattro facciate sono tutte incatenate nella finestra a nastro,
una rampa continua (promenade architectural) attraversa gli
spazi ai diversi livelli, enigmatici volumi curvilinei si installano
nel tetto-giardino.
Tutte queste infrazioni non dimostrano altro che l’interpreta-
bilità della regola, ovvero di quanto poco l’architettura nuova
dipenda da essa, e di quanto invece si basi sulla capacità
compositiva e inventiva difficilmente sottomettibile ad un
canone.
Il quadrato magico dei pilotis è generatore di eventi molte-
plici:
- la sospensione del corpo di fabbrica, la cui bianche e quasi
navali fiancate sono tagliate longitudinalmente da una fine-
stra continua, una specie di “feritoia panoptica”;
- o svuotamento del piano terra, ridotto ad un nucleo vetrato
dalle pareti curvate, calcolate in base al raggio di sterzata
della macchine parcheggiate in garage;
- il riversarsi l’uno nell’altro del soggiorno e del terrazzo-giar-
dino, assimilazione alla dimensione sociale dell’eternità della
natura sottratta al terreno.
PLAN OBUS. LE CORBUSIER, 1930. Un altret-
tanto surreale balletto meccanico viene proposto da Le
Corbusier a scala urbana, come soluzione per i problemi di
circolazione e per la carenza di alloggi che affliggono molte
metropoli in diversi luoghi del mondo. Se una lucida analisi
razionale ne è il presupposto, la visionareità a cui si ispira
finisce spesso per dar luogo ad un “delirio della ragione”.
Le proposte formulate per le città sudamericane - San Pa-
olo, Rio de Janerio, Montevideo -così come per Alge-
ri, ruotano intorno alla creazione di terreni artificiali abitati,
organizzati come edifici-dighe o edifici-viadotti: gigantesche
infrastrutture lineari all’interno delle quali le cellule abitative
si inseriscono come elementi liberi, spostabili e sostituibili,
e suscettibili addirittura ad autocostruzione con i gusti dei
diversi abitanti, e sopra le loro chilometriche coperture piane
si diramano le strade a scorrimento veloce.
L’ineluttabilità della proposta si sposa con il suo totale disin-
teresse nei confronti del tessuto urbano preesistente e di
ogni logica attuativa. L’elementarietà del gesto con cui Le
Corbusier sovrappone alla città i suoi macrosegni architet-
tonici - assi rettilinei incrociati fra loro, come a San Paolo,
o curvilinei che seguono la linea costiera, come a Rio o ad
Algeri) denuncia un approccio all’urbanistica che tende a ri-
solversi da un punto di vista zenitale.
Ciò risulta in particolar modo dal rapporto che il Plan Obus
istituisce con la casbah, scavalcata da un’imponente viadot-
to, e tuttavia schiacciata dalla sua inquietante presenza; o
dalla perfetta gratuiticità del calligramma arabo composto
dalle stecche residenziali variamente orientate sulle colline,
a forma di scrittura araba, decifrabile soltanto da chi avesse
sorvolato la città in aereo.
MUNDANEUM. LE CORBUSIER, 1929. Con que-
sto progetto subirà degli attacchi feroci dalla critica naziona-
le, alcuni lo accuseranno di aver intrapreso una strada che
occhieggia al totalitarismo che sta imperversando in tutta
Europa. Ciò sarebbe evidente nell’utilizzo di questa forma a
chiocciola, che lui utilizza per il museo, come se fosse una
ripresa delle zigurrat.
Il museo è collocato all’interno di un’area conformata secon-
do i rapporti tipici del rettangolo aureo, sequenza di forme e
costruzioni tutte asservite ad un unico asse.

MAISON ERRAZURIZ. LE CORBUSIER, 1930.


Le case di questo periodo, come questa, mostrano un’atten-
zione per le tecnologie povere che non aveva mai manifesta-
to prima, ora si misura con queste proposte.
Muratura in pietra montata in modo apparentemente casua-
le, orizzontamenti affidati a travature lignee appena sbozza-
te, pilotis sostituiti da alti tronchi anch’essi appena sbozzati
pavimenti che ripetono la texture della muratura di soste-
gno, inytonaco a calce.

CITE’ DE REFUGE. LE CORBUSIER, 1929-33. costringeranno Le Corbusier ad aprire in facciata “finestre


Realizzata a Parigi per l’esercito della Salvezza. illusorie” assolutamenteconcrete.
Una lunga stecca alta una decina di piani, gli ultimi due dei
quali scomposti in un gioco volumetrico orientato sulla dia-
gonale, e un corpo antistante più basso, costituito da uyna
successione di forme geometriche: il cubo del portico d’in-
gresso, il doppio rettangolo della passerella e della pensilina,
il cilindro del vestibolo, il parallelepipedo della hall centrale e
della sala riunioni.
Ciò che Le Corbusier rivendica per la costruzione è un prima-
to tecnologico: “primo edificio abitativo interamente ermeti-
co”, che dietro i mile metri quadri del pan de verre che rive-
stono la faciata in cui sono ospitate le camere dell’ostello, è
dotato di un sistema di ventilazione forzata; “air vivant” - aria
vivente - capace di dare all’intero edificio una respirazione
esatta.
Il senso comunitario creato dall’istituzione filantropica dell’E-
sercito della Salvezza si salda così con l’ideale di autosuffi-
cienza del falansterio aggiornato in chiave moderna. Vi erano
una serie di servizi a supporto per la prima infanzia, come
asili e ambulatori; le ali erano separate nettamente per diffe-
renziare l’ala maschile da quella femminile. Spazi legati alle
attività manuali, per il recupero e il reinserimento nella so-
cietà degli individui ospitati nella costruzione.
Il piano di vetro, però, dal punto di vista termico dell’isola-
mento è pari a zero e al sopraggiungere della calura l’edificio
diventa una trappola più che un rifugio; le autorità parigine
PADIGLIONE SVZZERO ALLA CITTA’ UNIVER-
SITARIA. LE CORBUSIER, 1930. Sempre sull’idea
di “pan de verre”, oppone un fronte continuo su robusti set-
ti di calcestruzzo, che con il platò che serve a sorreggere
ed impostare un’ossatura più minuta, c’è un’idea di com-
mistione tipologico-strutturale completamente diverse tra di
loro; un fronte secondario più articolato, due modi diversi di
intendere la facciata in relazione all’uso, da un lato l’ermeti-
cità, dall’altro le aperture in base ai corridoi.
Sono gli anni in cui sostituisce alle forme puriste una figu-
ratività delle forme, inizia ad emergere la figura umana, c’è
una certa morbidezza delle forme, linee curve e questo stile
che affiora dalla pittura si ritrova anche nella composizione
delle piante.
VILLE REDIEUSE. LE CORBUSIER, 1930. Con Sopraelevando ogni cosa su pilotis, la superficie del terreno
questo progetto assistiamo ad un cambio di rotta, se gli anni sarebbe diventata un parco continuo, nel quale il pedone era
20 possiamo riferirli ad alcuni progetti chiave che testimo- libero di vagabondare a piacere.
niano un percorso; gli anni 30 intraprende un percorso diver-
so, forse guardando il clima politico che si sta instaurando in
Europa, l’autolitarismo sta decretando il corso della storia, e
di fronte a tutti questi scenari Le Corbusier si rende conto
che tutte le speranze che aveva riposto in un futuro dettato
dal progresso legato all’industria e da una democrazia veri-
ficata dalla produzione industriale, in realtà quelle speranze
sono tradite e corregge un pò la sua opera, e non meno si
allontanerà sempre più dall’ideale che lo aveva spinto negli
anni 20.
Uno degli episodi più importanti della sua carriera e che rap-
presenta una presa di distanza dalla proposta precedente
della Villa Contemporanea. Quì vediamo una successione
di episodi tipo-morfologici diversi, per facse parallele; una
maglia viaria che è ancora quella della Villa Contemporanea,
cioè una maglia a schacchiera su cui è sovrapposta una ma-
glia ad ampiezza maggiore inclinata a 45° e due grandi assi
disposti in croce, colloca però questa volta entro margini
indefiniri, cosa che invece per la Villa Contemporanea era
espresso in modo netto.
Quì vediamo in basso l’industria pesante, poi subito sopra
l’industria leggera, una fascia residenziale che adotta la for-
ma a Redan, un centro egli affari e due città satelliti (es. la
città degli studi ela città del governo).
La Ville Radieuse, per Le Corbusier, è una città che si arti-
cola per zone in base alla destinazione d’uso, ma che si può
espandere orizzontalmente a seconda della necessità, le fa-
sce aumentano in orizzontale al crescere della popolazione.
Quì riprende diversi tipi edilizi, ma butta il blocco dell’Immeu-
ble Villa, in un disegno urbano di questo tipo l’Immeuble Villa
non avrebbe motivo di esistere perchè c’è un’indipendenza
del disegno del tessuto viario rispetto alle tipologie abitative,
nelle città storiche c’è sempre stato uno stretto rapporto
tra pieno e vuoto, quì invece non c’è più, perchè avendo
adottato la struttura a pilotis e alzando gli edifici da terra gli
consente di articolare le forme degli edifici in modo del tutto
indipendente dalla forma delle strade. La strada assume una
forma così regolare, rispetto alla residenza che è molto più
irregolare, per dare una spinta alla “Velocità”, un pò come la
Città Nuova di Sant’Elia, massimizzare l’efficenza dei colle-
gamenti, una città veloce è una città che funziona.
L’unità della Ville Radieuse era un appartamento flessibile,
ad un solo piano, di varia estensione, più economico, in ter-
mini di spazio, di quanto non lo fosse il duplex con sezione
a doppia altezza. L’unità della Ville Radieuse valorizzava ogni
centimetro quadrato di spazio disponibile, e le sue pareti
divisorie erano talmente ridotte in spessore da diventare
inadeguate come barriere di protezione acustica. I nuclei di
servizio, cioè le cucine e i bagni erano ridotti al minimo; inol-
tre ogni appartamento era passibile di un certo grado di tra-
sformazione nell’utilizzazione diurna e notturna, grazie allo
spostamento di tramezzi scorevoli. Una volta chiusi, questi
elementi suddividevano lo spazio in stanze da letto, mentre,
quando venivano aperti, essi offrivano un’area per il gioco
dei bambini in ciìontinuità con il soggiorno.
Insieme all’introduzione mper il condizionamento dell’aria e
di facciate sigillate, costituiva chiaramente un tentativo di
fornire le attrezzature tipo di una civiltà della macchina.La
Ville Radieuse portò il concetto di città aperta alla sua logi-
ca conclusione: una sezione trasversale tipo dell’intera città
mostrava tutte le costruzioni nettamente sopraelevate ri-
spetto al terreno, compresi i garages e le strade di accesso.
HABITATION A LA PORTE MOLITOR. LE COR-
BUSIER, 1933. Con la facciata modulare in vetro e ac-
ciaio, il pan de verre, applicata egli intendeva dare una di-
mostrazione dell’estetica dell’epoca della macchina. Questa
operazione rappresentava una rottura rispetto al telaio in cal-
cestruzzo e alla muratura in blocchi di cemento intonacato,
usati nelle ville degli anni venti.
Questa apoteosi dell’estetica ingegnieristica paradossal-
mente si verificò proprio nel momento in cui Le Corbusier
stava perdendo la sua fiducia nell’inevitabile trionfo dell’epo-
ca della macchina.
MAISON DE WEEKEND. LE CORBUSIER, 1935.
Muratura portante in pietra, un nucleo centrale portante dove
colloca il camino, che è un pò il nucleo della composizione,
ed intorno a questo nucleo gli ambienti, non stanze chiuse, il
tutto coperto da una volta in calcestruzzo ribassata ricoperta
dal prato, che servivca anche come isolamento termico.
Casa progettata su uno studio di una semplice sezione tra-
sversale che lui ripete per tre campate, riprendendo in que-
sta la forma della casa mediterranea.

PIANO PER ZLIN. LE CORBUSIER, 1935. La co nucleo, disponendo su un lato, dove la morfologia del sito
concezione dell’Unitè d’Abitation, sparsa nel verde, inizia a presentava una notevole acclività, tante unità di abitazione
prendere corpo proprio in questi poìiano. Il progetto gli viene disposte in ordine sparsxo sulle pendici delle colline; e al di
commissionato dall’industriale che poi fonderà la fabbrica di quà della ferrovia degli insediamenti per la nuova industria e
scarpe Bata, concepire un piano per un nuovo insediamento i villaggi operai.
compreso tra l’antico nucleo medioevale e un aeroporto da Del piano non se ne farà nulla, ma l’idea alla base di questo
collocare su un altopiano a diversi chilometri di distanza. piano, di un complesso di edifici aventi tutti le stesse carat-
Le Corbusier sviluppa questa proposta concependo un’asse teristiche architettoniche, strutturali, formali e distributive,
veicolare e ferroviario di collegamento tra aeroporto ed anti- avrà grande successo nelle periferie di tutta Europa.
PADIGLIONE DEI TEMPI NUOVI. LE CORBU-
SIER, 1937. Progetto, che per certi versi rivoluzionario,
utilizzava una struttura resistente affidata a piloni in forma di
travi reticolari montate in verticale, una serie di tiranti me-
tallici che sostengono un involucro in tela, sostanzialmente
una tenda, che viene ispirata alle tende dei beduini nel Ma-
greb, che lui aveva visitato.
Una realizzazione apparentemente banale, un sistema di ti-
ranti e la chiusura dell’involucro telato, soprattutto sugli spi-
goli, è debitore ad alcune soluzioni prese in prestito dall’are-
onautica, per sopportare la tenuta al vento e all’acqua; e lo
stesso la tensione data ai cavi e l’inclinazione è frutto di un
attento calcolo.
Padiglione che verrà montato in pochissimi giorni, volumi
interni posizionati liberamente, questa è l’ultima opera della
face pre bellica di Le Corbusier.
LUDWING MIES VAN DER RHOE_pt 1
Mi fu allora chiaro che no era compito dell’architettura 3. il Suprematismo di Kasimir Malevich.
quello di inventare le forme. Cercai di capire quale fosse Mentre l’estetica wrightiana poteva essere facilmente as-
allora il suo compito. Provammo un grande piacere nel sorbita in accordo con i livelli più alti della pratica europea
trovare una definizione nel vero in San Tommaso d’Aqui- della costruzione in muratura, il Suprematismo ebbe l’ef-
no: “La verità è l’espressione della realtà”. fetto di incoraggiare Mies a sviluppare la pianta libera. Una
Berlage era un uomo di grande serietà che non avrebbe lenta sensibilità espressionista si può ancora intravvedere
mai accettato alcuna cosa falsa e fu proprio lui a dire che nell’Esposizione della Weissenhofsiedlung del Werkbund.
niente dovrebbe essere realizzato che non sia costruito Il culmine della prima parte della carriera di Mies si ebbe con
con chiarezza, Berlage fece esattamente questo, e lo tre capolavori, che egli progettò in sequenza: il Padiglione
fece a tale livello che il suo edificio della Borsa ad Amster- della Germania all’Esposizione mondiale di Barcellona del
dam aveva un carattere medioevale senza essere medio- 1929, la casa Tugendhat a Brno del 1930 e la casa Model-
evale. L’idea di una costruzione chiara mi venne in mente lo realizzata per la Mostra della Costruzione di Berlino del
da li, come uno dei fondamenti che dobbiamo accettare. 1931. In tutte e tre queste opere una organizzazione spazia-
Parlare di questo è facile, ma realizzarlo è difficile. le centrifuga in senso orizzontale era suddivisa e articolata
da piani e pilastri liberi. Sebbene questa estetica fosse so-
Mies van der Rohe stanzialmente wrightiana, i muri portanti della casa in cam-
pagna in mattoni di Mies erano disposti a girandola come
All’età di quattordici anni entrò nella bottega di scalpellino di gli elementi a grappolo del dipinto di Van Doesburg, Ritmi di
suo padre e nel 1905 lasciò la città natale di Aachen alla volta una danza russa.
di Berlino. Seguì un periodo di apprendistato nello studio di L’idealismo di Mies, e la sua naturale affinità con il Classici-
Bruno Paul, un noto disegnatore di mobili, prima di avven- smo romanico tedesco, servirono chiaramente ad allonta-
turarsi brevemente a lavorare da solo, nel 1907, costruendo narlo dall’approccio alla produzione di massa che caratteriz-
la sua prima casa in una misurata maniera inglese, la Casa zava la Neue Sachlickeit. Questo interesse neoclassico per
Riehl. L’anno seguente si associà a Peter Behrens il cui stu- il valore spirituale sembra che abbia portato direttamente
dio iniziava a sviluppare uno stile complessivo per la società alla idealizzata monumentalità della proposta di Mies per la
elettrica AEG. Reichsbank, l’Elementarismo-Suprematismo che gli aveva
Durante i tre anni trascorsi nello studio di Behrens, Mies ispirato la sua versione della pianta libera, ora apriva il via ad
venne a conoscenza della tradizione delli Schinkelschuler, una impassibile monumentalità.
la Bauakademie di Schinkel a Berlino, un edificio rivestito a Questa sensibilità suprematista doveva restare repressa
mattoni, con il suo trattamento di particolari simile a quello nell’opera di Mies fino al 1939, quando, dopo essere emi-
di un magazzino, fu più tardi paragonato da Mies all’artico- grato negli USA, essa riapparve provvisoriamente nei primi
lata costruzione di Berlage. Una volta lasciato lo studio di schizzi per il campus dell’IIT di Chicago.
Behrens aprì il proprio studio iniziando con la Casa Perls;
questa fu la prima di una serie di cinque case in stile neo-
schinkeliano progettate da Mies nel periodo anteriore allo
scoppio della prima guerra mondiale. Nel 1912 prese il posto
di Behrens come architetto della signora Kroller, che desi-
derava costruire una galleria e una casa a L’Aja per ospitare
la famosa collezione Kroller-Muller. Lo stesso anno vide alla
luce il suo Monumento a Bismarck, alla maniera di Boullè,
che doveva essere l’ultimo progetto significativo del periodo
pre-bellico della sua carriera.
Nel 1919 prese a dirigere la sezione architettonica del No-
vembergruppe, di orientamento radicale. L’appartenenza a
questo gruppo lo portò in contatto con la Catena di Vetro di
Taut, e non vi è dubbio che il primo progetto di grattacielo
del 1920 fosse elaborato in risposta alla Glalarckitektur di
Paul Scheerbart. Lo stesso tema del grattacielo sfaccettato
in cristallo si ripresenta nel suo progetto per il concorso della
Friedrichstrasse, e la pubblicazione di entrambi questi pro-
getti riconferma la sua adesione all’Espressionismo. In que-
sto momento l’intenzione di Mies era quella di interpretare
il vetro come una complessa superficie riflettente, costante-
mente soggetta e trasformazioni sotto l’impatto della luce.
In questo contesto è significativo il confronto del progetto di
Mies con quello diHugo Haring.
Il cosidetto periodo G di Mies iniziò nel 1923 con la sua par-
tecipazione al primo numero della rivista G.
L’attività di Mies successiva al 1923 presenta tre principali
influenze:
1. la tradizione dell’architettura in mattoni di Berlage;
2. l’opera del periodo prebellico di Wright, un’influenza rico-
noscibile nei profili orizzontali;
CASA RIEHL. L. MIES VAN DER ROHE, 1907. un’altra simmetria sulla testata verso la vallata, che poi fini-
Esordisce a 23 anni con questa casa, nonostante l’ampia sce con essere il vero fronte della casa. Questa ambivalenza
possibilità di trovare architetti affermati il signor Riehl decide dei i fronti e delle soluzioni è un tratto distintivo di questo
di affidare a Mies il progetto della sua villa. edificio, ma lo sraà anche in tanti altri di Mies.
Dalla strada il terreno inizia a scendere, Mies colloca l’edifi- Il prospetto che da sulla vallata, dal punto di vista costitutivo,
cio su di un piano terrazzato. La casa si articola in tre campa- è straordinario, quì il terrazzamento sembra essere trattato
te di dimensioni diverse e tendenzialmente simmetriche e come un podio delle architetture greche, che offre sia un
compare un carattere che poi si troverà in molte sue opere terreno artificiale alla casa sia la possibilità di ampliare il fron-
successive, intanto la duplice simmetria fa si che non ci sia te e fa si che quella che fosse stata una banalissima testata,
un’unico asse a cui asservire sia il disegno della distribu- venisse assimilata allo zoccolo e sottolineando il punto di at-
zione interna sia il disegno delle facciate; la casa presenta tacco, la trasforma quasi fosse un tempio tetrastilo con una
una simmetria apparente sul lato dell’ingresso principale e loggia aperta sul paesaggio. Da qui noi cogliamo il metodo di
Mies che si basa su una apparente riduzione degli elementi
in gioco, ma con un controllo geniale dando luogo a delle
composizioni inedite.
Gli interni, con quelle quadrettature, ricordano un pò gli
esperimenti che fanno i viennesi, visibili in tutta Europa at-
traverso le riviste; interessante è il trattamento della bua-
serie con le armadiature e le porte che riportano le stesse
quadrettature, trattando in modo uniforme l’intera stanza e
facendo così risaltare il volume.

CASA PERLS. L. MIES VAN DER ROHE, 1907.


Dopo che intraprende a lavorare nello studio di Behrens,
Mies progetterà delle ville che hanno in se un latente clas-
sicismo riconducibile a quello Schinckeliano e dall’altro lato
una predilezione per gli impianti asimmetrici, per la distribu-
zione centrifuga in pianta e l’articolazione degli spazi inter-
ni secondo piani disposti a girandola, assi paralleli traslati e
sfalzati, che riprendono in parte alcuni aspetti delle Prairie
House di Wright; due aspetti apparentemente incompati-
bili che Mies riesce a coniugare, da un lato la perizia della
costruzione in muratura più evoluta e dall’altro l’astrattismo
della forma.
MONUMENTO A BISMARK. L. MIES VAN DER
ROHE, 1912. Associazione con Schinckel e l’Acropoli
di Atene. La Sthoà che si affaccia sulla vallata, il muro di
contenimento e il tempio rotondo, tutti richiami all’antichità
classica, e qualcuno ha anche associato questo progetto ad
alcune ascendenze di Boullè.

VILLA KROLLER-MULLER. L. MIES VAN DER


ROHE, 1913. Villa mai realizzata, per la contessa.
Già in questa villa iniziamo ad intravedere gli elementi tipici
della produzione matura:
- volumi bassi e dilatati secondo il piano orizzontale, vedi
Wright;
- una distribuzione dei volumi centrifuga;
- disposizione su pendii e ricorre a bassi terrazzamenti e a
giardini aperti sul paesaggio;
- copertura piana e aggettante generosamente oltre gli in-
volucri di chiusura, come se fossero proprio dei piani agget-
tanti.
CASA A MATTONI. L. MIES VAN DER ROHE,
1923. Costruzione in mattoni che convive con l’astratti-
smo dell forma.
Di classico in questa pianta ricompare la platea, i setti sono
trattati come piani liberi o conformati ad L, ma comunque
non chiudono mai e che testimoniano questa tendenza ad
una distribuzione centrifuga delle partizioni verticali, a partire
da una griglia regolarissima; vi è una parziale e provvisoria
delimitazione di ambiti, poichè non si può parlare di stanze,
e dè la sua personale interpretazione della pianta libera. Pri-
mo tentativo di coniugare una tradizione, che ha inizio con
Schinckel, e la pianta libera che gli deriva da una lettura at-
tenta della produzione pittorica suprematista.
GRATTACIELO SULLA FRIEDRICHSTRASSE.
L. MIES VAN DER ROHE, 1920-22. Nel progetto
per il grattacielo della Stazione Friedrich a Berlino, per cui
era a disposizione una piazza rettangolare, mi sembrò che
la soluzione giusta fosse costituita da una forma prismati-
ca che si conformasse alla forma triangolare della piazza,
e diedi una leggera angolazione alle singole superfici fron-
tali in modo da scongiurare il pericolo di un effetto spento,
che spesso si verifica nelle realizzazioni in cui il vetro occupa
grandi superfici.
I miei studi su un modellino in vetro mi mostrano la via, e
ben presto mi accorsi che con il vetro non si tratta di creare
effetti di luci ed ombre, bensì un ricco gioco di riflessi lumi-
nosi.
Questo è ciò in cui tendevo nell’altro progetto pubblico. a
un’osservazione superficiale in contorno della pianta può
sembrare arbitrario, eppure è il risultato di molte ricerche
effettuate sul plastico di vetro. Per la linea curva sono stati
determinati l’illuminazione dell’interno dell’edificio, l’effetto
della massa costruttiva nell’ambito della strada e, infine, il
gioco dei riflessi di luce. La pianta, in cui le curve erano state
calcolate sulla luce e sulle ombre, si dimostrarono sul plasti-
co del tutto inadatte all’utilizzazione del vetro.
In questo contesto è significativo il confronto del progetto
di concorso di Mies con quello di Haring. Mentre l’uno è
triangolare, ondulato e convesso, l’altro è pure triangolare,
ma sfaccettato e concavo; quanto al resto, le due soluzioni
presentano una confrontabile espressività, una coincidenza
che, in parte, può essere spiegata dal fatto che Haring divi-
deva uno studio con Mies all’inizio degli anni venti.
PROGETTO DI UN EDIFICIO PER UFFICI IN L’edificio per uffici è una casa di lavoro di organizzazione, di
CEMENTO ARMATO. L. MIES VAN DER ROHE, chiarezza, di economia. Locali di lavoro luminosi, spaziosi,
1923. L’ edificio per uffici a sette piani, che Mies presentò facili da sorvegliare, non divisi, eccetto il caso in cui il lavoro
nel primo numero di G, batteva una strada diversa, dal mo- stesso sia diviso. Il massimo risultato con la minima spesa.
mento che, in questo caso, il principale materiale espressivo I materiali sono il cemento, il ferroe il vetro.
non era il vetro ma il cemento, trattato sotto forma di “vas- Nonostante questa difesa obbiettiva di un’architettura “pel-
soi” a sbalzo su una struttura in cemento armato. Come le e ossa”, nel progetto è ancora visibile una traccia della
nel Larkin Building le parti verticali di questi “vassoi” erano tradizione accademica nell’ampliamento delle campate ter-
sufficentemente alte per ospitare gli armadi degli archivi di minali, per dare maggior forza agli angoli dell’edificio.
dimensioni standard inseriti a muro e disposti al di sotto di
una striscia di vetratura alta e arretrata.

CASA WOLF. L. MIES VAN DER ROHE, 1926.


La prima casa in cui Mies riesce a coniugare la costruzio-
ne in muratura e la pianta libera, dove in realtà compaiono
ancora deegli spazi compartimentati, all’esterno però sono
evidenti i suoi intendimenti.
PIANO GENERALE E UNITA’ D’ABITAZIONE Della sua soluzione, Mies scrive nel 1927:
IN LINEA AL WEISSENHOF DI STOCCARDA.
L. MIES VAN DER ROHE, 1927. Una atente sen- “Al giorno d’oggi il fattore economico rende obbligatoria la
sibilità espressionista si può ancora intravvedere nell’Espo- razionalizzazione e la standardizzazione nella residenza di af-
sizione della Weissenhofsiedlung del Deutsche Werkbund. fitto. La crescente complessità delle nostre esigenze richie-
Dallo schema generale, Mies suddivise il terreno in appez- de flessibilità, in futuro si dovrà fare i conti con entrambi gli
zamenti rettilinei, nei quali furono costruite autonomamente aspetti.
diverse case da esposizione su progetti dei vari architetti A questo fine la struttura a scheletro è il sistema costruttivo
appartenenti al Werkbund. più adatto. Esso infatti rende possibile l’impiego di meto-
La Weissenhofsiedlung divenne la prima manifestazione in- di costruttivi razionalizzati e consente la libera suddivisione
ternazionale di quel modo di costruire che si basava sull’uso degli interni. Se consideriamo le cucine e i bagni come un
di intonaci bianchi - per la prima volta sperimentato da Le nucleo fisso, a causa delle tubature, allora tutto il resto dello
Corbusier nella casa Cook - di forme prismatiche e di tetti spazio deve essere passabile di partizioni grazie all’impiego
piani, e che doveva essere identificato, nel 1932, con l’Inter- di tramezzi mobili. Questo dovrebbe soddisfare, a mio avvi-
national Style. so, tutte le normali esigenze.”
Il contributo di Mies all’esposizione era costituito da una
casa ad appartamenti che egli progettò come armatura cen-
trale dello schema complessivo. Questa costruzione a cin-
que piani era, in linea generale, simile al blocco standard a
Zeilenbau - edificio basso costruito nelle periferie americane
ed europee - che si andava sviluppando in quel periodo, ma
si differenziava dalla tipica lamella di case a schiera per la
facilità con cui si poteva adattare ad una grande varietà di
appartamenti, differenti per forma e dimensione.
PADIGLIONE TEDESCO ALL’ESPOSIZIONE
MONDIALE DI BARCELLONA. L. MIES VAN
DER ROHE, 1929. Nonostante le affinità classiche della
sua griglia regolare a otto pilastri, il padiglione era innega-
bilmente una composizione suprematista-elementarista - si
veda Pianeti futuri per gli abitanti della terra di Malevich del
1924.
Tranne pochissimi elementi di arredo, esso non contiene
null’altro che lo spazio vuoto, delimitato da discontinui dia-
grammi. Intorno a questo vuoto apparente il Padiglione si
avvolge e si svolge senza tregua, senza meta, affermando
così nella maniera più tangibile la sfuggente tematica del-
lo spazio espositivo temporaneo. Rialzato di alcuni gradini,
un allungato piano di travertino orizzontale fa da stilobate al
templum che vi si erge al di sopra; l’ingresso non è posto
brutalmente perpendicolare alla strada, ma lo spettatore,
con lo zoccolo e le scale, lo coglie nella sua interezza.
Le articolazioni del suo volume erano ottenute mediante
letture illusorie della superficie, quale ad esempio quella re-
alizzata grazie a schermi di vetro colorato verde, impiegati
in modo tale da risultare gli equivalenti speculari dei piani
principali di chiusura. Questi piani, rivestiti in marmo verde
lucidato, riflettevano a loro volta la sommità degli infissi ver-
ticali cromati che sostenevano il vetro.
Un effetto analogo, in termini di tessitura e di colore, era
ottenuto grazie al contrasto fra il piano del nucleo interno
in onice lucidato (l’equuivalente del nucleo del camino che
Wright sistemava in posizione centrale) e la lunga parete
in travertino, che fiancheggiava la terrazza principale con la
sua grande piscina riflettente. Qui la superficie increspata
dall’acqua circondata dal travertino e agitata dal vento, de-
formava l’immagine speculare dell’edificio.
In contrasto con tutto ciò, lo spazio interno del padiglione,
articolato da colonne e montanti, terminava in una corte rac-
chiusa, che conteneva una piscina riflettente rivestita di ve-
tro nero.Al di sopra vi era la forma e l’immagine cristallizzata
della Danzatrice (o l’Alba) di Georg Kolbe.
Nonostante tutti questi delicati contrasti estetici, l’edificio
era strutturato con grande semplicità attorno ad otto pilastri
cruciformi, liberamente disposti, che sostenevano il tetto
piano. La regolarità della struttura e la solidità del suo basa-
mento in travertino opaco evocano la tradizione degli Schin-
kelschuler, alla quale Mies doveva ritornare.
Il Padiglione di Barcellona costituì l’occasione per la crea-
zione di un pezzo classico di arredo, e cioè la cosiddetta
“seggiola Barcellona”. La sedia con la sua struttura in ac-
ciaio cromato saldato e il suo rivestimento in pelle di vitello
trapuntato di bottoni, era integrata all’interno della progetta-
zione del padiglione.
CASA TUGENDHAT. L. MIES VAN DER ROHE,
1930. La casa Tugendhat è costruita su un terreno in for-
te pendenza che domina la città di Brno, adattava la conce-
zione spaziale del Padiglione di Barcellona ad un program-
ma funzionale residenziale. Si può considerare anche che
quest’opera come un tentativo di integrare un progetto a
strati, per compartimenti della Robie House di Wright - dove
il blocco di servizio si trova al di sotto del volume principale
di soggiorno - e la tipica forma a loggia della villa italianeg-
giante di Schinkel.
In ogni caso, la pianta libera era quì riservata esclusivamen-
te al volume ad andamento orizzontale del soggiorno, che
ancora una volta era articolato da pilastri cruciformi cromati,
si apriva, nella sua dimensione longitudinale, su una vista pa-
noramica della città, e sul lato breve, verso una serra rivesti-
ta da grandi lastre di cristallo. Mentre l’abbassamento mec-
cnico della lunga parete di vetro trasformava l’intera area del
soggiorno in un belvedere, la serra agiva come un elemento
di risalto naturale all’interno di uno schema simbolico. In ma-
niera analoga la nicchia da pranzo in legno compensato, rive-
stita da un’impiallacciatura di ebano, evoca il sostentamento
vitale, al quale questo spazio era dedicato, e non solo, con
il ruotare di tale parete e le tende a scorrimento si potevano
avere diverse strutturazioni dello spazio durante la giorna-
ta a seconda dei bisogni e delle volontà dei committenti. Il
piano rettilineo in onice, che divide il volume del soggiorno,
voleva esprimere la ridondanza degli spazi che si trovavano
su entrambi i suoi lati, cioè la stanza di soggiorno e lo studio.
Questa espressività si riscontra soltanto al piano terra più
basso, dal momento che le stanze da letto al livello superio-
re di ingresso erano trattate semplicemente come volumi
ermetici, qui Mies ancora non riesce a pieno nel suo intento
di pianta libera totale in tutti gli ambienti della casa.
CASA DEL NOSTRO TEMPO. L. MIES VAN
DER ROHE, 1931. Casa per la MOstra della Costruzio-
ne tenutasi nel 1931 a Berlino, Mies dimostrava la possibilità
di estendere la pianta libera anche alle camere da letto, e
nei quattro anni succesivi, elaborò questa concezione in una
serie di case a corte estremamente eleganti, che purtroppo
non furono mai realizzate.
L’idealismo di Mies, e la sua affinità con il classicismo ro-
mantico tedesco, servirono chiaramente ad allontanarlo
dall’approccio della produzione di massa che caratterizzava
la Neue Sachlichkeit.
Quì si può notare come la compartimentazione delle stan-
ze sparisce quasi del tutto, lasciano solo quel concetto che
Mies aveva espresso nel Padiglione di Barcellona dove le
pareti servivano a ritagliare lo spazio creando degli ambiti, e
non delle stanze vere e proprie, creando così un unicum in
pianta di una poetica mai vista prima.
ARCHITETTURA IN URSS: 1870-1930.
Di grande importanza per l’architettura post-rivoluzionaria fu nato in modo tale da unire pubblico e attori;
la trasformazione del movimento slavofilo in una forza cultu- 2. una maniera antinaturalistica di rappresentazione mec-
rale di origine rurale, che si ispirava in larga misura dalle te- canizzata, che mettesse in evidenza l’attore-acrobata come
orie culturali scientifiche dell’economista Alexander Malino- modello ideale del teatro “biomeccanico”, una forma di tea-
vsky. Dopo aver abbandonato i socialdemocratici per unirsi tro che presentava delle affinità con il circo;
ai bolscevichi, Bogdanov fondò, nel 1906, l’Organizzazione 3. l’esclusione di qualsiasi forma di illusionismo e l’elimina-
per la Cultura Proletaria, conosciuta con il nome di Proletkult. zione di ogni simbolismo.
Questo movimento si dedicò al recupero della cultura me- Principi analoghi dovevano informare la fondazione, nel
diante una nuova unità di scienza, industria ed arte. 1924, del Teatro proletario di Berlino, ad opera di Erwin Pi-
Bogdanov pubblicò la prima puntata del suo trattato di tec- scator.
tologia, La scienza universale organizzativa, nel 1913, pro-
prio nell’anno in cui l’opera futurista Vittoria sul Sole, fu rap-
presentata per la prima volta a Pietroburgo, con musica di
Matyushin e costumi e scene di Kasimir Malevich, la sua
scenografia per questo spettacolo apocalittico esibiva per la
prima volta il motivo del quadrato nero che doveva diventare
l’emblema del Suprematismo.
Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale la cultura russa di
avanguardia si era già sviluppata in due tendenze distinte
ma interconnesse:
- la prima di queste era rappresentata da una forma d’arte
sintetica non utilitaria;
- la seconda tentava di forgiare una nuova unità culturale a
partire dalle esigenze culturali e materiali della vita.
Dopo l’ottobre del 1917, la realtà rivoluzionaria tendeva a
mettere in conflitto queste due posizioni - l’”apocalittica” e Lenin finì per diffidare, se non avere addirittura paura, della
la “sintetica” - cosa che ebbe come conseguenza la creazio- affermazione radicale di Bogdanov, ma l’ethos della cultura
ne di forme ibride della cultura socialista, quali l’adattamen- Agit-Prop sopravviveva soprattutto nel teatro di Meyerhold.
to, operato da Lissitsky, dell’arte apocalittica e altamente Sebbene intenzionalmente irrealizzabile, il progetto di Lissi-
astratta di Malevich agli obbiettivi utilitari del suo sedicente tsky per la Tribuna di Lenin, rappresentava un’alternativa di
Elementarismo-Suprematismo. questo tipo di architettura.
Nel 1920 furono fondati a Mosca l’Ink-Huk e i Vkhutemas Di suprema importanza tra tali opere pionieristiche era il pro-
come istituti per la formazione globale nel campo dell’arte, getto, elaborato da Tatlin nel 1919-1920, per il Monumento
dell’architettura e del design. Entrambe queste istituzioni alla Terza Internazionale, la Torre anticipava l’opera di due di-
dovevano servire come arene di pubblico dibattito, in cui stinte tendenze all’interno dell’avanguardia russa. Di queste,
“idealisti mistici”, quali Malevich e Kandinsky e i fratelli Pev- l’una era la scuola che si consolidò all’interno dei Vkhute-
sner, si trovarono alla stessa stregua avversati dai cosiddetti mas, come parte del primo e del secondo anno di corso te-
“produttivisti”, Tatlin, Rodchenko e Alexei Gan. nuto da Nikolai Ladowsky. L’altra si riferiva ad un approccio
Idealisti quali Gabo e Kandinsky si trovarono costretti ad molto più materialista e pragmatico, che emerse con chia-
abbandonare l’Unione Sovietica, mentre Malevich era riu- rezza nel 1925, sotto la guida dell’archietto Moisei Gizburg.
scito a rifugiarsi a Vitebsk dove aveva fondato una scuola Il cosiddetto razionalismo di Ladovsky era tutto fuorchè
suprematista di nome Unovis. Questa istituzione doveva programmatico, dal momento che egli era alla ricerca di un
esercitare un’influenza decisiva su Lissitsky, mettendo fine universalismo enciclopedico; egli preferiva usare entità geo-
alla grafica espressionista e dando inizio alla sua carriera di metriche quali sfere e cubi, cioè forme che avrebbero potu-
architetto suprematista. toi essere associate con specifici stati psicologici. Nel 1923
Nel frattempo, una cultura specificatamente rivoluzionaria Ladovsky tentava di diffondere le sue opinioni attraverso la
era emersa spontaneamente dalle esigenze di comunicazio- fondazione dell’Asnova (Associazione dei Nuovi Architetti).
ne; assunse la forma di un’arte di vasta portata, che si svol- Questa organizzazione raggiunse la sua massima influenza
geva per le strade e si manifestava nei treni e nelle imbar- intorno al 1925, quando sia Lissitsky che Melnikov si erano
cazioni della propaganda Agit-Prop, progettati da artisti della associati ad essa.
Proletkult. Il compito centrale del Proletkult consisteva nella Le prime opere produttiviste di Melnikov furono tutte rea-
diffusione di una informazione ufficiale attraverso spettacoli lizzate nel periodo di relativa stabilità economica che derivò
e grafica esortativa, di forma nomade e smontabile. A parte dalla Nuova Politica Economica - NEP - introdotta da Lenin
la divulgazione della propaganda, artisti produttivisti, quali dopo la guerra civile. La morte di Lenin, avvenuta nel Gen-
Tatlin e Rodchenko, si rivolsero alla progettazione di mobili naio del 1924, non solo determinò la fine del periodo ca-
leggeri, facilmente smontabili, e di capi di abigliamento di ratterizzato dalla cultura della NEP, ma anche prospettò al
grande durata per lavoratori. Partito lìironico problema di trovare uno stile adeguato per
Il Teatro d’Ottobre, di Meyerhold, che tentava di tradurre la sua tomba.
tale attività Agit-Prop, nei principi di una rappresentazione Incertezza che trova in parte riscontro nei progetti che l’ac-
teatrale propagandista. Il discorsoinaugurale ottobrista tenu- cademico Shchusev elaborò per il Mausoleo di Lenin. Il pri-
to da Meyerhold nel 1920 raccomandava un teatro compo- mo era una costruzione provvisoria in legno che, nonostante
sto dai seguenti elementi e principi: la sua configurazione simmetrica, presentava alcune affinità
1. l’uso di un palcoscenico ad arena, costantemente illumi- con l’estetica produttivista. La seconda versione, permanen-
te, in pietra, costituiva un tentativo di ricreare la forma di una Nel Gennaio del 1929 il governo sovietico rese pubblica la
tomba tartara del centro Asia. sua intenzione di fondare la città di Magnitogorsk negli Urali
orientali per sfruttare i giacimenti di ferro della zona, e Milyu-
tin e altri architetti dell’OSA, quali Ginzburg e Leonidov, pre-
starono proposte di schemi per la città nuova. Questi sche-
mi risultarono in vario modo astratti e furono respinti dalle
autorità, che decisero invece di incaricare della stesura del
piano ufficiale l’architetto tedesco Ernst May e il suo gruppo.
Il fallimento dell’OSA nell’elaborazione di proposte di piani-
ficazione a grande scala, che fossero sufficentemente con-
crete, o nella creazione di tipi edilizi residenziali che fossero
adeguati ai bisogni e alle risorse di uno stato socialista as-
sediato, insieme con la tendenza paranoica alla censura e al
controllo di Stato, che emerse sotto Stalin, ebbero l’effetto
di provocare l’eclissi dell’architettura moderna in Unione So-
vietica.
Inoltre il fallimento degli architeti d’avanguardia nell’integra-
re le loro proposte visionarie per una vita di questo tipo con
livelli adeguati di realizzabilità tecnica portò alla loro perdita
Il problema più critico, dal punto di vista dell’architettura, di credibilità nei confronti delle autorità. Infine, il loro appello
era costituito chiaramente dalla residenza. Niente era stato per una cultura internazionale socialista era chiaramente in
realizzato a partire dall’inizio della prima guerra mondiale, e antitesi con la politica sovietica dopo il 1925, quando Stalin
il grado di deterioramento in cui si riconobbe la residenza annunciò la decisione di costruire il socialismo in un solo
costituiva la questione più importante nella vita materiale dei paese. Il fatto che Stalin non sapesse proprio che farsene
lavoratori. dell’internazionalismo d’elite fu ufficialmente confermato
Questa situazione affrettò la formazione di un nuovo gruppo, dallo slogan culturale, il suo famoso “colonne per il popolo”,
l’Associazione degli Architetti Contemporanei - OSA. Subito che nei fatti affidò l’architettura sovietica a una forma re-
dopo la sua fondazione, l’OSA iniziò ad ammettere membri gressiva di storicismo, dalla quaòe deve ancora riemergere.
provenienti da ambiti affini, quali la sociologia e l’ingegnieria.
Fin dal principio l’OSA tentò di trasformare il modus operan-
di dell’architetto, da persona che tradizionalmente aveva un
rapporto di tipo artigianale con il suo cliente a un nuovo tipo
di professionista, che era in primo luogo un sociologo, poi un
politico ed infine un tecnico.
Nel 1926 l’OSA iniziò a diffondere queste opinioni nella sua
rivista “Architettura Contemporanea”, dedicata all’introdu-
zione dei metodi scientifici all’interno della pratica architet-
tonica. Nel quarto numero, l’OSA condusse un’inchiesta
internazionale sulle costruzioni a tetto piano, nella quale fu
chiesto a Taut, Behrens, Oud e Le Corbusier di commentare
l’attualità e i vantaggi tecnici dei tetti piani.
A seguito della prima inchiesta, l’OSA ne lanciò una seconda
che riguardava la forma appropriata nella nuova abitazione
collettiva, o domkommuna. Molti dei progetti dettero un’im-
portanza sia simbolica che operativa ad un corridoio interno
a doppio carico, cioè ad un volume formato dall’incastro di
appartamenti duplex disposti sopra e sotto il corridoio stes-
so. Una versione di questa sezione venne successivamente
adottata da Le Corbusier come sezione moderna “ad inca-
stro” del tipico blocco della Ville Radieuse.
MONUMENTO ALLA TERZA INTERNAZIONA-
LE. V. TATLIN, 1920. Di suprema importanza tra tali
opere pionieristiche era il progetto per un monumento di
altezza di 400metri, concepito come due spirali a traliccio
intrecciate, all’interno delle quali dovevano essere sospesi
quattro grandi volumi trasparenti, ogniuno dei quali dotato
di una velocità di rotazione progressivamente più alta, una
rotazione all’anno, una al mese e una al giorno, e presumi-
bilmente una ogni ora. Essi erano rispettivamente dedicati
alla legislazione, all’amministrazione, all’informazione e alle
proiezioni cinematografiche.
Ad un certo livello, la Torre di Tatlin era un monumento dedi-
cato alla costituzione ed al ruolo dello Stato sovietico; ad un
altro, intendeva semplificare il programma produttivista-co-
struttivista, di considerare “materiali intellettuali”, quali il
colore, la luce, il punto e il piano, e “materiali fisici”, quali il
ferro, il vetro e il legno, come elementi equivalenti dal punto
di vista tematico. Sotto questo aspetto, è difficile conside-
rare la torre come un oggetto puramente utilitario, la torre
restava una metafora monumentale dell’armonia di un nuo-
vo ordine sociale.

PADIGLIONE DELL’URSS. K. MELNIKOV,


1925. Era una sintesi degli aspetti più progressisti dell’ar-
chitettura sovietica fino a quel momento.
Nel suo immaginifico di montanti e tavole di legno con giunti
e sovrapposizione, non solo richiama l’architettura sponta-
nea delle steppe, ma anche quei padiglioni per esposizio-
ni che erano stati progettati per la Mostra dell’Agricoltura
e dell’Artigianato. Il lotto rettangolare era articolato da una
scala disposta secondo la diagonale, che divideva in piano
terra in due spazi trapezoidali-triangolari quasi identici. Que-
sta scala, che saliva e scendeva attraverso una costruzione
aperta in legno, che formava dei piani intersecantisi, dava
accesso soltanto ai livelli superiori dell’edificio. La struttura
ad intersezioni era destinata a diventare ben presto una so-
luzione “a progressione geometrica” altrettanto prevalente,
all’interno dell’avanguardia russa, quando la torre logaritmi-
ca della Torre di Tatlin.
Alla dinamica struttura in legno faceva da completamento
l’interno di Rodchenko per un club operaio ideale, che met-
teva in evidenza un tipico arredo produttivista a struttura
leggera, ivi compreso il gioco degli scacchi, espresso dia-
letticamente in rosso e nero, che consisteva in un tavolo a
due sedie.
Una torre portabandiera costituita da un nudo traliccio a se-
zione triangolare, che era un elemento tipico delle architet-
ture russe, cioè un elemento lungilineo nella composizione
di ogni progetto, risolve con un gesto antiretorico l’esigenza
nazionalista nazionalistica di un simbolico slancio verticale.
Per il resto, i colori rossi, grigio e bianco scelti per le pareti
lignee del padiglione polemizzano apertamente la concezio-
ne borghese dell’arte vanagloriosamente ostentata dagli al-
tri padiglioni nazionali.
ISTITUTO LENIN. I. LEONIDOV, 1927. Il progetto
di diploma di Leonidov, il suo linguaggio compie uno sbalor-
ditivo balzo in avanti.
Alle destinazione previste dal complesso (una biblioteca con
deposito per 15 milioni di volumi, un auditorium per 400 per-
sone, sale di lettura e centri di ricerca scientifica) corrispon-
dono altrettanti solidi geometrici in vetro, metallo e cemento
armato che si stagliano con impressionante concretezza e
nitore della sommità delle Colline Lenin, nei dintorni di Mo-
sca.
Un affilatissimo prisma retto verticale, una sfera completa
tenuta sospesa da una struttura metallica, altri corpi a base
rettangolare e rotonda disposti ortogonalmente; e ancora,
un’altissima antenna e un fitto intreccio di cavi e tiranti che
completano il quadro di un’istituzione culturale ad alto taso
tecnologico non meno che simbolico.Dalle parole dello stes-
so Leonidov risulta chiaro come la meccanizzazione qui as-
sume entrambe le connotazioni: “La consegna dei libri al
lettore e, inversamente, il loro ritorno al deposito libri avvie-
ne grazie a un sistema di trasporti verticali e orizzontali. La
richiesta automatica effettuata nella sala dei cataloghi deter-
mina il trasferimento del libro desiderato, mediante un siste-
ma trasportatore, nella sala di lettura. Per raggiungere l’au-
ditorio si utilizza un sistema di ascensori. Le comunicazioni
tra gli istituti di ricerca, gli uditori e le sale di lettura sonpo
assicurate da una intera rete di dispositivi: teefono, radio-
ricevitori e radioemittenti. I collegamenti con Mosca sono
realizzati mediante un aerotramway, quelli con l’aeroporto
principale da una strada sopraelevata. Quelli con il mondo da
una potente stazione radio.”
COMPLESSO RESIDENZIALE NARKOMFIN. si sforzano di confrontarsi, che le proposte di Ginzburg su-
M. GINZBURG, 1929. Tutta l’attività spinse il governo biscono uno scacco decisivo: la via intrapresa per la costru-
a costruire un gruppo di ricerca per la standardizzazione della zione delle abitazioni di tipo intermedio viene bruscamente
residenza. L’attività di questo gruppo portò allo sviluppo di interrotta.
una serie di Stroikem, una delle quali fu fondata a Ginziburg
nel suo blocco residenziale Narkomfin.
Mentre la strada interna o il sistema di copertura davano
accesso diretto ad un blocco complementare che conteneva
una mensa, una palestra, una biblioteca, un nido d’infanzia
e un giardino pensile, Ginzburg restava profondamente con-
sapevole del fatto che questo implicito collettivismo non po-
teva essere imposto ai residenti soltanto mediante le forma
costruita.
Egli scriveva a quel tempo:
“Non possiamo costringere più a lungo gli occupanti
di un particolare edificio a vivere in collettività, come
abiamo tentato di fare in passato, di solito con risvolti
negativi. Dobbiamo invece fornire la possibilità di un
passaggio graduale, spontaneo, ad un’utilizzazione
comunitaria di un certo numero di aree differenziate.
E’ questo il motivo per cui dobbiamo cercare di tene-
re ogni unità separata dall’altra, ed è il motivo per cui
abbiamo trovato necessario progettare le nicchie per
le cucine come elementi standardizzati, di dimensioni
minime, che possono essere rimossi in blocco dall’ap-
partamento in qualsiasi momento, per consentire l’in-
troduzione di una dispensa. Consideravamo assolu-
tamente necessario inserire certe caratteristiche che
avrebbero stimolato il passaggio a un mondo di vita
superiore dal punto di vista sociale, che lo avrebbero
appunto stimolato, non imposto.”
L’Unità realizzata con la più compiuta sintesi tra una risposta
“scientifica” al bisogno sociale di abitazioni e una dichiara-
zione di adesione alla cultura architetonica nazionale. La lun-
ga stecca bianca alta sei piani poggiata su pilotis e percorsa
da finestre a nastro rammenta i contemporanei esperimenti
di Le Corbusier (con cui peraltro Ginzburg intrattiene rapporti
personali) rimanda all’analoga soluzione adottata da Gropius
nel Bauhaus a Dessau.
E’ però dal punto di vista dell’organizzazione degli spazi in-
terni, dove locali individuali e collettivi di differenti altezze
sono ingegnosamente connessi tra loro, che il Narkomfin
manifesta il grado di avanzamento sulla strada della realiz-
zazione di una moderna ed efficente dom komuna - casa
comune. Ma è proprio sul terreno della realtà, con cui pure
PALAZZO DELLA CULTURA. I. LEONIDOV, usata per gli edifici legati alla terra, edifici la cui costruzione
1930. Il Palazzo, i cui auditori, planetari, laboratori e giardi- e struttura spaziale integrata anticipava l’opera di progettisti
ni di inverno erano progettati su una matrice a griglia rettili- quali Wachsmann e Buckminster Fuller, la cupola geodetica.
nea che faceva scarse concessioni al mondo tradizionale di In tali complessi Leonidov immaginava la realizzazione di un
trattare il paesaggio. La superficie quasi metafisica, era resa processo continuo di istruzione e ricreazione. Come risultati
meno monotona da masse di lussureggiante vegetazione e le supercomuni finirono con l’essere screditate, non soltan-
da prismi, le cui forme trasparenti, sebbene rivelassero il to per la loro inaccettabilità dal punto di vista sociale, ma an-
loro interno, non erano funzionalmente determinati. Il diri- che perchè la loro grande dimensione avrebbe comportato
gibile e il pilone di ormeggio avevano chiaramente lo scopo l’uso di una tecnologia sofisticata e di risorse materiali che
di amplificare la stessa tecnologia leggera che si sarebbe scarseggiavano.

PROGETTO DI CITTA’ LINEARE. N. A. MILYU- 1848, tutta l’istruzione secondaria e tecnica doveva essere
TIN, 1930. La proposta di gran lunga più astratta, dal pun- fornita sul posto di lavoro, assicurando così lìunità di teoria
to di visrta teorico, era costituita da questo progetto, che so- e pratica.
steneva la validità di una città continua che comprendesse
sei fasce o zone parallele.
Queste dovevano essere organizzate secondo questa se-
quenza:
1. zona ferroviaria;
2. una zona industriale, che conteneva al suo interno, oltre
alla produzione, centri per l’istruzione e la ricerca;
3. una zona verde, che ospitava l’autostrada;
4. una zona residenziale, suddivisa in istituzioni collettive,
abitazioni, e un’area destinata ai giovani contenente scuole
e giardini d’infanzia;
5. una zona a parco con attrezzature sportive;
6. una zona agricola.
Una specifica intenzionalità politica ed economica infiorma-
va questa organizzazione spaziale. Sia i lavoratori dell’indu-
stria che quelli dell’agricoltura dovevano essere integrati
nella stessa zona residenziale, mentre tutta la prosuzione in
eccedenza, proveniente sia dall’industria che dall’agricoltu-
ra, doveva affluire direttamente ai depositi situati nella zona
ferroviaria o nella zona verde, e successivamente ridistribu-
ita per tutto il paese. In conformità con lo stesso modello
“biologico”, i rifiuti solidi provenienti dalla zona residenziale
sarebbero stato direttamente incanalati nella zona agricola
per essere riciclati per la concimazione dei prodotti alimenta-
ri. Secondo i principi contenuti nel Manifesto comunista del
FRANK LLOYD WRIGHT_pt.2
La seconda fase significativa della carriera di Wright iniziò Per Wright il termine “organico” venne a significare l’uso
con il completamento della sua ultima casa in blocchi di cal- dello sbalzo in cls come se si trattasse di una forma natu-
cestruzzo, realizzata a Tulsa, in Oklahoma, nel 1929, e con il rale, simile ad un albero; sembra aver concepito tale forma
primo dei suoi progetti tesi a sfruttare al massimo la capaci- come una diretta estensione della metafora vitalista di Sulli-
tà di carico a sbalzo del cemento armato, gli Elizabeth Noble van e del “germoglio in embrione”, ampliata ora da lui fino
Apartments, concepiti per Los Angeles.. L’estetica cristalli- ad includere l’intera struttura piuttostio che la sola decora-
na di questa casa ad appartamenti era già stata anticipata nel zione.
suo Nathional Life Insurance Building, progettato per Chica-
go nel 1924, la cui scintillante facciata in rame e vetro era
una diretta traduzione in vetro della sua estetica del “blocco
in calcestruzzo lavorato”.
La produzione di massa dell’automobile economica e l’im-
patto della depressione, sembrano aver avuto l’effetto di NATIONAL LIFE INSURANCE BUILDING. F. L.
risvegliare Wright dai suoi sogni di un Eldorado. Influenzato WRIGHT, 1924. Progetto molto diverso dai grattacieli
dal ruolo allora giocato dalla Neue Sachlichkeit in Europa, contemporanei che si stavano realizzando in quel periodo,
Wright fu indotto a formulare un nuovo ruolo per l’architet- si distacca dalla tradizione Chicagoana, una la ma che fa da
tura, individuandolo nella ristrutturazione dell’ordine sociale supporto e fa da piano di attacco per le quattro torri di uffici
negli Stati Uniti. che fanno da avamposto per l’intero isolato, se si elimina
Però non fu prima della metà degli anni Venti che Wright la lama di attacco di quelle quattro torri, con tutto l’affastel-
prese in considerazione l’assemblaggio di intere struttu- lamento di volumi, di varie forme e dimansioni retrostanti,
re a partire da elementi aryificiali prodotti in serie, quali ad inizia a diventare più complicato.
esempio il mosaico in blocchi di calcestruzzo delle sue case Se vediamo nei dettagli, cioò che colpisce, è la sequenza
californiane o il sistema modulare a CurtainWall che egli pro- simmetrica degli ingressi alle torri collocti tra le torri che
gettò per le pareti di chiusura di strutture monolitiche in cls. conducono su una grande hall; la voluta simmetria e il tratta-
Essendo costretto da problemi di economicità a riconoscere mento superficiale, che pur trattandosi in una pelle di ferro e
i limiti dei materiali e metodi costruttivi tradizionali, Wright vetro, nella diversa scansione modulare rivela una tensione
grazie ad una singolare combinazione di calcestruzzo arma- decorativa che richiama quella del suo maestro Sullivan, ma
to e vetro, creò un’architettura prismatica, sfaccettata, il cui a differenza di Sullivan, viene risolta con motivi geometrici.
esterno in vetro sorretto da un’armatura di piani galleggianti
dava l’illusione di assoluta assenza di peso.
Nel 1928 Wright coniò il ternime USONIA, per denotare una
cltura ugualitaria che sarebbe emersa spontaneamente ne-
gli Stati Uniti; con questo termine non intendeva soltanto un
individualismo di origine rurale, ma anche la realizzazione di
una nuova forma dispersa di civiltà, resa allora possibile dalla
proprietà generalizzata dell’automobile. L’auto come mezzo
di locomozione democratico per eccellenza doveva essere il
deus ex machina - divinità che scende dalla macchina - del
modello antiurbano di Wright, della sua idea della Broadacre
City, dove la concentrazione della città del 19esimo secolo
doveva essere ridistribuita su una griglia reticolare agraria
a scala territoriale. Il fatto che la Broadacre City aderisse in
modo più sostanziale di qualsiasi altra forma di urbanistica ra-
dicale ai concetti centrali espressi dal Manifesto comunista
del 1848, costituisce uno dei paradossi del nostro secolo. In
esso si sosteneva la graduale abolizione della distinzione tra
città e campagna mediante una più uniforme distribuzione
della popolazione della terra.
Ciò nonostante, i primi progetti edilizi di Wright che esprime-
vano questa nuova cultura usoniana, la torre ad appartamen-
ti St Mark erano di tono più urbano che rurale: realizzati poi
nella Price Tower e nel Johnos Wax Administration Building,
entrambi questi progetti consistevano di sistemi a sbalzo in
cemento armato ricoperti da una membrana cristallina. A
un livello simbolico, essi incarnavano la sostanziale polarità
che era stata evidente nell’opera di Wright fin dalla Martin
House e dal Larkin Building, cioè la rigorosa assimilazione
della casa d’abitazione ai processi della natura, e dell’edificio
destinato a luogo di lavoro all’idea di un sacramento. Questa
polarizzazione doveva essere brillantemente formulata da
Wright nel suo periodo usoniano in due capolavori di insu-
perata ricchezza e generosità: la Falling Water e il Johnson
Wax Administration Building.
GORDON STRONG AUTOMOBILE OBJECTIVE
AND PLANETARIUM. F. L. WRIGHT, 1924-25.
L’architettura di Wright dalla metà degli anni ‘20, fino alla sua
scomparsa, diventa un’architettura multiforme che ha dato
luogo ad indiscutibili e straordinari capolavori, affiancata tal-
volta da alcune imprese veramente chich, come se avesse
deciso di dar forma alle sue fantasticherie.
Un edificio pensato per un magnate, il signor Gordon, che
gli commissiona questo edificio, una sorta di ziggurat che
doveva sorgere sulla cima di una collina, per consentire alle
famiglie di trascorrere il tempo libero. Due rampe elicoidali
che si avvolgono attorno ad un nucleo centrale per avere,
in alto, una visione privilegiata del paesaggio, con una dota-
zione adeguata di punti di ristoro e negozi. L’ultima versione
prevedeva al centro un planetario, una grande cupola che,
oltre a coprire lo spazio del planetario, faceva anche da ele-
mento resistente della struttura a rampe. Questo progetto
in parte ritornerà nella formulazione del Guggenheim Mu-
seum di New York.
WESTHOPE-RICHARDSON LLOYD JONES RE-
SIDENCE. F. L. WRIGHT, 1929. Questp è un periodo
particolare della storia americana, sono gli anni di un grande
periodo di depressione economica, e ciò si risente anche e
inevitabilmente in architettura e nelle produzioni contempo-
ranee. Proprio nel ‘29 Wright inizia ad abbracciare una tecno-
logia costruttiva che non aveva mai utilizzato, cioè quella dei
blocchi prefabbricati in calcestruzzo, però decorati, montati
a formare intere strutture. Il curtain-wall e la struttura a bloc-
chi di calcestruzzo armati saranno gli elementi preponderan-
ti della secondaparte della carriera di Wright.

ELIZABETH NOBLE APARTMENT. F. L. WRI-


GHT, 1929. Forse quì, per la prima volta, in modo accla-
mato Wright sperimenta l’uso dello sbalzo portato alle estre-
me conseguenze, come il caso di questa terrazza che viene
in avanti a sbalzo per alcuni metri e che costituirà anche un
punto di partenza nella concezione della Falling Water Hou-
se, quì il vetro che si trova sotto la terrazza serve quasi a ren-
dere impossibile capire al pieno il meccanismo statico che
regge la terrazza, data l’impossibilità di traguardare dentro
la vetrata, sembra che quest’ultima sia sospesa nel vuoto.
JOHNSON WAX ADMINISTRATION BUIL-
DING. F. L. WRIGHT, 1936-39. Nell’opera la meta-
fora organica si esprimeva in alte, esili colonne a fungo, che
si assottigliavano alla base e costituivano il supporto prin-
cipale all’interno del locale per uffici a pianta libera, alto 9
metri. Queste colonne si risolvono al livello della copertura
in grandi foglie di ninfee in cls, tra le quali è intessuta una
membrana di tubi in vetro pyrex. Queste luci orizzontali a
soffitto delicatamente sostenute dalle colonne unitamente
alle colonne stesse - i cui nuclei interni cavi fungono da tubi
di scarico dell’acqua e le cui basi su cardini sono raccorda-
te a supporti in bronzo - rappresentano l’apoteosidell’am-
ministrazione tencnologica di Wright. Questo era il destino
espressivo di Usonia, una poetica caratterizzata da uno stra-
ordinario della tecnica, che deriva da un’audace inversione
di elementi tradizionali. Così dove ci si sarebbe aspettato
un elemento solido (la copertura), si trova la luce; e dove ci
si sarebbe aspettata la luce (le pareti), si trova un elemento
solido. Di questa inversione Wright scrisse:

“L’applicazione di tubi di vetro, come i mattoni in un


muro, costituisce l’insieme delle superfici di illumina-
zione. La luce entra nell’edificio dove di solito vi è un
cornicione. All’interno, la struttura a scatola svanisce
completamente; le pareti che sostengono le nervature
di vetro sono di mattoni rosso scuro e arenaria rossa.
L’intera struttura è in cemento armato, e l’armatura
usata è costituita da una maglia trafilata a freddo.”

Questa struttura a fungo realizzata in calcestruzzo portò


Wright a sviluppare, per la prima volta, un profilo d’angolo
arrotondato e un linguaggio costituito prevalentemente da
forme circolari, che espresso in materiali duri, precisi, illu-
minati da ogni parte da tubi trasparenti in vetro, conferiva-
no all’edificio una moderna atmosfera aerodinamica. Nello
stesso tempo l’atmosfera fantascientifica faceva diventare
in Johnson Wax uno spazio di lavoro in se conchiuso, mo-
nastico.
Quì ancora una volta, come nel Larkin Building, Wright ave-
va creato un ambiente ermetico, la cui esclusione fisica del
mondo esterno era rafforzata dalla forma e dal colore delle
particolari attrezzature per ufficio progettate per il suo arre-
do.
FALLING WATER. F. L. WRIGHT, 1936. Incarnava una vernice color albicocca.
l’ideale di Wright della fusione dell’abitazione con la natura. Da questo momento in poi, a parte le sue case usoniane,
Il cemento armato offriva lo spunto di partenza, il trattamen- particolarmente funzionali, Wright continuò a elaborare uno
to a sbalzo era stravagante fino a rasentare la follia. strano genere di architettura fantascientifica che, a giudicare
La Falling Water si proiettva all’esterno della roccia naturale, dallo stile esotico delle sue opere tarde, sembrava a qualche
alla quale era ancorata, come una piattaforma liberamente specie extraterrestre.
galleggiante posta in equilibrio su una piccola cascata. Pro-
gettato in un solo giorno, questo gesto strutturale costituì
la definitiv affermazione romantica di Wright, le terrazze di
questa casa apparivano come un agglomerato di piani mira-
colosamente sospesi nello spazio, posti in equilibrio a varie
altezze al di sopra degli alberi di una vallata caratterizzata da
fitti boschi. Ancorata sul retro alla scarpata dai montanti ver-
ticali in cemento armato delle sue terrazze, la Falling Water
rifiuta rifiuta una corretta riproduzione fotografica, cioè non
è possibile capire a pieno guardandola, il sistema costruttivo
e compositivo, anche la natura gioca un ruolo fondamentale
in questo poichè non ne fa capire la totalità volumetrica, solo
con degli studi approfonditi si riesce a comprendere al me-
glio la costruzione. La sua fusione con il paesaggio è totale,
poichè la natura permea l’edificio in ogni suo angolo.
L’interno evoca l’atmosfera di una caverna arredata piutto-
sto che quella di una casa nel senso tradizionale del termine,
il fatto che i muri di pietra grezza e i pavimenti lastricati si
proponessero un qualche primitivo omaggio al sito è testi-
moniato dalle scale del soggiorno, che, passando da questo
livello a quello sottostante della cascata, non hanno altra
funzione che di condurre l’uomo a un più intimo contatto
con la superficie dell’acqua. L’eterna ambivalenza di Wright
nei confronti della tecnica non fu mai espressa con altret-
tanta singolarità come in questa casa, poichè, sebbene il
calcestruzzo avesse reso possibile la realizzazionedi questo
progetto, nondimeno egli lo considerava un materiale ille-
gittimo, cioè come un “conglomerato che di per se stesso
presentava scarse qualità”. All’inizio era sua intenzione rico-
prire il calcestruzzo della Falling Water con strati dorati, un
gesto kitsch el quale fu dissuaso grazie alla discrezione del
cliente, alla fine, decise di rifinire la superficie della casa con
SOLOMON GUGGENHEIM MUSEUM. F. L.
WRIGHT, 1943. La visione usoniana di Wrightraggiunse
la sua piena maturità nel Museo.
L’idea strutturale e lo spunto per il museo risalgono fino al
suo schizzo per il Gordon Strong Planetarium del 1925,
una proposta fantascientifica per eccellenza, uno “ziggurat”
destinato alla giustificazione semireligiosa di credenti nel
“culto della natura”. Nel Guggenheim, egli semplicemente
ribaltò all’esterno la spirale rastremata all’interno del plane-
tario, invertendo e con ciò trasformando quello che prece-
dentemente era stato una rampa per automobili in una gal-
leria interna a forma di spirale, una voluta spaziale di grandi
dimensioni, alla quale più tardi Wright si riferiva come ”onda
incessante”. Il Guggenheim deve essere considerato come
l’apice della carriera tarda di Wright, dal momento che esso
integra i principi strutturali e spaziali della Falling Water con il
sistema di illuminazione dall’alto adottato nel Johnson Wax.
Il museo era più simile a un tempio in un parco piuttosto che
a un modanato edificio d’affari o un struttura residenziale.
La vicenda del Guggenheim dimostra al tempo stesso l’in-
flessibilità e la capacità di adattamento al progetto elaborato
da Wright: il quale, dopo essersi brevemente appuntato su
una configurazione a pianta esagonale, individua la soluzione
nella forma della spirale, corrispondente ad una lunga ram-
pa continua che si attornia a un grande vuoto centrale. Nei
lunghi anni che occorreranno per accordare le esigenze dei
committenti, le difficoltà tecniche e costruttive e le aspira-
zioni dello stesso architetto, il progetto muta numerose vol-
te all’interno della griglia di Manhattan; mutano le posizioni
relative ai diversi corpi che lo compongono, e muta perfino
il verso, per quanto riguarda l’edificio a spirale: concepito
dapprima come ziggurat a sezione circolare restringentesi
progressivamente verso l’alto, e poi come un cono rovescia-
to, un’enorme vite che pare conficcarsi suolo, denominata
ironicamente da Wright “Taruggiz”. Non muta tuttavia l’idea
di fondo di “un’onda ricurva che non si infrange mai”, e di
una cavità priva di alcun’altra funzione che non sia quella di
rendere lo spazio interno visibile.
Con tale apparecchiatura a spirale, illuminata zenitalmente
da un grande lucernario, Wright offre una concezione del
museo radicalmente nuova: uno “spazio dinamico”, anzichè
statico, dove la visione delle opere esposte avviene a scor-
rimento, percorrendo dall’alto verso il basso l’ininterrotto
spazio inclinato, e non attraverso il tradizionale susseguirsi
di sale.
Le discussioni infinite che accompagnano gli utlimi anni del-
la vicenda realizzativa (corrispondenti agli ultimi anni di vita
di Wright, che morirà pochi mesi prima dell’inaugurazione)
in merito alle modalità espositive, alla loro illuminazione, per-
fino alla tinteggiatura delle pareti, ma anche alla scarsa ela-
sticità di uno spazio che è tanto fluido nella conformazione
quanto rigido nell’uso che impone; ma al tempo stesso mo-
strano il suo costitutivo essere alieno rispetto a tutto quanto
fisicamente e culturalmente lo circonda. Ciò fa di esso l’ulti-
mo, disperato tentativo di Wright di prendere le distanze dal
luogo e dal tempo in cui è collocato, per aprire un dialogo,
diretto e profondo, con la storia dell’architettura di ovunque
e di sempre.
BROADACRE CITY. F. L. WRIGHT, 1943-58. Nel individualista semirurale non sarebbe stata necessariamen-
suo primo libro di urbanistica, The Disappearing City pubbli- te in grado di garantire a una società industrializzata sia la
cato nel 1932 a completamento del suo studio su Broadacre sua sussistenza che che i benefici derivanti dalla produzione
City, Wright dichiarava che la città futura sarebbe stata dap- di massa, dal momento che quest’ultima, nonostante l’au-
pertutto e in nessun luogo. tomazione, richiedeva nondimeno una certa concentrazione
In un’altro brano egli affermava: “L’America non ha bisogno sia della forza lavoro che delle risorse. L’esigenza di con-
di aiuto per costruire la Broadacre City. Essa si costruirà da centrare la forza lavoro e le risorse per i processi richiesti
sola, per caso”. Contraddizione insita in questa affermazio- dall’industria pesante. La visione di Wright di una città nella
ne, da una parte, egli sosteneva che gli uomini avrebbero quale piccoli proprietari rurali a metà tempo si sarebbero re-
dovuto istituire consapevolmente un nuovo sistema di in- cati in macchina al lavoro in aziende agricole, con una Ford
sediamenti territoriali dispersi, antiurbani per definizione; model T di seconda mano, suggerisce che una forza lavoro
dall’altra, egli affermava che non c’era bisogno di fare que- pendolare, livellata dalla fatica, sarebbe stata essenziale per
sto, dal momento che si sarebbe verificato spontaneamen- il successo dell’economia della Broadacre City.
te. Scapiro sintetizzò in modo corretto l’utopismo di Wright nel
In The Living City, del 1958, leggiamo: “I miracoli dell’in- 1938, quando scrisse:
venzione tecnica sono le nuove forze con le quali qualsia-
si cultura locale deve fare i conti”. Egli dava il benvenuto Le condisioni economiche che determinano la libertà
all’elettricità, vista come una fonte silenziosa di energia, e e un livello decente di vita sono in larga misura igno-
all’automobile, vista come il mezzo che provvede a un mo- rate da Wright. Il lavoratore deve costruire la sua casa
vimento senza limite. Egli identificava le nuove forze che prodotta industrialmente, pezzo per pezzo, secondo i
avrebbero trasformato l’intera base della civiltà occidentale propri mezzi, a partire da un bagno e una cucina, ag-
nelle seguenti: giungendo nuovi locali man mano che guadagna a suf-
1. l’Elettrificazione, cioè l’eliminazione delle distanze gra- ficenza con il lavoro in fabbrica. Il democratico Wright
zie alle comunicazioni e la costante illuminazione del lavoro può attaccare l’interezze dovuto alla rendita e al profit-
umano; to, ma, a parte qualche rapido, casuale riferimento alla
2. la possibilità di Movimento Meccanico, cioè l’incommen- tassazione singola, egli evita la questione delle classi e
surabile ampliamento di contatto umano dovuto all’invenzio- del potere.
ne dell’aeroplano e dell’automobile;
3. l’Architettura Organica che, sebbene sia sempre sfuggita
ad una definizione precisa, in definitiva sembra aver signifi-
cato per Wright la creazione economica della forma costru-
ita e dello spazio in accordo con i principi della natura, quali
possono rivelarsi grazie all’applicazione della costruzione in
cemento armato.
Wright individuò l’automobile, la radio, il telefono, il telegra-
fo, e soprattutto, la produzione standardizzata eseguita dalla
macchina, come le risorse che avrebbero insesorabilmente
plasmato la Broadacre City.
Per Wright la cultura usoniana e la Broadacre City era-
no concetti inseparabili, la Falling Water e il Johnson Wax
avrebbero senza dubbio trovato il loro luogo designato nella
Broadacre City; con Usonia, Wright intendeva generalmente
qualcosa di complessivamente più modesto: piccole case
accoglienti, a pianta libera, progettate per la comodità, l’eco-
nomia e il comfort. Il cuore della casa usoniana era la cucina
ergonomica, unospazio di lavoro a nicchia liberamente rica-
vato dal volume del soggiorno, che costituì un importante
contributo alla progettazione della residenza americana. Le
case unifamiliari usoniane erano concepite come lo shock
residenziale di Broadacre City, esse furono realizzate effetti-
vamente dalle numerose case suburbane, le Case Suntop
per quattro famiglie, disposte secondo una configurazione a
girandola e realizzate alla periferia di Philadelphia nel 1939.
Tuttavia, il tipo edilizio di gran lunga più importante elabora-
to da Wright per la sua città ideale non fu affatto una casa
d’abitazione, la Walter Davidson Model Farm. Questa unità,
concepita per facilitare la gestione domestica sia della casa
che della terra, era decisiva per l’economia generale della
Broadacre City, dove ogni uomo doveva coltivare il proprio
nutrimento su un acro di terra, riservatogli alla nascita, sa-
rebbe stato messo a sua disposizione appena egli avesse
raggiunto un’età adeguata.
Nel far rivivere tale proposta, vi era come minimo una con-
traddizione difficilmente risolvibile, che Wright caparbia-
mente si rifiutava di riconoscere: e cioè che un’economia
PRICE TOWER. F. L. WRIGHT, 1952-56. La sua
opera più verticale. E’ con ciò tanto per il numero dei piani e
l’altezza effettiva dell’edificio, quanto per la sua figurazione
di forme aguzze, di acute lamine, di disposizioni di elementi
a coltello, tutte ountate verso l’alto.
La Price Tower, si compone di 19 piani per complessivi 56
metri di altezza. Ai primi due piani sono sistemati, fruendo
anche da un corpo di fabbrica che fuoriesce dal perimetro
della torre, un gruppo di uffici, l’appartamento del custode
e il garage. Dal terzo livello in poi si ripete un piano tipo che
presenta un perimetro quadrato al centro del quale, lungo
una croce, ruotate di 15° rispetto alle diagonali, sono dispo-
ste quattro spine di cemento armato contenenti ascensori
ed impianti formanti la struttura portante dell’intero edificio.
I solai sono tenuti a sbalzo da tali spine, che dividono ciascun
piano in quattro settore a forma di trapezio. Tre di essi sono
adibiti ad ufficio, mentre nel quarto è ricavato un alloggio
duplex. Il piano superiore di questo conserva la forma trape-
zoidale degli altri settori e contiene la zona letto dell’alloggio,
mentre quello inferiore, che comprende l’ingresso, il sog-
giorno e la cucina, con la sua forma rettangolare, fuoriesce
con uno dei suoi angoli dal perimeyro del quadrato di base.
La diversa forma planimetrica dell’alloggio rispetto a quelle
degli uffici, non solo realizza uno spazio interno più adeguato
ad una casa, ma consente anche di denunciare all’esterno i
solai ad ogni gue piani. Infatti la facciata corrispondente al
lato degli alloggi segue il filo formato dal perimetyro della
pianta del soggiorno, ossia presenta una vetrata di chiusura
verso l’esterno avente l’altezza di due piani. Il modulo degli
alloggi, con i suoi solai fuoriscenti da quadrato di base, pre-
senta anche uno sperone verticale, che rende dinamica ed
ambigua l’intera volumetria esterna.
A perte i ricorsi orizzontali delle balaustre piene, in tutto l’e-
dificio domina il vuoto delle aperture, che hanno una maglia
orizzontale per i settori degli uffici ed una verticale per quello
degli alloggi; l’uno scherma ata brise-soleil orizzontali, l’altra
da lamine frangisole verticali.
L’edificio fu curato da Wright in ogni particolare, dal centra-
le sostegno delle spine alle pareti esterne prefabbricate, gli
elementi fissi dei servizi e dell’arredo interno alla plastica
minore e alla decorazione esterna. Imotivi figurali della de-
corazione delle balaustre in rame e di alcuni ambienti interni
dell’edificio si rifanno sì ai ritmi architettonici generali, ma
anche al gusto di forme astratte risalenti ai tempi dell’Ipe-
rial Hotel di Tokio e dei Midway Gardens a Chicago, ossia
a quando Wright sperimentava per suo conto una sorta di
astrattismo geometrico simile a quello dell’avanguardia fi-
gurativa fra le due guerre e ritornano in voga proprio negli
anni 50.
La Price Tower non è tra gli esempi più felici della produzio-
ne wrightiana, ma tra le opere paradigmatiche dell’architet-
tura organica perchè mentre incarna molti aspetti di questa
tendenza - essa è stata infatti giustamente paragonata ad un
albero - risulta anche il modello di numerosi edifici successivi
che ne hanno ripreso la struttura (un fusto centrale sostiene
piani e volumi in libera espansione), intendendo tale termine
sia come fatto statico che come conformazione spaziale.
ALVAR AALTO
L’ultimo e il più giovane dei maestri del 900. Ha esordito que avvia un processo opposto, di individualizazione e
come professionista a metà degli anni ‘20, e il classicismo diconcretizzazione delle forme, lasciando sussistere
romantico a cui gli architetti finlandesi avevano fatto riferi- scompensi e tensioni che sono equilibrati dalla consi-
mento eleggendolo come linguaggio per un’architettura na- stenza fisica degli elementi o dell’ambiente circostante.
zionale era ormai abbandonato e la sperimentazione avviata L’architettura perde in rigore dimostraivo ma acquista
dalle avangiardie mostravano degli elementi di riflessione e più calore, ricchezza, cordialità in definitiva amplia il suo
verifica, si trova in un momento storico particolarmente fa- raggio d’azione, perchè il processo di individualizzazio-
vorevole ed occupare quella posizione a se stante e molto ne parte dal metodo di individualizzazione parte del me-
diversa dagli altri quattro maestri del movimento moderno. todo generalizzante già acquisito e lo presuppone.
Aalto più qualunque altro, occupa una posizione distinta ri-
spetto agli altri per due ragioni evidenti: CASA DEL POPOLO. A. AALTO, 1924-25. Esor-
1. hanno fondato la loro opera e il loro linguaggio su due disce con questa opera che è un pò una celebrazione al clas-
approcci che ricorrono alla tendenza alla riduzione, alla sem- sicismo, si riconocse persino qualche motivo palladiano. Il
plificazione dei dati fisico-spaziali, materiali, culturali, idea- basamento esibisce un quasi dorico, al centro della facciata-
li, che sopraintendono ad un progetto, semplificazione che al piano superiore, campeggia una grande finestra tripartita
porta inevitabilmente all’astrazione, che si esprime con vo- che ricorda alla lontana la serliana; il rapporto tra il basamen-
lumi puri, facciate intonacate di bianco e coperture piane; to e l’alto fusto ricorda anche un’altro grande palazzo del
2. approccio polarizzante, cioè tendenza alla polarizzazione 300/400, che lui visita a Venezia, cioè il Palazzo Ducale.
e contrapposizione voluta e marcata di forme-colori-tessi- La pianta lascia già vedere alcune soluzioni originali, ad
ture-trame-materia, quella compresenza di opposti, pieno - esempio la corte passante trattata come se fosse una piaz-
vuoto, trasparente - opaco, che caratterizza in chiave espres- za coperta, una corte che assume una valenza urbanistica
siva molta architettura contemporanea che noi chiamiamo mettendo in collegamento due diverse strade; in questo
razionalista e funzionalista. progetto Aalto da prova di saper dominare ogni aspetto della
Aalto è quello che a cui certe avangiadrie contemporanee costruzione, progetta le maniglie, le porte, ogni dettaglio le-
guardano come orizzonte operativo. Rispetto ai quattro gato ai rivestimenti e alle finestrature, testimonuiando quel-
grandi maestri Aalto si distingue perchè in lui c’è una costan- la tensione per l’opera d’arte totale che caratterizzerà un pò
te tensione per la conciliazione degli opposti, conciliazione tutta la sua carriera.
che si può far divenire da un lato dalla sua formazione colta e
dal suo profondo rispetto per la natura, riferibile al suo luogo
natio; il richiamo alle grandi foreste scandineve è una cifra
caratteristica di tutta la sua opera, dagli esordi fino agli anni
‘70. Ogni progetto di Aalto è divesro da quello precedente,
soprattutto nella sperimentazione delle case unifamiliari, ri-
vendicava il fatto che un progetto di architettura non deve
essere necessariamente rigorosamente fondato su una rigi-
da analisi di tutti i requisiti, spesso rivendicava l’improvvisa-
zione e l’aspetto ludico della progettazione, l’architetto deve
divertirsi; Aalto ha avuto sempre un’architettura “eterotopi-
ca”, che fa della asimmetria la condizione imprescindibile di
ogni architettura.
E’ stato sempre fedele al funzionalismo, cioè molto attento
agli aspetti tecnici e funzionali di ogni edificio, ma in lui la
funzione e la tecnologia, sonosempre stati subordinati alla
cultura architettonica, per Aalto la cultura architettonica è
sempre stato un fatto di cultura, la tecnologia è solo al suo
servizio, un fine per raggiungere uno scopo.
I l tentativo di Aalto, che permeò tutta la sua vita, di soddi-
sfare i bisogni sociali e psicologici, lo differenziò, nei fatti,
dai più dogmatici funzionalisti degli anni ‘20, le cui carriere
erano ormai consolidate quando egli progettava i suoi primi
edifici. Nonostante l’iniziale adesione alle forme dinamiche
del Costruttivismo sovietico, Aalto concentrò sempre l’at-
tenzione sulla creazione di ambienti che avrebbero contri-
buito al benessere dell’uomo. Leonardo Benevolo sintetizzò
con grande efficacia, nel 1960, i risultati ottenuti da Aalto da
questo punto di vista:

Nei primi edifici moderni la costanza dell’angolo retto


serve soprattutto a generalizzare il procedimento com-
positivo istituendo a priori una relazione geometrica fra
tutti gli elementi, per cui tutti i contrasti possono es-
sere risolti già in sede geometrica, col bilanciamento
delle linee, delle superfici e dei volumi. L’uso delle obli-
BIBLIOTECA DI VIIPURI. A. AALTO, 1927-35. Essendo ogni fabbrica un nuovo organismo, la progettazione
Il suo primo vero capolavoro. A questo timido progetto pre- deve cominciare ogni volta daccapo e tutto essere costruito
liminare, che echeggia il suo maestro Asplund Gunard, fa ex novo; ancor più sintomatico è che tale orientamento si
seguire un’altro progetto molto più aggiornato, riferibile alle manifesti sin da questa biblioteca che per la sua importanza
tendenze contemporanee del periodo. possiamo considerare la sua prima vera opera.
Le piante sono costituite da due rettangoli sfalzati, all’inizio
un unico grande rettangolo che poi viene tagliato e fatto slit-
tare, una grammatica compositiva che richiama quella dei
suprematisti sovietici; c’è un passaggio trasversale, su tutte
le piante, che lega i piani che costituisce l’anima dello sche-
ma distributivo. All’ingresso ci troviamo di fronte ad uno spa-
zio fiancheggiato da scale, dove quella laterale ci porta al
piano superiore, quella in asse porta al livello inferiore della
grande sala di lettura che raggiunge la scala, l’elemento di
cerniera che annoda i diversi livelli dell’edificio.
La biblioteca presenta nella sua grande generale volumetria
due corpi di fabbrica traslati fra loro: il maggiore contiene i
locali di consultazione, la biblioteca-ragazzi, i depositi e la
sala di lettura articolata su due livelli; il corpo di fabbrica più
piccolo presenta al pianterreno l’ingresso, una sala per con-
ferenze mentre il piano superiore è interamente occupato
da una serie di uffici. La divisione in due zone della sala di
lettura è ottenuta con un dislivello colmato da una grande
scala a doppia rampa che collega la zona destinata ai let-
tori con una di smistamento e controllo e quest’ultima con
i depositi; è da notare che in questo ambiente quello che
sarà un fattore ricorrente nello stile di Aalto e dell’architet-
tura organica in genere, ossia la “sezione libera”, vale a dire
l’articolazione su due o più livelli dello spazio interno di una
bloccata volumetria.
Un altro elemento considerevole dell’ambiente in esame è
la scala, funzionale nel suo doppio percorso, ottenuto con
una semplice separazione dovuta ai corrimano della ringhie-
ra, quello del deposito al banco di distribuzione e quello del
banco alla zona dei lettori; il disegno della scala e del corri-
mano è tutta un’anticipazione del gusto organico con le sue
plastiche fluenze lineari.
L’illuminazione è ottenuta con delle aperture tronco-coniche
praticate nel soffitto, con un diametro di 1.8 metri legato
all’incidenza dei raggi solari alla massima inclinazione dei
due solstizi (52°), con una copertura calpestabile per una
comoda pulizia dei vetri opacizzati, che permettono una dif-
fusione della luce invece che averla diretta e così per non
creare nessun tipo di ombra al ettore; la volumetria di questa
parte dell’edificio è completamente chiusa in un unico bloc-
co pieno. Passando al corpo di fabbrica minore, al di sopra
degli uffici vi è la sala delle conferenze resa famosa dalla sua
controsoffittatura ondulata e realizzata dall’accostamento di
doghr di pino di Carelia; essa conforma una superficie ad an-
damento concavo-convesso, giustficata da ragioni di ordine
acustico per la propagazione delle onde sonore dell’orature
posto all’inizio della stanza, ma anche indubbiamente detta-
ta dal gusto di una nuova figuratività. Osserviamo tra l’altro
che mentre nell’ampiente della biblioteca c’è una completa
chiusura, una separazione dal mondo esterno per la massi-
ma concentrazione del lettore sul libro, nella sala delle con-
ferenze, invece, mentre si ascolta l’oratore è possibile spa-
ziare con lo sguardo sul paesaggio circostante. Questo è un
esempio della funzione psicologia che la tendenza organica
vanta sul mero funzionalismo di alcuni razionalisti.
Altri aspetti tipici di quest’opera e segni del differenziarsi di
Aalto dal razionalismo sono al livello linguistico, una fluida
plasticità che specie negli interni si oppone alla legge delle
pure stereometrie; il rifiuto o la limitata adozione di elementi
e soluzioni già pronte.
SANATORIO DI PAIMIO. A. AALTO, 1928-33. to luoghi, e anche nella produzione di Gropius dal soggiorno
Concorso vinto da Aalto, questo edificio è composto da tre inglese in poi.” Tale tendenza è quella di snodare variamen-
corpi di fabbrica. te tra loro, sia per motivi orografici, sia funzionali, sia infine
Il Primo, che comprende le camere di degenza per 290 pa- orientamenti del gusto, corpi di fabbrica lineari e stereome-
zienti, è alto sei piani ed è orientato a sud-est; il Secondo trici; una composizione architettonica più organica nella sua
constiene sale da pranzo e di soggiorno; il Terzo è destinato sintassi che nella sua morfologia.
alle cucine ed ai servizi; gli alloggi per medici ed infermieri si
trovano in edifici a parte.
Il sanatorio è ispirato a due direttive: quella di seguire l’anda-
mento del suolo e quella di sfruttare al massimo al massimo
l’orientamento ai fini terapeutici. Infatti metre al mattino gli
ammalati stanno nel lato più caldo, nel pomeriggio, quan-
do il sole si sposta verso l’occidente, essi si trasferiscono
in un corpo di fabbrica in tale direzione. Inoltre gli estremi
di ciascun piano del corpo delle degenze, caratterizzato da
un’articolazione abbastanza semplice di fasce piene e vuote,
abbiamo balconi e terrazze, anche’esse destinate all’eliote-
rapia, che arricchiscono notevolmente la testata dell’edifi-
cio, al punto da rendere questa parte la più espressiva ed
emblematica dell’intero complesso.
Apparentemente il Sanatorio risente del gusto razionalista
più di quanto non si verifichi nelle biblioteca di Viipuri, ma
anche quì, dove maggiormente Aalto raggiunge la sua qua-
lificazione di architetto organico è all’interno dove, con il di-
segno di tutti gli elementi mobili ed immobili, egli riesce a
portare la cura e l’impegno qualitativo proprio dell’artigianato
nell’ambito dei manufatti prodotti industrialmente. Attenta
analisi della stanza di degenza tipo, Aalto propone una stan-
za con due letti e il dimensionamento della stanza è com-
misurato alle dimensioni dei letti; fa una riflessione molto
banale e semplice, per la maggior parte del tempo i degenti
saranno stesi nei loro letti e i loro movimenti all’interno della
stanza saranno ridotti al minimo, quindi gli spazi vanno com-
misurati in base ai letti, i mobili e gli annessi. Però Aalto si
pone anche il problema delle sensazioni che il malato ha da-
gli elementi che compongono la stanza, esempio l’influenza
che può avere il soffitto su un malato, e lì interviene con il
colore, ad eccezione di una parte che si trova immediata-
mente dietro la testa del malato che lui destina a sede per
l’illuminazione artificiale indiretta. Si pone anche il problema
di un arieggiamento facile e che non rechi problemi ai malati,
e quindi progetta una doppia linea di infissi sfalzati, gli uni
rispetto agli altri, in modo da creare due asole alle estremità
delle duel linee di infissi, una rivolta verso l’esterno e una
rivolta verso l’interno, cos’ da creare una sorta di vortice tra
i due infissi che consente un arieggiamento tenue, senza
effetti deleteri sul malato all’interno delle stanze. Si pone
addirittura il problema del riverbero della luce esterna che
può avere sui pavimenti, così inclina la parte terminale del
pavimento all’attacco con la finestra in modo che la luce non
viene riverberata, ma si infrange su una superficie inclinata e
penetra all’interno attenuando la sua incidenza. La stanza è
l’unità progettuale minima da cui Aalto progetta il Sanatorio
di Paimio, nasce da un punto di vista qualitativo.
Di notevole interesse è anche la struttura portante del corpo
di fabbrica principale; essa è formata da un grosso pilastro,
posto al centro del lato breve, che resecando verso l’alto,
regge i solai a sbalzo dall’uno e dall’altro lato. Dal punto di vi-
sta funzionale, molti autori hanno definito il “tubercolosario”
una trappola per il sole. In questo edificio l’autore “adopera
gli elementi del linguaggio corrente quasi testualmente, per
trasformare poi il loro significato attraverso la composizione
di insieme. Non vi è dubbio che in questo edificio è espres-
sa, con forte anticipo rispetto a tutto il movimento europeo,
una tendenza che cinque o sei anni dopo è presente in mol-
CASA-STUDIO DELL’ARCHITETTO. A. AALTO,
1935-36. Una casa molto semplice, divisa in due ambiti,
in pianta vediamo una parte campita in bianco e una parte
campita al linee orizzontali, la parte in bianco definisce la
vera e propria abitazione e quell’altra è la parte adibita a stu-
dio.
Questa demarcazione tra studio e abitazione Aalto la eviden-
zia in facciata attraverso un diverso rivestimento, sottili do-
ghe di betulla, che tra l’altro richiama l’architettura popolare
denunciando così la parte destinata a residenza; quella tratta-
ta a muratura di mattoni tinteggiata di bianco è la parte dello
studio, si guarda bene dall’utilizzare quella stesura astratta
di intonaco bianco così immateriale e sceglie di denunciare
la realtà costruttiva, ma il bianco unifica le differenze.
Nell’impaginato delle finestre si prende un’assoluta libertà,
senza alcuna preoccupazione circa l’adeione ad uno schema
o un modulo sotteso, la modulazione della sua architettura
non è mai quella Lecorbuseriana, tanto meno quella Miesia-
na, la sua modulazione è sempre “qualitativa”.
La struttura portante è in tubolari d’acciaio riempiti di ce-
mento, aumentando così la portanza a compressione delle
colonne, in questo modo riesce ad ottenere una struttura
portante esile.

VILLA MAIREA. A. AALTO, 1938-39. Nel 1938 cata e rivestimento in legno.


Aalto portò a termine il capolavoro della sua carriera prebelli- La villa rappresenta un collegamento concettuale fra la tradi-
ca, la Villa Mairea, una casa di vacanze realizzata per Mairea zione razional-costruttiva del XX secolo e l’eredità evocatrice
Gullichson. Il primo schizzo di questo edificio a forma di L fa del movimento nazional-romantico. I suoi spazi principali, la
riferimento, in modo esplicito, al Romanticismo nazionale, sala da pranzo e il soggiorno, fiancheggiano una corte pro-
nonchè riechegga alla madre della case unifamiliari a forma tetta, trattata a giardino, posta all’interno di un terreno dibo-
di L, la Red House di Webb. La Villa Mairea è composta da scato di forma grossomodo circolare. La massa geologica
una combinazione di muratura in mattoni, muratura intona- della casa a “striature geologiche” e l’irregolare contorno
perimetrale della piscina per la sauna siggeriscono una con-
trapposizione metaforica tra forma artificiale e forma natu-
rale, e questo principio di dualità prevale in tutta l’opera. La
“testa” dello studio della signora Gullichson, simile ad una
prua, si contrappone alla “coda” della sauna, e il rivestimen-
to in legno dei locali “pubblici” si pone in forte contrasto
con il bianco intonaco delle aree private. Di effetti formali
altrettanto complessi è piena la casa: un esempio di ciò è
dato dalla “metonimia” della tettoia di ingresso, in cui il rit-
mo irregolare della copertura di legno riecheggia l’irregolare
scaglionamento dei pini della foresta, con una soluzione che
viene ripresa nel parapetto della scala interna. A ciò fa se-
guito la ripetizione della stessa forma in pianta dello studio,
nella tettoia di ingresso e nella piscina, tutti elementi che
richiamano il perimetro sinuoso di un tipico lago finlandese.
Le rifiniture del pianterreno sono pure codificate come un
paesaggio interno, in cui il passaggio dalle piastrelle al tavlo
in legno o ad una pavimentazione in pietre grezze denota
sottili mutamenti di stato d’animo e di rango, quando ci si
sposta, ad esempio, dal cuore della faimiglia al soggiorno e
alla serra.
La sauna rappresenta la cultura locale, collegata all’edificio
principale da un muro in pietrisco aggettante, è una costru-
zione tradizionale rivestitra in legno e ricoperta da un tappe-
to erboso, la cui struttura è conforme ai canoni dell’architet-
tura spontatea finlandese in legno, in contrapposizione alla
sofisticata tettonica della casa stessa.
La villa, per espressa volontà dell’architetto, è stata una villa
“costruita con molto amore”, diceva Aalto, un progetto per
il quale si dedicò con profondo trasporto; la villa è la trasposi-
zione in un edificio di quella che poteva essere, come richia-
mava spesso Aalto, una “passeggiata nella foresta”, la villa
è un brano di paesaggio racchiuso in una costruzione; nella
villa coesistono modi e forme diverse desunte da sugge-
stioni diverse: intonaco bianco trattato in modo grezzo ben
lontano dalle superfici liscie e perfette dei suoi corrispetti-
vi europei, irregolare e crea delle increspature con la luce.
Finestre a nastro, finestre riquadrate, vetrate più o meno
continue, rivestimenti in legno, forme razionali associate a
forme più organiche; coesistono tecniche e memorie del co-
struire diverse.
All’interno Aalto ricrea il paesaggio della foresta, ad esempio
nel sostegno della scala con delle colonne di betulla monta-
te secondo una ritmica irregolare, come gli alberi di una fore-
sta, la scala stessa coniuga il metallo con le travi a doppio T
per l’intradosso, le pedate in legno; il soffitto è interamente
fasciato di listellature di legno crea quella variabilità di super-
ficie propria del legno; la pavimentazione in piastrelle di cot-
to quadrate, associata ad altri brani di pavimentazione come
il legno o l’acciottolato d’ingresso non levigato.
Questi accostamenti riproducono la tecnica cubista del col-
lage, questa multiformità materica da luogo ad una comples-
sità progettuale assolutamente indìedita, l’interno di Villa
Mairea è un’esperienza sensoriale.
PADIGLIONE FINLANDESE ALL’ESPOSIZIONE troviamo in alto il Paese, la Nazione, il Lavoro, e a diretto
MONDIALE DI NEW YORK. A. AALTO, 1939. contatto con il publico, i Prodotti finlandesi; inclina la pare-
Nel 1939 Aalto partecipa al concorso per il Padiglione Fin- te tenendo conto delle necessità per qualsiasi visitatore di
landese all’esposizione mondiale di New York. Aalto realiz- non alzare troppo la testa e di poter cogliere la realtà degli
za il progetto in tre giorni e tre notti, racconta che lui e la elementi senza grande sforzo o distorsione prospettica della
moglie non si sono mai appisolati nel corso di questi giorni, vista dal basso, l’inclinazione è appunto studiata secondo un
presenta il progetto e lo vince, siscitando un clamore e una raggio prospettico dello sguardo di un fruitore qualunque.
risonanza nazionale; Wright che ha già una certa età, fa visita Lungo le pareti prendono posto gli oggetti più disparati, gi-
al padiglione e dichiara “questo architetto è un genio”, lui e gantografie, disegni, grafici, quadri, sculture, elementi della
Aalto diventeranno molto amici. produzione agricola, tutti accostati in modo molto casuale
Il padiglione è un’allestimento tutto interno, gli americani senza che dovessero rispondere ad un particolare ordine.
forniscono alla Finlandia un’ex aviorimessa, all’esterno as- La fonte di ispirazione della parete inclinata, realizzata con
solutamente banale, di notevole altezza e profondità. Il pro- steicelle di betulla, è l’aurora boreale.
gramma era legato a un motto, il padiglione doveva descri- In pianta per dare maggiore profondità allo spazio espositico
vere efficacemente la popolazione, la nazione, il lavoro e i Aalto ragiona sulla diagonale, Aalto lavora a questi profili or-
prodotti diella Finlandia. Aalto si inventa una parete ondulata ganici e sinuosi in modo molto istintivo, nei margini trovano
ripartita in quattro fasce e contrapposta a un’altro fronte ri- posto i locali di servizio, esposizione, ristorazione e bar. Il
gorosamente rettilineo, assegna a ciascuna di queste fasce successo di questo padiglione lo rendono l’episodio più im-
uno dei quattro temi del programma. Nella fascia onfulata portante dell’intera esposizione.
DORMITORIO DEL MIT. A. AALTO, 1947-48.
Dopo il successo dell’esposizione il rettore del MIT gli affida
una cattedra come docente di progettazione e inoltre gli dà
anche l’incarico di progettare i nuovi dormitori degli studenti,
in un lotto a ridosso del fiume, stretto e lungo, delimitato da
una strada ad alta percorrenza veicolare.
La sua prima preoccupazione gli viene dalla richiesta di un
palazzo di almeno sei piani, con una capienza di centinaia di
studenti, Aalto si rende conto che collocare l’edificio come
tutti gli altri, parallelo al fiume, significherebbe realizzare un
fronte piatto e monotono, Aalto decide di diversificare gli af-
facci,creando una linea sinuosa, che è più o meno un brano
del controsoffitto della biblioteca di Viipuri, e i questo modo
consente agli studenti che occupano le stanze affacciate sul
fiume di avere una visione di scorcio sulla citta, non piatta
e frontale; inoltre l’inclinazione di questa linea sinuosa tiene
conto dell’esposizione migliore. Al fronte sonuoso, oppone
sul retro un fronte segmentato, questa seghettatura la mani-
festa anche nel prospetto, Aalto spiegherà questa differen-
ziazione di fronti poichè vengono dati dalla tipologia su cui
affacciano i diversi fronti, da una parte quasi come se fosse
un’onda che richiama il fiume e dall’altra la segmentazione
dell’artificialità del paesaggio urbano.
Le stanze sono dislocate lungo il fronte ad andamento sinu-
soidale, sul retro trovano posto stanze di studio e di lettura,
alcune sono le residenze dei professori; e inoltre nel punto
del massimo flesso Aalto colloca l’ingresso con gli ascenso-
ri, le scale e la mensa; in più sul retro posiziona delle scale ad
un’unica rampa che provocano nel prospetto la scalettatura
che accentua il profilo segmentato, nell’idea di Aalto queste
parti in aggetto sarebbero dovute essere rivestite in cerami-
ca invetriata, quasi risplendente, per accentuare il contrasto
in termini di luce con l’opacità della parete in mattoni, per
esigenze di costi l’università ha imposto un rivestimento ad
intonaco opaco, che snaturalizza completamente l’idea ori-
ginaria dell’architetto.
MUNICIPIO DI SAYNATSALO. A. AALTO, E’ presente una differenziazione gerarchica completata da
1949-52. Un piccolissimo centro nella provincia finlande- un uso differenziato dei materiali e dei sistemi costruttivi.
se, in un paese di meno di 3.000 abitanti, chiama Aalto nella La pavimentazione in cotto del corridoio di accesso e della
progettazione del minicipio. scala, che sono gli elementi “laici”, conduce al pavimento
L’edificio a corte chiusa, tipicamente italiano e mediter- sospeso in legno della “sacra” sala del consiglio comuna-
raneo, si riflette nelle piante del Municipio. Sorge su una le. Questo mutamento di rango è confermato dall’elaborato
bassa collina con tre ali saldate tra loro e un corpo a fare trattamento dei dettagli delle capriate del tetto sopra la sala
quasi da muro di contenimento del terreno, trattato con la del consiglio,inventata totalmente da Aalto, e anche un chia-
consueta tecnica dello scavo e del riporto; una corte sopra- ro riferimento al modo di costruire del Medioevo.
elevata rispetto al piano di campagna, due scalinate poste Su un fianco il volume ospita l’aula consiliare, i tre bracci del-
in maniera diametralmente opposta, una trattata in forme la corte sono quasi uniformemente scanditi da finestrature
rigorosamente geometriche, e l’altra in forme più naturali- che danno sugli uffici al pubblico.
stiche che sembrano quasi mimare il dilavare della terra ri-
portata a creare la corte alta fino alla quota di campagna; la
disposizione planimetrica identifica perfettamente il luogo, il
rivestimento è affidato a mattoni.
In questo municipio Aalto si rende conto che per realizza-
re una buona costruzione in mattoni occorre adottare al-
cuni accorgimenti, Aalto farà realizzare sia quì che in altri
progetti mattoni quasi artigianali, farà utilizzare l’argilla del
luogo, essicatisi al sole, cottura che per la diversa posizione
al sole data dagli accostamenti avranno dei colori diversi,
la differenza cromatica e la scelta stessa dei mattoni, infat-
ti utilizzerà quasi sempre mattoni di seconda-terza scelta,
più erano imperfetti e più rispondevano alle sue esigenze.
Aalto si pone un problema, come utilizzare il mattone sulle
superfici curve, da quì in poi inizierà a studiare la forma del
mattone più adatta da utilizzare in qualsiasi tipo di muratura
curvilinea.
RESIDENZA ESTIVA A MURATSALO. A. AAL-
TO, 1953. La prima idea per questa casa è un semplice
schizzo, che richiama l’antica casa a patio greca.
Una casa realizzata dall’improvvisazione, una casa speri-
mentale dove isolarsi, quello che è il patio è parzialmente
recinto da un muro dal profilo inclinato suggerito dall’incli-
nazione stessa del pendio su cui sorge la casa. Un muro di
mattoni smaltati di bianco, aperto su un lato per incorniciare
una parte di paesaggio, che poi è quella più bella.
Le pareti sono realizzate con pannelli di mattoni e piastrel-
le ceramiche assemblate in sito e montate con la tecnica
del Patchwork, montaggio per giustapposizione di pannelli,
evidenziati peraltro con una diversa giacitura; persino la pa-
vimentazione della corte viene realizzata con diverse tessi-
ture, e addirittura Aalto ripropone nel cortile il focolare come
era posizionato nelle case cgerche.
EDIFICIO RESIDENZIALE AL QUARTIERE ventaglio, cioè aperta. La predilezione degli ingressi spezzati
HANSA. A. AALTO, 1954-57. Nel 1954 Aalto è in- attraverso percorsi che definiscono una promenade, cui è
vitato insieme ad altri 35 architetti, alcuni dei quali avevano sempre presenta una predilezione a fiancheggiare l’edificio
già partecipato 43 anni prima alla mostra del Werkbund e per apprezzarne le diverse parti. Il portico è tripartito da co-
del Weissenhof di Stoccarda, e sempre nel 1954 organizza- lonne a passo variabile, passo dato dalla distribuzione de-
no una mostra internazionale sull’abitazione, nota poi con il gli alloggi ai piani superiori, diversità accentuata dal doppio
nome di Interbau; la mostra va vista ed inquadrata nel preci- pilastro in asse, così pensato poichè lì troviamo un giunto
so contesto sociale e storico politico. sismico, la ragione tecnica si sposa perfettamente con la ra-
Il Quartiere Hansa sorgeva sulla zona ovest di Berlino pro- gione formale; già al piano terra denuncia un’attenzione per
prio a ridosso dell’area orientale, erigeranno poi il muro di la disposizione che ci rimandano a quelle passate.
separazione a poche centinaia di metri, un quartiere con L’alloggio tipo, sul tipo della casa a patio, Aalto raggruppa
un’alta densità abitativa, finì con il diventare un tema di ca- cinque appartamenti per piano serviti da due corpi di sca-
rattere politico, la Germania ovest voleva fare del quartiere la. Gli ingressi sono posti in posizione periferica e laterale,
Hansa: 1 - oscurare la Stalinhalle, e quindi dare un segno come in tutte le sue architetture: d
attraverso l’architettura di un significato ideologico della ne- - al portone si entra in un ingresso fiancheggiato da un’ar-
onata Germania occidentale; 2 - chiudere definitivamente i madiatura poggia abiti e da un ripostiglio;
conti con il passato tedesco, e in particolare le architetture - in asse con l’ingresso al visitatore è concesso di entrare di-
retorico-rappresentative di Albert Spare hitleriane. rettamente nella cucina, un vano stretto e lungo con una pa-
La planimetria del quartiere comprende 36 edifici, tanti rete attrezzata e un corridoio di distribuzione e di manovra,
quanti sono gli architetti chiamati a partecipare a questa che in prossimità dell’affaccio si amplia e diventa di forme e
mostra internazionale, occupano l’area disponendosi libera- dimansioni di una sala da pranzo che ha un doppio affaccio,
mente nel verde, libera dai condizionamenti della geometria uno rivolte verso l’esterno e l’altro che affaccia verso la ter-
della maglia viaria, quasi si trattasse di un’unità di abitazione razza (in parte emergente e in parte incassata);
sparsa nel verde, secondo i modi e le teorie di Le Corbusier - la dimensione di questa terrazza la configurano come una
della città radiosa. Sulla planimetria generale data agli archi- loggia, dove diventa uno spazio abitabile dove poter mangia-
tetti si segnalano tutte le aree a verde, la viabilità e le aree re, giocare, leggere e stare in compagnia, l’invenzione della
di occupazione destinate ai singoli architetti, con una certa loggia che sia sia incassata che emergente;
indifferenza circa l’occupazione del suolo, che viene deman- - sulla loggia si affaccia un grande spazio a soggiorno, che
data a tutti gli architetti. se non fosse coperto sarebbe stato il patio, dividendo così
l’appartamento in due zone ben distinte, quella notte e quel-
Aalto inverte la polemica di entrambe le parti del co- la giorno;
struire le abitazioni con il minimo possibile e ridurre il - sul fronte opposto, abilmente schermate, le porte di ac-
più possibile lo spazio abitabile, lui ribadisce la necessi- cesso alle camere da letto.
tà di un’inversione di rotta, cioè ripensare il tema dell’a- Questa tipologia ammette molte soluzioni data la sua fles-
bitazione a basso costo, intervistato Aalto enuncia i sibilità, infatti nell’edificio ci sono 10 appartamenti tipo, tutti
suoi principi, inizia con indicare come forma esemplare diversi tra di loro per taglio, dimansioni, affacci e si va dai
dell’abitato quella dei contadini di provincia finlandese 45 mq ai 90 mq. Una forma rivoluzionaria, poichè questo
e i modi delle capanne finniche e dice: tipo di abitazion e si adotta ad una società di espansione
“Non lo faccio per campanilismo, ricorro a questo economica, in una società di questo tipo le abitazioni di Mar-
espediente per far capire come debba intendersi la siglia di Le Corbusier scontavano un limite, intanto la rigidità
casa economica, in relazione ai modi e le forme del- del duplex che per quanto innovativo è sempre uguale a se
la società contemporanea non possiamopensare che stesso, mentre Aalto nello stesso piano può variare su 10
i nuclei familiari si conservino inalterati nel tempo, alloggi diversi, espressione di un’utopia sociale destinata al-
tantomeno nelle fluttuazioni della vita quotidiana, nè fallimento, quella di Le Corbusier.
possiamo pensare che la casa sia assimilabile ad una Per fare economia sui costi Aalto concepisce un pannello
macchina, la capanna finnica si amplia nel tempo con prefabbricato in calcestruzzo liscio, montato secondo tre
le esigenze che vengono a crearsi, siano di natura sia moduli:
fisica che morfologica, una casa che dopo essersi am- - quelli rettangolari sono una sequenza di modulo lun-
pliata possa persino restringersi, dando luogo a diverse go-stretto-lungo, che definiscono un interpiano in facciata;
abitazioni”. Proseguiva dicendo: “Dobbiamo studiare - un modulo quadrato che marca i parapetti delle logge;
un tipo di alloggio che consenta questa flessibilità nel il tutto a mimare il bugnato classico, ma reinterpretato in
tempo, ecco perchè sono contrario alle tipologia multi- chiave moderna ed esteso a tutta la facciata, trovando le
piano e soprattutto quelle a torre, ma a favore di quelle dimensioni più armoniche per far quadrare i conti. Il profilo
basse e aperte”. segmentato rende meno monotona la costruzione, soprat-
tutto sulle visioni di scorcio. Ovviamente la casa di Aalto è
Tutte queste erano le premesse che lo avevano condotto a quella che avrà piuù siccesso.
progettare un edificio di otto piani, completamente diverso
dagli altri 35 e non riconducibile alle tipologie classiche in
uso del tempo. La pianta dell’edificio di Aalto nasce dalle
suggestioni dell’architettura vernacolare e dell’architettura
mediterranea della casa a patio, e la sua unità di abitazione
base è una composizione di casa a patio, o ad U.
La pianta del piano terra ha un sistema accuratamente pen-
sato di risalita tra la quota di campagna al portico di accesso,
disposti secondo due radiali a formare tendenzialmente un
CASA DELLA CULTURA. A. AALTO, 1954-57.
Sul finire degli anni ‘50, ad Helsinki, l’associazione dei sinda-
cati del partito socialista commissionano ad Aalto un edificio
per la cultura, un auditorium che possa fungere da spazio
congressi, ma anche da spazio teatrale.
E’ un edificio che sovverte i concetti tradizionali di fronte,
fianchi e retro, non solo, ma quella pensilina per lo stallo
delle automobili doveva essere il fronte principale poichè af-
faccia direttamente sulla strada. Edificio dove per la prima
volta utilizza il mattone inventato da lui stesso, per risolvere
il problema delle curve in una costruzione, il mattone a cu-
neo che consente curve sia concave che convesse.
La disposizione in pianta è quella a C, che da luogo a delle
varianti sia funzionali che formali molto significative:
- da un lato un auditorium-teatro dalla forma irregolare;
- opposto al teatro il tipico bracci a corridoio mediano che
distribuisce le stanze e locali ad uso ufficio sui due fronti;
- un braccio di raccordo piuttosto profondo.
L’ingresso è concepito come un “foiè”, posto in posizione
periferica, come sempre; involucro di chiusura della sala re-
alizzato in calcestruzzo armato e coperto esternamente dai
mattoni.
La disposizione della cavea è concepita come quelli di epoca
classica, ma Aalto lo rende contemporaneo, si pone sem-
pre il problema della flessibilità dello spazio ed è così che in
basso predispone una cavea per 300 posti circa, nei casi in
cui il pubblico aumenti ci sono altri due settori che servono a
portare la capienza fino ad 800 persone, questa netta diffe-
renziazione serve a creare un ambiente non con un pubblico
sparso, ma compatta il pubblcio a seconda delle necessità e
dei momenti e nei modi di utilizzo della sala.
SCUOLA POLITECNICA DI OTANIEMI. A. AAL- Il teatro è realizzato con una travatura che richiama un pò la
TO, 1955-64. Una pianta a sviluppo aperto, che consen- forma dell’arco iperbolico, su questa forma concepirà anche
te, per sue intime caratteristiche, la crescita differenziale nel la sua ultima opera, le travature che riggirano in alto diven-
tempo non per saturazione, ma prendendo possesso delle tando pilastrature sono disposte secondo le radiali e l’incli-
aree in appendice. nazione ripete più o meno l’inclinazione della platea inter-
L’intervento più importante si concentra in alto, nell’incrocio na. Le travature sono intervallate da elementi trasversi che
tra tre corpi di fabbrica, che contengono altrettante funzioni fungono da lucernai e che incanalano la luce in modo tale
importanti, cioè uffici, biblioteca e aula conferenze; colloca che possa essere sempre riflessa e diffusa e mai diretta. Le
un corpo a cuneo rovescio che funge da cerniera e raccordo travature si proiettano verso l’alto, in modo tale che se uno
tra i due bracci. Un edificio che spicca per forma e dimensio- spettatore alza lo sguardo finisce con il guardare il cielo, la
ne rispetto a tutti gli altri, all’esterno ha la forma di un teatro luce viene esaltata.
dove al posto delle gradinate troviamo delle finestrature a
nastro strette, e in basso e in alto due fasce anulari rivestite
in granito grigio, i fianchi invece sono interamente rivestiti
in mattoni.
CHIESA DI VUOKSENNISKA. A. AALTO, 1956.
Una della città più industriali della Finlandia, il panorama ur-
bano è caratterizzato dalle innumerevoli ciminiere dell’indu-
stria siderurgica, Aalto si pone un problema, come fare per
rendere riconoscibile il campanile dalla chiesa rispetto alle
ciminiere, e quindi si inventa un campanile dalla forma piut-
tosto bizzarra, lui stesso dirà: “Prodotta in modo istintivo,
senza riferirsi a nessuna tradizione in particolare”, realizzata
anche con un certo spirito ludico e infine la colora intera-
mente di bianco per aumentare ancora di più il distacco con
le ciminiere.
Campanile annesso alla chiesa, che di per se ha poco o nulla
delle chiese classiche. In pianta è ancor più originale, la com-
posizione parte prendendo tre portali di altezza e ampiezza
progressivamente crescenti, intersecati parzialmente gli uni
sugli altri, si uniscono con una diagonale che parte da un’u-
nico punto si congiungano con i punti di imposta degli archi
di questi tre portali ed esce questa pianta. Dal pulpito posto
in posizione laterale si evince che è una chiesa luterana, il
terminale della chiesa non è ad abside ma piatto, e al centro
della parete terminale c’è sempre un crocifisso; solitamente
il sacerdote, dal pulpito, parla solo ad una parte dei fedeli.
Una forma molto particolare, perchè come accade in molti
piccoli centri industriali, la chiesa è richiamata ad essere un
edificio polifunzionale, dove non solo si svolga la funzione di
spazio rituale, ma durante la settimana anche da spazio per
le assemblee, quasi come se fiosse una sala civica a servizio
della comunità, ed è per questo motivo che Aalto studia un
complesso sistema di tramezzature ad incasso, di pareti mo-
bili che si incuneano tra i doppi pilastri e si nascondono nei
vani terminali in alto, i tratteggi sono legati proprio alle pareti
mobili che partizionano lo spazio e lo rendono più ampio, le
pareti mobili sono ovviamente in legno.
Alcuni hanno visto, nelle parti terminali curvilinee, un affa-
stellamento di episodi che possono rimandare alla conce-
zione delle chiese Barocche del 600. La copertura a calotta,
che in realtà è una copertura tronco-conica, finisce con il
riprodurre all’interno quasi la sensazione di trovarsi in un am-
biente coperto a botte.
MAISON CARRE’. A. AALTO, 1956-59. Si può
progettare una casa in forma di città o borgo? Questa è la
domanda che bisogna farsi per capire a pieno questa villa,
realizzata per un mercante d’arte, uno dei maggiori in Euro-
pa inquegli anni, Louis Carrè.
La pianta sembra un agglomerato di case riunite attorno ad
una piazza centrale, l’idea iniziale è quella di trasferire alla
scala bitativa unifamiliare i modi e le forme di aggregazione
delle case degli antichi borghi, quelli che Aalto aveva visto
nei suoi viaggi in Italia, soprattutto in Toscana, Umbria ed
Emilia. Ogni vano è trattato come se fosse una casa che
affaccia su una grande hall, che non è più un patio ma una
vera e propria piazza.
Per uniformare tutti questi episodi Aalto sceglie un’unica
grande copertura, che nella sua linea di inclinazione segue
esattamente quella del pendio su cui sorge la villa, e su un
lato delle gradinate trattate in forma organica, come a Say-
natsalo, che si aprono nella stretta valle.
Il controsiffitto ripete un pò il profilo di quello della Biblioteca
di Viipuri. Esterno piuttosto semplice, ma un interno trattato
alla sua maniera, ad esempio la parete di fondo che diventa
tutt’uno con il soffitto rivestito il listelli di betulla, la stesa
betulla la utilizza anche per il parquet.
La sezione tipica, fatta sulla parte dell’ingresso, mette in ri-
lievo la morfologia dei vuoi rispetto ai pieni. La villa, inoltre,
è studiata anche per esporre le opere appartenenti al mer-
cante, come se fosse una galleria vera e proria, e al caso
utilizzata proprio per quello scopo anche per vendere le pro-
prie opere.
CASA TORRE NEUE VAHR. A. AALTO, 1958.
Richiamato in Germania per realizzare un edificio di 22 piani,
nonostante avesse più volte dichiarato: “Le case alte pro-
vocano più danni di quanti non possano farne le palazzine,
poichè èpregiudicano anche lo skyline della città.”
Sperimenta per la prima volta la forma a ventaglio, differen-
ziando nettamente il fronte residenziale dal fronte di servi-
zio, nasce così una cosa unica nel suo genere, con nove ap-
partamenti tutti diversi, pensati per single, coppie o famiglie
con nuclei familiari molto piccoli e con esigenze di spazio ma
senza particolari ricchezze.
Ogni alloggio ha una forma tendenzialmente cuneiforme, si
apre verso l’esterno, ha una loggia posta su un angolo, un’u-
nico spazio di soggiorno-pranzo che si sviluppa dall’ingresso
fino al fronte, una ca,era da letto separata dal soggiorno da
una parete moble, una cucina, un bagno e un ripostiglio; ec-
cezione a questa disposizione sono gli alloggi di testata.
Sul fronte che da verso il parco si vedono le finestre degli
alloggi di testata e al centro le finestre che danno luce alle
scale, per giunta tutta la parte tecnica è sottolineata dall’uso
di pannelli in calcestruzzo quadrati.
L’ARCHITETTURA ITALIANA NEL PRIMO NOVECENTO
Tra il passato e il nostro presente non esiste incompa- Alla metà degli anni trenta, l’architettura razionalista vera e
tibilità. Noi non vogliamo rompere con la tradizione: è propria presentava forti differenze, tra l’opera estremamen-
la tradizione che si trasforma, assume nuovi aspetti, te intellettuale di Terragni e il blando International Style del
sotto i quali pochi la riconoscono. Gruppo 7 gruppo comasco; e a dire il vero, il Razionaismo italiano, al
tempo della V Triennale, si stava ormai compromettendo sia
Il linguaggio classico e onirico che emrse in Italia dopo la con un banale modernismo da una parte e dall’altra con uno
fine della prima Guerra Mondiale - dapprima in pittura sotto storicismo reazionario. Il Razionalismo italiano era entrato
la guida di Giorgio de Chirico, e successivamente in archi- nella sua fase di declino.
tettura sotto la direzione di Giovanni Muzio - rappresentava Dopo la prematura morte di Persico aumentarono le difficol-
contemporaneamente sia il complesso punto di partenza tà politiche e culturali dei razionalisti, Pagano si compromise
per lo sviluppo del Razionalismo italiano che l’eredità della ulteriormente collaborando con Piacentini per il Piano per
polemica futurista del periodo pre-bellico. l’Esposizione di Roma del 1942, nemmeno l’intervento di
Il Gruppo 7, di ispirazione razionalista, che si espresse pub- Pagano avrebbe potuto impedire a questo stravagante ge-
blicamente per la prima volta su Rassegna Italiana, espri- sto ideologico di degenerare nel più banale assemblaggio di
meva il loro obiettivo come il raggiungimento di una nuova forme neoclassiche.
e più razionale sintesi tra i valori nazionalistici del Classici- Il clima reazionario, che dominava in Italia alla metà deglianni
smo italiano e la logica strutturale dell’epoca della macchi- trenta sia in campo architettonico che politico, era in parte
na. Nelle loro Note si impegnavano ad esplorare un terreno controbilanciato dalle aspirazioni di Adriano Olivetti, che in-
intermedio tra l’arcano linguaggio del Novecento - del quale cominciò a rivelare il suo interesse per il contributo che l’ar-
il blocco ad appartamenti della Ca’ Brutta, realizzato da Gio- chitettura moderna poteva fornire alla prosperità industriale.
vanni Muzio, costituiva un autorevole esempio - e il dina- Nel frattempo una serie di proposte di Terragni per un’archi-
mico repertorio della forma industriale, che era stato loro tettura trasparente - una sublimazione del programma fu-
trasmesso dai Futuristi. Il gruppo dimostrava inoltre una turista che proietta la strada nella casa - era stata espressa
certa propensione per il Deutsche Werkbund e per le opere nella Casa del Fascio. Da allora in poi riapparve coma una
del Costruttivismo russo. Tuttavia, nonostante l’entusiasmo costante in tutte le sue opere pubbliche.
per l’epoca delle macchine, il Gruppo 7 attribuiva un peso Nel 1943, con la morte prematura sia di Terragni che di Cat-
maggiore ad una reinterpretazione della tradizione piuttosto taneo, e in qualche modo tutt’ora misteriosa, si sia segnata
che alla modernità in sè. Nonostante questa dichiarazione una brusca interruzione del movimento.
di fiducia nei confronti della tradizione, le prime opere dei
razionalisti, in particolare quelle progettate da Terragni, mo-
stravano una preferenza per le composizioni basate su temi
industriali. I progetti di Terragni per un’Officina del Gas e
per una Fabbrica in tubi di acciaio, sembrano avere a
che fare con l’estetica dell’ingegniere che con l’architettura.
Il movimento razionalista italiano ben presto si costituì come
gruppo ufficiale nel Movimento Italiano per l’Architettura Ra-
zionalista - MIAR - la sua influenza fu di breve durata poichè
il gruppo doveva essere ben presto minato dalle forze della
reazione culturale. Mentre le prime manifestazioni dell’at-
tività dei razionalisti avevano lasciato ai professionisti più
conservatori relativamente indisturbati. Una dichiarazione
del MIAR avanzava un’affermazione: “Il nostro movimento
non ha altra consegna che servire Mussolini nel clima duro.
Noi invochiamo la fiducia di Mussolini affinchè ci dia il modo
di realizzare.”
A Piacentini fu lascato il compito di mediare e di proporre
il suo stile littorio, estremamente eclettico, come stile ufi-
ciale del partito. Le linee direttive che Piacentini impose ai
nuovi architetti che collaborarono con lui alla Nuova Univer-
sità di Roma, fissavano, attraverso la ripetizione di semplici
elementi, i principi fondamentali dello stile ufficiale fascista.
Dal momento che era consentita una certa irregolarità e
asimmetria nella progettazione dei particolari, l’espressione
rappresentativa si limitava in larga misura, alle entrate, dove
assumeva una forma classica grazie ai colonnati, ai bassori-
lievi e ai fregi recanti scritte.
Durante il 1932 Pagano aveva già dato il suo contributo alla
polemica attorno all’evoluzion di un appropriato stile nazio-
nale, dal momento che aveva iniziato a dirigere Casabella, in
collaborazione con il critico d’arte Edoardo Persico. Questi
due uomini tentavano di convincere i membri ancora incerto
del gruppo Novecento ad abbandonare lo stile littorio, in fa-
vore del Razionalismo di Terragni.
CA’ BRUTTA. G. MUZIO, 1922. È difficile oggi com-
prendere questa violenta reazione, tuttavia per i cittadini de-
gli anni Venti, la Ca’ Brütta abbandonava le usanze milanesi
e il “buon gusto” di regole architettoniche: la composizione
e gli ornamenti delle facciate mostravano un irresponsabile
e spregiudicato impiego del vocabolario classico e una squi-
librata sintassi. La moderna costruzione a gabbia di cemento
armato fu dichiarata poco affidabile, come – probabilmente
– anche il montacarichi, su modello americano, che portava
le auto al garage sotterraneo. Inoltre l’edificio era caratteriz-
zato da un’insolita tipologia e da un immenso salto di scala
rispetto all’edificato urbano.
Per i Novecentisti invece la Ca’ Brütta indiscutibilmente “ri-
mestò le acque, aprendo nuovi orizzonti”. L’impostazione
dei corpi edilizi fu rivoluzionaria, in quanto la loro ripartizione
volumetrica costituiva una risposta specifica sia al tema fun-
zionale, sia a quel particolare luogo.
Muzio suddivide l’isolato in due corpi edilizi separati da una
strada privata, un corpo in linea e un edificio a corte, colle-
gati verso la strada principale dal motivo dell’arco compreso
tra due testate, che genera un’unica entità architettonica. La
composizione dei corpi edilizi contribuì inoltre alla creazione
di “condizioni molto favorevoli di aria e luce per tutti i locali”
– tema centrale del Moderno – consentendo la creazione di
luoghi ariosi sui tetti: lunghe terrazze agli attici dell’ultimo
piano, il pergolato sopra l’arco di collegamento e le altane,
oggi perse, che coronavano i due corpi di testata.

UNIVERSITA’ CATTOLICA. G. MUZIO, 1929-


38. Il 30 Ottobre 1932 l’Università Cattolica si trasferì dalla
vecchia sede nel palazzo di L. Canonica a quella nuova, co-
struita dopo l’acquisizione del Demanio dell’antico monaste-
ro cistercense di Sant’Ambrogio.
Muzio riuscì a dare vita ad un complesso unitario, nel quale
si fondono corpi nuovi ed antichi con grande sensibilità. L’e-
dificio di ingresso rappresenta verso il largo Gemelli il fronte
principale dell’Università, dalla facciata di mattoni emerge il
portale di ingresso sormontato da una torre in franito chiaro
con lanterna campanaria ed orologio.; la torre segnala ver-
so lo spazio urbano òa destinazione pubblica del complesso
edilizio, anche la muratura in mattone a vista è un richiamo
esplicito alla tradizione. Con la Cattolica di Muzio introduce
il mattone in terracotta nell’immagine della città moderna.
Essendo in prossimità della basilica di Sant’Ambrogio, la
concordanza con l’antica tradizione del mattone nell’archi-
tettura lombarda è in questo caso radicata anche con il luogo
specifico. Contemporaneamente Muzio adotta per la prima
volta il principio formale della “pelle” di mattone - più tardi
clinker - come rivestimento dello scheletro costruttivo di ce-
mento armato.
PALAZZO DEL GOVERNO. G. MUZIO, 1931-
35. Il palazzo presenta una pianta trapezoidale che si dilata,
nella porzione nord, in un’esedra e in un’aula a pianta rettan-
golare. Al centro dell’edificio si apre un cortile; a sud e a nord
si trovano due giardini.
Il palazzo si sviluppa su tre piani, ad este ed ad ovest si ele-
vano due torri squadrate, i due ampi ingressi arcuati condu-
cono in un lungo porticato, coperto da ampie volte a crociera
e, verso l’ingresso est, da un soffitto a cassettoni, che attra-
versa l’intero edificio e dà sul cortile interno acciottolato nel
quale si trova una fontana di granito. Nell’angolo sud-est è
addossata all’edificio una fontana di pietra, i piani superiori
sono fruibili tramite due larghe scale.

PALAZZO DELl’ARTE. G. MUZIO, 1932-33. Edi-


ficio dal carattere emblematico, realizzato per ospitare le
Triennali di Milano delle arti decorative e dell’architettura, il
Palazzo è concepito da Muzio come un severo edificio nudo
e crudo impostato su una pianta a forma di arco, chiuso in un
paramento di clinker, cui è anteposto un altissimo arco di in-
gresso in pietra, trattato però come un elemento grafico. Sul
fronte opposto, verso il parco, Mario Sironi dispone una se-
quenza di archi liberi che riprendono il leit motiv del Palazzo.
BASILICA DELL’ANNUNCIAZIONE DI NAZA- sero fermarsi in preghiera davanti la grotta dell’Incarnazione
RETH. G. MUZIO, 1959-69. La necessità di costruire del Verbo, mentre in una grande chiesa superiore si cele-
un nuovo santuario mariano che potesse accogliere milioni brasse la glorificazione di Maria. Muzio pensò anche ad un
di pellegrini da tutto il mondo, conservare il più possibile i grande oculo centrale aperto sopra la grotta, in modo che le
resti in vista e pensare ad un luogo pratico e facilmente ge- due chiese potessero fondersi in un tutt’uno, incoronate da
stibile. una cupola poligonale a forma di corolla di fiore rovesciata
Concepì una chiesa fondata sulle mura crociate e suddivisa terminante in una lanterna, con la funzione di indicare da
in due livelli, in modo che in quello inferiore, i fedeli potes- lontano, come una stella, il Santo luogo.

NOCOCOMUM. G. TERRAGNI, 1927-28. Sensi-


bile all’influenza di Muzio, Terragni si affermò nel 1928 con
la realizzazione del suo edificio di abitazione Novocomum a
Como.
Questa composizione simmetrica di cinque piani manife-
sta il caratteristico interesse razionalista per lo slittamen-
to espressivo per le masse. Mentre gli angoli dell’edificio
avrebbero dovuto essere rinforzati in accordo con il canone
classico, essi erano drammaticamente troncati in modo tale
da lasciare a vista dei cilindri di vetro, il cui coronamento
era costituito dal massiccio peso della soletta superiore ag-
gettante il cui nesso all’interno della composizione era dato
dagli sporti dei balconi al terzo piano e dalla massa del se-
condo piano. Questa soluzione aveva maggiori debiti con il
Costruttivismo russo che con il Purismo.
CASA DEL FASCIO. G. TERRAGNI, 1928-36.
Opera canonica del movimento razionalista italiano.
Progettata all’interno di un quadrato perfetto e alta esatta-
mente la metà della sua larghezza, che è di 33 metri, il se-
mi-cubo della Casa del Fascio fissò la base di una geometria
rigorosamente razionale. All’interno di questo volume, essa
non solo rivela la logica della struttura trabeata, ma anche
il codice razionale che stava alla base della creazione del-
la facciata. Su ogni lato, fatta eccezione per la finestratura
sud-est, la finestratura ed il rivestimento esterno dell’edifi-
cio erano trattati in modo da esprimere la presenza dell’atrio
interno. I primi studi rivelano il fatto che, come le altre opere
di Terragni, esso era in origine organizzato attorno ad una
corte aperta, sul modello del palazzo tradizionale. In fasi suc-
cessive del progetto questo cortile diventa una sala centrale
per riunioni a doppia altezza, illuminata dall’alto attraverso
una copertura in vetrocemento e circondata su tutti i lati da
corridoi, uffici e locali di riunione.
Come nel Padiglione di Barcellona di Mies, il ruolo monu-
mentale dell’edificio viene fissato dal leggero innalzamento
su un basamento che dà luogo a ciò che Terragni descrive
come piano rialzato.
L’apertura simultanea delle porte al piano terra, grazie al
meccanismo elettronico, avrebbe unito l’agorà interna del
cortile con la piazza consentendo in tal modo il flusso inin-
terrotto delle adunate di massa dalla strada all’interno dell’e-
dificio.
Analoghe connotazioni politiche sono evidenti nel trattamen-
to della sala riunioni principale, con l’altare che commemora
i caduti del fascismo.
L’edificio è trattato come se fosse una forma spaziale conti-
nua, senza alcun particolare orientamento, quali alto e bas-
so, o destra e sinistra. Conseguentemente gli effetti dovuti
al vetro riflettente sono usati nel rivestimento del soffitto
del ridotto per creare l’illusione di un’indefinita costruzio-
ne trabeata consistente in volumi che presentano nei fatti
destinazioni abbastanza differenziate. Il sottile inserimento
dell’opera nel centro cittadino storico, il rivestimento tota-
le in marmo botticino e l’uso di un blocco di vetro per di-
segnare lo spazio rappresentativo, contribuiscono a creare
un’opera che è contemporaneamente tettonica, meticolosa
e monumentale.
CASA RUSTICI. G. TERRAGNI, 1933-35. L’im-
pianto predisposto è una soluzione a due corpi di fabbrica di
sette piani fuori terra, l’uno rettangolare, l’altro con forma a
T; il collegamento tra i due distinti volumi è continuamente
sottolineato dai ballatoi che si allineano alla facciata princi-
pale.
La struttura portante è in cemento armato, evidenziata nella
composizione dei prospetti, e muratura di riempimento in
pannelli di pomice con camera d’aria.
Due blocchi di scale ed ascensori sono simmetricamente
collocati sull’asse mediano dei fabbricati.
Il piano rialzato, al quale si accede attraverso una scala dop-
pia, centrale, si apre sull’atrio che disimpegna la portineria,
l’alloggio del custode ed altri ufffici. Lo spazio comune è un
ambiente molto ampio, caratterizzato dalla piastra di coper-
tura evidenziata dal massiccio reticolo delle travature, con
specchiature in vetrocemento.
Al piano seminterrato si trovano locali accessori, uffici e l’au-
torimessa.
Il piano tipo è organizzato con due gruppi di tre alloggi di
diversa dimensione, da tre a sette locali.
Al livello più alto si trova la villa monofamigliare, un volume
che occupa asimmetricamente parte dei due corpi di fab-
brica, lasciando tutta la restante superficie a terrazza e giar-
dino. A venticinque metri di altezza, la villa è immersa nel
verde, come se si trovasse alla quota del terreno. Arretrato
verso l’interno è il ponte sospeso che unisce le due porzioni,
destinate alla zona giorno e alla zona notte.
ASILO SANT’ELIA. G. TERRAGNI, 1935-37.
La pianta dell’edificio è aperta, ad U, organizzata da volumi
bassi disposti attorno ad un cortile centrale e circondati dal
giardino.
Nel corpo principale su via Alciato sono distribuiti gli spazi
dell’atrio, lo spogliatoio ed i servizi. Il fabbricato che penetra
il giardino, a destra, ospita le aule e gli spazi per il gioco e la
ricreazione, direttamente affacciati al cortile interno. Il volu-
me a sinistra è attrezzato con la palestra. Arretrato e paralle-
lo a via Alciato è il refettorio, in progetto prolungato sino alla
cucina, ricavata in un piccolo corpo aderente al caseggiato a
confine del lotto.
Costruito in muratura su una gabbia strutturale in cemento
armato, l’asilo è caratterizzato da ampie e distinte campitu-
re: piene, senza alcuna concessione a sporgenze dal piano
di facciata; vuote, con le grandi superfici vetrate che garan-
tiscono ambienti luminosi e trasparenza, comunicazione di-
retta tra lo spazio interno e il giardino.
Verso il giardino lo spazio delle aule si può ampliare, all’aper-
to, sotto le tende stese tra il fabbricato e la travatura spartita
da pilastri e un setto murario.
L’architetto comasco, pensava forse all’asilo Sant’Elia di
Como, la sua opera più spontanea, quasi naturale per come
si rapporta agli elementi della natura, realizzata durante una
parentesi serena di una esistenza.
DANTEUM. G. TERRAGNI, 1938. L’opera più me-
tafisica di tutta la sua vita.
Progetto che comprendeva blocchi gradualmente meno
densi di spazi rettangolari organizzati come un labirinto e che
simboleggiava gli stadi dell’Inferno, del Purgatorio e del Pa-
radiso. Il volume destinato al Paradiso, con le sue 33 colon-
ne in vetro e il soffito pure in vetro, a Terragni pervenne un
senso di trasparenza concettuale grazie a due fondamentali
soluzioni, che erano ingegnosamente fuse insieme:
1 - l’uso di un dualismo che comprendeva due masse paral-
lele rettilinee con uno spazio interposto;
2 - la contrapposizione di vuoti che arretravano analogamen-
te ai piani successivi di un quadro da un dato punto di vista
favorevole, in cui i livelli spaziali rientranti fissavano la sfera
delle attrezzature accessorie al pianterreno, degli auditori,
ecc.
L’ossessione di Terragni per un’architettura trasparente -
una sublimazione del programa futurista di proiettare la stra-
da nella casa - era stata espressa fin dalla Casa del Fascio
e da allora in poi essa riapparve in ogni sua opera pubblica
come una spinta costante nei suoi progetti.
QUARTIERE CORTESELLA. G. TERRAGNI, destinati a negozi ed uffici, segue la direzione parallela alle
1940. Il progetto per la Cortesella è tra i più significativi mura; l’elemento di testata al sistema è il blocco destinato
esempi in cui il linguaggio della odernità riesce ad accostar- ad ospitare il ristorante, disposto ortogonalmente ai primi
si alla città storica, innescando un meccanismo di incontro/ quattro. Un’altro asse fondamentale della composizione
scontro. quello in cui si attesta un ulteriore volume, sospeso dal suo-
L’attenzione alle predisposizioni naturali del terreno aera lo, esso doveva contenere quattro livelliu di alloggi duplex,
per Terragni un’idea centrale per affrontare il problema della distribuiti a ballatoio sul fronte verso la città e aperti verso il
progettazione in centro storico, ulteriormente sviluppata in lago con spazi privati.
seguito dalla sua partecipazione al IV CIAM di Atene nell’a- Il sistema di rapporti modulari che struttura l’impianto ge-
gosto del 1933. Terragni partecipò al concorso bandito, pre- nerale è regolato dalla larghezza degli edifici, di una misura
vedendo per l’area in questione: costante di 12 metri, ad eccezion fatta per i blocchi 1 e 4.
- l’allargamento di alcune vie; L’intervallo tra i blocchi è anch’esso costante e di grandezza
- la conservazione dei monumenti principali; pari a 8 metri.
- la demolizione del macello vecchio e la sua sostituzione L’assonometria evidenzia il meccanismo attraverso il quale
con una piazza. l’intervento di Terragni si confronta con il centro storico: dua
L’mabito di confronto diventava l’assetto morfologico del braccia di una croce, uno sviluppo in lunghezza e l’altro in al-
tessuto urbano: la disposizione e la geometria dei blocchi tezza. L’ambizione della modernbità, di dominare il contesto
isolati in cui il progetto si articolava erano infatti direttamen- emergendo sul tessuto come fuori-scala, trova la sua ragio-
te riferite alla maglia urbana, dalla quale individuavano giaci- ne proprio nell’attacco a terra del sistema, i volumi bassi,
ture, proporzioni e altezze. rappresentano la relazione con la città.
L’utilizzo di edifici in linea si ricollega all’ambito del raziona- L’occasione oferta da Terragni alla città di Como è che la
lismo europeo; i parallelepipedi di Terragni ricordano infatti i modernità potesse dialogare positivamente con la storia,
progetto di Hilberseimer, e l’urbanistica razionale tedesca in andò però perduta, in quanto il suo progetto venne in fine
generale. La sequenza degli otto corpi di fabbrica più bassi, accantonato.
lla zona Cortesella-Piazza Cavour
CASA DEL BALILLA. A. LIBERA, 1932-35. L’e- Una realazione dinamica tra l’osservatore e l’edificio, che
dificio è progettato secondo in nuovi principi dell’architettura sembra concepito per essere ammirato soltanto da un sog-
razionale, diffusa in Italia dal Gruppo 7. getto in movimento, o da uno dei due lati enfatizzandne la
Compositivamente può essere letto come un grande volu- prospettiva in velocità, mentre la visione frontale e statica
me monolitico dallo sviluppo preminentemente orizzontale, è necessariamente parziale, non è possibile includerla nel
a cui si accostano due ulteiori elementi: il terrazzo ad est, campo visivo.
con affacio sul mare e sul campo sportivo e la torre di con-
trollo che ospita la scala principale e rende accessibile la co-
pertura.
Una parte centrale, con uffici e sale riunioni, divideva l’edi-
ficio in due ambienti principali a tutt’altezza: la palestra da
un lato e il cine-teatro dall’altro, rappresentando appieno la
politica del regime del motto “mens sana in corpore sano”.
La progettazione procedeva dall’interno verso l’esterno,
nella convinzione che la forma dell’edificio dovesse essere
generata dalla funzione e che da questo scaturissero la bel-
lezza e il valore architettonico del manufatto. Gli oblò in se-
quenza, gli angoli arrotondati, il ritmo modulare della facciata
e l’orizzontalità della composizione portata all’estremo, oltre
che essere riferimenti marinari sono i segni che esprimono
i concetti di macchina e di velocità che caratterizzavano le
architetture futuriste.
PALAZZO POSTALE IN VIA MARMORATA. A. formale fondato sull’intreccio diagonale dei due prospetti
LIBERA, 1933-34. Costruzione caratterizzata da una dei corpi scala. Le travi invlinate sono, a loro volta, incrociate
forte connotazione e slancio razionalista, avente una forma dai sottili travetti in simmetrica contrapposizione.
squadrata ed elementare in cui l’organismo assume la for-
ma di un edificio a corte dimezzata. E’ un volume massivo a
forma di C, composto da elementi distinti, come se fosse un
contenitore comprendente ambienti con funzioni diverse: al
pian terreno i servizi postali, ai piani superiori gli uffici nelle
ali laterali e il grande salone degli apparati telegrafici nel cor-
po centrale. Obbiettivo è coniugare modernità e tradizione:
da un lato è presente l’elemento nuovo, dinamico, emble-
matico nel prospetto principale, nella parte retrostante una
forma elementare e classica.
La tipologia per gli edifici delle poste viene rivisitata e rein-
terpretata con una chiave di lettura nuova, a metà tra la
versione moderna del tradizionale palazzo civico e la monu-
mentalizzazione della macchina da scrivere. E’ evidente il
contrasto tra la solidità dei volumi regolari e il dinamismo
PALAZZO DEI RICEVIMENTI E DEI CONGRES-
SI. A. LIBERA, 1937-42. L’asse viario sul quale si in-
nesta l’edificio coincide di fatto con l’asse di percorribilità e
la linea di specularità: le caratteristiche principali dell’edificio
sono infatti la simmetria e la riconducibilità ad un modulo di
5x5 metri. La struttura del palazzo è interamente in cemen-
to armato, anche se sapientemente mascherata dal rivesti-
mento murale in travertino, che conferisce all’opera quel
carattere di monumentalità richiesta dalle direttiva fasciste.
Il progetto è basato su una chiara modularità ed è costituito
sostanzialmente da tre corpi:
1 - Basamento, un parallelepipedo di 15 metri di altezza, che
comprende il fronte colonnato principale e il fronte seconda-
rio, che è costituito da un’ampia vetrata arretrata sorretta su
pilastrini metallici fusiformi.
2 - salone dei Ricevimenti, un cubo di 45 metri di lato che
emerge per 27 metri dal basamento; i corpi scala e i ballatoi
sono adiacenti alle pareti interne e questo conferisce al cubo
un volume libero. Questo spazio costituisce l’elemento prin-
cipale dell’intera composizione, presenta una copertura a
volta a crociera ribassata le cui nervature sono costituite da
due travi metalliche incrociate a 90° e disposte lungo le dia-
gonali del quadrato di base.
3 - la sala Congressi ristrutturata dall’architetto Paolo Por-
toghesi, è posta sul retro dell’edificio. Lo spazio interno è
scandito dalla successione di 13 telai in cemento armato e
al secondo piano in corrispondenza dell’auditorium, trovano
spazio le gradinate del teatro all’aperto.
VILLA MALAPARTE. A. LIBERA, 1938-40. Ele-
mento di primaria importanza quì è la scala, che sale e termi-
na sulla superficie piana del tetto a terrazza. Ha una doppia
funzione: porta in salita alla visione del cielo e del mare, e
in discesa è invece una gradinata-teatro, in cui il pubblico
immaginario siede con le spalle alla linea del mare e con gli
occhi fissi su un punto di fuga centrale.
La scala-tetto-teatro ha una forma ad imbuto: stretta in bas-
so e si allarga salendo, la prospettiva è capovolta.
Isolata, esclusa, la casa Malaparte è un paradossale oggetto
che si consuma in solitudine, un relitto sulla roccia.
UNITA’ D’ABITAZIONE ORIZZONTALE. A. LI- Una finta volta sottile, in cemento armato, solleva, per ef-
BERA, 1950-54. Il complesso residenziale per circa fetto della lama d’aria tra gli appoggi puntuali sulla linea di
1000 abitanti fa parte del più ampio progetto Ina-Casa realiz- imposta.
zato in tre fasi successive. Gli elementi che compongono l’Unità di Abitazione: la breve
L’obbiettivo era la definizione di un quartiere modello e la galleria media il passaggio dallo spazio esterno all’interno,
reinvenzione di un linguaggio costruttivo e figurativo a metà ovvero alla stanza all’aperto comune definita da alti pini ma-
strada tra conservazione della tradizione e innovazione tec- rittimi visibili in lontananza e rispetto alla quale si distribui-
nologica. Libera sopsta subito l’accento sul concetto di Uni- scono le case a patio ad un piano, l’edificio a ballatoio e la
tà d’Abitazione Orizzontale per un moderno modo di vivere. stecca dei negozi e dei servizi, parte permeabile del recinto
L’articolazione del costruito e spazi all’aperto pubblici com- oltre ad alcuni varchi segnalati da forme varie delle pensiline.
pongono un tessuto urbano fortemente complesso. Un
episodio centrale nella ricostruzione di Roma nel secondo
dopoguerra.

ISTITUTO BOTANICA E CHIMICA FARMACEU-


TICA. G. CAPPONI, 1932-35. L’impianto è caratte-
rizzato dal dialogo serrato tra masse compatte e simmetri-
che, con i volumi e superfici trasparenti. La compresenza di
corpi orizzontali ed elementi a sviluppo verticale, le profonde
finestre a nastro, il basamento trasparente nel prospetto po-
steriore, testimoniano una sensibilità architettonica forte-
mente influenzata dal razionalismo europeo.
Il corpo centrale si compone di due torri ritmate da vetrate
angolari. I due corpi longitudinali, curvilinei, ospitavano aule
e servizi.
VILLA-STUDIO PER UN ARTISTA. FIGINI &
POLLINI, 1933. Questa è forse la migliore di tutte le pic-
cole abitazioni sorte quest’anno nel recinto della Triennale.
In questa piccola abitazione vi si trovano espressi tutti gli
elementi più caratteristici della vera architettura moderna, e
primo di tutti, la fruizione con l’ambiente. La natura ha una
parte importante nel progetto che gli archietti vogliono farla
partecipare nella casa.
Nella Villa gli ambienti chiusi di abitazione si alternano ai cor-
tili interni, legandosi a grandi pareti per mezzo di vetrate. I
cortili hanno una funzione vera e propria di ambiente di sog-
giorno, pregni come sono della stessa intimità della casa.
Il centro dell’abitazione è la grande sala di soggiorno, suddi-
visa dai mobili in quattro locali: uno studio, un salotto, una
sala da pranzo e un atelier. La sala da pranzo si accorda con
tutte le altre su di una sorta di scala di verdi, in toni chiari,
scuri e quasi neri.
A sinistra dell’ingresso, l’atelier del pittore, per mezzo di
una parete scorrevole completamente vetrata, da accesso
e visibilità al cortile aperto dove è collocata una vasca che
rimanda agli antichi impluvi pompeiani.
La costruzione è stata realizzata mediante una struttura in
acciaio, con pilastri a sezione quadrata disposti secondo uno
schema costante in ogni senso, i muri di cinta esterni sono
a blocchi di cemento colorati in pasta, neri con giunti a vista
verde chiaro.

SABAUDIA. CANCELLOTTI-MONTUORI-PIC-
CINATO, 1934. Per il piano fondativo di Sabaudia vie-
ne bandito un concorso da cui risultano vincitori Cancellotti,
Montuori e Picinato. Ai tre è affidata l’esecuzione del piano
e la progettazione di tutti gli edifici costituenti il nucleo prin-
cipale della città.
Il tracciato della città ha origine dalla direttrice della strada di
bonifica Migliara 53 e da quella perpendicolare in direzione
Terracina, che sono gli assi generatori della trama urbana.
Il nucleo principale della città è costituito da edifici disposti
in modo da formare un sistema articolato di piazze e spazi
aperti che si dilatano in vedute panoramiche. La rimanen-
te edificazione, prevalentemente residenziale, procede dal
centro e dalle direttrici principali a maggiore densità verso le
aree periferiche.
I progettisti non pensano alle aree verdi come un elemento
urbano interno, ma lo dispongono in continuità con l’ambien-
te circostante in corrispondenza delle aperture verso l’ester-
no o ai margini della città meno densamente edificati.
VILLETTA PESTARINI. F. ALBINI, 1937-38. Si
rintraccia un’affinità con l’architettura avanguardista cen-
tro-europea, specialmente tedesca e scandinava, riscontra-
bile soprattutto nella soluzione escogitata per la scala inter-
na.
Regola strutturante l’edificio di due piani è la separazione
netta in due fasce, una servente posta verso la strada de-
stinata ad accogliere i percorsi, la cucina e il bagno; l’altra
servita che dà verso il giardino interno e ci troviamo lo stu-
dio, un salone e la sala da pranzo. I due volumi si sviluppano
longitudinalmente e quello servente è leggermente slittato,
non soltanto per conferire una certa dinamicità plastica, ma
per accogliere sia l’ingresso principale, protetto dal balcone,
sia quello di servizio.
L’interno è caratterizzato dalla stessa fluidità e dinamicità de-
gli spazi, e gli ambienti ospitati nella fascia servita possono
essere lasciati in comunicazione tra loro oppure divisi per
mezzo di pareti scorrevoli.
La scala assume un ruolo di perno dell’intera composizione
planimetrica, alleggerita grazie a gradini in marmo bianco di
Carrara è resa ancor più diafana dalla luce calibrata e diffusa
dalla parete retrostante, realizzata in vetrocemento.
Il prospetto verso strada è rivestito con superfici dure e sta-
gne incise nettamente da strette aperture, mentre verso il
giardino si articola un fronte forato da ampie finestrature a
tutta altezza e addolcito da un terrazzo con pergolato.

QUARTIERE FILZI. F. ALBINI, 1937-38. Il proget-


to per il Fabio Filzi, che risulta vincitore, sovverte il tradizio-
nale schema di lottizzazione sancito dai precedenti piani di
espansione, contraddistinti da volumi edilizi disposti a cor-
tina.
Il lotto viene ora inteso dagli architetti come unità base della
struttura urbana in cui la disposizione degli edifici è ordina-
ta in schiere parallele lungo l’asse solare nord-sud. Principi
ispirati a criteri di igene, semplicità geometrica e risparmio
determinano le distanze tra le schiere, calibrate per garanti-
re il corretto soleggiamento degli alloggi in ogni stagione; i
vari fabbricati, risultanti dall’accostamento di 2 o 5 tipi edilizi,
sono molto simili tra loro, se si eccettuano minime variazioni
in altezza correlate alla distanza tra gli edifici e alla larghezza
delle vie. Il tipo edilizio di base è costituito da corpi scala che
distribuiscono tre alloggi per piano con dimensioni fissate
in 25, 45, 55 metri quadri, il cui modulo base è costituito
da un blocco bagno-cucinotto apero al soggiorno, il quale
affacciato su una loggia, funge anche da sala da pranzo e da
disimpegno fra le stanze.
STAZIONE SANTA MARIA NOVELLA. DIVERSI
ARCHITETTI, 1933-35. Accentuata orizzontalità,con
funzione e aspetto di termine, lmite, per lasciare prevalere
incontrastato l’abside della chiesa. La compattezza materi-
ca, interrotta dalla simbolica cascata di vetro, la contrappo-
sizione tra essenzialità dei materiali esterni e ricchezza dei
materiali interni, l’estrema cura del dettaglio, insieme al per-
fetto impianto distributivo, la rendono un’opera celebre nella
cultura architettonica nazionale.

CASA DELLA GIOVENTU’. L. MORETTI, 1933.


L’edificio è costituito dall’accostamento di due parallelepi-
pedi destinati alle palestre e al teatro e di un cilindro che
determina l’articolazione interna.
La concentrazione di diverse funzioni si riflette, al livello
compositivo, in un linguaggio particolare in cui si alternano
volumi geometrici rigidi e di forme sinuose, come la termi-
nazione delle palestre sovrapposte o la scala elicoidale in-
terna, e tale sperimentalismo è dovuto anche al fatto che
la GIL corrisponde ad una tipologia edilizia del tutto nuova.
All’interno gli spazi si articolano come un flusso ininterrotto
in cui mancano vere e proprie delimitazioni e chiusure, ma
piuttosto gli ambienti si differenziano per scarti, dislivelli, re-
stringimenti e dilatazioni. Tale fluidità è dovuta all’impiego
del cemento armato, ma ciò non impedisce a Moretti di rap-
portarsi con il linguaggio classico attraverso il rivestimento in
travertino della torre e della parete basamentale dell’edificio.
La gestione dello spazio interno è improntata su una grande
permeabilità che produce scorci prospettici mutevoli.
La trasparenza dei prospetti rappresenta l’adozione di un lin-
guaggio diverso che si avvale della lezione del razionalismo
europeo opponendosi alla massività delle superfici della
tradizione architettonica italiana: nel volume delle palestre
diviene mancanza di ogni sorta di tamponamento o infisso,
oppure nel corpo degli uffici trasparenza significa superficie
vetrata, come nella parete che ospita l’ascensore e il copro
della sala che conduce alla torre.
ACCADEMIA DI SCHERMA. L. MORETTI,
1936. Qui Moretti si destreggia con disinvoltura tra lo spi-
rito classicista del modernismo fascista e le istanze europee
di trasparenza e leggerezza.
I due parallelepipedi ben distinti, disposti ad L e connessi da
due passerelle in quota sono uniformati sia al livello di epi-
dermide, trattata come una membrana di masselli in bianco
marmo di Carrara puntigliosamente levigati, sia nell’altezza
della soletta di copertura
Se sul fronte a sud la facciata si impone come una pura ma-
terica parete marmorea, svoltando sul lato ovest la facciata
si anima di una breve ellissoidale, prima di tornare al pacato
ritmo di un ordine di tre file di lunghe e basse bucature. La
chiusura del fronte su strada lascia intuire una opposta gran-
de apertura sul lato della corte.
La palestra, larga 25 metri e larga 45, è sorretta da un’inte-
ressante sistema strutturale a due semi-volte sfalzate sor-
rette da mensole in calcestruzzo armato.

CASA IL GIRASOLE. L. MORETTI, 1950. I pan-


neggi che increspano le pareti laterali della palazzina, in cor-
rispondenza delle camere da letto, catturano i raggi del sole
generando e accentuando variazioni di luce, suggerendo
così a Moretti il nome di Girasole.
La palazzina risulta essere un edificio che tende a differen-
ziarsi dagli altri, discostandosi grazie ad uno stile decisamen-
te moderno rispetto al contesto, pur mantenendo un carat-
tere razionalista. L’architetto per sviluppare l’edificio prende
spunto dal declivio del terreno, giocando su di un’asimme-
tria al livello della facciata d’ingresso elementi dissonanti
come ad esempio una sorta di timpano posto sulla sommità,
o come il basamento di pietra di ampiezza macroscopica-
mente diversa nei due lati.
Il blocco centrale della palazzina è costituito da un grosso
vuoto, lungo tutta l’altezza, su cui si snodano i collegamenti
verticali: uno ad uso pubblico verso l’ingresso del viale e uno
privato sul retro. Questa fenditura viene coperta nei giorni di
pioggia da una volticina mobile in alluminio, che scorre sui
telai di ferro sistemati nella terrazza del superattico, azionata
elettronicamente dalla portineria.
La facciata principale è minuziosamente abbellita con al ba-
samento arretrato in travertino di Tivoli, e la facciata ricoper-
ta di tessere minute di pasta di vetro bianca.
L’edificio è animato da una struttura a telaio in cemento
armato, mentre le tamponature sono in laterizio forato. La
distibuzione dell’edificio è organizzata in quattro piani con
due appartamenti ognuno, solo in sommità abbiamo un solo
appartamento con un attico. Il piano tipo si presenta diviso
in due appartamenti, secondo la direttrice dell’asse della fac-
ciata principale. Sul prospetto frontale affacciano i soggiorni;
sul fianco le camere da letto e sul retro le cucine e un picco-
lo alloggio di servizio.
COMPLESSO PER UFFICI E ABITAZIO-
NI. L. MORETTI, 1953. Il tema sviluppato
quì è quello di un complesso polifunzionale in un
centro storico. Il progetto si compone di quattro
edifici, tutti differenti in termini di altezza e orien-
tamento. L’edificio situato lungo via Rugabella
si sviluppa su tre livelli: il piano terra è adibito a
negozi mentre i livelli superiori sono riservati agli
uffici. Questo edificio sembra fare da basamento
ad un secondo, che si sviluppa su otto livelli, ha
una forma rastremata e aggettante.
La destinazione prevista secondo progetto era
quella residenziale, ma in corso d’opera fu desti-
nato ad uffici.
Un terzo edificio, più interno al lotto e di maggiori
dimensioni, è suddiviso in 12 livelli, rappresenta la
chiusura ideale del comlesso, una sorta di quinta
che si pone trasversalmente alla strada privata in-
terna dell’area.
L’ultimo livello, interamente destinato ad uffici, si
sviluppa su sei livelli.
Il lotto ad andamento triangolare ha influito cer-
tamente sulle scelte tipologiche e morfologiche,
studia le volumetrie in funzione all’esposizione
solare. Contribuiscono al risultato finale di grande
qualità architettonica l’uso dei materiali all’avan-
guardia per il tempo, il curtain wall e le partizioni
interne mobili, che consentono una notevole fles-
sibilità degli ambienti interni.
DISPENSARIO ANTITUBERCOLARE. I. GAR-
DELLA, 1936-37. Il Dispensario appare come un volu-
me puro, caratterizzato da una facciata che rende leggibile
in se stessa tutto l’edificio. Questa si distingue dalle altre,
è arretrata rispetto al filo del solaio e composta da elementi
di diverso colore e materialità che conferiscono al prospetto
diverse profondità e vibrazioni: si passa dall’opacità assoluta
del calcestruzzo armato, alla massima trasparenza del vetro
nelle finestre a nastro alla semitrasparenza del grigliato in
mattoni dei pannelli in vetrocemento. Sulla facciata predo-
mina un forte senso di orizzontalità: la struttura verticale è
assente perchè arretrata rispetto alla parete.
Il piano terra è staccato dal suolo e l’utilizzo del modulo or-
dinatore - 25x35 cm - adottato da Gadrerella per definire
l’interasse tra i pilastri, la loro dimensione, l’ampiezza e la
posizione delle finestre, l’altezza della facciata, le pareti in
vetro-cemento, conferendo così al prospetto un disegno or-
dinato e allo stesso tempo libero di accomodare le esigenze
funzionali, poi smentito da 2,5 cm di tolleranza per far posto
agli infissi.
L’edificiuo è articolato su tre piani: un seminterrato per i ser-
vizi tecnici, un piano terra per le funzioni di accoglienze e
ambulatoriali, un livello superiore in cui si trovano un piccolo
reparto di degenza, gli uffici amministrativi e l’appartamen-
to del custode. Ad ogni piano sono presenti due importanti
spazi interni, la sala d’attesa al piano terra e il solarium al pri-
mo piano, segnati in prospetto, rispettivamente dalla fascia
in vetrocemento e dal grigliato in mattoni a giunti bianchi.

COLONIA ELIOTERAPICA. BBPR, 1937-38.


Capolavoro dell’architettura razionale italiana. L’edificio era
interamente proiettato a soddisfare l’obbiettivo di massima
permeabilità dei raggi solari dovendosi proporre come alter-
nativa urbana alle colonie marittime nella politica sanitaria
promossa dal doverno fascista. Il complesso, dimensionato
su 800 bambini, si articolava su volumi semplici, di bassissi-
mo impatto nel contesto boscato in cui era realizzato.
L’edificio principale si componeva di due corpi, il primo desti-
nato ad ospitare gli spogliatoi, uffici e studi medici, collegato
da due percorsi porticati al grande volume del refettorio e
delle cucine.
Il fronte meridionale, interamente finestrato con serramen-
ti apribili, consentiva la totale fusione tra lo spazio interno
e la natura, garantendo attraverso una struttura solarium in
legno che fungeva da sostegno per ampi tendaggi, la prote-
zione del soleggiamento diretto e delle intemperie.
PROGETTO DI CITTA’ ORIZZONTALE. DIO-
TALLEVI-MARESCOTTI-PAGANO, 1940. Essa è
costituita da un tessuto urbano che ha come sottomultiplo la
casa-unità e che presenta la dimensione di un unitario quar-
tiere residenziale nel quale trovano posto, secondo precise
e necessarie relazioni spaziali e qualitative, le case, i servizi
e le infrastrutture urbane.
Il modello è basato sulla casa popolare aschiera, la definizio-
ne di “città del sole” si riferisce ad un disegno di città la cui
unità costruttiva elementare è la casa a patio, aggregabile
a schiera e progettata secondo il corso del sole, una casa
capace di offrire a chi la abita il benessere della luce e dela
calore del giorno.
L’impianto tipologico della casa-unità, basato su due corpi di
fabbrica che abbracciano il patio, attribuisce alla casa l’attri-
buto dell’ampliabilità.
La città orizzontale si oresenta con una struttura compatta e
raccolta intorno al centro, che contiene tanto l’edificio alto di
una casa albergo quanto altri servizi collettivi.
CASA FAMIGLIA CRISTIANA. C. CATTANEO,
1942. Qui Cattaneo cerca di realizzare il progetto più am-
bizioso della sua attività professionale: tradurre in una casa
d’abitazione i presupposti per la vita coerente di una famiglia
cristiana; se la famiglia è il principio della società, oltre alla
casa ideale è la chiesa della famiglia, chiesa domestica.
Il progetto si configura in quattro soluzioni alternative, svilup-
pate in funzione delle differenti classi sociali di appartenenza
della famiglia. Il programma nel tempo si basa sul concetto
di fondo che una vera famiglia deba caratterizzarsi in una
adeguata discendenza e che di generazione in generazionbe
uno degli eredi subentri al fondatore abitando la sua casa.
Pertanto la durata dei manufatti della casa dipende dalla loro
funzione e dalla possibilità di coinsentire alla casa di mutare
negli anni. Unica parte dell’edificio che deve rimanere im-
mutata è la sala della famiglia, il fulcro di tutta l’abitazione.
Conformazione centripeta della pianta che cresce man mano
che cresce il nucleo familare.
LE CORBUSIER_pt. 2
Le Corbusier aveva già concepito la loro architetturaresiden-
ziale della seconda metà degli anni Venti come un elemento
dotato di forti legami con l’ambiente naturale. Ora, a partire
da questa casa di vacanze progettata per Errazuriz prese a
considerare la sua opera come architettura emergente da
paesaggi di proporzioni titaniche. Sebbene avesse usato
precedentemente muri trasversali portanti, non aveva mai
sfruttato le qualità espressive di murature in pietra appena
sbozzata.
Questa rottura con l’estetica del Purismo coincide con quel
momento della carriera di Le Corbusier in cui comincia a
vacillare la sua fiducia negli sviluppi inevitabilmente positi-
vi della civiltà della macchina. Da questo momento in poi,
egli era ormai disilluso dalla realtà industriale e sempre più
influenzato dal brutalismo del pittore Fernand Lèger. Da una
parte fece ritorno ad un linguaggio vernacolare e da un’altra
parte aderì al monumentalismo di grandeur classica.
In molti saggi dell’architettura spontanea precedenti a Ron-
champ, la lontananza del luogo stesso diventava la ragione
effettiva del modo di costruire. L’esempio più spinto di ciò
è costituito dalla casa estremamente economica a Mathes,
che fu costruita sulla base dei disegni senza che l’architetto
visitasse il luogo.
La stessa giustificazione, fondata sulla ristrettezza dei mezzi
economici, potrebbe essere avanzata per le case Errazuriz e
de Mandrot, ma difficilmente si potrebbe applicare alla casa
per Weekend costruita nei sobborghi di Parigi, quì si ha una
consapevole adesione dell’architettura spontanea. D’ora in
poi, la giustapposizione di materiali contrastanti divenne un
aspetto essenziale dello stile di Le Corbusier, non soltanto
come gamma della sua espressività, ma anche come stru-
mento del suo modo di costruire.
Questo spostamento verso materiali naturali e metodi co-
struttivi primitivi ebbe delle conseguenze che andarono oltre
alla pura trasformazione della tecnologia e dello stile superfi-
ciale di facciata. Ciò significò l’abbandono dell’involucro clas-
sico, che era stato usato nelle ville della seconda metà degli
anni Venti, in favore di una architettura fondata sulla forza
espressiva di un singolo elemento architettonico.
UNITE’ D’HABITATION DI MARSIGLIA. LE incastro, senza toccarsi l’una con l’altra e, con speciali accor-
CORBUSIER, 1947-52. A Marsiglia, in seguito all’inca- gimenti tecnici, realizzzando il loro più completo isolamento.
rico ricevuto dal Ministero della Ricostruzione, convergono Distributivamente la cellula non è più concepita come un
per la prima volta motivi fino a quel momento rimasti separa- sistema di camere, ma come un unitario ambiente diver-
ti nel lavoro di Le Corbusier: l’idea dell’edificio comunitario, salmente articolato, la separazione dei suoi ambienti interni
potenzialmente “autosufficente”, che rimandava all’imma- sono concepiti con una tale fluidità spaziale da presentare
gine che lo aveva ossessionato fino dagli anni dieci sotto una complementarietà di ciascun ambiente con gli altri, la
forma di transatlantico. separazione avviene con bassi elementi di arredo, spazi a
La struttura portante in cemento armato si eleva su una va- doppia altezza e divisori mobili.
sta piattaforma, definita dall’autore sol artificiel, tanto alta da
contenere gli impianti ispezionabili e poggiante su 17 coppie Il Terzo Fattore, la loggia brise-soleil. A parte le zone speciali
di pilastri che si rastremano verso il basso e cavi per allog- dell’edificio Le Corbusier concepisce una grande sovrastrut-
giare le canalizzazioni. Ci sono 23 tipi diversi di alloggi che tura tridimanesionale a griglia, con balaustre in cemento che
formano in totale 337 appartamenti; il settimo ed ottavo pia- costituiscono il brise-soleil per gli ambienti sottostanti, con
no sono occupati per oltre la metà dalla superficie dai servizi la loro diversa disposizione in altezza indicano l’articolazio-
collettivi, dalla galleria dei negozi di prima necessità ad un ne dgli spazi interni, poichè uno dei due solai della cellula è
albergo per ospiti e altri alloggi aperti sulla testata sud. arretrato rispetto al filo della facciata si ha che ogni cellula
Il tetto-giardino comprende diverse attrezzature - l’asilo nido, presenta un solo terrazzo per lato, il cui vano è di altezza
la palestra, il bar con il solarium, la piscina dei piccoli, il loro semplice quando da quel lato prospetta la zona delle camere
angolo dei giochi, i volumi puristi degli impianti, ecc. da letto e di altezza doppia quando sullo stesso lato pro-
I collegamenti verticali sono affidati a tre gruppi di scale spetta la zona del pranzo-soggiorno; ed essendo gli alloggi
aventi ogniuno una serie di ascensori, mentre quelli oriz- ad incastro ad ogni vano doppio succede verticalmente un
zontali sono affidati a delle strade interne disposte al centro vano semplice; cossichè la teoria delle balaustre si presenta
dell’Unità. con un ritmo alternato. Ad accentuare poi la varietà di questa
L’Unitè è una grande fabbrica con parti altamente specia- struttura alveolare contribuisce la colorazione “disordinata”,
lizzate al fine di realizzare quell’ideale di casa collettiva ed ma affidata a poche tinte basilari, dalle pareti interne di cia-
autosufficente, risalente a tutta la tradizione dei riformato- scun terrazzo.
ri utopistici; ci sono tre parti fondamentali che descrivono
l’Unité: la struttura portante principale, la conformazione e L’obbiettivo ricercato per anni da Le Corbusier, ovvero l’idea
l’articolazione delle cellule, la griglia tridimensionale esterna diun’architettura mirante a farsi urbanistica. L’unitè d’habi-
delle loggie brise-soleil. tation conclude il ciclo della tendenza razionalista ed apre
quello della poetica delle grandi dimensioni, dell’architettura
Il Primo Fattore, la grande ossatura in cemento armato, in- che apparve più idonea alla cultura di massa.
carna una delle due famiglie morfologiche adottate da Le
Corbusier, ossia quell’impianto ortogonale di ispirazione
classica, cartesiana, configurata in base ai tracciati regolato-
ri. Alla famiglia delle forme libere o derivate dall’esperienza
della pitura e scultura purista, appartengono le forme plasti-
che dei pilotis, del suolo artificiale e delle attrezzature dispo-
ste sul piano di copertura. La struttura però rimane nascosta
dietro il sistema di facciata con i terrazzi e il bris-soleil, l’unico
punto in cue emerge è il basamento con il suolo artificiale.

Il Secondo Fattore, le cellule abitative e la loro articolazione.


La cellula abitativa base si sviluppa su due piani di diver-
sa grandezza; quello minore è destinato alla zona giorno, e
quello maggiore che occupa l’intera profondità del copro di
fabbrica, realizza la doppia esposizione con aperture ad est
e ad ovest, contiene le camere da letto. Data la diversa pro-
fondità dei due piani, ogni cellula si incastra con un’altra in
maniera complementare, la coppia impegna così l’altezza di
tre piani. Nel piano intermedio, al centro delle cellule, corre
la strada interna di distribuzione per gli alloggi; dalla zona del
pranzo si sale al piano delle camere da letto e in quello oppo-
sto dalla zona giorno si scende verso la zona notte. All’inter-
no di ciascuna cellula il solaio del piano superiore è arretrato
rispetto alla parete esterna, cossichè da esso ci si affaccia
sulla zxona inferiore che risulta alta quanto due piani.
Alla base del programma dell’edificio c’è un assunto ideolo-
gico: “Libertà individuale in un’organizzazione collettiva. La
nostra civiltà è basata su questo principio e l’Unité d’habita-
tion anche.” Alloggi unitari completamente distinti, le cellule
infatti, hanno una propria autonomia strutturale vìbasata su
una struttura metallica, si inseriscono nella maglia principale
in cemento armato quasi come una semplice operazione di
CHANDIGARH. LE CORBUSIER, 1950-61. Un
approccio un pò più di natura cartesiana informa il progetto
per Chandigarh, la nuova capitale amministrativa del Punjab.
Dal momento che il terreno era piano, la disposizione dei
monumenti era stata determinata dalla sovrapposizione di
una griglia di dimensioni conformi.
La composizione del parco del Campidolgio, immenso
com’è, era stata controllata fino al centimetro ijn tutte le sue
dimensioni sia nel complesso che nei particolari. Tali sono
gli strumenti, la potenza e gli obbiettivi dell’arte dell’esatta
proporzione.
Chandigarh perveina a un’espressione monumentale senza
fare diretto riferimento al repertorio formaletradizionale del
classicismo occidentale. Gli straordinari profili dei suoi tre
monumenti avevano origine, in prima istanza, da una rispo-
sta diretta alle caratteristiche del clima; Le Corbusier fece
proprio il concetto tradizionale di parasole, usandolo come
accorgimento monumentale di codificazione da variare da
un’edificio ad un’altro. Servendosi di questa forma a con-
chiglia sia come un preludio o una costante o come una do-
minante, egli riuscì a suggerire il carattere e il rango di ogni
istituzione. Gli indefinibili profili di queste forme a guscio
derivano in parte dalla fauna e dal paesaggio della regione.
L’intenzione evidente era quella di rappresentare un’identità
indiana moderna che fosse immune da qualsiasi associazio-
ne con il precedente passato coloniale.
Nello stesso tempo, la scala gigantesca del Campidoglio lo
privava di quelle qualità che aveva il temenos del Campi-
dolgio. All’interno del temenos, dove ci vlevano più di venti
minuti per andare a piedi dal Palazzo del Segretariato all’Alta
Corte, la presenza dell’uomo è più metafisica che reale; l’e-
redità neoclassica di Le Corbusier era così emersa per evo-
care il paesaggio del genere terribile: gli edifici rappresen-
tativi dei “tre poteri” - l’Alta Corte, l’Assemblea e il Palazzo
del Segretariato - non erano messi in relazione, come nell’A-
cropoli, dalla configurazione del luogo, ma piuttosto di stratti
angoli visivi, che sfumavano attraverso grandi distanze, uno
scorcio progressivo, in cui i soli limiti sembravano consistere
nelle montagne all’orizzonte.
La realizzazione di Chandigarh difficilmente può essere se-
parata dalle aspirazioni politiche dell’India al tempo della sua
indipendenza, infatti Chandigarh era più che la capitale del
Punjab: era il simbolo della Nuova India. Essa sintetizzava
l’idea di un moderno stato industriale, il destino utopico che
Nehru aveva immaginato per l’India, in completa opposizio-
ne con il volere di Gandhi.
Ma Chandigarh era una città progettata per le automobili in
un paese dove molti ancora oggi non hanno neanche la bi-
cicletta.
MAISONS JAOUL. LE CORBUSIER, 1952.
Come doveva chiarire James Stirling, il progetto costituiva
un affronto per quel tipo di sensibilità che era stato nutrito
nel mito che l’architettura moderna dovesse manifestarsi
sotto forma di superfici piane, levigate, fatte a macchina,
disposte entro un’ossatura strutturale articolata. Lo scoprire
che questo complesso era stato costruito da operai algerini
la cui unica attrezzatura consisteva di scale a pioli, martelli
e chiodi, e che, fatta eccezione per il vetro, non erano stati
utilizzati materiali sintetici costituiva motivo di fastidio.
Il livello tecnologico pressocchè medioevale era sufficente
per regolare quest’opera nell’ambito dell’arte per l’arte. Tut-
tavia l’irrazionalità di Le Corbusier andò oltre l’applicazione
anacronitica, purchè vantaggiosa, della volta catalana o della
muratura in matoni a vista e del calcestruzzo con l’impronta
dei casseri in legno. Le colonne d’acqua in calcestruzzo, le
strette aperture dei muri trasversali e le campate tra le tra-
vi, in gran parte riempite con pannelli di legno compensato,
contribuivano a creare l’impressione di un atteggiamento
deliberatamente ostile al mondo esterno.
La finestra tipo non era più quella en longueur, attraverso la
quale guardare fuori, ma piuttosto un infisso incorniciato e
rivestito di pannelli.
Al posto della forma purista, le Maisons Jaoul presentano
una realtà tattile ben lontana dalle visioni utopiche dei tardi
anni Venti, un pragmatismo che era ormai pronto ad accetta-
re le contradizioni e i disordini dei suburbi.
Il progetto costituiva una reinterpretazione monumentale di
un linguaggio spontaneo mediterraneo, il cui effetto deriva-
va tanto dalla solennità introspettiva quanto dalla scala.
CAPPELLA DI RONCHAMP. LE CORBUSIER,
1950. La sua prima chiesa, uno straordinario capolavoro,
un edificio che scardina tutti i criteri consolidati circa la for-
malizzazione di uno spazio sacro e la cappella di pellegrinag-
gio.
Già a vedere la pianta ci si rende conto che si è di fronte a
qualcosa di estremamente nuovo. Un unico ambiente, o na-
vata, perfettamente orientata in modo canonico - est,ovest
- i due fornti in realtà però sono muti, mentre nella chiesa
tradizionale impone un igresso sul fronte occidentale e una
terminazione absidale ad est, impone la chiusura di questi
due fronti e apre due ingressi secondari concepiti come pun-
ti di discontinuità in un volume che assume una forma di un
crostaceo.
Piano pilotis scomparso, facciata libera inesistente, ossatura
a telaio non c’è, qui si lavora con l’estetica del muro, di un
muro tradotto in forme e dimensioni quasi megalitiche, in
pianta si vede il muro con le ampie strombature che sono
delle strette feritoie che la fa sembrare quasi la muratura di
una fortezza; l’intonaco non è più liscio ma grezzo.
Il muro, oltre che essere di notevole spessore, è scarpato
e aumenta di ampiezza man mano che si prosegue dall’alto
verso il basso e anche inclinato, dall’esterno verso l’interno,
come per accogliere una copertura che nell’estetica di Le
Corbusier è assolutamente nuova, sembra quasi una tenda
che si adagia sulle mura e fissata a degli invisibili ganci che
la rimandano alle forme di una tensostruttura, qualcuno ha
visto su questa copertura un rimando a quella del Padiglione
dei Tempi Nuovi, ma in beton brut.
I punti di discontinuità dell’involucro murario segnano anche
la posizione delle diverse cappelle, servite ciascuna da un al-
tare, e sormontate ciascuna da una semicupola, gli elementi
che costituisciono le emergenze; in più le bucature seguono
un ordine e una dimensione casuale, per dare all’interno ef-
fetti di luce variati, sulla copertura il taglio è visto come uno
squarcio di esa, e la copertura all’interno si inflette come se
si trattasse di una tenda.
Il pavimento è in leggera pendenza verso l’altare, lasciando
invece in piano la parte con i sedili per i fedeli.
Ronchamp è la prima delle tre chiese realizzate da Le Corbu-
sier in questo periodo.
CONVENTO LA TOURETTE. LE CORBUSIER, tis, un piano astratto orizzontale e riproposto la stessa
1957. Il padre priore di questa comunità di frati fran- organizzazione.
cescani ammira profondamente Le Corbusier, coglie il Le lastre di vetro delle bocche di luce, quelle che dan-
senso della poetica lecorbuseriena, pochi materiali, po- no il colore all’interno degli altari, sono pitturate sul
chi mezzi, spazi austeri, primato dell’idea sulla forma, cemento grezzo con i colori scelti da Le Corbusier, il
lo chiama a realizzare il progetto per il convento. vetro è semplicemente poggiato con dello stucco su
Come ogni altro convento si compone di refettorio, cel- di una cornice in cemento, un sistema semplicissimo.
le per i frati, foresteria, biblioteca e chiesa con annesse
sacrestie. Predilezione per gli spazi stretti e oblinghi,
per dare corpo e spessore ai singoli corpi di fabbrica;
all’interno troviamo un chiostro che non è pripriamente
un chiostro perchè resecato da percorsi in quota che
dividono lo spazio in specchiature verdi. Ricompare il
brise-soleil, dove ogni campata corrisponde allo spazio
della cella monastica, ma quello che colpisce è il rap-
porto con il suolo.
Rapporto che fornisce non poche indicazioni verso il
metdodo di Le Corbusier in questo periodo della sua
attività, il convento sorge su un pendio piuttosto pro-
nunciato, non solo, oltre che essere in pendio, secon-
do l’asse parallelo all’asse della chiesa, ma è anche in
declivio in senso trasversale, un sito molto comples-
so dal punto di vista della morfologia; molti architetti
avrebbero cercato un rapporto forte con il carattere
della morfologia, Le Corbusier se ne frega e solleva
l’intero convento su pilotis opponendo al volume rigi-
do, chiuso, quasi ermetico e a tutt’altezza dlla chiesa,
l’orizzontalità dei corpi che occupano i tre lati rimanen-
ti, come ad aver preso l’organizzazione della Certosa di
Ema, riportando ad una quota artificiale, grazie ai pilo-
CASA DELLA GIOVENTU’. LE CORBUSIER,
1960. Il sindaco di Firminy decide di legare il proprio
sindacato ad un ambizioso piano di ammodernamento
della città, sede di industrie siderurgiche e contornata
da numerose miniere, il sindaco dirà di voler realizzare
una città verde a margine della città nera, e affida l’in-
carico a Le Corbusier.
Piano piuttosto complesso che nasce con l’ambizione
di realizzare una grande Unitè d’habitation, realizzata,
più uno stadio di calcio, vari campi sportivi, vari teatri,
cioè un grande foro per l’intrattenimento e la cultura,
tra queste una Casa della Gioventù e una Chiesa.
La Casa della Gioventù è un edificio assolutamente
nuovo nella produzione di Le Corbusier, solamente la
sezione sembra quasi un prolungamento di quel mo-
tivo che ricorre ormai da Ronchamp, cioè quello della
vela adagiata tra due sostegni, in più introduce la novi-
tà del fronte inclinato verso l’alto, in cui ricava le loggie
degli alloggi degli studenti. Una facciata che, data la
sua inclinazione, funge anche da tettoia e che sovverte
il concetto stesso di fronte di un edificio.
La stessa Chiesa realizzata ha uno sviluppo piramidale
conica con le punte stondate, che come nel caso di
Ronchap che La Tourette, dà il meglio di se all’interno,
dove grazie alla foratura della calotta, che ricorda an-
che alcune cose di Boullè, offre di questo spazio un’im-
magine che reinterpreta in concetto di volta.
NUOVO OSPEDALE DI VENEZIA. LE CORBU-
SIER, 1964. L’ospedale doveva sorgere nell’area di
San Giorgio, subito alla destra del punte che collega la
terraferma con Venezia. Il problema di edificare un’o-
spedale civile a Venezia è un problema enorme, non è
un caso che Le Corbusier ipiega tre mesi per mettere a
punto solo l’idea. Le cose più belle su questo progetto
le ha scritte Bruno Zevi.
Già guardando il plastico ci si rende conto del talento
del maestro nel calibrare il rapporto tra i pieni e i vuoti,
nel calibrare le dimensioni, i tagli, l’articolazione del-
le corti, e soprattutto il fonte sfangiato che arriva sul
mare con una delicatezza tale, occupando un’altezza
di 2.7 metri.
Idati di programma che gli consentono di mettere in-
sieme il progetto sono:
1. la sequenza degli spazi chiusi riconducibili ai patii
e alle piccole corti su cui insistono gli edifici civili di
Venezia;
2. l’altezza, per non alterare lo skyline di Venezia che
la definiscono nella sua identità storica, Le Corbusier
individua due dimensioni, l’una di 2.7 metri destinata ai
corpi sfrangiati che si adagiano sull’acqua, sospesi su
pilotis, recuperando l’abitato primordiale della laguna,
e aumentando progressivamente l’altezza verso l’inter-
no, verso l’attacco con il tesuto esistente su tre livelli,
2.7 x 3. Come far funzionare un sistema di questi tipo,
ad esempio sugli affacci, dovendo limitare le dimen-
sioni in altezza l’unico modo per assicurare la luce ne-
gli ambienti interni era quela di farla venire dall’alto, e
quindi immagina di collocare tutte le stanze di degenza
all’ultimo piano;
3. un tessuto di questo tipo che si articola un pò come
un “tartan” deve presupporre un certo equilibrio
nel’offerta degli spazi di degenza e quindi Le Corbusier
impone alla committenza che questo ospedale non di-
stingua i pazienti in base al loro portafogli, perchè Le
Corbusier impone soprattutto una riflessione cioè che
di fronte alla malattia siamo tutti uguali, e quindi pro-
getta un’unica stanza di degenza per tutti.
Semplifica sul piano tipologico la struttura distributiva,
mette a punto un sistema di illuminazione dall’alto, so-
spende il tutto su pilotis, e fa si che i fronti, in un siste-
ma così esiguop in altezza e così dilatato sull’orizzon-
te, non esistano più essendo questo un progetto con
fronti muti, poichè le stanze prendono luce dall’alto e i
corpi più bassi dalle chiostrine.
Bruno Zevi, di fronte a questo progetto, lui accanito so-
stenitore dell’architettura organica e di Wright, dirà di
fronte a questo progetto, “Un’enorme ed inarrivabile
talento”.
MIES VAN DER ROHE_pt. 2
Tra il 1933 e i primi anni Cinquanta, l’opera di Mies doveva REICHSBANK. M. VAN DER ROHE, 1933. Il pro-
oscillare tra simmetria e asimmetria, tra tecnica come in- getto di Mies per il concorso della Reichsbank costituì l’ini-
venzione e monumentalizzazione della tecnica come forma. zio di una trasformazione nella sua opera, che si spostava da
Questo cambiamento di espressione si verificava no soltan- un’asimmetria informale ad una monumentalitò simmetrica.
to da un edificio a quello successivo, ma anche all’interno di Questo spostamento in direzione del monumentale culminò
una stessa costruzione. nello sviluppo di un metodo costruttivo altamente razionaliz-
L’evoluzione di Mies dopo la metà degli anni trenta lo im- zato. Il progetto per la Reichsbank alludeva a questo futuro
pegnò nella riconciliazione di due opposti sistemi. Un polo sviluppo in più di un modo, dal momento che istituiva una
era costituito dall’eredità del Classicismo romantico tradotto preferenza non soltanto per la simmetria, ma anche per una
nella struttura a scheletro d’acciaio, puntava nella direzio- certa strutturalità che tendeva a distaccarsi dagli effetti spa-
ne della dematerializzazione dell’architettura, della trasfor- ziali dinamici della precedente carriera di Mies.
mazione della forma architettonica in piani mobili sospesi Il progetto per la Reichsbank non fu semplicemente un ritor-
in uno spazio diafano: l’immagine del Suprematismo. L’altro no a Schinkel, che aveva sempre costituito un’influenza la-
polo era rappresentato dall’autorità dell’archtettura trabeata, tente; era piuttosto un ritorno agli strutturalismi dell’edificio
ereditata dal mondo antico, gli implacabili elementi costitu- per uffici in calcestruzzo di Mies.
itivi da tetto, trave, colonna e muro. Mies cercò constante-
mente sia la trasparenza che la corposità. Nei confronti del
vetro, che egli usava in modo tale da rendere possibile la
sua trasformazione, a seconda della luce, dall’aspetto di una
superficie riflettente alla dissoluzione della superficie in una
pura trasparenza: da una parte il fantasma del nulla, dall’altra
parte un’evidente esigenza di sostegno.
Come direttore del dipartimento di architettura dell’IIT, Mies
ebbe tante occasioni di sviluppare una scuola di architettura
nel senso più vasto del termine e di produrre una cultura
architettonica semplice, logica, suscettibile di perfeziona-
mento e aperta, in linea di principio, all’utilizzazione ottima-
le della tecnica industriale. Sfortunatamente, egli non potè
trasmettere con uguale forza quella sensibilità propia degli
Schinkelschuler, che era la sua seconda natura. I seguaci di
Mies non sono stati in grado di recepire la sua delicata sen-
sibilità, quel senso per l’esatto proporzionamento dei profili
che, da solo, grantiva la sua padronanza della forma.
CAMPUS IIT. M. VAN DER ROHE, 1939-55. Ar- di Barcellona, nonostante l’ordine simmetrico si distingue
rivato in America Mies metterà a punto un linguaggio e una ancora un iteresse nella composizione per il Suprematismo
tecnica che non hanno più nulla a che fare con le sue espe- russo. Volumi che si fronteggiano parzialmente, per cingere
rienze precedenti. solo in parte degli spazi caratterizzanti, come le corti; la ve-
Il primo incarico a Chicago è presso l’IIT che gli affida l’in- getazione sono presenti secondo un ordine casuale, non c’è
carico per la realizzazione del nuovo Campus, con le sedi nessuna volontà di fare del disegno del verde un disegno
delle diverse facoltà, la biblioteca, la mensa, le residenze e formalizzato.
gli uffici. L’intento di Mies è di saldare l’area creando un’u- La pianta definitiva presenta delle differenze, compaiono
nico spazio dove collocare gli edifici dell’IIT, un progetto che diversi blocchi privilegiando l’uso dei blocchi in aree che in-
non troverà corso per l’impossibilità di eliminare una strada sistono su parti utilizzate a verde e perfettamente delimita-
e quindi il progetto subirà una serie di modifiche, forse però te da una maglia viaria netta, che delimita l’organizzazione
il primo progetto, con l’ipotesi di mantenere solo uno degli interna del Campus. Secondo Hilbersaimer, grande amico e
assi viarii presenti, cancellando l’altro era in effetti il progetto sostenitore di Mies, afferma che il primo edificio fatto e mai
migliore. realizzato da Mies, il Library and Administration Building, era
Dal disegno il parter è caratterizzato da un reticolo, che altri l’edificio migliore di questo campus.
non è che il modulo base che dimensiona l’intera area, que-
sto modulo è circa 7.3 metri, una misura che Mies ricava dal-
le dimensioni standard dell’aula universitaria standard, parte
dalle dimensioni dell’area e ne fa il modulo organizzativo di
tutta l’area, e individua anche dei sottomultipli utili per le
campate strutturali, sia degli interpiani, che sono la metà del
modulo, 3.6 metri.
La disposizione dei volumi_Compare un ordine marcata-
mente simmetrico dei volumi, il tutto impostato secondo un
asse, che è quello della strada, ma una simmetria corrotta,
a parte i quattro volumi a barra che marcano gli ingressi,
gli altri presentano delle differenze tra di loro. I volumi tra
loro risultano un pò slittati, l’estetica è quella del padiglione
Library and Administration Building. La pianta più o Materials and Metals Research Building. Un edificio
meno dimensionata secondo le proporioni auree, campata nella norma, senza grandi qualità. L’esito deludente è legato
rettanfgolare, pianta rigorosamente simmetrica e assializza- in parte anche alle severe norme anti incendio americane,
ta incardinata su due episodi, cioè la corte centrale trattata a che gli impedirono anche di realizzare la Library come l’ave-
verde e la biblioteca vera e propria; in più sulle ali le funzioni va immaginata, le norme impongono di annegare la trave di
accessorie, una grande hall di ingresso fiancheggiata dalla acciaio nel calcestruzzo, sia le travi che soprattutto i pilastri.
pilastratura, e la testata terminale dove c’è la sala di lettura. L’unico elemento di interesse di questo edificio, che presen-
In questa pèianta possiamo cogliere due aspetti che in realtà ta anche diverse sgramaticature, è la trave orizzontale an-
sono presenti in tutta l’architettura contemporanea, cioè le negato nel cordolo in calcestruzzo, all’esterno si manifesta
architetture centripete e centrifughe, rispettivamente Wri- con due L saldate in punta che sono i fascioni in acciaio su
ght e Palladio, in questa pianta non è possibile distinguere cui Mies monta la finestratura, questa relazione tra i profili in
l’uno o l’altro intento, ci lascia indecisi; il carattere centripeto acciaio in prossimità dei solai e finestrature sarà un’altro dei
è legato a quei due grandi episodi, e quello centrifugo è dato temi nella sua attività progettuale.
dalle dimensioni e dalle specchiature vetrate.
Fatto di notevole importanza è che sulle testate i tampona-
menti sono collocati tra i pilastri, mentre sui fianchi i tampo-
namenti sono al di là dei pilastri. Nella sezione trasversale
si vede la volontà di Mies di utilizzare lo stesso trattamento
per gli esterni e per gli interni, mattone faccia-vista; la forma
della libreria lo obbliga ad avere una diversa giacitura delle
travi primarie e secondarie, ed è per questo che Mies dive-
rifica i fronti; La trave maestra si rivela sul fianco, mentre è
dissimulata in facciata perchè gli si sovrappone la finestra-
tura.
Importantissimo in questo edificio è il trattamento d’angolo
che Mies fa, l’agolo testimonia la sua ascendenza classica,
per la riflessione di come i materiali concorrano nel nodo
d’angolo come facevano gli architetti classici. Mies allega
nella tavola iniziale la soluzione d’angolo, che è il manifesto
della sua architettura, quì l’architettura è intesa come “for-
ma-struttura”, in Mies queste due si integrano, rendendo
particolarmente difficile capire dove inizia la prima per lasciar
posto alla seconda, Mies ragiona simultaneamente sia in
termini formali che strutturali, questa è la sua grandezza, un
processo logico pienamente logico e giustificato.
Allega anche l’attacco tra le travi secondarie con la primaria
e il modo in cui si realizzano i muri di tamponamento, mon-
tati sull’ala inferiore del doppio T e le murature opportunata-
mente distaccate dal profilo; il rapporto tra tamponamento
e ossatura sarà un tema che svilupperà piano piano raggiun-
gendo livelli di sofisticatezza molto avanzati.
Alumni Memorial Hall. In quest’opera Mies inizia a dar
prova di come dominare tutti i problemi imposti dalle norme.
La soluzione d’angolo è un capolavoro, come riusciamo a
scorgere l’essenza strutturale di questo edificio?, se noi
guardiamo i prospetti che idea potremmo farci circa la distri-
buzione dell’orditura primaria dei pilastri e delle travi?, non
è facile capirlo, noi siamo indotti a credere che la campata
strutturale sia quella marcata dai montanti, che però segna-
no un ritmo piuttosto diversificato, per giunta su una pianta
piuttosto semplice.
In dettaglio vediamo che quella che noi percepiamo come
orditura strutturale in realtà è un involucro che segue un rit-
mo che è la metà della campata strutturale, Mies ci svela
nell’angolo l’anima costruttiva di questo edificio, dove vo-
lutamente scopre il pilastro - il profilo è l’HE affogato nel
calcestruzzo e foderato da un profilo ad L - sugli assi di
quel pilastro Mies aggiounge due profili a doppio T, in asse,
opportunamente saldati e molati, su un fronte collega un
profilo a T che fa da elemento a cui aggiunge due spezzoni
di mattoni che gli servono per creare un’ombra o giunto tra
la pannellatura a filo; il sostegno intermedio di questa tam-
ponatura, con la saldatura di un elemento a doppio T e due
elementi a T crea un pilastro cruciforme (che ricorda quello
del Padiglione di Barcellona), anch’esso complanare con la
pannellatura di mattoni.
L’oditura non ci è rivelata immediatamente, ma ci è fatta
capire in modo più attento, prima bisogna capire la logica
dell’edificio e poi si va a guardare nel dettaglio per compren-
dere definitivamente di come sia realizzata la struttura. Mies
diceva che una buona architettura si può fare anche con
un’attenta prefabbricazione.
Cappella dell’IIT. Di fronte al tema dello spazio sacro Crawn Hall. Questo edificio è stato spesso paragonato
Mies nonsi tira indietro e non rinnega il percorso intrapreso all’Altesh Museum, quì si ritiene , secondo molti, sopravvi-
e inizia ad introdurre cupole o volte, forme che possono indi- vano le ceneri di Schinkel.
care una realizzazione riferibile al sacro. La Cappella segue la Elementi caratteristici della prosuzione di questa fase sono
stessa logica con cui realizza tutte le altre sue opere. ad esempio, l’aver sollevato questo grande edificio da terra,
Lo spazio interno, e sacro, non ha bisogno di mura che sug- un accesso monumentale certificato dalla presenza di una
geriscano l’introspezione mistica e il rapporto con la fede, vasta piattaforma all’ingresso, che sancisce quasi la nobiltà
per lui il volume è neutro, è solo un contenitore, il resto lo fa di questo edificio, lo eleva al rango di edificio pubblico e me-
il fedele con i rapporti con Dio. ritevole di accorgimenti.
La struttura primaria è staccata dagli angoli di due moduli,
esattamente come nella Convention Hall, quindi quel pro-
getto non resta lettera morta, lì sperimenta alcuni dettagli e
soluzioni che metterà in pratica quì. La struttura secondaria
integra le vetrate, come nei Lake Shore Drive Apartments,
la novità sta nelle travi maestre che sono estradossate, il
vantaggio di una tale disposizione sta, intanto nel marcare
in termini formali la monumentalità di questo edificio, raf-
forzare la simmetria, ma l’altro vantaggio è avere un soffitto
piano, senza particolari problemi di ingombro delle travi, at-
taccando la finestratura direttamente sulla soletta di coper-
tura, che comporta dei notevoli vantaggi - se le travi fossero
intradossate, per trasparenza, le avremmo viste e in qualche
modo avrebbe dovuto celarle con una controsoffittatura e
mettendo così in crisi anche la finestratura che invece così
si esibisce con spessori limitati e costanti su un passo con-
siderevole. Ricorre il tema della grande luce, su cui ormai
lavora da tanto, uno spazio idealmente illimitato, del tutto
privo di ingombri e disponibile per gli usi più diversi, e una
struttura posizionata lungo il perimetro; ricorrono alcune so-
luzioni, ad esempio il trattamento dell’angolo, che avevamo
già visto nel trattamento della Library and Administration
Building, solo che quì manca il pilastro annegato e rivelando
la sua presenza, quì non c’è e diventa semplicemente un
artificio per marcare l’angolo e separando i fronti, e così, fa-
cendone da punto di discontinuità.
Il controsoffitto ha una gola, che è diventata una soluzione
da manuale, utilizzata l’imbocco dell’aria condizionata, le luci
invece sono a filo o raso, e montate rigorosamente lungo
l’asse maggiore. Creando, con la gola, un effetto di soffitto
sospeso, quasi fosse un tessuto sospeso.
In comune con l’Altesh ha, i montanti verticali che lo richia-
mano nelle proporzioni, ma l’intero edificio è studiato nelle
proporzioni con una cura maniacale, edificio progettato al
millimetro, anche se in forme razionalizzate richiama molto
la logica e le proporzioni che governano l’Altesh.
CASA FARNSWORTH. M. VAN DER ROHE,
1946-50. In termini di architettura per la residenza, il tipo
doveva essere fissato per la prima volta nella casa progetta-
ta per Edith Farnswort realizzata a Plano, Illinois.
Qui una casa, costituita da un unico volume di 23 x 9 me-
tri, era inserita tra le solette del pavimento e del tetto, ed
era sopraelevata di circa 1,5 metri rispetto alla linea di terra,
mentre all’esterno una serie di pilastri era disposta alla di-
stanza di 6,7 metri. La scatola che ne risultava era racchiusa
da un involucro di lastre di cristallo, l’apoteosi dell’espressio-
ne di Mies, Less is More, in Meno è Più.
Unìevidente asimmetria, derivante in parte dal Supremati-
smo, era qui perfettamente bilanciata dalla simmetria della
tradizione degli Scinkelschuler. Così la piattaforma di ingres-
so si protendeva oltre la base della casa come una superficie
piana sostenuta da sei pilastri, in contrasto con un volume
prismatico sostenuto da otto colonne. Nonostante la sua di-
mensione limitata, ciò significa elevare la casa al rango di
monumento.
Il podio, i gradini, la terrazza e il pavimento stesso erano tutti
rivestiti in travertino. Gli elementi di acciaio a vista erano
verniciati a spruzzo di bianco, dopo essere stai molati per
eliminare tutte le linee di saldatura. Alle finestre vi erano
tende candide in seta bianca naturale.
Non sorprende il fatto che l’eccessivo costo della casa por-
tasse a una rottura tra Mies e la signorina Farnsworth. Dive-
nurta oggi la casa per weekend di un milionario sempre as-
sente, come un qualche tempio scintoista ben conservato,
ma per il resto, del tutto dimenticato.
LAKE SHORE DRIVE APARTMENTS. M. VAN
DER ROHE, 1948-51. Gli appartamenti riprendevano
le cucine, la stanza da bagno e i nuclei d’accesso agli ap-
partamenti della Weissenhofsiedlung di Mies del 1927, e
li concentravano attorno a due ascensori al centro di una
sottile lamella.
In questa disposizione, l’accesso si apriva attraverso una
zona di servizio che comprendeva le cucine e le stanze da
bagno, verso uno spazio di soggiorno continuo, che si svol-
geva attorno al perimetro e che poteva essere suddiviso
secondo le varie esigenze in diverse varianti tipologiche e
dimansionali. Le articolazioni tra gli edifici era una sottile re-
lazione con la giustapposizione suprematista ad incastro di
due blocchi. Di questa relazione Peter Carter ha scritto:
L’ossatura strutturale ed il suo riempimento in vetro si
findono sul punto di vista dell’architettura, perdendo
ognuno una parte della propria specifica identità, nel
momento in cui si istituisce una nuova realtà architet-
tonica. Il montante ha agito da elemento catalizzato-
re di questa trasformazione, oltre che funge anche da
controvento a tutta parete per irrigidire la struttura. Le
due finestre centrali, in ogni campata della struttura,
sono conseguentemente più ampie di quelle adiacenti
al pilastro. Queste varianti producono cadenze visive di
espansione e contrazione degli intervalli, in una sottile
articolazione davvero fuori dall’ordinario. Ea ciò si ag-
giunge l’alternarsi dell’opacità dell’acciaio e della capa-
cità di riflessione del vetro provocata dal riverbero dei
montanti en masse.
Più che in qualsiasi altra opera di Mies il muro è reso qui
come un tessuto lavorato a telaio, una geniale integrazione
della struttura con la finestratura, che manifesta la stessa
capacità di una muratura potante di limitare lo spazio in ogni
sua estensione.
CONVENTION HALL. M. VAN DER ROHE, Innalzata su pilastri perimentali a tronco di cono o pirami-
1953. Negli anni che lo separano dal termine della sua dale, da cui si diparte un duplice ordine di travi diagonali e
stessa esistenza, Mies viene più volte a contatto con uno ortogonali, adibite al sostegno di una copertura piana a strut-
dei problemi costruttivi destinati a prosperare maggiormen- turareticolare, la Convention Hall persegue con la massima
te negli anni seguenti: quello di un grande spazio indiviso a coerenza possibile la logica pragmatica che le sue funzioni
destinazione variabile - manifestazioni pubbliche, espositive, richiedono.
sportive - capace di accogliere al proprio interno folle ocea- Concepisce la superficie di facciata come uno spazio libero,
niche. affettivamente indipendente; non uno schermo che lascia
Gli studi per una sala per 50.000 persone, in occasione del trasparire le funzioni interne, bensì piuttosto una pelle che
progetto per la Convention Hall di Chicago, lo rendono av- svolge una funzione a propria volta: mansione ornamenta-
vertito del fondamentale e inaspettato rovesciamento che le, di immagine, risolta tuttavia nella proposta di Mies con
uno spazio del genere determina: “Una sala di queste di- bicromatiche campiture triangolari che coincidono con la di-
mensioni non dipende dal suo ambiente, ma lo crea.” stribuzione delle linee strutturali.
SEAGRAM BUILDING. M. VAN DER ROHE,
1958. L’edificio è composto da 38 piani più gli impianti
tecnici, a cui si aggiungono i corpi sul retro, di 10 e 5 piani.
Questo si differenzia dagli altri grattacieli di newyorkesi so-
stanzialmente per tre punti: la preziosità dei materiali impie-
gati per la costruzione, l’accuratezza della sua esecuzione e
il modo in cui l’edificio è disposto all’interno del sito.
L’uso del bronzo e di lastre di vetro ambrato per i rivestimen-
ti delle facciate hanno delle colorazioni che sono molto ben
interconnesse tra di loro e non risultano disonanti; all’interno
troviamo dei rivestimenti affidati a lastre di granito, di traver-
tino e marmo verde che ne conferiscono un volto sobrio e
altero a volumi e superfici. Dettagli in apparenza secondari,
come il soffitto sospeso impostato su un modulo quadrato,
capace di determinare una perfetta uniformità dell’illumina-
zione, contribuiscono al senso di compostezza che domina
il tutto.
Ma è soprattutto dell’arretramento dell’edificio rispetto alla
consueta linea dei grattacieli, voluta espressamente da Mies
per dar respiro e per non dare ombra al palazzo che si trova
di fronte, una vecchia stazione che risale all’800 e che è un
monumento importante per la città di New York; questo ar-
retramento da al Seagram una leggibiltà straordinaria e crea
una piazza antistante, inoltre Mies dispone l’edificio su un
podio rialzato di pochi gradini dal livello stradale e completa-
mente vuoto per circa un terzo. Due vasche d’acqua rettan-
golari e simmetriche lo delimitano lateralmente, rivelandone
così la natura, ancor più che di piazza, di parco teatrale per la
rappresentazione - metropolitana per eccellenza - del gratta-
cielo che si erge alle sue spalle.
Ancora una volta Mies invita a rifletter, a osservare con pau-
sa: esattamente lo stesso contegno adottato dal Seagram.
NEUE NATHIONAL GALERIE. M. VAN DER
ROHE, 1962-68. Il tema di un vasto spazio coperto,
questa volta racchiuso da pareti vetrate, si presenta di nuo-
vo nel progetto per la galleria, edificio che segna anche il
ritorno di Mies alla costruzione in Germania, e anche ultima
della sua vita.
Il progetto è impostato su una pianta quadrata e sulla divi-
sione dello spazio espositivo su due livelli: quello superiore
destinato ad ospitare le esposizioni temporanee, e quello
inferiore le collezioni di arti figurative del XIX e XX secolo. Un
massiccio zoccolo rivestito di pietra che fa da basamento al
padiglione delle esposizioni, nel piano superiore ci sono otto
pilastri cruciformi alti più di 8 metri ne sorreggono lo spesso
tetto piano aggettante, finito all’interno con una robusta gri-
glia di alluminio che evoca un classico soffitto cassettonato.
L’intera struttura è in acciaio e verniciata rigorosamente di
nero.
La collocazione della Nationalgalerie in prossimità della Phi-
larmonie di Hans Sharoun permette di abbracciare in un uni-
co sguardo gli esiti dei percorsi compiuti da due architetti
che proprio a Berlino avevano preso le mosse prima della
guerra mondiale.
Ciò che sorprende è che l’edificio costituisce la dimostrazio-
ne di come Mies, fino all’ultimo, “l’architettura abbia poco
a che fare con la ricerca di “forme interessanti” o con le
inclinazioni personali”, e di come piuttosto essa sia “espres-
sione dell’intima struttura dell’epoca.”
L’ECLISSI DEL NEW DEAL: FULLER - JOHNSON - KAHN
Le crisi economiche e politiche dell’Europa negli anni Trenta DYMAXION HOUSE. B. FULLER, 1927. Durante
e i provvedimenti sociali del New Deal di Roosvelt ebbero il New Dial Fuller aveva adottato un atteggiamento chiara-
come conseguenza per gli USA sia l’arrivo di intelligenza in mente identificabile come “oggettivo” - per non dire co-
esilio sia ampi programmi relativi al benessere e alle riforme struttivista - quando progettò la prima versione della sua
sociali. casa isolata Dymaxion, il cui nome era un neologismo che si-
Il governo federale fornì la base infrastrutturale per i nume- gnificava dinamismo+efficenza. Fuller non aveva il ben che
rosi servizi di assistenza sociale che dovevano essere realiz- minimo interesse per l’incompatibilità rispetto a un contesto
zati nel periodo compreso tra l’Housing Act di Roosvelt e la dato, qualunque esso fosse, e progettava la sua casa come
fine della seconda guerra mondiale. un prototipo per la produzione in serie.
A prescindere al valore architettonico delle opere in questo Di pianta esagonale e inserita tra due piastrecave, essa era
periodo, tutti i lavori dimostrano la presenza di una Nuova sospesa, secondo il sistema della ruota a raggi, ad un albero
Oggettività negli USA. Il fatto che questo movimento non centrale. Fuller descriveva questa casa in metallo leggero
fosse altrettanto cosciente di sè o altrettanto polemico nella sua rivista come una sintesi del grattacielo americano e
quanto il corrispondente fenomeno europeo era dovuto alla della pagoda orientale. Caratterizzata dalla soluzione geniale
circostanza che negli USA non esisteva affatto una base ide- di un pilastro centrale cavo, di forma esagonale, contenente
ologica confrontabile con quella dell’ambiente europeo. tutti i servizi e gli impianti necessari, è la prima di una serie
Un atteggiamento utilitaristico sembra essere molto distan- di costruzioni centrali che culminano nella cupola geodetica.
te dalle proposte che Fuller avanzò in tutta serietà nel 1932 In questa forma, essa fu presentata, insieme all’Automobile
per la Conversione dei grattacieli per uffici e non Dymaxion, dello stesso Fuller, che aera persino più eccentri-
occupati a causa della depressione in edifici residenziali d’e- ca come l’unica soluzione possibile.
mergenza. Fuller sosteneva che, alla fine dell’anno, il 90%
della popolazione, che ancora viveva in città, non sarebbe
più stata in grado di pagare le tasse o di procurarsi il cibo.
Le prime opere di Kahn e Johnson crearono un tipo di spazio
post-Miesiano: una vita simmetrica fatta quasi di nulla, che
non dipendeva più dalla manifestazione della costruzione
come struttura, ma piuttosto dalla manipolazione della su-
perficie come espressione e rivelazione fondamentale della
luce, lo spazio e degli appoggi.
Alla metà degli anni Cinquanta, i punti di riferimento erano
diventati più complessi Kahn aveva inizito a preoccuparsi del
concetto di una tonalità architettonica, il cui fondamentale
riferimento storico si sarebbe dimostrato di ispirazione isla-
mica più che occidentale.
In questo frangente della carriera di Kahn, ci si imbatte in
uno dei paradossi centrali dell’opera e dell’influenza eser-
citata da Backminster Fuller, infatti mentre il contributo di
Fuller era considerato, da lui stesso e dai suoi seguaci, come
l’unico approccio funzionalista genuino dell’epoca da allora
in poi è apparso evidente che i suoi sistemi strutturali ge-
odesici dovevano essere interpretati come elementi che
evocavano, grazie alla loro geometria universale, un atteg-
giamento mistico. Appare chiaro dalla successiva carriera di
Kahn che questo aspetto del pensiero di Fuller esercitò una
forte influenza sulla sua evoluzione, e mai così forte come
nel periodo che vide la collaborazione con Ann Tyng, che era
una forte seguace dell’opera di Fuller.
LA CUPOLA GEODETICA. B. FULLER, 1942. Ri- realtà vengono posizionata con elicotteri. Il progetto St Louis
chard Buckminster “Bucky” Fuller (12 luglio 1895 - 1 luglio copriva quasi un migliaio di metri di terra.
1983) fu un inventore, architetto, designer e visionario sta-
tunitense. Fuller è famoso principalmente per le sue cupole Fuller ebbe nel 1968 un’idea molto ambiziosa chiamata
geodetiche. Queste tipo di strutture sono costituite da una Dome City: voleva progettare una cupola geodetica di due
complessa rete di triangoli che le rendono di forma simile a miglia di diametro e di un miglio di alta più di New York City.
quella sferica. Il sistema consiste nella divisione di una sfera Secondo lui questa cupola sarebbe stata in grado di alterare
in triangoli uguali così da renderne la realizzazione più sem- il clima su tutta la città: infatti all’interno avrebbe fatto più
plice e più forte strutturalmente, il peso infatti viene distribu- caldo che all’esterno e non avrebbe mai piovuto o nevicato.
ito uniformemente. La parola “geodetica” è di origine latina Egli fu il primo a coniare la frase “Spaceship Eaerth”, crede-
e significa “divisione della terra”. Fuller ha insistito sul mini- va che le abilità creative degli uomini fossero illimitate e che
mo impiego di materiali ple costruzioni leggere, facilmente l’uso e lo sviluppo della tecnologia e della progettazione di
trasportabili e assemblabili. Volendo ridurre gli scarti, Fuller soluzioni avrebbe portato a creare un futuro positivo.
esplorò e propose il principio dell’”efemeralizzazione” che Le strutture geodetiche non ebbero il successo previsto da
significa “fare di più con meno”. La ricchezza può essere Fuller nel mercato delle abitazioni, soprattutto a causa della
aumentata riciclando le risorse nella produzione di prodotti difficoltà nell’adattarvi strutture pensate per case tradizionali
nuovi e di maggior valore così da richiedere minor materiale (finestre, impianti elettrici, camini), e soprattutto per la non
per i prodotti più sofisticati Era particolarmente interessato convenzionalità della forma.
alla sostenibilità e al tema della sopravvivenza della razza
umana. Anche Fuller abitava con sua moglie in una cupola geodeti-
ca in Illinois, a Carbondale. La “Bucky Dome” fu costruita
Fuller ha inventato la cupola geodetica nel 1949 per mo- in soli sette ore ed è composta da pannelli di compensa-
strare il frutto delle sue idee sugli alloggi e sulla geometrica to, materiale economico e facile da assemblare, anche se
energetico- sinergetica (due tipi di strutture e geometrie che facilmente deteriorabile con l’umidità. Oggi Fuller avrebbe
lavorano insieme per creare una nuova struttura più forte). senz’altro una più ampia scelta di materiali adatti alla sua
L’invenzione delle cupole geodetiche fu la soluzione al pres- cupola.
sante problema degli alloggi Fuller studiò a lungo tutte le
strutture naturali e artificiali, ponendo maggior attenzione
in quelle formate da tante piccole e simili parti, valutando
per ognuna il ruolo che svolgeva all’interno della struttura. Il
progetto offrì un modo di produrre alloggi per il mercato di
massa in maniera ecologica ed efficiente.

La costruzione progettata era in grado di autosostenersi


senza limiti pratici. Era una cupola di 14 piedi di diametro co-
struita usando pezzi di tubo da aeromobili in alluminio legge-
ro rivestiti in plastica nella forma del tetraedro. Queste aste,
sono costituite da una serie di cerniere che ne permettono
l’impacchettamento del sistema in un fascio di elementi
paralleli. La cupola è pieghevole e facilmente trasportabile
senza l’ausilio di aerei. In posizione chiusa, appare come un
insieme di aste allineate; ponendo il fascio in direzione verti-
cale ed esercitando una trazione su alcune corde poste sulle
cerniere delle aste, la cupola si distende prendendo forma e
raggiungendo il diametro di 12,80 mt. Il dispiegamento delle
aste è reso possibile grazie ad un pistone pneumatico posto
su ciascun vertice. All’intradosso della struttura viene per
la prima volta agganciata una membrana di involucro in po-
lietilene, completamente trasparente che serve al controllo
climatico dello spazio interno.

Per provare la staticità della cupola Fuller e molti dei suoi


studenti, che lo avevano aiutato nella progettazione, si sa-
rebbero appesi alle varie componenti per impressionare i
miscredenti. Il Governo Americano riconobbe l’importanza
della scoperta e commissionò a Fuller di progettare delle
cupole per l’esercito ed in pochi anni ci furono migliaia di
queste cupole nel mondo.

Nel 1954 Fuller ottenne il brevetto per le cupole geodeti-


che.Fuller progettò e realizzò dalla più grande campata di
tutto il mondo: questa cupola non ha colonne o pareti che
la sostengono oltre il muro esterno La costruzione ha un dia-
metro di 384 piedi, infatti nell’intenzione di Fuller, per poter
essere posizionata bisognava utilizzare uno Zeppelin, nella
GLASS HOUSE. P. JOHNSON, 1949. Conoscerà
personalmente Mies van der Rohe, e la sua architettura avrà
un’influenza costante nella sua opera architettonica.
La più famosa e riuscita tra le case miesiane di Johnson è
la Glass House, nononstante prenda a modello Casa Farn-
sworth, ne fornisce però una versione più cauta e tradizio-
nale.
L’aerea maestò del paradigna di Mies è riportata al livello ter-
reno, reinterpretata in modo letterale e semplicistico, come
una vera e propria scatola di vetro, sostenuta da pilastri pru-
dentemente posizionati negli angoli, la casa è ulteriormente
ancorata al suolo mediante un cilindro di mattoni contenente
il camino e i servizi.

KLEIN LABORATORY TOWER. P. JOHNSON,


1963. Questo costituisce uno dei rari casi in cui Johson
riesce a far risuonare qualche nota drammatica nella sua
architettura. Le tonalità espressioniste della Torre, fasciata
da carnose colonne cilindriche alte quanto l’intero edificio e
rivestite in mattoni vetrificati, sembrano accordarsi del resto
con l’armonica fondamentale del campus, alla cui edificazio-
ne, tra gli anni cinquanta e sessanta, contribuiscono fra gli
altri Loius Kahn, Eero Saarinen e Paul Rudolph.
LOUIS KAHN. Le architetture di Kahn combinano riferimenti antichi e moderni con una serietà senza precedenti. Gli impre-
stiti dai maestri moderni, dal classicismo greco e romano, dall’architettura medioevale, islamica e persino dall’accademico
ottocento sono usati in un modo che rende antiquati di colpo i revival tentati nel periodo precedente: perdono la consueta
carica polemica, sono ricondotti all’essenziale e convivono con naturalezza, come se fossero emersi improvvisamente dalla
memoria, dopo una lunga attesa.
I disegni sono calcolati e sofisticati al più alto grado, ma nell’esecuzione le forme si semplificano, prendendo copro in una
gamma di materiali appropriati e accoglienti, spesso naturali o desunti dalla tradizione. Nasce un mondo di forme nuove,
ambigue, ma stimolano l’invenzione di altre forme in modo discreto e irresistibile.
Kahn desume il concetto di istituzione dal mondo romano, e che la stessa architettura romana - in particolar modo tardo-im-
periale - gli serviva svariati tipi di forme. Romane per eccellenza sono le grandi lezioni del muro e dell’arco, che Kahn fa pro-
prie nel corso degli anni cinquanta, anche l’utilizzo dei solidi geometrici semplici ha i suoi diretti ascendenti in straordinarie
architetture. Non minore influenza esercita su Kahn l’”architettura delle ombre” i cui volumi puri sono letteralmente scolpiti
da violenti effetti di chiaroscuro.
YALE UNIVERSITU ART GALLERY. L. KAHN,
1950-54. Il primo edificio istituzionale realizzato da Kahn
nella fase matura della sua carriera.
La sua immagine esterna oscilla ancora ambiguamente tra
la regolamentare trasparenza del curtain wall della facciata
verso il giardino e l’antica matericità dei muri ciechi di matto-
ni della facciata verso strada, risultanto complessivamente
priva di una forma precisa.
L’interno assume una conformazione inedita, ben al di là dei
rigorosi dettami del Movimento Moderno, data da una pro-
pria intima coerenza. La suddivisione dgli spazi in “serviti”
e “servienti” intriduce nel corpo dell’edificio una differenzia-
zione basata sui loro diversi utilizzi: non per questo però di
natura banalmente gerarchica, sono anzi spesso proprio gli
spazi serventi, meno rilevanti dal punto di vista della rappre-
sentatività dell’istituzione.
L’elemento più importante è il cilindro di calcestruzzo a vi-
sta collocato nella zona dei servizi, in posizione baricentrica
rispetto alle sale espositive, contenente una rampa di scale
dallo sviluppo triangolare che richiama la maglia modulare
della controsoffittatura degli spazi serviti, composta da pila-
stri tetraedri in cemento.
CITY HALL DI PHILADELPHIA. L. KAHN, 1952-
57. Edificio multipiano e di forme triangolare progettato in
collaborazione con Ann Tyng, delimita il periodo durante il
quale egli fu più direttamente influienzato da Fuller.
Il concetto fondamentale di un grattacielo geodesco, stabi-
lizzato da solette tetraedriche in calcestruzzo - una travatu-
ra verticale contro il vento - consentì a Kahn di ritornare ad
una concezione architettonica che sarebbe stata apprezzata
da Violet-le-Duc. Sovrapposizione di travi oblique in cemen-
to armato che formano uno scheletro a moduli triangolari,
fornisce una soluzione strutturalmente inedita alla tipologia
dell’edificio alto, cercando al tempo stesso di riscattarla
dall’anonimato funzionalista che l’aveva caratterizzato fino a
quel momento, dotandolo di una forma significante.
PIANO PER PHILADELPHIA. L. KAHN, 1956. Il denti come quando paragonava il suo piano per il centro di
rifiuto di Kahn nei confronti di un funzionalismo ingenuo, an- Philadelphia con Carcassone. Sicuramente il sostenere che
che se impegnato dal punto di vista sociale, a favore di una l’ordinamento del movimento all’interno della città avrebbe
architettura in grado di trascendere la pura utilità, lo portò ad automaticamente garantito la difesa contro la distribuzione
ipotizzare un approccio analogo per quanto riguarda la for- provocata dall’automobile, costituiva una speranza vana e
ma urbana. Ancora una volta questa trasposizione rifletteva utopica.
il suo personale sviluppo, che evolveva dalla decisione di
proiettare la Ville Radieuse nel centro di Philadelphia, fino a
postulare l’esigenza di una esplicita distinzione tra l’architet-
tura del viadotto e il costruire ad una scala umana.
Ciò fu espresso molto attentamente nel progetto per il Cen-
tro di Philadelphia, nel quale egli cercava di costringere le
forme della Roma disegnata da Piranesi, al servizio della cit-
tà moderna.
Genialità del suo sottile riordinamento delle strutture del
traffico, ad esempio la distinzione tra le “expressway”, viste
come fiumi, e le strade controllate da semafori, viste come
“canali”. Le proposte di pianificazione del centro elabora-
te da Kahn rimasero paradossalmente generiche quando si
trattò di immaginare le precise relazioni che si dovevano isti-
tuire tra pedone e automobile.
La sua proposta di dock alla Piranesi comprendeva un silo
cilindrico di sei piani per 1.500 automobili circondato sul pe-
rimetro da blocchi di diciotto piani, era priva degli elementi
necessari attraverso i quali stabilire una scala umana. I limiti
del profondo storicismo di Kahn non erano mai stati così evi-
RICHARDS LABORATORIES. L. KAHN, 1957-
64. Espressivamente molto diversa è la dialettica tra spazi
serviti e spazi serventi nel Richards Medical Research Buil-
ding.
Quì tale distinzione entra direttamente nlla composizione
dell’immagine dell’edificio e contribuisce in modo decisivo
alla determinazione dell’idea di istituzione che esso rappre-
senta. L’idea generatrice è quella della “cittadella di ricerca
scientifica”, cui Kahn attrobuisce una centralità e una rile-
vanza sociale ben superiore a quella da essa effettivamente
rivestita nell’America degli anni cinquanta e sessanta, e che
nel suo immaginario trova il proprio modello nelle comuni-
tà medioevali, compoendiate dalla struttura urbana di San
Giminiano o dagli antichi manieri scozzesi. In analogia con
la città turrita toscana, i laboratori sono organizzati, anzichè
come un’entità unica, come una molteplicità di corpi edilizi
accostati gli uni agli altri, distinti tra loro in base ai metriali
e all’altezza: mattoni, pietra e vetro nelle torri dei laboratori
e nel blocco centrale di servizio; esclusivamente mattone
(usato come rivestimento della struttura in cemento arma-
to), nelle più alte e slanciate torri delle scale e degli impianti
di aerazione.
Il caparbio impegno di Kahn nel cercare di tradurre in Desi-
gn la Forma “ideale” desunta dal Medioevo non si ferma
neppure di fronte ai problemi distributivi che lo schema pla-
nimetrico presenta, vincolato com’è dalla disposizione pe-
rimetrale delle torri serventi rispetto ai blocchi quadrati dei
laboratori, concatenati tra loro secondo un procedimento ti-
pocamente Beaux-Arts. Con questo l’edificio non manca di
adempiere ai compiti cui è chiamato: ed essendo i laborato-
ri di sperimentazione medica essenzialmente “architettura
dell’aria pulita”, secondo la definizione che egli stesso gli da,
l’attenzione di Kahn si concentra in modo particolare sulla
separazione tra aria da respirare e aria da smaltire. Accanto
a questa funzione, un’importanza altrettanto fondamentale
riveste ai suoi occhi la funzione comunicativa dell’edificio,
come l’architettura di Boullè o Ledux, anche quella kahniana
aspira a farsi “parlante”.
Ciò che i laboratori comunicano è una fiduciosa speranza:
quella di dar vita ad un luogo moderno del lavoro, certificato
da un punto di vista scientifico, ma al tempo stesso capace
di assumere un valore mìcomunitario, di diventare partimo-
nio effettivo della collettività.
SALK INSTITUTE. L. KAHN, 1959-65. Secondo
le intensioni del suo committente doveva costituire non sol-
tanto un centro di studi e di sperimentazione per ricercato-
ri e scenziati, ma anche il luogo di conciliazione tra cultura
scientifica e cultura umanistica; il luogo in cui, idealmente,
Albert Einstein e Pablo Picasso avrebbero potuto incontrarsi
e dialogare fra loro.
Un’istituzione caratterizzata dalla massima concretezza e
dalla massima astrazione al tempo stesso. Proprio il Salk In-
stitute dimostra la grande disponibilità di Kahn ad adattare il
progetto alle circostanze al di là dell’individuazione della for-
ma: e se questa ruota intorno all’idea delle comunità opero-
sa (lo stesso Salk suggerisce come riferimento il monastero
di San Francesco ad Assisi), il progetto muta nel tempo, pas-
sando dai tre nuclei dei laboratori, degli alloggi e dello spazio
delle riunioni previsti nella prima versione, al suo comples-
so in versione costruita. Tale passaggio determina profon-
de mutazioni programmatiche, l’originaria tripartizione, con
edifici dislocati a diverse quote esprimeva una straordinaria
ricchezza nel modo di intendere l’Istituto: vi convenivano la
“spontaneità” del villaggio mediterraneo o da borgo medio-
evale della parte residenziale, la libertà dai vincoli funzionali
di alcuni spazi di riunione, finalizzata all’”apertura” alla ca-
sualità e alla produttività degli incontri e degli scambi (libertà
tradotta da Kahn nel trattamento degli esterni ispirato alle
rovine romane: “Un edificio in rovina è nuovamente libero
dal vincolo della funzione), e la razionalità della zona dei labo-
ratori, ordinatamente disposti in una doppia coppia di edifici
paralleli, inframezzati d giardini.
Al contrario, gli edifici realizzati (un’unica coppia di laboratori
in cemento armato lasciato a vista e parzialmente rivestito
da panneli di teak, separata da una piazza di pietra, una nuda
spianata rettangolare di travertino) esprimono a orima vista
una concezione rigida, e mettono in luce la predilezione di
Kahn per un’assialità di matrice accademica che rischia di
sconfinare nel formalismo.
E’ proprio nello spazio tra i due corpi di fabbrica che si con-
centra e al tempo stesso si definisce il senso del Salk Insti-
tue come istitusione: è in questo spazio intermedio, lasciato
vuoto, che il Salk si rappresenta. Come la sala delle riunioni
priva di una precisa funzione e come questo spazio immate-
riale non serve a qualcosa nel senso tradizionale del termi-
ne: si tratta piuttosto di un luogo fatto per “tenere insieme”,
per “mettere in relazione”. Come le piazze del Quattrocento
italiano anche questa piazza solcata da tenui linee che ne
disegnano la pavimentazione a scacchiera, mette in prospet-
tiva lo spazio riconducendola all’unità. La semplice utopia
del Salk Institute come quella della città rinascimentale che
consiste nel commisurare molteplicità e differenze in esso
conviventi.
La distanza interposta tra i due blocchi dei laboratori è giusti-
ficata dal carattere teatrale dell’intero complesso: la platea
in travertino ha il ruolo di un “palcoscenico”, un luogo quasi
sacro; le torri degli studi, che hanno un doppio affaccio, l’uno
verso l’oceano e l’altro verso l’occidente, hanno la funzione
di “quinte sceniche”.
Alla massima teatralità del Salk Institute corrisponde una
massima artificialità, l’artificialità è data proprio dall’architet-
tura stessa, “L’architettura è ciò che la natura non può fare.
L’uomo produce le regole e la natura è fatta di leggi.”
PARLIAMENT OF DACCA. L. KAHN, 1965-74. Bangladesh.
Il riferimento storico, ancora una volta, è alle rovine romane, Spazio e luce sono la materie di cui sono fatti; ed è dall’in-
tanto nel caso dei padiglioni dell’Institute of Indian Manage- contro di queste che scaturiscono le maggiori sorprese che
ment, contenenti le aule, gli uffici, i dormitori degli studenti essi hanno in serbo, la “luce si fa spazio”.
e le residenze dei docenti, quanto in quello degli alloggi e Insieme alla luce, l’acqua riveste un ruolo fondamentale nel-
della mensa per i segretari. le opere kahniane, usata con la medesima oculatezza con
Si tratta di edifici costruiti in mattoni pieni, come fabbriche cui si impiegherebbe una sostanza preziosa, essa però non
antiche, nei cui muri massiccisono inserite affioranti in ce- ha alcuna funzione apparente, nell’economia del progetto, il
mento. Nei volumi primari, cilindrici e cubici, Kahn mette in suo lavoro sembra più astratto che pratico: farne emergere
opera un elementare ma arguto gioco di archi, inclinati, rove- la dimensione più nascosta.
sciati o ampliati fino ad abbracciare cerchi completi.
L’effetto di rovina è accentuato dall’arretramento delle fine-
stre rispetto al fino delle facciate, in modo tale da rendere le
geometriche aperture praticate nei muri delle orbite vacue e
scure. Il gesto possente con cui sono tracciate, più che un
soggetto individuale, pare opera di un’entità impersonale,
prodotto dal tempo e dalla natura.
Gli edifici di Kahn mettono in mostra una condizione con-
traddittoria: la mancanza di radicamento nel luogo libero
da inflessioni vernacolari e saldamente ancorato a quanto
di più profondamente umano sta alla bse del costruire. Ciò
risulta con particolare evidenza nell’Assemblea nazionale,
enigmatica e raggiungibile come un castello kafkiano, dove
l’imponente struttura poligonale che avvolge lo spazio cen-
trale della sala del parlamento rischia di risultare pericolosa-
mente fuori misura rispetto al tessuto urbano e sociale del

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