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Con il contributo di

Prima edizione: dicembre 2007


ISBN: 978-88-87485-59-2

© 2007 Edilazio
Via Taranto, 178 - 00182 Roma
Tel. e Fax 06-7020663
E-mail: info@edilazio.com
Internet: www.edilazio.com

Progetto grafico: Alessandro Bajo


ATTILIO LAPADULA
ARCHITETTURE A ROMA

a cura di

Luca Creti e Tommaso Dore

Introduzione di Giorgio Muratore

EDILAZIO
PREMESSA

La pubblicazione di una monografia su Attilio Lapadula, la cui idea scaturisce dalla lunga e
proficua frequentazione dell'omonimo Studio - necessaria per il riordinamento dell'archivio, dichia-
rato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza Archivistica per il Lazio fin dal 1992 - vuole
rappresentare un primo contributo utile a inquadrare l'opera e la figura dell'architetto nell'ambito cul-
turale e professionale romano degli anni compresi tra il 1946 e il 1981; non esistono, infatti, studi spe-
cifici sulla sua attività, fino a oggi conosciuta soltanto per l'evidente grande qualità di alcune realizza-
zioni, oggetto di sporadiche menzioni su riviste specializzate o in alcuni testi che prendono in esame,
in termini generali, l'architettura a Roma nel XX secolo.
L'ingente quantità di materiale grafico e documentario presente nell'archivio, e l'importanza,
sul piano delle committenze e del loro impatto sul tessuto edilizio e urbano, di molte delle opere pro-
gettate o costruite, rendono invece manifesta la necessità di colmare tale lacuna, mettendo in luce l'in-
tensità del ruolo professionale svolto dallo Studio, e in particolare da Attilio, nella capitale. Il taglio
della collana della quale fa parte il presente volume ha infatti imposto di prendere in considerazione
soprattutto i lavori eseguiti nella e per la città, anche se alcuni “sconfinamenti” - come, ad esempio,
gli arredi per i transatlantici, l'attività universitaria e di storico dell'età napoleonica, la redazione di
piani urbanistici - sono parsi indispensabili per chiarire come la sua attenzione si rivolgesse a tutti i
settori della teoria e della pratica architettonica; in particolare l'analisi dei numerosi progetti per arre-
damenti di interni ha consentito di porre in evidenza i fecondi rapporti - personali e professionali -
con alcune delle personalità più in vista dell'ambiente artistico romano del periodo.
Il volume contiene saggi monotematici, volutamente affidati ad architetti che, per ragioni
diverse, hanno frequentato con assiduità lo Studio di via dell'Oca, potendo in tal modo usufruire di
un approccio diretto con il ricco materiale d'archivio in esso conservato; anche l'impostazione dei
testi, che segue un criterio essenzialmente tipologico, è stata ritenuta la più idonea per un primo
approccio all'opera di Attilio Lapadula, in attesa di ulteriori contributi più analitici e maggiormente
diretti all'esame critico della sua poetica progettuale.
Gli interventi da parte del figlio Bruno Filippo, il quale, svolgendo la medesima professione
paterna, ha potuto vivere nello stesso tempo la quotidianità dell'uomo e dell'architetto, hanno infine
fatto sì che la sua figura, attraverso l'emozione dei ricordi “privati”, potesse risaltare in modo diverso
e, sicuramente, molto più personale.

Roma, dicembre 2007

Luca Creti e Tommaso Dore

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Stabilimento balneare Kursaal a Ostia Lido, foto del cantiere

Villa Angiolillo sull’Appia Antica


INTRODUZIONE
di Giorgio Muratore

Attilio Lapadula appartiene alla generazione dei nostri padri, a


quella generazione che aveva poco più di vent'anni quando si
progettava l'E'42 e poco meno di trenta quando, finita la guerra,
si affacciò alla professione in quella Roma fertile e stracciona,
vitale e gaglioffa, opulenta e disperata che oggi, dopo più di
mezzo secolo, ci riappare nell'alone e nella lontananza mitica di
un tempo magico e straordinario.
Troviamo qui un giovane architetto, ormai romano per adozio-
ne, che dà forma ai sogni di rinnovamento di un'intera generazio-
ne e che pur non rinnegando mai la sua disciplina, amplia e con-
tamina la dimensione specifica dell'architettura con incursioni
determinanti nel campo della piccola e della grande scala, dedi-
candosi con uguale impegno al design e all'urbanistica, insieme.
Di questi anni felliniani, fu inaugurato nel cinquanta l'impianto
del Kursaal ad Ostia Lido che, con il suo trampolino bianco can-
Attilio Lapadula nello studio di piazza del
Popolo
dido, diventerà l'icona stessa del sito. Capace di sostituirsi nell'im-
maginario domenicale dei romani alla presenza già forte e massi-
va del Roma (il grande impianto cupolato eretto da Giovan
Battista Milani sul modello termale e spazzato via dagli ultimi
eventi bellici), il Kursaal, cui contribuì per gli aspetti strutturali lo
stesso Pier Luigi Nervi, fu opera capace di sintetizzare, attraverso
la forza plastica del suo profilo, il senso di uno straordinario land-
mark territoriale. Sostituendo definitivamente l'ipotesi littoria
della grande porta classica che i propilei di Alfio Susini avevano
preconizzato come litoranea anticipazione dei fasti piacentiniani
dell'E'42, l'audace astrazione del trampolino-emblema con le
grandi K stilizzate e racchiuse nel cerchio, si stampa nella memo-
ria collettiva di quegli anni e si colloca come indispensabile rife-
rimento iconografico degli incipienti Cinquanta. La cifra stilistica
di quel progetto al pari del “dinosauro” di Termini, delle grandi
strutture di Nervi, delle palazzine dei Luccichenti, di Monaco e
di Moretti si costituisce quale punto di partenza ineliminabile per
qualsiasi riflessione sul dopoguerra romano cui Moravia, Fellini
e Flaiano daranno, altrimenti, forma letteraria e cinematografica.
Tra le architetture di questi anni, sicuramente da segnalare,
anche la grande villa Angiolillo sull'Appia antica che nella sua, un
po' stentorea, ascendenza Wrightiana ben testimonia della diffu-
sa deriva americaneggiante di tanta parte della cultura coeva
influenzata dall'assiduo magistero zeviano.
Ma saranno le infinite realizzazioni di arredo commerciale a defi-
nire il più vero luogo di espressione di un architetto cui la picco-
la scala, invece di inibire, parve schiudere più audaci prospettive

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Attilio Lapadula - Architetture a Roma

espressive. Quante le opere realizzate da Lapadula in questo con-


testo? Impossibile elencarle tutte, decine, forse centinaia di pic-
coli e più cospicui interventi, a dar forma e struttura, a definire
spazi, simboli e figure che fanno parte, a buon diritto, dell'imma-
gine stessa della città. Di quella città che, nella sua dimensione
quotidiana e commerciale, intima, familiare e consueta ormai ci
apparteneva collettivamente, giorno per giorno, e di cui purtrop-
po, altrettanto quotidianamente cogliamo le perdite e le assenze
sempre più numerose. È questa l'immagine sobria e coltivata di
negozi famosi, di bar, ristoranti, trattorie, pizzerie, ottici, alberghi,
che hanno segnato il percorso della nostra infanzia e poi più oltre
fin quando, come per un'amnesia improvvisa, in una incrociata
dissolvenza sono cominciate a scomparire le immagini familiari
di una città affabile e domestica per essere sostituite da quelle che
si fanno schizofreniche, sempre meno simpatiche, umane, deco-
rose e decenti.
Tra gli infiniti punti di riferimento il Bar Mokambo, il Caffè
Berardo (con il fratello Ernesto) e l'Aragno, il Ristorante Capri e
il Cubo (con il fratello Emilio), l'Ottica Vasari, tutte opere nelle
quali il progettista si è spesso avvalso della collaborazione degli
artisti della sua cerchia che poi lo affiancheranno anche in opere
di più ampio respiro. Le architetture di questi anni vivono quin-
di una speciale e assai vitale simbiosi con quanto le arti plastiche
e figurative stavano proponendo al momento delle grandi pole-
miche tra astrattisti e neorealisti e Lapadula sembra partecipare
con naturalezza a quel mondo quasi a far da sponda alle dissemi-
nate ricadute di quelle ricerche di allora, spesso assai poco com-
prese ed apprezzate, che popolano invece, con discreta conti-
nuità, le opere del Nostro.
Insieme ai negozi anche la partecipazione a mostre importanti,
come l'Esposizione Agricola tenutasi nel '53 all'EUR, a conferma
della qualità di una ricerca spaziale di grande respiro condotta in
sintonia con la sperimentazione di artisti come Basaldella,
Fegarotti e Lazzari.
Saranno poi i prestigiosi concorsi e gli incarichi per l'arredamen-
to delle grandi turbonavi, fiore all'occhiello della flotta transatlan-
tica di bandiera, a consentire a Lapadula di dialogare ulterior-
mente e in forma ben più cospicua e articolata con artisti come
Afro, Leoncillo, Turcato, Picone, Lazzari, Parisi, Novelli,
Accardi, Sanfilippo, Scordia, Trotti, Virduzzo, Sadun, Conte,
Montanarini, Perilli, Uncini, Matta, Buchicchio, Russo, etc. solo
per fare qualche nome. Si tratta degli arredi sontuosi di questi lus-
suosi alberghi galleggianti che concludono una vicenda di grande
qualità e interesse e che aveva visto gli architetti italiani, per più
di mezzo secolo, tra i primi nel mondo.
Tra le opere dei primi anni ci piace però ancora ricordare un pic-

6
Introduzione

colo, ma assai significativo intervento, nel cuore della città, sotto


i portici della Galleria Colonna, quella piccola ma esemplare
vetrina-agenzia del quotidiano romano Il Tempo, che pare voler
anticipare sintetizzandoli alcuni degli elementi linguistici ed
espressivi che resteranno determinanti nella poetica dell'architet-
to. Si tratta di uno spazio esiguo, ma strategico che Lapadula
affronta dinamicizzando con corpi sinuosi e fortemente plastici
gli elementi di arredo fisso e mobile e che induce una ricca meta-
morfosi comunicativa ad uno spazio altrimenti afono e privo di
espressività cui si aggiunge la straordinaria invenzione di un cine-
giornale incorporato nell'allestimento e che si proietta diretta-
mente sulla strada quasi a voler anticipare, e di quanti anni, l'im-
mediatezza della comunicazione televisiva di massa.
Ma Attilio Lapadula non è stato soltanto un grande architetto di
interni, che se questo fu, per molti anni, il suo ambito professio-
nale prevalente, altrimenti cospicue sono le sue numerose realiz-
zazioni edilizie, sia in ambito residenziale, che terziario. Sue
numerose “palazzine” di grande compostezza e qualità, anche nel
dettaglio, spesso sofisticato; sue le sedi del Ministero della Sanità
e dell'IMI all'EUR ove il tipo del grande blocco per uffici evolve
verso l'applicazione diffusa di un'industrializzazione assai in voga
sulla piazza romana tra i Sessanta e i Settanta; sua un'intensa col-
laborazione con uno degli imprenditori di maggior successo nel
contesto capitolino, come Alfio Marchini, che porterà alla realiz-
zazione del prestigioso Hotel Leonardo da Vinci e del Residence
Garden; sue ancora altre e numerose realizzazioni per conto di
congregazioni ed ordini religiosi tra le quali il complesso di San
Lorenzo da Brindisi che costituisce l'episodio più corposo e
cospicuo.
Ma, a fianco di una pur così consistente attività professionale e di
sperimentazione linguistica non va dimenticata l'attività didattica
nella scuola romana di architettura che lo ha visto impegnato per
oltre quarant'anni nell'ambito della ricerca teorica da quando
Plinio Marconi lo chiamò, appena laureato, ad affiancarlo presso
la cattedra di Urbanistica nell'ormai lontano 1940. Tra i numero-
si ed importanti studi scientifici affrontati all'interno di questo
specifico ambito di ricerca ci piace ricordare, tra i numerosi altri,
un volume che sicuramente merita di essere considerato come
un pionieristico contributo alla storia urbana della nostra città e
del suo ambiente, quel “Roma e la Regione nell'epoca napoleo-
nica; contributo alla storia urbanistica della città e del territorio”,
pubblicato da I.E.P.I. nel '69, che costituisce un caposaldo nella
storiografia urbana capitolina facendo luce su un ambito, all'epo-
ca del tutto inindagato, e che ha anticipato, di decenni, i successi-
vi studi relativi ad alcuni degli argomenti cruciali nella dinamica
urbana degli ultimi secoli.

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Stabilimento balneare Kursaal a Ostia Lido. Foto di cantiere con l’architetto Attilio Lapadula

Stabilimento balneare Kursaal a Ostia Lido. La piscina con il trampolino


LE ARCHITETTURE BALNEARI
di Luca Creti

L'elevata qualità e il numero consistente di progetti e di realizza-


zioni - tra le quali, per gli innovativi aspetti formali e tecnologici,
spicca senz'altro il «Kursaal», costruito nel 1950 sulla spiaggia di
Ostia Lido - suggeriscono di affrontare monograficamente il tema
“stabilimenti balneari”, argomento che riveste inoltre un partico-
lare interesse perché relativamente nuovo e, almeno in parte, ine-
splorato, essendo stato costantemente messo da parte dalla criti-
ca di settore. Sono infatti molto rare le occasioni nelle quali la sto-
riografia architettonica ufficiale si è occupata di questo tipo edili-
zio, a quanto pare ritenuto il più delle volte minore e come tale Lo stabilimento Urbinati a Ostia Lido in

non meritevole di particolare attenzione: ma se il disinteresse da


un’immagine degli anni ’20

parte degli addetti ai lavori poteva fino a qualche decennio fa tro-


vare una giustificazione nella scarsa qualità progettuale delle solu-
zioni tecniche, planimetriche e spaziali dei prototipi della fine
dell'Ottocento e dei primi venti anni del Novecento - assimilabili
a delle semplici costruzioni in legno dotate di un corpo centrale
da adibire, di norma, a ristorante panoramico, e collegato a due
bracci laterali su cui erano allineate le cabine, disposte su unico o
doppio livello, che formavano una corte aperta verso il mare
garantendo ai bagnanti una sufficiente protezione dagli “indiscre-
ti” sguardi esterni - l'osservazione di come tale campo sia stato in
realtà frequentato da alcuni tra i più noti architetti italiani del XX
secolo rende a mio parere necessaria una sua completa rivisita- L. Moretti, progetto per lo stabilimento
zione in chiave storico-critica (1). Adua a Ostia Lido

Strettamente legati alle peculiarità economiche, sociali e ambien-


tali del luogo, gli impianti balneari, così come le altre strutture
edilizie connesse con la cosiddetta “industria delle vacanze”,
hanno da sempre dovuto coniugare le caratteristiche funzionali
con la necessità di adeguare il proprio standard qualitativo e di
immagine alle diverse e mutevoli esigenze della committenza e
dei fruitori. E forse proprio la quasi totale assenza di modelli
accademici di riferimento e di una tradizione formale consolida-
ta ha consentito ai progettisti chiamati a realizzare i nuovi stabili-
menti per la talassoterapia una notevole libertà di espressione. Il
desiderio di rispondere innanzitutto a requisiti di funzionalità, e
di uniformare la propria facies all'ambiente circostante, si concre-
tizza infatti fin dagli anni '30 del XX secolo nell'erezione di
impianti le cui costruzioni stabili mostrano una chiara matrice
modernista: così in molti esempi di rilievo il lessico architettoni-
co si impadronisce, sia nelle soluzioni spaziali che nei dettagli
costruttivi, di alcuni dei simboli del progresso e della tecnica, e M. De Renzi, progetto per uno stabilimento
negli anni che precedono la Seconda Guerra Mondiale domina- balneare a Ostia Lido

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Attilio Lapadula - Architetture a Roma

no le suggestioni navali, riscontrabili nelle aste portabandiera,


nelle finestre a oblò, nelle ringhiere a tubi orizzontali,
nei volumi simili alle plance dei piroscafi (2).
Il conflitto frena ogni genere di attività edilizia, e, ovviamente, la
realizzazione di nuove strutture per il tempo libero. D'altronde è
chiaro come queste siano l'espressione di una società serena,
priva di preoccupazioni; e forse proprio il desiderio di buttarsi al
più presto alle spalle le tragedie e i lutti della catastrofe appena
terminata, e di tuffarsi nuovamente nella vita quotidiana con rin-
novata fiducia e speranza nel futuro, ridesta nell'immediato dopo-
guerra una voglia di vivere e di distrarsi dai gravosi problemi di
tutti i giorni che trova sfogo nella massiccia frequentazione dei
luoghi di divertimento, quali sono, ad esempio, le sale da ballo e
A. Lapadula, progetto per uno stabiimento
balneare a Senigallia
i ristoranti. Gli stabilimenti balneari per loro natura si configura-
no come dei contenitori multifunzionali con ambienti di ritrovo
e di svago, spesso a prezzi molto contenuti, luoghi dove si può
prendere il sole, fare bagni, ma anche socializzare, ballare e man-
giare - al ristorante o con la possibilità del fai-da-te per i meno
abbienti; per soddisfare tutte queste necessità hanno bisogno di
ampi spazi, di una precisa strutturazione in settori autonomi seb-
bene intercomunicanti, di dotazioni moderne e di servizi
efficienti.
Lo Studio Lapadula, e in particolare, come vedremo, Attilio, si fa
interprete di tali istanze compositive e ottiene numerosi incarichi
- concentrati soprattutto nella zona del litorale romano - dimo-
strando di saper gestire alla perfezione le problematiche del tipo.
Gli interventi da realizzare possono riguardare la ricostruzione o
il ripristino di impianti distrutti o danneggiati durante la guerra
oppure la progettazione ex-novo: in quest'ultimo caso si nota il
ricorso quasi sistematico all'idea del “cerchio sulla spiaggia” per
connotare l'elemento più significativo, il fulcro attorno al quale
far ruotare l'intera composizione. Forse la figura circolare, che
Attilio Lapadula utilizza spesso anche in edifici con connotazioni
più “nobili”, viene ritenuta la più adatta a rappresentare l'idea di
festa, la più idonea per una sala da ballo o per un ristorante sul
mare.
Già impiegata nelle strutture balneari pensate per il piano di rico-
struzione di Rimini, la rotonda è presente infatti nel caffè-risto-
rante sul molo di levante di Senigallia - progetto firmato da
Ernesto Lapadula - nonché nello stabilimento a Fregene, nel
«Kursaal» e nel «Cral Dipendenti Comunali» a Ostia Lido, tutti e
tre attribuibili ad Attilio. Esisteva d'altronde un precedente illu-
stre, sicuramente noto ai progettisti e che può aver influenzato la
scelta della stereometria circolare: lo stabilimento «Roma» a
A. Lapadula, progetto per uno stabilimento
Ostia Lido, di certo il più famoso d'Italia durante il ventennio
balneare a Fregene fascista, immortalato in innumerevoli filmati e cartoline e luogo

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Le architetture balneari

nel quale si svolgevano tutte le principali attività del


Regime in ambiente marino (3).
Le rovine del «Roma», dopo la distruzione avvenuta nel 1943 ad
opera delle truppe tedesche, erano ancora visibili nel 1946, quan-
do lo Studio Lapadula si occupa proprio della sua ricostruzione
(gli elaborati grafici sono firmati da Ernesto). L'ipotesi progettua-
le a noi nota (non realizzata) prevede un impianto del tutto diffe- G. B. Milani, stabilimento balneare “Roma”
rente dall'originario, denominato «Lido» e di concezione moder- a Ostia Lido, prospetto dell’edificio a mare
(primo progetto)
na: sui lati di una costruzione centrale, che al livello dell'arenile
contiene una gelateria, la cucina e ambienti di servizio e alla
quota d'ingresso funge invece da sala ristorante - dotata di una
struttura formata dalla ripetizione seriale di cinque archi comple-
tamente vetrati - si sviluppano due serie di cabine disposte in
linea e parallele al lungomare e altri due bracci protesi verso la
linea di battigia. All'estremità di levante - che corrisponde al set-
tore denominato «Marechiaro» - è inoltre prevista la costruzione
di un elegante corpo di fabbrica, la cui superficie curva assecon-
da l'andamento della strada litoranea.
A questo periodo appartengono le realizzazioni della «Nuova
Pineta», stabilimento situato nella zona meridionale del lungoma-
re di Ostia Lido, dotato di tre diversi accessi e di un fabbricato
centrale, destinato a bar-ristorante e posto su una piattaforma cur-
vilinea, e del già citato caffè-ristorante di Senigallia (entrambi i
progetti sono firmati da Ernesto); quest'ultimo consiste in un edi-
ficio stabile in muratura, collocato nei pressi della punta del molo
e contenente il padiglione bar, la cucina e i servizi, e in una piat-
taforma a mare a esso collegata, di forma circolare e realizzata in
cemento armato, su cui sono posizionati i tavolini per il caffè e il A. Lapadula, disegni di progetto per la
ricostruzione dello stabilimento balneare
ristorante, nonché un'ampia pista da ballo e lo spazio per l'orche- “Roma” a Ostia Lido

stra. Sulla piattaforma, nel periodo estivo, è previsto il montaggio


di un'ossatura composta da sedici colonnine in funzione di soste-
gno per la copertura, la cui orditura è formata da capriate in
canna metallica; altri 32 montanti sorreggono le sedici pensiline
rettangolari che circondano la copertura principale, dotata di teli
per il riparo dal sole e dalla pioggia.
La forma poligonale assume l'aspetto di un fiore capovolto e, a
parere del progettista, risulta la più idonea a garantire la stabilità
della struttura. Molto simile è il progetto per lo stabilimento bal-
neare “Grand Hotel” sulla spiaggia di Rimini: anche in questo
caso l'elemento centrale è costituito da un padiglione circolare -
dotato di una copertura rimovibile e disposto su una piattaforma
in cemento armato - attorno al quale ruotano le cabine, che assu-
mono un caratteristico andamento a ferro di cavallo (4).
Tutti gli altri progetti per impianti balneari conservati
nell'Archivio Lapadula sono firmati da Attilio. Al 1950 risale lo A. Lapadula, progetto per uno stabilimento
studio per lo stabilimento «Fregene», da realizzarsi nell'omonima balneare a Rimini

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Attilio Lapadula - Architetture a Roma

località del litorale romano: anche in questo caso l'elemento chia-


ve della composizione è rappresentato dalla pista da ballo circo-
lare, posta su una platea in cemento armato leggermente rialzata
rispetto al piano dell'arenile e dotata di una copertura simile a
quella prevista a Senigallia e a Rimini.
Nello stesso anno Attilio Lapadula è impegnato nella progettazio-
ne del «Kursaal» a Ostia Lido, stabilimento da subito impostosi
M. Ridolfi, Colonia marina a Castelfusano,
l’edificio per insegnanti all'attenzione della critica di settore per le eccellenti qualità tecno-
logiche e compositive che lo rendono forse il miglior esempio di
architettura balneare mai realizzato, giustificandone, in questa
sede, una trattazione più approfondita. La sua costruzione rap-
presenta il punto di arrivo di un progetto urbanistico complessi-
vo che comprende l'intera area di Castelfusano - zona di rilevan-
te interesse paesaggistico situata a sud-est di Ostia Lido - ipotesi
già avanzata a partire dagli anni '30 e concretizzatasi soltanto nel
secondo dopoguerra. All'inizio dell'ultimo conflitto mondiale il
limite estremo dell'area di levante della città è marcato dallo sta-
bilimento «La Pineta», poiché il Lungomare Duilio, prolunga-
mento della strada litoranea inaugurato nel 1931, si interrompe
in corrispondenza dell'accesso a questo impianto.
Il territorio oltre «La Pineta» è ancora dominato dalle dune.
Tuttavia già alla fine degli anni '20, come dimostra la tesi di lau-
C. Petrucci, PRG di Castelfusano, planime- rea di Mario Ridolfi, autore del progetto per una colonia marina
tria generale
a Castelfusano, era stata prevista la possibilità di un'espansione di
Ostia verso il settore di sud-ovest: fondamentale, a tale proposi-
to, si rivela l'intervento del Governatorato di Roma, che nel 1932
acquista dal principe Chigi la tenuta di Castelfusano, salvando “da
ogni speculazione edilizia (che già si profilava all'orizzonte) la
bella pineta che ne sarebbe stata degradata e almeno parzialmen-
te distrutta” (5). Nello stesso anno la volontà di preservare il
luogo e di valorizzarne le enormi potenzialità turistiche spinge il
Governatorato di Roma a bandire un concorso per la sistemazio-
ne dell'area (6).
Il vincitore è l'architetto Concezio Petrucci, la cui proposta pro-
gettuale, attuata solo in piccola parte, dimostra un'attenzione par-
ticolare per l'orografia e per la grande valenza paesaggistica del
sito. Il parco viene salvaguardato utilizzando per la viabilità i trac-
ciati già esistenti e individuando invece per quelli nuovi i luoghi
più sgombri di vegetazione; nell'area compresa tra il parco e la
fascia litoranea è prevista la realizzazione del «Country Club» di
Roma, con impianti destinati alle attività sportive di élite (golf,
tennis, ippica), mentre a ridosso del viale lungomare, prolungato
a partire da quello già esistente, si trovano i nuclei edilizi, anch'es-
si con caratteristiche di lusso: nella zona adiacente al canale di
C. Petrucci, PRG di Castelfusano, dettaglio Castelfusano sono situati i villini signorili, all'estremo opposto, al
della zona destinata ad alberghi confine con la Tenuta Reale di Castelporziano, è prevista la

12
Le architetture balneari

costruzione di cottages, tipo considerato più adatto alle spiccate


caratteristiche ambientali del luogo, e nella zona centrale si con-
centrano invece i grandi alberghi con i servizi, gli stabilimenti bal-
neari e i ristoranti (7).
Gli eventi bellici interrompono l'attuazione del piano: durante
l'occupazione delle truppe tedesche vengono inoltre distrutti
alcuni dei principali edifici pubblici e molti stabilimenti balneari,
probabilmente considerati una possibile testa di ponte per i
mezzi alleati in previsione di un loro eventuale sbarco a Ostia. Al
A. Libera, progetto per il PRG di
Castelfusano
termine del conflitto la risistemazione del litorale romano viene
avviata immediatamente con il censimento dei danni di guerra e
lo sminamento degli arenili; vengono varati provvedimenti di
urgenza per la ricostruzione degli impianti danneggiati o non più
esistenti, e si decide di concentrare le nuove strutture balneari
nella zona di Castelfusano, dove è prevista la realizzazione “di un
attrezzatissimo, vasto e signorile centro balneare, che nulla avrà
ad invidiare a quelli delle spiagge più note e frequentate, italiane
e straniere” (8). Si è infatti stabilito che “il magnifico arenile che
per circa quattro chilometri si estende dal Canale dello Stagno
fino alla Tenuta di Castel Porziano, per la sua profondità, la qua-
lità della rena, e per l'incantevole grandioso scenario del Parco di
Castel Fusano” possa essere “la zona ideale per un centro balnea-
re di incomparabili attrattive e di eccezionali possibilità di intelli-
gente sfruttamento” (9). L. Moretti, E. Montuori, progetto per il PRG
di Castelfusano
Il completamento, in atto, della Via Cristoforo Colombo, ex Via
Imperiale concepita dal regime fascista per fungere da asse della
prevista e agognata espansione di Roma verso il Tirreno, e il pro-
lungamento verso levante della ferrovia Roma-Ostia, contribui-
scono inoltre in misura determinante allo sviluppo della zona. È
evidente come le indicazioni di massima del Piano Regolatore di
Castelfusano del 1932 siano state recepite anche dagli ammini-
stratori romani del secondo dopoguerra: il programma di ricon-
versione dell'area prevede infatti, tra gli altri interventi, la creazio-
ne di un grandioso centro sportivo a carattere internazionale,
comprendente un ippodromo, un autodromo e piste di atletica.
In quest'ambito pianificatorio rientra anche la costruzione dello
stabilimento «Kursaal», come si evince dai documenti pubblicati
dal Comune di Roma: «È ovvio, pertanto, che il Comune e tutti
gli organi che sono interessati allo sviluppo e all'incremento del
Lido tengano ben conto di questa superba situazione di fatto e
che nulla trascurino per favorire qualsiasi iniziativa intesa a crear-
vi al più presto quel centro turistico-sportivo-balneare di grande
lusso e di risonanza internazionale degno del nome e delle tradi-
zioni della città eterna.
Veduta aerea da levante del litorale di
Castelfusano negli anni ’50.
Per questo è stato già messo allo studio un vasto programma di Si riconoscono: l’arrivo della via Cristoforo
Colombo, lo stabilimento “Kursaal”, e, sullo
grandiosi ed adatti impianti sportivi a carattere internazionale tra sfondo, Ostia Lido

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Attilio Lapadula - Architetture a Roma

A. Lapadula, stabilimento balneare Kursaal a Ostia Lido, elaborati progettuali

14
Le architetture balneari

cui moderni e ben attrezzati ippodromi, autodromi, piste varie, e


con questi concetti è sorto già un modernissimo stabilimento, il
Kursaal, con grandi piscine, trampolini, rotonde, campi da ten-
nis, ecc. Stabilimento di tipo internazionale, primo di una serie di
molti altri che, sotto l'egida e l'impulso del Comune e con l'auto-
rizzazione del Ministero della Marina Mercantile, con esso si alli-
neeranno lungo la spiaggia di Castel Fusano, parallelamente a
grandiose costruzioni private, con ville signorili, grandi alberghi
ed adatti centri di attrazione» (10).
L'atto ufficiale di nascita dello stabilimento coincide con l'istanza
con la quale, nel gennaio del 1950, la Società Anonima per
Azioni «Kursaal» chiede all'Amministrazione Marittima la licen-
za per la realizzazione di un impianto balneare sul tratto di areni-
le situato a ponente dello slargo che funge da sbocco sul mare
della Via Cristoforo Colombo (11). Il lotto dato in concessione
dal Demanio, che copre una superficie di circa 37.000 mq e ha
una forma trapezoidale, occupa una posizione estremamente
favorevole, poiché è raggiungibile con facilità da Roma attraverso
la Via Cristoforo Colombo e può nello stesso tempo usufruire A. Lapadula, stabilimento balneare
delle grandi valenze ambientali e paesaggistiche della pineta Kursaal a Ostia Lido, planimetria generale

retrostante, ancora priva di edifici e vincolata a verde. Nello stes-


so anno sono inoltre in fase di ultimazione i lavori per la costru-
zione della fermata «Cristoforo Colombo» della linea ferroviaria
Roma-Lido - principale mezzo di collegamento tra Ostia e la
capitale fin dalle origini della nuova borgata marittima - prevista
nelle immediate vicinanze del nuovo stabilimento.
Il progetto del «Kursaal» è impostato da subito secondo caratte-
ristiche di lusso, con servizi altamente qualificati e strutture all'a-
vanguardia, in modo da rispondere in pieno alle esigenze di
comfort e di esclusività di una clientela esigente e di livello socia-
le elevato (12). Lo stabilimento, realizzato in meno di tre mesi
dall'Impresa Nervi & Bartoli, viene inaugurato il 15 giugno 1950
alla presenza delle maggiori autorità e dei principali organi di A. Lapadula, stabilimento balneare
Kursaal a Ostia Lido, veduta aerea negli
stampa della capitale. Il progetto approvato dal Comune di Roma anni ’50

viene leggermente variato in fase esecutiva, come si evince dalle


foto aeree immediatamente successive alla costruzione, e, soprat-
tutto, da una variante conservata presso l'Archivio Lapadula: nel-
l'ipotesi definitiva la piscina olimpionica e la rotonda risultano
infatti spostate verso il lungomare - in modo tale da lasciare più
spazio per le cabine e per la spiaggia - la piscina per i bambini ha
una forma diversa e cambia inoltre la disposizione degli altri
impianti sportivi e delle cabine.
L'ingresso allo stabilimento, che risulta fortemente decentrato
rispetto all'asse del lotto, è sottolineato dalla presenza di un pic-
colo padiglione adibito a biglietteria e coperto da una tettoia sor- A. Lapadula, stabilimento balneare
Kursaal a Ostia Lido,
retta da pilastrini cilindrici; da qui prende l'avvio una lunga passe- veduta della “rotonda”

15
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

rella che si spinge in linea retta fino alla spiaggia - dove devia leg-
germente per assecondare l'ortogonalità con la linea di battigia -
concludendosi con un pontile a mare. Il segno bidimensionale
determinato dall'andamento della passerella spartisce idealmente
l'area in due settori: a ponente sono situati gli impianti sportivi
principali, con la grande piscina olimpionica dotata di propri spo-
gliatoi e docce, ampie tribune per il pubblico e trampolino nel
lato corto verso il mare. A levante si trovano altre attrezzature
sportive (una piscina per bambini a forma di laghetto, il campo
A. Lapadula, stabilimento balneare per il minigolf), nonché un fabbricato destinato alla direzione
Kursaal a Ostia Lido, dettaglio della
“rotonda”
dello stabilimento. Entrambe le piscine contengono acqua mari-
na, convogliata da grosse pompe elettriche di entrata e di uscita.
Sono inoltre previsti spogliatoi a rotazione della capienza giorna-
liera di 1200 posti e 320 cabine (150 viareggine in muratura e 170
in legno), 50 delle quali attrezzate anche con doccia interna. È da
notare come nel progetto presentato al Comune di Roma non sia
presente il caratteristico trampolino di forma circolare - al cui
posto è inserita una piccola e semplice struttura con due piat-
taforme per i tuffi - al contrario già visibile nella planimetria
definitiva conservata presso l'Archivio Lapadula.
Nelle due proposte progettuali è invece pienamente sviluppata la
A. Lapadula, stabilimento balneare soluzione architettonica del fabbricato circolare adibito a bar,
ristorante e salone delle feste. La straordinaria copertura della
Kursaal a Ostia Lido, veduta notturna
della rotonda
sala, il cui raggio interno è pari a 7,30 m, è composta da una volta
a forma di fungo sorretta da un unico pilastro centrale rastrema-
to in basso, ed è caratterizzata dalla presenza di nervature dispo-
ste secondo l'andamento delle sollecitazioni. Completamente
distaccata da questa copertura è un'esile pensilina a sbalzo, che
sfrutta l'azione di contrasto tra l'anello esterno - in trazione - e
quello interno, sorretto dai pilastrini perimetrali della sala - in
compressione.
La scelta tecnologica e compositiva, oltre all'indubbia valenza
estetica determinata dal senso di forte plasticità che scaturisce dal-
A. Lapadula, stabilimento balneare
l'evidenziazione del sistema statico - con la struttura che diventa
Kursaal a Ostia Lido, interno della rotonda essa stessa “edificio” - consente di ottenere una trasparenza pres-
soché totale del fronte verso il mare, che si legge così come un'u-
nica superficie vetrata ininterrotta, in grado di creare suggestivi
giochi di luce, in particolare con l'illuminazione notturna. Nella
parte posteriore la sala è invece dotata di ambienti chiusi per le
cucine e i locali di servizio (13).
L'idea della “rotonda”- spesso attribuita a Pier Luigi Nervi e rego-
larmente inserita tra le sue opere - scaturisce in realtà da un'intui-
zione originale di Attilio Lapadula. Le documentazioni consulta-
bili negli archivi non lasciano alcun dubbio in proposito: l'elabo-
A. Lapadula, stabilimento balneare
Kursaal a Ostia Lido, la copertura della
rato che riporta la planimetria e la sezione del bar-ristorante-salo-
rotonda ne delle feste, datato 1950 e firmato da Lapadula, mostra infatti

16
Le architetture balneari

già la soluzione architettonica definitiva, soltanto ampliata nella


parte verso il mare nella variante redatta dallo stesso progettista
due anni più tardi. Anche le fotografie di cantiere eseguite duran-
te la costruzione dell'edificio forniscono un'ulteriore testimonian-
za della sicura paternità dello stesso (14). Alla Società «Nervi &
Bartoli» viene appaltata la costruzione: le relazioni tecniche pre-
sentate al Comune di Roma nel 1952 sono firmate da Antonio
Nervi, figlio di Pier Luigi e suo stretto collaboratore, e lo stesso
titolare dello studio, come dimostrano le fotografie dei cartelli
apposti sul cantiere, risulta in qualità di Direttore dei Lavori,
A. Lapadula, stabilimento balneare
Kursaal a Ostia Lido, la copertura della
mentre la progettazione e la direzione artistica sono affidate ad rotonda in costruzione

Attilio Lapadula.
L'adozione del sistema costruttivo con tavelloni prefabbricati di
forma romboidale e nervature gettate in opera, che conferisce
all'intradosso della copertura della “rotonda” un disegno
inconfondibile, determinato dall'andamento delle forze - brevet-
to di Pier Luigi Nervi - indica un suo intervento nella fase di pro-
gettazione ed esecuzione delle strutture. Nell'elaborato grafico
sottoposto nel 1950 all'approvazione della Commissione Edilizia,
in effetti, non c'è traccia di una soluzione simile, che contribuisce
senza dubbio ad arricchire la già straordinaria copertura, il cui
impianto planivolumetrico si deve tuttavia, come ricordato in pre-
cedenza, a un'intuizione originale di Attilio Lapadula. La stessa A. Lapadula, stabilimento balneare

ipotesi è a mio parere valida anche per la paternità del grande


Kursaal a Ostia Lido, il trampolino

trampolino per i tuffi dalla caratteristica forma circolare, che, pur


non essendo previsto nel primo progetto, viene realizzato con-
temporaneamente alla piscina. L'idea compositiva è ascrivibile ad
Attilio Lapadula, che sottopose il modello da lui preparato (una
foto del quale è tuttora conservata presso l'Archivio dell'architet-
to) al parere tecnico di Pier Luigi Nervi.
È noto inoltre come fosse una peculiarità di quest'ultimo, quan-
do veniva chiamato a realizzare in qualità di titolare della sua
Impresa di Costruzioni progetti di altri professionisti, quella di
fornire un proprio contributo di idee anche in fase progettuale
(15). Realizzato in cemento armato, disponeva di un'ossatura for-
mata dalla curvatura di tre tondini esterni, collegati da staffe di
sezione minore che realizzavano una struttura secondaria a forma
di Y.
Il trampolino, assurto a simbolo della balneazione romana
durante gli anni del boom economico - quando il «Kursaal»,
impianto dove si svolgono le più importanti serate mondane del
litorale e luogo spesso scelto dai registi cinematografici per
ambientare i loro lungometraggi a carattere “marino” e vacanzie-
ro, si impone quale meta principale per il turismo di élite capito-
lino - negli anni '70, al culmine della crisi economica e sociale che A. Lapadula, stabilimento balneare
Kursaal a Ostia Lido, il trampolino in
coinvolge il litorale, a causa del progressivo degrado provocato costruzione

17
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

dalla carenza di manutenzione e dall'azione erosiva degli agenti


atmosferici, viene dichiarato pericolante, e nel 1974 ne viene
imposto lo smantellamento. Gli attuali concessionari dello stabi-
limento lo hanno voluto riproporre “come era e dove era”, rico-
struendolo tuttavia con un materiale diverso, utilizzando cioè il
legno lamellare al posto del cemento armato; ne è risultato un
diverso dimensionamento delle sezioni resistenti, e quindi la
nuova struttura, priva dello slancio dell'originaria, sembra più
bassa.
La ristrutturazione ha purtroppo coinvolto anche la rotonda e la
piscina: quest'ultima è stata completamente smantellata e rico-
struita, sostituendo l'acqua di mare con quella dolce, mentre la
rotonda è stata ampliata e notevolmente trasformata, privandola
delle primitive caratteristiche di trasparenza e leggerezza.
Sicuramente condizionata dal successo ottenuto con la progetta-
zione del «Kursaal» è la proposta per la ricostruzione dello stabi-
limento del «Dopolavoro dei Dipendenti del Comune di Roma»
a Ostia Lido, posto a poche centinaia di metri di distanza e desti-
nato a rimpiazzare la struttura dell'ex Governatorato di Roma,
realizzata nel 1938 sul lungomare Duilio e distrutta durante gli
eventi bellici (16).
L'impianto planimetrico ideato da Attilio Lapadula è caratterizza-
A. Lapadula, progetto per lo stabilimento
CRAL Dipendenti del Comune di Roma,
planimetria generale e foto del plastico to da una rigida simmetria, con le costruzioni principali allineate
lungo l'asse mediano e i locali di servizio e le cabine decentrate
nei settori laterali, disposti ortogonalmente alla linea della batti-
gia; anche in questo caso il fulcro della composizione è rappre-
sentato dalla rotonda in cemento armato del bar-ristorante, situa-
ta al centro dell'arenile, coperta a volta e collegata all'edificio d'in-
gresso attraverso un lungo pontile. Così come per il «Kursaal», il
sistema statico adottato nella “rotonda” consente la completa tra-
sparenza delle pareti perimetrali. Il progetto non viene purtrop-
po realizzato, poiché subisce il veto della Soprintendenza ai
Monumenti del Lazio, secondo la quale “la sagoma della coper-
tura dei corpi di fabbrica prospicienti il lungomare” risulta ecces-
sivamente ingombrante (17); al suo posto il Comune di Roma
preferisce pertanto erigere un corpo di fabbrica molto più con-
venzionale, che riproduce, in forme semplificate, lo stabilimento
distrutto.
L’ultimo intervento eseguito da Attilio Lapadula sul litorale di
Ostia riguarda la costruzione di un padiglione destinato a conte-
nere gli spogliatoi a rotazione dello stabilimento “Il Capanno”, ex
“Duilio”. Molto ben armonizzata con l’architettura razionalista
dell’edificio centrale - attribuito a Luigi Moretti (18) - la struttura
ha subito di recente una profonda trasformazione.
A. Lapadula, stabilimento balneare Dulio a
Ostia Lido, dettaglio dell’edificio adibito a
spogliatoi a rotazione

18
Le architetture balneari

Note: edizione del «Gran Premio Roma» di Formula uno.


Attilio Lapadula progetta inoltre nell’area due ville unifa-
(1) Su questo argomento si consulti il volume AA.VV., miliari.
Ostia. Gli stabilimenti balneari, Roma 1996.
(11) Archivio IX Dipartimento del Comune di Roma,
(2) Il medesimo fenomeno si riscontra anche nell’ambito prot. 9518/52.
dell’architettura residenziale, che nelle località balneari
tende a uniformarsi anch’essa ai tipi “navali”. (12) Cfr. S. BOSCOLO, Kursaal, in Ostia. Gli stabilimenti
balneari, cit., pp. 110-113. Gli elaborati grafici relativi al
(3) Costruito tra il 1924 e il 1927 su progetto di Giovan «Kursaal», oltre che nell’Archivio Lapadula, sono conser-
Battista Milani, era dotato di un fabbricato a terra e di una vati presso l’Archivio del IX Dipartimento del Comune di
gigantesca rotonda a mare, sviluppata su due livelli che Roma, prot. 9518/52.
contenevano altrettante sale adibite a ristorante e a sala da
ballo. Per un approfondimento vedi L. CRETI, Roma, in (13) Per una completa trattazione sugli aspetti tecnologici
Ostia. Gli stabilimenti balneari, cit., pp. 29-37; L. CRETI, dello stabilimento «Kursaal» si veda S. MORNATI, Forma e
Lo stabilimento balneare «Roma» a Ostia Lido, in «Lazio struttura nello stabilimento balneare “Kursaal” ad Ostia
ieri e oggi», XXXIX, 11, pp. 346-350. (Roma), in La riqualificazione delle coste del Mediterraneo
fra tradizione, sviluppo e intervento sostenibile,
(4) Nella realizzazione, come si osserva dalle foto conser- International Conferenze CITTAM, Napoli 2003, pp. 321-
vate presso l’Archivio dello Studio, la struttura, in cemen- 331 - IDEM, Lo stabilimento Kursaal di Castelfusano.
to armato e muratura, diventa fissa, e anche la disposizio- Un’opera di Lapadula e Nervi tra mito e attualità, in
ne delle cabine non segue quella ipotizzata nel progetto, «L’Industria delle Costruzioni», 373, 2003, pp. 82-86.
ma risulta molto più rigida.
(14) Come ricorda S. MORNATI, Forma e struttura..., è lo
(5) «Capitolium», XII, 1937, p. 318. stesso Nervi ad attribuire ad Attilio Lapadula la paternità
della rotonda e del trampolino.
(6) Al concorso partecipano, tra gli altri, Luigi Moretti ed
Eugenio Montuori, ed è probabile che alla medesima (15) A tale proposito si veda P. DESIDERI, P.L. NERVI
occasione si riferisca il noto studio per la sistemazione di JR., G. POSITANO, Pier Luigi Nervi, Bologna 1979, p. 5.
Castelfusano di Adalberto Libera.
(16) Cfr. C. MASTELLONI, CRAL Dipendenti Comunali,
(7) Cfr. M. PANICONI, Il Piano Regolatore di Castel in Ostia. Gli stabilimenti balneari, cit., p. 115.
Fusano, in «Architettura», settembre 1933, pp. 590 sgg.
(17) Questa norma, purtroppo oggi disattesa, della salva-
(8) COMUNE DI ROMA (a cura del), Attività svolta nel terri- guardia delle cosiddette “visuali prospettiche”, tutela il
torio della Circoscrizione del Lido nell’ultimo quadrien- Lungomare di Ostia Lido già da prima del secondo con-
nio, Roma s.d. (ma post 1951), p. 15. flitto mondiale: per ottenere la licenza di costruzione gli
edifici stabili in muratura devono essere infatti realizzati in
(9) Ibidem. modo tale che da ogni punto della strada litoranea sia
sempre garantita la vista diretta del mare, e dalla spiaggia
(10) Ibidem, pp. 16-17. Oltre agli stabilimenti balneari quella della pineta.
vengono realizzati un albergo di livello internazionale
(l’Enalc Hotel) e un circuito automobilistico nella pineta (18) Per maggiori dettagli si veda S. BOSCOLO, Duilio, in
di Castelfusano, che nel 1954 ospita la prima – e unica – Ostia. Gli stabilimenti balneari, cit., pp. 84-85.

19
Villino in via di S. Anselmo, prospettiva

Villa Angiolillo, prospettiva


IL CONTROLLO DELLA GEOMETRIA: SIMMETRIE E ROTA-
ZIONI NEL PROGETTO DELLA RESIDENZA
di Paola Portoghese
Via dei Decii è una piccola strada in salita che da via di S.
Anselmo conduce su via di Santa Prisca. Un alto muro di conte-
nimento, ricoperto di piante rampicanti nei colori rossi dell'au-
tunno, nasconde alla vista il primo piano del villino, al di sopra
una lunga ringhiera in ferro e vetro da cui si alza il volume dell'e-
dificio. Costruito nel 1955 (1) è tra le prime opere di edilizia resi-
denziale dell'architetto, ma dimostra già scelte sicure e precise
nella progettazione, elementi che saranno in parte ripresi nelle
opere successive ed altri che invece saranno dimenticati.
Il tema del villino diviene una occasione congeniale per speri-
mentare il linguaggio del moderno, lavorare su un oggetto isola-
to, in qualche modo non vincolato al contesto, oggetto unico su Villino in via dei Decii
cui si può controllare la pianta e la sua relazione con l'alzato, in
un tessuto urbano caratterizzato dalla discontinuità e dalla fram-
mentazione.
La tradizionale ripartizione dei villini ottocenteschi, di cui Roma
possiede memoria antica, in basamento, alzato e coronamento
viene in qualche modo sovvertita: l'alto muro di contenimento
non costituisce il solido radicamento al terreno, ma, al contrario,
diviene elemento da cui improvvisamente si legge l'alzato, mentre
la conclusione superiore si smaterializza nella lunga striscia di
vetro che protegge il terrazzo. Un lessico razionalista che studia
una misurata scomposizione del volume in piani differenti si evi-
denzia nella composizione dei prospetti.
Gli schizzi e i disegni di progetto testimoniano percorsi diversi
nel cammino progettuale: la scelta di lavorare su una pianta ret-
tangolare simmetrica rimane invariata nel corso del progetto, ma
gli elementi della pianta e, soprattutto, l'immagine dell'insieme, Schizzi prospettici
risultano molto differenti. Due piccoli schizzi studiano la facciata
tripartita, ma con due soluzioni: la prima con i due blocchi late-
rali leggermente aggettanti, la seconda con la fascia centrale sud-
divisa da elementi vetrati; una prospettiva di studio rappresenta
un volume fortemente compatto, con i vuoti dei balconi ritagliati
all'interno e un pesante cornicione trapezoidale di coronamento.
Sono elementi progettuali che verranno ripresi in opere successi-
ve, ma che in questo caso vengono abbandonati in favore di solu-
zioni più innovative: una serie di piccoli setti fuoriescono dalla
superficie laterale e rompono la continuità della pianta creando
un movimento sui prospetti laterali, mentre la facciata su via dei
Decii è tripartita con ai lati le strisce in vetro dei balconi e nella
fascia centrale il ritmo serrato dei setti e parapetti in cemento
armato che determinano un contrappunto di vuoti e di pieni. I Pianta del piano tipo

21
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

parapetti contengono all'interno delle fioriere e sporgono legger-


mente oltre il filo dei balconi che li racchiudono ai lati; un altro
parallelepipedo con fioriera interna è addossato alla parte latera-
le come elemento sovrapposto, mentre l'elemento superiore che
protegge la lunga balconata di facciata è una lastra sottile che
sporge dal volume. Non sono elementi evidenti, ma scarti sottili
che raccontano l'intenzione di erodere la volumetria compatta e
di riflettere sulla possibilità di creare variazioni di movimento
anche da una pianta chiusa. La chiostrina quadrata centrale con-
sente di illuminare il corpo scala e i bagni disposti sui lati e inol-
Particolare del prospetto tre separa la zona giorno, che si affaccia sul prospetto principale
con una sequenza di aperture, dalla zona notte, che è distribuita
sul retro. I materiali adottati appartengono rigorosamente al les-
sico del razionalismo: cemento a vista, intonaco, ferro e vetro,
non vi è nessuna concessione al rivestimento che invece compa-
rirà nelle opere seguenti.
Ritroviamo elementi simili nella palazzina per la cooperativa
L'Ape (2) e in quella per la cooperativa La Fedelissima (3)
costruite dal 1955 al 1958, ma il villino si è trasformato nella
palazzina con differenze evidenti (4).
La palazzina per la cooperativa L'Ape presenta una pianta simile
con chiostrina centrale su cui affacciano la scala e i bagni, mentre
il volume del soggiorno è portato a filo di facciata con otto fine-
stre che danno un ritmo serrato tra i vuoti dei balconi laterali; il
prospetto laterale unisce un alternarsi rigorosamente studiato di
pieni, balconi, aperture, sul retro una lunga balconata sporge di
poco dal volume. Un attento cromatismo delle superfici, visibile
nelle foto d'epoca, sottolinea gli elementi che si compongono
secondo piani differenti: intonaco chiaro nella fascia centrale di
facciata ritmata dai pannelli in calcestruzzo allungati oltre la linea
dei solai, colore scuro per le superfici arretrate dei balconi ai due
lati. Sul fianco, piccoli balconi centrali separano i due volumi di
diversa ampiezza e colore: i bianchi parapetti si sovrappongono
Palazzina L’Ape come lastre sottili e risaltano sull'intonaco scuro; un gioco raffina-
to di piani e colori, completamente perso nel desolante ed unifor-
me intonaco ocra che oggi riveste tutta la palazzina.
Nel progetto per la cooperativa La Fedelissima, la pianta segue
l'andamento del lotto e presenta un lato obliquo, chiostrina cen-
trale quadrata con scala addossata che conduce ai due apparta-
menti per piano. La facciata principale è ancora tripartita, ma la
parte centrale arriva al filo dei balconi con la divisione delle fine-
stre, mentre sui prospetti laterali il volume si restringe leggermen-
te e i parapetti dei balconi sono delle lastre sovrapposte che scen-
dono oltre la linea di marcapiano del solaio. Il prospetto sul retro
è rigorosamente simmetrico: al centro la doppia fila di piccoli bal-
Prospetto laterale coni con i parapetti che arrivano al filo delle finestre sottostanti

22
Il controllo della geometria: simmetrie e rotazioni nel progetto della
residenza

creando un segno unico, esaltati dalle due porzioni di pieno che


li affiancano. È ancora un lavoro rigoroso su una scatola compat-
ta che si cerca di frantumare lievemente attraverso piccoli, ma
significativi segni.
Nella pianta per la palazzina L'Aldina (5) la scala a rampa unica
è in posizione centrale, su di essa si compongono i volumi dei tre
appartamenti che formano un corpo rettangolare piuttosto allun-
gato dove il movimento delle superfici è affidato alle lievi rien-
tranze dei volumi e agli aggetti dei balconi. Purtroppo anche in
questo caso, il trattamento delle superfici ha disperso la lettura
dei ritmi tra le aperture e gli aggetti adottando colori del tutto Palazzina Video San Gabriele, pianta

inadeguati.
Nel progetto per la cooperativa Laeta Patet Amicis (6), la scom-
posizione della pianta simmetrica è giunta al suo compimento: il
corpo quadrato delle scale diviene centro di un movimento radia-
le, su di esso si incastrano i volumi rettangolari dei tre apparta-
menti analoghi secondo direzioni diverse. Questa rotazione degli
elementi consente ampie superfici di balconi per la zona giorno
e le camere da letto, mentre i servizi sono alloggiati negli spazi
adiacenti al corpo scala. Si tratta di una geometria sempre molto
controllata, le articolazioni della pianta devono restituire un alza-
to dal movimento trattenuto da ripetizioni e simmetrie. Balconi
aggettanti e leggermente rientranti, piccole logge, contribuiscono
a creare i chiaroscuri delle facciate, sui prospetti si alternano il
rivestimento in travertino del piano terra, l'intonaco Terranova
tra la maglia strutturale, il vetro dei balconi, le leggere lastre di cal-
cestruzzo al di sopra e in copertura.
Degli stessi anni è il progetto per la cooperativa Video San
Gabriele (7) che rappresenta una indagine su una pianta di nuovo
simmetrica, ma non compatta: un nucleo centrale trapezoidale Particolare del prospetto

con le scale, l'ascensore e ambienti di servizio costituisce una


sorta di cerniera, i due volumi rettangolari degli appartamenti si
uniscono ad essa inclinandosi verso l'esterno.
Ne consegue una forma articolata, studiata per ottenere il miglior
orientamento possibile, sorprendentemente moderna nel taglio
centrale dove il vuoto dei balconi separa decisamente i due
volumi in alzato.
Ai lati, grandi superfici balconate ritagliano ampie zone di vuoti
che contribuiscono a smaterializzare la compattezza dell'insieme,
mentre sul retro il blocco compatto della scala allontana dal cen-
tro i due elementi. Sul prospetto su via Tito Livio, la struttura è
portata a vista sui lati, tra i pilastri si incastrano i balconi chiusi da
elementi prefabbricati a “C” che contengono le fioriere, mentre
le balconate a filo di struttura sono protette da pannelli di vetro
retinato. Il rivestimento in mattoncini di klinker giallo paglierino
lascia la maglia strutturale in evidenza con la granulometria del Particolari del rivestimento

23
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

cemento, i nodi sono studiati con cura per sottolineare l'insieme


degli elementi, le teste delle travi appena in rilievo sono leggibili
sulla superficie. Anche le lastre di travertino del piano terra si
interrompono sagomandosi in corrispondenza dei pilastri e
scoprendo negli angoli il cemento della struttura.
Molti elementi di Video San Gabriele ritornano nella costruzio-
ne di Villa Lontana (8), sapientemente orchestrati in questo che
certamente può essere considerato tra i progetti più rappresenta-
tivi del suo modus operandi. Villa Lontana ci mostra un prospet-
to esile tra le piante del parco che la circondano: avvicinandosi
lungo il vialetto di ghiaia l'insieme di struttura e rivestimento di
nuovo sorprende per la sua modernità: una leggera gabbia di travi
e pilastri sostiene balconi quadrati con una complicata decorazio-
ne gradonata che ricorda molto i segni scarpiani, tagli orizzontali
centrali rafforzano questa sensazione, come le finestre allungate
negli angoli, sottili lame di luce. La pianta si sviluppa dal nucleo
centrale della scala, secondo tre direzioni: grandi corridoi delle
zone di disimpegno creano negli angoli interni superfici vetrate
Villa Lontana
scandite da piccoli setti dove il segno si fa più serrato, mentre si
distende sul prospetto lungo anteriore con una balconata quasi
indistinta e l'iterazione del quadrato nei balconi aggettanti.
Sono riflessioni su una geometria rigorosa di quadrati e rettango-
li, sottolineata dalle strisce di intonaco tra i mattoni delle superfi-
ci, esaltata dalle cornici bianche che racchiudono le finestre,
ricorrente nei ritmi delle aperture.
Le raffinate soluzioni espressive e l'uso di materiali pregiati rende
questo progetto tra i più significativi dell'edilizia residenziale di
quegli anni.
La palazzina di piazza Albania (9), costruita nel 1962 su un pro-
getto abbozzato anni prima, appare differente dai lavori prece-
denti rivelando quasi un mutamento di espressione. Le parti di
Particolare del prospetto

prospetto rivestite con una cortina di mattoni, le falde del tetto


che nascondono il piano attico mostrano scelte espressive che
stanno mutando, abbandonando la fedele coerenza ad un lessico
razionalista per orientarsi anche verso i materiali della tradizio-
ne, le pietre, i mattoni, i legni. La pianta è un attento studio di
aggregazioni di volumi teso a restituire in alzato prospetti simme-
trici, con il gruppo centrale della scala definito da un'unica rampa
che ha permesso di separare i due blocchi degli appartamenti,
formando una piccola corte interna su cui si affacciano i servizi.
In facciata ritorna l'alternarsi dei balconi laterali con la fascia cen-
trale scandita dal ritmo di cinque aperture.
Le linee marcapiano dei solai sono lasciate a vista, mentre le teste
delle travi sporgono al di sotto dei balconi e diventano elemento
decorativo. Sui lati sporgenze di volumi e balconi ricreano un
Palazzina in piazza Albania ritmo simmetrico; un mattone sottile riveste tutti gli elementi che

24
Il controllo della geometria: simmetrie e rotazioni nel progetto della
residenza

si trovano sulla superficie in vista, ma scompare sui piani arretra-


ti. Vi è quasi un gioco divertito con gli elementi del decoro che
sono chiaramente dichiarati tali: un motivo al di sotto delle fine-
stre richiama le ringhiere in ferro, il disegno fitto di queste ripete
in verticale il segno della cortina di mattoni.
Gli aggetti e i rientri del volume sono studiati per consentire il
lieve movimento delle facciate contenuto entro una stereometria
definita: i balconi ai lati e sul retro sono sempre delimitati da setti,
solo in facciata sono aggettanti.
Sembra comparire una citazione della tradizione nella ripartizio-
ne canonica di basamento, alzato e coronamento: il primo è dato
dalle lastre in travertino che ricoprono il piano terra, il corona- Palazzina in viale S.S. Pietro e Paolo, foto
mento dal cornicione e dalle falde del tetto che nascondono alla di cantiere

vista il piano attico. Purtroppo tutto il piano terra su piazza


Albania è nascosto dietro una stazione di rifornimento di carbu-
rante che ne impedisce completamente la vista.
Degli stessi anni è la palazzina all'Eur (10) dove l'impiego di mate-
riali simili come il rivestimento in mattoni e l'inserimento di pic-
coli setti nella facciata o la stessa copertura a tetto conducono ad
un risultato molto differente: anche qui un alto muro in blocchi
di tufo circonda la costruzione e impedisce la vista del primo
livello; il prospetto sull'ingresso presenta un lato lungo, rigorosa-
mente simmetrico e suddiviso da piccoli setti, quasi delle lesene,
che separano le aperture degli ambienti di soggiorno sui balconi
protetti dai pannelli in vetro dagli angoli tagliati.
La conclusione superiore ripete la simmetria di due mansarde
uguali completamente chiuse solo da infissi in legno chiaro.
Ma è sui lati minori, dove i balconi ai lati racchiudono la fascia
centrale rivestita in mattoni, che si coglie l'accurato intento deco-
rativo: i mattoni sottili sono interrotti al centro da quadrati in
Villino in via S. Anselmo, pianta

cotto alternati che insieme alle fasce bianche dei marcapiano e ai


pannelli sempre bianchi al di sopra delle aperture originano un
piacevole quanto inatteso effetto cromatico.
Chiude il prospetto laterale sul retro una stretta lastra di vetro a
tutta altezza, tra due file di mattoni delle stesse dimensioni, un
elemento che alleggerisce la chiusura della cortina.
La lunga scansione di piccoli setti ritorna nel prospetto del villino
su via S. Anselmo (11), visibile oltre un alto muro di recinzione,
ma in questo caso la superficie che si legge è una linea curva che
avvolge gli elementi del costruito. Guardando il villino dall'ango-
lo tra via Santa Melania e via S. Anselmo, ci sembra di percepire
quasi una bianca piattaforma curva che si stacca dal perimetro
sottostante e si libra nell'aria.
Il corpo centrale della scala costituisce il punto di rotazione di
una parte della pianta, risolto sul retro con una spezzata e sul pro-
spetto frontale con una linea avvolgente, sottolineata con forza Particolare del prospetto

25
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

dallo sbalzo della lunga balconata dell'ultimo piano e dall'alto cor-


nicione di coronamento.
Ritroviamo ancora gli stessi materiali per le palazzine di via
Pineta Sacchetti (12), costruite negli anni Settanta, che riprendo-
no un lessico già sperimentato con intelaiatura a vista e rivesti-
mento in mattoni, ma presentano una volumetria più compatta,
alleggerita dalla soluzione che lascia libero il piano terra con i
pilastri strutturali, permettendo il passaggio su tutta la superficie.
Gli appartamenti in via delle Fornaci (13), costruiti nei primi anni
Ottanta, sembrano rappresentare la codificazione di una ricerca
durata da sempre sulla possibilità di una scomposizione attenta-
mente e geometricamente controllata. Una maglia quadrata di
Complesso edilizio in via delle Fornaci

quattro metri e venti è la matrice che genera una pianta articola-


ta, il gruppo centrale delle scale rappresenta l'asse di una simme-
tria speculare inversa caratterizzata dall'aggregazione dei moduli
quadrati. I pilastri strutturali sono spesso lasciati a vista come
pilotis all'interno delle stanze, liberando la superficie e consen-
tendo aperture vetrate negli angoli svuotati.
Il movimento delle superfici esterne è variato dalle piccole logge,
dalle balconate e dai terrazzi quadrati coperti in parte da una inte-
laiatura di cemento e vetro. È una scomposizione che avviene in
pianta e in alzato attraverso volumi che si articolano in modo dif-
ferente ed erodono la compattezza scatolare con le aperture e i
lunghi tagli negli angoli, le protezioni dei balconi diventano fiorie-
re rettangolari in calcestruzzo accostate le une alle altre con sopra
solo il corrimano in ferro.
Sulle superfici l'intonaco bianco, il grigio scuro delle fioriere e il
Villa Angiolillo, veduta con la piscina
peperino delle soglie, il legno brunito degli infissi, tutto è giocato
sui toni dei bianchi e dei grigi. Il complesso di via delle Fornaci,
uno degli ultimi progetti dell'architetto, ci lascia la sensazione
della ricerca di un movimento e di una diversificazione nei volu-
mi compiutamente raggiunta.
L’analisi degli edifici residenziali non può tuttavia concludersi
senza un breve cenno su quella che è senza dubbio una tra le sue
opere più note: Villa Angiolillo (14).
La prospettiva della villa da nord-est sembra racchiudere in uno
sguardo i suoi elementi essenziali: la piastra di copertura e il
nastro di strisce di calcestruzzo, appena aggettanti l'una sull'altro,
che circondano il piano superiore, entrambi a sbalzo dalla strut-
tura. Un segno sofisticato di rigature che accentuano la corsa
delle linee verso l'orizzonte ed evidenziano il profilo che si incli-
na verso l'esterno fino a incontrare idealmente il punto inferiore
della copertura, secondo gli intenti racchiusi nei numerosi schiz-
zi di progetto. Tra i due elementi pieni e densi di materia s'indo-
Villa Angiolillo, veduta della scala vinano il vuoto, l'aria e la luce che circolano liberamente, le leg-
gere rifrazioni del vetro.

26
Il controllo della geometria: simmetrie e rotazioni nel progetto della
residenza

Villa Angiolillo mostra la complessità della sua progettazione, il


grande respiro degli spazi al piano terra dove brevi tramezzi e
pareti mobili, che permettono una flessibilità di uso, si articolano
intorno al fulcro centrale del camino, e ampie superfici di vetro
immergono nella campagna circostante. Entrando poi dalla gran-
de “hall”, percorrendo la galleria e salendo ancora su per la lunga
scala vetrata, altre suggestioni si sovrappongono, richiamate dalla
memoria di inquadrature del film ”La dolce vita” di Fellini.
Una scala leggera, sorretta da una trave centrale, con il corrima-
no a tubolari orizzontali, è ancora un'aerea connessione tra i due
livelli: l'ampio lastricato con la piscina e il terrazzo superiore che
corre intorno al corpo rettangolare delle camere, dove il segno Villa Angiolillo, pianta del piano terra

diventa lineare con il susseguirsi delle stanze collegate dalla galle-


ria e arretrate rispetto ai pilastri della struttura.
Gli spazi di servizio sono stati racchiusi in un elemento rettango-
lare delle stesse dimensioni del corpo centrale, inizialmente pen-
sato perpendicolare ad esso e unito alla scala rivestita in mattoni;
ma nella soluzione definitiva questo elemento è stato inclinato
verso l'esterno, in modo da non chiudere la prospettiva del fron-
te d'ingresso.
Vi sono poi altre costruzioni come la scuderia e i ricoveri per gli
animali da cortile, semplici ed essenziali elementi rettangolari
coperti a tetto che sono di servizio all’azienda agricola che circon-
da la villa e si estende per ettari nella campagna romana.
Villa Angiolillo sembra rappresentare il sogno italiano di quegli Villa Angiolillo, pianta del piano primo

anni Cinquanta, così carichi di speranza e anche così rivolti agli


esempi dell'edilizia residenziale d'oltreoceano, di quell'America
che iniziava a suggerire i codici di un nuovo modo di articolare
gli spazi e di relazionarli all'ambiente circostante, mostrando una
vita differente, priva di restrizioni, ormai lontanissima dai cupi
anni della guerra.

Villa Angiolillo, prospettive

27
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

Note: AL, Progetto 205; collocazione tubo 55, busta 29; elabo-
rati in archivio: 14.
(1) Villino in via dei Decii, 1955, realizzato. Superficie coperta: 349 mq; struttura: pilastri in c.a; into-
Progetto 158, collocazione: tubo 28; elaborati in archivio: naco per le superfici esterne.
85. Appartamento A: 80 mq: soggiorno pranzo, tre camere,
Superficie del lotto: 624,14 mq; superficie coperta: 224,82 cucina, due bagni.
mq. Appartamento B: 94 mq: soggiorno pranzo, quattro came-
Struttura: pilastri in c.a; cemento a vista e intonaco per le re, cucina, due bagni.
superfici esterne. Appartamento C: 110,25: soggiorno pranzo, cinque
Appartamento tipo: 90 mq: soggiorno-pranzo, cucina con camere, cucina, due bagni.
ripostiglio, tre camere, due bagni. 13 appartamenti, 3 per piano.
2 appartamenti per piano. Piano cantinato, piano terra, quattro piani, piano attico,
Piano interrato, seminterrato, piano terra, tre piani, piano copertura a terrazzo.
attico, copertura a terrazzo.
(6) Palazzina della cooperativa Laeta Patet Amicis,1959-
(2) Palazzina della cooperativa L’Ape 1956-58, realizzata. 60, realizzata.
AL, Progetto 173; collocazione: tubo 33, busta 18; elabo- AL, Progetto 203; collocazione: tubo 55, busta 29; elabo-
rati in archivio: 21. rati in archivio: 37.
Superficie del lotto: 1094 mq; superficie coperta: 290 mq. Superficie coperta: 497,50 mq.
Struttura: pilastri in c.a. e solai di tipo misto gettati in Struttura: pilastri in c.a., solai misti in c.a. e terizi; traverti-
opera; intonaco per le superfici esterne. no e intonaco per le superfici esterne.
Appartamento tipo: 108,95 mq: soggiorno pranzo, cucina, Appartamento tipo: 119,40 mq: soggiorno-pranzo, quat-
quattro camere, due bagni. tro camere, cucina, due bagni.
9 appartamenti, due per piano. 11 appartamenti, 3 per piano.
Cantinato, seminterrato, piano rialzato, due piani, attico. Piano cantinato, piano terra, tre piani, piano attico, coper-
tura a terrazzo.
(3) Palazzina della cooperativa. La Fedelissima, 1955-57,
realizzata. (7) Palazzina della cooperativa Video San Gabriele, 1959-
AL, Progetto 167; collocazione: tubo 32, busta 17; elabo- 61, realizzata.
rati in archivio: 21. AL, Progetto 206; collocazione: tubo 56, busta 29; elabo-
Progetto con ing. P. Pontrandolfi. rati in archivio: 107.
Superficie del lotto: 930 mq; superficie coperta: 270 mq. Superficie del lotto: 1560 mq; superficie coperta dal piano
Struttura: pilastri in c.a., intonaco per le superfici esterne. tipo: 1028,52 mq.
Appartamento A: 109,40 mq: soggiorno pranzo, cucina, Struttura: pilastri in c.a, elementi prefabbricati; travertino,
dispensa, tre camere, due bagni. cemento a vista, mattoncini in klinker e intonaco per le
Appartamento B: 109,05 mq. superfici esterne.
2 appartamenti per piano. Appartamento tipo: 198 mq: soggiorno pranzo, cinque
Piano interrato, seminterrato, quattro piani, piano attico, camere, cucina, tre bagni.
copertura a terrazzo. 9 appartamenti, 2 per piano.
Piano cantinato, piano terra, tre piani, piano attico, coper-
(4) Note bibliografiche: tura a terrazzo.
Dal “Villino” alla “palazzina” Roma 1920/40, in
Metamorfosi n. 8, Quaderni di Architettura, Roberto De (8) Villini Villa Lontana, 1959-62, realizzato il villino A.
Nicola Editore, Roma, 1987. AL, Progetto 209; collocazione tubi 62-63, busta 39; ela-
Claudia Conforti, Paradigma residenziale del professioni- borati in archivio: 135.
smo romano del dopoguerra, in Zodiac 17, maggio 1997. Superficie coperta: 803,88 mq: villino A: 383,55 mq; villi-
Irene de Guttry, Il villino a Roma, Palombi Editori, no B: 420,33 mq.
Roma, 2001. Struttura: pilastri in c.a; cemento a vista, mattoni e intona-
Margherita Guccione, Daniela Pesce, Elisabetta Reale (a co per le superfici esterne.
cura di), Guida agli archivi privati di architettura a Roma Villino A: ingresso, guardaroba, pranzo, soggiorno, stu-
e nel Lazio, Gangemi Editore, Roma, 2002. dio, tinello, office, cucina, locali di servizio, tre camere,
Luca Ciancarelli, Case a Roma: mutazioni e permanenze quattro bagni.
tipologiche, in Gaia Remiddi (a cura di), Studi sul moder- 5 appartamenti per ogni villino, 1 per piano.
no romano, Palombi Editori, Roma, 2004. Piano cantinato, piano terra, tre piani, copertura a tetto.

(5) Palazzina della cooperativa L'Aldina, 1959-60, realiz- (9) Palazzina in piazza Albania, 1962-65, realizzata.
zata. AL, Progetto 162; progetto 239, collocazione: tubo 29,
tubo 96; elaborati in archivio: 30.

28
Il controllo della geometria: simmetrie e rotazioni nel progetto della
residenza

Superficie del lotto: 700 mq circa; superficie coperta : 230 (12) Villini, via della Pineta Sacchetti, 1971, realizzati.
mq circa. AL, Progetto 279; collocazione: tubi 186-188, buste 112-
Struttura: pilastri in c.a; cemento a vista, travertino, matto- 113 elaborati in archivio: 232.
ni e intonaco per le superfici esterne. Progetto con: ing. A. Arcangeli.
Appartamento A: 110 mq: soggiorno-pranzo, cucina, Superficie coperta: 3 villini, 254,29 mq ogni villino.
quattro camere, due bagni. Struttura: pilastri in c.a, cemento a vista, mattoni e intona-
Appartamento B: 96 mq: soggiorno-pranzo, cucina, tre co per le superfici esterne.
camere, due bagni. Appartamenti: due camere e servizi, cinque camere e
2 appartamenti per piano. doppi servizi.
Piano interrato, seminterrato, tre piani, piano attico, 6 appartamenti, 2 per piano.
copertura a tetto e a terrazzo. Piano cantinato, tre piani, copertura a tetto.

(10) Palazzina in via M. Massino, 16 angolo viale S.S. (13) Complesso di appartamenti in via delle Fornaci,
Pietro e Paolo all’EUR, 1960, realizzato. 1981, realizzato.
AL, Progetto 247; collocazione: tubo 116, busta 61. AL, Progetto 300; collocazione: tubo 225, busta 121.
Progetto con F.M. Poggiolini.
Progetto con Alfio Marchini. Superficie del lotto: 2636,48 mq.
Superficie coperta : 442 mq circa. Superficie coperta dal primo piano: 722,75 mq.
Struttura: pilastri in c.a; tufo, mattoni, intonaco e legno Struttura: pilastri in c.a, cemento a vista e intonaco per le
per le superfici esterne. superfici esterne.
Appartamento tipo: 220,88 mq: soggiorno pranzo, quat- 25 appartamenti.
tro camere, cucina, tre bagni, office. Piano interrato, piano terra, tre piani, copertura a terrazzo.
2 appartamenti per piano.
Piano interrato, piano terra, tre piani, piano attico, coper- (14) Villa Angiolillo, via Appia Antica, località Terricola,
tura a tetto e a terrazzo. 1951-54, realizzata.
AL, Progetto 127; collocazione: tubo 16, buste 9-10.
(11) Villino in via S. Anselmo, 1962, realizzato. Superficie coperta: 630 mq. circa
AL, Progetto 233; collocazione: busta 40. Struttura: pilastri in c.a, cemento a vista, mattoni, vetro e
Superficie coperta : 335 mq circa. intonaco per le superfici esterne.
Struttura: pilastri in c.a; cemento a vista, travertino, matto- Piano terra: 630 mq. circa: Hall di ingresso, galleria,
ni e intonaco per le superfici esterne. bagno, studio, soggiorno, pranzo, disimpegno, office,
Appartamento: 335 mq: salone, soggiorno-pranzo, cucina, dispensa, cucina, terrazzo, lavanderia, ambienti di servi-
tre camere, tre bagni, office. zio, garage, tre scale.
1 appartamento per piano. Piano primo: 485 mq. circa: Galleria, cinque camere, tre
Piano seminterrato, piano terra, due piani, piano attico, bagni, spogliatoio, terrazzo.
copertura a tetto e a terrazzo. Copertura a tetto.

29
Ministero della Sanità, planimetria generale del contesto urbano e planimetria dell’edificio

Ministero della Sanità, veduta dal piazzale dell’Industria


LE SEDI DEL MINISTERO DELLA SANITÀ E DELL’I.M.I.
ALL’EUR
di Tommaso Dore

L'attività di Attilio Lapadula si è dispiegata in diversi ambiti pro-


gettuali tra cui uno dei principali è quello relativo al tema del
palazzo per uffici. A Roma, città dalla struttura produttiva basata
sul terziario, si concentrano infatti quasi tutte le sedi direttive e di
rappresentanza degli enti politici, amministrativi ed economici
pubblici e privati. In genere questi edifici rispettano le caratteristi-
che peculiari del “tipo”, come si era andato configurando a livel-
lo internazionale durante il secolo scorso, quando il palazzo per
uffici, nell'intento dei progettisti e della committenza, divenne la
concreta raffigurazione del potere economico che a partire dal
secondo dopoguerra si avviava a prendere il sopravvento sul
potere politico.
Il classico schema distributivo e funzionale prevedeva la suddivi-
sione in altezza dell'edificio in tre zone distinte: una piastra basa-
mentale comprendente gli spazi di accoglienza dei visitatori e le
funzioni di filtro con l'esterno; una serie di piani tipo ripetuti e
facilmente adattabili alle mutevoli necessità lavorative, attraverso
l'utilizzo di tramezzature modulari rimovibili; un coronamento
costituito da un piano con i locali degli impianti tecnologici.
La facciata è solitamente in curtain-wall ritmicamente scandita e
proporzionata secondo il modulo del pannello prefabbricato
adottato. Tra le molte realizzazioni, la cui paternità spetta a
Lapadula (1), ci sembra interessante soffermarci su due edifici
progettati per l'Eur in quanto particolarmente esemplificativi
della tipologia e testimoni di un diversificato esito formale, pur
partendo da una medesima concezione dal punto di vista distri-
butivo e funzionale.
L'Eur, dopo la seconda guerra mondiale e precisamente a parti-
re dal 1955, fu indicato e scelto come nuovo polo direzionale e
amministrativo della Capitale, seguendo l'idea, già da tempo
avanzata, di decentrare i ministeri al di fuori dei confini della città
storica. Ciò avvenne anche per dare impulso e un nuovo volto al
quartiere creato per la controversa Esposizione del 1942, poi
abbandonato e caduto in rovina a causa degli eventi bellici. Ministero della Sanità, plastico
L'Ente Eur, diretto dal prof. Virgilio Testa, in deroga alle norma-
li leggi dello Stato e sostituendosi al Comune di Roma, effettuava
la gestione diretta dell'area e delle costruzioni che si andavano
man mano realizzando. Gli incarichi venivano affidati diretta-
mente ai progettisti e alle imprese di costruzione e poi si provve-
deva alla vendita dei manufatti ultimati alle società e agli enti inte-
ressati. Il Palazzo del Ministero della Sanità fu progettato e
costruito tra il 1958 e il 1962 per conto dell'INA, che intendeva

31
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

effettuare un investimento in tal senso. A livello formale l'edificio


costituisce un tentativo ben riuscito di sposare il modello interna-
zionale corrente del palazzo per uffici a facciate in curtain-wall
con i caratteri di rappresentatività e monumentalità del luogo in
cui sorge, cioè con la tradizione locale. I prospetti sono infatti
impaginati seguendo il tipico schema costituito da una griglia geo-
metrica ad assi ortogonali lungo i quali vengono disposti i pannel-
li modulari, impiegando però materiali atipici: pilastri e travi in
cemento martellinato, strette pannellature di tamponamento in
travertino alternate a normali infissi in lega leggera anodizzata (2).
Si è realizzato in questo modo un blocco unitario che, per massa
e colore, dialoga con l'antistante Palazzo dei Ricevimenti e dei
Ministero della Sanità, pianta del piano tipo Congressi di Adalberto Libera.
La scansione verticale dei fronti, dovuta ai pilastri parzialmente
aggettanti in facciata, prosegue oltre la linea di gronda del fabbri-
cato attraverso il ritmo serrato dei setti in cemento armato che ne
sfumano il contorno. Infine, con effetto volutamente contrastan-
te, una soletta piana ricopre l'attico arretrato destinato a contene-
re gli impianti tecnologici.
Per l'edificio vengono studiate quattro diverse soluzioni relative
alla disposizione planimetrica dei corpi di fabbrica (3). Quella
adottata ne prevede due con sette piani fuori terra, disposti orto-
Ministero della Sanità, prospetto su viale gonalmente tra loro, unificati dalla piastra continua del basamen-
to che si prolunga verso il Palazzo dei Congressi in un terzo
dell’Industria

corpo più basso, di due soli piani. L'accesso è stato ricavato su


Piazzale dell'Industria nel punto di giunzione tra i corpi principa-
li. La distribuzione verticale avviene per mezzo di tre scale servi-
te da altrettanti gruppi di ascensori. La disposizione del piano
tipo prevede un corpo quadruplo, al centro del quale si trovano
le chiostrine per l'illuminazione e l'aerazione delle scale, dei ser-
vizi igienici e dei corridoi. Questi ultimi prendono luce anche
dalle testate e disimpegnano tutte le stanze disposte lungo i pro-
spetti maggiori di ciascun corpo di fabbrica. Al piano interrato è
Ministero della Sanità, veduta prospettica

stata ricavata un'autorimessa con due rampe carrabili di accesso e


una serie di locali di deposito.
Il Palazzo dell'Istituto Mobiliare Italiano fu inizialmente costrui-
to, per conto della Cortina Immobiliare SpA, come generico
fabbricato per uffici, progettato allo scopo di realizzare la mas-
sima elasticità distributiva e poter ospitare le sedi di più società
tra loro indipendenti. Al progetto dell'opera collaborò anche
l'architetto Alfio Marchini; la realizzazione fu eseguita tra il
1966 e il 1968 dalla Marchini Immobiliare & C. srl. Una prima
versione del 1963, poi scartata, prevedeva la collocazione nel
lotto di tre corpi di fabbrica concavi collegati e disposti attorno
ad uno cilindrico centrale contenente le strutture di distribuzio-
Ministero della Sanità, particolare
ne verticale (4).

32
Le sedi del Ministero della Sanità e dell'I.M.I. all'Eur

L'edificio costruito comprende, invece, due alti corpi di fabbrica,


di sette e nove piani fuori terra con due livelli interrati, ortogona-
li tra loro e collegati da una serie di ponti coperti.
Lo schema distributivo e funzionale adottato ricalca sostanzial-
mente quello già descritto a proposito del Ministero della Sanità,
mentre sono diverse le scelte strutturali e formali intraprese. Il
sistema costruttivo è in acciaio, con grandi pilastri cruciformi a
vista al piano terreno, in sostituzione di quello in cemento arma-
to con murature di riempimento in mattoni attuato per la sede
del Ministero. L'interno è quindi più flessibile, modulabile e fra-
zionabile in funzione delle variabili esigenze lavorative. Le stanze
sono suddivise da pannelli modulari afonici, rivestiti in laminato
plastico e montati su intelaiature facilmente rimovibili in allumi-
nio anodizzato. La distribuzione verticale avviene attraverso quat-
tro corpi scala e ventitré impianti sollevatori, contenuti nei nuclei Istituto Mobiliare Italiano, struttura in
acciaio al piano dell’autorimessa
in cemento armato, che hanno lo scopo di irrigidire la struttura
contro la spinta orizzontale del vento.
Per questo edificio, al contrario di quanto constatato a proposito
del Ministero della Sanità, i progettisti non si sono posti il proble-
ma del rapporto con il contesto in cui doveva sorgere, forse a
causa della localizzazione defilata rispetto all'asse viario centrale
del quartiere, su cui si attestano le principali emergenze monu-
mentali, preferendo l'adozione di un linguaggio decisamente con-
temporaneo che rimanda ai modelli International Style delle sedi
di grandi banche e società internazionali. I prospetti in curtain-
wall sono caratterizzati dalla scansione verticale lineare dovuta ai
pannelli prefabbricati muniti di infisso alternati ad altri di sempli-
ce tamponatura in alluminio anodizzato e dalla presenza delle Istituto Mobiliare Italiano, plastico
scale di sicurezza elicoidali esterne in ferro, con i terminali pieni
che assumono uno specifico valore formale. Il coronamento è
costituito da una sorta di spessa cornice, sottolineata da una
profonda zona d'ombra sottostante, che nasconde gli impianti
tecnologici.
Solo in un secondo momento intervenne l'IMI con l'acquisto
dello stabile già in avanzata fase di costruzione. Furono allora
coinvolti altri consulenti per il completamento dell'opera, e in
particolare lo Studio Passarelli, che curò la progettazione ex novo
del basso corpo a sé stante contenente la sala congressi e le siste-
mazioni esterne ed interne (5). L'intervento, rispettoso del pro-
getto iniziale, ne valorizza anzi gli aspetti formali attraverso il con-
trasto di forme, materiali e colori: infatti il blocco plastico e mate-
rico della sala congressi contrasta con la chiarezza, la
trasparenza, la linearità bidimensionale dell'alto edificio lapadu-
liano (6).
Istituto Mobiliare Italiano, scala elicoidale
esterna

33
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

Istituto Mobiliare Italiano, prospetto su viale della Civiltà Romana

34
Le sedi del Ministero della Sanità e dell'I.M.I. all'Eur

Note: (6) Gli interni sono stati progettati con grande cura e atten-
(1) A Roma l'architetto ha realizzato numerosi edifici di zione inizialmente da Lapadula e poi da Giorgio Baldelli
elevata qualità architettonica, progettati da solo o in colla- e Maurizio Costantini, per l'arredamento degli ambienti
borazione dal 1957 al 1980, come la sede del Ministero direzionali. Al piano della presidenza sono state collocate
della Sanità in piazzale dell'Industria 20 all'Eur, la sede numerose opere d'arte figurativa antica e opere d'arte
dell'Istituto Mobiliare Italiano (I.M.I.) in viale dell'Arte 25 astratta moderna che contribuiscono non poco al fascino
sempre all'Eur, la sede dell'ENEL in via G.B. Martini 3 e al prestigio di quest'architettura. Opere di Arnaldo e Giò
all'angolo con piazza Verdi, i palazzi per uffici in via del Pomodoro, Brook, Scialoia, d'Orazio, Battaglia, Maselli,
Serafico 200, via P. Di Dono 5, 44, 73, 223 a Vigna Corpora, Afro, Turcato e Perilli, il cui astrattismo si basa
Murata, la sede della Siemens Elettra in via Laurentina sulla geometria delle forme e sulle tonalità cromatiche, ad
455, i palazzi per uffici in via V. Brancati 48, 60, 64, via E. accompagnare gli interni (cfr. «L'Architettura cronache e
Vittorini 129 e via C. Pavese 385 (sede della Procter & storia», cit., p. 788).
Gamble) alla Ferratella, il progetto del palazzo per uffici
in via della Vignaccia.

(2) Cfr. la relazione tecnica allegata al progetto in Archivio


Lapadula, AL-FAS/043, Buste 21-22.

(3) Cfr. gli elaborati grafici conservati in Archivio


Lapadula, AL-PRO/192, Tubi 40-41, Buste 21-22 e 37;
cfr. anche il plastico AL-MOD/05.

(4) Cfr. il modello conservato in Archivio Lapadula, AL-


MOD/06; cfr. anche gli elaborati grafici AL-PRO/211,
Tubi 66-69, Buste 55-56.

Istituto Mobiliare Italiano, arredamento di una sala riunione

Istituto Mobiliare Italiano, plastico della prima versione del


progetto

(5) Le strutture sono di Arrigo Carè e Giorgio Giannelli;


Paolo Cercato ha collaborato alla progettazione della sala
congressi e delle sistemazioni esterne; Michelangelo e
Bruno Conte hanno curato lo studio delle forme plastiche
e delle sistemazioni esterne in cemento, graniglia e metal-
lo e, in particolare, hanno realizzato la grande scultura ver-
ticale. Per maggiori dettagli sulla seconda fase progettuale
dell'edificio cfr. «L'Architettura cronache e storia», n. 198,
Aprile 1972, pp. 776-793.
Istituto Mobiliare Italiano, arredamento della mensa

35
Esposizione Agricola, l’allestimento espositivo

Esposizione Agricola, un pannello illustrativo


L’ESPOSIZIONE AGRICOLA DEL 1953 A ROMA
di Bruno Filippo Lapadula

È difficile, per me figlio e collaboratore, scrivere sul lavoro di


Attilio Lapadula: non sul resoconto di avvenimenti, che riguarda-
no la storia dello Studio, ma sulla valutazione critica della qualità
delle opere e del risultato estetico raggiunto. Questa comprensi-
bile posizione fa sì che il mio contributo sia estremamente sinte-
tico. Sarà l’esame del progetto che consentirà poi a ciascuno di
esprimere il proprio giudizio.
L’incarico per l’allestimento del padiglione del Ministero
dell’Agricoltura ad Attilio Lapadula è del 1953. Quell’anno si tenne
l’Esposizione dell’Agricoltura all’interno del Palazzo della Civiltà,
che aveva ancora la sua funzione originaria di edificio per mostre,
attività che è stata ripresa solo recentemente e che sarà definitiva-
mente ristabilita con la creazione del Museo dell’Audiovisivo.
È importante sottolineare che lo Studio (divenuto ora Archivio)
conserva non solo il lavoro del progettista, attraverso disegni e
foto, ma il programma, elaborato dalla Direzione generale della
Produzione agricola, con l’indicazione di disegni illustrativi, foto-
grafie, carte, diagrammi e scritte, articolati per pannelli.
Documenti che, riletti oggi, danno la sensazione di un entusia-
smo un po’ ingenuo e propongono l’immagine di un periodo in
cui l’Agricoltura era ancora una componente importante
dell’Economia nazionale e le questioni come l’abbandono delle
campagne, il dissesto idrogeologico e l’inquinamento non esiste-
vano o non erano percepite come tali.
A partire da un programma così rigido l’architetto si pose come
primo obiettivo quello di movimentare un’esposizione altrimenti
uniforme e ripetitiva e, nello stesso tempo, di metterne in eviden-
za gli elementi più significativi. D’altra parte anche gli ambienti
disponibili, progettati da Ernesto Lapadula, non aiutavano.
Secondo e non indifferente compito era quindi quello di rompe-
re, ricostruire ed ampliare uno spazio altrimenti rigido (è un ret-
tangolo al piano terra) e monotono (le pareti sono scandite dalla
uguale ripetizione degli archi). Alla base del progetto vi è stata
quindi la creazione di diagonali con variazioni sia planimetriche,
date dal zig-zag del percorso, sia altimetriche, con rampe a salire
e gradini a scendere. Il percorso, che ne derivava, ha avuto poi
un andamento che, sfruttando l’effetto ottico della prospettiva,
serviva a prolungare gli spazi, attraverso linee che andavano pro-
gressivamente a restringersi. Le pareti intensificavano le illusioni
prospettiche, rompendosi in ritmi diversi, e si animavano grazie
al variare delle inclinazioni che prendevano i pannelli in base alle
visuali ed ai temi.

37
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

Un altro obiettivo è stato certamente quello di dare, attraverso le


variazioni delle quote dei piani, l’immediata possibilità di una o
più visioni d’insieme dell’intera esposizione. A questo iniziale
colpo d’occhio doveva poi seguire l’esame dei singoli argomenti,
che venivano offerti alla lettura in tanti piccoli spazi separati.
Sono certo di questa interpretazione perché era il modo con il
quale, in genere, mio padre visitava un museo: prima faceva un
giro abbastanza rapido, per farsi un’idea dell’insieme (opere d’ar-
te, loro sistemazione, architettura dell’edificio), e poi ne faceva un
Esposizione Agricola, sezioni di un allesti-
mento
secondo soffermandosi solo su quadri, sculture, oggetti che mag-
giormente lo interessavano.
L’idea del percorso era accentuata a terra, grazie anche all’anda-
mento del pavimento, e si riproponeva in alto dove un controsof-
fitto, appeso a cavi sottili, ne ripeteva movimenti e ritmi.
Altro elemento importante era l’illuminazione, sia naturale che
artificiale, sempre studiata con estrema cura in tutti gli arreda-
menti progettati da Attilio Lapadula. I pannelli espositivi erano
disposti in modo da ricevere la luce naturale: resa omogenea da
grandi velari, che schermavano gli archi oppure si interrompeva-
no per far passare lame di luce. L’illuminazione artificiale era stu-
diata in maniera autonoma che non imitava la luce naturale ma
proponeva di sera un’atmosfera e probabilmente anche una per-
cezione degli spazi totalmente diverse da quelle del giorno. Le
lampade (rotonde, sostenute da bracci sottili e disposte libera-
mente per illuminare dove serviva), anche quando non erano
accese, diventavano elementi decorativi che movimentavano lo
spazio (verrebbe da scrivere l’aria) intorno ai pannelli.
Le sagome dei pannelli seguivano o contrastavano le linee delle
strutture portanti, le quali a loro volta disegnavano spazi che sem-
brano scanditi da ritmi musicali. In questo vi è un netto collega-
mento con la pittura dell’epoca e con l’ambiente culturale fre-
quentato all’Accademia di via Ripetta o all’Art Club di via
Margutta. L’uso di superfici geometriche, colorate, variamente
Esposizione Agricola, pannelli espositivi

disposte nello spazio e poi ricollegate o contrastate da linee di


forza (che servono a sottolineare, a ricostruire ed a scandire quel-
lo stesso spazio) sono tutti temi che l’astrattismo italiano stava
indagando proprio in quel periodo.
Probabilmente anche l’uso del colore richiamava contemporanee
esperienze artistiche, ma purtroppo non sono rimaste né annota-
zioni sulle tinte usate né fotografie a colori. Anche in questo caso
sono certo che mio padre, in fase di allestimento, avrà fatto (come
era sua abitudine) vari sopralluoghi con il responsabile delle deco-
razioni pittoriche (probabilmente alcuni di questi potevano esse-
re, anche se non ne ho documentazione in archivio, Afro
Basaldella, Eugenio Fegarotti o Bice Lazzari) e con qualche amico
pittore per scegliere i colori, gli accostamenti e le sequenze.

38
L’esposizione Agricola del 1953 a Roma

Interessanti sono il sistema di sostegno dei pannelli e quindi l’uso


delle aste, il fissaggio ed il loro collegamento. Fanno parte di un
linguaggio che dà una sensazione di leggerezza, di gioia e di
libertà che ben si accorda con alcune immagini di opere di Frank
Lloyd Wright dello stesso periodo (che Lapadula conosceva assai
bene come documentano i libri molto consultati della sua biblio-
teca), con le già ricordate esperienze dell’astrattismo italiano ma
soprattutto con le sue opere per l’agenzia de «Il Tempo», per il
concorso vinto della Fiera di Catania e per il trampolino dello sta-
bilimento balneare Kursaal.
Non poteva poi mancare l’uso di dipinti e bassorilievi per sottoli-
neare i punti di passaggio più significativi. La collaborazione con
artisti era infatti uno degli elementi più caratteristici dell’arreda-
mento dell’epoca e in particolare del lavoro di Attilio Lapadula,
che testimoniava un’identità di cultura e di sensibilità artistica, tra
Esposizione Agricola, pannelli espositivi

architetto e decoratore, che poi non si è mai più riproposta con


la stessa intensità.
Infine, una annotazione sulla tecnica espositiva, che era ancora
quella lungamente sperimentata nelle molte mostre di prima
della guerra e che utilizzava letterine fustellate di cartone o di
legno, foto intercalate da opere d’arte che, per fortuna, avevano
perso nella giovane Repubblica italiana gran parte della loro reto-
rica.

Esposizione Agricola, pianta

39
S. Lorenzo da Brindisi, planimetria generale

Scalabrinianum, foto del plastico


CASE GENERALIZIE E COLLEGI DI CONGREGAZIONI E
ORDINI RELIGIOSI
di Tommaso Dore

Le congregazioni e gli ordini religiosi divennero uno dei grandi


committenti romani del secondo dopoguerra, quando papa
Giovanni XXIII ordinò di stabilire nella città di Roma tutte le
sedi delle loro case generalizie. Sorsero quindi, nelle aree non
ancora urbanizzate vicine al Vaticano, soprattutto lungo le vie
Portuense, Aurelia e Cassia, numerose sedi di conventi, semina-
ri, collegi e atenei privati a carattere confessionale che costitui-
scono una parte rilevante di quanto progettato a Roma in quegli
anni nell'ambito dell'edilizia non residenziale a capitale privato.
L'idea di base per la progettazione di questi complessi è quella
delle comunità autosufficienti, di aggregati autonomi insediati S. Lorenzo da Brindisi, percorso interno

nel territorio al margine estremo dell'espansione urbana, per l'e-


sigenza di appartarsi dal tumulto della città, in continuità ideale
con i modelli medioevali nel rapporto tra edificio conventuale e
centro abitato.
Le architetture costruite da Lapadula in questo campo (1) sono
improntate ad un'estrema chiarezza distributiva, formale e strut-
turale che si concretizza in almeno tre caratteri comuni: la distri-
buzione planimetrica a blocchi, la composizione euritmica dei
prospetti e la sincerità delle tecniche costruttive e dei materiali
impiegati. La composizione tipica, che raggiunge la massima
espressività nei due complessi maggiori costruiti per i Frati
Minori Cappuccini e per gli Scalabriniani, prevede un insieme di
blocchi articolati e compenetrati tra loro, secondo una maglia
S. Lorenzo da Brindisi, il corridoio dello stu-
dentato in costruzione
geometrica ortogonale, che individuano specifiche funzioni facil-
mente leggibili anche dall'esterno, secondo una concezione
derivata dal Movimento Moderno. In particolare il Collegio S.
Lorenzo da Brindisi (2) è pensato e progettato dall'interno verso
l'esterno, come in una riflessione speculare dell'ordito e della
distribuzione interna.
Già ad un primo sguardo della planimetria o delle viste assono-
metriche dall'alto è possibile leggere lo sviluppo degli assi di per-
correnza, vere e proprie luminosissime strade-corridoio interne
che si intersecano ad angolo retto, delimitano piccoli giardini e
collegano i diversi padiglioni di cui è costituito il vasto complesso
architettonico: il museo, l'istituto storico, l'aula magna, la bibliote-
ca, gli alloggi dei padri insegnanti, lo studentato, l'alloggio delle
suore, l'infermeria, il refettorio e la chiesa. Ogni funzione è infat-
ti nettamente distinta dall'altra come sono distinti gli spazi di
distribuzione e di collegamento dei vari corpi di fabbrica (atri,
parlatori e corridoi).
Un altro carattere abbastanza comune negli edifici religiosi lapa- S. Lorenzo da Brindisi, prospetto dello stu-
dentato

41
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

duliani è costituito dall'euritmica impaginazione strutturale dei


prospetti nella quale si assiste ad una serie di variazioni sul mede-
simo tema, costituito dall'utilizzo della gabbia strutturale in
cemento armato a vista, ritmicamente scandita da pilastri e cordo-
li marcapiano, con tamponature a cortina nelle quali si aprono
ampie finestrature con infissi in legno accuratamente disegnati.
Gli esempi più raffinati di questo tipo di composizione si riscon-
trano nel prospetto principale loggiato dell'Istituto delle Suore
olandesi di Monte Cucco (3) e nello studentato del Collegio S.
Lorenzo da Brindisi, quest'ultimo animato dal gioco chiaroscura-
Istituto delle suore olandesi a Monte le dei setti in cemento armato, disposti ortogonalmente alla fac-
Cucco, prospetto
ciata e bucati da aperture circolari, tra cui sono poste delle fio-
riere (4). Qui l'architetto opera per contrasto tra la pianta artico-
lata dell'intero complesso e i singoli prospetti rigorosi nei quali i
moduli ripetuti diventano elementi di unità nella loro diversifica-
zione. Infatti la scansione della struttura in cemento armato a
vista conferisce agli edifici una compostezza naturale e una
dignità severa che sono del resto caratteri peculiari dell'opera di
Lapadula.
Infine, l'utilizzo di pochi e semplici materiali costruttivi, e quindi
il colore dell'architettura, è l'altro elemento che accomuna queste
realizzazioni. Tutto mira ad esprimere sincerità strutturale nel-
l'impiego delle componenti costruttive in un linguaggio essenzia-
le e corretto. Fatta eccezione per il complesso degli Scalabriniani
(5), l'unico nel quale viene impiegata la tecnica della prefabbrica-
zione, l'esempio più significativo è sempre S. Lorenzo da Brindisi
in cui l'utilizzo del sistema costruttivo in cemento armato, come
vedremo in seguito, è frutto di un'intuizione artistica più che di un
Istituto delle suore olandesi a Monte
Cucco, interno della cappella
freddo calcolo.
Un altro tema sul quale si è particolarmente concentrata l'attività
progettuale dell'architetto è quello relativo alla chiesa conventua-
le, o cappella, che è normalmente posizionata all'intersezione
degli assi principali della composizione o alla testata di uno di
essi, come doveva avvenire nel caso, non realizzato, della chiesa
per gli Scalabriniani (6). Si tratta di esempi significativi e innova-
tivi in cui l'atmosfera delle antiche chiese viene salvaguardata e
reinterpretata con materiali e tecniche nuove. Infatti, non si può
fare a meno di notare come, nella maggior parte degli edifici reli-
giosi dell'epoca, si assista alla perdita del carattere sacro e spiri-
tuale in conseguenza forse di un eccesso di funzionalismo nella
progettazione, volta in particolare al rispetto delle nuove esigen-
ze liturgiche stabilite dal Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-
65), a discapito di una ricerca formale e simbolica finalizzata alla
traduzione in forme architettoniche del carattere mistico della
Istituto dei missionari di Scheut, interno
religiosità cristiana.
della cappella Al contrario, le chiese progettate da Lapadula non sembrano

42
Case generalizie e collegi di congregazioni e ordini religiosi

cadere in questo errore denunciando la ricerca di un'armonica


relazione tra funzionalità e bellezza, finalizzata ad attribuire vali-
dità artistica alle strutture statiche adottate e ai materiali costrutti-
vi impiegati.
Gli elementi più significativi di tale ricerca si rintracciano nel sem-
plice trattamento interno delle murature a cortina, nei pavimenti
in marmi pregiati, nelle pannellature lignee, nella forma delle
vetrate che proiettano i loro riflessi luminosi sulle murature, ani-
mandole in un contrasto cromatico, e nei lampadari in vetro e
metallo disegnati da Lapadula stesso.
La struttura è di un'assoluta semplicità e le coperture, spesso
sagomate da nervature in cemento armato, insieme ai pochi ele- Società delle Missioni Africane, pianta del
piano terra
menti decorativi elencati, sono l'unica meditata concessione a un
richiamo stilistico. Tutti esempi di sobrietà, in quanto un singo-
lo elemento d'arte figurativa non deve predominare sull'insieme
del complesso artistico-architettonico. Un'elegante, nobile e dia-
lettica ricerca di semplicità e povertà visibile in particolare nelle
cappelle delle Suore di Monte Cucco, dei Missionari di Scheut
in via di Villa Troili (7) e in quella della Società delle Missioni
africane (8).
Le disposizioni planimetriche di quest'ultima e della chiesa del
Collegio S. Lorenzo da Brindisi presentano interessanti spunti di
riflessione. Furono infatti modificate rispetto ai progetti iniziali
per meglio rispondere ai dettami della Costituzione Liturgica
che, anche attraverso la nuova collocazione dell'altare con il cele-
brante rivolto verso l'assemblea, promuovevano una maggiore e
più consapevole partecipazione dei fedeli all'azione liturgica ed
eucaristica e svincolavano i progettisti da schemi preconcetti e
tipologie tradizionali. Società delle Missioni Africane, prospetto
posteriore della cappella
Per meglio raggiungere l'obiettivo di disporre i fedeli attorno
all'altare, Lapadula modifica, migliorandola, la pianta circolare
della bella cappella della Società delle Missioni africane, spostan-
do l'altare, collocato in origine sulla parete di fondo, al centro
dello spazio sotto la lanterna. Si è ottenuta così una pianta centra-
le dinamica in cui la più severa economia di superficie rag-
giunge una perfetta sintesi spaziale.
Una serie di pilastri in cemento armato, disposti radialmente
lungo il perimetro, generano una sorta di ambulacro, dove trova-
no posto i banchi dei fedeli, delimitato esternamente da pareti a
cortina sulle quali si aprono aperture verticali che illuminano
l'ambiente da tutti i lati. I pilastri proseguono poi verso l'alto nelle
nervature che si uniscono nella lanterna posta alla som-
mità della copertura conica.
Anche nell'atrio che precede la cappella predominano le forme
circolari del lucernario, con la copertura in cemento armato che Società delle Missioni Africane, interno
simula un velario, e del vuoto sottostante a doppia altezza nel della cappella

43
Case generalizie e collegi di congregazioni e ordini religiosi

quale scendono due rampe di scale curve contrapposte che con-


ducono al livello inferiore dov'è collocata la cripta.
L'uso del cerchio torna più volte anche nei lucernari realizzati
nella Casa dei Missionari di Scheut, nel Collegio degli
Scalabriniani e nella chiesa a pianta longitudinale del Collegio S.
Lorenzo da Brindisi, purtroppo oggi trasformata in palestra. In
questo caso la disposizione della comunità ha determinato la
redazione di un secondo, originalissimo progetto nel quale l'alta-
re trova posto al centro tra lo spazio riservato ai fedeli e il
coro dei religiosi (9). Quest’idea dell'assemblea cristiana con l'al-
tare al centro, la principale intuizione spaziale del S. Lorenzo da
Brindisi, si ricollega forse all'assemblea dei circumstantes dell'an-
tichità cristiana. Si reinterpretano, quindi, schemi tradizionali in
forme completamente moderne e inusitate come quelle delle
pareti laterali curve che si innalzano simili a due vele.
S. Lorenzo da Brinidisi, pianta della
chiesa
Anche la copertura si eleva verso il cielo e la visione prospettica
delle pareti curvilinee e dei pilastri cilindrici ad esse allineati,
focalizzano l'attenzione verso il centro del tempio, punto d'incon-
tro dell'uomo con Dio, ove era collocato l'altare maggiore, secon-
do un modello simbolico che vede l'edificio sacro al pari di una
tenda che ricopre l'uomo con la misericordia divina.
La copertura a doppia soletta autoportante in cemento armato
poggia sui setti e sui pilastri laterali, non toccando il muro peri-
metrale per via di un taglio continuo che consente alla luce ester-
na di penetrare nell'edificio, alleggerendo il peso della volta.
I tagli verticali praticati sempre sulle pareti laterali, rivestite in
legno, creano un ritmo di ombre e di luci e un effetto mistico
della luce che invade la chiesa, mutevole con il trascorrere delle
ore del giorno. Così l'architettura diventa viva per mezzo dei con-
trasti di chiaro e di scuro che la animano, ogni relazione diretta S. Lorenzo da Brinidisi, interno della
con l'esterno è interrotta, perché la luminosità diffusa impedireb- chiesa in costruzione

be il risveglio d'intimi sentimenti e non consentirebbe di penetra-


re nel mondo spirituale. La nudità e allo stesso tempo la vastità
di questo spazio, creano un senso di distensione e di misterioso
silenzio come quando si entra in un'antica cattedrale anche se le
forme e i materiali sono nuovi e lo spazio inusuale.

Nella pagina precedente: Società delle Misssioni Africane, atrio della cappella (in alto) e
scale che conducono alla cripta (in basso).
S. Lorenzo da Brinidisi, interno della
Nella pagina seguente: S. Lorenzo da Brindisi, veduta aerea del cantiere. chiesa in costruzione

45
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

46
Case generalizie e collegi di congregazioni e ordini religiosi

Istituto delle suore olandesi a Montecucco

Collegio S. Lorenzo da Brindisi

47
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

Schizzo di studio per la copertura della chiesa del Collegio S. Lorenzo da Brindisi

48
Case generalizie e collegi di congregazioni e ordini religiosi

Note: affiancato da S. Lorenzo da Brindisi, da Maria e da frati


(1) Nella presente trattazione sono stati considerati cin- cappuccini oranti nel quale si vede, in basso a sinistra, una
que complessi edilizi a carattere religioso costruiti a veduta del collegio.
Roma da Lapadula: Casa generalizia e studentato della
Società delle Missioni africane, via della Nocetta 11,
Roma (1960-65, con l'architetto Alfio Marchini); Casa
generalizia e casa di riposo delle Suore di Carità di
Nostra Signora Madre di misericordia (Suore olandesi),
via di Monte Cucco 25, Roma (1962-67); Casa interna-
zionale di studi e casa generalizia della Congregazione del
Cuore immacolato di Maria (Missionari di Scheut), via di
Villa Troili 26, Roma (1964-65, con gli architetti Alfio
Marchini e Fabio Massimo Poggiolini); Curia generalizia
e centro studi dei Frati Minori Cappuccini - Collegio S.
Lorenzo da Brindisi, G.R.A. km 65,050, Roma (1964-68,
con l'Ing. Stanislao Ceschi); Collegio e nuova sede della
Pia Società dei Missionari di S. Carlo Scalabriniani, via S. Lorenzo da Brindisi, aula magna
della Pisana 1301, Roma (1966-72, con l'Ing. Stanislao
Ceschi).
(3) Annesso al convento di Monte Cucco, era stato inizial-
(2) Il Collegio S. Lorenzo da Brindisi dei Frati Minori mente progettato un ulteriore fabbricato indipendente adibi-
Cappuccini (200.000 mc) sorge su un terreno di circa 30 to a casa di cura e non realizzato per motivi economici (cfr.
ettari situato sul Grande Raccordo Anulare tra via Aurelia Relazione tecnica allegata al progetto in Archivio Lapadula,
e via della Pisana. Il progetto di massima fu redatto nel AL-FAS/071, Busta 95). Dal 1982 il complesso ospita la
Maggio del 1964 a cui seguì una variante in corso d'opera Casa di esercizi spirituali Nostra Signora Madre della
nel 1966 che prevedeva sostanzialmente la modifica delle Misericordia delle Ancelle di Cristo Re (Suore spagnole).
piante del museo da quadrata a rettangolare, dell'aula
magna da rettangolare a semicircolare e della chiesa da (4) Purtroppo le strutture in cemento armato a vista di
rettangolare a una forma geometrica più complessa, con tutto il collegio sono state intonacate nel corso degli anni,
le pareti laterali curvilinee, a seguito delle mutate esigenze come è avvenuto anche in altri casi, alterando il carattere
liturgiche stabilite con il Concilio (cfr. le relazioni tecniche e l'espressività dell'architettura originaria, rintracciabili
allegate ai progetti conservate in Archivio Lapadula, AL- ormai solo nelle fotografie d'epoca (cfr. Archivio
FAS/080, Busta 90). La progettazione delle strutture in Lapadula, AL-FOT/01/068, Busta L). Del resto tutto il
cemento armato fu affidata allo studio dell'Ing. Aldo complesso ha subito notevoli rimaneggiamenti, in partico-
Arcangeli a cui Lapadula presentò una variante della chie- lare per quanto riguarda gli interni. I lavori, ancora in
sa senza i pilastri cilindrici, poi scartata in quanto troppo corso, riguardano tuttavia interventi di buona qualità che,
dispendiosa e tecnicamente complessa. I lavori, eseguiti pur cancellando a volte lo stato originario dei luoghi, cer-
dall'Impresa degli Ingg. De Gregorio - Vallati - Di Loreto, cano comunque di valorizzarne l'architettura.
furono ultimati nel Luglio del 1968 e l'inaugurazione
avvenne il 19 Agosto. Tra gli spazi degni di nota del colle-
gio, oltre a quelli già descritti nel testo, vi sono l'aula
magna da 350 posti con la platea gradinata a emiciclo che
rimanda al modello del teatro greco; la biblioteca, dalla
semplice pianta rettangolare che occupa uno spazio a tri-
pla altezza, con al centro due rampe di scale contrapposte
che collegano la grande sala di lettura al magazzino libri; il
Museo a due piani con cortile interno, oggi chiuso da una
nuova copertura in struttura lignea lamellare, che racco-
glie importanti cimeli e testimonianze della lunga storia
dell'ordine. Le opere artistiche che dovevano ornare l'edi-
ficio (cancellate, pavimentazioni, vetrate artistiche, mosai-
ci, ecc.) furono commissionate a Padre Ugolino da
Belluno. Non tutte sono state realizzate, come la grande
vetrata pensata per il lucernario curvo posto sopra l'altare
maggiore della chiesa (cfr. il carteggio del 1969 in
Archivio Lapadula, AL-FAS/080, Busta 90). Si conserva-
no invece alcuni mosaici tra i quali spicca quello colloca- S. Lorenzo da Brindisi, particolare delle struttutre in cemento
to in fondo all'atrio d'ingresso e rappresentante Cristo Re armato dello studentato

49
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

In particolare è stata completamente ristrutturata l'aula


magna per adeguarsi alle nuove norme di sicurezza antin-
cendio e per migliorare l'acustica, l'illuminazione, ecc.
Infine sono stati rinnovati quasi tutti gli alloggi dei padri
ricavando due nuove stanze da tre vecchie, dotandole
anche di servizi igienici.

(5) L'incarico per la progettazione dello Scalabrinianum


risale al 6 Aprile 1966. Il terreno di 200.000 mq era stato
acquistato dalla Procura generalizia dei Padri
Scalabriniani l'8 Giugno 1964. Il progetto di massima fu
presentato al Comune di Roma il 6 Luglio 1966. Il 13
Ottobre del 1968 fu posta la prima pietra del fabbricato,
anche se i lavori erano già cominciati il 20 Agosto dello
stesso anno. La costruzione era stata progettata inizial-
mente in cemento armato con tamponature a faccia vista
di mattoni ma poi la committenza optò per un sistema Scalabrinianum, particolare di una delle torri scalarie
semi prefabbricato, eseguito dall'Impresa Eugenio
Grassetto. Per questo motivo tra il 1968 e il 1969 fu neces- (7) La particolare sobrietà architettonica di quest'edificio è
sario redigere un secondo progetto in corso d'opera. La frutto di una precisa richiesta dal committente, come
struttura portante è in cemento armato con solai lateroce- testimonia il carteggio conservato nell'Archivio Lapadula
mentizi, le tamponature sono con fodera esterna in pre- (AL-FAS/072, Busta 54). L'arch. Fabio Massimo
fabbricato di cemento vibrato a sandwich con interposto Poggiolini ha partecipato alla progettazione del solo corpo
strato di polistirolo, mentre la fodera interna è in mattoni adibito a studentato (cfr. gli elaborati progettuali conserva-
forati. I lavori vennero ultimati nel Marzo del 1972 ma, ti in Archivio Lapadula, AL-PRO/238, Tubi 93-95, Busta
per una serie di complicazioni, l'edificio fu collaudato solo 54). Il complesso è attualmente gestito dalle Suore
nel 1973, quando i quotidiani cominciarono a parlare Francescane Angeline come struttura ricettiva e scuola
della possibilità dell'acquisizione dell'immobile da parte materna.
della Regione Lazio (per tutte queste notizie cfr. la docu-
mentazione conservata in Archivio Lapadula, AL-
FAS/088, Buste 64-66, 68, 70, 73, 75-76, 79, 81, 83).

Missionari di Scheut, veduta esterna della cappella

(8) Il fabbricato fu commissionato da Padre Henry


Mondé (Rotterdam 1909- Roma 1985), Superiore genera-
le della Società delle Missioni africane dal 1958 al 1973.
Padre Mondé fece il nome di Lapadula alle Suore olan-
Scalabrinianum, immagine del cantiere
desi per la costruzione del loro convento a Monte Cucco.
(6) Accantonata l'idea iniziale della casa di formazione per Nella cripta al piano seminterrato erano collocati gli altari
corsi di perfezionamento spirituale in Teologia e per le celebrazioni individuali che la riforma liturgica del
Filosofia, l'annessa chiesa parrocchiale prevista non fu mai Concilio Vaticano II ha poi abolito a favore del principio
costruita e tutto l'insieme venne alienato. Attualmente lo della concelebrazione. Alcuni di questi altari si conserva-
Scalabrinianum ospita gli uffici della Regione Lazio. Gli no ancora, invece, nella vasta cripta del Collegio S.
elementi architettonici più caratterizzanti sono le torri Lorenzo da Brindisi nella quale ne erano stati previsti ben
cilindriche, contenenti le scale esterne, distaccate dalle sessanta.
testate laterali dei padiglioni e gli stenditoi, coperti da una
pensilina, sui terrazzi di copertura. Questi ultimi s'incon- (9) Cfr. nota 1.
trano anche nel Collegio S. Lorenzo da Brindisi e
nell'Istituto dei Missionari di Scheut.

50
Case generalizie e collegi di congregazioni e ordini religiosi

Scalabrinianum, veduta di una delle torri scalarie

51
Bar Parioli, prospettiva

Hotel Leonardo da Vinci, interno


ARREDAMENTI: LOCALI, ALBERGHI E TURBONAVI
di Ilaria D’Ambrosio

Più di un terzo dei circa 380 progetti conservati presso l'Archivio


Lapadula è costituito da arredamenti di interni (1), risalenti in
massima parte al periodo compreso tra il 1945 ed il 1960 - e,
quindi, alla prima fase della carriera dell'architetto - con solo spo-
radici interventi negli anni successivi; le ultime realizzazioni sem-
brano infatti rappresentare episodi “contingenti” (2), o vanno
considerati in un contesto iniziato in precedenza (3).
Per molto tempo tale settore rappresenta l'attività principale, sep-
pure non l'unica, di Attilio Lapadula, ed è proprio grazie ad essa,
e soprattutto alle progettazioni qualitativamente più significative,
quelle relative ai locali del centro storico di Roma, che la sua
fama di architetto si consolida anche quando dallo studio si allon-
tana il fratello Ernesto Bruno.
L'esame dei circa 160 interventi di arredamento eseguiti nella
capitale risulta difficile, sia per la mancanza di molti indirizzi che
per la loro scarsa conservazione; una verifica diretta sui luoghi si
è rivelata inoltre poco fruttuosa. I progetti riguardano la ristruttu-
razione di bar, ristoranti e negozi, senza tuttavia escludere alcune
salsamenterie, panetterie e latterie. Vengono usati materiali
“moderni” in plastica e gomma, mentre per i locali storici della
città si ricorre all'uso di materiali pregiati, avvalendosi anche della
collaborazione di numerosi artisti per la realizzazione di affreschi,
mosaici ed elementi decorativi.
L'analisi di questi temi “scivola” nel campo delle arti applicate e
della decorazione artistica, rivelando legami di natura privata e
aprendosi sul vivace panorama romano dell'immediato dopo-
guerra, fatto di artisti disposti a pagare, con le proprie opere, il
conto nelle osterie, come a collaborare con architetti - e Attilio
Lapadula ne è un esempio; in molti casi è in effetti più economi-
co richiedere un graffito a un artista che rivestire una parete con
stoffa.
Dall'analisi degli elaborati grafici appare evidente come Attilio
Lapadula presentasse al committente una prospettiva prelimina-
re, spesso colorata e corredata da inserti fotografici che la rendes-
sero accattivante - come nel bar in viale Parioli - e dalla quale si
potessero desumere spunti progettuali.
È verosimile che non esistessero molti altri studi di dettaglio, dal
momento che l'architetto si affidava per la realizzazione a un
numero ristretto di maestranze di fiducia. Dalla notevole quantità
di commissioni affidate ad Attilio Lapadula si può presumere un
rapporto tanto diretto ed efficace con gli esecutori da giustificare
la scarsa attenzione posta al dettaglio in fase di progettazione,

53
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

compensata certamente da uno scambio diretto di idee in fase


realizzativa, ancora evidente nei rari esempi di ristrutturazioni esi-
stenti.
La documentazione consultata è molto vasta ma non particolar-
mente varia. I disegni a matita delle piante e delle pareti dei loca-
li, sempre su carta lucida, possono sembrare tutti uguali, ma
nascondono, invece, una continua ricerca della “soluzione
migliore” e una varietà di piccoli accorgimenti che segneranno lo
sviluppo progettuale dell'architetto Lapadula quale affermato
professionista.
Un'ultima annotazione riguarda il modo di indicare nei disegni la
presenza di una decorazione, della quale normalmente si sottoli-
Gran Caffè Berardo, prospettiva nea esclusivamente l'aspetto materico (stucco per i rilievi, graffiti,
ecc.), senza fornire alcuna indicazione sul possibile soggetto o sul-
l'eventuale autore. Gli spazi, spesso grandi superfici - quando non
si tratta di interi soffitti - sono riempiti quasi sempre mediante un
tratto ondulato, al quale si contrappongono secchi e incisivi tratti
geometrici.

Il Gran Caffè Berardo


Si trovava nella Galleria Colonna, ed era altrettanto famoso
dell'Aragno, pur non ricoprendo come questo il ruolo di depen-
dance del Parlamento.
Nel 1947-48 Bruno Ernesto Lapadula e il suo giovanissimo fra-
tello Attilio ricevono l'incarico di ristrutturare il locale. Lo spazio
al piano terra viene lasciato totalmente aperto e rimangono a vista
le quattro colonne circolari che vengono rivestite di legno dogato
fino al soffitto; gli ingressi dal portico colonnato immettono nella
Gran Caffè Berardo, prospettiva del porti- zona dei banchi, alle cui spalle è collocata una parete attrezzata di
co colonnato soli due metri di altezza, nella quale si apre una porta che condu-
ce nella sala dell'orchestra. Il rivestimento in legno a doghe verti-
cali costituisce una sorta di pelle applicata, che smussa gli angoli,
scompare lasciando lo spazio per gli imbotti delle vetrine e delle
porte, si stacca nascondendo luci e avvolgendo gli specchi. Il pavi-
mento, svincolato dai banconi, presenta un disegno in mosaico di
Bice Lazzari. Sul retro del banco, nell'angolo, è disposto il mon-
tacarichi per la sala superiore, che viene trasformato in punto di
attrazione isolandolo dalla parete e facendone un parallelepipe-
do artistico a tutt'altezza.
L'arredamento dello spazio è completato dai mobili-cassa, il cui
rivestimento in legno si comporta come quello delle pareti, rigon-
fiandosi verso il fronte e permettendo di incorniciare la decora-
zione. L'effetto di movimento, quasi un plissette di una gonna,
viene accentuato dalla curva sul fondo, che scopre le “gambe” del
Gran Caffè Berardo, schizzo della sala
mobile. La sala delle feste al piano superiore è rivestita dalla pelle
dell’orchestra di legno, che in questo caso si stacca in corrispondenza delle fine-

54
Arredamenti: locali, alberghi e turbonavi

stre, creando curve il cui spessore è riempito da ampi tendaggi.


Una dolce curva del soffitto ospita lo stucco disegnato da Eugenio
Fegarotti. Nell'archivio, purtroppo, non c'è alcuna fotografia delle
opere d'arte realizzate per il locale: è probabile che siano andati
perduti sia il soffitto di Fegarotti che il pavimento di Bice Lazzari,
nonostante fossero opere di dichiarata fama.

L'agenzia “Il Tempo” alla Galleria Colonna Gran Caffé Berardo, prospetto

All'epoca il quotidiano “Il Tempo” conteneva soprattutto piccoli


annunci pubblicitari e comunicati della redazione diretti al pub-
blico; il giornale si occupava anche della distribuzione di biglietti
per le partite di calcio e per i trasporti, fra cui gli autobus per
Ostia e Castel Fusano e le linee gestite da privati che invitavano a
usufruire dei propri mezzi attraverso le pagine del quotidiano. Le
agenzie rappresentavano dei veri e propri punti di riferimento
per la vita dei romani e per quella dei turisti in visita nella capita-
le.
Lapadula presenta il progetto di massima della sede sotto la gal-
leria Colonna prima del 31 gennaio 1949, così come è riportato
nella lettera di Hans Greco, che scrive a nome del presidente del
giornale e accetta la proposta dell'architetto definendo inoltre i
termini dell'accordo. L'agenzia, dopo un intenso battage pubbli- Agenzia Il Tempo, bancone

citario nei giorni precedenti, è inaugurata il 26 aprile dello stesso


anno.
Le dimensioni del locale sono ridottissime, in tutto circa 75 mq,
con una colonna che lo divide quasi in due parti. Lapadula pre-
ferisce non creare schermature, lasciando lo spazio completa-
mente visibile e plasmando un bancone libero dalle pareti. Lo
scopo è quello di trasformare tutto lo spazio in esposizione, con
le pannellature alle pareti e il soffitto che offrono allo spettatore
informazioni e pubblicità da ogni angolatura.
Tra le superfici “spettacolari”, il soffitto presenta la cosiddetta
mostra aerea, creata da un telaio in tubolari metallici che divide
lo spazio in un reticolo regolare a maglia quadrata. Con i suoi Agenzia Il Tempo, la mostra aerea
montanti a 45 gradi, la struttura garantisce grande visibilità per le
pubblicità. La disposizione del reticolo determina inoltre un forte
impatto visivo - percepibile anche dall'esterno attraverso altissime
vetrate - mediante il sistema di montaggio, mentre gli incroci dei
tubolari creano un dinamismo perfettamente adeguato all'imma-
gine del locale.
L'unica vetrina dalla quale non si apprezza l'effetto della mostra
aerea ha lo spazio superiore occupato da uno schermo. Lapadula
progetta un proiettore che dall'interno dell'ufficio manda le
immagini sulla superficie vetrata esterna - il “Cine/Tempo” - uno
schermo cinematografico in dimensioni ridotte che aggiorna i
passanti sulle ultime notizie, siano esse di cronaca o di costume. Agenzia Il Tempo, veduta generale

55
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

Il sistema, estremamente moderno, riesce a garantire quella capa-


cità di attrazione e seduzione che il quarto potere sfrutterà piena-
mente soltanto nei giorni nostri.

Il Caffè Aragno a via del Corso


Il 2 settembre del 1946 si installa il cantiere di Attilio Lapadula in
uno dei caffè più famosi di Roma, l'Aragno. Alcuni giornali plau-
dono alla ristrutturazione: “il caffè ha conservato la sua fisiono-
mia”, scrive sulle pagine del “Risorgimento Liberale” Bruno
Romani (4). I tempi sono cambiati: non c'è più la vecchia terza
saletta con i divani giallo oro e gli specchi, o la minuscola sala per
la mescita con pareti rivestite in pannelli di legno. Altri condan-
nano la scelta di un'unica sala sul fronte, anche se possono
comunque farsi servire un “moka”, in chicchere d'argento, da
vecchi camerieri, nella sala su via delle Convertite, rimasta pres-
soché identica all'originale, compreso l'orologio Haussmann
bifronte.
L'architetto, per espresso volere del proprietario, crea anche una
Agenzia Il Tempo, Cinetempo
“terza saletta” nella sala di partenza dei camerieri, nella quale
viene realizzata “una specie di rosticceria dove gli artisti e i gior-
nalisti potranno mangiare con prezzi confacenti alle loro tasche”
(5).
La sala è molto piccola e ospita al suo interno non più di 10 tavo-
li; ricchi tendaggi cadono mollemente dal soffitto, rivestendo tutte
le pareti e accogliendo tra una piega e l'altra i dipinti di Bice
Lazzari. La stessa artista decora con motivi geometrici il soffitto,
realizzando un pannello di legno sulla cui superficie, in appositi
spazi, è incastrato del vetro con lampade che, assieme alla luce
nascosta sui bordi, permette un'illuminazione discreta e omoge-
nea.
La progettazione della prima sala risolve lo spazio in un unico
ambiente, le cui pareti sono scandite da lesene in marmo a due
colori come il pilastro. Non è possibile desumere il trattamento
delle superfici dai disegni originali, fortemente danneggiati dall'u-
midità. Tuttavia, in alcuni di questi spazi, sono stati riportati oggi
alla luce graffiti realizzati da Afro Basaldella; quelli ancora visibi-
li nell'attuale Bar Autogrill, che occupano alcuni degli spazi
segnati in rosso sulla pianta, appartengono certamente ad Afro
(6).
Le decorazioni, per l'architetto, non sono solo un “accessorio”,
ma uno strumento per modellare lo spazio architettonico, punti
focali richiamati da specchi ed esaltati dall'illuminazione.
Attualmente si possono vedere solo tre pannelli: uno, orizzonta-
le, posto nell'angolo destro della parete di fronte, gli altri, vertica-
li, che occupano due degli spazi tra gli ingressi e raffigurano
Caffè Aragno, mobile cassa oggetti architettonici. Data la loro marginale collocazione nell'am-

56
Arredamenti: locali, alberghi e turbonavi

biente si può supporre un apparato decorativo ben più ampio di


quello ancora conservato.
Il resto del locale, nell'allestimento di Attilio Lapadula, è compo-
sto dal grande banco, che presenta una pannellatura di legno
agganciata ai sostegni metallici del poggiapiedi e si ripiega all'altez-
za del piano creando un passamano. Due mobili cassa occupano
gli spazi tra le porte: sono a pianta rettangolare e il loro disegno
è affidato alle sagome laterali in lamiera bianca verniciata avorio.
Sono due forme scattanti, messe in evidenza dal pannello latera-
le in mogano: cinque bulloni decorativi le fissano al corpo del
mobile. Sembra che il mobile con sforzo segua nella forma l'an-
damento delle lamiere ondulate. Le casse sono oggetti isolati che
Hotel Leonardo da Vinci

potrebbero provenire dalla civiltà dell'automobile che scorre su


via del Corso.

Gli alberghi
Il progetto dell'Hotel Leonardo da Vinci in Via dei Gracchi, per
il quale Attilio Lapadula riporta la data 1963 nel suo curriculum,
vedrà la conclusione dei lavori nel 1974, quando si apriranno le
porte del lussuoso edificio, appartenente alla catena “Jolly
Hotels”.
La maggiore cubatura possibile si deve confrontare con i villini
del quartiere Prati, ricchi di decorazioni e di colori pastello. L'uso
della tecnologia diventa elemento formale caratterizzante, con i
pannelli di tamponamento che sfruttano agganci e incastri tecnici
Hotel Leonardo da Vinci, ingresso e bar

come soluzioni decorative. Il risultato è un edificio che diluisce la


dissonanza con l'intorno attraverso la varietà cromatica e un sot-
tile gioco di ombre, creato dalle finestre a bow-window.
Non è possibile inoltre tralasciare l'attenzione che Attilio
Lapadula riserva alla decorazione interna dei locali. La sala da
pranzo e il bar con la musica dal vivo sono seminterrati; la luce,
filtrata dalle alte finestre con infissi a emiciclo, rende necessaria
la presenza in grande quantità di apparecchi luminosi. Sono que-
sti elementi che, giocando sul vetro e sulle dimensioni, diversifi-
cano e uniscono gli ambienti. Le tre sale per la ristorazione pre-
sentano corpi illuminanti distribuiti regolarmente, ma fortemen-
te differenziati per forma: la sala colazioni, fruita principalmente
di giorno, ha lampadari a canne a emiciclo a cascata, ma ridotti
nelle dimensioni e trasparenti; le stesse canne formano un paral-
lelepipedo a base quadrata per la sala con il palco dell'orchestra,
dove il colore fumè rende la luce più morbida. Nella zona dedi-
cata alla cena gli apparecchi luminosi diventano imponenti: il
motivo delle canne rimane, e i lampadari vengono inseriti in cer-
chi del controsoffitto, che ricordano quelli della sala delle feste
della turbonave Raffaello.
Tutto l'albergo è ispirato a elementi vegetali: il vetro delle lampa- Hotel Leonardo da Vinci, scala

57
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

de è trattato a “corteccia”, la decorazione di Gaetaniello è realiz-


zata in legno e ricorda la trama di un albero, le tappezzerie della
sala con l'orchestra richiamano lo stile decò.
La presenza di artisti è segnalata anche da alcune opere astratte,
che tuttavia “scompaiono” nella brossure di pubblicità dell'alber-
go. Erano state probabilmente “prestate” per l'inaugurazione dal
fratello di Alfio Marchini, Alvaro, proprietario della galleria La
Nuova Pesa, che ancora oggi appartiene alla famiglia.
Questo progetto riveste un ruolo importante nella produzione di
Attilio Lapadula, poiché mostra come all'arredamento degli inter-
ni sia dedicata la medesima cura con cui si progetta “l'involucro
Hotel Leonardo Da Vinci, ristorante
architettonico”.
Il passaggio successivo avviene nel Residence Garden: pur essen-
do una struttura architettonica di dimensioni ridotte rispetto
all'Hotel Leonardo da Vinci, viene completata, nello spazio ester-
no, dalla scultura di Luigi Gheno, che muovendo da una dimen-
sione immaginativa e materica tende alla precisa qualificazione
della materia, unitamente alla definizione dell'ambiente attraver-
so l'immagine stessa.
Attilio Lapadula realizza anche l'arredamento dell'albergo, del
quale, purtroppo, rimane ben poco; il progetto si presta tuttavia a
definire un percorso ideale, che dallo spazio squisitamente inter-
no si apre alle problematiche più strettamente architettoniche per
arrivare a includere una qualificazione dello spazio che circonda
l'architettura con un elemento assolutamente caratterizzante
come la scultura di Gheno.
Da questa analisi emerge l'impossibilità di distinguere l'ambito
architettonico da quello artistico, insieme a quella di indicare per
ciascuna figura che si muove in questa variegata realtà competen-
ze specifiche e in qualche modo “limitanti”. Artisti di fama inter-
nazionale si propongono come “decoratori” pur senza rinnegare
la loro arte, ma sfruttando le potenzialità di nuovi mezzi espressi-
Residence Garden vi in un dialogo serrato con lo spazio circostante. Artigiani, spes-
so anonimi, raggiungono esiti talmente alti nell'esprimere la sinte-
si tra estetica e funzione, realizzata negli arredamenti da Attilio
Lapadula, che il termine stesso di “artigiani” appare forse limitan-
te.
Lapadula medesimo si rivela una figura attiva su diversi fronti:
architetto, arredatore, urbanista, docente universitario e attento
studioso dello sviluppo urbanistico di Roma in età napoleonica
(7), senza che i limitati contributi finora dedicati allo studio della
sua attività rendano giustizia alla sua professionalità così comples-
sa e articolata.

L'arredamento dei transatlantici italiani


Residence Garden, interno La Seconda Guerra Mondiale segna una traumatica battuta d'ar-

58
Arredamenti: locali, alberghi e turbonavi

resto della cantieristica nazionale, che torna all'attività iniziando


dal riallestimento dei transatlantici superstiti.
In questa attività troviamo impegnati architetti come Giò Ponti,
Gustavo Pulitzer Finali e Nino Zoncada, in un contesto in cui l'at-
tenzione è rivolta ai nuovi materiali, alla morfologia dell'arredo
mobile, alla risoluzione dei problemi di spazio e funzionalità.
Grande importanza rivestono, tra l'altro, le nuove normative
antincendio che, dalla Solas (Convenzione Internazionale per la
salvaguardia della vita umana in mare) del 1948 alle disposizioni
del 1960, restringono le possibilità nell'uso dei materiali.
La funzione decorativa è affidata prevalentemente alle opere d'ar- Residence Garden, unità abitativa

te, che rendono questi transatlantici delle vere e proprie gallerie


naviganti, in grado di diffondere nel panorama internazionale lo
“stile” italiano.
L'“Italia - Società Anonima di Navigazione” indice un concorso a
inviti per l'arredamento dei transatlantici restituiti dal governo
americano. A bordo del Conte Grande intervengono Giò Ponti,
Nino Zoncada e Matteo Longoni; sul Conte Biancamano lavora-
no Gustavo Pulitzer Finali, il gruppo triestino di Umberto
Nordico, Giò Ponti e Nino Zoncada. Si possono identificare due
diverse tendenze che dividono e animano il dibattito critico: sul
Conte Grande prevale il ruolo accentratore di un unico architet-
to, responsabile dell'allestimento di tutti gli ambienti della nave o
di un'intera classe (8), mentre sul Conte Biancamano prevale la
tendenza “pluralista”. In entrambi i casi siamo di fronte ad alle-
stimenti arricchiti da pezzi unici di arte decorativa.
Gli allestimenti delle nuove motonavi Giulio Cesare e Augustus
sono particolarmente vicini a quelli del Conte Biancamano. Nella
Giulio Cesare sono attivi Ponti, Zoncada e Pulitzer, autore della Transatlantico Andrea Doria, trampolino
sala da pranzo per la prima classe; per la seconda classe operano della piscina

Millo Marchi e Matteo Longoni. È notevole in particolare l'am-


biente della sala da gioco, dove il motivo delle carte, realizzato da
Piero Fornasetti, compare nel soffitto e nelle tende.
La tendenza alla frammentazione degli interventi si ripropone
anche nell'Augustus, che vede l'intervento di Gustavo Pulitzer
Finali nel salone da pranzo.
Si giunge, in tal modo, all'allestimento degli ultimi transatlantici
italiani - fra i quali ricordiamo il Cristoforo Colombo, il
Leonardo da Vinci e le turbonavi Michelangelo e Raffaello - al
quale partecipa anche lo Studio Lapadula con gli architetti Attilio
ed Emilio.
La storia della Cristoforo Colombo si accompagna fin dal suo
varo, avvenuto il 10 maggio 1953, a quella della gemella Andrea
Doria: si tratta di navi che, per le linee armoniose e l'equilibrio
delle forme, riscuotono un enorme successo di critica e di pub-
blico.

59
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

Il materiale conservato presso l'archivio permette di arricchire la


conoscenza in merito all'esecuzione dell'arredamento di questa
turbonave, che nella sua interezza è stata oggetto di diversi studi.
L'analisi delle competenze richieste all'architetto dai soggetti coin-
volti nella costruzione della turbonave deve iniziare dalla richie-
sta di offerta, inviata dalla Navalmeccanica SpA di Castellamare
di Stabia alla Ducrot di Palermo.
Infatti l'offerta deve riguardare la fornitura e il montaggio a bordo
Transatlantico Cristoforo Colombo, dell'arredamento di alcuni locali. Inoltre “il progetto dovrà esse-
re elaborato da un architetto di chiara fama scelto tra i seguenti:
progetto per la piscina di seconda classe

arch. Zoncada, Pulitzer, La Padula, Pouchain, Gottardi, Daneri,


Longoni”. La partecipazione al concorso, secondo una tradizio-
ne consolidata, avviene tramite invito e si rivolge essenzialmente
a personalità di spicco, non necessariamente specializzate in pro-
gettazione navale.
Le specifiche dettaglianti gli arredi e le necessità per i singoli
ambienti sono assai rigide per il ponte di prima classe: le porte
devono essere “decorative” e devono comprendere una bussola
esterna per il condizionamento. Le altre indicazioni guardano
solo “a criteri di armonia e sobria eleganza”. L'aspetto generale
del locale, presentato tramite bozzetti, deve essere approvato dal
committente, così come le necessarie decorazioni. In calce a que-
sta richiesta le note specificano come la nave avrà un uso frequen-
te, e quindi si fa appello agli architetti di scegliere materiali molto
innovativi o di primissima qualità per evitare che la manutenzio-
ne diventi un onere troppo gravoso; per le opere d'arte citano
inoltre nuovamente i bozzetti da approvare da parte dell'armato-
re.
Già per questa nave l'architetto propone una relativa fusione degli
Transatlantico Cristoforo Colombo, spazi del bar e del ristorante per ampliare la visione da ogni
piscina di seconda classe
punto e far apprezzare l'unitarietà del progetto. Un grande unico
salone avrebbe occupato l'intera lunghezza della nave, mentre le
divisioni create da pannelli di legno e cristallo avrebbero dovuto
giocare un ruolo esclusivamente pratico e antincendio.
Negli anni successivi, ad Attilio Lapadula, in collaborazione con
il fratello Emilio, sarà affidata la progettazione del bar di prima e
seconda classe, con l'aggiunta degli spazi esterni delle piscine (9).
L'importanza di questi ambienti è legata essenzialmente al per-
corso compiuto dalle navi: seguendo, nella traversata verso New
York, la cosiddetta “rotta del sole”, molti giorni vengono infatti
trascorsi nel Mediterraneo, con la garanzia di un clima mite e la
possibilità di vivere appieno gli spazi esterni della nave.
Nelle foto presenti nell'archivio è documentata la costruzione
della piscina. Si nota come la decorazione del pavimento, anche
Transatlantico Cristoforo Colombo, model-
lo del trampolino della piscina di prima
se semplificata, giochi un ruolo importante nella definizione
classe dello spazio; le linee azzurre del mosaico si intrecciano con le

60
Arredamenti: locali, alberghi e turbonavi

linee d'ombra del parapetto del ponte superiore e le stesse balau-


stre della piscina proiettano giochi di luce nell'acqua. Per il bar di
prima classe Afro Basaldella realizza due grandi sculture in legno
e ceramica, ospitate nelle ali del fondo e montate su un tavolato
di mogano lucidato a specchio.
Il soffitto - del quale, in archivio, è conservato un bellissimo
modello - è il protagonista assoluto dello spazio: è composto da
numerosi cerchi su più livelli che si intersecano creando dei
vuoti, dove sono nascoste le lampade, o dei dischi aggettanti, in
cui, nello spessore, sono inseriti altri corpi illuminanti. Sono inol-
tre presenti cerchi di solo colore, oppure incisioni create nell'in-
tonaco, o ancora cerchi segnati da liste applicate.
Il disegno del soffitto crea anche lo spunto per il motivo del pavi-
mento della piscina sul ponte. La grande parete vetrata che divi-
de l'interno dall'esterno fa intravedere il soffitto e il pavimento, e
i colori pastello, per entrambi, creano l'armonia cromatica neces-
saria per produrre un ambiente elegante.
Il 15 gennaio del 1956 la nave rientra da New York a Trieste, e
la sua storia giunge al capolinea. Viene venduta a una società side- Transatlantico Cristoforo Colombo, bar di
rurgica americana e da questa utilizzata come albergo per gli ope- prima classe

rai che costruivano un impianto a Matanzas in Venezuela. Viene


definitivamente demolita a Kaoshiung, Taiwan, nel 1983.
L'altra nave realizzata dallo studio Lapadula è la Raffaello, gemel-
la della Michelangelo, transatlantici realizzati in un'epoca caratte-
rizzata dalla crisi petrolifera e dalla nascita di linee aeree.
La costruzione della Michelangelo e della Raffaello doveva essen-
zialmente arginare la crisi economica della navigazione maritti-
ma. Il vero paradosso di costruire due giganti del mare in un
periodo così difficile, risiede essenzialmente nella progettazione:
furono infatti ideati come transatlantici di linea, che non sarebbe-
ro mai potuti essere navi da crociera. Contemporaneamente le
compagnie private progettavano navi come la Eugenio C. o la
Oceanic che sono ancora operative come navi per viaggi turistici.
La Michelangelo e la Raffaello furono impostate a due mesi di
distanza in due cantieri italiani, e ciò risvegliò l'interesse della
stampa, che seguì la costruzione come se stesse rinascendo l'epo-
ca fastosa del Rex.
La prima a prendere il largo fu la Michelangelo, il 16 settembre
del 1962, da Genova, in un cantiere che era già in fase di sman-
tellamento. Il varo della seconda nave avvenne il 24 marzo del-
l'anno seguente.
La Michelangelo e la Raffaello, che non erano distinguibili nell'a- Transatlantico Cristoforo Colombo, bar di

spetto esterno, per la qualità dei loro allestimenti interni erano


seconda classe

entrambe vere e proprie gallerie d'arte galleggianti. Come era


stato fatto per la Leonardo da Vinci, venne pubblicato un opu-
scolo d'arte sulla Michelangelo e uno sulla Raffaello; i due volu-

61
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

metti riportavano immagini della vastissima raccolta di opere con-


tenute nelle navi.
Allo studio Lapadula, che all'epoca era formato dall'architetto
Attilio, dal fratello arch. Emilio e dall'arch. Fabio Massimo
Poggiolini, furono commissionate le sale della prima classe e
quelle per la classe turistica.
Da via dell'Oca partì per Trieste un'immensa quantità di materia-
le.
Il complesso delle sale della prima classe, che era di dimensioni
impressionanti, aveva una divisione con il soggiorno formata da
porte di vetro, risultando così un ambiente unico. L'idea di unifi-
Transatlantico Cristoforo Colombo, pro- care gli spazi, già applicata da Monaco e Luccichenti nella
Leonardo da Vinci, nella proposta dello Studio Lapadula trova
getto del soffitto del bar di prima classe

una realizzazione ricca di dettagli e soluzioni eleganti. L'insistente


iterazione dei lampadari, inseriti in cassettoni del soffitto con
doppi cerchi in metallo che racchiudono le cascate di canne di
vetro, fornisce un'unità strutturale e architettonica agli ambienti.
La parte sopra la pista da ballo, chiamata “Duomo”, presentava
una fitta trama di grigliato di alluminio anodizzato sulle pareti,
mentre al centro i tre enormi lampadari dalle canne di vetro tra-
sparente e con riflessi oro dominavano lo spazio.
Tutti gli elementi d'arredo erano stati disegnati da Lapadula.
Nel bar Atlantico la presenza di opere d'arte era sconcertante: le
pareti delle murate e la parte poppiera mostravano un’alternanza
di pannelli di specchio e 22 arazzi di artisti diversi. In una delle
versioni della pianta del piano della prima classe c'era una parti-
colare attenzione al posizionamento degli arazzi. Note a matita
indicano come l'architetto volesse che si alternassero le opere, e
Turbonave Raffaello, sala di prima classe ciò dimostra che aveva già ricevuto i bozzetti, che ne conosceva il
motivo e i colori dominanti. Nonostante gli arazzi siano tutti di
tema astratto e non presentino differenze cromatiche particolar-
mente evidenti, l'architetto ha studiato la loro posizione, dimo-
strando un interesse particolare nell'allestimento, nell'esposizione
di una raccolta che avrebbe potuto essere di tipo museale.
A destra e a sinistra del bar Atlantico si aprivano le sale di lettu-
ra e di scrittura e la sala da gioco. La progettazione della prima
classe si concludeva con i ponti passeggiata.
Merita un cenno particolare la sala da ballo per la classe turistica.
Mentre nei progetti delle altre navi avevamo visto soluzioni
“decorose”, ben pensate e funzionali, qui gli architetti dello stu-
dio Lapadula realizzano una soluzione grandiosa. È il soffitto il
protagonista assoluto: grandi plafoniere in vetro, montate su pan-
nelli traforati in alluminio anodizzato, si distribuiscono trasversal-
mente alla sala. I due colori oro e trasparente disegnano la sago-
Turbonave Raffaello, pannelli di Bice ma di una nave che solca il mare; le onde sono create dalla luce
Lazzari che attraversa i vetri scanalati degli apparecchi illuminanti. Il pavi-

62
Arredamenti: locali, alberghi e turbonavi

Turbonave Raffaello, prospettiva della sala da ballo per la classe turistica

Turbonave Raffaello, sala da ballo per la classe turistica

63
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

mento è di moquettes crema, l'inserto in parquet ridisegna l'om-


bra della nave. L'opera d'arte sul fondo, della quale in archivio è
presente la foto del bozzetto, è di Franco Cannella.
Stupisce l'osservazione di come nessuna rivista di architettura si
occupi dei progetti relativi alla Michelangelo e alla Raffaello,
nonostante l'impegno compositivo profuso da tutti i partecipanti:
forse la connotazione elitaria li aveva fatti ritenere estranei alle
tematiche che la disciplina architettonica andava sviluppando in
quel periodo. Sembrano lontani gli anni in cui gli interventi di
Giò Ponti sulla Leonardo da Vinci furono ambasciatori della cul-
tura italiana nel mondo.
Oggi, riguardando le fotografie degli interni, si scoprono spazi,
eleganti ma sempre rivolti all'estrema funzionalità, che ricevereb-
bero il plauso delle migliori riviste specializzate.
Fortunatamente esistono luoghi come l'archivio Lapadula e la
Fondazione Ansaldo, dove si conserva memoria di questi gioiel-
li, anche se il materiale fotografico o cartaceo non potrà mai sosti-
tuire le opere perdute.
Nel 1975 le due navi rientrarono in porto a La Spezia per essere
demolite, ma l'anno seguente furono vendute alla marina dello
Scià di Persia, la quale, dopo vari tentativi di trasformazione in
navi da crociera, le utilizzò come caserme.
Turbonave Raffaello, pianta del soffitto
della sala da ballo per la classe turistica

Turbonave Raffaello, bar di prima classe

64
Arredamenti: locali, alberghi e turbonavi

Note: (6) Nel 1996 la Società di Ristorazione Autostradale


ristruttura il locale riportando alla luce i graffiti di Afro
(1) Nell'archivio si conservano anche solleciti di pagamen- obliati dai marmi dell'Alemagna.
to a conclusione dei lavori e cambiali non riscosse.
(7) Recentemente Valter Curzi, professore associato di
(2) Nel 1961 Attilio Lapadula arreda l'Ottica Vasari, di cui Storia dell'Arte Moderna presso l'università La Sapienza,
è cliente da diversi anni. ha citato il testo del 1958 di A. Lapadula, Roma 1809-
1814. Contributo alla storia dell'urbanistica, nel suo ulti-
(3) Nel 1963 realizza alcuni arredamenti per la turbonave mo lavoro intitolato Bene Culturale e pubblica utilità.
Raffaello, dopo aver lavorato alla Cristoforo Colombo nel Politiche di tutela a Roma tra Ancien Régime e
1960 e all'Andrea Doria nel 1953. Restaurazione, Argelato (BO) 2004.

(4) Bruno Romani, Aragno riapre, Risorgimento Liberale, (8) Nino Zoncada ha la responsabilità esecutiva di tutti gli
5 settembre 1946. ambienti e realizza gli ambienti di prima classe.

(5) Lippaccio, È morto il “Caffè Aragno” Viva il “Caffè (9) Maurizio Eliseo e Paolo Piccione, 2001, pp. 203-204.
Aragno”, Lancio, 4 febbraio 1951.

Turbonave Raffaello, prospettive delle sale di prima classe

65
IL CONCORSO PER IL NUOVO PALAZZO DELLA
CAMERA DEI DEPUTATI (1967-68)
di Tommaso Dore

Premessa: le vicende concorsuali

Il Concorso per il nuovo Palazzo della Camera dei Deputati,


forse insieme a quello per la Stazione Termini, costituisce una
delle più importanti gare d'architettura della seconda metà del
Novecento in Italia e un'esemplare raffigurazione delle comples-
sità e contraddizioni dell'architettura romana dell'epoca, data la
stragrande maggioranza di architetti locali tra i partecipanti.
Ci troviamo di fronte ad un concorso problematico il cui esito
controverso ha generato, fin dall’inizio, un acceso dibattito tra la
committenza, i partecipanti, la stampa, l'INU, l'associazione Italia
Nostra e la critica del tempo (1). Dibattito sull'inadeguatezza del
bando per molti “sbagliato” a causa dell'infelice scelta dell'area in
pieno centro storico e per la mancata formulazione preliminare
Schizzo prospettico

di un piano di sistemazione generale della zona, sull'opportunità


o meno d'intervenire all'interno dei centri storici, sulle proposte
utopistiche e provocatorie presentate da alcuni progettisti, sulla
crisi in cui versava l'architettura italiana dell'epoca e, infine, sulla
presunta incapacità di giudizio della Commissione giudicatrice
(2).
Bandito nella primavera del 1966, il concorso prevedeva la pro-
gettazione di un edificio per uffici, servizi e autorimessa interrata
volto all'implementazione degli spazi della Camera dei Deputati,
resasi necessaria a seguito dell'evoluzione e riforma delle struttu-
re parlamentari. L'area individuata è quella, oggi adibita a par-
cheggio, risultante dalle demolizioni effettuate per la costruzione
del Palazzo Basile, delimitata da via della Missione, piazza del
Parlamento e via di Campo Marzio.
La Commissione giudicatrice individuò inizialmente 34 progetti
idonei con riserva, tra cui quelli assai interessanti, ma poi elimi- Prospetto su via di Campo Marzio

nati, del gruppo Quaroni, di De Feo-Ciucci-Manieri Elia, di


Cafiero-Spagnesi, di Pellegrin-Cicconcelli. Inoltre furono scartati
anche da questa prima selezione altri importanti progetti come
quelli di Palpacelli-Musmeci, Polesello, Dardi, Insolera, Ligini,
Dall'Olio e quello del gruppo Lapadula.
La Commissione, come è noto, non giunse all'identificazione di
uno o più vincitori, non ritenendo nessuno dei progetti presentati
particolarmente valido rispetto agli altri, ma assegnò tuttavia un
rimborso spese a diciotto gruppi ritenuti comunque meritevoli (3).
Con la chiusura dei lavori, la Commissione auspicava il bando di
un concorso di secondo grado che però, anche a seguito delle
polemiche suscitate dalla prima gara, non fu mai espletato. Si pre- Nella pagina precedente: fotografia del
plastico

67
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

ferì quindi attuare l'ipotesi, inizialmente scartata, di utilizzare fab-


bricati già esistenti e limitrofi a Montecitorio per integrare il com-
plesso di edifici a disposizione della Camera dei Deputati.
Tornando ai progetti in gara, è interessante notare come questi
siano frutto dell'attività di più generazioni di architetti e come si
evidenzino correnti diversificate e in contrasto tra loro. Basti
paragonare, ad esempio, gli estremi opposti costituiti dal proget-
to presentato dell'anziano Vincenzo Fasolo, un edificio voluta-
mente anacronistico in stile anni Venti, in perfetta continuità con
la teoria dell'ambientismo piacentiniano, e quello molto noto e
utopistico del gruppo Samonà.
Tuttavia, le molte classificazioni dei progetti che sono state fatte
in passato e che ancora potrebbero farsi, sono tutte inevitabil-
mente arbitrarie e soggettive. Ma, se come è stato asserito più
volte, il vero tema del concorso era l'inserimento di un moderno
edificio in una lacuna irrisolta del tessuto urbano del centro sto-
Prospettiva su via di Campo Marzio rico, possono distinguersi tre principali e diversi approcci a que-
sto tema, evidenziato fin dall'inizio anche dal bando: il primo è
quello “muratoriano” dei gruppi Caniggia e Bollati, volto al neu-
tro risarcimento di tale lacuna con un edificio senza tempo,
armonicamente inserito nel tessuto urbano circostante, studiato
basandosi sull'evoluzione dei tipi edilizi della città storica e anche
sull'ambientismo. Si tratta dell'approccio più ligio al bando, che
richiedeva all'art. 2 di “assicurare un armonico inserimento del
nuovo edificio nell'ambiente circostante, sia dal punto di vista
urbanistico sia da quello architettonico, tenendo soprattutto
conto della particolare importanza della zona”.
Un secondo approccio è quello utopistico e provocatorio, e assai
diversificato, dei gruppi Samonà, Sacripanti e altri, indifferente al
rapporto con il contorno, mirato ad una netta e drammatica con-
trapposizione tra il nuovo intervento, individuato come un ogget-
to a se stante, e il tessuto edilizio storico, senza compromessi di
sorta. Si tratta, come accennato, di un criterio che va fuori tema
rispetto alle richieste del bando.
Il terzo approccio costituisce la via di mezzo adottata da profes-
sionisti colti e impegnati i quali, pur non rinunciando alla moder-
Prospettiva su piazza del Parlamento nità dell'intervento, alla libertà di espressione e alla concretezza e
fattibilità del progetto, non disdegnano il confronto con il conte-
sto urbano, ma anzi lo modificano con la proposta di un nuovo
ordine, creando relazioni con le preesistenze. È il caso, esempla-
re, del gruppo Quaroni e di quelli di Portoghesi, Vaccaro,
Manieri Elia e, non ultimo, di Attilio Lapadula che nella relazio-
ne allegata al progetto asserisce di aver voluto «creare la indispen-
sabile “continuità” delle antiche strutture berniniane e basiliane
con la edificazione progettata. Una continuità intesa non solo
come successione logica di elementi integrativi degli esistenti, ma

68
Il Concorso per il nuovo Palazzo della Camera dei Deputati (1967-68)

anche come inclusione armonica del nuovo edificio nell'ambien-


te circostante». (4)

Il progetto “Spazio N. 4” di Attilio Lapadula con Emilio


Lapadula, Alfio Marchini e Fabio Massimo Poggiolini

Come accennato nella premessa il vero tema del concorso può


essere “come intervenire su una struttura squilibrata per struttu-
rarla” (5), come modificare quindi il contesto storico e il modo di
rapportarsi ad esso. Lapadula sceglie la via del buon senso e della
mediazione tra tendenze contrapposte che altri partecipanti
hanno volutamente esasperato. E lo fa introducendo un oggetto
architettonico non avulso dal contesto, un fulcro che accentri e
risolva in se stesso la lacerazione, il vuoto irrisolto e lo squilibrio
del tessuto urbano. Gli edifici preesistenti vanno così a formare
Planimetria del contesto urbano

delle quinte attorno al corpo cilindrico principale del nuovo


palazzo, che funge da cerniera e centro equilibratore dello spazio
urbano: “il nuovo si inserisce nell'esistente, senza violenze: non
rinunzia alla sua originalità né altera gli spazi precostituiti diretto
com'è a creare una nuova armonia ambientale, che si riallaccia
anche alla tradizione delle forme circolari così frequenti
nella città di Roma”. (6)
Il cerchio è inteso come figura geometrica pura, ma anche
come forma aulica, distintiva, capace di dare all'edificio quella
ufficialità che è richiesta per una sede istituzionale. Si noti
anche come l'intervento proposto, pur non rinunciando a un
linguaggio e a una struttura moderni, tenti di armonizzarsi il più
possibile con il preesistente fabbricato di Basile: l'intelaiatura
strutturale e formale della facciata curva del corpo principale,
utilizzando una sorta di linguaggio liberty semplificato, riprende
con esili membrature in acciaio l'impaginato e la tripartizione
classica del prospetto del Parlamento. La distinzione del basa-
mento, dell'ordine gigante e della fascia di coronamento, viene
sottolineata dallo sfalsamento dei piani alle varie quote. Anche
il ritmo delle bucature dialoga e si armonizza con quello del
palazzo dell'architetto palermitano, ma in un gioco al negativo:
i pieni diventano dei vuoti e i vuoti dei pieni, come nel caso
Fotografia del plastico

delle finestre tripartite dell'ultimo piano e delle grandi superfici


vetrate del piano nobile.
Ligio a criteri di sincerità costruttiva, Lapadula adotta per la strut-
tura della facciata un'intelaiatura in acciaio con montanti a vista,
pannelli di tamponamento in travertino, infissi in alluminio ano-
dizzato e cristalli atermici color bronzo chiaro che riflettono gli
edifici circostanti, mirando ad una sorta di monumentalizzazione
del curtain-wall. Tuttavia, proprio la proposta di impiegare mate-
riali moderni all'interno del centro storico potrebbe essere stata

69
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

la causa dell'esclusione preliminare del progetto del gruppo


Lapadula (7).
A livello distributivo vengono rispettate invece scrupolosamente
tutte le prescrizioni funzionali imposte dal bando. Tutte le comu-
nicazioni verticali sono differenziate in modo da non creare inter-
ferenze tra parlamentari, commessi e pubblico autorizzato.
Il nuovo fabbricato è direttamente collegato al Palazzo di
Montecitorio, tramite un cavalcavia a livello del Transatlantico, in
un percorso fiancheggiato da servizi di primaria importanza per i
Pianta del piano rialzato
quali più frequente è il contatto dei parlamentari: uffici postali e
telegrafici, telefoni, banca, bar e tabaccheria, barbieria. Le sale di
ricevimento del pubblico, con i relativi servizi di accoglienza,
sono disposte presso l'ingresso principale al piano rialzato e in
quello immediatamente superiore.
Seguono poi, distribuite nei tre piani successivi, le sale di scrittu-
ra riservate ai parlamentari e, ancora, nei tre livelli superiori è col-
locata la biblioteca, con i relativi uffici amministrativi, accessibile
indipendentemente dai parlamentari e dal pubblico esterno auto-
rizzato. Il magazzino dei libri, con capacità di un milione di volu-
mi, è disposto a torre in un corpo di fabbrica a se stante su via di
Campo Marzio ed è servito da mezzi meccanici d'interco-
municazione e trasporto libri. Il ristorante è collocato all'ultimo
piano del corpo cilindrico principale, accessibile indipendente-
mente anche da parte di ospiti esterni, mentre due appartamenti
Prospetto su via della Missione di rappresentanza sono al livello più alto in posizione arretrata in
un corpo secondario, anch'essi serviti da percorsi verticali diffe-
renziati. L'archivio e il C.E.D. sono posizionati al piano rialzato e
nel seminterrato dell'ala più prossima a Montecitorio; l'autori-
messa sotterranea, sviluppata su tredici livelli per una capacità di
parcamento di 748 automobili, utilizza l'innovativo sistema auto-
matizzato a silos “Zidpark”.
Tuttavia, l'adozione di una pianta di forma circolare per il corpo
di fabbrica principale, se è vero che consente di ridurre al mini-
mo gli spazi destinati ai percorsi e al disimpegno delle funzioni,
al contempo genera una distribuzione seriale di ambienti radia-
li, disposti attorno a un grande vuoto centrale a tutta altezza, che
in qualche caso, come nelle sale di scrittura per i parlamentari e
nel ristorante, porta ad una certa rigidità distributiva che avreb-
be potuto essere probabilmente rivista in sede di progetto esecu-
Sezione longitudinale tivo (8).

70
Il Concorso per il nuovo Palazzo della Camera dei Deputati (1967-68)

Note: L. Vagnetti; Ing. C. Pascoletti; arch. F. Cocchia; Ing. L.


Passarelli; arch. L. Muzio; arch. V. Franchetti Pardo;
(1) Cfr.: G.K. Köenig, Montecitorio valle di lacrime, in arch. M. Castellazzi; arch. M. Sacripanti; arch. P.
«Casabella», XXXI, dicembre 1967, n. 321, pp. 16-47; M. Portoghesi; arch. C. Aymonino; arch. G. Samonà; arch. F.
Tafuri, Il concorso per i nuovi uffici della Camera dei Donato; arch. G. Vaccaro.
Deputati. Un bilancio dell'architettura italiana, edizioni
universitarie italiane, Vicenza 1968, pp. 26, 30, 84; B. (4) Cfr.: “Relazione” allegata al progetto “Spazio N. 4” per
Zevi, Dodici Parlamenti per una Repubblica, in il Concorso nazionale per un progetto di massima del
«L'Espresso», 1967, n. 33, pp. 29-35; L. Benevolo, Una nuovo palazzo per uffici della Camera dei Deputati, 1967
linea più precisa nella ricerca architettonica, in (Archivio Lapadula, AL-PRO/265, Tubo 150, Busta 101).
«Rinascita», 26 aprile 1968; Mostra di progetti per la
costruzione di un edificio da destinare ad uffici e servizi (5) M. Tafuri, Il concorso…, cit., p. 24.
della Camera dei Deputati, in «Sesta biennale romana.
Rassegna delle arti figurative di Roma e del Lazio feb- (6) Cfr.: “Relazione” allegata al progetto “Spazio N. 4”,
braio-marzo 1968», catalogo della mostra, De Luca edito- cit., p. 1.
re, Roma 1968, pp. 53-63. Per ulteriori approfondimenti
sull'argomento cfr.: M. Tafuri, Storia dell'architettura ita- (7) Cfr. quanto affermato da G.K. Köenig in Montecitorio
liana 1944-1985, Einaudi, Torino 1982 e 1986, pp. 119- valle di lacrime, cit., p. 25.
122; A. Terranova (a cura di), Ludovico Quaroni.
Architetture per cinquant'anni, Gangemi editore, Roma (8) La struttura portante prevista per l’edificio è a gabbia
1985, pp. 100-103; M. Tafuri, F. Dal Co, Architettura in acciaio con solette portate da lamiera corrugata. I corpi
Contemporanea, Electa, Milano 1988, vol. II, pp. 339, scala con gli ascensori sono compartimentati da pareti in
391; A.M. Ippolito, La progettazione dello spazio pubbli- cemento armato con funzione anche di irrigidimento e
co tra utopia e realtà, in AA.VV., «La Capitale a Roma. controventamento dell'ossatura metallica. Per i piani inter-
Città e arredo urbano 1945-1990», catalogo della mostra, rati dell'autorimessa è utile la forma circolare della pianta
Roma 1991, pp. 94-96; F. Zagari, La casa del parlamento. che consente di avere una notevole resistenza alle spinte
Fra architettura, istituzioni e potere, in L. Violante (a cura laterali del terreno. Qui la struttura è costituita da una
di), «Il Parlamento», Storia d'Italia. Annali 17, Einaudi, paratia di pali accostati e da una doppia parete di cemen-
Torino 2001, pp. 977-1006. to armato continua, attraversata da puntoni costituenti una
robusta struttura cellulare interna. Una parte cospicua
(2) Tra i membri dell'eterogenea Commissione giudicatri- della relazione illustrativa al progetto è riservata alla
ce figuravano personaggi di primo piano come Guglielmo descrizione degli impianti tecnologici: condizionamento,
De Angelis d'Ossat, Pier Luigi Nervi, Giovanni Klaus centrale termica, antincendio, idrico sanitario ed elettrico.
Köenig, Mario Salmi, Giuseppe Campos Venuti, ecc. L'impianto di condizionamento è diversificato a seconda
delle esigenze di confort microclimatico richieste per le
(3) Il rimborso spese fu assegnato precisamente ai seguen- diverse funzioni e parti dell'edificio (condizionamento d'a-
ti gruppi (si indica solo il capogruppo): arch. G. Santoro; ria a doppio condotto, di tipo tradizionale, a termoventi-
arch. S. Rossi; arch. G. Caniggia; arch. R. Magagnini; arch. lazione, ecc.).

71
A. Lapadula, M. Poggiolini, progetto per un complesso parrocchiale a Ostia Lido, plastico
IL CONCORSO PER LE NUOVE CHIESE DI ROMA
di Luca Creti

Nel 1967 la “Pontificia Opera per la Preservazione della Fede e


la Provvista di nuove chiese in Roma”, facendo seguito a un invi-
to formulato da papa Paolo VI durante un'udienza concessa agli
architetti e ingegneri della capitale, bandisce un concorso per la
progettazione di massima di nuovi centri parrocchiali nella loca-
le Diocesi; a testimonianza dell'attenzione del Pontefice per i pro-
blemi specifici della sua sede vescovile la partecipazione è riser-
vata esclusivamente ai professionisti residenti a Roma e iscritti nei
relativi Albi.
Il bando individua quattro aree, tra loro omogenee dal punto di
vista delle problematiche sociali e poste in altrettanti quadranti
periferici: Roma Nord, Roma Est, Roma Sud e Roma Ovest.
Ciascun concorrente o gruppo di concorrenti può partecipare
con un solo progetto di massima, scegliendo obbligatoriamente
una tra le zone indicate, e deve presentare, oltre a una breve rela-
zione, quattro tavole con disegni in scala 1:200, un modello, e
vedute prospettiche e/o foto del modello stesso. Ai vincitori, oltre
a un premio in denaro, spetterà l'incarico per la progettazione
esecutiva e la direzione artistica del complesso parrocchiale scel-
to, oppure di un altro da erigersi in una località diversa, a secon-
da delle esigenze della Diocesi. Rimborsi spese equivalenti sono
inoltre previsti anche per le proposte segnalate (al massimo sei).
I dati generali del progetto sono identici per le quattro aree e
impongono l'inserimento del complesso parrocchiale in un quar-
tiere di circa 10.000 abitanti, un costo massimo delle opere com-
plete non superiore a 250 milioni di lire, e specifiche caratteristi-
che per la chiesa e per gli spazi limitrofi. In particolare, l'aula
assembleare deve poter contenere all'incirca 1200 persone e deve
essere realizzata in modo da rispondere al meglio alle necessità
che derivano dall'attuazione della nuova Riforma liturgica
Conciliare; deve essere affiancata da un locale per la Confessione
Uomini, da un'antisagrestia, dalla sagrestia, da un “Piccolo Clero”
(vano per l'attesa di circa 10 chierichetti), da un deposito per gli
arredi sacri e dai servizi igienici. Il progetto deve inoltre contene-
re aree per le residenze e per le opere parrocchiali - con zone per
uffici, per attività catechistiche, sociali e culturali - e, infine, spazi
all'aperto con attrezzature sportive e ricreative.
Lo scopo del Concorso è duplice, e coinvolge sia aspetti mera-
mente pratici che principi di più astratta formatività: oltre alla
necessità di realizzare nuove chiese in quartieri periferici e carat-
terizzati da situazioni di forte degrado e di allarmante emergenza
sociale, si tratta di verificare quali possano essere le risposte archi-

73
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

tettoniche, dal punto di vista formale e distributivo, ai profondi


mutamenti nella Liturgia introdotti dal Concilio Ecumenico
Vaticano II (1). Le indicazioni postconciliari per lo svolgimento
dei riti pongono infatti i progettisti di fronte a nuove problemati-
che di fruizione e di articolazione planimetrica e spaziale: lo spo-
stamento dell'altare al centro dell'aula destinata all'assemblea, le
mutate posizioni del presbiterio, dell'ambone e della cattedra,
presuppongono in effetti una diversa impostazione compositiva
dell'organismo chiesastico, nella quale non risulta più prioritaria
la presenza di un asse longitudinale privilegiato che accompagni
il fedele, anche visivamente, dalla porta all'altare.
Tali novità liturgiche, a parere delle autorità religiose, potrebbe-
ro provocare un disorientamento progettuale che si andrebbe ad
aggiungere alle notevoli difficoltà espressive già poste dalla tipolo-
gia stessa agli architetti contemporanei, ansiosi, ma per molti versi
incapaci (se si escludono alcuni isolati capolavori), di tradurre in
un linguaggio moderno convincente e riconoscibile dalla massa
dei non addetti ai lavori gli esempi che, dai primordi del
Cristianesimo in poi, e fatte salve le inevitabili differenze tra le
varie epoche, si erano imposti come modelli universali di riferi-
mento. Di queste preoccupazioni si fa interprete, tra gli altri, l'ar-
chitetto Sandro Benedetti, il quale, nell'introduzione al volume
stampato in occasione del Concorso, e riferendosi alle differenze
con la precedente Riforma scaturita dal Concilio di Trento,
osserva come “dal punto di vista dei problemi architettonici”
manchi soprattutto oggi “quella tradizione artistica ed alta istitu-
zionalizzazione formale, che garantiva agli architetti controrifor-
misti di assorbire sensi nuovi senza eccessivamente dover trasfor-
mare i problemi del linguaggio architettonico cinquecentesco,
permettendo così quella continuità in progressione storica che
porterà in poco tempo al barocco” (2).
Nella seconda metà del XX secolo la critica moderna di settore
giudica tuttavia tali archetipi obsoleti e ormai sostituibili con le
nuove e ardite forme che, sfruttando al meglio le qualità dei
nuovi materiali, consentono di creare spazi architettonici ritenuti
più vicini alla sensibilità dell'uomo contemporaneo. Tra gli addet-
ti ai lavori c'è altresì la presa di coscienza di come la funzione del-
l'edificio chiesastico si stia rapidamente evolvendo da semplice
luogo di svolgimento dei riti a centro della vita culturale, associa-
tiva e ricreativa del quartiere; in particolare nelle aree periferiche
e più degradate le istituzioni religiose tendono spesso a sostituir-
si al Pubblico, assumendo quel ruolo sociale che le
Amministrazioni cittadine del dopoguerra, per carenze politico-
organizzative e/o economiche, non riescono a esercitare. La
A. Lapadula, M. Poggiolini, progetto per
un complesso parrocchiale a Ostia Lido,
facies della loro espressione architettonica più importante, la
piante dei vari livelli chiesa, è libera quindi di conformarsi agli edifici laici, di rinuncia-

74
Il Concorso per le nuove chiese di Roma

re alle connotazioni estetiche tradizionali: da emergenza, anche


volumetrica, della città o del rione, ma da essi aulicamente distac-
cata, diventa parte integrante del tessuto edilizio, del quale ripro-
pone il medesimo linguaggio figurativo. Dove la qualità della vita
è minore, dove c'è bisogno di interventi di riqualificazione che
riconcilino gli abitanti con il proprio luogo di residenza, le chiese
rappresentano degli importanti fulcri di aggregazione, servono da
elementi, anche fisici, di ricucitura urbana.
Questo mutamento di ruolo è ben presente nell'idea di edificio
religioso che scaturisce dall'esame dei contenuti del bando, nel A. Lapadula, M. Poggiolini, progetto per un
complesso parrocchiale a Ostia Lido,
quale è chiaramente esplicitato come la chiesa si sarebbe dovuta prospetto frontale

integrare il più possibile nel contesto urbanistico e sociale circo-


stante. Sia le specifiche tecniche che i dati volumetrici forniti ai
progettisti presuppongono inoltre un'attenzione particolare per i
servizi annessi all'aula assembleare vera e propria, che perde il
suo primato assoluto a favore degli spazi dedicati alle attività solo
in apparenza “collaterali”.
I risultati del concorso mettono in evidenza proprio questi aspet-
ti; le proposte presentate si possono infatti scindere in due cate-
gorie, distinte a seconda della soluzione data al rapporto tra la
chiesa in quanto spazio assembleare e gli ambienti parrocchiali:
l'idea progettuale che “incorporava, in una soluzione unica di rap-
porti spaziali, la chiesa e gli ambienti parrocchiali”, e quella che
“invece esigeva una netta distinzione tra le masse volumetriche
della chiesa emergente e gli ambienti pastorali”.
Per brevità rinunciamo all'analisi dei singoli progetti, e rimandia-
mo alle pubblicazioni specifiche anche l'esame delle discussioni
in sede critica relative agli esiti del Concorso; segnaliamo soltan- A. Lapadula, M. Poggiolini, progetto per un

to come la Commissione Esaminatrice abbia giudicato più inte-


complesso parrocchiale a Ostia Lido,
prospetto laterale
ressanti e più consone al nuovo ruolo assunto dalle istituzioni
religiose sul territorio le ipotesi prive “di soluzioni architettoniche
di tipo trionfalistico, spesso risolte anche in gesti vistosi di abile
oratoria architettonica” (3) e nelle quali veniva maggiormente svi-
luppata l'idea di unificazione tra l'aula assembleare e gli ambienti
accessori, e abbia inoltre tenuto conto della loro realizzabilità,
anche economica, scartando proposte, come quelle di Quaroni e
di Nicoletti, che, pur riscuotendo notevoli consensi, si configura-
vano come semplici idee.
Attilio Lapadula, con la collaborazione dell'architetto Fabio
Massimo Poggiolini, partecipa al Concorso presentando un pro-
getto per l'area di Ostia Lido Nord. La zona, scelta dal Comune
di Roma per la realizzazione del Piano di Zona n. 55, è tra le più
degradate della capitale, essendo disseminata di baracche abusi-
ve e fatiscenti e di costruzioni precarie nelle quali vive, o, per
meglio dire, “sopravvive”, una popolazione composta in gran A. Lapadula, M. Poggiolini, progetto per un
complesso parrocchiale a Ostia Lido,
parte da sfollati provenienti da Roma; è una sorta di ghetto, carat- sezione longitudinale

75
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

terizzato dall'assenza di strutture pubbliche a carattere sociale e


con un tessuto urbano sfrangiato e caotico. Il Piano di Zona deve
servire a riqualificare l'area, creando una serie di infrastrutture a
livello di quartiere (mercato, scuole, ecc.) che comprendano
anche la chiesa.
Il contesto architettonico si presenta pertanto assolutamente
privo di qualità, e il lotto indicato dal bando “galleggia” nel nulla
circostante; ai progettisti scarseggiano inoltre elementi di riferi-
mento, individuabili soltanto nella spiaggia vicina e nella cinque-
centesca Tor S. Michele, che si staglia all'orizzonte verso il
A. Lapadula, M. Poggiolini, progetto per
Tevere. L'unico dato certo è che la densità edilizia, come indica-
un complesso parrocchiale a Ostia Lido, no le norme tecniche di attuazione del Piano di Zona, sarà molto
alta: intorno alla chiesa sorgeranno quindi costruzioni a carattere
plastico

intensivo, alte parecchi piani e con grosse volumetrie.


Il progetto di Lapadula e Poggiolini si articola su tre diversi livelli,
ai quali corrispondono altrettanti elaborati planimetrici: alla quota
d'ingresso si trovano l'aula assembleare e gli spazi a carattere pub-
blico, comprendenti gli uffici, le sale di riunione, la Confessione
Uomini, la sacrestia, gli ambienti per il Piccolo Clero e tutti gli altri
locali necessari per le attività religiose e assistenziali; al livello infe-
riore, oltre ai vani di servizio (centrale termica, rimessa auto, ecc.),
sono collocati un grande salone per le conferenze e i locali desti-
nati ai ragazzi, mentre il primo piano contiene gli ambienti “priva-
ti” con gli alloggi per il parroco e il viceparroco.
Nella sua proposta Attilio Lapadula ritorna a una delle sue idee
più ricorrenti, quella del cerchio come figura geometrica perfetta
e dal cui centro si irradiano, concentricamente, gli altri ambienti
di servizio. Già presente in altre sue realizzazioni, anche di edili-
zia religiosa (ad esempio nella chiesa che doveva far parte del
complesso dei Padri Scalabriniani), e forse in parte suggerita dai
mutamenti liturgici successivi al Concilio Vaticano II, tale forma,
immagine della sfera celeste e ricca di connotazioni simboliche e
religiose fin dall'antichità, contiene in se stessa una forza di attra-
zione centripeta che nel progetto in esame non viene negata dallo
spostamento della zona dell'altare nella zona più lontana dall'in-
gresso; la corona dei pilastri cilindrici a tutta altezza che sostengo-
no la copertura determina un diaframma permeabile ma che in
realtà si configura come un limite, mentre le panche, disposte
con una configurazione “a teatro”, avvolgono il settore destinato
all'altare ben oltre il suo diametro trasversale. Il cerchio dell'aula
assembleare è intersecato dall'abside, che sporge all'esterno per
circa due terzi della sua superficie, così come il battistero, e rima-
ne il più possibile isolato dai corpi esterni, ai quali si aggancia
attraverso l'inserimento di settori circolari che contengono alcuni
degli ambienti accessori.
In alzato il progetto gioca sul contrasto tra i volumi emergenti dal

76
Il Concorso per le nuove chiese di Roma

terreno: nel prospetto frontale si nota come il corpo d'ingresso


affiancato dai settori laterali funga quasi da basamento e fornisca
un senso di forte orizzontalità all'insieme, solo in parte bilanciato
dall'andamento verticale del campanile e dalla presenza dell'im-
ponente massa dell'aula delle assemblee. Il medesimo skyline si
osserva nel prospetto laterale, dove risulta evidente la curvatura
del tetto dell'aula, che è separato dalle pareti verticali dalla lama
di luce formata dalla superficie finestrata; quest'ultima corre
lungo l'intero perimetro della sala, illuminando l'interno in
maniera uniforme, mentre un oculum aperto sul tetto in corri-
spondenza dell'altare destina una luce particolare a questa zona.
Se come fatto compositivo contiene indubbiamente spunti molto A. Lapadula, M. Poggiolini, progetto per
un complesso parrocchiale a Ostia Lido,
interessanti, il progetto di Lapadula e Poggiolini mostra quale plastico

limite maggiore il mancato tentativo di dialogo con l'ambiente cir-


costante: forse è proprio questo uno dei motivi per i quali non
riceve alcun riconoscimento dalla Commissione Giudicatrice del
Concorso. La copertura ad arco di cerchio della sala assemblea-
re rotonda che fuoriesce dalla corona di ambienti sussidiari posti
“a corona” si impone infatti come fatto eccezionale dal punto di
vista visivo, ma non si uniforma al tessuto urbano né serve a qua-
lificarlo, e la chiesa potrebbe essere costruita a Ostia Lido così
come in altre zone della periferia romana.
Il progetto vincitore individua invece proprio nell'impossibilità di
fare “emergere” il corpo della chiesa rispetto ai futuri fabbricati
abitativi il suo fattore significante; con la loro ipotesi - realizzata
soltanto quindici anni più tardi - Berarducci, Monaco e Rinaldi
suggeriscono infatti un oggetto che si configura come “fatto pla-
stico” sviluppato in negativo rispetto alle volumetrie circostanti,
un edificio-piazza che entra in relazione con l'intorno e lo quali-
fica dal punto di vista formale e partecipativo. La medesima
attenzione per il contesto si ritrova d'altronde nei progetti che si
aggiudicano il primo premio in ciascuna delle aree individuate
dal bando: tutti e quattro rifiutano “sia una contrapposizione che
un aristocratico distacco dalla struttura urbana in cui sono immer-
si, per cercare nel colloquio con questa lo spunto qualificante
della sintesi formativa” (4).

Note:

(1) Conscia delle difficoltà rappresentate dai temi teologici e liturgici che dovranno affronta-
re, la Pontificia Opera, in sede di redazione del bando, prevede consulenze informative per
i concorrenti, tenute periodicamente da esperti in materia.

(2) S. Benedetti, Problemi della formatività architettonica del sacro, in Chiese Nuove in
Roma. 130 progetti di un concorso, Roma 1968, p. LVI.
(3) Idem.
(4) Idem.

77
Rimini bombardata, schizzo del 1945

78
L’URBANISTICA DI ATTILIO LAPADULA TRA DIDATTICA
E PROFESSIONE: EQUILIBRIO DI RICERCA E METODO
di Elisabetta Procida

Per Attilio Lapadula, nonostante l'indubbia importanza della sua


attività di architetto, la professione di urbanista non fu secondaria
né come quantità e rilevanza degli incarichi, né considerando i
riconoscimenti che ottenne. Anche limitandosi ad alcuni episodi
della sua carriera, attraverso i documenti di archivio e le testimo-
nianze, ne emerge un frammento significativo della storia dell'ur-
banistica italiana.
Fin da giovanissimo Attilio è attivo nello studio del fratello
Ernesto e quando, nel 1940, neolaureato, viene chiamato dal
prof. Plinio Marconi come Assistente Straordinario presso la cat-
tedra di Urbanistica, ha solo ventitre anni ma possiede già una
notevole esperienza professionale. Membro effettivo dell'Istituto
Nazionale di Urbanistica dal 1942, lavora in questo ambito per
oltre quaranta anni come progettista, ricercatore e docente.
Sono questi lunghi decenni di maturazione per la scienza urbani-
stica italiana, che ha sviluppi tardivi e lenti.
In Europa prima del secondo conflitto mondiale “la disciplina
urbanistica moderna era già formata, tecnicamente e giuridica-
mente. Le basi dell'operare erano già solidamente affermate, (…)
era sancita la necessità di estendere la pianificazione (...) al qua-
dro dell'intera regione economica e i piani regolatori urbani
erano visti in due fasi: quella generale e quella del piano partico-
lareggiato di esecuzione” (1). In Italia la prima Legge urbanistica
viene varata nel 1942 (2) e “poteva costituire la prima base per
un'ordinata ricostruzione e per l'impostazione di una pianificazio-
ne: la nuova legge consentiva (anzi impegnava) la visione organi-
ca del territorio e degli sviluppi urbani; (…) consentiva, insomma,
di affrontare la ricostruzione (…) quale mezzo per programmare
un mondo più moderno e produttivo” (3).
Nel dopoguerra, invece, fu scelta la Legge Ruini che, consenten-
do l'esplosione edilizia, rinunciò alla visione unitaria della pro-
grammazione sempre affermata dalla dottrina urbanistica. Venne
così a formarsi una “infinita congerie, vero labirinto, di dispositi-
vi legislativi settoriali, moltiplicando gli Enti autorizzati a fare
piani di settore, con sovrapposizioni e doppioni, con interferen-
ze di poteri, a fine di interessi speciali” (4). In questo difficile
panorama Lapadula fu attivo come progettista, ricercatore e inse-
gnante. Egli, dagli anni concitati della ricostruzione alla metà
degli Ottanta, accanto alla redazione di numerosi piani, per inca-
richi e concorsi, pubblica contributi scientifici e didattici su temi
di assoluta avanguardia, con argomentazioni che ancora oggi pre-
sentano aspetti di attualità.

79
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

Comprendere l'urbanistica: lo studio della storia

“L'epoca napoleonica rappresenta un ben delineato periodo nel-


l'ambito della storia dell'urbanistica, che segna il passaggio tra l'ur-
banistica classica e le idee essenzialmente pratiche che caratteriz-
zano il XIX secolo” (5). Questa è una delle ragioni che ha spin-
to Lapadula a compiere la lunga ricerca che si conclude nel 1969
con il volume Roma e la Regione nell'epoca napoleonica.
Contributo alla Storia dell'urbanistica della città e del territorio,
opera rimasta di fondamentale riferimento per la successiva ricer-
ca storiografica sul tema.
Nel 1958 pubblica i primi esiti del lavoro di ricerca condotto su
documenti originali conservati a Roma (6), anche con la sapiente
collaborazione del prof. Annibale Ilari. Si tratta del volume
Roma 1809 - 1814, contributo alla storia dell'urbanistica (7) e di
due articoli dedicati l'uno alla progettazione dello spazio intorno
alla Colonna Traiana, attraverso gli studi di Valadier e Camporesi
(8), l'altro alla vicenda legata alla Villa di Napoleone (9). In segui-
to, Lapadula prosegue la ricerca sulle fonti archivistiche, a Roma
e in Francia, ed estende l'area di studio, “comprendendo anche
l'ordinamento che venne dato al territorio” (10) e indagando l'o-
rigine di quelle due entità amministrative che saranno le regioni
Lazio ed Umbria. La stesura del 1969 occupandosi prima della
Regione e poi di Roma esprime un forte legame con l'attualità
poiché l'istituzione delle Regioni come enti locali e la definizione
Mappa del Lazio e dell’Umbria con i dipar-
timenti individuati in epoca napoleonica delle loro competenze alimentava il dibattito urbanistico italiano
di quegli anni.
Fin dalla prefazione, Lapadula chiarisce il valore strumentale
della ricerca storica che introduce, scrivendo: “Ho ritenuto
opportuno approfondire la trattazione [dell'ordinamento che
venne dato al territorio] (…) perché quanto venne realizzato in
quell'epoca può portare un contributo alla conoscenza di un pro-
blema estremamente attuale come quello della creazione di unità
territoriali” (11). Continua sottolineando la sua posizione: “Non
è possibile dubitare dell'importanza che così viene attribuita al
problema regionale dalla cui soluzione dipenderanno i futuri svi-
luppi della Pianificazione e quindi dell'Urbanistica. Pronunciarsi
su questo argomento con un giudizio preciso è, almeno nella
situazione attuale, molto difficile, se non impossibile, dato che
nulla oggi è più confuso. Per questo motivo, essendo interessati
al fenomeno, si è preferito portare con una ricerca un contributo
alla comprensione del problema, piuttosto che dare delle affer-
mazioni azzardate. Questo è lecito in quanto, per la sua intrinse-
ca complessità, è utile conoscere tutti gli elementi, anche relativa-
mente remoti, che lo compongono” (12). Dalla descrizione stori-
ca emergono altre riflessioni: “la maggiore difficoltà del problema

80
L’urbanistica di Attilio Lapadula tra didattica e professione:
equilibrio di ricerca e metodo

regionale sta nel vedere se la regione, nelle sue dimensioni e con


le caratteristiche che le sono proprie, sia in grado di assolvere
certe funzioni” (13). La questione resta aperta e ruota intorno alla
determinazione di criteri di riferimento atti a stabilire ambiti ter-
ritoriali adeguati al corretto funzionamento di una regione.
“È solo servendosi di studi che non siano limitati a statistiche
socio-economiche sulla situazione attuale, che sarà possibile tro-
vare una soluzione soddisfacente e uscire dalla superficialità con
la quale si procede. Ci si accorge oggi in Italia che noi stiamo
prendendo le regioni come ci sono state consegnate dalla tradi-
zione e dalla storia e le stiamo usando per la pianificazione” (14).
Dalla trattazione emerge la figura del conte Camillo de Tournon,
il Prefetto del Dipartimento di Roma che, oltre a realizzare a
Roma i ben noti lavori di abbellimento (15), ci ha lasciato una
vasta e documentata descrizione dell'intero territorio.
Scrive di lui Lapadula: «Senza pretenderlo egli dimostra di esse-
re un urbanista nel senso più vasto del termine e come tale non
accetta le divisioni politiche, che changent et s'oublient, ma sem-
bra dubitare che il Dipartimento possieda quelle unità che le
vicende storiche gli hanno dato. Sapendo che la sua estensione
era stata determinata (…) per motivi politici e di prestigio, (…) egli Pianta di Roma e della Diocesi omonima,
lo divide in unità che esulano dalle divisioni politiche. 1960

In queste, che chiama “bacini” e “vallate”, articola il suo discor-


so, (…) senza però dimenticare mai l'influenza esercitata da anti-
chissime tradizioni, per cui pur riconoscendo nella Campagna
romana un'unità, trova nel Tevere un elemento di divisione di
origine storico-geografica capace di determinare due aree diverse
che egli tratta separatamente» (16).
Tra i molti altri contributi di Lapadula sull'Urbanistica Romana,
ne vogliamo ricordare due per la loro singolarità. Nel 1960 ha
redatto La Pianta di Roma e della Diocesi omonima, pubblicata
tra le Piante di Roma, raccolte da Amato P. Frutaz per l'Istituto
di Studi romani nel 1962, che rappresenta i confini della Diocesi
di Roma; l'originale di questa riproduzione è conservato nell'ar-
chivio del Vicariato di Roma. Il secondo è un testo di commen-
to per una pianta di Roma (17) pubblicato in inglese nel volume
Comparative Urban Design, Rare Engravings, 1830 - 1848 (18),
del 1978. La carta, edita nel 1830 dall'americana Society of
Diffusion of Useful Knowledge, raffigura l'area interna alle mura
di Aureliano solo in parte occupata dal tessuto urbano e
Lapadula si sofferma a lungo sulla storia più antica della città cor-
redando il testo con uno schema planimetrico relativo all'epoca
romana.
Lapadula rimane, nel corso degli anni, un referente autorevole
anche nel campo della disciplina storica: ricordiamo che, nel
1980, è membro del comitato scientifico per la Mostra Da

81
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

Napoleone a Pio IX: la nascita di Roma moderna e, un anno più


tardi, fa parte della Commissione del Comune di Roma per l'as-
segnazione di dodici Borse di studio a laureati per ricerche sul
centro storico.
Numerose anche le sue partecipazioni a Commissioni, per nomi-
na sia del Ministero dei Lavori pubblici sia del Comune di Roma:
nel 1958 è nominato Membro della Consulta nazionale per
l'Edilizia scolastica e dal 1956 al 1968 fa parte della Commissione
urbanistica del Comune di Roma. Tra i documenti dell'archivio
si trovano le tracce di un evento curioso legato a questo ultimo
incarico. Si tratta della polemica lanciata da Antonio Cederna
sulla rivista Il Mondo contro le Commissioni Edilizia e
Urbanistica istituite nel 1956. Cederna confonde Attilio con
Ernesto e nella successiva rettifica, ignorando che era stato indi-
cato dall'INU per quell'incarico, scrive che comunque era “noto
unicamente per aver progettato un trampolino” (19). Cederna in
questo modo fornisce involontariamente un elemento di notevo-
le interesse sulla paternità del Kursaal.

Insegnare l'urbanistica: il metodo e l'attualità

“Nella sua vita di docente e di professionista Attilio Lapadula ha


sempre cercato di realizzare due condizioni a suo giudizio indi-
spensabili per la formazione dell'architetto: l'apporto che la ricer-
ca scientifica deve all'attività progettuale e il contributo che l'ope-
ratività diretta nella società e l'esperienza professionale possono
fornire alla riflessione scientifica. I suoi piani urbanistici, l'attività
pubblicistica, così come i corsi di lezioni per più di un ventennio,
sono sempre stati improntati ad una continua trasfusione di
nozioni e riflessioni da un campo all'altro così da realizzare una
ricerca ed un insegnamento aperti ai problemi più attuali dell'a-
zione urbanistica e una professione costantemente aggiornata”
(20). Questo profondo legame della sua attività di docente con la
ricerca e la pratica professionale è stato un fattore caratteristico e
determinante durante tutta la sua carriera didattica.
Infatti, per la progettazione urbanistica, Lapadula propone un'im-
postazione metodologica saldamente scientifica, sempre aggior-
nata e instancabilmente tesa verso il rinnovamento della pianifi-
cazione territoriale e, più in generale, dell'intero ambito discipli-
nare. La pianificazione paesistica, La pianificazione territoriale
delle aree metropolitane, Ecologia e Urbanistica, Geografia urba-
na, Problemi e metodologie di analisi e di intervento relativi alle
aree urbane, sono alcuni dei programmi da lui sviluppati nei corsi
di Urbanistica negli anni Sessanta e Settanta.
Sono gli anni in cui l'urbanistica italiana, tracciata con pennarelli
colorati su grandi tavoli, comincia a risentire delle maturazioni

82
L’urbanistica di Attilio Lapadula tra didattica e professione:
equilibrio di ricerca e metodo

disciplinari europee e le riflessioni di Lapadula, al di là dei temi


e delle problematiche, ruotano sempre intorno alla ricerca meto-
dologica, autentico fulcro della sua intera attività didattica.
Egli sottolinea in più occasioni che, volendo creare un buon pro-
gramma regionale di sviluppo economico, è di fondamentale
importanza che la pianificazione urbanistica rifletta un approccio
aperto e attento alle modificazioni sociali, economiche e del ter-
ritorio, ma anche agli sviluppi teorici e alle tendenze metodologi-
che della disciplina, che deve essere fondata su un'impostazione
teorica estesa a molti livelli, che definisce multidimensionale (21).
È il 1978 e Lapadula scrive che “bisogna pienamente tener conto
delle diverse dimensioni, specialmente quando la pianificazione
è intesa come mezzo per accelerare lo sviluppo economico e rag-
giungere obiettivi più elevati” (22).
Come oggi ben sappiamo, le diverse dimensioni dipendono dal-
l'ambito territoriale scelto e dai rapporti con la pianificazione ad
altre scale (regionale, aree urbane, nazionale, ecc), dalle attività
economiche (produzione industriale, risorse, presenze, investi-
menti, ecc.), dall'insieme delle strutture legislative e politiche esi-
stenti, dalla struttura e dai caratteri dell'ambiente. Lapadula spe-
cifica che “una corretta pianificazione deve tener conto di tutte
queste dimensioni ma questo non è possibile senza un continuo
sviluppo dei modelli e degli strumenti analitici” (23), ovvero stu-
diando e comprendendo, se non applicando, le teorie, i metodi
e gli strumenti che, sempre più numerosi, si andavano sviluppan-
do in ambito internazionale.
Per rendere pienamente comprensibile agli allievi la sua inedita
proposta analitica e metodologica Lapadula si dedica generosa-
mente alla compilazione di strumenti didattici appositamente ela-
borati (24). In pochi anni, mette a punto un corredo completo di
dispense per gli studenti composto da schemi metodologici, testi
di sintesi con corposi riferimenti bibliografici, documentazione
cartografica, rilevazioni demografiche, ecc. (25).
Tra il 1973 e il 1978, nella collana dei Quaderni dell'Istituto di
Urbanistica, vengono pubblicati cinque fascicoli metodologici.
Concetto centrale è che la metodologia non è unica e definitiva
ma che si modifica nel tempo. “È chiaro infatti che la pianifica-
zione urbana e regionale non può essere concepita in senso stati-
co ma deve seguire (...) l'evolversi della realtà, mettendo in luce
l'esigenza di aumentare il grado di dinamicità e scientificità della
tecnica urbanistica” (26). Inoltre egli invita a “considerare l'urba-
nistica come uno strumento di servizio alla popolazione e come
espressione delle forze sociali che possono volere l'attuazione
delle scelte di piano e garantire il controllo democratico della
loro realizzazione nel tempo” (27).
Dal 1969 Lapadula compie regolarmente viaggi di studio in

83
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

Europa durante i quali raccoglie direttamente da colleghi e istitu-


zioni le informazioni che vengono organizzate in dispense didat-
tiche. Pubblica sei volumi nella Collana Selezione Urbanistica: i
primi cinque riguardano realizzazioni recenti in Gran Bretagna e
descrivono gli sviluppi urbanistici tra il 1943 e il 1962, compresa
la documentazione legislativa e amministrativa. Oltre alle schede
dettagliate delle 24 new Towns vi troviamo approfonditi studi sul
traffico e sulla pianificazione dei tracciati. Tra essi, il quarto è
interamente dedicato al tempo libero, un aspetto sociale all'epo-
ca di assoluta novità (28). Il sesto volume è invece sull'Olanda e
presenta una realtà in cui la progettazione dello schema della
struttura spaziale viene inteso come strumento politico e dove l'a-
nalisi delle sue conseguenze è compiuta in modo sistematico, sot-
tolineando l'efficacia di una politica di gestione territoriale accu-
ratamente studiata (29).
Partecipe degli avvenimenti internazionali (30), Attilio Lapadula
è tra i primi docenti a valutare l'importanza dell'emergente pro-
blematica ambientale e, nell'anno accademico 1971-72, inserisce
nel suo Corso di Urbanistica II un seminario su Ecologia e
Urbanistica affidato al prof. Valerio Romani (31).
Anche nel corso della sua carriera didattica Lapadula rimane
PRG di Rimini, la sistemazione dell’area
del Tempio Malatestiano
coinvolto in un evento di una certa risonanza nelle cronache. Nel
1970 viene denunciato, insieme ad altri dieci docenti democrati-
ci, per presunte irregolarità nel corso di esami di laurea. Cinque
anni dopo il procedimento giunge alla sentenza che stabilisce l'an-
nullamento di quattro lauree e la condanna dei professori.
Immediata la reazione dei colleghi degli atenei di tutta Italia: con-
sapevoli che tale episodio aveva avuto origine da contrapposizio-
ni ideologiche, essi si oppongono alla sospensione degli inse-
gnanti condannati, e la impediscono minacciando il blocco delle
università.

PRG di Rimini, il lungomare Praticare l'urbanistica: la professione e l'impegno

Dal 1945 Lapadula stila numerosi PRG e Programmi di fabbrica-


zione in cui sperimenta le teorie che insegna all'università e rive-
la definitivamente il ruolo centrale che affida al lato umano e
sociale dell'urbanistica. A titolo di esempio: nel 1955, nella
Premessa al PRG per il Comune di Tolmezzo scrive che il pro-
getto di sistemazione vuole realizzare sia “le migliori condizioni
di vita per i singoli e la comunità”, sia “una forma e una fisiono-
mia cittadina che rispondano alla natura dei luoghi, alle sane ten-
denze della popolazione e alle esigenze funzionali della città nel
quadro del suo naturale sviluppo demografico ed economico”.
PRG di Rimini, il porto canale
Tra i tanti incarichi probabilmente il più significativo e importan-
te è quello per il comune di Rimini, che, secondo solo a Cassino

84
L’urbanistica di Attilio Lapadula tra didattica e professione:
equilibrio di ricerca e metodo

nel triste primato delle distruzioni belliche (32), dal marzo 1945
è inserito nella lista dei comuni cui viene fatto obbligo di dotarsi
di un Piano di ricostruzione. Il piano regolatore generale, compi-
lato da Attilio insieme al fratello Ernesto e altri (33) e con la con-
sulenza di Plinio Marconi, viene consegnato, con il Piano di
Ricostruzione, il 9 settembre 1945. Il 6 giugno dell'anno succes-
sivo il Comune delibera l'adozione di quest'ultimo ma nell'agosto
seguente accantona definitivamente il PRG. La lettura della
Relazione Tecnica, ampia e dettagliata, è molto interessante,
quasi appassionante, e tra gli elementi di studio preliminare (34) Borgata Cerro, foto del plastico

troviamo la sintesi dei danni al patrimonio e la descrizione della


situazione edilizia determinata dagli eventi bellici.
Le vicende della cosiddetta Urbanistica rurale (35) sono un capi-
tolo assai particolare nel panorama nazionale.
“Tra il 1928 e il 1940 i numerosi processi di bonifica più o meno
avviati, vengono coordinati in un piano generale nazionale redat-
to da Arrigo Serpieri, in cui si prevede la realizzazione di dodici
città nuove e di moltissimi borghi rurali in diverse regioni” (36).
Variabilissime vicissitudini politiche ed economiche si intreccia-
no nel tempo coinvolgendo decine di progettisti in un infinità di
iniziative. Nel Dopoguerra anche Lapadula progetta due borghi
rurali in Puglia e in Campania. Nel 1952, viene incaricato del
progetto per la costruzione della Borgata Cerro, in Agro di
Apricena, provincia di Foggia. Due le caratteristiche principali
della borgata, destinata ad accogliere 3000-3500 abitanti, in gran
parte assegnatari dei poderi: una netta prevalenza dei servizi pub-
blici sulle case di abitazione e una notevole attenzione per la rete
viaria, pensata in funzione di uno sviluppo anche rapido del
borgo. Leggiamo nella Relazione (37): “Si è voluto conferire alla
borgata una certa flessibilità che nell'attuale sistemazione possa
lasciare impregiudicato l'avvenire”.
Interessante, nella sua semplicità, la disposizione dell'impianto Borgata S. Cesario, foto del plastico

urbanistico: sulla piazza principale, in corrispondenza dell'incro-


cio tra le strade poderale e comunale, sono disposti gli edifici
principali necessari alla vita associata, culturale ed economica, dei
contadini e degli abitanti della borgata (38), e anche una piazza
più piccola poco lontano, a vocazione commerciale, orientata a
nord e riparata da alberi e da un porticato. Le foto del plastico
mostrano come tutto il resto del borgo si sviluppa intorno a que-
sto nucleo (39). Nel 1955 Lapadula progetta il borgo residenzia-
le “S. Cesario” in località Albanella, su commissione della
Sezione Speciale per la Riforma Fondiaria in Campania
dell'Opera Nazionale per i Combattenti (40).
Attilio partecipa a numerosi concorsi nazionali e internazionali:
nel 1942 riceve il primo premio, con il fratello Ernesto, per la Borgata S. Cesario,
Sistemazione urbanistica e architettonica della Città universitaria prospettiva della chiesa

85
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

di Bratislava e nel 1951 per quella dell'Ente Fiera ed Esposizioni


di Catania. Il progetto per Bratislava riceve anche un premio spe-
ciale per la presentazione, in cui le dettagliate vedute prospettiche
e le molte foto del plastico si affiancano agli studi per gli edifici
che, sebbene si tratti di un progetto di massima, sono chiaramen-
te caratterizzati (41): le esigenze monumentali e simboliche del
tema vengono risolte con vigorosa modernità, arricchita da accen-
ti romantici e da una robusta chiarezza classica.
Il progetto è attento agli effetti panoramici e la sua composizione
assume ritmi e cadenze diversi sia per armonizzarsi alla configu-
razione del terreno, creando rapporti tra i singoli edifici, sia per
consentire l'integrazione del nuovo organismo nel tessuto preesi-
stente.

Attilio Lapadula muore il 26 marzo 1981, ancora impegnato in


due diverse, interessanti, ricerche: Verifica del ruolo dell'univer-
sità nel territorio, finanziata dal CNR nel 1979, di cui era
Direttore, e I ceti medi a Roma: mutamenti e tendenze nei valo-
ri e modelli di comportamento in rapporto alle trasformazioni
strutturali nell'ultimo cinquantennio, finanziata dall'Università di
Roma nel 1980, un progetto sviluppato con docenti delle Facoltà
di Scienze Statistiche e di Magistero per cui era responsabile della
sezione di Urbanistica.
Dalla lettura complessiva degli scritti e dei progetti in campo ter-
ritoriale, emerge come per Lapadula fosse “chiaro che
Urbanistica significa un programma per creare un domani: signi-
fica, soprattutto, operare delle scelte per un domani” (42).
Convinto che una corretta pianificazione, così come la metodolo-
gia da cui prende origine, debba essere costantemente capace di
rinnovarsi, sempre al passo con i tempi e con le mutazioni eco-
nomiche, ambientali e sociali del territorio, Lapadula ha svolto la
sua intera attività professionale in costante osmosi con un’inces-
sante ricerca sui metodi e con vasti e approfonditi studi sull'urba-
nistica europea, tutte esperienze che traevano spunto e trovavano
sbocco in un'intensa e appassionata attività didattica; la sua pro-
posta metodologica può essere sintetizzata in una visione dinami-
ca della pianificazione territoriale, intesa come un inesauribile
processo ciclico. Attilio Lapadula, per stabilire le giuste coordina-
te per la sua attività professionale e didattica, non ha mai smesso
di indagare e approfondire, sperimentando e trasmettendo
modelli e metodi sempre all'avanguardia.

86
L’urbanistica di Attilio Lapadula tra didattica e professione:
equilibrio di ricerca e metodo

Veduta a volo d’uccello della Città universitaria di Bratislava, 1942

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Attilio Lapadula - Architetture a Roma

Note: (18) Melville C. Branch, Comparative Urban Design,


Rare Engravings, 1830-1848, Arno Press and University
(1) L. Piccinato, Venti anni di Urbanistica, in F. of Southern Califirnia Press, 1978.
Malusardi, Luigi Piccinato e l'urbanistica moderna, Roma
1993, p. 256. Attilio Lapadula fu assistente del prof. Luigi (19) A. Cederna, La marcia su Roma, in Il Mondo 16
Piccinato e poi del prof. Gabriele Scimemi, prima di esse- ottobre e 23 ottobre 1956.
re titolare del corso di Urbanistica 2 presso la Facoltà di
Architettura di Roma. (20) C. Nucci, Attilio Lapadula, in Annuario per l'Anno
Accademico 1981-82, Università degli Studi di Roma, pp.
(2) La legge n. 1.150 del 7 agosto 1942 sostituisce l'unica 1197-1199.
legge allora competente in materia urbanistica, la “Legge
di esproprio per pubblica utilità” datata 1865, nella quale (21) A. Lapadula, Presentazione, in C. Lefebvre,
i piani si configuravano come piani particolareggiati di Elementi della pianificazione regionale, Quaderno
“ampliamento”. Da L. Piccinato, Venti anni di Urbani- dell'Istituto di Urbanistica della Facoltà di Architettura di
stica, in F. Malusardi, Territorio e pianificazione. Espe- Roma, n. 10, 1978, p. 7.
rienze di ricerca e di formazione, Roma 1978, p. 257.
(22) Ibid.
(3) Ivi, p. 258.
(23) Ivi, p. 8.
(4) Ivi, p. 259.
(24) Se ne occupava personalmente o venivano messi a
(5) A. Lapadula, Roma e la Regione nell'epoca napoleoni- punto dai suoi collaboratori, in particolare Carlo Lefebvre
ca. Contributo alla Storia dell'urbanistica della città e del e Bruno Filippo Lapadula.
territorio, Roma 1969, p. 84.
(25) Nell'Anno Accademico 1965-66 riceve dall'Uni-
(6) La ricerca venne condotta presso l'Archivio di Stato di versità un “Premio di Operosità Scientifica”.
Roma, l'Archivio del Museo di Roma, l'Archivio della
Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte di Palazzo (26) A. Lapadula, Appunti metodologici. Schema meto-
Venezia e l'Archivio dell'Accademia Nazionale di S. Luca. dologico per un approccio sistemico alla pianificazione,
Quaderno n. 5 dell'Istituto di Urbanistica della Facoltà di
(7) A. Lapadula, Roma 1809 - 1814, Contributo alla sto- Architettura di Roma, Bulzoni editore, 1978, p. 8.
ria dell'urbanistica, Roma 1958.
(27) Ivi, p. 149.
(8) A. Lapadula, Lavori francesi di abbellimento a Roma
(1809 - 1814), La Chiesa del Nome di Maria e la Piazza (28) Tra essi, il terzo volume, dal titolo Strade nelle aree
della Colonna Traiana, in Fede e Arte, rivista internazio- urbane, è uno studio molto approfondito del traffico e dei
nale di arte sacra, n. 12, dicembre 1958. veicoli, con aspetti tecnico-manualistici e l'evidenziazione
dei fattori che intervengono ad influenzare la pianificazio-
(9) A. Lapadula, La villa Napoleone a Roma, in Archivi n. ne dei tracciati; il quarto volume affronta gli aspetti e i
4, a. XXV, 1958. significati da imprimere alle attività legate al tempo libero
e alla loro ricaduta sul territorio, traendo spunto dall'ana-
(10) A. Lapadula, Roma e la Regione, cit., p. 9. lisi del Parco regionale della Valle del Lea, e presentando
altri studi sul nuovo fenomeno.
(11) Ibid.
(29) Nella seconda parte riporta una sintesi del Secondo
(12) Ivi, p. 13. rapporto sulla sistemazione del territorio illustrato da
schemi della futura urbanizzazione in cui vengono chiari-
(13) Ibid. te questioni riguardanti la circolazione e l'ambiente natu-
rale.
(14) Ivi, p. 14.
(30) Nel 1972, su proposta della Delegazione italiana, è
(15) Ai lavori compiuti e ai progetti non realizzati per la accolto nell' Association Internationale des Urbanistes
città A. Lapadula dedica la seconda parte del libro. (International Society of City and Regional Planners),
come Membro Associato.
(16) A. Lapadula, Roma e la Regione, cit., p. 15.
(31) Valerio Romani, Ecologia e Urbanistica, Corso di
(17) Si tratta esattamente della “Plan of Modern Rome” Urbanistica II, A.A. 1971-72.
redatta da W. B. Clarcke, nel 1830.

88
L’urbanistica di Attilio Lapadula tra didattica e professione:
equilibrio di ricerca e metodo

(32) Fu stimato che solo il 2 % degli edifici di Rimini rima- modo parallela alla comunale, sono previste le abitazioni
se illeso dopo i 308 bombardamenti subiti tra novembre per le famiglie degli addetti ai sevizi della borgata, per un
1943 e settembre 1944 e, a causa dello stanziamento delle complesso di sedici alloggi. Lungo un'altra arteria interna
truppe di occupazione, vi furono perdite economiche più stretta e appartata, in una zona da destinare a parco
enormi: distruzione del patrimonio e delle fonti produtti- pubblico, sono disposti gli edifici scolastici, elementare e
ve, industriali, agricole e zootecniche, oltre che delle infra- asilo, e l'ambulatorio medico. Il campo da gioco è previ-
strutture. sto dietro l'edificio della chiesa e quelli per le bocce nel
giardino dell'edificio dell'Enal, riparati dal sole. Al fine di
(33) E. Karanauscas, N. Zani, U. Maschietto. contenere i costi di impianto e manutenzione, le zone da
alberare risultano concentrate nella piazzetta davanti ai
(34) Che comprendevano: topografia, condizioni geologi- negozi e nello spiazzo tra il centro sociale e gli edifici sco-
che, climatologiche e metereologiche del territorio comu- lastici.
nale, origini e sviluppo dell'abitato comunale.
(40) “L'ONC coprì dal 1918, anno della sua reale fonda-
(35) Questa definizione è da sempre molto discussa e mai zione, al 1943 un ruolo decisamente superiore a quello
accettata da alcuni critici, per esempio Bruno Zevi. dello stesso ministero dei lavori pubblici, e la sua articola-
zione sul territorio fu tale, per peso economico, sociale e
(36) L. Bertolaccini, Segezia e le altre città di fondazione politico, da rappresentare per tutto questo arco di tempo
in Puglia in epoca fascista, reperibile in internet: www.sto il nucleo centrale, il riferimento costante di alcuni ministe-
riaurbana.it/biennale/Relazioni/B20_Bertolaccini.doc ri: quello degli interni, delle migrazioni e colonizzazione
interna, delle opere pubbliche, dell'agricoltura, oltre che
(37) A. Lapadula, Relazione al Progetto per la costruzio- un tessuto di molteplici legali unidirezionali con altrettan-
ne della Borgata Cerra in Agro di Apricena (FG), 1952, ti sottosegretariati, alle bonifiche, alla finanza, al tesoro,
dattiloscritto conservato in archivio. ecc. R. Mariani, Fascismo e “città nuove”, Milano 1976, p.
17.
(38) Questi edifici sono: la chiesa con la canonica, il cine-
ma, la sede dell'Enal, la locanda e l'osteria-bar, i negozi, (41) G. Roisecco, Concorso per la sistemazione urbanisti-
l'ufficio postale, gli uffici del comune e dell'ente, la caser- ca e architettonica della città universitaria di Bratislava, in
ma dei Carabinieri. Architettura, Gennaio 1943 (annata XXII).

(39) Lungo la strada poderale, con numerosi lotti di (42) L. Piccinato. Il momento urbanistico in Italia, 1970,
recente assegnazione, sono previste cinque case con in F. Malusardi, op. cit., p. 262.
annesso laboratorio artigiano. Sulla strada interna, grosso-

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UN ESEMPIO DI INTERVENTO SU UN’ARCHITETTURA
DI ATTILIO LAPADULA: L’EDIFICIO RESIDENZIALE IN
VIA DELLE FORNACI
di Silvia Boscolo
Il fabbricato oggetto dell'intervento di recupero, per la cui analisi
critica rimandiamo al capitolo sulle residenze private romane,
nonostante fosse stato terminato soltanto da circa 25 anni presen-
tava le superfici esterne in avanzato stato di degrado. Le infiltra-
zioni d'acqua, principale causa del fenomeno, avevano intaccato
la pellicola pittorica superficiale, rovinando, in alcune zone,
anche l'intonaco sottostante; inoltre, dove provenivano dalle
coperture a terrazza, andavano a compromettere la vivibilità di
alcuni ambienti abitativi.
Prima di intervenire sul manufatto si sono potuti fortunatamente
consultare gli elaborati grafici originali; in questo modo è stato
possibile rispettare quelle caratteristiche primitive che rendono
l'edificio così straordinario dal punto di vista delle soluzioni com-
positive adottate (1).
Lo stabile ha una planimetria estremamente articolata, alla quale
corrisponde un complesso movimento di volumi, basato sull'al-
ternanza di corpi emergenti o posti in negativo rispetto alla sago-
ma dell'ingombro a terra, nonché dalla presenza di frangisole in
cemento armato di colore grigio scuro, la cui conformazione a
setti orizzontali determina un sottile e intrigante gioco di chiaro- Particolare della facciata prima dei lavori
scuri sulle facciate, che sono trattate con intonaco di colore bian-
co. Un'altra peculiarità del progetto, non visibile dall'esterno ma
che ha determinato alcune lavorazioni, inizialmente non previste,
in corso d'opera, è la struttura portante, caratterizzata da pilastri
rotondi svincolati dallo sviluppo degli ambienti interni e che, in
qualche caso, vanno ad interferire con le perimetrazioni verticali.
Prima dell'intervento le superfici delle facciate, come ricordato,
versavano in una situazione di notevole degrado, mentre i frangi-
sole, che risultavano corrosi in più punti, erano quasi privi di
copriferro o mostravano i ferri di armatura scoperti. Anche i
grandi vasi in cemento, la cui semplice sagoma prismatica risulta
così coerente con l'immagine complessiva del fabbricato, erano
quasi tutti spaccati o risultavano comunque gravemente lesionati.
Un problema notevole era inoltre rappresentato dal pessimo
stato delle copertine in metallo dei parapetti, quasi del tutto
arrugginite, e che, a causa di un difetto di realizzazione, non
erano idonee a svolgere adeguatamente la propria funzione di
gocciolatoio.
Grazie all'interesse e alla grande sensibilità dimostrata dai
Condomini, si è deciso, apportando significative varianti a un
capitolato lavori preesistente, di svolgere il lavoro in maniera tale
da garantire la sua perfetta riuscita sul piano funzionale, ma, nello L’intervento sui frangisole

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Attilio Lapadula - Architetture a Roma

stesso tempo, prestando un'attenzione particolare alla salvaguar-


dia della sua immagine originaria attraverso la conservazione
degli elementi primitivi. Tutto ciò non comportava maggiori
oneri, a testimonianza di come, considerando tutte le possibili
soluzioni tecniche, si possa eseguire un restauro di un edificio di
civile abitazione “moderno” che sia rispettoso delle sue caratteri-
stiche architettoniche, senza per questo dover sostenere necessa-
riamente un aumento dei costi. Un altro merito dei proprietari
dell'edificio è stato quello di selezionare, tra le offerte presentate
per l'esecuzione dei lavori, quella di una ditta che garantisse una
Particolare di un balcone prima dei lavori comprovata esperienza nel campo del restauro e consolidamen-
to di edifici anche storici, senza perseguire solamente il fine di un
mero risparmio economico.
Nel corso dell'analisi preliminare è stata verificata la corrispon-
denza degli elaborati grafici originali con la realizzazione dell'edi-
ficio. È stato così notato come alcuni particolari costruttivi, visiva-
mente minori ma essenziali per la conservazione dell'immagine
concepita dal progettista, fossero stati modificati; tra questi, in
particolare, le copertine metalliche dei parapetti, che, originaria-
mente concepite in estruso di alluminio verniciato bianco con
gocciolatoi su entrambi i lati, erano state invece realizzate in
lamiera di ferro, priva di questi elementi essenziali per l'allonta-
namento dell'acqua dalle superfici verticali. La carenza di manu-
tenzione ne aveva inoltre determinato l'arrugginimento, limitan-
done ancora di più la già precaria funzionalità. Per ovviare a tale
problematica senza operare demolizioni traumatiche, si è provve-
duto a ricoprire i coprimuro in metallo - opportunamente tratta-
ti con vernice antiruggine - con un elemento in alluminio verni-
ciato a fuoco (di colore bianco come originariamente progettato)
e sagomato in modo da formare lateralmente i gocciolatoi neces-
sari per favorire l'allontanamento dell'acqua dalle pareti.
Le facciate erano state tinteggiate, all'epoca della costruzione, con
quarzo plastico di colore bianco. Questo tipo di lavorazione, all'e-
poca molto diffuso, tende a formare una pellicola impermeabile
sulle superfici trattate: in presenza di lesioni superficiali o di infil-
trazioni d'acqua, tale pellicola si stacca facilmente dal supporto,
determinando grosse lacune sulle pareti, che, con l'andar del
tempo e con il progredire delle infiltrazioni, tendono a peggiora-
re. Durante l'intervento il quarzo è stato completamente elimina-
to e sostituito con tinte ai silossanici, le quali, oltre a garantire la
La facciata prima dell’intervento
protezione delle superfici, ne permettono la traspirazione. È stato
altresì ripristinato il colore bianco originario, che appariva offu-
scato dalle scolature e dalle muffe nere presenti sulle superfici
inumidite.
Un altro grosso problema era rappresentato dagli elementi fran-
gisole in cemento a faccia vista. Questo sistema, che ha caratteriz-

92
Un esempio di intervento su un’architettura di Attilio Lapadula

93
Attilio Lapadula - Architetture a Roma

zato molti edifici dell'epoca, forse non era stato allora sufficiente-
mente collaudato per conoscerne i limiti; attualmente sappiamo
infatti come gli elementi in cemento, se non adeguatamente pro-
tetti dagli agenti atmosferici, tendano a degradarsi in breve tempo
per l'azione dell'acqua, che, arrugginendo i ferri di armatura,
porta al rigonfiamento degli stessi provocando lesioni nel mate-
riale cementizio e il distacco delle superfici copriferro. Un pro-