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MAURIZIO MURA ASPETTI DEL PIANISMO DI CLAUDE DEBUSSY

SI FA PRESENTE CHE LA BOZZA DEL PRESENTE TESTO, IN DIVERSO TIPO DI STESURA E' DEPOSITATA IN SIAE E
PERTANTO NON é' CONSENTITA LA DIFFUSIONE DEL PRESENTE TESTO, RISERVATO ALL'USO PERSONALE PER LO
STUDIO

Testi di riferimento bibliografico:

Edward Lockspeiser, Debussy, Rusconi, 1983

Nicholas Ruwet, Nota sulle duplicazioni nell'opera di Debussy, in "Revue Belge de Musicologie", 16, 1962

Carlo Migliaccio, Debussy, Mursia 1997

William Austin, Prelude to "The afternoon of a Faun", Criticism and analysis, Norton & Company, New York and
London 1970)

Teresa Chirico, Gli “Studi di Debussy”, in NRMI, Torino ERI, RAI 1985

Il Simbolismo e l'Impressionismo

La base estetica della musica di Debussy è il simbolismo; se in generale è difficile stabilire un preciso rapporto fra la
musica e le altre arti o discipline, nel caso del compositore francese il rapporti fra le sue composizioni e i concetti
impliciti nella poesia e letteratura (nonché nella pittura) del suo tempo deve considerarsi imprescindibile, dal
momento che il rapporto con il simbolismo è direttamente presente nelle esperienze biografiche di Debussy, viste le
sue conoscenze personali e le sue frequentazioni, soprattutto negli anni fra il 1890 e il 1894, di poeti simbolisti
(Stephane Mallarmé, Paul Valery, Pierre Louys) conosciuti nelle riunioni dei famosi "Martedì" in casa Mallarmé.

Il Simbolismo fu un movimento poetico-letterario che si sviluppò in Francia intorno agli anni '80; la poetica simbolista
si può dire prenda spunto dalla seguente poesia di Charles Baudelaire (1821-1867) tratta dalla raccolta "I fiori del
male" (1857):

CORRISPONDENZE

la natura è un tempio dove viventi colonne

emettono a volte confuse parole....

L'uomo le attraversa tra foreste di simboli dagli occhi familiari.....

I profumi, i colori e i suoni si rispondono come lunghi echi.....

che di lontano si confondono in una unità profonda e temebrosa,

vasta dome la notte ed il chiarore

Secondo la poetica simbolista, Il simbolo è un'immagine che nasce spontaneamente nel poeta come elemento di
interpretazione della vita spirituale e fisica, immagine ambigua perché legata alla sensibilità inconscia; i sentimenti del
poeta sono espressi non in uno spazio e in un tempo precisi, ma in un 'medium' indefinito legato, appunto,
all'inconscio. L'inconscio stesso si rivela spesso nel sogno, quindi il sogno è il tramite col quale si giunge alla
conoscenza di ciò che è dietro la facciata del reale (tali idee anticipano la psicanalisi di Sigmund Freud-vissuto fra il
1856 e il 1939: il suo più importante studio, l'interpretazione dei sogni, fu pubblicato nel 1900).

Affine al simbolismo ma prettamente legato alla pittura fu l'Impressionismo, che si sviluppò dal 1867 al 1880
(principali protagonisti Claude Monet e Paul Cezanne). La pittura impressionista si basa su uno studio del paesaggio e
delle luce vissute nelle impressioni soggettive dell'artista, come in un momento deteminato, un 'attimo fuggente' ,
dove si suggerisce una sensazione più che esprimerla chiaramente. Bisogna tenere presente, tuttavia, che l'etichetta di
'impressionista' spesso, all'epoca, ebbe un significato negativo, e poteva indicare un tipo di arte vaga , impalpabile e
priva di fondamento; anche per questo Debussy respinse l'etichetta di musicista 'impressionista' dal momento che il
fine ultimo che si proponeva era quello di esprimere la realtà e ad un livello più profondo possibile.Una buona parte
della musica di Debussy è legata alle esigenze estetiche simbolistico-impressionistiche appena descritte, nel senso che
si propone di creare, a livello musicale, suggestioni analoghe a quelle proposte da questo movimento poetico-pittorico

Aspetti stilistici emergenti di Debussy: melodia, armonia, ritmo, timbro e forma

Nella fase della piena maturità (orientativamente a partire dal "Prélude à l'apres-midi d'un faune" del 1893-94) la
musica di Debussy propone alcuni aspetti stilistici peculiari del compositore francese e che schematicamente possono
essere descritti secondo i parametri della melodia, dell'armonia, del ritmo, del timbro e della forma.

ASPETTI MELODICI

- a fianco alle classiche scale maggiori e minori, uso di scale diverse dalle tradizionali, eptacordali ma con diversa
disposizione di toni e semitoni, tipo modi gregoriani, oppure scale pentatoniche, pentacordali o per toni interi.

-se la funzione iniziale della melodia in Debussy è, tradizionalmente, quella dell'effusione lirica o sentimentale, nella
maturazione stilistica definitiva la melodia viene corrosa al suo interno, depauperata di consistenza espressiva: tipico è
il cosiddetto 'geotropismo melodico' (così detto dal musicologo Vladimir Jankeleviç), che consiste in una tendenza a
partire con uno slancio verso l'acuto ed a scendere verso il basso con cromatismi; altra possibilità: le melodie sono
interrotte con tagli improvvisi o rese asimmetriche o solo accennate. Non mancano ampie melodie, ma si tratta di
curve flessibili o arabeschi chiusi in se stessi e privi di vitalità espressiva

- Tipica della costruzione melodica debussyana è la duplicazione (cfr. Ruwet, , op.cit.), cioè la ripetizione immediata di
un inciso, di una battuta o di una frase. Questo procedimento sembra un facile espediente di prolungamento del
discorso melodico, ma in effetti nella musica di Debussy assume un significato estremamente problematico, perché il
compositore francese crea una notevole varietà di duplicazioni, dal momento che le ripetizioni sono collocate con
estrema libertà in vari momenti delle composizioni: all'inizio, con valore espositivo, al centro, con significato di
sviluppo o in un crescendo, verso la fine con carattere di coda; la duplicazione può essere identica o comportare delle
piccole varianti, che spossono fungere da fattore connettivo con la frase seguente. Si può instaurare una interessante
dialettica fra il ripetuto e il non ripetuto e si può proporre una combinazione fra duplicazioni e imitazioni (cioè
ripetizioni su credi diversi degli stessi modelli ritmico-melodici). ma la cosa fondamentale è che la duplicazione è
inserita in un contesto di quasi costanti asimmetrie nella costruzione della frase e spesso determina tali asimmetrie:
ad es. una frase di 4 battute con una battuta ripetuta diventa una frase di 5 battute. La duplicazione è uno dei mezzi
con i quali Debussy supera il concetto classico di sviluppo tematico.

ASPETTI ARMONICI

- tipica del Debussy della piena maturità artistica è l'armonia 'non funzionale', nella quale vengono accostati accordi
per il loro valore coloristico in sé e non per le regole classiche del legame armonico: sono il moto melodico o l'esigenza
timbrica a determinare spesso le scelte armoniche
- gli accordi 'defunzionalizzati', cioè liberamente accostati fra di loro per il semplice valore timbrico, sono sia quelli
perfetti che quelli dissonanti, come quelli di nona, o settima diminuita o gli urti di seconda (che Debussy è fra i primi a
sperimentare nella loro valenza 'rumoristica');

- l' uso di accordi dissonanti non risolti produce un senso di incertezza tonale o (come dice Jankeleviç) di
'sradicamento'

- Anche nei casi nei quali Debussy risulta più vicino ai procedimenti armonici tradizionali , la sua armonia è
caratterizzata da una serie di passaggi armonici assolutamente liberi e diversi da quelli tradizionali, dove la cadenza
perfetta è piuttosto marginale o occasionale, essendo per lo più collocata nelle conclusioni delle composizioni, ma
poco o per nulla nelle sezioni iniziali o centrali; alla combinazione tonica-dominante Debussy preferisce altri tipi di
relazione, fra le quali quelle di terza

- tipiche delle fasi dell'estrema maturità creativa debussyana sono le sovrapposizioni accordali politonali o
polimodali

ASPETTI RITMICI

- superamento della tradizionale rigidità della scansione ritmica attraverso la libera alternanza di tempi binari e
ternari

- commistioni fra duine e terzine, cioè di un tempo binario in una suddivisione ternaria (la cosiddetta 'emiola' o
'emiolia')

- uso di ritmi asimmetrici, frequenti passaggi polimetrici e poliritmici

- asimmetrie determinate da pause inattese o dalla costruzione asimmetrica della frase

ASPETTI TIMBRICI

- uso di un'orchestrazione volta a creare sfumature dei contorni melodici ed effetti di suggestioni sonore particolari e
rarefatte; di qui:

- scomposizione dell'impalcatura orchestrale tradizionale e ricorso a combinazioni inconsuete:

- scissione delle famiglie dell'orchestra attraverso particolari e delicati impasti timbrici fra strumenti bassi , acuti e
medi delle tre famiglie (archi, legni ed ottoni)

- separazione dei violoncelli dai contrabbassi

- evidenziazione dei timbri puri solisti, in modo particolare dei legni, ma nuova sonorità data anche agli ottoni, con i
corni usati spesso in piano o pianissimo per creare effetti di risonanza lontana

-creazione di zone timbriche all'acuto, con divisione dei violini, uso di armonici, di tremoli in pianissimo, inserimento di
arpe, celesta, o strumenti a percussione a suono indeterminato, come il triangolo o il cimbalom; timpano usato in
piano o pianissimo per effetti evocativi di suoni lontani

- uso molto selettivo delle percussioni, nel quale vengono di volta in volta evidenziati particolari strumenti (triangolo,
cimbali antichi, timpano, etc.)

-sperimentazioni sonore sul pianoforte (vedi oltre)


ASPETTI FORMALI

- Uso prevalente della forma ternaria A-B-A, ma con numerose possibili varianti:

-si può verificare che le sezioni distinte abbiano elementi comuni e che ci sia una integrazione fra struttura bipartita
e tripartita(vedi "Prélude à l'aprés midi d'un faune")

-la ripresa della tematica iniziale avviene spesso con brevissime citazioni della sezione iniziale

-tutti gli elementi elaborativi e sviluppativi eventualmente presenti (nei casi nei quali viene adottata la forma-sonata
ed a nche nei casi di strutture ternarie) sono assai diversi dalle tradizionali impostazioni:

- le diverse sezioni sono accostate fra loro per affinità-contrasto o si fa ricorso a duplicazioni di vario tipo (vedi punto
sugli aspetti melodici), senza ricorso a passaggi in progressione (come avviene negli autori tardo romantici)

- dal momento che, come già visto (vedi aspetti armonici) il percorso armonico-tonale vede una giustapposizione e
concatenazione libera di zone armonico-tonali, Debussy si rifiuta di adottare il concetto classico di sviluppo tematico
e della dialettica tematica tradizionale: manca una qualunque idea di contrasto tematico o di forti contrasti timbrici (il
compositore francese respinge la logica del Concerto classico-romantico), preferendosi la composizione basata su una
selszionata amalgama e una timbrica dalla sonorità attutita (vedi gli aspetti timbrici) e con una certa fluidità e libertà
melodico-armonica e ritmica

Gli aspetti sopra descritti si manifestano gradualmente nell'evoluzione stilistica di Debussy: li considereremo
seguendo cronologicamente gli aspetti essenziali della parabola creativa debussyana esaminando soprattutto le
composizioni pianistiche e orchestrali, ma non senza valutare l'importanza del repertorio da camera e teatrale del
compositore francese

La Suite bergamasque

La Suite bergamasque fu il primo ciclo pianistico di Debussy. Contrariamente alla gran parte delle altre raccolte, in
genere strutturate in tre brani, è divisa in 4 movimenti, essendo un tipo di Suite che avrebbe l'intento di riallacciarsi a
quelle tipiche settecentesche: Preludio-Minuetto- "Clair de lune" (=Sarabanda)- Passepied. IL clima compositivo del
ciclo è ispirato in parte al simbolismo ma soprattuto al 'parnassianesimo', un movimento poetico-letterario che
tendeva a rivalorizzare la musica 'pura' avulsa dalle passioni romantiche e a recuperare i valori estetici del classicismo
del 1500 e del 1700. Il titolo e l'ispirazione della raccolta sono tratti da un testo poetico di Paul Verlaine, "Clair de
lune", tratto da "Fète galante" del 1869, che Debussy aveva già musicato come 'Mélodie' nell'ambito di un ciclo con lo
stesso titolo, nel 1882 e dal quale avrebbe poi ricavato una ulteriore 'Mélodie' in una ulteriore raccolta, sempre con il
titolo "Fète galante", nel 1892. Ma la cosa più importante è che il brano intitolato "Clair de lune", uno dei più noti di
Debussy, si trova, appunto in questa Suite con la funzione di tempo di Sarabanda (anche tale dicitura non è presente).

Strutturato nel consueto schema ternario, propone già aspetti peculiari dello stile di Debussy:

-melodia: le linee melodiche, di sapore tonale-modale, rese anche su bicordi e accordi, sono preferibilmente
imperniate sui registri medio acuti della tastiera; notevole e vario l'uso di duplicaizioni e imitazioni

-armonia: delicate armonie modali-tonali, dove la presenza di suoni estranei -frequenti le quarte e le seste aggiunte
alle triadi perfette- ammorbidisce i passaggi da un accordo all'altro; uso di accordi di settima e di nona non risolti,
accostamento emarmonico di toni lontani: ad es. Re bemolle (=Do#) maggiore alternato immediatamente con Fa
bemolle (=Mi) maggiore: la tipica relazione di terza molto usata da Debussy
-ritmo: frequenti sovrapposizioni di figurazioni binarie in tempo ternario: nel tempo 6/8 la duina è alternata ai gruppi
di tre crome: il che conferisce una certa fluidità e libertà ritmica a tutto l'andamento metrico del brano, pure
caratterizzato da decelerazioni e accelerazioni che contrassegnano i passaggi da una sezione all'altra

-timbro: delicati accordi legati o ribattuti con preferenza per i registri acuti; ampio uso di morbidi arpeggi in piano o
pianissimo

Le potenzialità timbriche e formali della scrittura pianistica

Particolarmente congeniale alla visione compositiva di Debussy è il pianoforte, con tutte le implicazioni stilistiche e
timbriche legate a questo strumento. Dato che la definitiva svolta dello stile pianistico del musicista francese avviene a
partire da questo periodo (cioè dal 1903 in poi), cerchiamo di approfondire le premesse ed alcune importanti
conseguenze timbriche del pianismo debussiano.

Verso l’ultimo trentennio dell’800, in Francia si tendeva ad evitare il tipo di pianismo proprio di Brahms (un pianismo
denso, polifonico, spesso basato su accordi pesanti) e di Franck, che considerava la sonorità pianistica troppo simile a
quella organistica. Più decisamente interessante venne considerato il pianismo di Liszt, in cui il virtuosismo
‘trascendentale’ non era un arido momento tecnico ma era volto all’esplorazione sonora, anche , a volte, con
spregiudicatezze armoniche, come nel caso di "Nuages gris", del 1881, dove il tono d’impianto è un ambiguo Sol
minore- maggiore- Si b maggiore, reso ancora più di difficile decifrazione a causa di una serie di passaggi armonici
cromatici basati su triadi aumentate e accordi di quarta aumentata; l’accordo finale è addirittura una mescolanza
politonale fra un basso di Do e un accordo di Sol maggiore.

Un brano del genere è una geniale anticipazione dell’impressionismo di Debussy.

Ma più in generale il pianismo di Liszt era foriero di interessanti sperimentazioni timbriche, con esplorazioni
virtuosistiche delle zone acutissime e gravissime della tastiera, dove il suono, grazie anche ad opportune
pedalizzazioni, era quasi ‘indefinito’ e vago. In questo senso bisogna tener conto del fatto che il grande seguace di Liszt
in Francia non era tanto, almeno inizialmente, Debussy (come si è visto assai più legato a Chopin, soprattutto per la
ricchezza del linguaggio armonico), quanto Maurice Ravel. Nel novembre del 1901 era stata eseguita per la prima volta
una composizione pianistica di Ravel particolarmente significativa: Jeux d’eau (Giochi d’acqua), per la quale, per i
passaggi tecnici all’acuto, Ravel raccomandava l’uso del pedale affinché venisse messa in risalto “non la chiarezza delle
note bensì l’impressione ‘sfumata’ ( o vaga: il termine francese usato da Ravel è “impression flou”) delle vibrazioni
nell’aria”.

Considerando che le più importanti composizioni pianistiche di Debussy sono tutte successive al 1901, sono nate
discussioni sull’attribuzione del merito di aver introdotto per primo questo ‘impressionismo’ pianistico a Ravel o
Debussy.

Tornando alla questione del pedale nel pianoforte e all’idea dell’ ‘impressione vaga’, seguendo le considerazioni del
pianista inglese York Bowen, autore del primo trattato teorico sull’uso dei pedale (Pedalling the Modern Pianoforte,
del 1936), si può dire che il pedale pianistico del forte, oltre a effetti particolari ( ad es. l’uso del ‘mezzo pedale’ e del
‘vibrato’ può produrre vari tipi di diminuendo) è l’unico mezzo per realizzare un legato su accordi diversi, anche
realizzando una sorta di “pedale vago”, dove si può collegare e in qualche modo fondere gli accordi (anche accordi
appartenenti a toni o ambito modali diversi) tenendo sempre il pedale e cambiandolo ogni tanto, ma non del tutto; in
questo modo si crea proprio quella ‘vaghezza’ sonora cui si riferiva Ravel. Tale procedimento è spesso presente in
Debussy, in particolare nel brano La Cathédrale englotie, dal primo libro dei Préludes per pianoforte, del 1910 (v. es.
mus. pag. 311). Il pianoforte, quindi, risulta uno strumento assolutamente importante per l’armonia moderna e
debussiana in particolare, perché, oltre a tutti i vantaggi dati dalla risonanza degli accordi triadici, il pedale consente di
ampliare le possibilità della tonalità facendo risuonare simultaneamente tonalità diverse ed anche diverse dissonanze
come seconde, quarte e settime consecutive. Il che poteva avere anche una giustificazione teorica, come quella
individuata, nel 1916, dallo studioso Edward Dent :"....dal momento che ogni nota può essere scissa nei suoi
componenti armonici, e che il timbro dipende dalla intensità relativa degli stessi.......è possibile creare artificialmente
nuovi timbri facendo risuonare contemporaneamente diverse note....." , quindi anche quelle relative a suoni
dissonanti rispetto all'armonico fondamentale, come le seconde, o le settime ; tale procedimento fu precisamente
adottato prima da Satie, poi da Debussy e Ravel (cfr. Lockspeiser, op.cit., pagg. 311-312) e consente l'emancipazione
della dissonanza, che può essere quindi ritenuta come un fattore timbrico valido di per sé. Il pianoforte, quindi, è un
mezzo importante per l'evoluzione tonale della musica del '900 in generale. Anche per questo, quando, nell'ultimo
quindicennio della sua vita (1903-1918) Debussy giunge ad una ancora maggiore spregiudicatezza armonica, questo
processo è, si può dire, 'guidato' dalle sue composizioni pianistiche

Images I e II per pianoforte.

Queste due raccolte (rispettivamente "Images" I del 1905 e "Images" II del 1907) propongono ulteriori acquisizioni del
pianismo di Debussy, dal punto di vista timbrico e armonico e possiamo ritenerle le migliori espressioni del cosiddetto
‘impressionismo’ debussyano.

In realtà spesso Debussy criticò questo termine, ritenendolo riduttivo per la sua musica, della quale il fine è quello di
creare un complesso intreccio fra vaghe sensazioni, realtà, fantasia, sogno, nostalgia, ironia, reminiscenze, ricordi,etc.
Per questo un concetto rivelatore è quello che espresse lo stesso Debussy dicendo, a proposito del tipo di poesia più
opportuna per la sua musica che il poeta migliore sarà “colui che dicendo le cose a metà mi permetterà di sovrapporre
il mio sogno al suo”. Questo concetto si può applicare, in generale, al suo rapporto con le immagini da lui evocate nella
sua musica, immagini che dovranno essere solo un punto di partenza per il libero flusso dei suoi percorsi musicali.

Le due raccolte di Images per pianoforte hanno alcuni punti in comune: come Pour le piano ed Estampes sono
costituite da tre brani l’ultimo dei quali è il più animato e virtuosistico e come nei due cicli citati, propongono una
struttura liberamente ternaria, con gli spunti motivici o accordali iniziali ripresi nel finale o in forma variata o come una
sorta di coda. Ma la vera novità di queste due raccolte sta nel portare spesso alle estreme conseguenze un
orientamento in buona parte presente in precedenti lavori: la drastica riduzione del fattore melodico a vantaggio dei
fattori timbrico-armonici e di fluidità ritmica.

Eloquente, a riguardo, il primo brano di "Images I", "Reflets dans l’eau" (Riflessi nell’acqua), dove le immagini
acquatico-marine, come già rilevato assai care a Debussy, in questo caso si concretizzano prima in un moto
ascendente-discendente di accordi di settime di varie specie su un bicordo di quinte vuote ai bassi (forse l’allusione
alla caduta continua e alla riemersione di un corpo nell’acqua e fuori), poi in rapidissimi cambi di registri su arpeggi
velocissimi con diverse soluzioni armoniche e con esplorazioni delle regioni acutissime della tastiera, infine, dopo una
così raffinata esplorazione timbrica e armonica, un finale basato su un semplice motivo Lento e in una sonorità
armoniosa e lontana: un motivo di cinque suoni all’acuto sostenuto da corpose armonie; ancora una volta, qui come
altrove, nelle suggestioni debussiane trovano posto momentii di ‘spazializzazione’ del suono. Ma in tutto questo
vortice sonoro di arpeggi rimangono solo vaghe tracce di melodia: quel tema tetratonico finale è il più completo inciso
melodico riscontrabile, essendo una libera ripresa di un frammento melodico di tre note presente nelle battute iniziali.
Oltre a tale frammento, si notano, nelle sezioni centrali, solo spunti di melodia ai bassi, ampiamenti travolti dal fluido
moto di arpeggi. Il secondo brano, Hommage a Rameau, è un movimento di Sarabanda, come sempre molto variegato
come timbro e armonia ma dominato dalla presenza di massicci accordi, anche se ancora una volta vengono proposti
contrasti e simultaneità fra le regioni gravissime e acutissime della tastiera. Il terzo, dal generico titolo "Movement" , è
un brano caratterizzato da un moto perpetuo di terzine che fa da sfondo a diverse situazioni timbrico-tematiche, fra le
quali un tema discendente in doppie ottave: una situazione timbrica che sembra anticipare l’esplosiva sonorità dello
Stravinskij di Petrouchka; nel finale il moto di terzine è proposto con sonorità superacute che poco a poco si
spengono; questo tipo di esplorazione delle zone estreme della tastiera ha un valore molto più timbrico che armonico
ed è un altro aspetto del pianismo di tipo ‘impressionistico’ (senz’altro ricollegabile al pianismo di Liszt).

La seconda serie di "Images" si può considerare un seguito della ricerca sonora della prima raccolta, ma con una
ancora maggiore spregiudicatezza armonica.

Il primo brano ha già nel titolo suggestioni di tipo simbolista e che, al tempo stesso, rimandano ad uno dei concetti
spesso presenti in Debussy: la spazializzazione del suono. Nel titolo, infatti, "Cloches à travers les feuilles" (Campane
attraverso le foglie), il musicista francese intende riferirsi alla quiete della natura inframezzata dai rintocchi delle
campane: quasi una compenetrazione fra spazio (gli alberi di un immaginario paesaggio boscoso) e il suono (i rintocchi
di campana). Ma la trasfigurazione musicale debussyana, come sempre, va oltre il semplice descrittivismo, dato che è
presente un clima musicale quasi surreale-ipnotico, che può essere notato fin dalle prime battute (miss.1-8)
caratterizzate da un intreccio di motivi scalari per toni interi: tetratonali, tritonali e pentatonali, cioè impostati su scale
rispettivamente di 5, 4 e 6 suoni senza semitoni, di notevole ambiguità melodico-armonica. A questo suggestivo
attacco segue un’ampia sezione centrale (miss. 14 e seguenti) altrettanto ambigua armonicamente, in cui una serie di
rapide quintine di semicrome in pianissimo (inizialmente sulle note Re-Si-Do#-Fa –Sol di indecifrabile attribuzione
tonale), comme une buée irisée (come un vapore iridato), dice Debussy, accentuano tale clima ‘vaporoso’ , sospensivo
ed ambiguo, portando ad una serie di rapidi passaggi in toni lontanissimi (ad es. da Do Maggiore a Mi maggiore a Si b
maggiore e Mi maggiore , per poi concludere il brano, dopo la libera ripresa della prima parte, in Sol minore ) o a zone
tonalmente neutre. A tale spregiudicatezza armonica si abbinano esplorazioni timbriche che in questo caso
consistono, oltre che in una combinazioni fra accordi e rapidi moti di quintine e sestine di semicrome che vanno dalle
zone centrali a quelle acutissime della tastiera (qui come altrove Debussy, per abbracciare bene tutta la gamma
sonora, si serve di tre pentagrammi), in una serie di note tenute e ribattute isolate ai bassi, che evidentemente
simboleggiano i rintocchi delle campane, anche se tali ‘rintocchi’ risultano quanto mai offuscati dalle sonorità dei
registri superiori.

Ancora più ‘misterioso’ ed evanescente il clima musicale del brano successivo "Et la lune descend sur le temple qui
fut" (E la luna discende sul tempio che fu), dove trovano spazio altre due immagini particolarmente care a Debussy: la
luna e il tempio (orientale). In questo caso la sacralità e il mistero sono descritte inizialmente da una serie di accordi di
quinte vuote integrate dalla quarta, cosa che rende quasi atonale tutta la prima parte del brano, mentre le successioni
accordali che seguono non chiariscono affatto il tono d’impianto (un molto teorico Mi minore). La sezione seguente ha
un sapore decisamente esotico, con una breve melodia pentatonica con alcuni suoni ricalcati all’ottava, quasi
un’allusione a canti sacri dell’Estremo oriente accompagnati da suoni di rinforzo dei cordofoni in auge presso i paesi
asiatici (soprattutto salteri o liuti, che hanno diverse denominazioni; ad esempio in Cina il K’in è un salterio a 7 corde e
il P’i-P’a è un liuto a 4 corde). Dopo questa fase tornano ancora passaggi di interesse armonico di difficile
inquadramento tonale, ma sempre con una costante timbrica: una sonorità costantemente ‘ovattata’ in un pianissimo
ininterrotto. Ancora un ritorno finale del clima armonico iniziale seguito dal ricordo loin (lontano) del tema
pentatonico conclude il brano.

Un’ altra ricorrente ‘immagine’ debussiana, l’acqua, torna nel tempo finale, Poissons d’or (Pesci d’oro), dove un
velocissimo e leggerissimo vibrato di biscrome in terze nella mano destra e di quinte di biscrome nella mano sinistra
evoca un moto piuttosto vivace di pesciolini nell’acqua e il ‘gioco d’acqua’ prosegue con una serie di rapidi arpeggi
discendenti interrotti, a simboleggiare i tuffi dei pesciolini stessi nell’acqua. Questo gioco timbrico è tuttavia molto
variegato perché giunge a diverse altre situazioni tecniche: rapide scalette cromatiche, clusters (cioè urti di seconda)
accordi ribattuti, varie configurazioni di arpeggi. Inoltre la variegazione è anche dinamica (giungendo anche, dal
pianissmo iniziale al fortissimo di accordi ed arpeggi della sezione centrale) e soprattutto armonica, con un notevole
senso di instabilità tonale; non sono solo le arditezze delle modulazioni ai toni lontanissimi a colpire, quanto la rapidità
dei passaggi da un tono all’altro. Ad es.si può riscontrare un interessante ed ardito giro armonico dalla battuta 22 alla
45, dove si passa dal tono d’impianto di Fa # maggiore (il tono in cui si svolge il già descritto vibrato di biscrome: ma

è da notare l’alternanza rapidissima fra la terza maggiore e terza minore, che crea una sorta di ‘urto’ che accentua il
senso di movimento) ai toni di Mi b magg. – Do min. e quindi La b magg. – Fa min. e a seguire a Do magg., Re b magg.
(=Do # maggiore) per poi tornare al Fa # magg. In sostanza, se nel brano precedenza dominava un senso di stasi, di
solenne e misteriosa sacralità, il tutto reso con sonorità rarefatte ed una sostanziale incertezza tonale, in quest’ultimo
brano domina il fattore dinamico ed il movimento, dato dalla velocità, dalle variegate soluzioni tecnicotimbriche e
dalla instabilità tonale.

GLI ULTIMI GRANDI CICLI PIANISTICI (CHILDREN’S CORNER, I DUE LIBRI DI PRÉLUDES, GLI STUDI)

Children’s corner.

Divorziato dalla prima moglie (1905) e sposatosi con Emma Moyse (1908), da quest’ultima Debussy ebbe la sua unica
figlia, Claude-Emma detta Chouchou (nata nel 1905) alla quale dedicò il ciclo dei Children’s corner (1908). Il titolo della
raccolta e quelli dei singoli brani sono in inglese in relazione al fatto che Chouchou aveva una governante inglese e che
la bambina ebbe, quindi, una elementare e basilare conoscenza della lingua inglese. Il ciclo, che consta di 6 pezzi, fu
composto dal 1906 al 1908 e si distingue dalle precedenti raccolte per una maggiore semplicità, stringatezza, chiarezza
melodica e tonale. Tutto questo era evidentemente legato al fatto che il compositore francese intendeva proporre un
ascolto più ‘eufonico’ possibile alla bambina, anche se la dedica non lasciava del tutto tranquillo l’affettuoso papà
Claude su quello che la piccola avrebbe potuto recepire; il testo della dedica, infatti, era: “ Alla mia cara piccola
Chouchou, con le tenere scuse di suo padre per quello che seguirà”.

Il primo pezzo, "Doctor Gradus ad Parnassum", conferma che questa semplificazione dei parametri compositivi
nasconde in realtà raffinatezze e preziosità armoniche: il titolo allude nel titolo e nelle movenze tecniche iniziali agli
studi di Clementi contenuti nella raccolta così denominata (appunto Gradus ad Parnassum), ma in realtà i temi a
figurazione con evidenziazione delle linee melodiche e i preziosismi melodico-armonici riportano più che altro allo
Chopin degli Studi e degli Improvvisi: del resto, la tecnica dei temi a figurazione di chopiniana memoria era stata già
adottata da Debussy in altri brani pianistici, come il primo e il terzo brano della suite "Pour le piano" e il terzo pezzo di
"Estampes". Nel brano in questione spicca soprattutto l’arditissima modulazione che conduce dal chiaro tono di Do
maggiore iniziale al lontanissimo tono di Re bemolle maggiore nella parte finale sezione centrale (miss. 37-44), tono
dal quale si confluisce bruscamente al tono di do maggiore (miss. 45 e seguenti) con la sola ‘mediazione’ della nota
comune Fa: un esempio tipico di accostamento di accordi fuori dalle regole tonali classiche. Meno ‘traumatico’ , ma
non meno ardito, il cadenzamento finale, nel quale la classica cadenza III – IV-V-I di Do maggiore viene resa con
regolarissimi accordi finali di dominante-tonica (Sol e Do maggiore), ma preceduti da un III grado armonizzato con un
accordo Mi b magg. e un IV grado armonizzato con un accordo di Fa # maggiore: questa mescolanza di elementi
‘scolastici’ ed elementi trasgressivi può essere interpretata come una sorta di gesto di irriverente insofferenza
canzonatoria, con voluta ‘stonatura’ del giovane alunno, che si rifiuta di accettare supinamente le rigide regole
tecnico-compositive scolastiche. Atteggiamenti ironici o giocosi caratterizzano anche altri pezzi di questa raccolta,
come ad es. "Jimbos Lullaby" (‘Ninna nanna dell’elefante’), allusione ad un elefantino di pelouche della bambina; in
questo brano i goffi movimenti dell’elefantino sono descritti prima da una serie di urti di seconda in controtempo, poi
da una serie di note staccate e ribattute sull’unisono o con salti di ottava, oppure da note ben scandite nei registri
gravissimi della tastiera. Nella ‘Serenata per la bambola’ ("Serenade of the Doll" ) si impone un clima teneramente
malinconico, reso in una sonorità che ricorda molto atteggiamenti compositivi di Musorgskij, che, fra l’altro, aveva
scritto un importante ciclo di liriche per canto e pianoforte intitolato “La camera dei bambini” al quale Debussy
sembra essersi ispirato soprattutto per questo brano, che riecheggia, anche nel titolo, il brano musorgskiano intitolato
“Berceuse per la bambola”. Nel brano pianistico di Debussy abbiamo riferimenti alla fantasia e alle immagini del
mondo infantile rese con una timbrica particolare: la gran parte della composizione è basata su melodie, tipicamente
russe, basate su salti di quarta ascendente e ritorni su note perno con salti discendenti, a volte, come nella parte
iniziale, anche concepite su note in acciaccatura; l’accompagnamento, prima su quinte vuote – tipiche della musica
popolare –poi su triadi, bicordi o note singole, è basato su un ritmo in costante controtempo, che crea una sensazione
di andamento ‘cullante’, e su una sonorità sempre in piano o in pianissimo. In questo modo Debussy trasfigura un
delicato canto d’infanzia.

Nel brano seguente, "The snow is dancing", si torna alla trasfigurazione di un’altra suggestione naturalistica cara al
compositore francese: la neve. In questo caso si tratta di una immagine atmosferica filtrata in un pensiero
malinconico, reso, inizialmente e conclusivamente, con una serie i diversi ostinati di semicrome con note alternate fra
le due mani su ‘registri’ diversi con note tenute di base che forniscono una sostanza melodica molto scarna: con la
dizione 'dolce e triste', alla battuta 22, Debussy indica una melodia tetratonica che ha il carattere di una breve e
semplice filastrocca: forse un’allusione a un bambino che passeggia canticchiando in un prato nevoso.

"The little shephered" (il pastorello) è la visione musicale di un pastore che suona un flauto; il melodismo è
frammentato in diversi frammentari episodi, dando l’idea dell’improvvisazione e di una certa elasticità agogica: anche
in questo caso c’è un clima generale di mestizia.

"Golliwogg’s cake walk".

Solo con l’ultimo brano della raccolta, "Golliwogg’s cake walk", il compositore francese introduce una nota lieta e
spensierata: Il Golliwog era un bambolotto negro dai capelli lunghi, molto popolare all’epoca, e che probabilmente
faceva parte di una collezione di bambole di Chouchou. Ma questo pezzo è di notevole interesse storico perché
costituisce uno dei primi esempi di rag-time (tempo sincopato) inseriti in una composizione della musica d’arte
europea. Il ragtime genere si può ritenere una delle prime forme di jazz; era musica scritta ma aperta alle libere
variazioni improvvisate. Debussy aveva ascoltato brani di questo tipo a Londra nel 1905, ma la derivazione di partenza
era americana; contemporaneo di Debussy, infatti, era il compositore americano da tutti ritenuto il creatore del
ragtime: Scott Joplin, vissuto nello stesso periodo di Debussy Joplin:1868-1917; Debussy 1862-1918). Nei pezzi di
ragtime di Joplin, tutti per pianoforte, si possono osservare varie tipologie, ma di solito era previsto uno schema
timbrico piuttosto ricorrente, che prevedeva una certa regolarità ritmico-percussiva nella mano sinistra, mentre la
mano destra effettuava movimenti ritmici in tempo sincopato e varie figurazioni in controtempo. Non sappiamo se
Debussy avesse ascoltato musiche di Joplin ma è indubbio che conosceva alcuni aspetti di questo tipo di musica: in
"Golliwogg’s cake walk" troviamo elementi che riportano a molti ragtimes di Joplin: oltre al detto particolare dualismo
ritmico fra le due mani, si può notare anche una breve introduzione ‘tematica’ (che è spesso presente in Joplin) e, in
generale, lo spirito scanzonato e danzante della musica afro-americana dei primi anni del ‘900: è interessante notare
come "Pine Apple Rag", uno dei ragtimes di Joplin che ha caratteristiche più simili al brano di Debussy, era stato
composto proprio nel 1908, anno della pubblicazione dei "Children’s corner" di Debussy. Ovviamente non abbiamo
alcuna documentazione che attesti la conoscenza reciproca o il rapporto fra i due compositori; in ogni caso molti
ragtimes pianistici di Joplin furono composti prima di quella data: il più famoso rag del compositore americano Maple

Leaf Rag risaliva al 1899.

Tornando a "Golliwogg’s cake walk" di Debussy, si tratta di un brano di semplice struttura tripartita, in cui gli
atteggiamenti spigliatamente ritmici della prima parte (miss.1-46) hanno un singolarissimo contrasto nella parte
centrale (miss.47- 89), dove uno scherzoso gioco di acciaccature in controtempo viene ad un certo punto accostato ad
un accenno del tema del Tristano ed Isotta di Wagner (miss. 61 e segg.). Questo passo è importantissimo perché da un
lato è un’attestazione della presenza di quel senso ironico che avolte affiora , insieme a tutti i contenuti di ispirazione
simbolistico – impressionistiche di cui si è detto, in Debussy (basti ricordare gli scherzosi passaggi di tipo ‘beffardo’
che, nel "Prélude à l’après-midi d’un faune" si alternano ai momenti di nostalgico e sognante ricordo) e che sarà
sempre più presente nelle ultime composizioni, dall’altro costituisce un modello di riferimento per quei bizzarri
accostamenti di tipo parodistico di cui farà largo uso il ‘neoclassicismo’ strawinskiano.

A proposito di Strawinsky, che Debussy conobbe nel 1910 (vedi oltre), il compositore russo ebbe in Debussy uno dei
suoi vari modelli di riferimento, ma proprio in relazione a Golliwogg’s cake walk bisogna considerare il fatto che
Strawinsky scrisse almeno tre pezzi ispirati al Ragtime: una delle tre danze dell’Histoire du soldat (Tango,Valzer,
Ragtime), del 1918, una composizione dello stesso anno, Ragtime, per 11 strumenti e "Piano-Rag-music" del 1919; le
tre composizioni strawinskiane propongono èsiti particolari e differenti da quelli di Debussy, ma almeno l’introduzione
del "Ragtime" per 11 strumenti si può dire che sia una sorta di citazione ‘distorta’ dell’attacco del brano di Debussy. Lo
stesso compositore francese, l’anno dopo i Children’s corner, cioè nel 1909, compose, per pianoforte, un altro pezzo
nello stile del rag-time simile a Golliwogg’s cake walk: The little nigar (Il piccolo negro)

Le ultime esperienze biografiche ed artistiche di Debussy

Gli ultimi anni della vita di Debussy sono ricchi di eventi di rilievo personale ed artistico. Dopo il 1909 il compositore
francese svolge un’intensa attività concertistica, come direttore d’orchestra o pianista, con varie tournée, a Londra
(1909), Vienna e Budapest (1910), Torino (1911), Mosca e Pietroburgo (1913), Roma, L’Aia, Amsterdam e Bruxelles
(1914). E’ quindi un periodo di successi artistici, confermati anche dall’esclusiva per la pubblicazione dei suoi lavori
stipulata con l’editore Durand.

"Jeux"

A proposito delle composizioni debussiane nelle quali si può notare un certo influsso di Stravinsky, già si è accennato
a Gigues, ma ancora più interessante è il caso di Jeux, l’ultimo momento della pure difficilissima collaborazione fra
Debussy e Diagilev. Jeux era un balletto che, proposto dal discusso coreografo Nijinskij, in un primo tempo era stato
rifiutato da Debussy per il soggetto, da lui ritenuto “ idiota e non musicale” : nel corso di un partita di tennis, un
giovane tennista corteggia invano due fanciulle. Debussy accettò l’incarico di comporre questo balletto solo perché
allettato dal lauto compenso offerto da Diagilev: diecimila franchi, il doppio di quanto precedentemente pattuito.

Il lavoro di Debussy risulta estremamente interessante ed innovativo sia per la forma che per gli effetti timbrici. La
forma risulta di ardua lettura: è tuttavia possibile individuare uno schema che prevede una sorta di introduzione
ripresa come coda nel finale e, al centro, una serie di duplicazioni variamente articolate. Il fatto è che è impossibile
entrare dettagliatamente nell’articolazione interna del brano, dato che viene proposta una sorta di liberissima forma
di variazione, in cui di volta in volta vengono ripresi liberamente spunti e microcellule difficilmente riconoscibili nelle
diverse sezioni, dove mancano chiare esposizioni tematiche e si può solo intravvedere una sorta di moto melodico-
armonico ascendente discendente che costituisce l’unico elemento di riferimento, sia pure molto vago, della
composizione; estremamente nascosto, se non del tutto assente, almeno nella tradizionale accezione del termine, il
senso tonale, la condotta ritmica risulta quanto mai fluida ed inafferrabile: le note in pizzicato degli archi che
descrivono i colpi della racchetta, che di tanto in tanto scandiscono brevi segmenti ritmici regolari risultano subito
interrotte da sezioni metricamente contrastanti. L’elemento trainante della composizione è quello timbrico, con un
uso di un’ orchestrazione estremamente frazionata e a sbalzi, con raffinatissima l’alternanza fra impasti timbrici e di
isolamenti dei suoni puri strumentali, con variazione frequente oltre che delle sonorità anche delle dinamiche. Tale
variegazione orchestrale nell’asimmetria ritmica indubbiamente accosta questo brano allo stile di Stravinsky (anche
se quasi sempre, se non nelle fasi iniziali, mancano quelle crude ed incisive contrapposizioni timbriche che
caratterizzano la base del linguaggio stravinskiano) e costituisce la punta estema della sperimentazione sonora
debussiana, per la quale il compositore francese è additato come modello imprescindibile persino dalle avanguardie
post-weberniane, con in testa Pierre Boulez.

Il Primo Libro dei Préludes

Debussy compose due libri di "Préludes", composti rispettivamente nel 1910 il primo e 1913 il secondo. Ciascuna
raccolta consta di 12 brani e si sarebbe tentati di stabilire un rapporto con i Preludi di Chopin, perché è chiaro che la
libera fantasia che si può manifestare in una raccolta di autonomi pezzi brevi di romantica (e precipuamente
chopiniana) memoria è un’ottima base di partenza per un’ennesima esplicazione dell’estetica debussiana. Ma se la
libertà di muovere la fantasia in una variopinta serie di immagini musicali è comune, subito spicca la ovvia differenza
(circa settant’anni dividono le due raccolte) dal punto di vista della concezione tonale, che in Chopin prevede un’unica
raccolta di 24 pezzi, in tutte le tonalità maggiori e minori, col relativo minore sempre subito dopo il relativo maggiore,
mentre Debussy usa ( in due distinti libri di 12 pezzi l’uno) un libero e non sistematico excursus nelle varie tonalità,
utilizzando spesso, fra l’altro, toni incerti e passaggi ai confini dell’atonalità.

In relazione alla precedente produzione pianistica debussiana, si può dire che i "Préludes" costituiscano i cicli più
estesi, dato che precedentemente Debussy componeva o pezzi isolati oppure cicli al massimo di 6 brani. In queste 2
ampie raccolte il compositore francese ha voluto proporre 2 grandi contenitori di tutte le tematiche della sua arte
musicale. La stessa idea di mettere il titolo di ciascun brano alla fine, fra parentesi e preceduto da puntini di
sospensione è legata al concetto base della sua estetica: il legame fra le immagini poetiche o naturalistiche e la
musica era un legame relativo: l'ispirazione poetico-naturalistica di partenza doveva essere solo un momento iniziale
da cui poi la musica doveva partire da un lato per proporre, in chiave puramente musicale, sperimentazioni timbrico-
armoniche, dall'altro per trasfigurare, amplificando o sfumando a seconda dei casi, le immagini suggerite
dall'ipirazione 'extramusicale' di partenza.

Nei due libri dei "Préludes" è presente, quindi, un vasto campionario di contenuti extramusicali e specificamente
musicali, che va dall’esotismo spagnoleggiante all’evocazione delle situazioni atmosferiche, dagli sfumati sonori legati
al simbolismo-impressionismo debussiano alle sonorità più dure e percussive già in parte presenti in alcune pagine
pianistiche precedenti (ad es. in Masques) e che caratterizzeranno gli Studi; dalle già menzionate arditezze tonali ed
armoniche (particolarmente presenti nel secondo libro) all’uso di scale modali e per toni interi, mentre dal punto di
vista formale, a parte la generica ed elasticissima struttura tripartita di base (che consiste di solito in un semplice
riecheggiamento in coda dei motivi iniziali) ritroviamo sempre quell’uso fluido di duplicazioni di vario tipo che
costituisce l’ossatura del linguaggio musicale di Debussy. Sul piano della specificità della timbrica pianistica
riscontriamo in questi due cicli la piena dimostrazione delle potenzialità evocative del pianoforte, delle quali uno dei
tratti emergenti è lamassima estensione degli ambiti sonori, dai registri gravissimi a quelli acutissimi, e l’ardita
esplorazione delle stesse regioni estreme della tastiera: quelle acutissime con passaggi veloci e quelle estremamente
gravi con bassi profondi su note-pedale tenute.

La funzione del pedale

A proposito del pedale, della cui importanza si è già detto precedentente, in queste due raccolte è uno strumento di
grande rilievo per la creazione di opportune sonorizzazioni; se è vero che raramente Debussy in partitura ne specifica
l’uso, la pedalizzazione è chiaramente suggerita e quasi imposta in moltissimi casi dalla scrittura musicale: ad esempio
quando si tratta di legare successioni di diversi accordi completi non ravvicinati o senza note in comune o nei casi in
cui le dita sono impegnate in modo tale da impedire passaggi intermedi della diteggiatura, oppure, ancora, nelle note-
pedale sia singole che costituite da accordi. In tutti questi casi legare i suoni sarebbe impossibile senza pedale, come si
può notare osservando alcuni passaggi tratti dal VII brano del Primo libro (" Ce qu’a vu le vent d’ouest" : Colui che ha
visto il vento dell’Ovest): ad es. alle battute 11-12, dove due clusters in ottave distanziate di una quarta nella mano
destra per le quali è previsto il legato non potrebbero mai essere legate senza pedale (stesso discorso vale per la
terz’ultima battuta, 69) e la stessa cosa vale per le successioni di accordi di battute 7-9 e 59-62 o per gli accordi tenuti
delle battute 19-24, 51-52, o nelle ottave tenute delle battute 35-39 e via dicendo: in tutti questi casi Debussy
sottintende assolutamente l’uso del pedale; anzi, quando si tratta di note singole tenute è molto probabile che il
compositore francese abbia previsto un tipo particolare di pedale detto ‘pedale tonale’, che fu introdotto per la prima
volta dal costruttore Steinway nel 1874, e che consente di allungare la durata di un singolo suono.

"La cathédrale englotie"

Il brano più interessante, a proposito di questo tipo di scrittura pianistica, è "La cathédrale englotie" (La cattedrale
sommersa) sempre tratta dal primo libro ( è il decimo brano) dove le esigenze evocativo-descrittive danno alla
pedalizzazione, non indicata nella partitura ma assolutamente implicita nella scrittura, un valore quasi, per così dire,
‘strutturale’. In questo brano, infatti, dove troviamo unite due immagini fondamentali nell’evocativismo debussiano, il
tempio e l’acqua, il compositore francese trasfigura musicalmente l’antica leggenda celtica della cattedrale d’Ys, una
semileggendaria città della Bretagna che, punita dagli dèi per la malvagità dei suoi abitanti, sarebbe stata sommersa
dalle acque intorno al IV-V secolo; secondo tale leggenda la cattedrale di questa città riemergeva tutte le mattine,
all’alba e fra la nebbia, dalle acque, portando con sé i suoni delle sue campane e dei suoi organi. Debussy inizia la sua
composizione proprio con un accordo tenuto di quinte vuote delle due mani collocate agli antipodi, una sul registro
superacuto della tastiera, l’altra al registro estremamente basso; su questo accordo tenuto, e obbligatoriamente da
pedalizzare, visto che continua per due battute, viene creato un moto di accordi paralleli legati ascendenti sempre di
quinte vuote: 'dans une brume doucement sonore' (in

una bruma dolcemente sonora) prescrive Debussy, adottando ancora, come spesso fa, un’indicazione di espressione in
cui viene usato un termine evocativo extramusicale; in due sole battute, il compositore francese riesce ad evocare la
magia, la cattedrale che riemerge dalle acque nella nebbia data dalla salita di accordi pedalizzati in una scia sonora
indefinita, e il passato, dato della tecnica dell’organum parallelo. Ma la particolarità è che in ogni battuta della
composizione vengono usati suoni profondi pedalizzati, che simboleggiano da un lato la profondità delle acque, da cui
emerge la cattedrale, dall’altro, forse, le note tenute dell’organum melismatico o dei pedali dell’organo. Se sia l’una o
l’altra delle soluzioni è assolutamente irrilevante, dato che il carattere vago e indefinito di queste composizioni
debussiane può comportare anche differenti, e paradossalmente convergenti, interpretazioni. Le altre immagini
evocativo-musicali presenti nel lavoro sono i rintocchi della campana, una serie di suoni ribattuti lentamente subito
dopo l’emersione dalle acque (miss.6-13), la graduale uscita dalla nebbia della cattedrale (peu a peu sortant de la
brume: poco a poco uscendo dalla bruma) resa con una ardita modulazione dal Sol misolidio (cioè Sol maggiore con il
Fa naturale) al Si maggiore, tono in cui si svolge una progressione costruita su due duplicazioni di tre battute basate su
corposi accordi prima gravi e poi acuti della mano destra e su lenti arpeggi ascendenti-discendenti della mano sinistra
(miss.16-22) la seconda delle quali porta alla modulazione da Si maggiore a Mi bem. maggiore. Infine, dopo una
modulazione in Sol maggiore (miss. 21-22), ed un’altra forma complessa di doppia duplicazione (22-26), si sente
fortissimo il suono di un organo: una serie di accordi paralleli nella chiara tonalità di Do maggiore, sulla base di un
‘pedale tonale’ di Do raddoppiato all’ottava inferiore. Dopo una sezione centrale piena di mistero, la cattedrale,
lentamente, si immerge nuovamente negli abissi: si sente ancora, in lontananza, il suono dell’organo ('comme un écho
de la Phrase entendue précédemment': come un eco della frase ascoltata precedentemente): la stessa melodia
accordale ‘organistica’ precedente esposta in fortissimo ora viene riproposta in pianissimo su un profondissimo
arpeggio di Do maggiore quasi inascoltabile perché basato su note della tastiera troppo gravi per poter essere distinte
chiaramente: per questo accompagnamento Debussy prescrive flottant et sourd: galleggiante e sordo. Infine la
Cattedrale si re-immerge definitivamente e si ascolta ancora il motivo col quale era iniziato il brano (dans la sonorité
du debut: nella sonorità iniziale).

Altri aspetti del Primo Libro dei Préludes

Fra le tematiche di tipo naturalistico che emergono nel primo libro dei "Préludes" spicca quella del vento, alla quale il
compositore francese dedica due brani il terzo ("Le vent dans la plaine": il vento nella pianura) e il settimo ("Ce qu’a vu
le vent d’ouest" : Colui che ha visto il vento dell’ovest) e per entrambi i pezzi Debussy prescrive all’inizio la stessa
indicazione agogica: 'Animé' (Animato). In entrambi i casi notiamo un velocissimo moto ascendente-discendente di
semicrome o biscrome, ma le affinità finiscono qui perché si tratta di due ‘immagini’ diverse: nel primo caso il vento è
simboleggiato da una certa leggerezza sonora del moto perpetuo di semicrome, sulla quale si innesta una discreta
melodia pentatonica, mentre nel secondo brano il vento è più ‘tumultuoso’ e fatto di forti sbalzi dinamici e timbrici,
con bruschi salti nelle regioni gravissime della tastiera e una sezione centrale caratterizzata da tumultuosi arpeggi su
accordi di settima e di nona e da pesanti accordi: è chiara l’allusione ad una tempesta o ad un uragano.

Ma fra i brani ‘naturalistici’ meritano una particolare menzione il secondo ("Voiles": Vele) e il settimo ("Des pas sur la
neige": Passi sulla neve). In "Voiles" torna ancora il vento, che però è raffigurato musicalmente in modo che se ne
abbia si assoluta delicatezza, di un lieve venticello che muove pochissimo e lentamente le barche a vela: in realtà
questo brano è caratterizzato da una impressionante staticità, simboleggiata da due aspetti musicali: il tema base per
toni interi su bicordi (estremamente ambiguo tonalmente) e l’ossessionante presenza di un Si bemolle, nota ribattuta
ed anche nota pedale, presente in tutto il brano. L’idea di assoluta staticità è data dal fatto che tutti i pur arditi
passaggi armonici, spesso stridenti col Si bemolle, come quello alle miss. 33-37 che conduce ad una sorta di bitonalità
Si bem magg. – La bem. maggiore, non provocano alcun senso di urto o movimento, ma riportano sempre al punto di
partenza; è probabile un senso di oppressione spirituale del compositore francese, che ricordava forse qualche
assolato e noioso giorno di vacanza al mare, nel quale forse cominciava a vivere anche musicalmente il peggioramento
delle proprie condizioni di salute: proprio intorno al 1909 (anno in cui stava componendo il primo libro dei Préludes) si
cominciarono a manifestare i sintomi di quella malattia, un carcinoma al retto, che lo avrebbe portato alla morte, nel
1918.

Un altro brano di particolare bellezza sonora e pure legato a momenti di malinconica visione naturalistica è "Des pas
sur la neige", dove torna, nell’ovattata sonorità del paesaggio nevoso, un’altra tematica cara a Debussy: in questo
caso, sull’accompagnamento basato su una angusta e monotona successione di due note consecutive prima esposte
separatamente poi in urto di seconda, viene esposta dalla mano destra una melodia ascendente-discendente
espressiva e dolorosa in modo dorico, melodia che, al centro della composizione, viene anche variata con cromatismi.
Il volto ‘solare’ e mediterraneo della musica di Debussy è dato, in questa prima raccolta, soprattutto da due lavori:
"Les collines d’Anacapri" e "La sérénade interrompue" (la Serenata interrotta). Il primo è una visione musicale della
gioiosità napoletana, data dall’alternanza fra un motivo in ritmo di tarantella, prima frammentato e in lontananza, poi
più intenso e completo, e altri due temi di carattere popolare e cantabile, mentre nella 'Serenata interrotta' torna
ancora l’esotismo spagnoleggiante, ma in una visione molto articolata: prima suoni singoli in pizzicato, poi bicordi ed
arpeggi alludono alla preparazione della serenata, che inizia con un canto su note tenute accompagnate da quinte
vuote in alternanza. Ma la serenata è interrotta da altri suoni: prima un improvviso rumore dato da due accordi
dissonanti in fortissimo, poi da un canto improvvisato e da un tempo di marcia (già sentito in Iberia): questi bruschi
cambi di stile e umore, questa rapsodica successione di situazioni musicali e virtualmente teatrali (pure presente, in
modo ancora più bizzarro, nell’ultimo brano della raccolta: "Minstrels". Menestrelli, dedicato a quei musicisti di strada
e da 'café-concert' così cari a Debussy) è probabile che fu tenuta presente da Stravinsky, che l’anno dopo la
pubblicazione del primo libro dei Préludes, cioè nel 1911, vide rappresentato al Théatre du Chaletet di Parigi uno dei
suoi balletti più famosi: Petrouschka, dove l’idea del brusco ed asimmetrico alternarsi di diversi temi, canzoni, spunti
ritmici, costituisce il punto di partenza di molte scene (e, in generale, dello stile del compositore russo). Si è quindi in
difficoltà nel momento in cui si cerca di attribuire all’uno o all’altro compositore il merito di aver introdotto per primo
la tecnica della frammentazione ritmico-timbrica del discorso musicale: sia l’ultimo Debussy che il primo Stravinsky la
adottano, all’incirca dal 1910 in poi, sia pure con differenti atteggiamenti, dal momento che le ‘spezzature’
stravinskiane risultano più crude e taglienti dal punto di vista timbrico

Il secondo libro dei Préludes.

Nella seconda raccolta dei Preludi, del 1913, si nota ancor più una spregiudicatezza timbrica e armonica che rimanda
alle acquisizioni dell’estrema maturità debussiana, delle quali sono piena testimonianza sia il balletto "Jeux" che gli
Studi per pianoforte.

Tale spregiudicatezza si nota fin dal primo brano: "Brouillards" (Nebbie) un pezzo ‘naturalistico’ in cui la nebbia, già
descritta da Debussy nel paesaggio marino leggendario de "La cathédrale englotie", in questo caso determina una vera
e propria ‘nebbia’ tonale, dal momento che il brano è basato su una sovrapposizione politonale fra gli accordi nel tono
di Do maggiore e i frammenti di scala su quintine di biscrome nel tono di Mi bem. minore; un delicato motivo in Fa #
misolidio ed una serie di enigmatici arabeschi nella politonalità Re maggiore – Sol# o La bem (in quinta vuota) fanno da
sezione centrale prima del ritorno variato della situazione iniziale. Il pessimismo ‘naturalistico’ già notato in alcuni
brani del primo libro, si può notare in "Feuilles mortes" (Foglie morte), dove la caduta delle foglie è vista in una
situazione di monocromia timbrica assoluta: sempre in piano o in pianissimo, un moto di lenti accordi all’acuto e di
tenui frasi melodiche determinano una ennesima situazione di staticità musicale, confermata dall’incerto senso
tonale: da notare, anche in questo caso, un’impostazione armonica di sapore politonale, essendo tutta la prima parte
della composizione (miss.1-28) basata sulla sovrapposizione dei toni di Do# minore- Mi magg. e il tono di La minore,
con passaggi cromatici che rendono ancora più ambiguo il senso tonale, mentre ancora più stridente risulta la
bitonalità Fa# maggiore-La minore che si può notare battute 31-35.

Al languore dei primi due brani fa da contraltare il terzo, che è il pezzo ‘spagnolo’ di questa raccolta: "La puerta del
vino", ispirato ad una cartolina che illustrava una delle porte di Granada.

Caratterizzato dalla costante scansione di un ritmo di Habanera, il pezzo è piuttosto interessante e variegato, dato che
la melodia inizia, analogamente alla prima melodia de "La sérénade interrompue", con note tenute su gradi congiunti
ma prosegue con rapidi scatti improvvisativi ascendenti-discendenti di sestine di biscrome: il tutto però con un
melodizzare di sapore politonale, cioè una melodia che si basa su un Fa minore con quarta aumentata sovrapposta ad
un accompagnamento di Re bemolle maggiore; seguono interessanti ritmi terzinati e frequenti alternanze fra terzine e
duine e viceversa, che rendono il brano estremamente avvincente, ben ritmato e ‘solare’, anche se non univoco, dato
che al centro della composizione troviamo rapidi abbellimenti discendenti che si inseriscono nel ritmo terzine-duine
ancora riproposto; su questo inserimento di abbellimenti Debussy prescrive 'ironique', aggiungendo quindi alla
passionalità del brano, ora calorosa ora più tenera, una nota scherzosa.

Ma a proposito di ironia, nel II libro dei Preludi troviamo due brani estremamente significativi: "General Lavine" e
"Hommage a S. Pickwick". Nel primo, il sesto della raccolta, ritorna ancora il ritmo di Cake walk – una variante del
ragtime – sul quale Debussy aveva già composto, nel 1908-1909, "Golliwogg’s cake walk" e "The little nigar". In questo
caso, tuttavia, si tratta di un pezzo decisamente sarcastico e caricaturale, che partendo dal desiderio di ritrarre la
figura del bizzarro Jongleur General Edward La Vine, ex militare di carriera, giunge a creare un gustoso bozzetto
antimilitarista. Come in molti lavori dell’ultimo Debussy notiamo uno stile bizzarro e asimmetrico, con rapidi
accavallamenti di episodi contrastanti; dopo una capricciosa introduzione fatta di note singole scandite su tempo forte
e accordi staccati nella destra, segue un ritmo base con sincope negli accordi della mano destra e un disegno
ascendente nella mano sinistra, che è presto interrotto da passaggi di accordi in controtempo e da una sezione
centrale con accordi che propongono una situazione ritmica ancora diversa. Insomma si procede a sbalzi, pause
improvvise, ritmi regolari interrotti, accordi, spezzoni melodici, note singole su tempi forti che parodizzano la marcia
militare etc. e ne scaturisce un gustoso quadretto parodistico.

Non meno interessante e spiritoso è "Hommage a S. Pickwick", nel quale per Debussy il punto di riferimento è il noto
personaggio del romanzo di Charles Dickens, appunto Mister Pickwick, ma nell’attacco del brano si coglie l’occasione
per un accenno parodistico all’inno nazionale inglese. Dopodiché una sezione con figurazioni in ritmo puntato descrive
la figura ciarliera e un po’ goffa di Pickwick, ma il flusso ritmico è improvvisamente interrotto da una serie di accordi
bruschi e di rapide scale. Torna, quindi, ancora, il tema sul tempo in ritmo puntato ma in ritmo raddoppiato come
velocità con breve sovrapposizione dell’inno nazionale inglese (miss.37-40);questo ‘tema di Pickwick’ torna poi ancora
nel ritmo giusto, ma solo per tre battute, dato che ancora viene interrotto da una diversa situazione timbrica: un
rapido e improvviso movimento di terzine; anche le ultime battute sono ancora accostamenti bruschi di diverse frasi
ritmico-melodiche. Ancora , dunque, il procedere spezzettato ed asimmetrico del discorso musicale è volto ad una
gustosa ed ironica interpretazione musicale di un personaggio, sia pure letterario.

In altri brani debussiani, questo senso compositivo della frammentazione e dell’interruzione (che caratterizza lo stile
dell’ estrema maturità debussiana e che il musicologo Jankélévitch chiamava “il regime della serenata interrotta”)
assume altri significati. Così nel brano "Ondine" , nel far rivivere musicalmente le ninfe della mitologia che
impersonano i flutti, si alternano rapidamente rapidissimi arpeggi e rapidissime scale interrotte da pause (allusione a
veloci movimenti nell’acqua), che inframmezzano una sorta di leitmotiv della composizione, un tema ‘lidio’ (cioè con
quarta aumentata) dato da veloci note in appoggiatura (che lega le note due a due) su gradi congiunti proposto, in due
passaggi distinti (miss.16-17 e 26-27) in tono di Re maggiore poi, a seguito delle consuete spericolate modulazioni
debussiane, nel tono di Mi bem. maggiore (miss.38-39): forse è l’allusione a un racconto delle ondine che descrivono
eventi misteriosi; il clima di ‘mistero’ è ulteriormente accentuato da un passaggio della sezione centrale (miss.44-47)
in un pianissimo mormorando dove su un ambiguo arpeggio in ostinato sull’accordo di nona minore sul Fa#, sul quale
si colloca una sorta di elaborazione cromatica per doppie terze del tema ‘lidio’.
L’impressionismo-simbolismo di Debussy è pur sempre presente in questo secondo libro, malgrado le novità
compositive di questa raccolta, e lo possiamo notare soprattutto in due brani:

"La terrasse des audiences du clair de lune" (la terrazza delle udienze al chiaro di luna) il n. VII, e "Canope", il n. X. Nel
primo dei due ritorna il clima del "Clair de lune" della "Suite bergamasque", soprattutto per via dei frequenti passaggi
di accordi delicatamente ribattuti, ma completamente diversa è la situazione compositiva (sono passati più di
vent’anni...) e l’armonia è più intricata e complessa, le linee melodiche più cromaticizzate, come si può notare dal
primo motivo, che, facendo seguito ai delicati accordi ribattuti introduttivi, consiste in un delicato arabesco cromatico
discendente che proveniente dai registi acutissimi sfocia nei consueti corposi e diversi accordi di settima tipici di
Debussy. A questa situazione timbrica seguono, sia pure in una sonorità sempre attutita, situazioni da “serenata
interrotta” (miss. 7-15), forse allusione ad un elaborato discorso interrotto senza enfasi, e quindi un secondo motivo,
sempre cromatico ma su ambito molto ristretto e raddoppiato all’ottava, con sostegno di una nota pedale dei bassi;
forse è un altro ‘discorso interrotto’, che come il primo sfocia in quei delicati accordi ribattuti che, probabilmente, per

Debussy, simboleggiano il chiarore della luna. Dopo che, come quasi sempre accade in Debussy, viene citato
brevemente, nel finale, il motivo di partenza, una tinta esotica è data dalla chiusura del

brano, con acustissime successioni di bicordi raddoppiati di quinte vuote: allusione all’ India, paese in cui le udienze
dei reali si svolgono di notte nelle terrazze consiliari. Il clima esoticheggiante caratterizza anche "Canope": il canopo è
un vaso funerario dell’antico Egitto, che doveva contenere i resti del defunto; la trasfigurazione musicale del
compositore francese prevede all’inizio un motivo di accordi in un tono di Re minore ma la presenza di accordi o
passaggi melodici con Do naturale, Mi bemolle, Si naturale fanno oscillare il tono fra l’eolico, il dorico e il frigio (miss.1-
10); la sezione successiva propone, come sempre nell’ultimo Debussy, situazioni contrastanti accostate nel giro di
poche battute, ma, in questo caso (miss. 11-25) si nota più che mai una costruzione con una complessa serie di
duplicazioni che si può riassumere nello schema seguente: a-b-a’/ c-c /-d-e-f-e/ -g-h-g-h’/-i-i’. la ripresa del tema
iniziale è conclusa con una serie di passaggi di accordi in toni lontani (difficile parlare di ‘modulazione’ per quanto
lontani sono i procedimenti debussiani dalla tradizione) che conducono ad un inaspettato tono finale di Do maggiore
in accordo di nona di prima specie (miss.26-33); forse in questo pezzo Debussy ha voluto simboleggiare una
provvisoria e magica presenza nella vita reale dell’anima del defunto, che esce delicatamente dall’urna e, dopo avere
peregrinato impalpabilmente nel regno dei viventi ritorna dolorosamente nel regno dei morti.

Feux d’artifice

Le arditezze timbrico-tonali riscontrabili un po’ ovunque nel secondo libro dei "Préludes" giungono al culmine
nell’ultimo brano, "Feux d’artifice" (Fuochi d’artifichio), dove da un lato Debussy da vita al consueto pezzo di bravura
tecnico-virtuosistico tipico dei brani finali dei suoi cicli, ma soprattutto realizza una sperimentazione sonora assoluta e
mai udita in nessuno degli 11 Preludi precedenti. Provando a descrivere schematizzando questo incredibile brano ne
notiamo alcune caratteristiche:

- prevale in senso assoluto la componente timbrica, che sfocia decisamente in effetti quasi rumoristici: il pezzo è
basato su un’alternanza di una serie di rapidissimi passaggi ostinati di frammenti di scale, arpeggi e, in parte, anche
accordi violenti il modo con cui il compositore francese intende trasfigurare musicalmente i fuochi d’artificio di un
giorno di festa,

-tale gioco ‘pirotecnico’ musicale prevede, oltre ad una velocissima sfuriata ritmico-motoria,alcuni accenni a suoni
provenienti da lontano (vedi, ad es., i salti di ottava sui registri acutissimi alle miss. 3-14 : in passi di questo tipo più che
mai la tendenza debussiana alla ‘spazializzazione’ della musica in Debussy trova una convincente prova)

- il contesto tonale è assolutamente indecifrabile: solo apparentemente il tono è fa maggiore; le figurazioni di terzine
fa-sol-la della mano sinistra sono praticamente annullate dalle successive terzine su Si bem,- La bem. – Sol bem. della
mano destra; il senso tonale è poi ulteriormente compromesso dalla velocità dei passaggi e da modulazioni in toni
lontanissimi- come Re bemolle maggiore, La maggiore, Fa # magg. etc.- da frequenti cromatismi e da una ambigua e
politonale conclusione sul tono di Re bemolle – Do maggiore)

- Le figurazioni di ostinati su frammenti di scale su cui si basa la fase iniziale della composizione vedono una sorta di
graduale espansione delle gamme, partendo da figurazioni comprese, cromaticamente o diatonicamente, nell'ambito
di una quarta -giusta o aumentata- (miss. 1-24) con l’inserimento, poi, di vari tipi di figurazioni pentacordali ed
esacordali (miss. 25-38) fino a giungere a rapidi disegni eptatonici (miss. 39 e seg.);

- non mancano quei ‘pulviscoli sonori luminosi’ all’acuto che rimandano alla lezione lisztiano-raveliana ma che in
questo caso giungono al culmine : si vedano, ad es, i velocissimi passaggi alle miss.16-17 conclusi con un glissando,
oppure gli insistiti e pure velocissimi passaggi arpeggiati, sempre all’acuto, con contrasto fra quartine nella mano
destra e terzine nella mano sinistra nella ‘quasi cadenza’ della battuta 67.

- è totale l’esclusione del parametro melodico. In questo brano, dove tutto è timbro ed effetto sonoro-rumoristico,
della melodia non rimane altro l’accenno conclusivo (miss. 91-96) al tema della marsigliese, dove il tema patriottico
non è affatto enfatizzato ma è quasi sbiadito, dimesso, in pianissimo, in scrittura politonale (il tema è in Do maggiore
su un accompagnamento di Re bemolle maggiore) e, come molti suggestivi temi debussiani, giunge de très loin (da
molto lontano).

Le Douze études ( I Dodici studi).

Lo scoppio della prima guerra mondiale (1914) e i primi drammatici eventi bellici determinarono in Debussy il
desiderio di rinchiudersi compositivamente in una dimensione più ‘astratta’ che lo aiutasse a tollerare meglio i clamori
e gli orrori della guerra; di qui un ripiegamento di tipo nazionalistico-classicistico che lo indusse a ricollegarsi ancora
alla tradizione musicale francese del ‘700, a Bach e a Chopin. In questa ottica va vista la presenza esclusiva, negli
ultimi anni della sua vita, di musica ‘assoluta’ e la scelta di un tipo di composizioni dalle quali fosse escluso qualunque
tipo di impegno contenutistico. In una lettera a Robert Godet dell’ottobre 1915, Debussy esaltò lo splendore della
musica ‘pura’ , “scritta senza alcun partito preso”, una musica che contiene una “quantità di emozioni introvabile in
ogni altra arte”. In questa fase(1915-17) il musicista francese compose sei Sonate per diversi strumenti, una Sonata
per violoncello e pianoforte, una Sonata per flauto, viola e arpa e una Sonata per violino e pianoforte, lavori che
portano alle estreme conseguenze alcuni aspetti già intravisti in Jeux e in molte pagine dei Préludes: si tratta di pagine
che hanno in comune, pur nella diversità di atteggiamenti, la tendenza ad uno stile rapsodico, frammentario, nervoso,
spesso con momenti di sarcastica ironia, di bizzarria compositiva, ma, al tempo stesso , dense di sperimentazioni
timbriche e di arditezze tonali. In tale ottica va anche visto l’ultimo grande ciclo pianistico dei Debussy: I "Douze
études" (Dodici studi).

Debussy compose i suoi Studi ( dividendoli in due libri con sei brani ciascuno) fra l’agosto e il settembre del 1915. Gli
Studi sono dedicati alla memoria di Chopin, un autore che fin dall’inizio era stato un punto di riferimento
fondamentale del pianismo debussiano. Diversa è, al di là delle ovvie differenze storiche sul piano tonale-timbrico,
l’impostazione generale delle due raccolte; mentre negli Studi chopiniani abbiamo per ciascun brano un problema
tecnico da risolvere ‘didatticamente’ con l’ossessiva ripetizione di una figurazione, e quindi con una certa ‘monotonia’
timbrica, trasfigurata, tuttavia, dalla bellezza sonora dei temi a figurazione e dalla incredibile ricchezza armonica, gli
Studi di Debussy propongono una variegazione ed una mobilità espressiva che rientra nelle caratteristiche
dell’estrema produzione del compositore francese. Se, poi, Chopin partiva dal fatto tecnico per creare autentici
capolavori di creatività virtuosistico-armonica, Debussy parte dal problema tecnico per portare ulteriormente avanti
quel percorso di sperimentazione sonora già culminato nei due libri dei Préludes.

Il primo libro degli Studi:

Così notiamo che la semplicità ‘disarmante’ degli esercizi sulle cinque dita di czerniana memoria, nello studio n. 1 (per
le cinque dita), diventa il pretesto iniziale per una frenetica corsa di movimenti scalari, ostinati, arpeggi e accordi, resi
con continue accelerazioni, decelerazioni e fortissimi sbalzi dinamici e tonali, che si concludono con lo Strepitoso e
velocissimo passaggio su una scala di Si bemolle minore che esplode (con arditissimo accostamento tonale) sul Do
maggiore conclusivo, mentre l’esercizio sulle doppie terze (nel secondo studio) fornisce la base per i consueti
‘spericolati’ passaggi modulanti debussiani (in questo caso sul tono base di Si bem. minore si innestano modulazioni
prima su Do maggiore , poi su Do # minore) e per una ‘rilettura’ cromatica, nella sezione centrale del brano, del tema
del Clair de lune. Negli altri Studi, si nota soprattutto una irrequietezza ritmica e dinamica, unita ad una consistente
instabilità tonale nel terzo e nel quarto studio (rispettivamente dedicati alla tecnica delle doppie quarte e delle doppie
seste), mentre nel quinto studio, per le ottave, dove l’instabilità ritmica è data persino dall’indicazione agogica posta
all’inizio della composizione, un eloquente 'liberamente ritmato', la tecnica delle ottave è posta al servizio delle più
raffinate sfumature dinamiche. Il sesto studio, per le otto dita, è forse l’unico che si ricollega al concetto chopiniano di
tema a figurazione, ma con una assoluta indefinitezza tonale: i frammenti di scala ascendente –discendente in
quartine si biscrome alternate fra le due mani, si succedono con continui cambiamenti di ambito tonale, creando un
effetto di ‘indefinito brusio’ per il quale è possibile che Debussy abbia pensato al finale della Sonata in Si bemolle
minore op. 35 di Chopin, costruito in modo tecnicamente diverso (con moto di terzine e note all’unisono fra le due
mani), ma in un pianissimo assai veloce, senza accordi di base e tendenzialmente atonale. In realtà, concludendo così,
con un ardito pezzo di bravura, il suo primo libro degli Studi, Debussy si ricollega al concetto compositivo generale dei
brani finali, tutti brillanti e virtuosistici sia pure in diverse soluzioni compositive, dei suoi cicli precedenti ("Pour le
piano", "Estampes", "Images I e II" "Préludes"), anche per l’arditezza tonale, e l’analogo movimento iniziale di
figurazioni scalari rapide alternate fra le due mani, accosta questo studio più che altro a "Feux d’artifice", che
concludeva il secondo libro dei "Préludes".

Il secondo libro degli Studi.

I sei brani del secondo libro degli Studi completano le sperimentazioni tecnico-sonore della prima raccolta. Il primo
brano è dedicato alla tecnica del cromatismo (dei gradi cromatici), con una soluzione molto diversa da quella adottata
da Chopin nello Studio n. 2 dell’op. 10, dove la pregnanza degli accordi scanditi dalle due mani sui tempi forti dava
sostanza armonica al moto perpetuo del cromatismo velocissimo della mano destra; nel brano debussiano, invece,
mai il veloce e continuo cromatismo, che coinvolge entrambe le mani, è ‘rimpolpato’ da accordi che diano un
qualunque senso ‘direzionale’ armonico- tonale al brano: affiora solo, a frammenti, un tema di accordi tenuti e ritmo
puntato che, essendo proposto in diverse armonizzazioni non fa altro che accrescere quel senso di disorientamento
tonale , che, del resto, caratterizza tutti e dodici gli Studi di Debussy. Il brano successivo, "Per gli abbellimenti", è un
delicatissimo ricamo timbrico, nel quale l’autore sfrutta soprattutto figurazioni arpeggiate rapidissime e acciaccature
(soprattutto doppie o triple), introducendo, nella sezione centrale, in dialogo fra le due mani, uno dei rari momenti
melodici dell’intera raccolta di Studi, anche se si tratta di una melodia tonalmente fluttuante fra incerte zone di Do
maggiore e di La maggiore-Fa# minore. L’atteggiamento ironico e un po’ bizzarro che si è già menzionato come uno
degli aspetti dell’estrema produzione debussiana caratterizza lo studio "Per le note ribattut", dove questa tecnica è
sfruttata per creare, ancora una volta, una situazione di variegazione di effetti timbrici, di dinamiche e di tonalità
contrastanti ed ambigue. Un approfondimento sonoro delle varie sfumature del piano caratterizza lo Studio
successivo, "Per le opposte sonorità", dove troviamo una minuziosa rassegna dei vari tipi di tocco delicato: 'piano',
'pianissimo', 'più che pianissimo', 'piano espressivo e profondo', 'pianissimo decrescendo', 'pianissimo 'lontano ma
chiaro e gioioso' 'piano dolce', 'piano marcato', 'piano espressivo e penetrante', etc. Il penultimo brano della raccolta,
"Pour les arpèges composés (per gli arpeggi composti) è una esplorazione delle possibilità dell’arpeggio, ora inteso
nelle sue autonome possibilità timbriche, ora inserito in una scrittura con note tenute ai bassi che danno la melodia,
secondo una tradizione romantica di ascendenza lisztiano-chopiniana.

"Pour les accords".

Contrariamente a quanto finora aveva fatto in quasi tutti i suoi cicli, compreso il primo libro degli Studi, l’ultimo
brano non è un pezzo di virtuosismo basato sulla tecnica leggera ma uno Studio dedicato agli accordi: "Pour les
Accords". Qui, però la sonorità è di due tipi: all’inizio accordi di sonorità aggressiva e in fortissimo, con una sonorità di
tipo percussivo e marcato, con spregiudicati accostamenti fra accordi in tono minore e in tono maggiore (ad es.
l’attacco vede una successione ripetuta fra l’accordo di Fa minore e quello di La maggiore); nella fase centrale gli
accordi sono in pianissimo, in ritmo lento, pure con arditi accostamenti armonici (ad es. Fa # magg. – Si bem.
maggiore alla battuta 84) e in un clima decisamente ‘sospensivo’; infine ritorna con alcune varianti la successione
accordale iniziale. In un brano del genere è inevitabile pensare ad un riferimento al clima bellico: la violenza della
guerra prima, la pensosa ricerca della quiete poi.. infine il ritorno alla tensione drammatica iniziale. Una situazione
analoga si riproponeva nella Polacca op. 44 in Fa diesis minore di Chopin, ma in un diverso contesto armonico tonale
più decisamente ottocentesco-romantico e con un delicatissimo Tempo di Mazurka collocato al centro della
composizione a fare da contrappeso all‘ intensità drammatica della sezione principale.

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