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Anna Galliano

CORSO di ANALISI DELLE FORMA COMPOSITIVE

Le nozze di Figaro o sia la folle giornata


Opera comica in 4 atti
Libretto di Lorenzo Da Ponte musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Parte prima: il contesto

1 Vienna nel decennio mozartiano

2 Personaggi
- L’imperatore Giuseppe II
- Il barone Gottfried van Swieten
- Il conte Zinzendorf
- Il barone Raimund von Wetzlar

3 Musicisti
- Giovanni Paisiello
- Giuseppe Sarti
- Antonio Salieri
- Caterina Cavalieri
- Il cast della prima delle Nozze di Figaro:
Francesco Benucci, Nancy Storace, Luisa Laschi, Stefano Mandini, Dorotea Bussani,
Francesco Bussani, Maria Mandini, Mixhael Kelly, Anna Gottlieb

4 Opera seria, opera buffa, opera mozartiana

5 Il testo
- Caron de Beaumarchais
- Lorenzo Da Ponte
- Mozart e Le mariage de Figaro

6 Le nozze di Figaro: personaggi e trama

Bibliografia di riferimento

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1 VIENNA

Negli anni ’80 del XVIII secolo Vienna era una città di circa 250.000 abitanti. Era la capitale del Sacro
romano impero, che comprendeva i territori dinastici degli Asburgo, cioè l’Austria, la Slovenia, il
Lombardo Veneto, la Boemia, l’Ungheria, una parte del Brabante. In quanto capitale era sede della
corte degli Asburgo, e ospitava i palazzi viennesi dei grandi elettori (vere e proprie corti autonome),
come pure i palazzi dei nobili locali e i palazzi viennesi della nobiltà delle regioni più lontane. Anche
gli ambasciatori tenevano corte, con sfarzo principesco. Accanto a questa società “alta”, che
essendo così numerosa aveva necessità di molta manodopera, sia per le necessità materiali sia per
le necessità spirituali o di rappresentanza, a Vienna c’era una popolazione meno intellettuale, che
apprezzava vino e birra e intrattenimenti che puntavano a stupire, come lotte fra animali feroci,
oppure spettacoli raccapriccianti come la marchiatura a fuoco dei criminali (prima che Giuseppe II
abolisse la tortura), o – a livello di rappresentazioni teatrali – commedie in cui sul palco volassero
calci e schiaffi, reali e in abbondanza. La musica occupava uno spazio grande. A leggere le cronache
dell’epoca si resta abbastanza impressionati dallo spazio della musica nella quotidianità, non solo
dalla parte di chi la musica la faceva per mestiere o per piacere personale, ma anche da chi si trovava
di passaggio in centro nei giorni di recita (il frastuono delle carrozze e degli zoccoli dei cavalli),
musica in strada, musica in chiesa, copisti e editori, costruttori e mercanti di strumenti.
Una fonte di prima mano riguardo la vita quotidiana viennese degli anni ‘80 è il libro Skizze von
Wien, di Johann Pezzl. Le vivaci descrizioni sono arricchite da stampe, e dato che l’autore era della
leva di Mozart possiamo immaginare che le scenette che racconta e riporta come illustrazione
fossero all’incirca le cose che vedeva quotidianamente il compositore. Purtroppo il testo non è
facilmente reperibile, ma se ne trovano abbondanti citazioni nel libro su Mozart di Robbins Landon.
Un’altra fonte, più facile da trovare e in lingua italiana, che però riguarda il decennio precedente, è
il “Viaggio musicale attraverso l’Italia e i Paesi bassi, di Charles Burney, che dedica molte pagine a
Vienna e in particolare alla vita musicale e intellettuale viennese. Altra fonte di prima mano relativa
al decennio mozartiano, in particolare al mondo dell’opera, sono i Diari del conte Zinzendorf,
conservati nell’archivio della biblioteca di Vienna, e utilizzati dagli autori dei più recenti studi sui
compositori attivi in loco nell’epoca di Giuseppe II.
Le principali istituzioni musicali in città erano i due teatri imperiali, il Kärtnerthortheater e il
Burgtheater. Vi si rappresentavano sia drammi in prosa sia opere. L’opera italiana aveva prosperato
a Vienna – come in tutta Europa. già dagli anni ’70. C’era poi anche un apposito teatro per l’opera
francese, ma il livello delle opere francesi e del balletto era molto basso, per cui Giuseppe II -
all’epoca coreggente con la madre, e più interessato a promuovere un teatro in lingua tedesca -
abolì i contratti già in atto per l’opera buffa francese e il balletto. Per iniziativa di Giuseppe II nel
1878 Il Burgtheater cambiò il nome in Teatro nazionale tedesco. Il primo Singspiel rappresentato in
questa sua nuova veste fu Die Bergknappen di Ignaz Umlauf (in quel periodo direttore sostituto di
Salieri all’Opera di corte), in cui debuttò Caterina Cavalieri, e fu un grande successo cittadino.
L’imperatore, perseguendo il suo obiettivo, pochi anni dopo commissionò e fece rappresentare il
Singspiel Il ratto dal serraglio, di Mozart. Nonostante il successo di quest’opera, tuttavia i viennesi
preferivano nettamente l’opera italiana, Giuseppe II se ne dovette fare una ragione e nel 1883 la
stagione dell’Opera tedesca al Burgtheater fu sostituita da una stagione di Opere comiche in
italiano. L’orchestra dell’Opera, diretta da Salieri dopo la morte del suo predecessore e maestro
Gasmann, era piuttosto grande per l’epoca; era formata da 6 violini primi e 6 violini secondi, 4 viole,
3 violoncelli,3 contrabbassi, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 trombe e 1 timpano: 35
strumentisti, contro i 24 dell’orchestra di Haydn ad Esteraza, in cui i fiati erano singoli.
I cantanti solisti scritturati stabilmente erano 8 donne e 10 uomini; in più c’era un coro di una
trentina di elementi. Fra i solisti che vi lavoravano stabilmente alcuni sono noti per aver interpretato
lavori di Mozart: i soprani Caterina Cavalieri e Aloysia Lange nata Weber (la sorella di Constanze, ex
amore non corrisposto di Mozart), Johann Valentin Adamberger (il tenore preferito di Mozart).
L’aspetto curioso, visto con i nostri occhi, è che ogni solista era specializzato in un ruolo predefinito;
per esempio Adamberger interpretava da contratto il ruolo di “amoroso giovane, gentile e ardente,
la Lange parti di “prima amorosa gentile e tenera inoltre parti di fanciulla ingenua”.
Oltre alle orchestre dei due teatri ufficiali c’erano in Vienna musicisti al servizio stabile o
temporaneo di qualche mecenate; uno delle formazioni più caratteristiche del periodo era un
insieme di fiati detto Harmonie, nella forma più tipica 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni. Le Harmonie,
inizialmente tipiche dei musicisti girovaghi boemi, si erano diffuse in Vienna come musica per
rallegrare le scampagnate o occasioni speciali, ed anche semplicemente i pasti, specialmente dopo
che l’imperatore lanciò la moda facendone uso per la sua tavola privata. Di conseguenza il lavoro di
trascrizione di musica operistica per insieme di fiati divenne un lavoro quantitativamente
importante. La presenza diffusa delle Harmonie riguarda da vicino Mozart dal punto di vista
compositivo: non solo scrisse importanti composizioni per ensemble di fiati, ma una delle
innovazioni più eclatanti della sua orchestrazione è proprio la ricchezza nell’uso dei fiati, usati quasi
sempre a coppie, cosa che nelle Nozze di Figaro si nota molto.
E poi c’erano le orchestre private, come quella degli Esterhazi, che quando stavano a Vienna davano
in genere concerti privati; c’erano i musicisti dell’Arcivescovo Colloredo - al seguito dell’Arcivescovo
quando questi si spostava da Salisburgo a Vienna con una parte della corte - che si esibivano nella
Casa dell’ordine dei cavalieri teutonici. Mozart era appunto nella situazione di musicista di corte di
Salisburgo in trasferta a Vienna, quando nel 1782 divenne insofferente della dipendenza e ruppe
con l’Arcivescovo suo padrone, costringendolo a licenziarlo, per restare a Vienna come musicista
indipendente.
C’era il palazzo del principe Galitzin, l’ambasciatore russo, una delle molte e importanti figure di
mecenate, come negli anni seguenti ci fu Razumov, tutti personaggi passati alla storia della musica
in quanto dedicatari di opere molto note. C’erano i conti Thun, il conte Pàlffy, il barone van Swieten,
e molti altri, tutti in qualche modo promotori di eventi in ambito musicale, e sostenitori dei musicisti.
Una istituzione musicale di diversa natura era la Tonkünstlersocietät, che organizzava concerti di
beneficenza a favore degli orfani e delle vedove dei musicisti. I concerti di questa società avvenivano
durante il periodo di Quaresima e a Natale, in quanto erano i periodi in cui non si facevano opere, e
quindi erano liberi anche i musicisti che vi lavoravano, i migliori di Vienna. La società disponeva di
un organico grandissimo (fino a 180 elementi). Mozart prese parte ai concerti della
Tonkünstlersocietät per la prima volta nel 1781, non senza contrasti con l’Arcivescovo che non
vedeva con piacere le esibizioni del suo dipendente al di fuori dalla sua cerchia privata. Una sua
sinfonia (non si sa se la n.31 o la n.34) fu eseguita con un organico di 68 archi, 6 fagotti e tutti i fiati
raddoppiati: nella lettera di resoconto al padre (4 aprile 1781) mostra di essere molto soddisfatto
del pubblico viennese. “Dovetti ricominciare da capo, perché gli applausi non finivano mai”. Fra il
pubblico c’era anche l’imperatore.
Per quanto riguarda il popolo, che non aveva la possibilità di frequentare l’opera ufficiale, il luogo
dove la maggior parte dei viennesi sentiva musica era la chiesa. In ogni chiesa ogni giorno si svolgeva
una messa cantata, con cantanti, organo e un insieme più o meno grande di archi e generalmente
di buon livello. Come osserva Charles Burney nel suo Viaggio musicale, era qui e nelle sale da ballo
che avveniva l’educazione musicale del popolo. Questo almeno fino agli anni ’80. Poi la musica sacra
ricevette una battuta di arresto dalle riforme giuseppine; ritenendo infatti troppo complicata la
musica da chiesa e volendo puntare sulla partecipazione dei fedeli alla liturgia con canti in tedesco,
Giuseppe II di fatto ridusse drasticamente la quantità della musica in chiesa ed anche la qualità,
perché la melodia dei brani corali doveva essere in tedesco ed essere abbastanza semplice da essere
cantata dalla popolazione. Il motivo di tale scelta è del tutto simile alla creazione del corale luterano
di due secoli prima, ma qui siamo nella cattolicissima e musicalissima Vienna; c’è anche da dire che
l’intero movimento detto giuseppinismo (dal nome dell’imperatore che aveva operato le
innovazioni) riflette la volontà di un avvicinamento fra cattolicesimo e luteranesimo. Conseguenza
diretta delle riforme di Giuseppe II in ambito religioso fu che molti giovani musicisti viennesi persero
il lavoro.
In più, nella Vienna di Mozart c’erano tre editori di musica: Torricella, di origine italiana, Artaria, e
Huberty, parigino. Nel giro di pochi anni però sia Torricella sia Huberty dovettero chiudere, e Artaria
rimase il padrone dell’intera editoria viennese. A Vienna viveva e lavorava una fitta schiera di copisti,
perché la maggior parte della musica eseguita doveva essere una novità, per attirare il pubblico:
molto lavoro per i compositori, ma anche per chi doveva trascrivere velocemente le parti necessarie
prima dell’esecuzione. Mozart, come tutti i compositori che scrivevano musica quasi in
continuazione, aveva bisogno di una casa grande anche per dare spazio ai copisti che lo
coadiuvavano.
A questi mestieri in ambito musicale bisogna aggiungere il mestiere dei costruttori di strumenti: a
Vienna lavorava una bella schiera di costruttori di pianoforti, fra cui Schanz e Walter; e da Augusta,
dove si era stabilito Stein, un operaio di Silbermann, erano arrivati i suoi figli Nanette e Matteo;
Nanette divenne poi moglie del fabbricante Andreas Streicher.
2 PERSONAGGI

Martin van Meytens – 1760 - Corteo per il matrimonio di Giuseppe II con Isabella di Borbone

L’imperatore Giuseppe II
L’imperatore Giuseppe II di Asburgo-Lorena è sicuramente una figura di primo piano nella vicenda
mozartiana, e specialmente anche per ciò che riguarda l’opera Le nozze di Figaro. Vale quindi la pena
di soffermarsi sul suo operato come regnante. Nato a Vienna il 13 marzo 1741, fu imperatore del
Sacro Romano Impero dal 1765, dapprima associato al trono sui domini della famiglia d'Asburgo con
la madre Maria Teresa fino alla morte di lei, avvenuta nel 1780, e poi unico regnante fino alla sua
morte, avvenuta nel 1790 . Maria Teresa, la “madre dell’Austria” (o dell’Europa, visto che ebbe 16
fra figli e figlie, molti dei quali, grazie a una attenta politica matrimoniale, furono sparpagliati a
regnare qua e là in Europa) nel 1740 fu la prima (nonché unica) donna della Casa d'Austria ad
ereditare il governo dei vasti possedimenti della monarchia asburgica. Giuseppe era nato poco dopo
lo scoppio della Guerra di successione austriaca, e Maria Teresa predispose per lui un'educazione
orientata al meglio delle conoscenze culturali e militari dell'epoca, con studi comprensivi degli scritti
di Voltaire e degli enciclopedisti francesi da una parte, e l'esempio diretto di monarchia assoluta
di Federico II di Prussia dall'altra. Fu istruito sui meccanismi di funzionamento e sui dettagli
dell'amministrazione dello stato imperiale, così da renderlo un giorno capace di amministrare
concretamente lo stato. Nel 1765, alla morte improvvisa del padre, Giuseppe II salì al trono del Sacro
Romano Impero, ma associato ufficialmente alla madre come co-reggente su tutti gli stati
di collazione arciducale. Sappiamo dai documenti d'epoca che in moltissime occasioni Giuseppe
aveva manifestato idee completamente opposte a quelle della madre, soprattutto in politica
interna, ma fu comunque soggetto alla volontà di lei. Si sposò nel 1760 con Isabella di Borbone
Parma, che amò molto, ma morì di vaiolo pochi anni dopo. Fu costretto per ragioni dinastiche a
risposarsi, con Maria Giuseppina di Baviera, ma non volle mai aver niente a che fare con la nuova
moglie, e dopo la morte di lei, sempre di vaiolo, si dedicò anima e corpo alla gestione dello stato e
al progettare le riforme per la sua trasformazione. Alla morte di Maria Teresa, nel 1780, Giuseppe II
tentò di mettere in atto le riforme che gli stavano a cuore.

Giuseppe II è noto soprattutto per essere stato uno dei più grandi sovrani della storia propugnatori
dell'assolutismo illuminato. Una delle sue preoccupazioni fu il benessere del proprio popolo.
Nel 1782, abolì le servitù personali dei contadini e nelle proprietà reali essi divennero affittuari
ereditari. Riformò gli orari di lavoro per operai e braccianti, cosa che ovviamente fu osteggiata dalla
vecchia classe dirigente austriaca che vedeva nel lavoro a basso prezzo delle classi meno agiate una
forma facile di guadagno. Curò in maniera particolare l'aspetto della salute; fece anche –
progettandolo personalmente nei più piccoli dettagli - un ospedale a Vienna: questo prese il nome
di Josephinum.

Nel 1781 promulgò un Codice di procedura civile davvero innovativo e avanzato per i tempi, che
rimarrà in vigore fino alle soglie del ‘900. È un Codice che prevede, in un'ottica giurisdizionalista, un
forte controllo dello Stato sul giudice e sull'azione legale. Un analogo codice relativo al Diritto penale
non entrò mai in vigore, perché l'Imperatore morì prima della sua promulgazione. Sarebbe stato
anch’esso estremamente innovativo (per esempio non prevedeva la pena di morte. La più grande
innovazione in questo testo è che tutti i sudditi rispondevano a una stessa legge).

Uno degli aspetti sicuramente più rilevanti della politica di governo di Giuseppe II può essere
considerato il cosiddetto giuseppinismo, cioè il suo atteggiamento nei confronti della Chiesa, che
cambiò la concezione della religione non solo nei domini asburgici, ma in tutta Europa.
Nel 1781 l'imperatore abolì le discriminazioni religiose nei confronti sia dei protestanti sia
degli ortodossi (Patente di tolleranza) e permise l'emancipazione degli ebrei. Le sue riforme
ecclesiastiche furono rivolte a portare la Chiesa sotto il completo controllo dell’autorità statale, con
l’abolizione di molti privilegi economici. Durante il suo regno fu soppresso un terzo dei conventi e
furono ridotti di numero gli ordini contemplativi e religiosi. I conventi chiusi furono almeno 700 e i
religiosi passarono da 65 000 a 27000. Tale politica ecclesiastica, ovviamente, suscitò l'opposizione
del papa Pio VI, che nel 1782 andò fino a Vienna per tentare di moderare le riforme dell'imperatore,
che però fu irremovibile. Con l’appoggio del ministro delle finanze conte Karl von Zinzendorf,
Giuseppe II riuscì a introdurre un sistema uniforme per la gestione degli introiti e delle spese dello
stato. Decise di abolire tutte le esenzioni dall'imposta fondiaria di cui godevano le proprietà
ecclesiastiche, fatto che si rivelò una vera e propria manna per rimpinguare le casse dello stato
austriaco. L'Austria riuscì in questo a realizzare un sistema finanziario molto più solido di molti altri
paesi della medesima epoca in Europa (si pensi ad esempio al caso della Francia la cui situazione
economica disastrosa sarà una delle cause dello scoppio della Rivoluzione francese di lì a poco).

Ovviamente tanto l'aristocrazia quanto il clero furono ostili alla politica di Giuseppe II nonché alle
sue attitudini egualitarie come a quelle centralistiche. Altre opposizioni furono causate dalla politica
estera, che fu essenzialmente una politica di espansione, piuttosto sfortunata. Nel 1790
scoppiarono delle ribellioni di protesta contro le riforme di Giuseppe II nei Paesi Bassi austriaci e in
Ungheria, mentre altri domini continuavano a essere irrequieti sotto il peso della guerra con gli
ottomani. Con l'impero a rischio dissoluzione, Giuseppe II fu più volte costretto ad abbandonare
molti dei suoi progetti di riforma che sono giunti sino a noi solo sulla carta.
Giuseppe II fu un viaggiatore appassionato. Viaggiava per lo più in incognito, sotto il nome di Conte
di Falkenstein, che era in realtà uno dei suoi domini meno conosciuti. Nel 1777 andò in Francia,
anche con lo scopo di recarsi in visita a sua sorella Maria Antonietta, e darle buoni consigli. Durante
il soggiorno francese, Giuseppe II ebbe modo di incontrare alcuni dei principali personaggi
dell'illuminismo del suo tempo, fra i quali Rousseau e Voltaire.

Un notevole aspetto della politica di Giuseppe II fu la sua attenzione alle espressioni artistiche del
suo tempo. Desideroso di dare nobiltà intellettuale ai vari aspetti della cultura, spinse la produzione
di opere letterarie e teatrali in tedesco. Pur non abolendo la ferrea censura instaurata da Maria
Teresa, poco propensa alle arti e molto puritana, ne ridusse drasticamente il potere. Un’opera come
Le nozze di Figaro non avrebbe avuto possibilità di rappresentazione con la censura teresiana.

Appassionato di musica, seguiva in prima persona gli eventi teatrali ed il loro allestimento. Mozart
conobbe ben presto di persona questo imperatore così poco convenzionale, e divenne subito un
suo ammiratore, forse anche in conseguenza dell’ammirazione personale di Giuseppe II per la sua
musica. L’incarico a Mozart di un’opera in tedesco per il Burgtheater era stata sua diretta decisione.
L’appoggio a Mozart continuò anche negli anni seguenti, quando ormai lo stesso imperatore si era
reso conto che il Singspiel in tedesco non aveva attecchito, e aveva preferito fare ritorno all’opera
italiana. Fu lui a concedere il permesso alla rappresentazione come opera de Le nozze di Figaro, che
come dramma aveva il veto della censura. Fu probabilmente lui a commissionare Così fan tutte.

Durante i dieci anni del suo regno emanò più di 6000 editti, che coprivano praticamente ogni
questione pubblica o di suo interesse personale. Il dovere dello Stato, dunque suo, era secondo lui
di “assicurare la massima felicità al massimo numero di sudditi”, per cui lavorò tenacemente a
questo scopo basandosi sul suo punto di vista, che avevo molti punti in comune con l’illuminismo
francese. Tutto ciò, contrariamente alle sue aspettative, suscitò un’esplosione di proteste contro di
lui. Iniziando nel 1788 una guerra contro l’impero ottomano, Giuseppe si trovò a dover fronteggiare
una rivolta in Belgio e una minaccia di rivolta in Ungheria. Benché sorpreso da queste reazioni seguì
il consiglio di non provocare ulteriori malcontenti, e revocò molte delle sue riforme. Quando morì,
nel febbraio del ’90, era convinto di aver fallito tutti i suoi tentativi. Morì il 20 febbraio 1790 di
tubercolosi. In mancanza di discendenti, gli successe il fratello minore Leopoldo. Venne sepolto nella
Cripta dei Cappuccini di Vienna assieme alle salme dei suoi antenati.

Egli stesso dettò il suo epitaffio: "Hier ruht Joseph II., der in allem versagte, was er unternahm" (Qui
giace Giuseppe II, colui che fallì qualsiasi cosa che intraprese). In realtà alcune delle riforme diedero
un forte impulso alla vita quotidiana dell’impero, e sicuramente contribuirono alla sua solidità.
Il barone von Weztlar
Stando ai resoconti sulla nascita de “Le nozze di Figaro” uno dei mecenati viennesi passati alla storia
è il barone Weztlar. Karl Abraham Wetzlar era ebreo, nato nel 1715 probabilmente in Wetzlar, e
deve essere giunto a Vienna senza grandi mezzi. Meritò la fiducia di un banchiere con cui collaborò
e ne ereditò il patrimonio. Anche gli Asburgo devono aver saputo apprezzare le sue qualità, poiché
fu nominato agente di corte nel 1763. Nel 1776 si convertì al cristianesimo, per poter ricevere un
titolo nobiliare, diventando così Karl Abraham Wetzlar von Plankenstern. Grazie al suo consistente
patrimonio raccolse opere d’arte e aiutò generosamente molti musicisti fra cui Mozart. Fu a casa di
suo figlio, barone Raimund von Wetzlar, che Mozart conobbe nel 1784 Lorenzo Da Ponte e gli
propose di preparargli un libretto sulla pièce di Beaumarchais Le mariage de Figaro. Ben conoscendo
il veto che la censura aveva posto alla rappresentazione della commedia, il barone si disse pronto a
finanziare la versione in musica di quella pièce, per farla rappresentare al di fuori dai territori
asburgici. E a questo punto si sarebbe mosso Da Ponte, con il suggerimento alternativo di
temporeggiare, preparare segretamente il lavoro, e presentarlo poi direttamente a Giuseppe II,
opportunamente modificato nel libretto in modo da non incorrere nei veti della censura. La storia è
raccontata da Da Ponte nelle sue memorie, ed è probabile che le cose siano andate effettivamente
così. Se ne ha conferma indiretta dalle lettere di Mozart al padre: nel maggio 1783 scrive infatti di
essere alla ricerca di un libretto, e di contatti con Da Ponte “Come poeta abbiamo qui un certo abate
Da Ponte – Questi per ora ha già un lavoro pazzesco, perché deve rivedere i testi teatrali e deve fare
– per obbligo – un libretto tutto nuovo per Salieri. Prima di due mesi non avrà finito – poi ha
promesso di farne uno nuovo per me – chissà se poi può – o vuole! – mantener la sua parola. Lei lo
sa bene, i signori italiani sono molto gentili all’apparenza! Basta, li conosciamo! – Se è in combutta
con Salieri non riceverò un libretto finché campo. E desidero moltissimo cimentarmi in un’opera
italiana”. E nel 1785 finalmente l’occasione propizia arrivò, perché non andò a buon fine il progetto
di un’altra opera in cartellone, cosa di cui approfittò Da Ponte per proporre le Nozze, stando alle sue
memorie, proponendola direttamente all’imperatore.

Gottfried van Swieten


Gottfried van Swieten, nato in Olanda, trascorse buona parte della sua infanzia nei Paesi Bassi.
Suo padre, Gerard, era un medico di ottima reputazione, che nel 1745, divenne medico personale
dell’imperatrice Maria Teresa, e si trasferì a Vienna con la famiglia. Il giovane Gottfried, dopo gli
studi giuridici, fu avviato alla carriera diplomatica e dal 1755 al 1764 rappresentò la Corte di Vienna
a Bruxelles, Parigi, Varsavia e per un breve periodo in Inghilterra. Nel 1770 Gottfried van Swieten
divenne ambasciatore straordinario a Berlino. Il barone era un buon musicista, e a Berlino - dove
per molti anni Carl Philip Emanuel Bach aveva lavorato alla corte di Federico di Prussia - aveva avuto
conoscenza diretta della musica di Bach padre, e ne era diventato un appassionato cultore. Sostenne
la carriera di Bach figlio e acquistò numerosi manoscritti di Bach e di Haendel, che portò
successivamente a Vienna, facendo conoscere direttamente la loro musica ai suoi conoscenti, fra gli
altri a Mozart. Alla domenica mattina, Mozart si recava alla residenza del barone van Swieten,
situata all'interno della Biblioteca, per suonargli i Preludi e Fughe. Su suggerimento del barone,
Mozart trascrisse per quartetto d’archi alcune fughe del Clavicembalo ben temperato. Mozart, che
da bambino aveva conosciuto di persona un altro figlio di Bach, Johann Christian, accenna alle sue
visite domenicali al barone, grazie alle quali era riuscito a crearsi una collezione di Fughe di Johann
Sebastian, di Carl Philip Emanuel e di Wilhelm Friedemann. Il primo biografo di Bach, Johann
Nikolaus Forkel, dedicò proprio al barone van Swieten il suo libro sulla vita di Johann Sebastian
(1802), per il suo contributo alla diffusione della musica bachiana. Ritornato a Vienna nel 1777,
Gottfried van Swieten trascorse il resto della sua vita nella Biblioteca Imperiale come prefetto e
capo della censura. Continuò con perseveranza la sua opera di diffusione della musica “antica” (così
era definita la musica di Bach e di Haendel, morti rispettivamente nel 1750 e nel 1760), con la
fondazione della Società della musica antica, con concerti privati in cui venivano eseguite
composizioni di Haendel appositamente orchestrate per l’organico contemporaneo. Per Mozart
l’attività di orchestrazione e di direzione fu una fonte sicura di guadagni negli ultimi anni di vita (fra
l’altro l’orchestrazione del Messiah e dell’Ode a santa Cecilia). Benchè van Swieten sia descritto in
qualche cronaca come piuttosto avaro, per Mozart, e per altri suoi protetti fu un mecenate
importante e generoso.
Conte von Zinzendorf

Il conte Karl Johann Christian von Zinzendorf, nato a Dresda nel 1739, studiò legge all’università di
Jena e divenne un importante uomo di stato della corte asburgica. Dopo gli studi si recò a Vienna
dal suo fratellastro, il teologo Ludwig von Zinzendorf, e decise di restare nella capitale austriaca,
ricevendo incarichi di un certo rilievo. L’incarico più importante, per il quale è ancora ricordato ora
in Friuli, e con affetto, è stato quello di governatore di Trieste nella seconda metà del decennio
1770-1780. A lui si deve un notevole ammodernamento nell’amministrazione, e la costruzione della
strada Trieste-Vienna, in suo onore chiamata dal comune Zinzendorfia.

Tornato a Vienna, come tutte le personalità altolocate frequentava abitualmente l’opera e le altre
attività musicali di corte, pur non essendone particolarmente coinvolto. Nei suoi diari, insieme alle
osservazioni sulla vita cittadina, troviamo anche descrizioni relative al mondo dell’opera. Scrisse
molto, oltre ai Diari anche la sua autobiografia e la storia dei Ritter von Zinzendorf. Come tanti suoi
contemporanei, amava annotare giornalmente riflessioni ed eventi, ritratti e impressioni di viaggio.
I Diari di Zinzendorf sono testimonianze preziose, perché mescolati agli appunti di ogni giorno, come
il tempo o le incombenze da sbrigare, ritroviamo riflessioni su Trieste e la sua economia, così come
sulla politica, gli intrighi e i pettegolezzi alla corte degli Asburgo. Si tratta di settanta volumi, con
trecento pagine ciascuno, scritti in francese e conservati negli archivi di Vienna.
Conte Rosemberg

Discendente di un'antica e nobile famiglia originaria della Carinzia, gli Orsini-Rosenberg, il conte
austriaco Francesco Orsini von Rosenberg (Vienna, 1723) esordì nella carriera diplomatica come
ministro plenipotenziario a Londra. Tornato a Vienna dopo anni di servizio nella diplomazia, fu uno
dei consiglieri e collaboratori più importanti di Maria Teresa d'Austria. Nel 1766 Maria Teresa, che
lo considerava uno dei suoi uomini di maggior fiducia e capacità, lo inviò in Toscana in occasione
dell'insediamento del figlio Pietro Leopoldo a Granduca di Toscana. Orsini von Rosenberg rimase
a Firenze tre anni, dal 1766 al 1770, con l'incarico di aiutare il giovane principe nei primi passi del
suo governo e soprattutto - secondo il volere di Vienna – di contribuire a contenere le spinte
autonomistiche del Granducato di Toscana rispetto alla corona austriaca, alimentate spesso dalle
scelte politiche dello stesso granduca Pietro Leopoldo e dai suoi più stretti collaboratori toscani.

Dopo il suo rientro a Vienna Rosenberg ottenne per i servizi alla corona e i meriti riconosciuti la
carica di Gran Ciambellano, poi quella di Ministro di Conferenza e infine nel 1791 gli venne concesso
il titolo nobiliare di principe. Morì a Vienna nel 1796. Fu tenuto in grande considerazione anche da
Giuseppe II, che lo nominò Sovrintendente teatrale, coinvolgendolo nel progetto dell'Opera di
Vienna negli anni in cui era attivo Mozart. Numerose testimonianze lo descrivono come un ministro
saggio e molto abile. Probabilmente alcune sue scelte non coincidevano con quelle auspicate da
Mozart, per cui nelle lettere al padre il sovrintendente teatrale è spesso collocato nella “cricca degli
italiani”, volti a ostacolare i progetti provenienti da elementi al di fuori della sua cerchia.
3 Musicisti

Antonio Salieri è un personaggio di cui è inevitabile parlare nella Vienna mozartiana. Italiano, nato
a Legnago nel 1750, si avvicinò alla musica studiando violino con il fratello Francesco (allievo del
grande Giuseppe Tartini) e clavicembalo con un organista della sua città natale. Alla morte dei
genitori, intorno al 1764, si trasferì assieme al fratello a Venezia, dove continuò i suoi studi. Lì attirò
l'attenzione del Kapellmeister viennese Florian Leopold Gassmann, che si trovava a Venezia per
sovrintendere alla messa in scena di una sua opera. Il musicista austriaco rimase colpito dal talento
di Salieri, si affezionò sinceramente al giovane e lo prese con sé. Portatolo a Vienna alla corte
di Giuseppe II d'Asburgo, presso cui era dipendente, ne curò personalmente l'istruzione,
insegnandogli contrappunto, composizione, latino, tedesco e francese. A corte, Salieri attrasse
anche la benevolenza di altri personaggi, tra cui lo stesso imperatore che, alla morte di Gassmann
nel 1774, lo nominò successore del maestro defunto - a soli 24 anni – sia
come Kammerkomponist che come direttore musicale dell'Opera italiana a Vienna. Ebbe così inizio
una carriera brillante che lo avrebbe portato a diventare Kappelmeister alla corte asburgica,
compositore e insegnante di corte. Protetto dell'imperatore e in ottimi rapporti con le celebrità della
musica Gluck, Metastasio e Haydn, Salieri fu uno fra più prolifici autori di musica da camera
e musica sacra, ma soprattutto di opere liriche all'italiana del suo tempo. Fra l’altro la stessa
imperatrice Maria Teresa lo incaricò di comporre l’opera di inaugurazione del Nuovo Regio Ducal
Teatro (l'attuale Teatro alla Scala) fatto erigere a Milano, nel 1778. A Vienna aveva un enorme
potere sulle decisioni musicali di corte. Negli anni '90, con la morte di Giuseppe II, Salieri rimase
privo del sostegno imperiale (il successore Leopold non era altrettanto appassionato di musica):
oltre a questo non ebbe più l'opportunità di scrivere opere per Parigi, profondamente turbata dalle
vicende della Rivoluzione, né di usufruire del talento teatrale di Lorenzo Da Ponte, caduto in
disgrazia presso la corte e quindi emigrato. Continuò a lavorare come Hofkapellmeister. Per sua
scelta dispensato dal compito quotidiano delle prove all’Opera, Salieri continuò a curare la scelta
dei nuovi strumentisti e cantanti di corte, supervisionò l'acquisto degli strumenti e mantenne la
biblioteca musicale in buone condizioni. Negli ultimi anni della sua vita (si parla degli anni intorno
al 1825) diventò cieco e fu ricoverato in ospedale; in tale periodo il compositore si sarebbe
autoaccusato della morte di Mozart, dando in questo modo inizio alla leggenda che fu alla base del
fortunato racconto di Puškin, e confluita poi fino al film Amadeus di Milos Forman. Troviamo un
cenno riguardo a questa storia nei quaderni di conversazione di Beethoven (Salieri era stato per
qualche tempo insegnante di Beethoven, quando questi era giovane e arrivato da poco a Vienna).
Schindler si fa portavoce delle calunniose dicerie che correvano a Vienna. «Salieri sta di nuovo
malissimo. È completamente abbattuto. Delira sempre dicendo che egli è colpevole della morte di
Mozart e che gli ha dato il veleno». Beethoven deve mostrarsi incredulo se Schindler ribatte: «è la
verità, poiché egli vuole confessarsene; così tutto si paga». E il nipote Karl di rincalzo: «Ora si dice
apertamente che Salieri sia l'assassino di Mozart» (citazione da Luigi Magnani, Beethoven nei suoi
quaderni di conversazione, p. 167). Nel brevissimo dramma in versi Mozart e Salieri scritto da Puškin
nel 1830, Salieri, distrutto dalla raggiunta consapevolezza di non possedere il genio cristallino di
Mozart, uccide quest'ultimo avvelenandolo. Da allora l’idea dell’invidia di Salieri e del conseguente
avvelenamento ha attraversato la letteratura di quasi due secoli prima di giungere al bellissimo film
di Forman. Tuttavia la pretesa invidia di Salieri per Mozart alla base della sceneggiatura del film è
abbastanza improbabile, perché Salieri aveva fama e potere stabile a Vienna, mentre
l’apprezzamento dei viennesi per Mozart - per quanto a tratti vivissimo - fu sempre piuttosto
cangiante; inoltre, tra gli allievi di Salieri vi fu uno dei figli dello stesso Mozart, Franz Xaver Wolfgang.

Da parte di Mozart invece una certa dose di diffidenza verso Salieri c’era. Alla prima
rappresentazione delle Nozze di Figaro, che non fu il successo sperato, il compositore accusò Salieri
di averne boicottato l'esecuzione «Salieri e i suoi accoliti muoverebbero cielo e terra pur di farlo
cadere», commentò in una lettera alla figlia Marianne il padre di Mozart, Leopold, riferendosi al
parziale insuccesso.

Salieri morì a Vienna il 7 maggio 1825, a 75 anni. Al suo funerale, Schubert, suo allievo prediletto,
diresse il Requiem in do minore che lo stesso Salieri aveva scritto nel 1804 per la propria morte.

ANTONIO SALIERI
Giovanni Paisiello è uno degli ultimi grandi rappresentanti della scuola musicale napoletana e fra i
più importanti compositori del classicismo. Con le sue 94 opere ha contribuito in maniera
determinante allo sviluppo dell'opera buffa nell’ultimo trentennio del Settecento: grazie a lui la
commedia per musica napoletana divenne un genere sovranazionale. A parte questo, come
compositore riguarda abbastanza direttamente l’opera mozartiana, in quanto la prima parte della
trilogia di Beaumarchais, Il barbiere di Siviglia, fu musicata da lui e ebbe successo internazionale, e
fu eseguita a Vienna nel 1783, l’anno in cui a Mozart venne in mente di musicare il suo
proseguimento, Le nozze di Figaro. In mancanza di questo antecedente, forse, non ci avrebbe
pensato. Paisiello, nato a Taranto nel 1740 e destinato alla carriera giuridica, fu invece musicista
per le notevoli qualità musicali e vocali. Studiò a Napoli con Francesco Durante, divenendo
successivamente suo assistente. Il debutto nella carriera operistica come compositore avvenne nei
teatri emiliani, e dopo pochi anni di opere date in vari teatri italiani iniziò per lui in Napoli una
fortunata routine di commedie in musica (mediamente due all’anno) date al Teatro Nuovo. Nel 1776
accettò l’incarico triennale di direttore musicale degli spettacoli alla corte della zarina Caterina II di
Russia, a San Pietroburgo. Il Barbiere di Siviglia tratto dalla commedia di Beaumarchais vide la luce
proprio all’ Hermitage, il 26 settembre 1782, su un libretto di un autore ignoto. Il successo
internazionale di quest’opera è comprensibile: la semplice sintassi musicale, il gioco delle ripetizioni,
la declamazione sillabica mettono in risalto l’aspetto gestuale dell’azione scenica. La partitura è
semplice, con pochi personaggi, ed è questo forse il motivo del suo grande successo: se l’opera
avesse presentato difficoltà di allestimento difficilmente le compagnie comiche minori nei teatri di
provincia l’avrebbero potuta allestire. In compenso è molto curata l’orchestrazione, che impasta
archi e legni (clarinetti compresi) con una sensibilità per i colori di cui si ricordò bene Mozart nel suo
Figaro. Il Barbiere è una delle pochissime opere comiche dell’epoca con un solo ruolo femminile,
cosa che rispecchia l’originale di Beaumarchais; forse proprio per questo la commedia era stata
scelta da Paisiello, visto che le voci disponibili nella compagnia vocale pietroburghese erano due
bassi buffi, un tenore nobile e una donna di mezzo carattere.

Paisiello lasciò Pietroburgo nel febbraio 1784, probabilmente per nostalgia di casa e con qualche
difficoltà a recedere dall’incarico, ma comunque con la sicurezza di una nomina a compositore della
musica dei drammi della corte. Durante il viaggio di ritorno soggiornò a Vienna, dove fu
immediatamente incaricato di scrivere un’opera per il teatro di corte, che fu Il re Teodoro in Venezia,
un dramma eroicomico su libretto del poeta cesareo Casti. Rientrato a Napoli ebbe un lungo e
fruttuoso periodo di lavoro. All’inizio del nuovo secolo (1802), per intervento diretto di Napoleone
che adorava la sua musica, si trasferì a Parigi. Napoleone lo trattò magnificamente, meglio di quanto
avesse mai trattato le glorie nazionali francesi, Cherubini e Méhul. Gli chiese immediatamente di
scrivere un'opera "come si usa in Francia", una tragédie lyrique, genere al quale il compositore
napoletano non era avvezzo. L’opera (Proserpine Opéra, 29 marzo 1803), non fu gradita al pubblico
parigino. Così, non essendo riuscito a inserirsi nel difficile ambiente musicale, Paisiello ripartì per
Napoli verso fine agosto 1804, dopo aver composto una Missa solemnis e riciclato un precedente Te
Deum da usare per l’incoronazione di Napoleone in Notre Dame. Per non perdere la stima di
Napoleone, e anche i suoi lauti compensi, Paisiello inviò poi con regolarità a Parigi un gran numero
di brani sacri e anche una composizione celebrativa per il suo compleanno. Morì a Napoli il 5 giugno
1816.

Caterina Cavalieri fu un soprano di grande talento.


Figlia del musicista e direttore d'orchestra Joseph
Cavalier, è nota in particolare, per aver interpretato il
ruolo di Costanza ne Il ratto dal serraglio di Mozart, il
16 luglio 1782. È stata anche la prima interprete
viennese di Donna Elvira, nel Don Giovanni che andò
in scena a Vienna, il 7 maggio 1788. Caterina Cavalieri
aveva debuttato nel 1775, nell'opera comica La finta
giardiniera di Pasquale Anfossi, ed aveva avuto un
grande successo nel 1778 nel Singspiel Die
Bergknappen, di Ignaz Umlauf (sostituto di Salieri alla
direzione dell’orchestra di corte), in cui il ruolo della
protagonista era stato creato sulla sua figura e sulle
sue capacità vocali. Caterina prendeva lezioni di canto
da Salieri, che la chiamò ad interpretare diverse sue
opere e creò alcuni ruoli appositamente per sfruttare
le sue doti di virtuosa e la sua grazia sulla scena. E’
plausibile che fra i due ci fosse una relazione più che
di amicizia, almeno Mozart ne era sicuro, perché
scrive al padre Leopold, a proposito del pubblico
presente alla prima del Figaro: “c’erano Salieri e la sua
amante, la Cavalieri”. Pur essendo molto quotata
come cantante, pare che facesse fatica a reggere la concorrenza dal punto di vista scenico delle sue
colleghe Nancy Storace e Celeste Coltellini, vere “animali da palcoscenico”. Pare che avesse un
problema agli occhi, a causa del quale non riuscisse sulla scena a fare “gli occhi dolci” (questo
secondo l’imperatore Giuseppe II, che avrebbe fatto l’osservazione al conte Rosenberg). Però la sua
voce viene descritta dai contemporanei come potente e gradevole dal grave all’acuto, ed a suo agio
nell’agilità; cosa senz’altro credibile, viste le arie che scrisse Mozart per lei quando interpretò
Constanze nel Ratto dal serraglio. Intorno al 1790 Caterina Cavalieri, gradatamente, diradò le recite
e si ritirò completamente dalle scene nel 1793. Non si sposò mai e morì a Vienna, all'età di 46 anni.

I cantanti della prima delle Nozze di Figaro

Interpreti della prima rappresentazione


Personaggio Registri vocali 1º maggio 1786
(direttore Wolfgang Amadeus Mozart)

Conte d'Almaviva baritono Stefano Mandini

Contessa d'Almaviva soprano Luisa Laschi

Susanna soprano Nancy Storace

Figaro basso Francesco Benucci

Cherubino soprano en travesti Dorotea Bussani

Marcellina soprano Maria Mandini


Don Bartolo
basso Francesco Bussani
Antonio

Don Basilio
tenore Michael Kelly
Don Curzio

Barbarina soprano Anna Gottlieb

Stefano Mandini I Mandini erano una famiglia di cantanti di opera buffa. Stefano è il più conosciuto,
nacque probabilmente a Bologna intorno alla metà del XVIII secolo. Non si sa nulla sua formazione;
debuttò nel 1774 a Ferrara, in opere di P. Guglielmi di G. Paisiello. Dall'aprile 1783 Stefano fu
ingaggiato a Vienna, insieme con la moglie Maria, nella nuova compagnia italiana del Burgtheater
voluta dall'imperatore Giuseppe II, accanto a cantanti di successo quali la Storace, Francesco
Bussani, Rosa Manservisi, Michael Kelly, Giuseppe Viganoni. Vera colonna portante della
compagnia, cantò fino al 1788 in almeno 25 produzioni, contribuendo in modo determinante al
successo di opere quali Fra i due litiganti il terzo gode di G. Sarti (1783), Il barbiere di Siviglia di
Paisiello (1783, anche qui nel ruolo del Conte d'Almaviva), Il re Teodoro in Venezia di Paisiello
(1784), La grotta di Trofonio di Salieri (1785), Una cosa rara di Martin Vicente y Soler (1786), e –
cosa che ci riguarda qui più da vicino – Le nozze di Figaro di Mozart, l'evento musicale dell'anno
1786. Persino lo smaliziato conte J.K. Zinzendorf (ministro delle finanze di Giuseppe II) - che pur si
era annoiato alla prima del Figaro mozartiano - annotava: "il bel duettino di Mandini con la Storace
è stato bissato, è veramente voluttuoso. All'uscita dell'opera ne ero ancora turbato"

Luisa Laschi nacque a Firenze nel 1760, da genitori cantanti specializzati nel genere buffo. Il padre
Filippo Laschi aveva cantato a Vienna verso il 1770. Luisa debutta in Italia, secondo alcune fonti a
Torino, secondo altre a Bologna, prima di essere ingaggiata a Vienna nel 1784, come seconda donna
insieme alla Storace. A parte un ingaggio a Napoli, pare che sia rimasta a Vienna per il resto della
sua breve carriera. Fu a Napoli che conobbe il tenore Domenico Mombelli, che poi sposò, mentre
entrambi lavorarono all’opera di Vienna. A proposito di questo matrimonio e dell’argomento delle
nozze di Figaro, c’è un commento scherzoso dell’imperatore in una lettera a Rosemberg, il
sovrintendente del teatro: "Le mariage de Mombelli avec la Laschi peut s'exécuter sans attendre
mon retour, et je vous cède à ce sujet le droit de Seigneur" (Joseph II.als Theaterdirektor, p. 70). La
Laschi aveva interpretato Rosina nel Barbiere di Siviglia di Paisiello, a Vienna nel 1785; sicuramente
Mozart aveva visto l’opera, e scrisse le arie della Contessa sapendo che sarebbe stata lei a
interpretarla. E’per la sua voce che scrisse le arie di straordinario lirismo della Contessa. Luisa
continuò a essere la stella dell’opera di Vienna, e pretese per sè, che pure era incinta, la parte di
Zerlina nel Don Giovanni, nel 1788: Mozart aggiunse per lei e Benucci il duetto “per queste tue
manine”. Dovette comunque lasciare il posto alla collega Tayber per la prossimità del parto. Il
successivo arrivo, fra le prime donne di Vienna, della Ferrarese (amante di Da Ponte), portò
scompiglio fra le prime donne, e dopo vicende varie la coppia Mombelli-Laschi lasciò la compagnia,
nonostante i giudizi favorevolissimi a Luisa come interprete. I Mombelli tornarono a cantare in Italia,
dove Luisa probabilmente morì nel 1990, perché non si hanno più sue notizie dopo una
partecipazione in coppia al teatro Pubblico di Reggio, e l’anno seguente Domenico si risposò. La sua
voce pare essere stata ampia, soffice e espressiva, e la sua presenza scenica ottima, tali da
giustificare i compensi più alti rispetto a quelli degli altri soprani, comprese la Cavalieri e la Lange.

Anna Selina Storace detta Nancy

Nancy Storace fu la prima Susanna, a Vienna, nel 1786. Nata a Londra nel 1765 da padre italiano e
madre inglese, fu una bambina prodigio e debuttò giovanissima come cantante, al King’sTheater di
Londra, nel 1777; studiò poi a Venezia con Sacchini, e lì fu scoperta - mentre cantava al San Samuele
- dal conte Durazzo, ambasciatore imperiale, che la segnalò per essere assunta al Burgtheather di
Vienna. Durante il periodo viennese, relativamente breve (1783-1787) interpretò circa 20 opere, per
lo più prime assolute, perse la voce in pubblico, (durante la prima dell’opera Gli sposi malcontenti
di suo fratello Stephen Storace) la ricuperò in cinque mesi, si sposò con un violinista e compositore
inglese (John Abraham Fisher) che la malmenava e fu per questo espulso dalla città dall’imperatore
in persona, ebbe una figlia che morì dopo pochi mesi, divenne molto amica di Michael Kelly (suo
collega), di Haydn (cantò nel suo oratorio Tobia), di Mozart (che forse modellò la sua vivacissima
Susanna sull’altrettanto vivace cantante). Questo semplice elenco può dare un’idea dell’empatia di
questa giovane artista, per giunta piuttosto bella. Il conte Zinzendorf, ministro delle finanze, non
musicista né particolarmente appassionato di musica, ma che tuttavia come tutti i viennesi
importanti non si perdeva un’opera, scrive nel suo diario: “La Storace interpreta il suo ruolo come
un angelo. I suoi begli occhi, il suo collo bianco, il suo bel petto, la sua bocca fresca hanno un effetto
incantevole”. Dopo la partenza di Nancy da Vienna Zinzendorf scrive più volte sul diario che gli altri
soprani non arrivano al suo livello interpretativo. Anche il poeta ungherese Ferenc Kazinczy,
ricordando come il Figaro fosse di una sensualità e una gioia non descrivibile a parole, ricorda
espressamente che “Storace, la bella cantante, ha incantato occhi, orecchi e anima”. Prima di
lasciare Vienna Nancy diede un concerto di addio (febbraio 1787), in cui fra l’altro cantò la scena
Ch’io mi scordi di te- Non temer, amato bene, scritta da Mozart appositamente per l’occasione, che
accompagnò lui stesso. La composizione è annotata nel catalogo autografo di Mozart come
“Recitativo con Rondò. Composto per la Sigra: storace / dal suo servo ed amico W. A.
Mozart. / viena li 26 / di decbr: 786” e anche: "Scena con Rondò mit klavier Solo. für Mad:selle
storace und mich”. Probabilmente la Storace intendeva tornare a Vienna la stagione successiva, ma
i problemi di politica estera dello stato austriaco, che ridussero molto il budget destinato al
Burgtheater, non glie lo permisero. Rimase a cantare a Londra e contribuì a portare a successo le
opere scritte da suo fratello. Morì nel 1816.
Francesco Benucci fu un famoso basso comico italiano, che tra il 1769 e il 1782 cantò a
Pistoia, Venezia, Roma, Milano, poi a Madrid. Successivamente si trasferì a Vienna, dove,
apprezzatissimo fra gli altri anche da Mozart, ebbe una grande fortuna. Il suo nome è legato alla
prima rappresentazione de Le nozze di Figaro in cui ricoprì i panni del protagonista nella prima, il 1º
maggio 1786 al Burgtheater. La sua interpretazione della famosa aria Non più andrai viene narrata
con brio nei ricordi di Michael Kelly (altro interprete), come di un successo strepitoso, con Mozart
che dirigendo diceva fra sé “bravo Benucci”. Dopo un periodo in Inghilterra, presso il King’s Theatre,
tornò a Vienna, dove interpretò fra l’altro Leporello nel Don Giovanni (per l’occasione Mozart aveva
inserito per lui il duetto con Zerlina Per queste tue manine); e interpretò poi anche Guglielmo in Così
fan tutte. Nel 1795 fece ritorno in patria, per cantare nuovamente al Teatro alla Scala di Milano.
Aveva voce morbida e sonora, nonché un'importante presenza scenica.

Dorotea Bussani, nata Sardi nel 1763 a Vienna, era figlia di Charles de Sardi, professore
all'Accademia Militare di Vienna. Si sposò con il basso italiano. Sia lei sia il marito furono ingaggiati
al Burghtheater ed impegnati nella prima delle Nozze di Figaro, diretti da Mozart. La sua voce viene
descritta come di un soprano “grave”, o mezzosoprano; comunque era apprezzata per il colore caldo
della voce, come pure per il suo bell’aspetto. Di contro, pare non fosse molto ferrata sulla lettura,
prova ne sarebbe la semplicità ritmica di tutte le arie a lei dedicate. Il ruolo di Cherubino nelle Nozze
di Figaro fu il suo debutto. Proseguì la sua attività nel teatro viennese, come interprete ne Gli
equivoci di Stephen Storace, Le gelosie fortunate di Pasquale Anfossi e Così fan tutte diretta da
Mozart, in cui interpretava Despina. Si sa ancora che nel 1792 cantò la parte di Fidalma ne Il
matrimonio segreto di Domenico Cimarosa con Francesco Benucci e suo marito Francesco Bussani,
alla presenza dell'imperatore Leopoldo II, a cui l’opera piacque così tanto che la volle
immediatamente riascoltare da capo a fine, primo e unico caso di opera interamente bissata. Viene
menzionata come persona intrigante da Lorenzo Da Ponte nelle sue Memorie; però è probabile che
Da Ponte sia stato poco obiettivo nel giudizio, per l’affetto che portava a un’altra prima donna, la
Ferrarese, cui era legato. Sicuramente il clima fra le prime donne dell’opera di Vienna non era
sempre disteso e tenero. I coniugi Bussani lasciarono Vienna per l’Italia, nel 1794, e cantarono in
diversi luoghi secondo gli ingaggi, soli o in coppia. Si recarono nel 1807 a Lisbona, dove morì
Francesco. Dorotea continuò a cantare in giro per l’Europa; l’ultimo ingaggio che si conosce è del
1813-14 a Cagliari, nell’opera Il torto dei mariti di Andreozzi.
Maria Mandini nata Vesian, soprano d’origine francese, spesso confusa con sua madre (Maria Anna
Piccinelli sposata Vesian) o con sua sorella, anche lei cantante, fu scritturata al Burgtheater insieme
al marito Stefano, nell’83, nello stesso periodo in cui fu scritturata la Storace. I coniugi Mandini
debuttarono insieme a Vienna, ne L’italiana in Londra di Cimarosa. Nel Figaro mozartiano Maria
interpreta Marcellina. Si sa di lei che poi accompagnò suo marito a San Pietroburgo, ma il suo nome
non compare più in nessun programma, cosa che fa pensare a un ritiro dalle scene. Sembra che le
sue qualità vocali non fossero pari al suo fascino, e i ruoli scritti per lei sono in genere di tessitura
non acuta. Tuttavia la sua aria nel Figaro, “Il capro e la capretta”, scritta per lei da Mozart, prevede
una serie di vocalizzi finali che richiedono un buon impegno vocale nell’agilità.

Francesco Bussani nacque a Roma nel 1743 e iniziò la sua attività artistica a vent’anni al teatro
Capranica di Roma, ma già l'anno successivo venne scritturato a Venezia e da lì proseguì la carriera
cantando in diversi teatri in Italia a Napoli, Milano, Torino, Palermo e Firenze. Dall’84 al ’94 la sua
attività si svolse a Vienna, dove ebbe - oltre al posto di primo buffo di mezzo carattere - l’incarico di
“regisseur” e di “sovrintendente dello scenario e dei costumi”. A Vienna conobbe e sposò, nel 1786,
il soprano Dorotea Sardi. Dopo le Nozze di Figaro mozartiane Bussani interpretò il Commendatore
nel Don Giovanni, e Alfonso in Così fan tutte. La sua ultima opera in Vienna fu Il matrimonio segreto,
nel 1792. Tornò con la moglie in Italia, dove proseguirono la carriera fino al 1807, anno in cui pare
si siano trasferiti a Lisbona, dove forse morì, non comparendo più il suo nome come interprete.
Nelle sue Memorie il Da Ponte offre un ritratto negativo del Bussani, che dice intrigante e poco
onesto e arriva persino a definire "sfrontato saltimbanco"; s'ignora, però, se tali giudizi fossero
frutto piuttosto di gelosie personali che di obiettiva valutazione: la sua lunga carriera in molti e
importanti teatri, le numerose sue interpretazioni di ruoli impegnativi testimoniano non soltanto le
sue doti canore, indiscutibili, ma anche una grande padronanza scenica e una notevole versatilità.

Michael Kelly, tenore, compositore e direttore teatrale irlandese, nacque nel 1762. In Italia era
conosciuto come O’Kelly oppure Ochelli. Il padre di Michael, Thomas era un mercante di vino ed un
maestro di danza, con una posizione sociale ben rispettabile. Michael Kelly ricevette sin da piccolo
una buona educazione musicale, riguardante soprattutto il canto e le tastiere. Si trasferì nel 1779
in Italia, dove studiò prima a Napoli, poi a Palermo e infine a Bologna. Cinque anni dopo ricevette
l'invito di recarsi a Vienna, dove per tre anni rimase sotto contratto per il teatro di corte. Alla corte
viennese ebbe l'occasione di conoscere Antonio Salieri e di frequentare e stringere amicizia
con Mozart. Al Burgtheater nel 1784 interpretò Gafforio nella prima assoluta di Il re Teodoro in
Venezia di Paisiello alla presenza di Mozart; nel 1785 cantò nella prima assoluta de L'incontro
inaspettato di Vincenzo Righini; sempre nello stesso anno interpretò Rosmondo nella prima
assoluta di Gli sposi malcontenti di Stephen Storace con Nancy Storace, Caterina
Cavalieri e Francesco Benucci; nel 1786 fu Don Basilio/Don Curzio nella prima assoluta di Le nozze
di Figaro. Dopo una trionfale tournée estiva del 1788, svolta in Inghilterra, Kelly decise di non
ritornare a Vienna. Nel 1793 divenne direttore di recitazione del Kings Theatre e compose una
sessantina di opere teatrali e un buon numero di canzoni in inglese e in francese. Unì il suo lavoro
professionale con la direzione di un negozio di musica e di un negozio di vini. Kelly fu legato
professionalmente e sentimentalmente al soprano ed attrice inglese Anna Maria Crouch.
Nel 1826 pubblicò le sue memorie, che contengono numerosi aneddoti relativi alle sue numerose
esperienze teatrali, molti relativi agli allestimenti viennesi, in particolare delle Nozze di Figaro. Da
esse si viene a sapere – cosa probabilmente vera – che era in buone relazioni di amicizia con Mozart,
con cui giocava a biliardo, che la sua invenzione di far balbettare Don Curzio (rimasta nei clichè del
personaggio) dava molto fastidio a Mozart che tentò inutilmente di impedirglielo, che – per
compiacere qualche personaggio potente all’interno del Burgtheater - il cast della prima delle Nozze
di Figaro era intenzionato a far crollare l’opera. Ma - come già per le Memorie di Da Ponte- anche
le sue Reminescenze furono stese a distanza di molti anni dai fatti, quando Mozart era diventato
una stella di prima grandezza, quindi non si può essere certi della loro fidabilità.

Maria Anna Josepha Francisca Gottlieb, nata a Vienna nel 1774, appena dodicenne all’epoca del
suo debutto come Barbarina, fu qualche anno dopo la prima Pamina del Flauto magico di Mozart:
Nata a Vienna, figlia di attori del Teatro nazionale, con le sorelle prendeva parte al mantenimento
della famiglia, lavorando tutte come attrici già da bambine. Quando l’attore e impresario
Schikaneder stabilizzò l’attività della sua compagnia al teatro “An der Wieden”, a Vienna, lei diventò
soprano presso questa compagnia, e fu Pamina ad appena 17 anni. In seguito lavorò presso il
Theater in der Leopoldstadt (sempre in Vienna), come prima donna. La sua carriera ebbe un arresto
quando il teatro chiuse tra il 1809 e il 1813, a causa delle guerre napoleoniche; alla riapertura del
teatro la sua voce non era più così brillante. Dopo alcuni ruoli di donna anziana nel 1828 fu licenziata
senza pensione e passò alcuni anni in povertà, finché le venne l’idea di rivolgersi all’editore Franckl,
presentandosi come la prima Pamina. In questo ruolo fu investita di nuova dignità, anche per eventi
in onore di Mozart come l’inaugurazione nel 1842 del monumento a Mozart a Salisburgo, in quanto
ultima cantante ancora viva ad averlo conosciuto di persona. Visse a Vienna fino al 1856.

ANNA GOTTLIEB COME PAMINA NEL FLAUTO MAGICO


4 OPERA SERIA, OPERA COMICA, OPERA MOZARTIANA

L’opera è un’invenzione italiana. Nata come “favola in musica” nel ‘600 a Firenze, con l’Euridice di
Jacopo Peri su libretto di Ottavio Rinuccini in occasione delle nozze “eccellenti” di Maria de’ Medici
con il re Enrico IV di Francia, fu inizialmente uno spettacolo quanto mai elitario e destinato a
pubblico di cultura elevata, ma si trasformò velocemente in spettacolo popolare. Per diventare
popolare il genere si trasformò: l’iniziale “recitar cantando”, in cui la musica doveva solo
intensificare le emozioni del testo, si divise ben presto in zone di dialogo e di azione in cui la musica
è ridotta a poco (i recitativi) e in momenti di espansione lirica di un preciso sentimento, in cui
l’azione si ferma e la musica prevale, zone dotate di simmetrie musicali e ripetizioni che rendono
facile l’ascolto, e che permettono ai virtuosi di sfoggiare la propria abilità vocale (le arie).
L’invenzione dello spettacolo in un teatro pubblico, aperto a chiunque potesse pagarsi un biglietto,
fu veneziana: il primo teatro ad aprire a tutti fu il San Cassiano nel 1637, e da quel momento in poi
l’opera dilagò, in Italia e in Europa. I musicisti italiani, strumentisti ma soprattutto cantanti e
compositori di opere, esportarono l’opera in italiano ovunque, anche dove nessuno parlava né
capiva l’italiano. Gli impresari teatrali erano uomini d’affari, che ingaggiavano i cantanti, gli
strumentisti, affittavano i teatri, cercavano le vicende, i cantanti e i compositori che potevano
attirare maggiormente attenzione; a volte erano essi stessi cantanti o compositori.
Verso la fine del ‘600, in cui le opere spesso contengono sia aspetti seri legati alla vicenda principale,
sia aspetti comici, gli elementi seri e gli elementi comici tendenzialmente si separarono.
Gli argomenti dell’opera seria continuavano a essere tratti dalla mitologia, oppure dalla storia
antica; all’interno della vicenda, al dì là di una trama spesso piuttosto esile, era importante tutto
quello che attirava maggiormente il pubblico: quindi l’abilità dei cantanti, la spettacolarità delle
“macchine teatrali”, la piacevolezza della musica. Del dramma in sé non importava molto al
pubblico, né di conseguenza a impresari, librettisti e compositori. Infatti il genere “opera” era
fermamente criticato da parte di tutti gli intellettuali italiani e non solo, di fine ‘600 e di inizio ‘700
(si pensi al libretto “il teatro alla moda” di Benedetto Marcello, una divertente satira delle pessime
consuetudini che regnavano nel mondo dell’opera). L’opera è considerata una “magnifica
stupidaggine”, il cui successo è strettamente legato anche al fatto di essere estremamente
dispendiosa. L’opera seria è dunque strutturata in un’alternanza di recitativi, per lo più
accompagnati solo dal continuo (in cui ci si sbriga a far dire tutto ciò che è necessario per capire
cosa sta succedendo), e di arie solistiche o a due, brani musicali di grande bellezza, più o meno
attinenti all’azione; il tutto in un gran dispendio di mezzi. Accanto all’opera seria – o inserita come
intermezzo fra gli atti di un’opera seria- si sviluppa intorno all’inizio del ‘700 l’opera comica, molto
più breve, in cui si mettevano in scena vicende rigorosamente legate alla vita quotidiana, spesso
buffe, ma non necessariamente. I cantanti delle compagnie specializzate in opere buffe non avevano
di solito le capacità vocali dei cantanti dell’opera seria, vere celebrità internazionali capaci di
incredibili virtuosismi, ma erano quasi sempre bravi attori, capaci di reggere la scena e attirare
l’attenzione del pubblico. Anche nell’opera comica esisteva la netta divisione fra recitativo ed aria;
però, forse grazie alla maggior concatenazione logica dell’azione, forse grazie alle capacità
comunicative dei suoi protagonisti, da sempre vi si praticò a fine atto il “concertato”, ossia un brano
d’insieme di tutti i personaggi.
Mozart vive e opera nella seconda metà del settecento, quando era più che mai vivo il dibattito sulla
necessità di una riforma dell’opera – dibattito che non intaccava per nulla la richiesta di opere da
parte del pubblico: la “querelle des bouffons” in Francia, la “riforma dell’opera” da parte di Gluck,
che abitava a Vienna. All’interno delle varie dissertazioni riguardo l’opera, Gluck nella prefazione
all’Alceste dichiara di aver voluto riportare la musica “al suo vero ufficio di servire la poesia per
l’espressione”, secondo i principi degli inventori della favola in musica, i fiorentini del 1600. Mozart
invece, in una lettera al padre del 1781 (all’epoca stava scrivendo Il ratto dal serraglio), scrive “Io
non so, ma nell’opera la poesia deve essere assolutamente la figlia devota della musica”. E in una
lettera di poco precedente, a proposito della descrizione musicale della collera di Osmino “.. la
musica, anche nel momento più terribile, non deve mai offendere l’orecchio, ma sempre far godere
e rimanere musica”. Il che è esattamente l’opposto di quello che diceva Gluck.

Mozart opera una sua scelta personale: se si esclude “Idomeneo re di Creta”, che è un’opera seria
a tutti gli effetti, sia nei Singspiel sia nelle opere italiane non separa più serietà e comicità. Il Finale
d’atto come concertato non è un’invenzione sua, ma Mozart lo fa diventare molto più corposo, lo
trasforma - come descrive Da Ponte nelle sue Memorie – in una “commedia dentro la commedia”,
in cui “trovar si deve ogni genere di canto: l’adagio, l’allegro, l’andante, l’amabile, l’armonioso, lo
strepitoso, l’arcistrepitoso, lo strepitosissimo, con cui quasi sempre il suddetto finale si chiude”. La
possibilità o meno di realizzare queste caratteristiche musicali dipende anche dal libretto: con i
libretti dell’opera seria di Metastasio, per citare il librettista per eccellenza del settecento, le
innovazioni mozartiane non avrebbero avuto il supporto necessario. Perciò è stata veramente una
combinazione fortunata l’incontro di Mozart con Da Ponte.
A livello di struttura musicale, in cui il problema é la separazione fra azione e musica (recitativo e
aria), Mozart utilizza in misura estremamente più varia il concertato: non solo amplia enormemente
il concertato di fine atto, ma inserisce concertati ogni volta che l’azione lo permette, in qualsiasi
punto degli atti. Non solo: spesso, cioè tutte le volte che il testo lo consente, trasforma anche l’aria
in un brano legato all’azione. Un esempio è l’aria di Figaro “Non più andrai farfallone amoroso”: è
solo Figaro che canta, ma canta rivolto a Cherubino, che è lì presente, e canta davanti a tutti gli altri,
quindi il suo canto è un momento di azione collettiva, in cui uno solo canta, ma tutti partecipano.
Un esempio ancora più evidente è l’aria del “catalogo “di Leporello, nel Don Giovanni: Leporello
canta da solo, ma cantando spiega a Donna Elvira cosa ha fatto il suo padrone, e cosa continuerà a
fare; e Donna Elvira ascolta, poi reagirà di conseguenza.
Un terzo aspetto rende uniche le opere di Mozart rispetto alle opere dei suoi contemporanei: per
sua natura osservatore estremamente attento all’animo umano, capace di cogliere e di dipingere
musicalmente ogni sfumatura dei personaggi che mette in scena, non separa gli aspetti seri e gli
aspetti comici che si trovano in ogni persona, per cui anche il personaggio più buffo non è una
macchietta, una maschera da commedia dell’arte, ma è un essere umano con i suoi difetti, i suoi
pregi, le sue difficoltà. Sviluppando con piena coscienza musicale un percorso che già era iniziato
nell’opera comica, con Mozart l’opera comica viene nobilitata, con l’accoglimento di contenuti volti
non solo a far ridere, ma anche sentimentali o a volte tragici, e ben calati nel presente. La
“nobilitazione” musicale del genere comico per Mozart era già iniziata con il Singspiel “Il ratto dal
serraglio”, che ha un’orchestrazione ben più accurata e imponente di quanto accadeva nei lavori
comici contemporanei: il veder un genere popolare come il Singspiel trattato con la ricchezza
strumentale e musicale di solito riservata al genere dell’opera seria, aveva sicuramente colpito il
pubblico, determinando il successo dell’opera stessa. Con le opere italiane Mozart prosegue sulla
stessa strada, con la sua ricchezza di pensiero che si trasforma in ricchezza musicale, con l’affettuosa
partecipazione alle vicende dei suoi personaggi, mai fissati su una sola idea o su un unico
sentimento, ma mutevoli a seconda di come procede la vicenda, e perciò tanto vicini al nostro modo
di essere.
5 IL TESTO
Beaumarchais
Pierre Augustin Caron de Beaumarchais, nato a Parigi nel 1732, fu un drammaturgo dilettante, ma
sempre ben attento alle possibilità di successo di quanto metteva per scritto. Studiò musica da
bambino, con lezioni di chitarra, violino, ma appena tredicenne abbandonò gli studi e la bottega del
padre orologiaio per una vita disordinata e avventurosa. Grazie al matrimonio con una ricca vedova
si inserì nei più importanti circoli letterari e intellettuali dell’epoca. Entrò a corte dove divenne
insegnante di musica delle principesse e fu segretario di Luigi XV. Arricchì con speculazioni
finanziarie, per cui finì anche in causa, cosa che lo rese noto come polemista vivace e brillante, dato
che produceva da solo le arringhe in sua difesa. Perse la causa, ma le arringhe, pubblicate,
divertirono enormemente i parigini, il che gli procurò attenzione verso ogni ulteriore sua
produzione. Fu poi agente segreto della corte francese, e fondò la società degli autori drammatici,
che gettò le basi del futuro diritto d’autore, concesso dall’Assemblea costituente rivoluzionaria nel
1791. La rivoluzione lo privò delle sue cariche, ma trovò modo di diventare agente della
Convenzione, e dopo un periodo trascorso per necessità fuori Francia vi ritornò, attivissimo nei suoi
affari. Morì nel 1799.

La sua opera più nota è la trilogia dedicata al Conte di Almaviva, destinata a mettere in ridicolo alcuni
atteggiamenti e vizi della nobiltà e del clero, in confronto alla capacità di agire e alla maggior
rettitudine degli appartenenti al terzo stato. Compose il Barbier de Séville nel 1773; da esso fu tratta
l’opera omonima di Paisiello nel 1782. Quella di Rossini nel 1816 più che sulla commedia originale
si basa sulla versione di Paisiello. Compose il Mariage de Figaro (da cui è tratto Le nozze di Figaro di
Mozart) nel 1778, e la Mère coupable (da cui è tratta l’opera omonima di Milhaud) nel 1789/90.
Quest’ultima si discosta dalle due precedenti commedie di intrigo in quanto si tratta di un dramma
morale e psicologico, pur essendo la continuazione della vicenda dei conti di Almaviva.
PIERRE AUGUSTIN CARON DE BEAUMARCHAIS

La folle journée ou Le mariage de Figaro


Comédie en cinq Actes, en Prose
La trama dell’opera è riassunta in questo modo dall’autore: “Un gran signore spagnolo, innamorato
di una fanciulla che intende sedurre, e gli sforzi che lei, già fidanzata, il suo promesso sposo e la
moglie del nobile riuniscono per impedire il disegno di un signore assoluto, reso onnipotente dal
rango, dalla ricchezza e dalla prodigalità. Ecco tutto, nulla di più”
La commedia da intrigo era ormai un genere fuori moda, ma Beaumarchais vi intesse un dialogo
satirico, facendo deliberatamente apparire ridicoli i vecchi apparati scenici. E’ un procedimento
familiare al teatro moderno. Il rischio di trasformarlo in opera buffa era che messi in musica i vecchi
apparati scenici non apparissero ridicoli – come invece accade nel dramma; e in più c’era il rischio
che il gusto dei dialoghi e le loro prospettive sociali andassero persi. Da Ponte é costretto a volte a
sacrificare tali aspetti, anche per superare il problema della censura, ma Mozart riesce con la musica
a restituirli. In ogni modo, anche se la rappresentazione del dramma era vietata dalla censura
austriaca, la lettura privata non lo era, e le traduzioni in tedesco del testo circolavano in abbondanza,
per cui il pubblico poteva facilmente rimediare alle omissioni del libretto.
La reazione del re di Francia, Luigi XVI, alla lettura del testo nel 1781, fu netta: “E’ abominevole, non
permetterò mai che venga messa in scena”. Invece nel 1784, dopo opportune letture e
rappresentazioni private, si creò nei circoli intellettuali di Parigi un movimento tale che il permesso
alla rappresentazione venne dato. Fu un successo strepitoso, un tutto esaurito con il pubblico che
si assiepava all’ingresso e non riusciva a entrare in teatro. Lo stesso Beaumarchais disse che l’unica
cosa più folle degli avvenimenti narrati fu il successo della pièce stessa. Benchè drammaturgo non
professionista, l’autore sa bene come rendere interessante la successione delle scene, e la
commedia di intrigo procede con una organizzazione perfetta. Il personaggio nuovo all’interno di
questo tipo di commedia è Figaro, simile per certi versi allo stesso Beaumarchais: ha visto tutto, ha
fatto di tutto, è in mezzo a mille imprese. Solo l’autenticità del protagonista poteva dare alla piéce
tanta vitalità, e la sua aria di eterna giovinezza.
La commedia è il secondo episodio di una trilogia in cui Beaumarchais aveva voluto contrapporre
alla prepotenza e ai vizi dell’aristocrazia e del clero l’intraprendenza del terzo stato. Il primo episodio
è “Le barbier de Seville” (1775), in cui incontriamo il Conte di Almaviva intento a corteggiare Rosina,
pupilla di un anziano tutore che vorrebbe sposarla per accaparrarsene la dote, e che viene giocato
dal Conte, il quale riesce a corteggiare e a sposare Rosina con l’aiuto di Figaro e la collaborazione
della ragazza stessa. La commedia si conclude felicemente con il matrimonio di Rosina con il Conte.
Nel secondo episodio, “Le mariage de Figaro” (1784), il Conte si è incapricciato di Susanna,
cameriera di sua moglie e promessa sposa del suo factotum Figaro; dopo una serie di intrighi per
mandare a monte i piani del Conte, Figaro e Susanna si sposano, e la Contessa trova il modo di
riconquistare l’amore di suo marito. Il terzo episodio, “La mère coupable” (1792), è un dramma
psicologico, in cui non trovano più posto Figaro e Susanna; protagonisti sono ancora il Conte e la
Contessa, ormai più avanti negli anni, e genitori a loro volta entrambi di figli illegittimi, che si
rendono conto solo lentamente delle conseguenze delle loro azioni, arrivando a un relativo lieto
fine dopo molti tormenti interiori.

Lorenzo Da Ponte
La maggior parte delle notizie su Lorenzo da Ponte ci vengono da lui stesso, in particolare dalle sue
Memorie, che costituiscono un libro di divertente lettura, ricchissimo di aneddoti su sé stesso e su
altri. Essendo scritte in tarda età, potrebbero non essere del tutto attendibili, ma sono comunque
un interessante e ricco documento di prima mano.
Lorenzo da Ponte nacque nel 1749 a Ceneda (l’attuale Vittoria Veneto), nell’entroterra di Venezia.
Il padre, vedovo ebreo di cognome Conegliano, era “cordovaniere”, cioè ciabattino e calzolaio, si
fece battezzare insieme ai tre figli nel 1763, per poter sposare in seconde nozze una donna cattolica.
Emanuel, il figlio maggiore, divenne Lorenzo. Il nuovo cognome fu Da Ponte, che era quello di chi
aveva amministrato il sacramento, monsignor Lorenzo da Ponte. Appoggiati da monsignor Da Ponte,
Lorenzo e il fratello Girolamo fecero domanda di ammissione in seminario, a Portogruaro.
Qui, come racconta nelle sue memorie, ebbe modo di farsi notare per la sua abilità letteraria, anche
di improvvisatore, e ottenne l’incarico di professore di retorica (1772) e di vicedirettore del
seminario; fu ordinato sacerdote (1773). Sei mesi dopo abbandonò tutto per andare a Venezia, dove
visse un anno di avventure anche amorose (accuratamente descritte nelle Memorie) e
compromettenti, per cui si allontanò da Venezia per Treviso, per insegnare “umanità”, retorica e
grammatica presso il seminario locale. Anche a Treviso ebbe problemi, a causa di un poema scritto
per una lettura pubblica, ispirato alle teorie di Rousseau; il poema gli valse la perdita del posto
(1776). Dopo un nuovo periodo veneziano di libertinaggio fu costretto ad abbandonare il territorio
veneziano. Volendo cercare miglior fortuna fuori dallo stato veneziano volle seguire il vecchio amico
e poeta Caterino Mazzolà a Dresda, dove Mazzolà era librettista dell’opera di corte. A Dresda non
trovò lavoro, così si recò a Vienna all’inizio del 1782, dove ebbe l’onore di una lettura pubblica dei
suoi versi da parte del celebre Metastasio, poeta di corte (Metastasio morì nell’aprile dello stesso
anno). Grazie a una lettera di presentazione di Mazzolà a Salieri, ebbe modo di lavorare a Vienna, e
di imparare il mestiere rimaneggiando per conto di Salieri e di altri compositori libretti altrui. Dopo
un lungo periodo di difficoltà a farsi strada nel pericoloso mondo dell’opera di Vienna, e a galleggiare
fra rivalità e invidie delle varie fazioni (Paisiello e il suo librettista l’abate Casti, Salieri e il suo vecchio
maestro Gluck), Da Ponte lavorò con successo con Martin Vicente y Soler (detto Martini lo spagnolo)
con l’adattamento del Burbero benefico di Goldoni e con un altro adattamento di un testo teatrale
francese per Gazzaniga. A questo punto (1785) ci fu l’incontro professionale con Mozart.
Probabilmente fu Mozart stesso che gli suggerì l’adattamento del Figaro. La collaborazione con
Mozart, non esclusiva (Da Ponte lavorò in contemporanea anche per Martini lo spagnolo e per
Salieri), portò alla creazione dei tre capolavori italiani di Mozart, Le nozze di Figaro (1785-86), Don
Giovanni (1787), Così fan tutte (1789). L’intesa dal punto di vista professionale fu sicuramente
perfetta, e viene da chiedersi cosa sarebbe stato di queste opere se i due non si fossero incontrati.
Non si sa nulla sui rapporti fra i due al di là della collaborazione per l’opera. Lo stesso Da Ponte, che
ebbe una vita lunghissima e movimentata (la permanenza a Vienna non è che una breve pausa di
qualche anno in mezzo a viaggi continui per tutta Europa e infine in America, dove fuggì per evitare
la prigione in Inghilterra), nelle Memorie scritte da più che ottuagenario nel nuovo mondo, non ne
fa cenno. Si prende il merito, probabilmente a ragione, di aver fatto conoscere Mozart all’America,
per aver suggerito a un impresario italiano di allestire il Don Giovanni, cosa che l’altro fece
ottenendo enorme successo. Non racconta nulla dei suoi contatti viennesi con Mozart: peccato,
dato che è uno scrittore brillante, anche se forse non del tutto fidabile.

LORENZO DA PONTE
Mozart e Le nozze di Figaro
La volontà di Mozart di mettere in scena come opera un lavoro teatrale vietato poteva essere una
scelta vincente per il successo dell’opera, ammesso di superare i divieti della censura. La celebre
battuta di Figaro nel Barbiere, che “ce qui ne vaut pas la peine d’etre dit, on le chante”, citata nella
recensione alla prima viennese dell’AmZ (Allgemeine musikalische Zeitung), sta proprio a
sottolineare come il passaggio da dramma a opera possa rendere più tollerabile un contenuto di per
sé difficilmente condivisibile. Ed è quello che accadde con i passi dal carattere più spiccatamente
politico, che nella necessaria opera di riduzione del testo furono eliminati, cosa di cui Da Ponte
stesso (secondo le Memorie, ma la cosa è del tutto verosimile) si incaricò di far notare
all’imperatore, ottenendo così il via libera della censura. Inoltre, un altro ottimo motivo per la
scelta dell’argomento da parte di Mozart è che poco tempo prima, nel 1783, era stato rappresentato
all’Opera di Vienna Il barbiere di Siviglia di Paisiello, replicato per una sessantina di volte negli anni
a seguire, con enorme successo. Mozart l’aveva visto e ammirato. Sicuramente le Nozze di Figaro,
come seguito del Barbiere, avrebbero suscitato interesse e curiosità. Ritornano, in un veloce
confronto con il Barbiere particolari significativi, per esempio la tonalità e l’organico dell’aria di
sortita della Contessa, Mib M e un ricco apparato di fiati che si muovono a coppie in Paisiello come
in Mozart: quando all’inizio del secondo atto del Figaro appare la Contessa, è come ritrovare la
stessa persona, qualche tempo dopo. In più, Mozart era ben documentato riguardo alla cultura
illuministica (prova ne sono i libri trovati nella sua biblioteca), e la sua ammirazione per Giuseppe II
non era di facciata, ma di reale approvazione verso la politica illuminata del sovrano, palesemente
volta a limitare gli abusi di nobiltà e clero nei confronti del popolo. L’aspetto sociale della commedia
quindi lo trovava sicuramente consenziente.
L’opera fu composta a gran velocità, in sei settimane secondo Da Ponte, e in gran segreto, negli
ultimi mesi del 1785. Via via che veniva scritto il testo Mozart lo musicava, con una notazione spiccia
che segnava le parti vocali, il basso e solo gli interventi strumentali più importanti, per lasciare
l’orchestrazione vera e propria al momento in cui ci sarebbe stata la certezza dell’allestimento, dato
che si poteva terminare nel caso durante le prove stesse. L’opera ebbe la sua prima
rappresentazione solo nella primavera del 1786, e subì, secondo le lettere di Leopold Mozart a sua
figlia Marianne, diversi ostacoli da parte della “cricca degli italiani” (Salieri, Rosemberg, Casti)
sempre pronti a mettere i bastoni fra le ruote a chi si stava facendo strada con troppo successo di
pubblico. Alcuni episodi, come quello del tentativo di eliminare il balletto del III atto, nella la scena
delle nozze, sono raccontati da Da Ponte nelle sue memorie, e confermati da lettere di personaggi
viennesi. Altri episodi, del resto non raccontati esattamente, sono forse solo frutto della natura
sospettosa di Leopold, che aveva già sperimentato anni prima l’impossibilità di far rappresentare
nella capitale un’opera di Wolfgang dodicenne, a causa degli intrighi dei vari direttori di corte. Parla
di macchinazioni contro il buon esito dell’opera anche il tenore irlandese Michael Kelly, che prese
parte alla prima nei panni di Don Basilio e Don Curzio; ma innanzi tutto anche le sue memorie furono
scritte moltissimi anni dopo, e in secondo luogo si contraddice, perché da un lato parla di volontà
dei cantanti di non cantar bene per far sfigurare la musica, e dall’altro sostiene che alla prova
generale tutti i cantanti diedero il meglio di sé, suscitando l’entusiasmo di Mozart stesso e degli
orchestrali. Stando alle prime biografie mozartiane, fin dalle prove l'opera dovette superare diverse
difficoltà dovute alla diffidenza, se non all'aperta ostilità, dell'ambiente teatrale nei confronti di
Mozart; F.X. Niemetschek (il primo biografo, che si basa principalmente sui racconti della vedova
Constanze) afferma che i cantanti cercarono di far cadere l'opera sbagliando deliberatamente, tanto
che Mozart, dopo il primo atto, sarebbe riuscito a farli severamente riprendere dall'imperatore
stesso (Abert, II, pp. 105 s.). La testimonianza diretta fornitaci da M. Kelly, primo interprete di Basilio
e Don Curzio, sottolinea in realtà lo stretto rapporto di collaborazione ricercato da Mozart proprio
con i cantanti, da cui dipendeva in gran parte l'esito dell'opera: "All the original performers had the
advantage of the instruction of the composer, who transfused into their minds his inspired meaning"
(Solo recital, p. 141). Dall'arrivo della nuova compagnia italiana al Burgtheater, Mozart in realtà era
stato, suo malgrado, per tre anni poco più che un attento spettatore; nell'attesa di ottenere la
commissione per un'opera tutta sua, si era limitato ad alcuni tentativi, presto abbandonati, di porre
in musica libretti preesistenti e di scrivere alcune arie sostitutive in opere di altri compositori su
richiesta dei cantanti, preziosa occasione per sondarne le peculiarità. L'aria musicale, per Mozart,
doveva essere composta appositamente sulle caratteristiche dell'interprete, e attagliarvisi
perfettamente come un abito ben fatto. Non potremmo avere descrizione più calzante delle grandi
qualità vocali e di attrice della Laschi di quella espressa da Mozart nei brani per lei concepiti de Le
nozze di Figaro, come della vivacità e sensualità di Nancy Storace che trapela dalle arie e dei duetti
di Susanna.
L’OPERA

Le Nozze di Figaro, o la folle giornata, sono un’opera comica in 4 atti, tratta dal secondo episodio
della trilogia di Beaumarchais dedicata al confronto fra aristocratici e terzo stato. Il testo di
Beaumarchais, conformemente alle usanze teatrali, è tagliato in 5 atti. Per adeguarsi alle
consuetudini dell’opera, Da Ponte accorpa nel terzo atto il terzo e quarto atto della commedia.
L’intreccio ricalca pari pari quello della commedia francese, come è ovvio aspettarsi, e quindi, dal
punto di vista complessivo dell’azione è già perfettamente organizzato a priori, e sicuramente in
modo ben più convincente di quanto accada in altre opere.

Per capire cosa accade è bene ricordare brevemente la trama del primo episodio della trilogia, Le
barbier de Seville. A Siviglia, il Conte di Almaviva, nei panni del giovane Lindoro, vede al balcone e si
innamora di Rosina. La ragazza vive confinata nel palazzo del suo tutore, Don Bartolo, che ha deciso
di sposarla anche senza il consenso di lei. Nel palazzo di Don Bartolo entrano solo la governante
Marcellina, il maestro di musica Don Basilio e il barbiere Figaro. Rosina è abbastanza smaliziata da
riuscire con biglietti a comunicare con il suo spasimante, e abbastanza decisa a far di tutto per
sfuggire alla prigionia. Figaro suggerisce al conte di introdursi in casa tramite un biglietto d’alloggio
destinato agli ufficiali del reggimento di stanza a Siviglia, di cui è il capo. Una volta in casa, con l’aiuto
di Figaro e con un certo numero di inganni, riuscirà a sposare Rosina.

L’azione delle Nozze di Figaro (il secondo episodio della vicenda) si svolge nel castello del Conte di
Almaviva, in un luogo non precisato non troppo distante da Siviglia.

I personaggi:

- il Conte (baritono). Il personaggio era già conosciuto al pubblico, per essere stato
protagonista de “Il barbiere di Siviglia”, ed avere in quel contesto mosso mari e monti pur di
sposare la bella Rosina, togliendola – con l’aiuto del barbiere Figaro - al tutore Bartolo. In
questa seconda puntata della vicenda non si interessa più di sua moglie, ma cerca con tutta
la sua passionalità di sedurre Susanna, cameriera di sua moglie nonché promessa sposa di
Figaro.
- la Contessa (soprano). E’ la Rosina dell’opera “Il barbiere di Siviglia”, ben consapevole del
diverso atteggiamento di suo marito, non è più l’intraprendente e maliziosa ragazza
dell’opera precedente, ma una bella donna che rischia di cedere alla delusione e alla
malinconia. Al complesso personaggio della Contessa Mozart affida i momenti di più alto
lirismo - vere e proprie "fermate" nel frenetico ritmo de La folle journée
- Figaro (basso). L’estroso e capace barbiere di Siviglia, diventato per i servizi prestati e per la
fiducia guadagnata primo cameriere e factotum del Conte, mantiene il carattere dell’opera
precedente, di persona attenta a quello che succede, e pronta a cambiare piano di azione
quando vede che qualcosa non funziona. E’ fidanzato a Susanna, e l’opera inizia nel giorno
delle loro nozze.
- Susanna (soprano). Susanna è un personaggio nuovo. Fidanzata a Figaro, è la cameriera di
fiducia della Contessa, ed è anche la sua confidente: fra le due donne non ci sono segreti, il
loro è un rapporto molto sereno fra padrona e cameriera, molto simile a quello fra due
amiche. E’ una donna giovane, franca e vivace, sa come va il mondo ma cerca di agire
secondo coscienza, e di non sottostare ai soprusi.
- Cherubino (soprano) Anche Cherubino è un personaggio nuovo: è un paggio, un adolescente
nel momento in cui si risvegliano gli istinti amorosi a tutti i livelli, ideale e sensuale. E’ uno
dei principali motori dell’intrigo, perché con la sua irrequietezza si trova sempre a disturbare
i piani di qualcuno. Essendo poco più che un ragazzo, la sua voce è una voce femminile.
- Marcellina (soprano). Marcellina compariva molto velocemente nel Barbiere, ma dalle
parole che canta in questo secondo episodio si viene a sapere che era la governante di Rosina
in casa di Bartolo. Nella divisione fra “buoni e cattivi” si trova inizialmente fra i “cattivi”, cioè
fra quelli che cercano di impedire il matrimonio di Figaro con Susanna.
- Don Bartolo (basso). Era l’antagonista del primo episodio, contrario all’amore di Rosina e del
Conte. Ora, per dispetto verso Figaro che aveva aiutato il Conte a sottrargli la pupilla, cerca
di opporsi alle sue nozze con Susanna.
- Antonio (basso). E’ il giardiniere del Conte, personaggio nuovo e il suo ruolo è quello di
complicare le cose, principalmente a Figaro e Susanna, di cui è zio. E’ il padre, burbero e
rozzo, di Barbarina.
- Don Basilio (tenore). Maestro di musica già di Don Bartolo nel primo episodio, lo troviamo
fra gli abitanti del castello, con l’incarico da parte del Conte di convincere Susanna a cedere
alle sue richieste.
- Don Curzio (tenore). E’ un giudice, asservito alla volontà del Conte.
- Barbarina (soprano). Figlia di Antonio e cugina di Susanna, è poco più di una bambina, e
come Cherubino si trova spesso dove non dovrebbe trovarsi, e di dire cose che non dovrebbe
dire.

La trama

Atto I
Figaro e Susanna, in una stanza del castello, al mattino del giorno delle loro nozze discorrono prima
serenamente, poi più seriamente quando Susanna racconta a Figaro delle proposte amorose del
conte nei suoi confronti. Rimasto solo Figaro manifesta la sua rabbia e la sua volontà di reagire alla
prepotenza del conte, che pur avendo appena abolito il “Jus primae noctis” cerca con sotterfugi di
prendergli la fidanzata. Giungono Marcellina e Bartolo: Marcellina ha in mano un contratto firmato
tempo prima da Figaro, in cui in cambio di un prestito lui si impegnava a restituirlo o a sposarla.
Bartolo promette a Marcellina di aiutarla a far valere le sue ragioni contro Figaro. Uscendo di scena
Marcellina si scontra con Susanna che sta rientrando; le due donne si scontrano in un duetto di false
cortesie. Uscita Marcellina arriva Cherubino che vuole raccontare a Susanna i suoi turbamenti
amorosi, per la Contessa innanzi tutto ma per tutte le donne in genere ; (Non so più cosa son cosa
faccio) ma arriva il Conte, e Cherubino si nasconde dietro una poltrona. Il Conte è molto esplicito
con le offerte amorose all’imbarazzata Susanna, ma viene interrotto dall’arrivo di Don Basilio; si
nasconde a sua volta, ma si infuria a sentire che costui spettegola sul conto della Contessa e di
Cherubino, esce allo scoperto e finisce per scoprire in Cherubino nascosto uno scomodo testimone.
La rabbia del conte viene interrotta da un coro di contadini e contadine guidato da Figaro, elogiativo
nei confronti del Conte che ha abolito il “Jus primae noctis”. Il coro non fa che innervosire
ulteriormente il Conte, che nel frattempo ha deciso la punizione per Cherubino: lo manderà come
ufficiale in un suo reggimento di stanza a Siviglia. Il congedo di Figaro a Cherubino è l’aria “Non più
andrai farfallone amoroso”.

Atto II
Nella sua camera la Contessa canta la sua malinconia con l’aria “Porgi amor qualche ristoro”. Arriva
Susanna, e poco dopo Figaro che propone alcune idee per distogliere il Conte dal suo proposito, poi
se ne va. Arriva Cherubino, tristissimo, a dare il suo addio alla Contessa, e le canta la canzonetta che
ha composto, “Voi che sapete”. Dopo di che le donne passano alla realizzazione del loro piano per
disturbare i progetti del Conte, e cioè travestono Cherubino da donna. Mentre il ragazzo è mezzo
svestito, arriva il Conte, furibondo perché ha ricevuto un biglietto in cui si dice che la Contessa ha
un amante, e ancor di più perché trova chiusa a chiave la porta della camera e anche la porta dello
sgabuzzino in cui si è rinchiuso Cherubino. Dopo un primo litigio i due sposi escono di scena il tempo
necessario perché Susanna riesca a liberare Cherubino, che salta giù dal balcone, e a chiudersi al suo
posto. Tornando con i mezzi per forzare la porta il Conte vede uscire Susanna dal luogo dove credeva
trovare un amante della moglie, e chiede perdono, cosa che ottiene con qualche difficoltà. Arriva
Figaro, che seguendo un altro suo piano, per sollecitare le nozze dice di aver fatto arrivare i
suonatori. Non sa che il suo biglietto ha causato la gelosia del Conte, e subisce un interrogatorio.
Tutto sembra essersi risolto per il meglio quando arriva il giardiniere Antonio, lamentandosi di aver
visto qualcuno saltare giù dal balcone. Figaro per salvare la faccenda dice di essere saltato lui.
Seguono altri momenti di tensione per dare credibilità alla nuova versione dei fatti, ma quando
anche questa prova è superata, arrivano Marcellina, Don Bartolo e Basilio, a chiedere il processo
contro Figaro.
Atto III
Mentre il Conte medita sulla stranezza degli avvenimenti della giornata, la Contessa e Susanna
preparano una trappola per il Conte, un falso appuntamento di Susanna al Conte per la sera, in
giardino; nell’idea della Contessa, all’appuntamento andrà lei, con il vestito di Susanna. Susanna va
così a preannunciare al Conte l’appuntamento, cosa che lo rende sbalordito e felice. Uscendo dalla
sua stanza però Susanna incrocia Figaro, cui dice imprudentemente ad alta voce che ha già vinto la
causa, per cui il Conte si sente beffato e decide, per vendetta, di dar ragione a Marcellina. Segue la
scena del processo, in cui il conte proclama che Figaro, non potendo restituire il denaro avuto in
prestito, deve sposare Marcellina. A questo punto c’è un colpo di scena, perché Figaro, da sempre
considerato un plebeo senza famiglia, dice di avere nobili natali, comprovati da un geroglifico sul
braccio, al che Marcellina capisce che quello è suo figlio, rapito in culla dai briganti, lo riconosce e
abbraccia come tale, e presenta Don Bartolo come suo padre. Arriva Susanna per pagare il prestito,
e- dopo un momento di rabbia e sbigottimento nel vedere Figaro e Marcellina abbracciati- si unisce
al lieto quadretto familiare. Il conte esce alquanto seccato per la piega degli eventi. Dopo un breve
passaggio in scena di Barbarina, in cui convince Cherubino a lasciarsi vestire da ragazza, torna la
contessa con un’aria di nostalgia della perduta felicità (dove sono i bei momenti). Segue il racconto
da parte di Susanna alla Contessa della soluzione inaspettata del processo, dopo di che la Contessa
detta a Susanna il biglietto con l’appuntamento al Conte, che sigilla con una spilla da rimandare.
Arriva un coro di contadine con fiori in omaggio alla contessa, e in mezzo a loro c’è Cherubino
travestito; ma irrompono il Conte con Antonio, che smaschera Cherubino. Il momento imbarazzante
è interrotto da Figaro, che arriva felice e frettoloso di concludere il doppio matrimonio (il suo con
Susanna e quello di Marcellina con Bartolo). Alla marcia nunziale segue un fandango: nel frattempo
si svolge la consegna del biglietto da Susanna al Conte, la lettura dello stesso da parte del Conte che
si punge con la spilla, l’allegria di Figaro che capisce si tratta di un biglietto amoroso, ma non sa che
il biglietto è di Susanna, dunque ne ride.

Atto IV
In giardino, all’imbrunire, Barbarina, incaricata dal conte di riportare a Susanna il sigillo del biglietto.
L’ha perduto e lo cerca. Ingenuamente racconta il tutto a Figaro che sopraggiunge per caso, insieme
a Marcellina. Figaro impietrisce al pensiero di essere tradito da Susanna, e pensa a come
smascherare la coppia; Marcellina tenta invano di calmarlo, e va ad avvertire Susanna. Nel giardino
buio, arrivano a turno tutti gli abitanti del castello, e si nascondono nei due padiglioni o nei cespugli.
La prima è Barbarina, che cerca Cherubino, per portargli frutta e dolci. Subito dopo arriva Figaro con
Basilio e Bartolo, che vuole come testimoni. Figaro, molto turbato, si nasconde altrove per seguire
meglio gli avvenimenti (Aprite un po’ quegli occhi). Arrivano la Contessa e Susanna, ciascuna con il
vestito dell’altra, secondo il piano della Contessa, che si apparta nel luogo indicato al Conte per
l’appuntamento. Susanna canta la sua aria (Deh vieni non tardar), con disperazione di Figaro. Arriva
Cherubino, vede la Contessa e scambiandola per Susanna cerca di abbracciarla: ma l’arrivo del Conte
lo mette in fuga. e si dedica poi alla presunta Susanna, con amore e delizia, senza accorgersi che si
tratta di sua moglie. L’arrivo di Figaro che non resiste più a star nascosto, fa sì che la Contessa si
nasconda nel padiglione dove già si erano nascosti Barbarina e Cherubino, nonché Marcellina che si
trovava già lì. Figaro si imbatte in Susanna vestita da Contessa, ma dopo poche parole di lei si accorge
dello scambio di vestiti, e pur essendone felice decide di stare al gioco e burlarla; finge di corteggiare
la presunta Contessa, finché Susanna, adirata dalla presunta infedeltà, non lo prende a schiaffi.
Rappacificatisi, i due continuano la commedia per ingelosire il Conte. Infatti il Conte dimentica
Susanna e inizia - davanti agli abitanti del castello che ha chiamato a gran voce – una requisitoria
contro quella che crede una moglie infedele. Ciascuno dei presenti gli chiede perdono, ricevendo
sempre come risposta un deciso “No!”, finchè, per ultima, dal padiglione esce la Contessa, e chiede
lei perdono, rivelandosi. Ora è il Conte a chiedere perdono alla Contessa, e lei glie lo concede,
rasserenando tutti. Segue il festoso finale.
Testi di riferimento

W.A.Mozart - Le nozze di Figaro K 492– Bärenreiter Urtext

Testi d’epoca:
C.Burney - Viaggio musicale in Germania e Paesi bassi – London 1773 - trad. it. EDT 1986
J.Pezzl- Skizze von Wien- Wien 1786-90 – nuova ed. Graz 1923
L.da Ponte – Memorie – New York 1823 - trad. it. Garzanti 1976
M.Kelly – Reminiscences of Michael Kelly of the King theater- London 1826
G.N.Nissen – Biografia di W.A. Mozart – C.Mozart Lipsia 1828 – trad. it. Zecchini ed.2018
C. von Zinzendorf – Diari – ms in H.H.Staatsarchiv – Wien

Giuseppe II – Joseph II als Theaterdirektor (lettere e atti del Burghtheater) - Wien Leipzig - 1920

Testi moderni:
H.Abert – W.A.Mozart – Breitkopf und Härtel – 1955
J.V.Hocquard – La pensée de Mozart – Paris 1958
A.Greitner – Mozart – trad. it. Einaudi 1968
E.Dent – Il teatro di Mozart – trad. it. Rusconi 1979
M.Mila – Lettura delle Nozze di Figaro – Einaudi 1979
H.G.Robbins Landon – Mozart, gli anni d’oro – trad. it. Garzanti 1989
M.Solomon – Mozart – trad. it. Feltrinelli 1995
L.Bramani – Mozart massone e rivoluzionario – Mondadori 2005
W.A.Mozart – Lettere – trad. it. Biblioteca della Fenice 2019

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