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Ars Gallica: la via francese al

wagnerismo

Ciò che i francesi conoscevano maggiormente di Wagner non era la


musica, bensì i testi. La sua musica, infatti, aveva avuto ben
poche occasioni di essere eseguita nei teatri di Francia perché il
pubblico borghese l’aveva respinta con decisione, considerandola
come quintessenza della germanicità. Ma i compositori si

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interessarono moltissimo all’aspetto tecnico della musica


wagneriana: soprattutto alle sue sconvolgenti innovazioni
armoniche e alla tecnica del “Leitmotiv”. Così il pellegrinaggio a
Bayreuth divenne una necessità quasi rituale per i musicisti
francesi, essi vi si recavano per apprendere nuovi “trucchi del
mestiere” musicale. Fu soprattutto la Société nationale de
musique, fondata nel 1871 da César Franck e Camille Saint-Saëns,
ad adoperarsi per arricchire la musica francese con il linguaggio
wagneriano (“ars gallica” era il loro motto), nobilitando il
genere della musica strumentale, fino ad allora molto trascurato
dai musicisti e dalle istituzioni.

L’imponente figura del compositore Richard Wagner proietta la


sua ombra su tutta la seconda metà del IXX secolo, ed ancora nei
primi decenni del Novecento la sua musica, la sua concezione
drammaturgica e la sua poetica vengono ora esaltate, ora
ripudiate, ma non cessano mai di far discutere. 
Compositori
Col senno di poi è difficile negare la carica rivoluzionaria dell’opera di Wagner: la

disinvoltura con cui egli utilizza il materiale armonico, nonché la monumentalità

orchestrale e l’ipertrofica estensione delle sue composizioni,segneranno

profondamente ed indelebilmente la musica europea, ed in particolar modo la scuola

sinfonica di area tedesca, segnando una linea ideale che da Bruckner prosegue fino

a Schoenberg ed alla seconda scuola di Vienna.


La prima parigina del Tannhauser

Al di fuori dell’area tedesca, vi è un’altra nazione che si mostra molto ricettiva nei

confronti della musica e della poetica di Richard Wagner, ovvero la Francia,la cui

capitale è stata almeno per due secoli il faro culturale d’Europa. Il primo contatto

che il pubblico parigino ha con la musica di Wagner risale al 1860,quando il

compositore stesso dirige al Teatro degli Italiani estratti sinfonici dalle opere

L’olandese volante, Tristano e Isotta e Tannhauser.

E’ proprio quest’ultima opera che, per volontà dell’imperatore Napoleone III, viene

scelta per essere allestita all’Opéra nel marzo del 1861. Quest’esibizione viene

ricordata come un fiasco per svariati motivi, di natura per lo più extra-musicale,

legati a un sentimento antigermanico e sciovinista presente nella società francese

del tempo. A ciò va aggiunta il carattere poco accomodante del compositore, che

rifiuta di ritoccare la partitura secondo il gusto dei parigini, avvezzi al Grand-Opéra di

Meyerbeer. Dunque, se pur ritirato dal cartellone dopo sole tre repliche a causa del

suo insuccesso, il dramma di Wagner non manca di colpire profondamente

alcuni fra i più promettenti musicisti francesi che assistono all’evento.

https://www.youtube.com/watch?v=Bkk5thxaN9A

L’eredità di Wagner tra musica  e letteratura

Come da attitudine parigina, il mondo della musica si divide in  fazioni contrapposte,

etichettate come quella degli anti-wagneriani e quella dei wagneriani.A capo della

fazione esaltatrice della poetica wagneriana ricordiamo un entusiasta Georges

Bizet, che nella sua veste di giovane critico musicale difende  strenuamente la

musica del tedesco. Tuttavia, prendendo in esame la  produzione matura di Bizet si

evidenzia che questa esaltazione che non diviene, per esplicita volontà dello stesso
compositore, mera emulazione, e la partitura e l’impianto drammaturgico del suo

capolavoro, Carmen, stanno a testimoniarlo. In quest’opera, formalmente in bilico tra

Opéra- Comique e Grand-Opéra, sono presenti un gusto per la melodia ed una

raffinatezza del tratteggio psicologico dei personaggi che sono estranei al mondo del

Dramma wagneriano. Nel corso degli anni la poetica wagneriana compenetra più

diffusamente nel mondo artistico e letterario francese, tanto che viene fondata nel

1885 una rivista dall’emblematico nome di Revue wagnérienne. Questa

pubblicazione ospita al suo interno illustri firme del calibro di Huysmans e Verlaine, i

quali sono scrittori riconducibili alla fiorente corrente letteraria e pittorica del

Decadentismo. Tuttavia, sulle pagine della Revue venivano principalmenti presentati

articoli di carattere letterario, e il richiamo a Wagner presente nel nome della testata

era per lo più legato all’affinità di certe tematiche presenti nelle sue opere con il

contesto culturale da cui la rivista era scaturita. Va riconosciuto invece il merito della

divulgazione dei valori musicali propriamente wagneriani a due compositori

rispondenti al nome di César Franck e Camille Saint-Saens, i quali fondano una

“Società nazionale di musica“, con l’intento di nobilitare e innovare la musica

strumentale francese. Di Franck in particolare ricordiamo composizioni come il

Quartetto per archi in Re maggiore e Preludio, corale e fuga, per pianoforte,nelle

quali la condotta armonica fortemente cromatica incontra una concezione della

forma-sonata vicina alla ciclicità di Franz Lizst.

Camille Saint-Saëns estese la tecnica lisztiana della

trasformazione tematica non solo ai poemi sinfonici, ma anche alla

musica assoluta. Non motivata da un programma e inserita in un

disegno formale di tipo classico, tale tecnica viene supportata da

una monumentalità sonora debitrice del “grand opéra”. E’ molto


nota oggi una sua composizione ironica e molto particolare, il

“Carnaval des animaux” (“Carnevale degli animali”).

Il movimento romantico nella musica giunge al suo pieno rigoglio con l'inizio

del quarto decennio del secolo, che vede irrompere sulla scena la nuova

generazione dei musicisti nati intorno al 1810, e cresciuti negli anni più opachi

della Restaurazione, quando in seguito al crollo di quelle speranze di libertà e

di emancipazione politica e sociale, che avevano nutrito la lotta contro

l'occupazione francese, s'era andato instaurando un po' dappertutto un clima

di stanco e rassegnato conformismo. Dopo la simbolica soglia del 1830 il

panorama della vita musicale sembra invece improvvisamente animarsi. La

negazione del presente e la svalutazione del recente passato sono attitudini

prettamente romantiche, e così la tensione fra un passato remoto e un futuro

entrambi idealizzati. Ma da queste dichiarazioni s'inferisce un'altra

conseguenza: la conferma, cioè, che le nuove generazioni sentivano conclusa

e collocata in un passato idealmente lontano l'età che proprio in quegli anni

cominciava ad essere definita “classica”, e si rendevano consapevoli del

rapporto dialettico, di alterità e continuità, che con quella esse venivano

instaurando. A far più netto lo stacco fra la vecchia e la nuova generazione


contribuì senz'altro la scomparsa in un breve giro di anni, attorno al 1830, dei

massimi protagonisti dell'età aurea della cultura tedesca: di Beethoven

appunto (1827), di Hegel (1831), di Goethe (1832). Ma l'evento traumatico che

impresse la scossa risolutrice, e risvegliò in ogni campo un impetuoso slancio

di rinnovamento fu, come tutti sanno, la Rivoluzione di luglio. Ci fu un nuovo

flusso di cultura francese che investì la Germania. Agivano però adesso, in

quella cultura, i fermenti del romanticismo che a suo tempo la cultura tedesca

vi aveva inoculato – d'un romanticismo che, trapiantatosi in Francia, già

andava tingendosi dei primi riflessi del simbolismo e del decadentismo. Nel

campo della musica l'influsso francese fu particolarmente attivo, con risultati

molteplici e contraddittori. La cultura tedesca raccolse e sviluppò la polemica

che sul finire degli anni Venti era divampata in Francia fra conservatori e

progressisti, e che, sulla scorta di quanto avveniva nel campo della letteratura,

aveva fissato il senso della dicotomia “classico-romantico” nei termini

divenuti poi d'uso corrente, e cioè identificando nell'uno il fronte della

“resistenza” e nell'altro quello del “movimento”. Nella “Revue Musicale” da lui

diretta, Fétis aveva indicato in Beethoven l'iniziatore o almeno l'ispiratore della

“scuola romantica della musica”: un termine, quest'ultimo, a proposito del

quale si può osservare, tra Francia e Germania, una curiosa, inversa

reciprocità. Mentre infatti oltre il Reno esso era stato coniato per dare un nome

alle più recenti tendenze della musica tedesca, al di qua erano invece i

rappresentanti della “nuovissima scuola francese” ad essere chiamati

romantici, e a tale “scuola” venivano aggregati, senza far troppe distinzioni di

provenienze e tendenze, i personaggi più disparati ed eterogenei, come


Berlioz, Liszt, Chopin, Auber, Meyerbeer, senz'altro denominatore comune

che, appunto, il “romanticismo” inteso

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come sovvertimento di “tutto ciò che finora ha avuto nell'arte valore di legge”.

Di fronte all'oscurità e all'esoterismo di quel linguaggio la cultura musicale

s'era scissa in una maggioranza e in una minoranza: la prima che, manifestava

nei suoi confronti perplessità, imbarazzo, addirittura rifiuto; la seconda invece

che in quella “fluttuante oscurità” salutava il dispiegarsi di un ineffabile

sentimento mistico. Proprio da questa minoranza s'era formata “una nuova

tendenza romantica”, la quale, nella convinzione che l'arte “non può rimaner

ferma”, si proponeva di “ampliare i confini del suo regno”, e di farla progredire

oltre il limite, che già Beethoven aveva varcato. Quello che avevamo dunque

annunciato come il pieno rigoglio del romanticismo musicale, si presenta

perciò adesso anche come un “nuovo” romanticismo, il quale riattiva quelle

tendenze radicali ed estreme, che all'inizi secolo si erano manifestate con più

incisiva originalità nella concezione della musica elaborata dal romanticismo

letterario; e le riattiva nel senso che sono adesso i musicisti a farsene

consapevoli portatori, sia nella teoria dei programmi e dei manifesti sia nella

pratica delle opere. Il concetto di neoromanticismo è rimasto operante nella

storiografia musicale tedesca per designare la prosecuzione del movimento

romantico anzi la sua piena e consapevole affermazione nella musica, proprio

quando in altri campi cominciano a delinearsi tendenze che portano in

tutt'altre direzioni, verso il realismo, il naturalismo, il positivismo. A questo

proposito è utile tentare un'analisi di come si sviluppino le tendenze


innovatrici nella musica al paragone di quanto avviene contemporaneamente

nel contiguo dominio della letteratura. È assai viva sia nell'un ca

Un’ultima contraddizione riguarda invece la ricezione del suo

teatro musicale. I drammi di Wagner sono piuttosto ostici

all’ascolto: la loro durata è notevolmente superiore rispetto alla

media delle opere, mancano quasi totalmente di “melodie” nel senso

italiano del termine e richiedono una notevole concentrazione

perché l’ascoltatore possa penetrare nell’intrico dei “Leitmotive”

orchestrali. Eppure, la “moda” wagneriana dilagò in tutta Europa,

contagiando non solo i musicisti o gli intellettuali, ma anche

larghi strati della borghesia. Fu soprattutto il “Parsifal” a

generare quasi una specie di culto, soprattutto da parte dei

simbolisti francesi. In bilico fra un’estenuata sensualità e una

religiosità di carattere misterico, la storia del giovane

totalmente puro (Parsifal vuol dire “puro folle”) che, solo, può

portare la redenzione tra i Cavalieri del Graal suscitò

iridescenti risonanze nell’incipiente decadentismo europeo.

Nel 1888, tuttavia, un wagneriano d’eccezione, il filosofo

Friedrich Nietzsche, si scrollò di dosso l’ammirazione per il

compositore di Lipsia contrapponendo alle sue nordiche brume la

nitidezza mediterranea, tagliente e crudele che un giovane

compositore francese, Georges Bizet, aveva distillato nella sua


opera “Carmen”.

-CLAUDE DEBUSSY(1862-1818)

Debussy è un compositore che agisce durante il periodo di simbolismo e decadentismo


francese ispirandosi per la sua musica ad autori come Boudelair con corrispondenza in
cui ci dice che il mondo che ci circonda è una foresta di simboli in cui viene spesso usata la
figura retorica della sinestesia che è il colllegamento tra compo sensorali diversi, Baudelair
appoggia il concetto che deve essere la sfumatura del colore a fare da protagonista e non il
colore stesso,in questa frase Debussy si rispechia e cerca di sispechiarla con la sua
musica. 

Anche Claude Debussy risentì dell’ambiguo rapporto che il mondo


francese intratteneva con Wagner. Benché i suoi unici studi
regolari fossero stati quelli musicali al Conservatorio di Parigi,
egli frequentò ben più assiduamente i letterati che i suoi
colleghi musicisti: in particolare ebbe l’onore di essere ammesso
ai famosi “martedì” in cui Mallarmé riceveva nella sua casa i
massimi scrittori e pittori del momento.

Durante l’ Esposizione Universale del 1889 a Parigi, Debussy viene in contatto con
un’orchestra di musica gamelan, ne simase colpito per la sua saffinatezzza e dramaticità, da
cio trae spunto per le sue composizioni. Il gamelan e un genere di origine balinese e
indonesiana a cui Debussy fa numerosi riferimenti:

 uno di scale pentatoniche ed esatoniche, questo implica una certa atonalita


nella composizione
 concezzione statica del ritmo dovuta spesso alla sosapposizione di strati ritmici
(poliritmia)
 concezione egualmente statica e quasi circolare della froma, non c’e quindi
unosviluppo tematico e tonale
 drammaturgia semplice affidata all’essenzialità. 

Ma il gamelan non e l’unica fote di ispirazione, anche i canti gregoriano e la musica del
russo Músorgski. 

Nel 1888 e 1889 va a Bayyreuth per entrare in contatto con Wagner e la usa musica da cui pero
DEbussy si stacca e crea una concezione drammaturgica tutta sua, secondo la sua idea il
librettista ideale e “quello che dicendo le sose a meta permettera di inmestare il suo sogno”,
anche la tecnica del Leitmotiv lo laseia un po’ perplesso e ne ha un’idea sua nel senso
che non crede che un sentimentno o un’empzione possa essere espressa due volte allo
stesso modo. 

Viene in contatto anche con il simbolismo francese quindi con poeti come MALLARME e
quindi cerca di tradurre in musica quella che i simolisti francesi facevano in poesia.
Debussy scrive una sola opera, Pelleas et melisande e ha su di essa un punto di cista suo su
opera e libretto;

 libretti teatrali scritti in prosa 


 declamato delle voci continuo e fluido 
 crede che nell’opera si canti troppo e riduce le parti cantate
 iil testi poeitici puntano piu sulle cose non dette che su quelle dette
 la musica va a finire in una serie di intermezzi sinfonici tra un passaggio e l’altro, per
questo si ispira al pittore James James Mcneill Whistler
 vengono messi temi musicali sotto luci diverse ma mai svikuppati 
 uso della scala ottatonica ( T-S-T-S-T-S-T-S-T-S)
 uno non funzionale ma finde a se stesso 
Stravinskij e il Neoclassicismo – Storia di compositori che
giocano con il passato

La fine della Grande Guerra aveva lasciato un’Europa profondamente


mutata con l’esigenza di instaurare rapporti sociali improntati su
una maggiore giustizia.

Molti intellettuali e artisti si reputarono coinvolti da questo


processo e cercarono di contribuire a un’utilità immediata delle
masse lavoratrici; simbolo di tale tendenza fu il Bauhaus, una
scuola d’arte fondata a Weimar dall’architetto Walter Gropius nel
1919, secondo il quale il concetto di sostanziale identità fra
arte e artigianato doveva tradursi nella costruzione di prodotti
artistici di utilità concreta.

Anche i compositori si dedicarono ad una “Gebrauchsmusik” (“musica


d’uso”): musica con funzione didattica ma nello stesso tempo ben
costruita, artistica e artigianale insieme, destinata ai cori dei
lavoratori o agli studenti per contrastare la musica “leggera”,
mercificata. In questo movimento, detto “Neue Sachlichkeit” (Nuova
Oggettività, per il netto rifiuto del soggettivismo romantico), si
inserì il compositore tedesco Paul Hindemith, componendo molta
musica a scopo didattico. Egli proveniva da esperienze
espressioniste. La sua singolarissima commistione tra un
contrappunto di ispirazione bachiana, che fornisce una solidità

costruttiva stile “Bauhaus”, e un linguaggio musicale moderno,


duro e dissonante si svela appieno nella serie delle sue
“Kammermusiken” (“Musiche da camera”), o in composizioni come la
“Suite 1922” per pianoforte, che fa uso anche di musica da ballo
americana e tratta il pianoforte alla stregua di uno strumento a
percussione.

Parigi ospitava intanto un altro musicista, un vero colosso della


musica del ’900: il russo Igor Stravinskij. Dopo aver studiato
nella natia Pietroburgo con Rimskij-Korsakov, fu notato da
Diaghilev. Ebbe cos’ inizio quello che la critica definì poi
periodo russo di Stravinskij, perché in esso l’autore ripensa in
modo personalissimo la musica del folklore russo. Ma questa
denominazione deriva anche dal fatto che questo periodo della sua
vita è scandito dalla produzione destinata ai Balletti russi che
Diaghilev allestiva a Parigi (questa fase fu detta anche periodo
“fauve”, in analogia con l’omonima corrente pittorica. I “fauves”
– “belve”, quindi “selvaggi” – erano pittori francesi che, in
contrapposizione con l’estetica impressionista, usavano colori
primari, violenti, al servizio di un’espressività altrettanto
esasperata). Partecipe e stimolatrice dell’amore tutto parigino
per il mondo del circo e della musica “jazz”, aggiunge di suo una
carica di energia quasi primordiale.
Durante la guerra Stravinskij andò a vivere nella neutrale
Svizzera, dove rimase fino al 1920. Lì compose alcuni lavori di
teatro musicale da camera: “Renard”, “L’histoire du soldat” (“La
storia del soldato”) e “Les noces” (“Le nozze”). La caratteristica
fondamentale di questa produzione è la scissione tra i diversi
elementi che costituiscono lo spettacolo.

In “Renard”, ad esempio, in scena stanno solo attori, danzatori e


acrobati, mente i cantanti sono in orchestra; per di più, non
sempre allo sesso personaggio corrisponde la voce dello stesso
cantante e non sempre quella di un cantante solo (a volte due, tre
o quattro insieme).

Questa separazione dei parametri genera un totale “straniamento”


nella percezione dell’ascoltatore, costretto a rinunciare ad ogni
pretesa di immedesimazione nella vicenda, e a guardarla invece da
vari punti di vista contemporaneamente. Per questo il periodo
“svizzero” di Stravinskij è stato chiamato anche periodo cubista.

Con il balletto “Pulcinella” (1920) si fa iniziare invece un suo


periodo neoclassico, che qualcuno preferisce definire neobarocco:
in esso, infatti, il compositore russo si appropria di alcuni
tratti stilistici e formali della musica antica, soprattutto di
quella barocca.

Ecco il balletto “Pulcinella” (1920, anch’esso per Diaghilev, con


scene e costumi di Picasso), imperniato su musiche di Pergolesi o
ritenute tali; l’opera buffa “Mavra” (1922), che mescola sapore di

’700 con il folklore russo; l’Ottetto per fiati, ricco di


contrappunto e memore di Bach, pur se occhieggia alla forma-
sonata, il balletto “Apollon musagète” (“Apollo protettore delle
Muse”, 1928), che vuole riallacciarsi a quelli in voga all’epoca
di Luigi XIV, la “Symphonie de Psaumes” (“Sinfonia di salmi”), uno
dei suoi massimi capolavori, e la Messa per coro e strumenti a
fiato, che segnano due tappe importanti per il ritorno di
Stravinskij ad una profonda religiosità e il suo accostarsi al
mondo musicale medievale (nella produzione stravinskijana c’è
anche un filone che possiamo definire jazzistico in senso lato:
dal “Rag-time” per strumenti, alla “Piano-rag-music” e al “Tango”
per pianoforte, alla “Circus Polka” per orchestra, a composizioni
che impiegano proprio una “jazz band”, come l’”Ebony Concerto”)

I suoi contemporanei e i suoi epigoni consideravano la grande


musica del passato come garanzia di solidità, come modello
insuperabile da imitare. Per Stravinskij, invece, il passato è un
modo per vivere il presente, una cava di materiali di cui servirsi
senza soggezione. Ecco perché sceglie di rivisitare soprattutto il
Barocco, le cui strutture a tasselli (l’alternanza solo-tutti,la
dinamica “a terrazze”, l’armonia più squadrata, ecc.) ben si
prestano ad un’operazione di smontaggio e rimontaggio con criteri
nuovi, puramente stravinskijani e “antitonali” (Stravinskij si

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definiva “antitonale”: la tonalità, lungi dall’essere il suo solo


orizzonte di riferimento, era uno dei materiali con cui voleva
liberamente giocare. Nel disinvolto trattamento della tradizione
musicale occidentale egli fu favorito proprio dalle sue radici
russe, che gli fornivano il necessario distacco culturale). Ma la
sua preferenza per quelle che chiamava “le formule impersonali di
un remoto passato” era anche un odo per esprimere la parre più
profonda e sensibile di se stesso tenendosi celato dietro una
maschera.

Un’ultima svolta avvenne negli anni ’50: Stravinskij si accostò


alla dodecafonia. In realtà questo suo periodo dodecafonico si
inserisce linearmente nell’evoluzione della personalità
stravinskijana.

Così Stravinskij si concentrò prevalentemente su composizioni di


grande rigore espressivo, spesso legate a suggestioni liturgiche.
La sua prima composizione che contiene episodi interamente
dodecafonici è il “Canticum sacrum ad honorem Sancti Marci
nominis” (“Cantico sacro in onore del nome di San Marco”); gli fu
commissionato dalla Biennale di Venezia, e nella sua costruzione
musicale egli volle riprodurre la singolare forma della basilica
marciana nella quale doveva essere eseguito.

Stravinskij effettuò nella sua vita brusche svolte stilistiche.


Per questo egli fu accusato di eclettismo, di ruotare come una
banderuola per riuscire a captare dove spirasse con più forza il
vento del mercato musicale e del relativo profitto. Oggi che la
distanza temporale ha stemperato molte polemiche di matrice
politica e morale, si tende più a considerare l’unitarietà di
fondo della produzione stravinskijana. In realtà, al di là della
mutevole superficie della sua musica, il compositore ha seguito
sempre lo stesso metodo: prendere qualcosa di esistente (meglio se
oggettivizzato da una grande distanza temporale), smontarlo e
rimontarlo a modo proprio.

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Ciò vale anche per il teatro. La drammaturgia stravinskijana è
stata definita da Carl Dahlhaus teatro epico come quella di
Brecht, anche se in un senso un po’ diverso: Stravinskij separa,
smonta i singoli parametri (azione pantomimica, musica vocale,
musica strumentale, recitazione) e li rimonta conferendo loro un
valore estetico autonomo ed estraniando quindi lo spettatore dalla
vicenda. Tale drammaturgia acquista un carattere di estrema,
lacerante modernità anche perché nega la funzione comunicativa del
dialogo: il Neoclassicismo di Stravinskij si rivela essere dunque
un netto anticlassicismo.

 MAURICE RAVEL (1875- 1937)

A inizio carriera Ravel e Debusssy vengono considerati molto simili musicalmente perche
il suo Jeaux d’eau (Giochi d’acqua) era molto simile a Jardins sous la pluie per quanto riguarda
l’armonia modale e l’uso della scola per toni enteri. 

Anche se ci sono gli stile musicali provenienti dalla musica orientale e dal clavicenbalismo
francese oppure dal recente jazz americano. 

In realtà, Ravel tratta la dissonanza in modo differente, qui resta dentro un binario e
rimane chiara la tonalita, c’e sempre un sistema tonale di riferimento anche quando non
sembra. Inaltre Ravel mecamicizza e strumentalizza il ritmo creando una strana assonanza
con il ritmo Rossinniano. 

Scrisse due opere comiche (L’HEURE ESPAGNOLE- L’ORA SPAGNOLA), in cui tramuta i
personaggi in quasi marionette e L’ENFANT ET LES SORTILEGES (Il mabino e i sortileggi) in
cui i protagonosti sono oggeti inanimate. 

Le composizioni “serie2 sono LE TOMBAUZ DE COUPERIN, LE CHANSONS MADECASSES…

Poi c’e il celebrissimo Bolero che desto un grande scandalo, ci sono 18 entrate del tema senza
mai fare una variazione armonica ma cambiando sempre la timbrica assegnando il tema sempre
ad uno strumento diveso. 

-STRAUSS (1864-1943)

L’’800 stava ormai tramontando: dietro i bagliori della “belle


époque”, sfavillante di operette e di valzer, germinavano in modo
spesso oscuro i fermenti di una crisi profonda (l’operetta è un
genere di teatro musicale di carattere leggero, in cui dialoghi
parlati si alternano a numeri musicali. L’operetta viennese, il
cui massimo fulgore si registra tra gli anni ’70 dell’’800 e i
primi del ’900, è rappresentata principalmente da Franz von Suppé,
Johann Strauss junior – sono tuttora celeberrimi i suoi valzer – e
Franz Lehár).

Strauss. Eppure, negli ultimi anni del diciannovesimo secolo la


sua musica contribuiva davvero a formare quella che era percepita
come Musica Moderna: egli si dedicò soprattutto al poema
sinfonico, anche se respingeva la concezione di una musica
costruita esclusivamente su un programma, giacché sosteneva che la
forma musicale deve avere fondamento in se sessa, senza puntelli
esterni.

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Tra i suoi più famosi poemi sinfonici citiamo “Don Juan” (“Don
Giovanni”), “Tod und Verklärung” (“Morte e trasfigurazione”),
“Also sprach Zarathustra” (“Così parlò Zarathustra”), “Don
Chisciotte”. L’atmosfera espressiva di Strauss è fortemente
diversa da quella di Mahler: in Strauss domina un acceso e intenso
vitalismo, una concezione della composizione come robusto
artigianato; il tutto temperato però da una vena di satira
graffiante, ben lontana dall’aura di misticismo wagneriano che
imperversava all’epoca e che Strauss avrebbe potuto assorbire
avendo diretto anche a Bayreuth molta musica di Wagner.

Strauss non conobbe veri ostacoli, poiché la sua carriera


direttoriale si svolse sempre ai massimi livelli: iniziò come
sostituto di Bülow a Meiningen, inserendosi nella corrente
neotedesca, per poi divenire in breve direttore dell’Opera di
corte di Monaco e dell’Opera di corte di Berlino; dopo la prima
guerra mondiale fu la volta dell’Opera di corte di Vienna. Negli
anni ’30 il settantenne musicista si lasciò attrarre nell’orbita
del nazismo, che gli conferì incarichi ufficiali e se ne servì a
fini propagandistici: nel 1933, ad esempio, Strauss diresse il
“Parsifal” a Bayreuth al posto di Arturo Toscanini, dimessosi per
protesta contro le leggi razziali naziste. Essendosi però opposto
alla discriminazione di un suo librettista di origine ebraica,
cadde in disgrazia e si appartò da ogni ufficialità.

Le sue opere dei primi anni del ’900 (“Salomé” e “Elektra”;


entrambe in un solo atto) si servono della tecnica dei
“Leitmotive”, ma creando con essi una trama fittissima e
praticamente inestricabile: quasi più un commento psicoanalitico
alla vicenda che una struttura percepibile razionalmente. La sua
modernità si riflette anche nella scelta e nell’uso dei testi:
rispettivamente di Oscar Wilde e di Hugo von Hofmannsthal, essi
non sono alterati da alcun intervento “librettistico” (vengono
soltanto abbreviati), ma lasciati quali erano, cioè drammi in
prosa. Per di più, si tratta di drammi dal contenuto estremamente
scandaloso per la morale dell’epoca: entrambe le protagoniste sono
divorate da una brama sensuale insaziabile, che le spinge
all’omicidio e alla quale infine soccombono.

Ma quando, negli anni ’10 del nuovo secolo, la Musica Moderna andò
imboccando le vie atonali della Nuova Musica, Strauss non
intraprese quella strada, ritirandosi in una scrittura di tipo
sempre più accademico e tradizionale.

Figlio di una corista dell’orchestra di Monaco, il padre non nutriva una gran simpatia per
Wagner e il figlio Richard all’inizio gli dieede ascolto ma po segui la sua strada. 

Nella sua carriera da compositore si concentra principalmente sul poema sinformico e


sull’opera, egli pero respingrva l’idea che la musica dovesse essere accompagnata da
un progrmma e riteneva che la forma musicale dovesse avere fondamento su se stesso. 

Il suo primo poema sinfonico fu AUS ITALIEN (1886)  mentre la prima composizione
importante fu sempre un poema sinfonnico scrito nel 1888 ed eseguito nel 1889 e fu DON
JUAN (DON GIOVANNI)

  DON JUAN (DON GIOVANNI)

La prima esezuzione a Weimar ebbe grande successo. Per il testo prende spunto dal poema
sul Don Giovanni di Nikolaus Lenau. 

I temi di questi’opera sono molto chiari, estremamente pregnanti e di grande frantasoa e inoltre
sono molto plastici e ricchi di energia. 

Sono presenti quattro temi:

 Tema del desiderio che caratterizza tutto il tramo


 tema del Don Giovanni conquistatore
 Tema del posesso
 Tema dell’ideale femminile associato a due delle sue conquiste amorose
Finale dell’opera inaspettato in cui c’e il riepilogo dei due temi amorosi e in cui Don Giovanni non
trova nessuna risposta al suo desiderio femminile. 

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